Notizie su Israele 191 - 18 agosto 2003


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I monti d'Israele
«Tu, figlio d'uomo, profetizza ai monti d'Israele, e di': "O monti d'Israele, ascoltate la parola del SIGNORE! Così parla DIO, il Signore: Poiché il nemico ha detto di voi: «Ah! ah! queste alture eterne sono diventate nostro possesso!»" tu profetizza, e di': "Così parla DIO, il Signore: Sì, poiché da tutte le parti hanno voluto distruggervi e inghiottirvi, perché diventaste possesso del resto delle nazioni, e perché siete stati oggetto dei discorsi delle male lingue e delle maldicenze della gente, o monti d'Israele, ascoltate la parola di DIO, il Signore! Così parla DIO, il Signore, ai monti e ai colli, ai burroni e alle valli, alle rovine desolate e alle città abbandonate, che sono state date in balìa del saccheggio e delle beffe delle altre nazioni circostanti; così parla DIO, il Signore: Sì, nel fuoco della mia gelosia, io parlo contro il resto delle altre nazioni e contro Edom tutto quanto, che hanno fatto del mio paese il loro possesso con tutta la gioia del cuore e il disprezzo dell'anima, per ridurlo in bottino". Perciò, profetizza sopra la terra d'Israele, e di' ai monti e ai colli, ai burroni e alle valli: "Così parla DIO, il Signore: Ecco, io parlo nella mia gelosia e nel mio furore, perché voi avete portato la vergogna delle nazioni. Perciò, così parla DIO, il Signore: Io l'ho giurato! Le nazioni che vi circondano porteranno anch'esse la propria vergogna; ma voi, o monti d'Israele, metterete i vostri rami e porterete i vostri frutti al mio popolo Israele, perché egli sta per arrivare.»

(Ezechiele 36:1-8)




Il passo biblico riportato sopra è lungo, ma val la pena di leggerlo con attenzione perché è più attuale e importante delle notizie che si leggono sui giornali, anche di quelle che vengono riportate qui sotto. Meglio ancora sarebbe leggere tutto il capitolo 36 di Ezechiele. Non essendo ascoltato dagli uomini, Dio ordina al profeta di parlare ai "monti di Israele", proprio quelli che si trovano nella Giudea-Samaria, quella parte di Israele che secondo la Road Map dovrebbe diventare proprietà del cosiddetto "Stato palestinese". «Io l'ho giurato!», dice il Signore. Che cosa? Si legga nella Bibbia quello che il Dio di Israele si è impegnato a fare con solenne giuramento su Se stesso. M.C.



I TERRORISTI, L'AUTORITA' PALESTINESE, GLI USA E I PALESTINESI


L'Autorità Palestinese non procederà contro la Jihad Islamica

BETLEMME - Il leader della Jihad al-Islami a Betlemme, Muhammed Shehadeh, ha dichiarato domenica [10 agosto] che la sua cellula ha stipulato un accordo con l'Autorità Palestinese (AP), secondo il quale i membri della Jihad Islamica non devono temere nessun provvedimento contro di loro nella città da parte dell'AP.
    Shehadeh ha fatto riferimento ai sui "buoni contatti" con l'AP. "Ho rapporti personali con molti dipendenti dell'AP". Questi sono conseguenza della sua precedente appartenenza al partito Fatah, appartenente al capo dell'OLP Yasser Arafat, ha detto il capo della cellula terroristica.
    Secondo Shehadeh, l'accordo contiene clausole secondo cui da parte dell'AP non ci saranno arresti di membri della Jihad, nessuna ispezione dei loro locali e nessun sequestro di denaro.
    Shehadeh, che è noto come esperto nella fabbricazione di bombe, si trova da più di otto anni sulla lista dei palestinesi più ricercati da Israele.
    Oltre a questo, il capo della Jihad al-Islami a Gaza, Mohammed al-Hindi, in un'intervista al quotidiano scozzese "The Scotsman" ha confermato che la sua organizzazione terroristica si riarmerà durante il limitato periodo del cessate-il-fuoco ("hudna").
    "E' naturale che noi ci rafforziamo durante la hudna", ha detto al-Hindi. Altre organizzazioni terroristiche seguiranno l'esempio del suo gruppo: Fatah, Jihad e Hamas si preparano a difendere il loro popolo. E ha fatto capire che se Israele non farà altre concessioni, ci sarà un altro e più grande spargimento di sangue.
    
