Notizie su Israele 190 - 9 agosto 2003


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Anche gli stranieri che si saranno uniti al SIGNORE per servirlo, per amare il nome del SIGNORE, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e si atterranno al mio patto, io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata una casa di preghiera per tutti i popoli». Il Signore, DIO, che raccoglie gli esuli d’Israele, dice: «Io ne raccoglierò intorno a lui anche degli altri, oltre a quelli dei suoi che sono già raccolti».

(Isaia 56:6-8)



AGLI EBREI E' VIETATO PREGARE SUL MONTE DEL TEMPIO

    
Israeliani e ebrei religiosi osservano un modello dell'antico tempio ebraico durante la celebrazione del Tisha Be'av.

Mercoledì [6 agosto] la Corte Suprema ha rigettato la richiesta dei fedeli che de- sideravano aver accesso al Monte del Tempio durante il digiuno di Tisha Be'av, in cui si commemora la distruzione del tempio. La polizia ha fatto conoscere le sue obiezioni ai giudici, per motivi di sicurezza. Temendo una catastrofe nel giorno del digiuno, la polizia di Geru- salemme ha chiuso l'accesso al Monte del Tempio ai visitatori già una settimana prima, come misura pru- denziale.
    Neppure i deputati sono autorizzati a introdursi in questo settore. La deputata Inbal Gabrieli (Likud) si è molto arrabbiata per questo e ha dichiarato che vi andrà in ogni caso, divieto o no.
    Per l'avvocato che rap- presenta i richiedenti, Nafatli Werzberger, la decisione della polizia è unilaterale e non coerente. Se teme degli atti di violenza da parte dei fedeli musulmani, "perché vietare l'accesso al Monte del Tempio soltanto agli ebrei e non estendere il divieto anche ai musulmani? Perché non è stata presa in considerazione questa possibilità? Invece di prendersela con gli aggressori, ci si scaglia contro la vittima".
    Secondo lui, il Waqf, l'istituzione incaricata di amministrare i luoghi santi musulmani, aveva dato l'autorizzazione a permettere agli ebrei di venire a pregare. Il Waqf ha ritrattato dopo aver ricevuto delle minacce da parte di Yasser Arafat. Le forze di sicurezza sono fin d'ora sul chi vive. Più di un migliaio di poliziotti sono distribuiti da questa sera a Gerusalemme-Est, nel dedalo di vie della città vecchia e ai bordi del Kotel.
    
(Arouts 7, 06.08.2003)



UN GESTO CONCRETO DA ISRAELE, LE SOLITE MENZOGNE DA ARAFAT


Come preannunciato, mercoledi' nel primo pomeriggio Israele ha scarcerato 339 detenuti palestinesi: un gesto di buona volonta' verso l'Autorita' Palestinese non previsto dalla Road Map.
    I detenuti, a bordo di autobus, sono stati trasportati a cinque diversi posti di passaggio (quattro verso la Cisgiordania e uno verso la striscia di Gaza) e consegnati alle autorita' palestinesi.
    "Si tratta di un gesto concreto e di un segnale forte della volonta' di Israele di promuovere il processo di pace con i palestinesi", hanno dichiarato fonti governative israeliane.
    Nessuno dei detenuti rilasciati si era personalmente macchiato di reati di sangue. Altri 99 detenuti saranno scarcerati fra breve. Tutti i detenuti scarcerati hanno firmato l'impegno scritto a non farsi piu' coinvolgere in attivita' illegali ostili a Israele.
    Il presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat ha minimizzato e schernito la scarcerazione di detenuti palestinesi da parte di Israele. "Rilasciano 400 palestinesi e intanto ne arrestano altri 800. E' un imbroglio", ha dichiarato. Le fantasiose cifre di Arafat sono state acriticamente riprese da diversi organi di stampa locali e internazionali. In realta', da quando e' iniziata la "hudna" (tregua provvisoria), le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato, come era loro dovere, un'ottantina di palestinesi colti in flagrante reato contro la sicurezza o sospettati di attivita' terroristiche. Fra questi, ad esempio, Amid Touriki, un 17enne palestinese di Nablus, membro della milizia illegale Tanzim (legata al Fatah di Yasser Arafat), arrestato a Nablus venerdi' scorso. Touriki era stato reclutato da Naif Abu Sharah, capo del Tanzim a Nablus, per compiere un attentato suicida in Israele. Israele aveva precedentemente passato all'Autorita' Palestinese informazioni relative all'attivita' terroristica di Naif Abu Sharah, ma le forze di sicurezza palestinesi non hanno adottato alcun provvedimento per ostacolarle o per arrestarlo. La Fase Uno della Raod Map prescrive che entrambe le parti si impegnino attivamente in una lotta continuativa ed efficace contro le attivita' e le strutture del terrorismo come presupposto essenziale per la continuazione del processo di pace. Arrestando persone implicate in attivita' terroristiche, le forze di sicurezza israeliane non solo difendono i propri concittadini, ma applicano alla lettera la Road Map.
    Nel frattempo, all'interno dell'edificio Mukata, a Ramallah, continuano a godere della protezione personale di Arafat almeno diciassette terroristi palestinesi, fra i quali figura anche Kamel Ghanem, responsabile d'aver progettato un doppio attentato con donne suicide palestinesi all'interno di Israele dopo l'inizio della "hudna". Le due donne sono state arrestate in tempo dalle forze di sicurezza israeliane.

