Notizie su Israele 197 - 19 settembre 2003                                                                                                                  pagina iniziale


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Per amor di Sion io non tacerò, per amor di Gerusalemme io non mi darò posa, finché la sua giustizia non spunti come l’aurora, la sua salvezza come una fiaccola fiammeggiante. Allora le nazioni vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del SIGNORE pronunzierà; sarai una splendida corona in mano al SIGNORE, un turbante regale nel palmo del tuo Dio. Non sarai chiamata più Abbandonata, la tua terra non sarà più detta Desolazione, ma tu sarai chiamata La mia delizia è in lei, e la tua terra Maritata; poiché il SIGNORE si compiacerà in te, la tua terra avrà uno sposo. Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te; come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio.

(Isaia 62:1-5)



LA RIVOLUZIONE SIONISTA E' MORTA?


    
Avraham Burg

Un articolo di Avraham Burg, pubblicato qualche settimana fa sul quotidiano israeliano in lingua ebraica “Yediot Aharonot”, sta provocando un certo scalpore sulla scena internazionale. L’autore è una persona ben nota, trattandosi di un eminente figura del Partito Laburista israeliano, che in passato ha ricoperto la carica di presidente dell’Agenzia Ebraica e per quattro anni, dal 1999 al 2003, è stato Presidente della Knesset. L’articolo di Avraham Burg è una feroce critica della politica dell’attuale governo israeliano, e si presta egregiamente a fornire ottimi argomenti ai nemici di Israele. Non è un caso quindi che sia stato ripreso dalla stampa estera. Ha cominciato il giornale “Forward “ a tradurlo in inglese il 29 agosto scorso con il titolo “A Failed Israeli Society Collapses While Its Leaders Remain Silent”. E’ stato poi tradotto in francesee, con qualche leggera variazione rispetto al testo inglese, e pubblicato su “Le Monde” del 10 settembre con il titolo “La révolution sioniste est morte”. Il sito islamico in italiano “Arab Comint” se ne è golosamente appropriato traducendone un'accurata selezione di estratti. E’ poi arrivato il “Manifesto”, che nella sua edizione del 16 settembre scorso ne ha offerto una sua traduzione. In attesa che, eventualmente, qualche conoscitore della lingua ebraica ci offra una traduzione integrale dal testo originale, ne presentiamo qui una versione che tiene conto di tutte le traduzioni consultate.