(Isralenetz.de, 11.08.2003)

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Gli USA assicurano il futuro a Hamas

L'amministrazione Bush ha di nuovo assicurato a Hamas che quel gruppo non sarà incluso tra gli obiettivi da eliminare nella guerra degli USA contro il terrorismo.
    Il Segretario di Stato Colin Powell ha detto che gli Stati Uniti continueranno a cercare il dialogo per persuadere Hamas e altri gruppi insurrezionali palestinesi a cessare i loro attacchi contro Israele. Powell ha detto che un simile approccio fa parte della guerra condotta dagli USA contro il terrorismo e dei suoi sforzi di raggiungere la pace tra Israele e i palestinesi.
    "Non ho invocato una guerra generale [contro Hamas]", ha detto Powell. "Io sto chiedendo a Hamas [di cessare i suoi attacchi contro Israele]"
    In un'intervista con la Egypt's Nile Television del 12 agosto, Powell ha rigettato la prospettiva di misure restrittive contro Hamas e la Jihad Islamica. Ha invece sottolineato la necessità di un dialogo con Hamas, in uno sforzo di persuadere il gruppo a cessare gli attacchi contro Israele.
    
(Middle East News Line, 13.08.2003)

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I palestinesi desiderano la calma

La gran maggior parte dei palestinesi appoggia la proclamata tregua, chiamata hudna. Questo risulta da una recente inchiesta condotta dall'università Bir-Seit, nella cosiddetta Cisgiordania, in collaborazione con l'International Repubblican Institute che ha sede in Washington. Secondo il sondaggio palestinese, il 74 percento degli interrogati appoggia la tregua d'armi, e il 61 percento di questi è favorevole a un prolungamento della tregua di altri tre mesi. Il popolo palestinese vuole vivere in calma e in pace, ma non può veder realizzato questo desiderio a causa dei fanatici gruppi terroristici che vogliono annientare lo Stato ebraico.

(NAI - Stimme aus Jerusalem, 15.08.2003)



PERPLESSITA' SULLA HUDNA: DUBBI CHE ASSOMIGLIANO A CERTEZZE

 
E se ci stessero soltanto prendendo in giro?
 
Per mantenere la sua leadership il vecchio dittatore continua a proteggere e sostenere i gruppi terroristici
 