(israele.net, Ha'aretz, 6-7.08.03)
    



ISRAELE NON PUO' NE' DEVE FARE ULTERIORI CONCESSIONI


Il barometro del mondo arabo non segna ancora schiarite di pace 

di Emanuele Ottolenghi
    
    La caduta di Saddam Hussein avrebbe, a detta di molti, creato una nuova "finestra di opportunità" per la pace in Medio Oriente. Superficialmente, esistono importanti analogie tra il 1991, quando una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e sotto l'egida dell'Onu liberò il Kuwait dalla brutale occupazione irachena, e il 2003. Anche allora israeliani e palestinesi erano impantanati in una guerra d'attrito. Anche allora l'attivo sostegno e partecipazione dei paesi arabi appariva come essenziale alla pacificazione della regione. Anche allora la guerra, rimuovendo un fattore di instabilità nella regione e una minaccia esistenziale per Israele, avrebbe favorito una iniziativa diplomatica americana dove Israele potesse permettersi di prendersi dei rischi in cambio di una pace con il mondo arabo circostante. Legittimo dunque fare un paragone tra 1991 e 2003. Ma accanto alle analogie che invogliano i più a sperare nella svolta, le differenze che esistono tra 1991 e 2003 invitano alla cautela.
    Innanzitutto la caduta del regime di Saddam non ha fondamentalmente modificato gli equilibri strategici della regione a favore di Israele. Mentre l'esercito iracheno del '91 era la più formidabile macchina da guerra mediorientale e la sua capacità non convenzionale rappresentava una minaccia esistenziale per Israele, quell'esercito non era che l'ombra di se stesso nel 2003. La riduzione del potenziale offensivo iracheno nel '91 e il suo successivo contenimento nella decade successiva attraverso sanzioni e ispezioni avevano permesso a Israele di prendere un rischio calcolato in un ambiente regionale strategicamente meno minaccioso. Ma a parte che il processo negoziale emerso dalla sconfitta di Saddam nel 1991 non ha comunque prodotto gli sperati risultati, non si può notare un significativo mutamento strategico negli equilibri regionali dopo il 9 aprile 2003. Non si spiega allora l'ottimismo di chi crede che la caduta di Saddam riduca i rischi per Israele e gli permetta di fare concessioni politiche e territoriali ai palestinesi che potevano risultare più rischiose prima della guerra.


L'effetto domino richiede tempo e non è certo.