L’articolo di Avraham Burg

La rivoluzione sionista poggiava su due pilastri: una condotta giusta e una leadership etica. L’una e l’altra sono scomparse. La nazione israeliana oggi si basa su un ammasso di corruzione e su fondamenta di oppressione e ingiustizia. Per questo, la fine dell’impresa sionista è ormai alle porte. Esiste la concreta possibilità che la nostra sia l’ultima generazione sionista. Potrà ancora esserci uno stato ebraico, ma sarà di un tipo differente, irriconoscibile e odioso. Chi di noi vorrà esserne un patriota? C’è ancora il tempo di cambiare il corso delle cose, ma non molto. Quello di cui c’è bisogno, è una nuova visione di una società giusta che la politica abbia il compito di realizzare. E non è una questione tutta interna di Israele. Gli ebrei della diaspora, per cui Israele rappresenta il pilastro centrale della loro identità, devono porre attenzione e alzare la voce. Il pilastro cede, il pavimento superiore sta per crollare.
     L’opposizione non esiste, e la coalizione con a capo Ariel Sharon si trincera dietro un muro di silenzio. In una società di chiacchieroni, improvvisamente sono diventati tutti muti, semplicemente perché non c’è niente da dire. Solo i nostri fallimenti rimbombano. Sì, abbiamo risuscitato la lingua ebraica, creato un meraviglioso teatro e una forte moneta nazionale. I nostri cervelli ebraici sono acuti, come sempre. Siamo quotati al Nasdaq. Ma è per questo che abbiamo creato uno Stato? Il popolo ebraico non è sopravvissuto per due millenni per inventare nuove armi, strumenti d’irrigazione a goccia, programmi computerizzati di sicurezza o missili antimissile. La nostra vocazione è di essere un modello, una luce tra le nazioni, e in questo abbiamo fallito.
     La realtà è che dopo duemila anni di lotta per la sopravvivenza ebraica, è venuto fuori uno Stato di insediamenti, governato da un’amorale cricca di corrotti trasgressori della legge che se ne infischia sia dei loro cittadini che dei loro nemici. Ma uno Stato senza giustizia non può sopravvivere. Gli israeliani cominciano ad accorgersi di questo quando chiedono ai loro figli dove pensano di vivere quando avranno venticinque anni. I ragazzi onesti ammettono, scioccando i loro genitori, di non saperlo. Il conto alla rovescia della società israeliana è cominciato.
     E’ confortevole essere un sionista in un insediamento in Cisgiordania come Bet El e Ofra. Il paesaggio biblico è incantevole. Dalla finestra ornata di gerani e bouganville non si vede l’occupazione. Viaggiando velocemente sull’autostrada che va da Ramot, al nord di Gerusalemme, fino a lato sud di Gilo, un viaggio di 12 minuti che evita del tutto i blocchi stradali per i palestinesi che stanno a un mezzo miglio ad ovest, è difficile capire l’umiliante esperienza del disprezzato arabo che deve trascinarsi per ore lungo la dissestata strada piena di blocchi riservata a lui. Una strada per l’occupante, una strada per l’occupato. Per il sionista il tempo è rapido, efficace e moderno. Per l’arabo “primitivo”, manodopera senza permesso in Israele, il tempo è di una lentezza faticosa.
     Ma questo non può durare. Anche se gli arabi abbassassero la testa e ingoiassero per sempre la loro umiliazione, non funzionerà. Una struttura costruita sull’insensibilità umana collasserà inevitabilmente su se stessa. State bene attenti: la sovrastruttura del sionismo sta già collassando come un’economica sala da matrimonio in Gerusalemme. Solo i pazzi continuano a danzare di sopra, mentre i pilastri di sotto stanno crollando.
     Siamo cresciuti abituandoci a rimanere indifferenti alla sofferenza delle donne arabe bloccate ai check point. Non c’è da meravigliarsi se non percepiamo più i lamenti delle donne picchiate dietro la porta dei nostri vicini, né quelli delle ragazze madri che lottano per la propria dignità. Abbiamo smesso di contare i cadaveri delle donne assassinate dal loro marito. Indifferenti alla sorte dei bambini palestinesi, come ci possiamo sorprendere quando, con un ghigno di odio sulla bocca, si fanno saltare per aria come martiri di Allah nei luoghi del nostro svago perché la loro vita è un tormento; nei nostri centri commerciali perché non hanno neanche la speranze di fare, come noi, degli acquisti? Fanno scorrere il sangue nei nostri ristoranti per farci passare l'appetito. A casa loro figli e genitori soffrono la fame e l'umiliazione.
     Anche se uccidessimo 1000 terroristi al giorno, non cambierebbe nulla. I loro leader e i loro istigatori sono generati dall'odio, dalla collera e dalle misure insensate prese dalle nostre istituzioni moralmente corrotte. Fintanto che un Israele arrogante, terrorizzato e insensibile a se stesso e agli altri si troverà di fronte una Palestina umiliata e disperata, non potremo andare avanti.
     Se tutto ciò fosse inevitabile e frutto dei disegni di una forza soprannaturale, anche io starei zitto. Ma c'è un'altra opzione. Ed è per questo che bisogna urlare.
Ecco quello che il primo ministro deve dire al popolo: il tempo delle illusioni è finito. Non possiamo più rimandare le decisioni. Sì, amiamo il paese dei nostri antenati nella sua totalità. Sì, ci piacerebbe viverci da soli. Ma così non funziona, anche gli arabi hanno i loro sogni e le loro esigenze. Tra il Giordano e il mare, gli ebrei non sono più maggioranza. Conservare tutto gratuitamente, senza pagarne il prezzo, miei cari concittadini, è impossibile.