di Deborah Fait

ISRAELE - Ricordo che tanti anni fa, in pieno processo di pace, avevo invitato Shimon Peres a un Congresso della Federazione Italia-Israele a Milano. L'emozione era fortissima, eravamo andati ad accoglierlo a Linate, era sorridente, al massimo della sua popolarita'. Orgoglioso artefice di Oslo, aveva appena scritto un libro intitolato "Il nuovo Medio Oriente" e durante la serata d'onore aveva  tenuto un discorso che ci aveva commossi fino alle lacrime.
    Al tavolo delle autorita', oltre a Shimon Peres, i membri dell'Ambasciata israeliana, Il sindaco di Milano e varie personalita', ero seduta accanto all'ambasciatore egiziano in Italia, grande amico di Peres e grande e simpaticissimo bevitore di whisky con cui pasteggiava.   
    Ricordo le battute scherzose e cordiali tra lui e  Peres e ricordo con nostalgia le nostre risate, allegre risate di persone  serene, senza più dubbi, senza brutti pensieri. Stavamo festeggiando il periodo stupendo dell'illusione della pace. Il guaio era  che ancora non sapevamo fosse solo un'illusione.
    Peres  nel suo lungo discorso ci aveva parlato di sogni di un grande sviluppo economico tra Israele e il mondo arabo, scambi culturali, turismo, rapporti scientifici. Ecco le parole d'inizio del suo discorso che sono anche la presentazione del suo libro: "Una nuova opportunità  di creare una nuova Età dell'Oro in Medio Oriente si è presentata dopo la guerra del Golfo. Tutti noi ne abbiamo bisogno. Possiamo già cominciare oggi a fare il primo passo  sul ponte della reciproca comprensione e cooperazione tra i popoli del Medio Oriente. Il viaggio che ci aspetta sarà lungo ma la strada è aperta."
    Le sue parole furono coperte da una valanga di applausi. Eravamo tutti in piedi a spellarci le mani, compreso l'ambasciatore egiziano che, per l'occasione, aveva posato sul tavolo il suo bicchiere di whisky. Per anni in Israele le parole di Shimon Peres sono state la speranza, ingenua speranza verso un'impossibile pace.
    L'eco di quelle parole fu cancellato dal gelo e dal terrore quando l'altra parte della medaglia di Oslo, Arafat, risorto a nuova gloria dopo la distruzione del Libano e l'esilio di Tunisi, decise di rompere le speranze dell'Età dell'Oro in Medio Oriente per farlo precipitare nel buio tragico e senza ritorno della guerra.
    Tremila morti. Se ce lo avessero detto quella sera a Milano non lo avrebbe creduto nessuno!
    "Abbiamo bisogno di viaggiatori coraggiosi" diceva Peres senza rendersi conto che rivolgeva quell' invito a un dittatore feroce e a un terrorista inguaribile.
    Fino al processo di pace di Oslo, Israele aveva vissuto decine di tregue, guerre, cessate il fuoco, altre guerre, tregue, terrorismo, ancora tregue e così all'infinito fino alla grande illusione della pace, quella vera, con tutti i popoli arabi. E poi l'incubo.
    Premesso tutto questo, per quale motivo dovremmo credere oggi a questa ennesima tregua? "Hudna" è infatti un termine arabo che significa "tregua", usato da Maometto più volte nel Corano, sempre però con lo scopo di romperla alla prima occasione. Siccome significa onore ed e' un  giuramento religioso, si cerca e si trova un "motivo" (scusa) per  romperlo. D'accordo con la  legge islamica, queste hudna, quando avvengono fra musulmani e infedeli  devono essere sempre corte e mai permanenti (dieci anni sono considerati il termine massimo). E' esplicitamente proibito accettarle  a lungo perché contrarie allo scopo della conquista totale degli infedeli da parte dell'Islam.
    La hudna tra palestinesi e Israele dovrebbe durare tre mesi e per avere 90 giorni di assenza di terrorismo i palestinesi chiedono varie cose: lo smantellamento degli insediamenti ebraici nei territori, la liberazione di tutti i terroristi, compreso Barghouti, la liberazione di Arafat dalla prigionia di Ramallah da dove continua a manovrare i suoi fedelissimi e a ricevere i suoi amici europei, il ritiro dell'esercito israeliano dalle citta' palestinesi, la chiusura di tutti i check-point. In cambio acconsentono graziosamente a non venire a far saltare autobus e ristoranti. Gli dovremmo credere? Mi viene da ridere, ridere per non piangere.
    Ci chiedono il ritiro completo per potersi permettere  di riprendere fiato e forza e poi ricominciare, come hanno sempre fatto. Molti israeliani non credono alla tregua, lo scetticismo è grande e palpabile tra la gente comune e anche tra i politici. Come si fa a credere alla serietà della tregua quando Abu Mazen rifiuta di smantellare i gruppi di terroristi, quando Arafat dice di aver fatto arrestare il terrorista che ha ucciso in un agguato un autista rumeno alla guida di un camion con targa israeliana e invece la stessa ANP dice che non è vero, nessun arresto è stato fatto? Come non pensare che ci stanno prendendo in giro, a noi, a Bush, all'Europa, come hanno sempre fatto? Come non renderci conto con rabbia  che l'America chiede a noi di pagare ancora e sempre il prezzo di questa ennesima tregua? Come si fa a credere alla buona volontà di Abu Mazen e soprattutto alla sua libertà di decisione all'interno di una dittatura come quella palestinese?
    Hudna, tregua temporanea, suscettibile di rottura da parte palestinese quando e come vuole perchè credo sia chiaro che non e' la pace il loro obiettivo.
    "L'ultimo di noi, se sarà vivo, spegnerà la luce e addio Israele", mi ha detto giorni fa un amico israeliano con grande tristezza e con una tale rabbia che gli tremava la voce.
    Addio Israele? No, questo non succederà mai. Questo è un popolo che sa soffrire, che sa combattere per casa sua e che sa avere il coraggio di sperare.
    Purtroppo "i viaggiatori coraggiosi" di cui parlava un fantasioso Shimon Peres sono solo gli israeliani, che viaggiano incredibilmente soli, e tra gli arabi l'ultimo è stato Sadat, assassinato dai terroristi di Arafat per il suo coraggio di essere venuto a Gerusalemme Capitale a dire: "Basta guerre". 

