Notizie su Israele 178 - 3 giugno 2003
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I figli d'Israele infatti staranno per parecchio tempo senza re, senza capo, senza sacrificio e senza statua, senza efod e senza idoli domestici. Poi i figli d'Israele torneranno a cercare il SIGNORE, loro Dio, e Davide, loro re, e ricorreranno tremanti al SIGNORE e alla sua bontà, negli ultimi giorni. (Osea 3:4-5) IL DISCORSO DI SHARON NELLO YOM YERUSHALAYIM Il 29 maggio scorso in Israele è stato festeggiato lo "Yom Yeruhalayim", il giorno in cui Gerusalemme è stata liberata dalle forze dell'esercito israeliano, alla fine della Guerra dei Sei giorni. In questa occasione il Primo Ministro Ariel Sharon ha tenuto un discorso commemorativo. Nel suo discorso fatto alla "Ammunition Hill" in occasione del Giorno di Gerusalemme, il Primo Ministro Ariel Sharon ha dichiarato che Gerusalemme non sarà mai messa in discussione e la capitale rimarrà sempre indivisa e sotto il controllo di Israele. Ciò che segue è la traduzione del discorso del Primo Ministro: «Trentasei anni fa a Gerusalemme c'erano i fili spinati con la corrente elettrica. La città ora non è più circondata da campi minati; il nemico non ci spia più da dietro le mura e le torri della città per spararci addosso. Invece di una città divisa e minacciata, Gerusalemme adesso è una viva e vibrante metropoli, unita e splendidamente edificata, che ha riguadagnato la sua gloria. Lo Stato di Israele deve tutto questo ai suoi eroici guerrieri. Il prezzo è stato pesante ed estremamente penoso. Ma tuttavia il popolo ebraico può osservare con meraviglia il miracoloso adempimento della profetica visione - sogno e preghiera - agognata da tante e tante generazioni. La collina fortificata su cui ci troviamo è impregnata di sangue. Nelle tarde ore di quella terribile notte, la gloriosa storia di Israele è stata incisa nelle fessure e nei crepacci di questo campo di battaglia. Da allora, e per sempre, questo sarà un giardino fiorito, un'oasi di memoria. Mai più conoscerà il fuoco delle armi. Mai più il nemico poserà su di esso il suo piede. Lo Stato d'Israele non desidera la guerra. Il Governo d'Israele non risparmia sforzi nel tentativo di risolvere questa crisi con mezzi politici. Il livore, l'arroganza e le infiammate passioni degli arabi hanno impedito ogni soluzione di questo tipo. Il loro desiderio del cuore è la distruzione di Israele. Israele è stato forzato a entrare in una guerra inevitabile - una guerra di salvezza. La liberazione e l'unificazione di Gerusalemme è stata la storica conclusione che ha coronato l'intera campagna. In questo giorno fu dato il segnale. Le truppe paracadutate e i soldati della Brigata Gerusalemme hanno invaso la Città Vecchia, hanno scalato il Tempio del Monte e messo le lore mani sulle pietre del muro del pianto. E' stato un tempo di liberazione e gioia, quasi senza uguali nella storia d'Israele, e ha risuonato nel cuore di ogni ebreo. E' stato un tempo che non sarà mai dimenticato. Trentasei anni sono passati, e ancora dobbiamo difendere Gerusalemme. Siamo impegnati in un'incessante battaglia contro un crudele terrorismo, il cui scopo è quello di infiacchire la nostra presa sulla città. Comunque, Gerusalemme adesso è più protetta di quanto non sia mai stata. Gerusalemme è protetta da un muro di amore - costruito per generazioni dal Popolo di Israele, dovunque si trovi. E protetta dai volenterosi soldati e comandanti dell'esercito, dalla polizia, dalla polizia di frontiera e dalle forze di sicurezza. E' protetta dal chiaro e inequivoco impegno e dalla politica del Governo Israeliano. E' protetta da tutta la forza e dal potere del libero e sovrano Stato d'Israele, di cui Gerusalemme è il cuore pulsante e l'eterna capitale. Mai abbandoneremo Gerusalemme. Mai. Oggi, nello Yom Yerushalayim, poiché ci troviamo in questo luogo di eroismo, ricordiamo e commemoriamo i soldati