     È impossibile che la maggioranza palestinese sia sottomessa al pugno di ferro dei militari israeliani. È impossibile credere che siamo la sola democrazia del Medioriente, perché non lo siamo. Senza l'uguaglianza completa degli arabi, non c'è democrazia. Conservare i territori e una maggioranza di ebrei solo nello stato ebraico, ripettando i valori dell'umanesimo e della morale ebraica, rappresenta un'equazione insolubile.
     Volete la totalità del territorio del Grande Israele? Perfetto. Avete rinunciato alla democrazia. Realizzeremo allora un sistema efficace di segregazione etnica, di campi di internamento, di città-carceri: il ghetto Kalkilya e il gulag Jenin.
Volete una maggioranza ebraica? O ammasseremo tutti gli arabi in vagoni di treno, in autobus, su cammelli o asini per espellerli. Oppure dobbiamo separarci da loro in modo radicale. Non ci sono mezzi termini. Ciò implica lo smantellamento di tutti - dico bene: tutti - gli insediamenti e la determinazione di una frontiera internazionale riconosciuta tra lo stato nazionale ebraico e lo stato nazionale palestinese. La legge del ritorno ebraica sarà applicabile soltanto all'interno dello stato nazionale ebraico. Il diritto al ritorno arabo sarà applicabile esclusivamente all'interno dello stato nazionale arabo.
     Se è la democrazia ciò che volete, avete due opzioni: o rinunciate al sogno del Grande Israele nella sua totalità, alle colonie e ai loro abitanti, oppure concedete a tutti, compresi gli arabi, la piena cittadinanza con diritto di voto alle elezioni politiche. In quest'ultimo caso, coloro che non volevano gli arabi nello stato palestinese vicino li avranno alle urne, a casa propria. E loro saranno maggioranza, noi minoranza.
Questo è il linguaggio che deve adottare il primo ministro. Spetta a lui presentare coraggiosamente le alternative. Bisogna scegliere tra la discriminazione etnica praticata da ebrei e la democrazia. Tra le colonie e la speranza per due popoli. Tra l'illusione di un muro di filo spinato, dei check point e dei kamikaze e una frontiera internazionale accettata dalle due parti con Gerusalemme capitale comune dei due stati.
     Ma, purtroppo, non c'è alcun primo ministro a Gerusalemme. Il cancro che divora il corpo del sionismo ha già raggiunto la testa. Le metastasi fatali sono lassù. È accaduto in passato che Ben Gurion commettesse un errore, ma è rimasto comunque di una rettitudine irreprensibile. Quando Begin sbagliava, nessuno metteva in discussione la sua buona fede. E lo stesso succedeva quando Shamir non faceva nulla. Oggi, secondo un sondaggio recente, la maggioranza degli israeliani non crede nella rettitudine del primo ministro, anche se continua ad accordargli la propria fiducia sul piano politico.
     Detto in altri termini, la personalità dell'attuale primo ministro simboleggia le due facce della nostra disgrazia: un uomo di dubbia moralità, gaudente, incurante della legge e modello negativo di indentificazione. Il tutto combinato con la sua brutalità verso gli occupati, che rappresenta un ostacolo insuperabile alla pace. Da ciò deriva una conclusione indiscutibile: la rivoluzione sionista è morta.
     E l'opposizione? Perché mantiene il silenzio? Forse perché siamo in estate? O perché è stanca? Perché, mi chiedo, una parte dei miei compagni vuole un governo a ogni costo, foss'anche quello dell'identificazione con la malattia piuttosto che della solidarietà con le vittime della malattia? Le forze del Bene perdono la speranza, fanno le valige e ci abbandonano, insieme al sionismo. Uno stato sciovinista e crudele in cui imperversa la discriminazione; uno stato dove i ricchi sono all'estero e i poveri deambulano nelle strade; uno stato in cui il potere è corrotto e la politica corruttrice; uno stato di poveri e di generali; uno stato di razziatori e di coloni: questo è in sunto il sionismo nella fase più critica della propria storia.
     L'alternativa è una presa di posizione radicale: il bianco o il nero - tirarsi indietro equivarrebbe a essere complici dell'abiezione. Queste sono le componenti dell'opzione sionista autentica: una frontiera incontestata; un piano sociale globale per guarire la società israeliana dalla sua insensibilità e dalla sua assenza di solidarietà; la messa al bando del personale politico corrotto oggi al potere.
     Non si tratta più di laburisti contro il Likud, di destra contro sinistra. Al posto di tutto ciò, bisogna opporre ciò che è permesso a ciò che è proibito; il rispetto della legge alla delinquenza. Non possiamo più accontentarci di un'alternativa politica al governo Sharon. Ci vuole un'alternativa di speranza alla rovina del sionismo e dei suoi valori da parte di demolitori muti, ciechi e privi di ogni sensiblità.
     Anche gli amici di Israele all’estero - ebrei e non-ebrei, presidenti e primi ministri, rabbini e laici - dovrebbero scegliere. Devono venire fuori e aiutare Israele a navigare la road map verso il nostro nazionale destino ad essere luce tra le nazioni e una società di pace, giustizia e uguaglianza. [La parte in corsivo non compare nella traduzione del Manifesto]

