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Notizie su Israele 217 - 3 gennaio 2004

1. Incontro con Yasser Arafat
2. L'Autorità Palestinese e i «I Protocolli dei Savi di Sion»
3. «Nel nome del popolo ebraico, chiedo scusa»
4. Un falso motivo del conflitto arabo-israeliano
5. Nuovi immigrati accolti da famiglie israeliane
6. Israele 2003: economia in ripresa, calo dell'immigrazione
7. I rabbini mettono in guardia contro i pericoli che corre l'ebraismo
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Deuteronomio 30:6-7. Il Signore, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché tu ami il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, e così tu viva. Il Signore, il tuo Dio, farà cadere tutte queste maledizioni sui tuoi nemici e su tutti quelli che ti avranno odiato e perseguitato.
1. INCONTRO CON YASSER ARAFAT




Se l'immagine disturba,
attendere qualche istante
Il premio Nobel palestinese non si concede

"War News", un sito internet che fornisce notizie su tutti i conflitti presenti oggi nel mondo, ha inviato un suo delegato, Matteo Fagotto, a Ramallah per intervistare Yasser Arafat. L'incontro si è tenuto il 27 dicembre scorso, alla presenza dei volontari internazionali dell'IPYL (International Palestinian Youth League), che stanno svolgendo un campo di lavoro nella citta' di Gerico. L'intervista in realtà non c'è stata, perché Arafat si è rifiutato. L'intervisitatore ha però riportato sul sito di "War News" il discorso integrale di Arafat ai volontari, che qui trascriviamo.



Miei cari volontari, vi do il benvenuto in Palestina a nome del governo dell'Autorita' Nazionale Palestinese. Vi ringrazio per l'interesse e la solidarieta' mostrati nei confronti del popolo palestinese, specialmente in un momento cosi' difficile per il nostro popolo: gli Israeliani non solo continuano a opprimere la popolazione palestinese, ma ultimamente non rispettano neanche il patrimonio artistico e culturale comune alla loro e alla nostra storia.
    Il mio pensiero va in particolare alla citta' di Betlemme, tenuta sotto assedio dai militari israeliani e in cui da due anni a questa parte e' diventato praticamente impossibile per i cristiani festeggiare il Natale: che dire della statua di Maria, distrutta dalle mitragliatrici israeliane, o dell'antica chiesa di Aboud, distrutta dalle bombe dell'esercito? La comunità internazionale non da' risalto a questi avvenimenti, come non da' risalto al fatto che nella citta' di Hebron solo il 33% della moschea dove e' sepolto Abramo è stata lasciata ai Musulmani.
    Quando i Talebani distrussero gli antichi Buddha di pietra in Afghanistan tutta la comunita' internazionale si mobilito' in loro difesa; perche' questo silenzio di fronte a questo crimine contro la popolazione palestinese? Per non parlare del "muro di Berlino" intorno a Gerusalemme, che non permette piu' i collegamenti tra la Chiesa della Nativita' a Betlemme e la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Quando i nostri patriarchi hanno chiesto almeno una porta per collegare le due citta', gli Israeliani li hanno attaccati. Quando  i musulmani hanno provato a pregare nella strada che circonda la moschea di Hebron, sono stati arrestati.
    Nella guerra israelo-palestinese il nostro popolo ha perso piu' di 72.000 uomini, la meta' aveva meno di 15 anni, e il 30% ha riportato handicap permanenti, anche a causa dell'uranio impoverito che l'esercito israeliano usa negli attacchi contro i Palestinesi. L'uso dell'uranio impoverito, confermato dal rapporto di un'associazione statunitense, ha aumentato il tasso di infertilita' tra la popolazione, rendendo la tragedia del popolo palestinese simile a quelle di Hiroshima e Nagasaki. E gli USA, che hanno usato come pretesto per attaccare l'Iraq proprio il possesso di armi nucleari, tacciono di fronte agli stessi crimini comessi dagli Israeliani.
    Il muro che Israele sta costruendo attorno alla West Bank sta riducendo la nostra terra a una sorta di Bantustan, come quelli creati dal Sudafrica bianco durante l'aparthaid. Il 58% della West Bank e' stato confiscato dagli Israeliani, nella citta' di Kalkilya c'e' solo un accesso per ben 40.000 persone e Tulkarem, Jenin e Rafah (nella striscia di Gaza) sono nella stessa situazione. Molti campi profughi, come quello di Jenin l'anno scorso, sono continuamente attaccati dai loro F-16, dagli Apache, dai loro missili e dai loro carri armati.
    Per non parlare dei danni alle infrastrutture e all'economia palestinese: il 64% dei nostri uliveti e' stato distrutto, riducendo alla fame migliaia di famiglie; i pagamenti delle tasse sui prodotti palestinesi, che Israele riscuote con il pretesto che per essere esportati devono passere per il suo territorio, sono oramai fermi da mesi. Secondo un accordo siglato a Parigi, Israele avrebbe trattenuto solo il 3% di queste tasse, destinate all'Autorita' Nazionale Palestinese; ma nonostante questi accordi, Israele e' in ritardo con i pagamenti di ben 35 mesi, e solo grazie a forti pressioni internazionali siamo riusciti a ottenere recentemente il pagamento di 4 mesi arretrati. Come far fronte alle spese per l'istruzione, la sanita', i trasporti, senza quei soldi?
    Nonostante tutti i soprusi, l'ANP continua a sostenere il processo di pace, prima con gli accordi firmati alla Casa Bianca e successivamente a Oslo. Abbiamo anche accettato la Road Map, contro cui invece il governo israeliano ha posto ben 47 riserve. Mentre noi continuiamo a sostenere il processo di pace, Sharon non accetta neanche i trattati firmati dai precedenti governi israeliani.
    Vi ringrazio ancora una volta per essere venuti in Palestina a testimoniare la vostra solidarieta' alla causa del nostro popolo, vi auguro ogni bene e spero di poter festeggiare il prossimo Natale a Betlemme insieme a voi."
    