e i liberatori di Gerusalemme, la serie di leader e comandanti che hanno condotto la campagna alla vittoria e i soldati che hanno combattuto su tutti i fronti. Gerusalemme era nel cuore di tutti loro. Gerusalemme è stato il segreto della loro vittoria. "Sopra le tue mura, o Gerusalemme, ho posto i guardiani; tutto il giorno e tutta la notte, continuamente, non taceranno mai", dice il profeta. Come Primo Ministro d'Israele, sono fiero di avere il privilegio di essere il guardiano dell'unica, unita ed eterna Gerusalemme. Intendo mantenere la sacralità di questo impegno, e sono certo che questo sacro impegno sarà per sempre mantenuto dal Popolo d'Israele.» (Arutz Sheva News Service, 30.05.2003) 36° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DI GERUSALEMME Dall'Ordine del Giorno dell'Agenzia Ebraica La Guerra dei Sei Giorni La guerra scoppiò in conseguenza della campagna anti-israeliana fomentata dai paesi arabi nel corso della primavera del 1967. Il 15 maggio, il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser pretese il ritiro dal Sinai delle forze di pace dell'ONU e poco dopo ordinò la chiusura dello Stretto di Tiran alla navigazione israeliana, a dispetto della legge internazionale. Il 31 maggio l'Egitto aveva già stanziato nel Sinai 100.000 soldati, 1.000 carri armati e 500 cannoni a lunga gittata. Quindi l'Egitto firmò un patto di difesa con la Giordania, mentre Siria, Giordania e Irak richiamavano alle armi i loro eserciti. Anche il Kuwait, l'Arabia Saudita, il Sudan e l'Algeria inviarono truppe ed armi. Israele si trovò circondato da circa 250.000 soldati, oltre 2.000 carri armati e 700 aerei da combattimento. Il Presidente iracheno Aref dichiarò: "Il nostro obiettivo è chiaro: cancellare Israele dalla carta geografica". Il 4 giugno Israele si trovò ad affrontare la guerra su tre fronti. Con la dichiarazione di neutralità da parte degli Stati Uniti, l'imposizione dell'embargo degli armamenti (congiutamente alla Francia) su tutta la regione mentre l'Unione Sovietica continuava a inviare massicce riforniture militari agli Stati arabi e il crescente isolamento internazionale di Israele, l'appello all'annientamento del paese non suonava come una minaccia priva di senso. La mattina del 5 giugno, l'Aviazione israeliana intraprese un'azione preventiva e distrusse la quasi totalità dell'Aviazione egiziana. Le forze corazzate di Israele dilagarono nel Sinai, fino alla sponda orientale del Canale di Suez. Lo stesso giorno la Giordania lanciò l'attacco contro Israele. Il 7 giungo, l'esercito israeliano sfondò le mura della città Vecchia di Gerusalemme. I soldati israeliani corsero alla cieca verso il Muro del Pianto, piangendo come bambini, mentre accarezzavano le sue antiche pietre. Dopo aver dato la scalata alle mura, giunsero le elettrizzanti parole del comandante Motta Gur: "Il Monte del Tempio è in mano nostra! Il Monte del Tempio è in mano nostra!" Sotto l'occupazione giordana La Città Vecchia di Gerusalemme fu illegalmente annessa alla Giordania nel 1950, dopo essere stata occupata dalla Legione Araba [giordana] il 28 maggio 1948: l'annessione fu riconosciuta solo dalla Gran Bretagna e dal Pakistan. I due settori della città furono separati da filo spinato e campi minati e dalle sue antiche mura, i soldati giordani presero a fare tiro al bersaglio contro gli israeliani. A tutti gli israeliani ebrei, musulmani e cristiani fu impedito l'accesso alla Città Vecchia, in flagrante violazione dell'armistizio fra Israele e la Giordania, firmato nel marzo 1949. Ai turisti stranieri in visita a Gerusalemme fu generalmente richiesto di presentare un certificato di battesimo. Nel corso degli anni sotto il dominio giordano, ogni vestigia della presenza ebraica nella città fu sistematicamente cancellata. Una strada fu asfaltata nel mezzo dell'antico cimitero ebraico sul Monte degli Olivi e pietre tombali furono usate per