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Nota storica. Nel gennaio 2002, quando Yasser Arafat era rinchiuso a Ramallah circondato dai carri blindati di Israele, l'allora presidente del Consiglio legislativo palestinese Abu Ala invitò l'allora presidente della Knesset Avraham Burg a venire a Ramallah per colloqui. Burg accettò immediatamente l'offerta, ma il premier israeliano non era d'accordo e pose il suo veto. Burg aveva insistito: ''Andrò a Ramallah - aveva dichiarato davanti alla Commissione esteri dell'Assemblea nazionale francese - anche a rischio che venga avviato un procedimento per escludermi dalla carica di presidente della Knesset''. M.C.



UNA RISPOSTA A AVRAHAM BURG

Lei ha torto, signor Burg

di Eytan Ellenberg

Il quotidiano francese “Le Monde” pubblica, nella sua edizione del 10 settembre, un articolo di Avraham Burg intitolato “La rivoluzione sionista è morta”. Scritta dall’ex presidente della Knesset e dell’Agenzia Ebraica, ma, soprattutto, all’indomani di due massacri a Tel Aviv e Gerusalemme, ci si poteva aspettare una ferma condanna di Hamas o di Arafat. E quale è stata la mia sorpresa alla lettura di questo articolo! Sorpresa che molto rapidamente ha lasciato posto alla collera.
     Lei ha torto, signor Burg, a scrivere questo genere di cose. Lei, che ha lottato contro l’antisemitismo; lei, che continua sempre a parlare di pace e di dialogo; lei non sa qual punto quello che ha scritto è come una palla tirata sui piedi! Il suo discorso è indecente e, ancor di più, pericoloso. Soprattutto trabocca di sciocchezze. Nel momento in cui si sotterra il padre insieme a sua figlia - invece di darla a marito - lei osa scrivere: “Indifferenti alla sorte dei bambini palestinesi, perché siamo così sorpresi di ritrovarli con un ghigno di odio sulla bocca, mentre si fanno saltare in aria come martiri di Allah, nei luoghi del nostro svago perché la loro vita è un tormento; nei nostri centri commerciali perché non hanno neanche la speranza di fare, come noi, degli acquisti? Fanno scorrere il sangue nei nostri ristoranti per farci passare l'appetito. A casa loro, figli e genitori soffrono la fame e l'umiliazione.” Come commentare un’affermazione così assurda? Niente giustifica, legga bene signor Burg, niente al mondo può giustificare tali massacri.
     Vuole parlare d’umiliazione? Facciamolo. Crede che i palestinesi perpetuino in questo modo la catena degli attentati al solo scopo di mostrare la loro disperazione? Pensa davvero che ci sia solo questo