    La rimozione di Saddam ha certamente eliminato un elemento simbolico, ma non ha sostanzialmente indebolito le forze ostili a Israele e all'Occidente da un punto di vista militare o persino economico. Saddam finanziava il terrorismo palestinese offrendo una pensione alle famiglie dei "martiri" – gli assassini suicidi che il mondo arabo ammira anche dopo il 9 aprile – ma il sussidio iracheno non era che una goccia nell'oceano di sostegni finanziari ricevuti da Hamas e dalle altre organizzazioni coinvolte nella lotta contro Israele. I soldi continuano ad arrivare, soprattutto da Iran e Arabia Saudita, per non parlare dei fondi europei e degli aiuti privati provenienti da tutto il mondo, il cui flusso è lungi dall'essere sospeso. L'impatto della caduta di Saddam tuttavia non è soltanto militare e strategico, ma anche e soprattutto politico e psicologico.
    Si spera che la teoria del domino elaborata in circoli neoconservatori a Washington sia corretta e che il successo che tutti ci auguriamo di un nuovo Iraq libero e rappresentativo, possa propagare nell'area un vento di moderazione che spinga i regimi autoritari a cambiare strada e a perseguire cambiamento interno e cooperazione con l'Occidente, pace con Israele e lotta dura contro il radicalismo islamico. Ma l'effetto domino richiede tempo e non è garantito. In parte dipenderà dal successo dell'avventura americana in Iraq. Ma in parte esso sfugge a ogni previsione. Gli effetti sistemici di un evento così traumatico si manifesteranno solo nel giro di anni, e se la storia insegna qualcosa, gli eventi traumatici nella regione – come la perdita della Palestina nel '48, la sconfitta panaraba del '67, la pace tra Israele ed Egitto nel '79, l'invasione sovietica dell'Afghanistan nello stesso anno e persino la pace di Oslo del '93 – non hanno avuto l'effetto benefico auspicato.
    Fatta salva la pace tra Egitto e Israele (dettata dalla realpolitik, non da una genuina accettazione araba di Israele), tali eventi hanno piuttosto finito con il rafforzare gli estremismi panarabo e islamico. E se ci sono segnali incoraggianti, in Siria come altrove, a indicare come il messaggio americano sia stato ricevuto nelle capitali arabe, arrivano altrettante indicazioni che il 2003 non è il 1991.
    Nel 1991 Saddam aveva minacciato l'ordine regionale e lo status quo arabo. Poiché Saddam rappresentava una minaccia ai regimi, non risultò difficile ai regimi schierarsi con gli americani. L'alleanza tra America e mondo arabo permise un quid pro quo sulla questione palestinese che viene ancora erroneamente rappresentato come una concessione americana agli arabi. Invece, il processo diplomatico emerso da "Tempesta nel deserto" non costituì soltanto una concessione americana al mondo arabo sulla questione palestinese in cambio di un intervento arabo contro Saddam. Esso comportò anche un riconoscimento arabo dell'esistenza di Israele e un'accettazione della pax americana da parte dei regimi in cambio di una garanzia americana alla loro sopravvivenza. Quello che sfugge ai più è che il riconoscimento di Israele derivava da una constatazione di debolezza intrinseca araba che per il momento non permetteva di sconfiggere il nemico sionista. Il mondo arabo nel '91 si rassegnava a negoziare questa accettazione in cambio della garanzia americana di proteggere lo status quo regionale che Saddam aveva cercato di alterare. Fondata quindi sulla debolezza del mondo arabo, la pace proposta e mancata negli anni 90 si basava sul presupposto che questa debolezza fosse permanente.