pavimentare accampamenti militari e latrine. Cinquantotto sinagoghe, fra cui la Sinagoga Hurvà vecchia di 700 anni, furono in gran parte dissacrate e distrutte. Agli ebrei fu negato il libero accesso ai loro luoghi santi, ed in particolare al Muro del Pianto ed anche ai musulmani israeliani fu impedito di accedere alle moschee della Città Vecchia. Dopo la liberazione di Gerusalemme, il Governo varò la Legge per la Protezione dei Luoghi Santi, che garantiva libertà di accesso e di culto nei luoghi santi per gli appartenenti a tutte le religioni e a tutte le sette e autonomia ai vari gruppi religiosi nella gestione delle loro rispettive proprietà e dei loro luoghi santi. La Knesset estese la legislazione israeliana a Gerusalemme-est, unificando così la città sotto il governo israeliano e mettendo fine alle regolamentazioni discriminatorie. Gli israeliani ripristinarono rapidamente il diritto dei musulmani di pregare sul Monte del Tempio, malgrado il fatto che fosse il luogo più santo all'ebraismo. Oggi il Wakf musulmano [consiglio religioso], a cui è affidata l'amministrazione del Monte del Tempio, impedisce agli ebrei di pregare sul luogo. Gerusalemme nella Storia ebraica Gerusalemme è legata in modo inestricabile al Popolo ebraico. La sua posizione speciale nella tradizione ebraica risale a 4000 anni fa, quando Dio si rivelò ad Abramo, chiedendogli di sacrificare Isacco sul Monte Morià, dove poi sorgerà il Tempio. Nel 1004 a.C., Davide fece della città la capitale del suo regno e suo figlio Salomone vi fece costruire i Sacro Tempio. La città rimase la capitale della dinastia davidica per 400 anni, finché nel 586 a.C. fu conquistata e distrutta dai babilonesi. Con il benestare dei persiani, che avevano a loro volta conquistato Babilonia, agli ebrei fu concesso di ritornare nella Terra d'Israele e 70 anni più tardi, ricostruirono la loro città santa ed il Sacro Tempio. Gerusalemme rimase il baricentro della cultura e della religione ebraica per i successivi cinque secoli e mezzo. Quando l'impero ellenistico-seleucide profanò il Tempio, scoppiò la rivolta dei Maccabei (167 a.C.), che ripristinò l'indipendenza ebraica, incentrata su Gerusalemme. Nel 63 a.C., la città fu conquistata dai Romani. In seguito all'oppressione religiosa, nel 70 d.C. gli ebrei si rivoltarono contro Roma, Gerusalemme fu distrutta ed i suoi abitanti esiliati e dispersi in tutto l'impero romano e resi schiavi. Nel 136 d.C., in conseguenza della rivolta di Bar Kochbà, i Romani passarono l'aratro sul Monte del Tempio. Gerusalemme fu ricostruita come città pagana, a cui venne dato il nome di Aelia Capitolina: l'ingresso agli ebrei fu vietato. Attraverso tutti i susseguenti periodi di occupazione straniera di Gerusalemme romano (fino al 324), bizantino (324-614), persiano (614-638), arabo- musulmano (638-1099), crociato (1099-1291), mamelucco (1291-1516), turco-ottomano (1516-1917) e britannico (1917-1948), la presenza e l'attaccamento degli ebrei a Gerusalemme sono rimasti costanti ed invariati. Dal 1844 (primo censimento ufficiale) gli ebrei costituiscono il maggiore gruppo etnico della città. Gerusalemme è ricordata nella Bibbia oltre 800 volte ed ha 70 nomi diversi nella letteratura post-biblica. La distruzione di Gerusalemme è commemorata in un numero infinito di rituali, preghiere, giorni di digiuno, il più cupo dei quali, Tishà be-Av [nono giorno del mese ebraico di Av (luglio-agosto), anniversario della distruzione del Primo e del Secondo Tempio], conclude un periodo di lutto di tre settimane. Gli ebrei in tutto il mondo pregano rivolti verso Gerusalemme. Un bicchiere di vetro viene rotto al termine della cerimonia nuziale, per ricordare che non vi può essere gioia completa finché Gerusalemme non sarà ricostruita. Gli ebrei più religiosi lasciano un riquadro senza intonaco in ogni casa nuova "in ricordo della distruzione". Il Seder [cena rituale] di Pesah e