Osservazioni dell'intervistatore, Matteo Fagotto.

Qui si conclude il discorso del presidente Arafat. Ho deciso di pubblicare integralmente e nella maniera piu' fedele possibile il discorso del presidente palestinese, ma mi sento in dovere di fare qualche commento sull'incontro di stamane.
    Non nascondo la mia delusione per come si e' svolto il meeting: a me e al resto dei volontari non e' stato possibile porre alcuna domanda al presidente Arafat, neppure sui temi piu' scottanti come il futuro del processo di pace, il ritorno dei rifugiati palestinesi, i rapporti con le organizzazioni terrostiche di Hamas e della Jihad islamica e il problema delle elezioni in Palestina.
    Inevitabile che, in questo modo, l'incontro abbia perso molto del suo significato e che, da una possibile vetrina per far conoscere piu' a fondo il problema palestinese e i programmi politici dell'ANP nell'immediato futuro, si sia trasformato in una specie di tribuna propagandistica personale per il presidente palestinese.
    Mi riferisco in particolare al silenzio del presidente Arafat sul problema dei gruppi terroristi islamici operanti principalmente nella striscia di Gaza e alle accuse lanciate all'esercito israeliano sull'uso dell'uranio impoverito, accuse basate su un rapporto dell'associazione Americana "International Action Center". Il rapporto, di cui il presidente Arafat ci ha fornito una copia, non sembra portare prove sufficienti al riguardo, e le conclusioni dello stesso rapporto sembrano quantomeno azzardate.
    Esprimendo ancora una volta il mio rammarico per quello che l'incontro sarebbe potuto essere ma non e' stato, credo che l'intervento del presidente Arafat contenga comunque degli argomenti validi, in primis la denuncia delle sofferenze quotidiane a cui il popolo palestinese viene sottoposto e che verranno da me descritte nei prossimi articoli.
    Le parole del presidente riguardo al muro nella West Bank, l'impossibilita' per i Palestinesi di circolare liberamente nel proprio territorio e il disastro economico che la chiusura dei Territori sta causando meritano piu' di una riflessione, sia da parte della comunita' internazionale che dell'opinione pubblica mondiale.