Baghdad libera spaventa i regimi vicini

    Le condizioni per una ripresa dei negoziati mancano nel 2003 perché sono venute meno sia la garanzia americana di protezione dello status quo sia la convinzione di debolezza insormontabile del mondo arabo nei confronti di Israele. Nel 2003 non era l'Iraq a minacciare l'ordine costituito del mondo arabo. Sono stati gli americani a farlo e continuano ancor di più nel dopoguerra. Il successo della ricostruzione irachena mina le fondamenta dell'ordine arabo regionale. In più, l'alternativa islamica e la scelta strategica di perseguire la strada della guerra asimmetrica nella lotta contro Israele e l'Occidente che il terrorismo oggi offre, costituiscono insieme un motivo di riscossa che presenta un'alterazione degli equilibri strategici a sfavore di Israele e America. L'America vince sul campo di battaglia, ma una sconfitta nel lungo periodo prodotta da una logorante guerra di posizione promossa da guerriglia e terrorismo potrebbe spingere gli americani a ritirarsi prima di avere ottenuto i risultati sperati. E un ritiro proietterebbe un'immagine di debolezza che metterebbe in discussione il dominio americano nella regione, mettendo in pericolo anche Israele.
    La pax americana che offriva protezione ai regimi negli anni 90 oggi si è trasformata in un'arma a doppio taglio. Dalle capitali arabe si sono levate critiche feroci alla creazione del governo provvisorio iracheno, definito collaborazionista da al Jazeera e da al Arabiya e bollato come privo di legittimità democratica dal segretario della Lega Araba Amr Mussa, dal ministro degli Esteri siriano Farouk Al Shara, e dai dittatori sudanese e libico. Chi ride del fatto che i critici del nuovo governo iracheno esigano una legittimità democratica di cui loro stessi sono privi farebbero bene a capire il senso vero della critica: essa esprime paura per la stabilità dei regimi stessi e quindi aperta opposizione al successo del tentativo americano di trasformare l'Iraq in uno Stato libero, moderato, pacifico e rispettoso di diritti umani e minoranze. Difficile dunque aspettarsi la stessa volontà di cooperazione che il mondo arabo offrì nel 1991 a un'America vittoriosa. L'ottimismo è quindi malposto e la strada da percorrere per portare progresso, stabilità e moderazione in Medio Oriente rimane ancora lunga e tortuosa.
    Resta la speranza che l'effetto domino si senta almeno a Ramallah, se non a Damasco e Riad, nel breve periodo. Ma anche qui l'analogia con il 1991 lascia a desiderare. La convinzione che la rimozione di una minaccia esistenziale a Israele permettesse a Israele di rischiare per la pace valeva forse per il 1991 ma oggi non tiene conto di due fattori: il primo, già enunciato, è che l'Iraq dopo il 1991 non rappresentava più una minaccia significativa a Israele. L'eliminazione del regime di Saddam non comporta quindi un sostanziale mutamento degli equilibri strategici a favore di Israele. Il vero nemico oggi per Israele è l'Iran, e semmai la guerra in Iraq ha motivato il regime iraniano ad accelerare il suo progetto di armi nucleari. Il secondo fattore è il più importante ed è legato alla deterrenza che Israele mantiene contro i suoi avversari. Mentre alla vigilia della guerra del 1991 Israele godeva di una forte superiorità strategica convenzionale e non nella regione, oggi quella superiorità è stata erosa drammaticamente dallo sviluppo di missili balistici e dalla nuclearizzazione prossima dell'Iran, dal ritiro israeliano dal Libano del Sud e dal terrorismo suicida palestinese. La mancata rappresaglia israeliana agli attacchi missilistici iracheni nel 1991 aveva creato l'impressione nel mondo arabo che Israele avesse perso la capacità di reagire efficacemente alle provocazioni e a un tipo di violenza non convenzionale, mirata non alla distruzione fisica del nemico ma alla sua demoralizzazione attraverso forme di terrore psicologico. La precipitosa ritirata israeliana dal Libano nell'estate del 2000 ha rafforzato quell'impressione di debolezza, dovuta all'incapacità del nemico sionista di sopportare a lungo il dolore causato dallo stillicidio di perdite umane che Hezbollah gli aveva saputo infliggere.


Lo spettro nucleare iraniano

    Il terrorismo suicida perfezionato dai palestinesi durante la nuova Intifada ha rafforzato quella percezione nel mondo arabo, convinto oggi di essere non lontano dalla vittoria contro i sionisti proprio in virtù della strategia non convenzionale offerta dal terrorismo. Quello stesso terrorismo ha colpito duramente anche l'Occidente, producendo almeno in Europa una rinnovata volontà di dialogo e una disponibilità alle richieste politiche dei palestinesi che rappresenta agli occhi del mondo arabo una conferma di come la