le preghiere di Kippur terminano con l'espressione del desiderio e gli auguri reciproci: "L'anno prossimo a Gerusalemme!" (Keren Hayesod, 29 maggio 2003) I PRINCIPI FONDAMENTALI DI OSLO E LA ROAD MAP Inesorabile «Road Map» Domenica 25 maggio il gabinetto Sharon ha accettato la Road Map (è la prima volta che un governo israeliano accoglie l'idea di uno stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza). Gli israeliani e i palestinesi iniziano ora i primi sforzi per raggiungere un trattato, dopo il collasso del processo di Oslo di circa tre anni fa. La "Roadmap to a Permanent Two-State Solution to the Israeli-Palestinian Conflict" è un ambizioso progetto in tre fasi, che nella prima fase prevede la fine degli attacchi terroristici ed il congelamento degli stanziamenti, nella seconda prevede la nascita di uno stato palestinese con confini temporanei, e nella terza presuppone un accordo finale entro il 2005. Ci eravamo già incamminati in un percorso del genere tempo fa. E all'inizio di questo nuovo processo è di fondamentale importanza richiamare alla memoria il più recente sforzo fallito di raggiungere una soluzione prevedente due stati: gli accordi di Oslo. Che cosa non ha funzionato ad Oslo? Questa domanda è esattamente il tema del nuovo filmato di HonestReporting, Relentless ["Inesorabile"], che documenta i quattro principi fondamentali di Oslo, raccontando come ciascuno di essi abbia fallito: 1) Gli accordi di Oslo prevedevano un governo palestinese che denunciava la violenza e mostrava una responsabilità diplomatica e fiscale. Invece Arafat ha continuato a estendere il terrorismo, ha estorto i finanziamenti e ha continuato a negare la legittimità di Israele. 2) Gli accordi di Oslo prevedevano lo smantellamento di tutte le organizzazioni terroristiche, come quella di Hamas e la Jihad islamica, e la confisca di armi illegali. In realtà, i responsabili di questi gruppi ottennero più potere, perché vennero scarcerati dalle prigioni palestinesi, ricevettero cariche ufficiali, trafficarono armi illegali (Karine A) e rifornirono di armi le fazioni terroristiche. 3) Gli accordi di Oslo prevedevano la fine dell'incitamento alla violenza, e l'educazione alla pace della popolazione palestinese. Invece l'Autorità Palestinese ha usato i propri mass-media e i libri di testo per negare la legittimità di Israele, incitando all'uccisione degli ebrei e spingendo alla "guerra santa". 4) Gli accordi di Oslo prevedevano che le violazioni avrebbero provocato la cessazione del processo. Nonostante le esplicite violazioni dei palestinesi, Israele ha continuato a perseguire la visione di Oslo, cedendo ulteriori territori a Wye nel 1998 e presentando un trattato a Camp David, nel luglio del 2000, che andava ben oltre le offerte precedenti. Per capire l'attuale Road Map, bisogna capire il suo terreno di prova, Oslo. Le preoccupazioni di Israele Dato il penoso precedente di Oslo, Israele ha sollevato 14 obiezioni alla stipula della Road Map, obiezioni che Bush ha promesso di risolvere "appieno e in maniera seria"; l'approvazione da parte del governo israeliano della Road Map, avvenuta domenica scorsa, è stata vincolata al pieno soddisfacimento di queste preoccupazioni. Questa volta, ha detto Israele, le cose dovranno essere diverse. Le 14 obiezioni (a parte il problema dei profughi palestinesi) possono essere raggruppate in quattro sezioni principali, molto simili a quelle che hanno provocato il fallimento degli accordi di Oslo: 1) La nascita di un nuovo governo palestinese riformato. Infatti, come precondizione della Road Map, il Presidente Bush ha chiesto al popolo palestinese di eleggere dei capi "non compromessi col terrorismo". Il messaggio è stato chiaro per tutti: Yasser Arafat deve sparire. Eletto il mese scorso il primo ministro Abu Mazen, la Road Map ha potuto avere inizio. Eppure proprio la settimana scorsa, Abu Mazen stesso ha dichiarato ad un settimanale egiziano: "Arafat è al vertice dell'Autorità [Palestinese]. E' la persona a cui facciamo riferimento, nonostante quello che pensano di lui gli americani o Israele Non facciamo niente senza la sua approvazione". 