(Warnnews.it, 27.12.2003)




2. L'AUTORITA' PALESTINESE E «I PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION»




Ecco come informa la TV palestinese

di Federico Steinhaus

Siamo certi che i nostri lettori sappiano cosa sono i "Protocolli dei Savi Anziani di Sion": un falso confezionato nella Russia zarista un secolo fa, nel quale si "dimostrava" che gli ebrei da sempre complottano per impadronirsi del mondo e rendere loro schiavi i non ebrei. Questo pamphlet fu sottoposto a perizie giudiziarie che ne dimostrarono la falsità, ma continua a circolare più o meno indisturbato, bandiera sempre efficace dei nazisti dell' altro ieri e dei neo-nazisti di oggi, ma anche di certi ambienti cari alle nostalgie fasciste della nostra Italia contemporanea, e dell' antisemitismo arabo (l' Arabia Saudita lo fa stampare in un numero cospicuo di lingue e lo distribuisce attraverso le sue ambasciate, ed alcuni siti web arabi lo mettono a disposizione in versione integrale, insieme alle opere dei vari negazionisti alla Faurisson).

La nostra introduzione trova un motivo preciso nell' attualità. Leggendo le citazioni che seguono ne apparirà evidente il senso.

«... si sviluppò quel che è noto come il Rinascimento Sionista, ed i germi di quel programma che è noto come "I Protocolli dei Savi Anziani di Sion" apparvero alla fine del 18. secolo... Esso fu presentato al Congresso (di fondazione del movimento sionista, nel 1897) di Basilea». (Dr. Riad Al-Astal, incaricato di Storia all' Università di Gaza).

«Theodor Herzl, il fondatore del sionismo politico, non credeva nell' ebraismo... egli era convinto che gli ebrei di tutto il mondo fossero un solo popolo solo perché erano ebrei...» (Dr. Jarir Al-Kidwah, consigliere di Arafat per l' educazione e direttore della biblioteca pubblica dell' Autorità Palestinese).

«Gli ebrei vivevano in aree isolate... erano quanto rimaneva dei Khazari... senza alcun legame con la nostra terra o la storia della nostra terra... Il nostro popolo...che proseguiva un percorso di 12.000 anni su questa terra... avvertì il pericolo...» (Dr. Isam Sisalem, storico ed educatore che lavora per la televisione palestinese).

«Vi sono due motivi principali che motivarono la Gran Bretagna e gli altri stati europei (nel decidere che in Palestina vi dovesse essere un focolare nazionale ebraico): il primo elemento era di liberarsi degli ebrei, che erano noti come quelli che provocano guerre civili, rivolte, e crisi finanziarie in Germania, in Francia ed in altri stati europei. Per quanto concerne il secondo punto, ... era di silurare qualunque speranza di unità araba» (Al- Astal).

Questo istruttivo dibattito si è svolto il 28 dicembre negli studi della televisione ufficiale palestinese, all' interno di un programma della fascia educativa che aveva lo scopo di confermare l' autenticità dei "Protocolli" e di inserirli storicamente nel contesto del sionismo, per negare ogni legittimazione allo stato d' Israele. Educatori, insegnanti, storici e politici palestinesi (incluso l' attuale primo ministro) sostengono in ogni circostanza che gli ebrei non sono un popolo e pertanto non hanno alcun diritto ad uno stato. Questo è l' argomento ideologico fondante che sostiene l' impalcatura storico-politica delle attuali posizioni rappresentate nello scenario internazionale da parte dell' Autorità Palestinese, finalizzate allo svuotamento dello stato d' Israele quale patria storica culturale e religiosa del popolo ebraico; questa delegittimazione dovrebbe poter spalancare le porte al "diritto al ritorno" dei "profughi" del 1948: una pretesa che, malgrado quanto è stato sottoscritto nell' accordo di Ginevra, viene tuttora sostenuta come irrinunciabile da tutta la leadership palestinese. Seguire la televisione e gli altri media palestinesi, e monitorare insieme a questi anche i programmi scolastici e - perché no? per l' Islam non esiste distinzione fra stato e chiesa - il contenuto politico dei sermoni del venerdì costituisce un ottimo esercizio grazie al quale otteniamo un quadro complessivo, fin troppo omogeneo e coerente, dell atmosfera sciovinista, vittimista ed aggressiva che fornisce alla politica palestinese motivazioni ed argomenti che non lasciano presagire a breve termine una evoluzione positiva e pacificatrice del contenzioso.