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strategia del terrore paghi. Lo stesso discorso vale per la road map. Concessioni israeliane, senza prima una chiara rinuncia al terrorismo da parte dei palestinesi che si materializzi in azione contro Hamas e chi ha adottato il terrorismo come strategia, non farà altro che rafforzare quell'immagine di debolezza che ha eroso il potenziale deterrente israeliano. Ne sia conferma il fatto che Abu Mazen non ha alcuna intenzione di affrontare Hamas, e che la sua popolarità quale leader che ha sconfessato la lotta armata sia pateticamente ancorata al 3 per cento.
    A questo si aggiunge lo spettro nucleare del regime iraniano. Tutte le armi che agli occhi del mondo arabo hanno indebolito Israele e potrebbero mandare all'aria il progetto americano in Iraq sono armi non convenzionali, il cui ruolo è di instillare un senso di insicurezza esistenziale allo Stato ebraico. E sono la guerriglia, gli attacchi suicidi e il modello asimmetrico di lotta utilizzato in Iraq dai fedeli di Saddam a offrire la speranza che gli americani prima o poi se ne vadano, come già fecero a Beirut nell'83 e a Mogadiscio nel '93. Europa e America sbagliano a credere che occorra risolvere il conflitto arabo-israeliano costringendo Israele a nuove concessioni. La non del tutto valida considerazione del '91. secondo cui Israele usciva rafforzato dalla guerra e poteva quindi correre rischi strategici in nome della pace, non si applica al 2003. Perché la road map abbia successo occorre che il mondo arabo creda di aver perso e di non poter vincere in futuro. Finché perdura la convinzione che un missile iraniano o un terrorista palestinese possano fare ciò che 50 anni di guerre convenzionali non riuscirono a fare, Israele otterrà solo ulteriore violenza dalle concessioni che farà. Esse verranno lette come risultanti dalla pressione esercitata dalla violenza e come risposta occidentale al terrorismo che ha procurato l'11 settembre. Il 1991 e il 2003 non offrono dunque un'analogia, né l'analogia, se ci fosse, sarebbe motivo di speranza. Semmai, essa garantisce ancora violenza e instabilità, che soltanto la determinazione di Israele e dell'Occidente a combattere il terrorismo e senza concessioni politiche potrà ribaltare.
    
(Il Foglio, 6 agosto 2003 - ripreso da Informazione Corretta)



MOFAZ: I NODI VERRANNO AL PETTINE ALLA FINE DI SETTEMBRE


"Alla fine di settembre verranno a coincidere tre scadenze. In primo luogo il terzo anniversario dell'inizio del conflitto (la cosiddetta intifada di Al Aqsa). In secondo luogo, scadranno i tre mesi dall'inizio della "hudna" (la tregua provvisoria di tre mesi dichiarata dalle principali fazioni palestinesi). Infine, scadranno i 90 giorni di tempo del piano d'azione contro le strutture del terrorismo del ministro della sicurezza palestinese Muhammad Dahlan. A quel punto dovremo dire all'Autorita' Palestinese: o vi occupate voi di tutto questo, o ce ne occuperemo noi". Con queste parole il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ha sintetizzato la situazione in un'intervista pubblicata venerdi' sul Jerusalem Post.
    Ribadendo che, alla fine di settembre, Israele dovra' riesaminare i propri rapporti con l'Autorita' Palestinese se questa non avra' ancora preso nessuna misura concreta per disarmare e smantellare (come previsto dalla Road Map) le strutture del terrorismo, Mofaz ha sottolineato che le concessioni fin qui fatte alla controparte palestinese sono "reversibili". "In caso di attentato, possiamo decidere di rientrare a Betlemme", ha spiegato. Domenica scorsa le Forze di Difesa israeliane hanno evitato di rientrate a Betlemme dopo gli spari palestinesi che hanno ferito una madre e le sue tre figlie mentre transitavano in auto nei dintorni della citta'.
    Mofaz riconosce che la "hudna" palestinese ha portato a una netta diminuzione, sebbene non alla cessazione completa, del numero di attacchi anti-israeliani, una circostanza questa che dimostra come spetti alla volonta' dei palestinesi interrompere la cosiddetta "spirale di violenza". Ma non si dice ottimista sulla possibilita' che la tregua regga in futuro. "L'Autorita' Palestinese - spiega - non sta facendo nulla contro le strutture e le organizzazioni terroristiche. I nostri servizi di sicurezza e le nostre forze armate devono preparasi all'eventualita' che scoppi una nuova ondata di violenze".
    Il ministro della difesa e' categorico quando si tratta di indicare cosa dovrebbe fare l'Autorita' Palestinese per contrastare il terrorismo e onorare in questo modo l'impegno preso con la Road Map: "Le organizzazioni terroristiche devono semplicemente cessare di esistere come organizzazioni".
    Mofaz mette in guardia rispetto ai pericoli di una situazione in cui i palestinesi mantengono una relativa calma, chiedono di negoziare e di ottenere concessioni, ma nello stesso tempo lasciano che i gruppi terroristici possano esistere, crescere, armarsi e rafforzarsi in tutta tranquillita'. "Non dobbiamo permettere che questo accada - dice - Dobbiamo esigere che il rispetto concreto dell'impegno a smantellare le strutture terroristiche venga prima che si facciano altri passi avanti nel processo".