2) Il completo smantellamento delle organizzazioni terroristiche. Non è stato compiuto ancora neanche un arresto, e nessun'arma illegale è stata confiscata. Nel frattempo, continuano incessantemente gli attentati dinamitardi e gli attacchi missilistici sulle città israeliane, e proprio la settimana scorsa la marina militare israeliana ha catturato nei pressi di Gaza un peschereccio |
che trasportava esplosivi, le istruzioni per l'assemblaggio, ed un
esperto terrorista Hezbollah. Lo scorso marzo Abu Mazen ha legittimato l'uso della violenza e del terrore: "L'Intifada deve continuare. Ed è diritto del popolo palestinese insorgere ed usare tutti i mezzi a sua disposizione tutti i mezzi, anche i cannoni " (A-Sharq Al Awsat, 3 marzo 2003). 3) La cessazione degli incitamenti contro Israele, da tutte le fonti ufficiali palestinesi. L'Autorità Palestinese ha invece fatto circolare i seguenti "video musicali": a) attori che inscenavano una finta tortura di un prigioniero palestinese da parte di un soldato israeliano; b) attori che rappresentavano israeliani impegnati in attività simili a quelle naziste, come soldati IDF che uccidevano un giovane palestinese, sparandogli in testa, ed una madre palestinese e il suo neonato, fatti saltare in aria da soldati; c) giovani che venivano incoraggiati a tirare pietre agli israeliani e a calpestare simboli ebrei. 4) La piena realizzazione di ogni fase monitorata obiettivamente quale condizione per la continuazione. Il tempo previsto dalla Road Map è veramente realistico? Secondo la Road Map, entro il maggio 2003 dovrebbe terminare la "Fase Uno": cioè dovrebbero cessare il terrorismo e la violenza, si dovrebbe normalizzare la vita palestinese e si dovrebbero fondare delle istituzioni palestinesi. Ma nessuna di queste cose è iniziata. Qualcuno si aspetta veramente che tutto questo si possa adempiere nei prossimi tre giorni? [evidentemente non si è adempiuto, ndr] L'approvazione della Road Map di domenica 25 maggio mostra che Ariel Sharon a lungo accusato di essere "un radicale" adesso sta portando il suo paese a fare concessioni per la pace. Ma Sharon insiste nel dire che tutto questo sarà affrontato con un approccio pragmatico e intelligente, che eviti i quattro problemi principali che hanno determinato il fallimento degli accordi di Oslo. Da notare il fatto che molti mass-media hanno abbondantemente criticato l'approvazione israeliana della Road Map. Il Washington Post ha scritto che "il governo, profondamente diviso, ha attaccato le condizioni chiave dell'iniziativa, rendendone l'esecuzione ancora più problematica, se non ostacolandola del tutto". (Honest Reporting, 27 maggio 2003) ABU MAZEN, I TERRORISTI E GLI AMERICANI CERCANO L'ACCORDO Secondo fonti degli ambienti dell'Autonomia Palestiese, il Primo Ministro Abbas si aspetta, nel prossimo vertice in Akaba, una reciproca dichiarazione di Israele e dei palestinesi di rinuncia alla violenza. Si presume che entrambe le parti, nelle loro dichiarazioni sul piano di pace mediorientale, riconosceranno il diritto dell'altro all'esistenza. Una rinuncia alla violenza degli israeliani dovrebbe aiutare Abbas ad ottenere uno stop al terrorismo da parte di Hamas e di altri gruppi radicali islamici. Hamas si è detto disposto a dare il suo consenso ad una cosiddetta "Hudna" (provvisoria tregua d'armi) a condizione che Israele rinunci alle uccisione mirate di terroristi di alto rango, alle incursioni nei territori dell'Autonomia, e liberi 6.000 prigionieri palestinesi. Sabato scorso, in colloqui avuti a Ramallah tra rappresentanti del governo americano e Abbas, gli USA hanno accettato il piano palestinese di convincere i gruppi