("The Harp of David", anno I num. 4 - 10 agosto 2003)
 


CONSIDERAZIONI SULLA ROAD MAP

 
Le crepe nella «hudna» annunciate da una raffica di segnali sinistri
    
di Fiamma Nirenstein
    
    Il clip televisivo: quello è stato l'avvertimento più espressivo degli attentati di ieri, il segnale più soavemente minaccioso, con le sue musiche e le belle immagini, della fine della «hudna» (la tregua) o comunque di una sua crisi profonda. Dopo che nei giorni di viaggio di Abu Mazen a Washington la tv palestinese aveva messo da parte i soliti video di criminalizzazione degli israeliani, ecco che negli ultimi giorni essi sono comparsi di nuovo: l'ultimo mostra una coppia di giovani palestinesi che passeggia. A freddo, un gruppo di soldati israeliani spara alla schiena della ragazza e la uccide. Il giovane si reca al cimitero per piangerla, e sulla sua sua tomba gli israeliani lo uccidono. Lo «shahid», il martire, sale al cielo e sulla porta del paradiso lo aspetta l'amata con decine di bellissime fanciulle, martiri a loro volta dei carnefici israeliani. Questo è il tipo di propaganda di cui la Road Map prevede lo smantellamento completo, insieme con il disarmo delle organizzazioni terroriste e il loro smantellamento.
    Dopo venerdì scorso, quando l'esercito israeliano aveva distrutto una fabbrica di bombe a Nablus e ucciso due ricercati durante l'operazione, perdendo a sua volta un soldato, sia Hamas sia la Jihad islamica si erano rifatti vivi in maniera alquanto esplicita: un leader del primo gruppo, Rantisi, aveva dichiarato prossima la ripresa della guerra, e gli uomini della Jihad avevano detto di essere anche loro immersi in intensi preparativi di una ripresa delle ostilità. Intanto fioccavano le katiusha degli Hezbollah sul Nord, un segnale di solidarietà militante siro-iraniano alla guerra senza tregua contro Israele. A Gaza lunghe gallerie piene d'armi provenienti dall'Egitto venivano fatte brillare. Arafat teneva un discorso bellicoso in cui, senza che alla notizia vi fosse fondamento fattuale, dichiarava che «centinania di palestinesei erano stati rastrellati e portati in carcere». Una dichiarazione che rendeva nulle, agli occhi della sua opinione pubblica, le centinania di liberazioni di prigionieri avvenute in questi giorni e sempre dichiarate anche da Abu Mazen di gran lunga inferiori ai desideri e alle aspettative