(Jerusalem Post, israele.net, 08.08.03)



GIUSTIZIA PALESTINESE


RAMALLAH - Giovedì scorso tre palestinesi mascherati hanno ucciso con diversi colpi un loro connazionale a Ramallah, in piena strada. Alla vittima rimproveravano di aver collaborato con Israele.
    L'ucciso è Samer Sharour. Secondo fonti del servizio segreto palestinese, l'uomo potrebbe essere uno dei 339 detenuti che sono stati liberati da Israele mercoledì scorso.
    Secondo quello che riferiscono testimoni oculari, tre uomini armati e mascherati hanno tirato in macchina il palestinese e l'hanno portato in centro. Poi hanno spinto fuori la loro vittima e hanno gridato: "Nel nome delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa eseguiamo su di te la pena di morte". Con almeno sei colpi in testa e nel petto, i palestinesi hanno ucciso l'uomo e sono fuggiti, così hanno riferito i testimoni.
    Le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa appartengono al partito di Fatah, quello del capo dell'OLP, Yasser Arafat.
    Per chi collabora con Israele, nei territori dell'Autonomia Palestinese vige la pena di morte. In molti casi però i sospettati sono assassinati senza processo da seguaci di gruppi radicali, di solito in piena strada per spaventare la popolazione.
    
(Israelnetz Nachrichten, 08.08.2003)