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mezzo per mostrare al mondo la loro causa, che adesso è internazionalizzata? Lei guarda le notizie alla televisione, contempla le scene d’orrore e dice: poverino, non aveva altra scelta, si è suicidato! Chi vuol prendere in giro? Peggio, lei disonora la memoria dei bambini, delle donne e degli uomini assassinati dal terrorismo islamico, lo stesso che ha infierito a New York.
     No, signor Burg: per questi genocidi non ci sono giusitificazioni, ci sono solo domande su come combatterli. Perché non scrive un pamphlet su Arafat e compagni, che hanno messo milioni di dollari e di euro nelle banche svizzere? Ah, ma per lei “Questo non può durare. Anche se gli arabi abbassassero la testa e ingoiassero per sempre la loro umiliazione, non funzionerà. Una struttura costruita sull’insensibilità umana collasserà inevitabilmente su se stessa. State bene attenti!” Ma è tutta la sinistra israeliana che è esplosa con la seconda intifada. Lei, e tutti i pacifisti benpensanti e moralizzatori, siete soltanto dei burattini ridicoli manovrati da antisemiti dell’ultima ondata che cercano tra gli ebrei quello che può dire: “Ma certo, hanno ragione i palestinesi, bisogna che gli ebrei se ne vadano da lì”. Lei ha ragione, signor Burg: andremo tutti via da Israele, gli altri paesi ci aspettano. Meno mane che c’è lei, Superman della causa ebraica! Che avremmo fatto senza di lei? La saggezza sta anche nel mostrare la propria grandezza in una battaglia di questo tipo, e Israele è grande, molto grande.
     Lei ci fa proprio ridere quando lancia in faccia a tutto Israele: “Solo i nostri fallimenti rimbombano (...) La nostra vocazione è di essere un modello, una luce tra le nazioni, e in questo abbiamo fallito.” Caro signor Burg, non attribuisca a tutti gli israeliani gli sbandamenti della sinistra e il rimbombante fallimento di Oslo. Lei parla di modello, ma conosce un solo esercito al mondo che aveva la possibilità di distruggere, con una sola bomba, tutta la direzione di Hamas, il suo peggiore nemico, e non l’ha fatto per proteggere i civili? Quanti sono gli eserciti al mondo che hanno un codice etico come quello di cui dispone Tsahal?
     Non è neanche Sharon che lei odia, ma tutta la nazione israeliana che, secondo lei, oggi non sarebbe più che “un ammasso di corruzione, oppressione e ingiustizia.” E non ci sono solo insulti, le ritira fuori anche tutte le idee più assurde che sono state lanciate contro Israele dai nostri nemici più virulenti: “Avete rinunciato alla democrazia. Realizzeremo allora un sistema efficace di segregazione etnica, di campi di internamento, di città-carceri: il ghetto Kalkilya e il gulag Jenin. (...) O ammucchieremo tutti gli arabi su vagoni, su autobus, su cammelli o asini per espellerli.” Ma, signor Burg, ha perso la testa? proferire tali ignominie non le dà alcun rimorso?
     Gli israeliani sono dei nazisti e i palestinesi i nuovi ebrei. Le vittime di ieri sono i carnefici di oggi, senza alcun dubbio. Le camere a gas sono pronte: Sharon s’è già accordato per questo col suo governo di “demolitori muti, ciechi e privi di ogni sensiblità”. Ma è del suo cuore che io mi preoccupo: nessun battito, quando applico il mio stetoscopio! I morti della vigilia, ancora caldi, non le procurano alcuna emozione?
     Ma è il mio cuore che ha avuto un colpo leggendola. Tutta l’emozione che avevo in me dopo i due attentati è venuta fuori ed è la collera che parla. Nella lotta che alcuni stanno portando avanti, ciascuno al suo livello, per ristabilire certe verità, lei viene a distruggere tutto il nostro lavoro.
     Siamo odiati dal mondo intero, mostrati a dito dalle altre nazioni, la nostra bandiera vede la stella di Davide che da blu diventa gialla. Lei crede, forse, che agendo in questo modo otterrà il sostegno necessario per la prosecuzione della sua carriera politica, ma si sbaglia pesantemente. Vada pure a negoziare con i corrotti di Ramallah o i pazzi pericolosi di Gaza; vada pure a dire a loro quello che ha scritto a noi: le offriranno un buon tè e le daranno una cassetta della loro collezione: I testamenti dei due kamikaze che hanno assassinato 15 dei suoi fratelli.
     Ballerà di gioia, allora, con i loro genitori?

(Guysen Israël News, 10.09.2003)