terroristici a fare una Hudna, invece di pretendere un'immediata persecuzione dei terroristi. Yasser Arafat ha dichiarato al giornale londinese "Al Hayyat" che un accordo di tregua d'armi tra Abbas e Hamas è "probabile" già nella prossima settimana. Lo stesso Abbas prevede un lasso di tempo di 20 giorni. Immediatamente dopo il vertice di Akaba, Abbas andrà nella striscia di Gaza e continueranno i colloqui tra l'Autorità Palestinese e i gruppi terroristici. Un ostacolo ad un accordo con Hamas sta nella resistenza di molti membri del movimento Fatah, legato ad Arafat, contro ogni tregua d'armi e contro il piano di pace in sé. Secondo fonti palestinesi, Hamas ha condizionato il suo consenso a una Hudna all'approvazione di Fatah. I capi di Fatah da parte loro si rifiutano di cessare gli attacchi agli israeliani fino a che gli USA non fanno cessare l'isolamento di Arafat a Ramallah e i pregionieri palestinesi dell'attuale intifada non vengono rilasciati. ("ICEJ-Nachrichten" - direkt aus Jerusalem, 02.06.2003) IL «DIRITTO AL RITORNO» SECONDO I PALESTINESI Il giorno della Nakba: dichiarazioni sul diritto al ritorno dei palestinesi Nel corso della celebrazione del giorno della Nakba (Giorno della Catastrofe) di quest'anno, che ha avuto luogo il 14 e il 15 Maggio 2003, numerosi funzionari dell'Autorità Palestinese e rappresentanti delle organizzazioni palestinesi hanno ripetuto la propria determinazione a mettere in pratica il "diritto al ritorno palestinese". Questi sentimenti sono stati espressi durante le marce svoltesi a Gaza City e a Ramallah, così come nei campi profughi e sono apparsi in comunicati e discorsi distribuiti da vari funzionari palestinesi. Quelli che seguono sono estratti da tali dichiarazioni: Arafat: "Nessun sostituto alla nostra patria" Il Presidente dell'Autorità Palestinese ha dichiarato nel suo discorso per il giorno della Nakba: "...La grande cospirazione imperialista sionista contro il nostro popolo arabo e contro la nostra patria Palestina cominciò al Congresso Sionista di Basilea nel 1897 e raggiunse il suo dannato apice il 15 Maggio 1948. In quel giorno maledetto, lo Stato d'Israele sorse, per mezzo delle armi e della cospirazione imperialista, sulle rovine della nostra patria Palestina. Il nostro popolo fu espulso dalla [propria] patria, e [fu] massacrato dall'esilio, dalla dispersione e dai campi profughi..." "La Palestina è la nostra patria. Niente può sostituirla. Non abbiamo un'altra patria. Ogni profugo palestinese attende il giorno in cui abbraccerà la propria patria e cercherà di riprendersi la propria identità... Durante i 55 anni [dalla fondazione dello Stato d'Israele], i martiri sono caduti nella [lotta per] la libertà della patria e il ritorno dei suoi figli..." (1) Fatah: La Comunità Internazionale deve fare pressioni su Israele Un comunicato emanato dal movimento Fatah dichiara: "I nostri obiettivi nazionali non saranno realizzati se non rinforzeremo la nostra coesione interna... e aderiremo [ai] nostri saldi principi, primi fra tutti il diritto al ritorno e all'autodifesa..." "Il movimento Fatah chiede alla Comunità Internazionale di ammettere le responsabilità storiche internazionali nei confronti del popolo palestinese e di sostenere la loro giusta lotta [per] il diritto al ritorno nella propria patria e nelle proprie case, e di fare pressioni sul Governo di Israele affinché rispetti e metta in pratica le legittime risoluzioni internazionali, prima fra tutte la risoluzione 194 [del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite], che sostiene il diritto al ritorno dei profughi palestinesi... Il diritto al ritorno dei profughi palestinesi è un diritto storico, naturale, legale e sacro, al quale non si può rinunciare..." (2) L'ufficio di Fatah alla Università Al-Azhar di Gaza ha dichiarato: "...Il diritto al ritorno è un'eredità collettiva e un diritto personale che scaturisce prima di