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palestinesi.
    Sharon, intanto, dichiarava che, in mancanza di un segnale che il terrore, la preparazione dei suoi uomini, delle sue ideologie, e anche delle sue casamatte erano in discesa, il suo impegno primario sarebbe rimasto quello per la sicurezza. Insomma, le crepe si sono cominciate a evidenziare nei giorni scorsi, perché da una parte Sharon ha seguitato a credere che in mancanza di una politica di smantellamento del terrore avrebbe potuto continuare a usare l'esercito senza intaccare la «hudna», sopravvalutando così il potere di Bush di imporre il processo politico di pacificazione alla galassia palestinese nel suo insieme; dall'altra Abu Mazen si è immaginato che un po' di attentati qua e là sarebbero stati presi come incidenti non decisivi dagli israeliani, sempre per compiacere Bush.
    In realtà Bush ha il potere di imporre la linea della Road Map, ma non di defletterne: la sua crisi oggi è strategica. La lettera della Road Map dice «smantellamento delle organizzazioni terroristiche» nella prospettiva di uno Stato palestinese democratico, e Israele non sembra pronto ad accettare di convivere col terrore. Shimon Peres diceva ieri che se l'Autorità palestinese non tiene tutte le milizie sotto uno stesso potere, va diritta lungo una linea suicida. E' la stessa cosa di chi dice: o Abu Mazen e Dahlan si decidono ad affrontare il terrore, o la «hudna» non può funzionare, e nemmeno la Road Map. Israele, quando Bush tenne il suo discorso del 24 giugno 2002, ci credette: battere i tiranni e battere il terrore sono due parti di una sola scelta, il cui sfondo si chiama «pace», disse Bush.
    Ma in Palestina, come peraltro in Iraq, gli Usa si trovano alle prese con forze e ideologie guerrafondaie che non hanno alcun interesse alla pace, ma solo a ottenere i loro obiettivi, per altro ottenibili invece con la trattativa e non con la violenza. L'accordo di Oslo ci stava andando diritto, quando la violenza, come un'idra impazzita, è venuta su con le sue sette teste piene di denti. O Abu mazen, oggi, in una situazione analoga, in cui sono in gioco grosse scommesse e grosse promesse, con lo Stato palestinese che balugina nel 2005, cioè alle porte, si decide a strappare questi denti e gli americani ad aiutarlo invece di giocherellare con altri argomenti inutili, o siamo di nuovo all'inizio.

(La Stampa, 13 agosto 2003)