IL MONDO TENDE A DIMENTICARE


Il Jerusalem Post si e' rivolto con un editoriale direttamente a Terje Roed-Larsen, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente.
     "Quando i fatti cambiano - diceva John Maynard Keynes - io cambio la mia opinione". E lei, signor Terje Roed-Larsen? Ascoltando questa settimana la sua testimonianza al Consiglio di Sicurezza era difficile sfuggire alla sensazione che lei non abbia recepito praticamente nulla di quanto e' accaduto in questa regione da quando il processo di Oslo e' stato fatto naufragare nella violenza. Nel suo resoconto, lei ha fatto solo un fuggevole e distaccato accenno agli attentati suicidi in Israele, limitandosi a sollecitare l'Autorita' Palestinese affinche' "porti davanti alla giustizia coloro che organizzano e realizzano tali attentati". Non le e' sembrato necessario menzionare il fatto che alcune delle menti di questo terrorismo trovano tuttora protezione proprio all'interno dell'edificio dello stesso Arafat a Ramallah. Aggiungendo al danno la beffa, lei ha definito Arafat "il leader democraticamente eletto e, come tale, legittimo dei palestinesi".
     Naturalmente la sue parole piu' severe erano riservate a Israele che, ha detto ai suoi colleghi dell'Onu, "durante e dopo la tregua unilaterale ha continuato a effettuare uccisioni extragiudiziali ai danni di leader dei gruppi militanti palestinesi". La sua condanna dei colpi mirati israeliani contro esecutori e mandanti del terrorismo era "aggravata dalla frequenza con cui tali azioni vengono effettuate, con forze sproporzionate e in zone densamente abitate, provocando la morte di civili innocenti in violazione del diritto umanitario internazionale". C'e' da domandarsi quale sia la sua definizione di "sproporzionato". Forse secondo lei l'uso di bombe umane, imbottite di esplosivo e punte metalliche per aumentare l'effetto devastante sui pacifici passeggeri di un autobus, e' da considerarsi "proporzionato"? Eppure lei dovrebbe sapere bene che proprio poco tempo fa, subito dopo la strage sull'autobus di Gerusalemme, i capi del gruppo "militante" Hamas, compreso l'ideologo del terrore Ahmed Yassin, sono sfuggiti incolumi a un'operazione anti-terrorismo proprio perche' Israele aveva usato una bomba a basso potenziale che non distruggesse l'edificio in cui si trovavano, e naturalmente nemmeno gli edifici attorno con i loro abitanti.
     Per quanto riguarda poi la frequenza, forse le e' sfuggito il fatto che Israele aveva preferito non reagire a ben quattro attentai suicidi prima della strage sull'autobus di Gerusalemme: attentati che avevano provocato la morte di una anziana donna in un'abitazione privata di Kfar Ya'avetz, di un negoziante in una drogheria di Sde Trumot, di un cliente in un supermercato di Rosh Ha'ayin, di due passeggeri a una fermata d'autobus di Ariel. Per non contare le decine di attentati sventati proprio grazie alle azioni antiterrorismo israeliane, e il fatto che Israele avesse sospeso le azioni mirate per tutto un periodo durante il quale le aggressioni terroristiche erano diminuite, ma non erano affatto cessate.
     Innumerevoli volte gli israeliani si sono sentiti dire: iniziate voi a dimostrare buona volonta' e ne raccoglierete i frutti. Cosi' Israele si e' ritirato unilateralmente dal Libano, e ora viviamo con i razzi Hezbollah puntati sulle nostre citta' (un adolescente ucciso il mese scorso a Shlomi). Cosi' Israele ha dato armi e munizioni all'Autorita' Palestinese, si e' ritirato dalle citta' palestinesi, ha offerto ai palestinesi uno stato indipendente sulla quasi totalita' dei territori contesi, e in cambio ha ricevuto tre anni di terrorismo. Evidentemente il mondo tende a dimenticare tutto questo, e lei pure. La sua testimonianza, teoricamente da esperto, al Consiglio di Sicurezza non ha fatto che perpetuare questa amnesia. Nessuna meraviglia che, per quanto riguarda Israele, la sua opinione non conti assolutamente nulla.

(israele.net, 18.09.03)
    


ISRAELE ACCUSA L'ONU DI IPOCRISIA

    
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e' chiamato lunedi' [15 settembre] a votare su una bozza di risoluzione presentata dai paesi arabi, con l'appoggio dei paesi "non-allineati", che vieterebbe a Israele di adottare provvedimenti ai danni del presidente dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat, come l'espulsione dai territori.
     L'ambasciatore d'Israele all'Onu Dan Gillerman ha accusato il Consiglio di Sicurezza di "ipocrisia". Il Consiglio, ha sottolineato Gillerman, e' sempre pronto a riunirsi per condannare azioni d'Israele, vere o presunte, e nello stesso tempo ignora completamente gli attentati, le esplosioni e i cecchini palestinesi che mietono vittime fra la popolazione israeliana. Secondo l'ambasciatore d'Israele, anche se la risoluzione verra' presentata come una presa di posizione misurata, dal punto di vista israeliano il fatto stesso che il Consiglio si riunisca adesso e non abbia nemmeno pensato di riunirsi quando una serie di attentati palestinesi tra agosto e settembre insanguinava le strade d'Israele, e' la riprova dell'ipocrisia dell'Onu.
     "Il Consiglio si riunisce solo per discutere l'ipotesi che venga espulso un uomo che tutti considerano un assassino, responsabile di una delle peggiori ondate di attentati terroristici", ha denunciato Gillerman.
     La bozza in discussione prevede un capoverso dove, senza nominare direttamente Arafat, si afferma che "il Consiglio chiede a Israele, la potenza occupante, di cessare subito ogni misura di espulsione e di fermare ogni minaccia contro il presidente eletto dell'Autorita' Palestinese". In un altro paragrafo della bozza, il Consiglio "esprime preoccupazione per il deteriorarsi della situazione sul terreno" mettendo esplicitamente sullo stesso piano gli attentati suicidi contro la popolazione civile e le uccisioni mirate di esecutori e mandati del terrorismo.