(Informazione Corretta, 2 gennaio 2004)




3. «NEL NOME DEL POPOLO EBRAICO, CHIEDO SCUSA»




Sentendosi sollecitato dai palestinesi a esecrare, come ebreo, ogni forma di violenza, il professor Stephan Berger, del Tel Aviv Medical Center, ha presentato pubblicamente le sue «scuse».

Dopo uno degli ultimi attacchi suicidi a Gerusalemme, il Ministro degli Esteri americani Powell ha sollecitato i palestinesi a condannare la cosa in qualche modo. Il premier palestinese si è lamentato del fatto che solo ai palestinesi si richieda di condannare il terrorismo.
    Come si poteva prevedere, nella condanna dell'attacco da parte dei palestinesi, si legge fra l'altro: «Esecriamo l'assassinio di civili da entrambe le parti».
    Forse i palestinesi hanno ragione. Per questo vorrei mettere bene in chiaro le cose, e nel nome del popolo ebraico esecrare i seguenti fatti:
  1. tutti gli attentati suicidi da parte ebraica compiuti nei confronti di arabi;
  2. tutti gli autobus arabi fatti saltare in aria da ebrei;
  3. tutte le pizzerie, i centri commerciali, le discoteche e i ristoranti arabi fatti saltare in aria da terroristi ebrei;
  4. tutti gli aeroplani dirottati da ebrei a partire dal 1903;
  5. tutte le festività di Ramadan divenute oggetto di bombardamenti da parte ebraica;
  6. tutti gli arabi linciati in città israeliane; tutti gli olimpionici arabi uccisi da ebrei; tutte le ambasciate arabe fatte saltare in aria da ebrei;
  7. tutte le moschee, i cimiteri e le scuole religiose profanate o incendiate da ebrei in Nordafrica, Francia, Belgio, Germania, Inghilterra o qualsiasi altra nazione;
  8. la distruzione di istituzioni militari e civili statunitensi in Kenia, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Yemen, nonché l'assassinio di soldati marine statunitensi e personale diplomatico;
  9. tutti i libri di scuola ebraici in cui si afferma che gli arabi hanno avvelenato le sorgenti, hanno usato sangue di cristiani per la panificazione, hanno controllato il mondo finanziario e ucciso Gesù, ovvero che gli anziani della Mecca si sono incontrati per pianificare in segreto la presa del potere mondiale.
  10. Mi vergogno poi in particolare del fatto che l'11 settembre 2001, i miei confedeli ebraici abbiano fatto saltare in aria il World Trade Center, attaccato il Pentagono e l'aviazione civile, mentre per strada altri festeggiavano questi eventi.

(da “Chiamata di Mezzanotte”, dicembre 2003)




4. UN FALSO MOTIVO DEL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO




Il capro espiatorio: i "coloni"

di Shalom Freedom


Non c'erano coloni in Giudea-Samaria e a Gaza nel 1967. Non ce n'erano nel 1956. Gli ebrei che vivevano lì nel 1947 e nel 1948, e che venivano uccisi o cacciati dagli arabi, non erano chiamati "coloni", ma ebrei di Palestina che vivono in Eretz Israel. Tuttavia, anche senza i coloni, gli arabi cercavano di distruggere la presenza ebraica nella Terra Santa e uccidevano ebrei nel modo più crudele possibile. E questo era vero anche negli anni 1920 e 1930. Non sono stati i coloni a indurre gli arabi a cercare di rendere "Judenrein" tutto Israle/Palestina.
    I coloni non sono oggi, e non non sono mai stati, la vera causa dell'ostilità araba verso Israele, a meno che non si consideri come colono ogni ebreo che vive in Terra Santa. In questo caso, sarebbero davvero i coloni quelli con cui gli arabi non vogliono vivere in pace.
    Nonostante ciò, i media mondiali, con l'istruzione della propaganda araba, continuano a vedere i coloni come il principale ostacolo alla pace. E questo nonostante il fatto che la gran maggior parte dei coloni occupano terre su cui gli arabi non vivono. In realtà, la maggior parte degli ebrei di sinistra che si uniscono a coloro che "condannano i coloni", vivono su terre che una volta erano abitate da arabi, mentre i coloni vivono su terreni che nessuno ha mai abitato.