SEI ANZIANI EBREI TRASPORTATI DA BAGDAD A GERUSALEMME


Da Baghdad con amore

    In una missione segreta di soccorso di carattere umanitario, denominata "Ezrà mi-Zion", sei anziani ebrei sono stati portati da Baghdad in Israele il 25 luglio 2003, su iniziativa dell'Agenzia Ebraica. I restanti 28 ebrei hanno scelto di rimanere in Irak.
    L'operazione, condotta in coordinamento con l'Ufficio del Primo Ministro e altri organismi israeliani  e stranieri, compreso l'HIAS, è iniziata l'11 luglio scorso, quando una task-force di tre persone, inviati dell'Agenzia Ebraica e dell'HIAS sono penetrati in Irak, ancora in situazione assai instabile. L'Agenzia voleva stabilire le condizioni ed i bisogni degli ebrei in Irak ed è apparso immediatamente evidente che era necessario intraprendere un'operazione umanitaria di salvataggio.
    La piccola squadra ha preso contatto con la comunità ebraica, dando ai suoi membri alcuni giorni per decidere se volevano andarsene sul volo charter specialmente organizzato. Durante la permanenza in Irak della squadra, è stato il governo americano che ne ha garantito l'incolumità.
    Le sei persone che hanno deciso di venire sono: Ezra Levy, di 75 anni; Salima Shemesh, di 75 anni, originaria di Bassora; Sasson Salach Abdul, di 90 anni, che fu impiegato delle Ferrovie Irachene, finché nel 1951 fu licenziato in quanto ebreo; Naima Haleli, di 99 anni e sua figlia, Hatoun Dayan, di 70 anni ed infine Meir Yehezkel Shabad, di 46 anni.  Alcuni di loro erano in floride condizioni economiche prima dell'avvento di Saddam, ma persero beni e lavoro, cadendo in miseria, per il fatto di essere ebrei.
    I sei sono stati portati in un albergo a Yahud e quindi all'ospedale Assaf Harofeh per un controllo generale. In seguito, saranno trasferiti a centri di assorbimento, case di riposo, ospedali o presso le loro famiglie.
    "C'è tanto di quell'amore ed una tale visione della vita in Israele", ha detto Ezra Levy subito dopo il suo arrivo. Levy, rimasto vedovo nel 1991, non era più in grado di badare a se stesso con le proprie forze. "Facevo tutto da solo: la cucina, il bucato", ha affermato. Ha deciso di venire in Israele per riunirsi a sua sorella Dalia, che non vedeva da 52 anni. "Sono venuto per vederla e vivere con lei. Voglio passare il resto della mia vita, la fine della mia vita, con lei – ha detto Levy – È una nuova vita, una cosa nuova. Tutto va molto, molto bene. Il sole sorge. Vedo tutti i miei amici e tutti i miei fratelli e sorelle in Israele".
    Trentadue anni fa, Simcha Shem Tov, un'intima amica della famiglia della nuova arrivata Salima Shemesh, aveva supplicato quest'ultima di fuggire insieme da Bassora: "Allora aveva troppa paura per venire – ha detto Simcha, i cui primi tre figli sono stati cresciuti da Salima – Non ci credevo, quando ho scoperto che era ancora viva!"   Una volta in Irak viveva una florida comunità di 130.000 ebrei, ma fra il 1949 ed il 1952, circa 120.000 fuggirono in Israele, mentre altri piccoli gruppi lasciarono il paese negli anni successivi.
    Il Presidente dell'Agenzia Ebraica, Sallai Meridor, ha espresso il suo elogio alle persone coinvolte nell'operazione ed ha affermato: "L'Agenzia Ebraica continuerà come sempre a fare tutto il possibile per assistere gli ebrei in difficoltà, in qualsiasi parte del mondo essi si trovino".

(Keren Hayesod, 04.08.03)



RIFLESSIONI DI UN COMUNISTA SU ISRAELE


«Ero antisionista e filopalestinese: ho capito che sbagliavo»