tutto dal diritto storico degli arabi sulla terra di Palestina, e in secondo luogo dalla santità della proprietà privata e dall'impossibilità di eliminare [questa santità] con l'occupazione..." (3) Compensazione significa vendere la nostra terra In un sermone alla moschea di Al-Aqsa, il Mufti di Gerusalemme Iqrima Sabri ha dichiarato: "Riguardo al diritto al ritorno dei profughi: questa settimana si svolgeranno numerosi incontri in cui si discuteranno le questioni relative al diritto al ritorno dei profughi nelle loro case. Per mettere in evidenza questo diritto secondo la legge religiosa, e in risposta alle [argomentazioni] di chi sostiene una compensazione [al posto del diritto al ritorno], e in risposta alla proposta che comprende il ritorno dei profughi solo all'interno del territorio dell'Autorità Palestinese (4), è indispensabile chiarire la legge religiosa riguardo a questa questione. [La legge] non permette di accettare compensazioni in cambio della terra di Palestina, perché la compensazione è, legalmente, vendita; vendere [la terra di Palestina]... è assolutamente proibito dalla legge religiosa, e il [venditore] verrà scomunicato dalla comunità [islamica]. Quel che si applica agli individui si applica anche ai paesi e ai governi. Inoltre, [secondo la] eredità della legge religiosa, il figlio deve prendere quel che il padre gli lascia, e nessuno ha il diritto di parlare a nome dell'erede legale..." (5) "Il diritto al ritorno non è un sogno, ma un obiettivo che raggiungeremo attraverso le nostre azioni" Durante una marcia a Gaza City, il membro del Consiglio Legislativo palestinese Jamal Al-Shati ha dichiarato: "Il diritto al ritorno non è un sogno, ma un obiettivo che raggiungeremo attraverso le nostre azioni. Questo necessita una struttura e un'organizzazione degli sforzi nazionali e di governo... tenendo conto che la questione dei profughi è la fonte di tutti i problemi... Quello che deciderà veramente il futuro della sicurezza e stabilità della regione è il ritorno dei profughi... ai loro villaggi e alle loro case, dalle quali sono stati cacciati e mandati via, in conformità con la Risoluzione 194." (6) La Federazione delle Associazioni dei Lavoratori Palestinesi ha emanato un comunicato in cui si afferma: "Il diritto al ritorno rimane il principale obiettivo della lotta nazionale palestinese... La difesa di questo diritto è sulle spalle del nostro popolo, dovunque si trovino - all'interno della patria o in uno stato di asilo..." (7) I palestinesi rifiutano tutti i tentativi di rimpatrio per tener viva la Nakba In un'intervista con il quotidiano palestinese Al-Hayat Al-Jadida, il segretario del Comitato Profughi del Consiglio Nazionale Palestinese, Walid Al-'Awadh, ha dichiarato: "...E' difficile trovare fra le voci ufficiali palestinesi quelle [che rinunciano al diritto al ritorno]... fra queste la Campagna Popolare per la Pace [di Ayalon e Nusseiba] che rinuncia a questo diritto... e afferma che verrà attuato solo all'interno dei confini del 1967... Il diritto di lottare per la fondazione di uno stato palestinese è legittimo e non deve essere in nessun modo rimpiazzato con un altro diritto... perché [la fondazione] dello stato è un nostro diritto e il ritorno dei rifugiati alle loro case è anch'esso un nostro diritto. [A maggior ragione] visto che i profughi hanno lottato e sacrificato uno straordinario [numero] di vittime per difendere questo diritto e respinto tutti i programmi di rimpatrio volti ad eliminare questo problema..." Al-'Awadh ha sottolineato che "Nessuno ha il diritto di rinunciare [al diritto al ritorno], perché l'abbiamo ereditato dai nostri padri e dai nostri nonni... ed è divenuto proprietà delle generazioni a venire." (8) Il membro del Consiglio Rivoluzionario di Fatah Dhiab Al-Lauh ha aggiunto nel corso di un incontro nell'ufficio di Fatah a Gaza City: "Noi [Fatah] vogliamo trasmettere un messaggio al mondo intero, che il nostro popolo è vivo e sano, e che la causa palestinese è viva... e richiede una soluzione giusta in ogni suo aspetto - prima di tutto il problema dei profughi e garantire il loro diritto a ritornare nella loro patria e nelle loro case, dalle quali sono stati espulsi e cacciati." (9) Il Ministro della Cultura Palestinese ha pubblicato un comunicato in cui afferma "...