ARABI ISRAELIANI AIUTARONO TERRORISTI SUICIDI


Sono arabi israeliani i due uomini arrestati per complicita' in due diversi attentati suicidi palestinesi su autobus di linea israeliani a Gerusalemme tra maggio e giugno (23 civili uccisi, 125 tra feriti o mutilati).
    Samr Ahmed Atresh e' stato arrestato per aver trasportato il 18 maggio scorso l'attentatore suicida Bassam Tahdori al quartiere French Hill di Gerusalemme dove questi si fece esplodere sull'autobus della linea 6 provocando sette morti e 20 tra feriti e mutilati. Originario di Hebron e residente nel campo palestinese di Shuafat (Cisgiordania), Atresh aveva ottenuto documenti d'identita' israeliani e permesso di residenza in Israele grazie alla legge di riunificazione delle famiglie, ed era impiegato presso una ditta di catering di Beit Shemesh (Israele). Atresh ha raccontato di essere stato reclutato da Hamas e di aver ricevuto l'incarico di raccogliere informazioni sulle zone piu' densamente popolate da cittadini ebrei e di acquistare il necessario per camuffare l'attentatore. Atresh incontro' Tahdori il 17 maggio e lo porto' nella propria abitazione. Il giorno dopo lo aiuto' a indossare la cintura esplosiva e a travestirsi da ebreo osservante, quindi lo accompagno' sul luogo dell'attentato indicandogli il bersaglio. Atresh ha riferito che aveva anche progettato di sfruttare il suo impiego presso la ditta di catering per avvelenare il cibo e per piazzare esplosivi o introdurre un attentatore suicida in un luogo di ritrovo.
    Omar Salah Muhammad Sharif e' stato arrestato per aver trasportato l'11 giugno scorso l'attentatore suicida Maati Savana al Klal Building di Gerusalemme dove questi si fece esplodere sull'autobus della linea 14 provocando 17 morti e 105 tra feriti e mutilati. Sharif, residente a Beit Hanina, in possesso di documenti israeliani, parente del leader terrorista di Hebron Abdallah Qawasmeh, era impiegato come usciere al campus Givat Ram dell'Universita' di Gerusalemme. Sharif venne reclutato da Hamas che, approfittando della sua possibilita' di muoversi senza ostacoli grazie ai documenti israeliani, lo incarico' di raccogliere informazioni sulle corse di autobus piu' affollate ma meno usate da palestinesi, nonche' sugli spostamenti del primo ministro israeliano Ariel Sharon. L'11 giugno Sharif incontro' l'attentatore suicida, che era gia' in possesso di cintura esplosiva, e lo aiuto' a travestirsi da ebreo ortodosso, quindi lo accompagno' sul luogo dell'attentato indicandogli il bersaglio. Sharif ha confermato che l'attentato era stato preparato da un mese e che non costituiva una reazione al tentativo israeliano di eliminare il leader di Hamas Abdul Aziz Rantisi, avvenuto il giorno prima (10 maggio). La circostanza trova conferma nel fatto che la data dell'incontro tra i due e dell'attentato era stata fissata in precedenza. "L'attentato a Gerusalemme - avevano scritto gli analisti del Jewish Institute for National Security Affaire subito dopo il fatto - non e' una vendetta di Hamas per il tentativo del giorno prima di uccidere Rantisi. Il fatto che l'attentato sia avvenuto in quel giorno anziche' in un altro giorno dipende esclusivamente dal fatto che quel giorno e in quel luogo si e' verificata una breccia nel sistema difensivo anti-terroristico israeliano. Ogni giorno le Forze di Difesa israeliane danno la caccia e scovano terroristi pronti a uccidere ebrei. Dal settembre 2000, Israele ha sventato in tempo centinaia di attentati di vario tipo. Ogni tanto, invece, un attentato riesce".
    Sharif ha raccontato che aveva anche progettato il sequestro di cittadini israeliani contattati via internet e che aveva preparato una lunga lista di possibili attentati, fra i quali un'autobomba sul lungomare di Tel Aviv o un ordigno nella caffetteria del campus Givat Ram, dove lavorava (il 31 luglio 2002 una bomba nella caffetteria del campus Monte Scopus dell'Universita' di Gerusalemme provoco' 9 morti e 86 tra feriti e mutilati).
    Sia l'attentato del 18 maggio che quello dell'11 giugno vennero rivendicati dall'ala militare di Hamas, guidata da Abdallah Qawasmeh. Qawasmeh, direttamente responsabile della morte di almeno 35 civili israeliani, e' stato ucciso il 21 giugno in un'azione anti-terrorismo israeliana mentre progettava ulteriori attentati.
    In un comunicato diffuso lunedi' scorso, l'ufficio del primo ministro israeliano sottolinea che questi ultimi arresti "confermano che le organizzazioni terroristiche non esitano a utilizzare cittadini arabi israeliani, in possesso di regolari documenti israeliani, per perpetrare attentati e assassinare civili israeliani. Si tratta di una circostanza particolarmente problematica - aggiunge il comunicato - perche' molti di questi documenti vengono rilasciati per ragioni umanitarie, nel quadro di una politica di riunificazione delle famiglie".

(Comunicato ufficio primo ministro israeliano, israele.net, 4-5.08.03)
    


INVITO AI CRISTIANI A SOSTENERE PUBBLICAMENTE ISRAELE


La seguente lettera è stata inviata per posta elettronica a diversi responsabili di chiese cristiane in America e in Israele, con l'invito urgente a sostenere Israele mentre c'è ancora tempo. E' stato chiesto di diffonderla a tutti coloro che credono nella Bibbia come inerrante Parola di Dio, con l'avvertimento che il silenzio della comunità cristiana potrebbe condurre a un altro olocausto.