Dopo un viaggio in Israele e dopo essermi informato bene sull'argomento ho capito che avevo una visione distorta influenzata dalla propaganda filopalestinese imperante.
    Sono nato comunista e democratico, e voglio restare comunista e democratico seguendo la migliore tradizione della sinistra italiana.
    Questo vuole essere uno sfogo.. una sorta di "outing"... su certi temi a sinistra (nell'area antagonista perlomeno)... qualcosa che definisco sconvolgente.
    Prendiamo il conflitto israelo-palestinese... io ho sempre accettato per molto tempo acriticamente le idee portanti dei miei "maestri" senza discutere e senza informarmi meglio sulla reale situazione... quindi sono stato per molti anni un feroce anti-israeliano perche' cosi' era giusto... perche' cosi' mi avevano insegnato nei centri sociali... perche' faceva molto "di sinistra". Ogni tanto mi veniva qualche dubbio... che offendendo sempre gli israeliani potevo tradire moralmente la resistenza che aveva avuto nell'elemento ebraico un contributo fondamentale... ma questi pensieri restavano dentro di me... e continuavo a gridare a "morte israele, a morte il sionismo, viva l'intifada" perche' quelli che lo gridavano erano le stesse persone che magari su altri temi erano perfettamente d'accordo con me... antirazzisti... contro il capitalismo selvaggio... per i diritti dei lavoratori... e degli esseri umani in generale... non poteva essere possibile che se la prendessereo con gli ebrei senza motivo... visto che su altri temi avevano ragione.
    Quando ho visto cacciare un presunto ebreo da un centro sociale ("Il corto circuito" di Roma) ho capito che qualcosa non andava... qua non si trattava ne' di diritti del popolo palestinese, ne' di antisionismo... quello era razzismo bello e buono... là ho inizato a capire che forse non era la strada giusta quella che stavo seguendo... forse dovevo fermarmi a riflettere... riflettere.
    Mi sono preso un periodo di pausa dall'attivita' politica... ho iniziato a leggere anche scritti "proibiti" ad un antagonista... e non parlo di roba di destra... parlo di libri di storia scritti da autori indipendenti... libri relativi non solo a Israele, ma anche ai paesi arabi e musulmani... libri sull'India, sulla Cina, su Cuba, sul Brasile, sull'Europa e sugli Stati Uniti.
    Per quanto riguarda Israele, libri come "Non dimenticare Amalek", "Vittime" di Benny Morris, e "Storia di Israele" di Eli Barnavi... sono libri che mi hanno impressionato... proprio per il fatto... che non si puo' discutere che sono libri di sinistra... scritti da autori di sinistra... antirazzisti, democratici, socialisteggianti, tolleranti... insomma di sinistra... pero' non antisemita... libri in cui viene evidenziato che il popolo israeliano non e' marcio e corrotto come Cossutta (per dirne uno) vorrebbe far credere... ma e' un popolo che aspira ad una pace... ma che e' costretto a fare la guerra... un popolo che e' nato dall'olocausto e che quindi ha la violenza nel dna... ma che vorrebbe mettere da parte questa violenza... vorrebbe provarci se solo qualcuno che gli desse una vita... un popolo che e' nato dalla morte... dal campo di sterminio... ma che ama la vita, piu' la propria che quella del popolo palestinese, e' vero... ma forse noi italiani se fossimo in guerra contro l'Albania e gli albanesi ci chiamassero figli di scimmia e ci uccidessero i nostri bimbi non avremmo tentazioni autoritarie? Questo di pensare ai propri interessi non e' una colpa esclusiva degli israeliani, semmai è una colpa tipica degli esseri umani, che se si trovano di fronte alla morte... non esitano a diventare bestie.
    Gli israeliani sanno che dovrebbero cambiare anche loro, hanno anche sensi di colpa... proprio perche' non sono dei fascisti!!! Gli israeliani sono un popolo come un altro... forse meglio di tanti altri... non nascondiamolo, molti altri popoli al posto loro avrebbero compiuto un genocidio in piena regola... gli israeliani invece si sono fermati a massacri saltuari da condannare in quanto massacri, come purtroppo avvengono in centinaia di paesi al mondo ma che non vengono pubblicizzati (un'altra triste cosa che ho scoperto).
    Il viaggio in Palestina mi ha fatto capire che la situazione e' complessa, difficile, torti e ragioni si aggrovigliano in un intreccio indistinguibile: ho incontrato arabi degni e di sinistra... ma anche arabi oggettivamente fascisti (sia islamisti che laici)... ho incontrato ebrei militaristi, che sembravano usciti da un film di John Wayne, ma anche tanta brava gente, soprattutto di sinistra ma anche di centro e di destra; non vedo perche' in Italia accettiamo di poter convivere senza guerra civile con una maggioranza (purtroppo) destrorsa mentre agli israeliani non si concede questo diritto.
    Ho avuto molte impressioni... innanzitutto ho visto una terra bellissima abitata da persone con grandi potenzialita', sia arabi che ebrei.
    Gli arabi che ho conosciuto mi hanno dato l'impressione di persone molto accoglienti, calde, molto gentili, a volte un po' retrivi in certi atteggiamenti. Gli ebrei israeliani inizialmente sono spiazzanti, sembrano antipatici, duri, quasi arroganti... ma invece se si ha la fortuna di approfondire la conoscenza... si scopre che e' quasi sempre una maschera e che in realta' hanno un cuore d'oro e sono molto piu' di "sinistra" di quanto si potrebbe immaginare.
    L'unica cosa in cui spero adesso e' in una pace... e in una soluzione che garantisca la costituzione di uno stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania... tutto questo per il bene degli israeliani e dei palestinesi.