[Israele] non può cancellare la Nakba dalla memoria del nostro popolo, dalla sua cultura, dalla sua storia, dal suo retaggio, e dalla sua vita quotidiana. Al contrario - l'attaccamento del nostro popolo al diritto al ritorno è solo aumentato..." (10) Ismail Abu Shanab, un leader di Hamas, ha parlato a Gaza City a nome del Consiglio Supremo delle Forze Nazionali e Islamiche: "...L'anniversario del giorno della Nakba quest'anno indica l'insistenza del popolo palestinese a continuare la propria lotta per sconfiggere l'occupazione e fondare uno stato palestinese indipendente. [Allo stesso modo], sottolinea la continuazione della lotta per l'attuazione del diritto al ritorno dei profughi..." Abu Shanab ha inoltre espresso il proprio rifiuto di ogni accordo che non includa il diritto al ritorno, e ha chiesto di includere nei programmi scolastici i momenti storici più significativi della vita del popolo palestinese, fra questi "La storia dei [profughi] che abbandonano i loro villaggi, in modo da preservare la memoria palestinese e rinforzare l'attaccamento al diritto al ritorno nelle loro case nelle [future] generazioni palestinesi." (11) Chiunque rinuncia al diritto al ritorno non è considerato un palestinese L'ex presidente della Chiesa Greco Ortodossa Atallah Hana ha dichiarato al convegno nel campo profughi Dehaishe in occasione della Nakba: "Chiunque rinuncia al diritto al ritorno non è [considerato] un palestinese. Non c'è un solo palestinese, né all'interno [di Israele] né all'esterno, che possa dare a qualcuno il diritto di rinunciare al diritto al ritorno... La visione della fondazione di uno stato palestinese la cui capitale sarà Gerusalemme non è fantasia, e lo stesso vale per il diritto al ritorno. Queste cose possono essere realizzate se il popolo palestinese aderisce ai propri saldi principi e alle proprie posizioni arabe e pan-arabe... C'è chi dice che l'entità sionista è un'entità forte che è in grado di imporre soluzioni con la forza, grazie agli appoggi politici che possiede. Ma noi abbiamo il diritto storico e l'attaccamento alla terra. Il potere della verità è più forte di tutto il potere sionista." (12) ------------------- Note: (1) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 16 Maggio 2003. (2) www.fateh.tv/14-05-2003-fateh.htm (3) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 16 Maggio 2003. (4) Sabri si riferisce alla Campagna Popolare per la Pace, iniziata dal Presidente dell'Università di Al-Quds a Gerusalemme est, Professor Sari Nusseiba e dall'ex comandante del Servizio di sicurezza Israeliano Amy Ayalon. Nell'articolo 4, il piano prevede che i profughi palestinesi ritornino solo nello stato palestinese. Il piano è stato pubblicato integralmente per la prima volta dal quotidiano palestinese Al-Quds il 30 Novembre 2002, e ripubblicato recentemente. (5) www.alminbar.net/alkhutab/khutbaa.asp?mediaURL-6609 (6) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 16 febbraio 2003. (7) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 16 febbraio 2003. (8) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 15 febbraio 2003. (9) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 15 febbraio 2003. (10) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 15 febbraio 2003. (11) Al-Ayyam (Autorità Palestinese), 16 Maggio 2003. (12) Al-Hayat Al-Jadida (Autorità Palestinese), 15 Maggio 2003. (Middle East Media Research Institute, 26 maggio 2003) MUSICA E IMMAGINI Shabbat INDIRIZZI INTERNET OneJerusalem.org |