O la Bibbia è vera o dice bugie.
Per me è l'irremovibile verità


Recentemente un mio amico molto spirituale mi ha comunicato che diversi pastori hanno trovato il mio uso della parola "opposizione", riferita alla Road Map del "quartetto", troppo forte e difficile per loro da accettare. Mi dispiace che ci sia un simile atteggiamento nella comunità cristiana. Diversi pastori mi hanno detto: "Earl, ho paura ad andare avanti nel sostenere Israele perché sono preoccupato per la mia famiglia e la mia chiesa. Potrebbero avere dei guai".
    So che, secondo la parola di D-o [G-d nell'originale, ndt], stiamo entrando in un tempo in cui i cristiani dovranno prendere una coraggiosa posizione per la verità, ad un prezzo che forse molti non sono pronti a pagare. I compromessi causati dall'essere "politically correct" hanno condotto al massacro di sei milioni di ebrei nei campi di concentramento della Germania. Questa mentalità si sta diffondendo non solo nella UE, ma sta diventando prevalente anche qui in America. Il progetto della Road Map, ideato dal quartetto formato da UE, ONU, Russia e USA, di dividere Israele per formare uno Stato palestinese è diametricalmente opposto alla Parola di D-o. Nessun uomo e nessuna organizzazione ha il diritto di chiedere a Israele di dare la sua terra per ammansire i terroristi. D-o ha dato la terra agli ebrei nel patto eterno che ha fatto con Abraamo, Isacco e Giacobbe. La Bibbia afferma con chiarezza quello che accadrà a coloro che non benedicono Israele, e le parole sono molto forti: "Saranno maledetti".
    La Parola di D-o è la Road Map cristiana a cui tutti i seguaci di Cristo devono aderire. Molti responsabili cristiani sono rimasti silenziosi perché non hanno preso il tempo di studiare le implicazioni della proposta di dividere il cuore stesso della terra di Israele. L'Autorità Palestinese riceverà tutta la Giudea-Samaria, inclusa Gerusalemme. Se noi, che ci chiamiamo figli di D-o, non facciamo udire la nostra voce, un numero ancora maggiore di ebrei sarà assassinato da terroristi risoluti a eliminare la stirpe ebraica, e il loro sangue ricadrà sulle nostre mani. Amici cristiani, vi prego, non restate neutrali. Il vostro silenzio potrebbe essere uno dei vostri peggiori errori nel vostro cammino con il Signore. Verrà il giorno in cui ognuno di noi starà davanti al nostro Creatore e dovrà rendere conto della sua ubbidienza alla Sua parola. Per parte mia, non farò compromessi per "political correctness", nonostante i costi. La nostra ricompensa non è qui in terra, ma nella Gloria. Mi oppongo alla Road Map del quartetto perché è iniqua e contro la parola dell'Onnipotente, Vivente, Santo D-o, e non riesco a capire quelli che si dicono cristiani o ebrei e non sono appassionatamente contrari a questo proposito satanico. Sono profondamente dispiaciuto che la comunità internazionale, che ha fatto pressioni su Israele affinché accettasse questa proposta, adesso sta facendo discussioni e trattative con organizzazioni terroristiche. Starò dalla parte di Israele e del popolo ebraico fino a che avrò fiato in corpo, e prego voi, responsabili di comunità cristiane, di essere solidali con me e di sostenere la nazione di Israele. Potrebbe anche essere l'ultima stagione in cui noi, seguaci di Cristo, abbiamo la possibilità di dimostrare la nostra totale ubbidienza alla Parola di D-o.
    E' mia ardente speranza che queste parole che vi ho scritto trovino posto nel vostro cuore e nella vostra anima, e vi spingano a ergervi in difesa di Israele.
    Vostro nel servizio,
    
    Earl Cox

(Newsletter di Naomi Ragen , 31.07.2003)


MUSICA E IMMAGINI

Tahkat Shmay Yam HaTihkon


INDIRIZZI INTERNET


Israel and Zionism



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