Marco

(Independent Media Center Italia, 23 maggio 2003)



UNA STORIA FALSA PER GIUSTIFICARE ATTENTATI VERI


Dopo l'attentato terroristico di martedi' nella citta' israeliana di Rosh Ha'ayin (presso Petah Tikva', poco a est di Tel Aviv), l'Autorita' Palestinese ha diffuso una dichiarazione (www.ipc.gov.ps) nella quale "condanna l'operazione". Ma gran parte della dichiarazione non si occupa dell'attentato suicida, bensi' di quelli che vengono definiti i "crimini [di Israele] contro il popolo palestinese" e il mancato rispetto della "tregua" da parte israeliana: un chiaro tentativo di giustificare in qualche modo l'aggressione terroristica e la patente violazione palestinese della Road Map (che prevede cessazione completa e definitiva delle violenze e dell'istigazione all'odio, azioni continuative ed efficaci contro terroristi e organizzazioni terroristiche).
    Quello che e' piu' interessante, tuttavia, nella dichiarazione diffusa dall'Autorita' Palestinese non e' la tiepida condanna dell'attentato contro civili israeliani. Ben piu' significativo e' l'ultimo paragrafo, dove viene illustrato il punto di vista dell'Autorita' Palestinese sulla storia di Rosh Ha'ayin.
    Secondo l'Autorita' Palestinese, Rosh Ha'ayin "e' una citta' israeliana costruita sulle rovine della citta' palestinese di Ras Al-Aa'ain dopo che questa era stata occupata dalle forze d'occupazione israeliane nel 1948".
    Dunque, secondo l'Autorita' Palestinese Ras Al-Aa'ain venne "occupata" dagli israeliani (evidentemente tutto Israele e' territorio occupato da liberare...) e distrutta dalle forze sioniste, che ne cacciarono la popolazione e al suo posto edificarono la citta' ebraica di Rosh Ha'ayin. Come incolpare i palestinesi se oggi vanno a fare un attentato fra gli abitanti di Rosh Ha'ayin?
    Peccato che questa storia sia totalmente falsa. Come ammette lo stesso storico palestinese Walid Khalidi nel suo libro "All That Remains" (presentato come l'autentica versione palestinese della storia dell'occupazione della Palestina, il libro e' stato pubblicato dall'Institute for Palestine Studies, finanziato dall'Olp), il villaggio arabo di Ras Al-Aa'ain (o Ras al-Ayn) "venne abbandonato dai suoi abitanti agli inizi del ventesimo secolo" (p. 251 dell'ediz. inglese).
    Si tratta, per la verita', di un fenomeno tutt'altro che inconsueto che interesso' numerosi villaggi arabo-palestinesi tra il XIX e gli inizi del XX secolo. Basti ricordare che, nel 1931, la potenza mandataria britannica censiva in tutta la Palestina, accanto a 934 villaggi abitati, le rovine di almeno 1.790 villaggi abbandonati gia' da molto tempo.
    Dunque non c'era nessuna popolazione araba palestinese da espropriare e cacciare quando, nel 1949, Israele inzio' a sistemare gruppi di ebrei, cacciati dallo Yemen, in un accampamento di fortuna allestito in una ex base militare britannica nei pressi delle rovine del villaggio di Ras Al-Aa'ain, abbandonato da decenni. Quell'accampamento di profughi ebrei da un paese arabo divenne con gli anni la florida cittadina israeliana di Rosh Ha'ayin.
    Ancora una volta la disinformazione dei dirigenti palestinesi serve allo scopo di seminare odio nella loro popolazione e giustificare aggressioni terroristiche che suscitano orrore in tutte le persone civili.
    
(camera.org, israele.net, 13.08.03)




LIBRI


Giacobbe Damkani, "Leone di pietra, Leone di Giuda"
ed. UCEB, Fondi LT 2003, p. 268, € 12

Lo straordinario racconto di un "sabra" israeliano, figlio di ebrei iraniani immigrati in Israele, che dopo un lungo travaglio personale trova la fede autentica nel Dio vivente e vero della Bibbia.

Ved. presentazione: --->


MUSICA E IMMAGINI

Dayagim


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