(Ha'aretz, 15.09.03 - israele.net)
    


SCENE DI ORDINARIO TERRORE IN ISRAELE


Storia di Momo

di Deborah Fait

     Giorni fa mi colpì una lettera apparsa sul Jerusalem Post. Era di un padre, cittadino di Gerusalemme, che parlava del figlio sedicenne la sera dell'ultimo attentato al caffe' Hillel.
     Momo, così si chiama il ragazzo, stava tornando a casa quando sentì l'esplosione e, senza pensarci un attimo, si mise a correre verso il luogo dell'attentato tirando fuori dallo zainetto i guanti di gomma che portava sempre con se' poiche' era un volontario del Maghen David Adom.
     Momo, trovandosi la' vicino, fu tra i primi ad arrivare sul posto e incomincio' subito a soccorrere le vittime come gli avevano insegnato al corso paramedico, affiancato, dopo un paio di minuti dai volontari di ZAKA e dal perfetto apparato di emergenza israeliano.
     La scena che si presento' agli occhi di Momo venne da lui descritta in seguito ai genitori e al fratello come qualcosa assomigliante all'Inferno di Dante: braccia e gambe in laghi di sangue, in mezzo alla strada c'era la testa di un uomo, pezzi di corpi umani erano sparsi dovunque.
     I feriti furono fatti salire sulle ambulanze e in dieci minuti tutto era finito.
     La mamma e il fratello di Momo, corsi a cercarlo, lo trovarono coperto del sangue delle vittime e se lo portarono a casa.
     Il padre scrive: "arrivare a casa e trovare i vestiti di tuo figlio sporchi del sangue delle vittime di un attentato e' un esperienza che nessun genitore dovrebbe fare".
     Momo, nel calore della sua famiglia, abbracciato al suo cane Lucy, tentava di ritrovare la sua adolescenza, la normalita' di un ragazzo di 16 anni che aveva appena visto quello che nessuno dovrebbe mai vedere nemmeno una volta nella vita.
     Il giorno dopo, racconta il padre, Momo fu lasciato dormire, la sua insegnante telefono' dicendo che aspettavano Momo a scuola dove avrebbe potuto parlare con i suoi amici e raccontare quello che aveva passato perche' gli avrebbe fatto bene la vicinanza dei suoi compagni. E Momo ando' a scuola come tutti gli altri ragazzi di Gerusalemme, a scuola per parlare, per piangere insieme.
     Sempre il giorno dopo, il luogo dell'attentato era stato completamente ripulito anche della minima goccia di sangue e nessuno avrebbe detto che poche ore prima la' c'era l'inferno, l'inferno di odio e di morte provocato da un ragazzo poco piu' grande di Momo.
     Mentre accadeva tutto questo la televisione trasmetteva le scene di giubilo a Gaza e Ramallah.
     Migliaia di adolescenti palestinesi festeggiavano in un delirio di felicita' i due attentati perfettamente riusciti a Zrifin e a Gerusalemme, migliaia di giovani palestinesi inneggiavano ai 15 morti innocenti, tra i quali c'era una ragazza di vent'anni che doveva sposarsi il giorno dopo. Il suo fidanzato, anziche' spezzare il bicchiere sotto la Khupa' ,in ricordo della distruzione del Tempio, ha deposto nella terra , vicino alla sua Nava , l'anello che doveva metterle al dito.
     Due societa', due tipi di eroi: i nostri che cercano di salvare vite umane e i loro che cercano morte e distruzione.
     Quello che lascia interdetti e' che esiste una terza societa', quella pacifista, che e' schierata tutta con gli ingegneri della morte, contro ragazzi come Momo, e che ieri era la', al Mukata, per esprimere amore e solidarieta' al capo dell'inferno dantesco che distribuiva baci e sorrisi ad una folla di giovani assetati di sangue. Vicino a lui i pacifisti. In Israele i funerali.
    
(Informazione Corretta, 14-09-2003)


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