prosegue ->
Sospetto che l'odio degli arabi per i coloni dipende dal fatto che i coloni condividono con loro certi valori. I coloni apprezzano "la terra", e anche gli arabi apprezzano la terra, sopra ogni cosa. Con i coloni hanno motivi di rivalità che invece non hanno con gli ebrei che sono contenti di vivere negli alti palazzi delle città. Gli arabi odiano i coloni perché li considerano loro autentici rivali nel desiderio di possedere terreni che in realtà non appartengono a nessuno.
    Il capro espiatorio dei coloni costituisce anche l'elemento che permette agli israeliani di sinistra di considerare il conflitto come "razionale" e "risolvibile". Per essere equilibrati, per giustificare la loro visione della pace, gli israeliani di sinistra devono trovare gli ebrei cattivi. I coloni servono a questo scopo. Con questa loro visione di "equilibrio", gli israeliani di sinistra hanno commesso un terribile errore di giudizio che è costata la vita a molti israeliani. La sinistra non capisce che il cuore del conflitto non ha nulla a che vedere con i coloni, ma è tutto incentrato nel diritto degli ebrei ad avere un loro proprio Stato in Terra Santa.
    Anche il mondo, per essere imparziale, deve trovare una fonte di male tra gli ebrei per bilanciare i mali degli arabi, come gli attentatori suicidi palestinesi. I coloni svolgono questa funzione. L'assurdità di paragonare persone il cui maggior delitto è quello di voler vivere nella loro terra d'origine con terroristi che deliberatamente uccidono ebrei ovunque li trovino, non sembra spaventare i sedicenti esperti di Medio Oriente. Loro sono sicuri che se i coloni se ne andranno, si stabilirà una vera pace.
    In verità, non è perché ci sono troppi "coloni", ma è perché il popolo ebraico ha commesso l'errore di non portare altri due milioni di persone in Giudea e Samaria, che adesso continuiamo a sentire che dobbiamo liberare queste ancestrali parti della terra ebraica dalla presenza di ebrei. L'errore di cui dobbiamo vergognarci non è che ci sono troppi coloni, ma che ce ne sono troppo pochi nelle parti della terra d'Israele più strettamente collegate a noi storicamente e religiosamente.

(Israel National News)




5. NUOVI IMMIGRATI ACCOLTI DA FAMIGLIE ISRAELIANE




A braccia aperte

di Hanan Tsafrir Aviov
     
    Cinquanta famiglie israeliane di vecchia data, residenti ad Ashdod, si sono incontrate con cinquanta famiglie di nuovi immigrati nel Centro di Assorbimento Beit Canada. Hanno cenato insieme, cantato insieme ed hanno fatto conoscenza. La direttrice del Centro, Sima Tsarfati, ha salutato gli ospiti in varie lingue, mentre il coordinatore dei Progetti di Inserimento degli Immigranti di Ashdod e Rehovot, Avi Katzman, ha recitato il Kiddush, facendo poi anche da cameriere e servendo la cena di Shabbat agli ospiti.
    L’incontro ha avuto luogo nell’ambito di un nuovo programma dell’Agenzia Ebraica, chiamato “Insieme a Casa”, il cui obiettivo è di mettere in contatto famiglie “veterane” con famiglie di nuovi immigrati. Ogni famiglia di veterani ne adotta una immigrata in Israele nell’ultimo anno, per aiutarla ad integrarsi nella società israeliana praticamente in tutti i modi possibili, compresi escursioni, pranzi, incontri o semplicemente chiacchierate di conforto al telefono.
    Il progetto, creato per iniziativa dell’Agenzia Ebraica, del Ministero dell’Assorbimento degli Immigrati e della Direzione delle Amministrazioni Locali sarà pubblicizzato nei media entro breve e ci si aspetta che prenda il volo rapidamente. Funzionari dell’Agenzia spiegano che le famiglie adottive sono state selezionate nel tentativo di adattarle alle famiglie immigrate, dal punto di vista degli interessi comuni, dell’età e della professione.
     
     
Comunicazione a gesti

    Yitzhak e Iris Bar Lev e la loro figlia Almogit, residenti in origine a Beer Sheva, ma che posseggono un appartamento ad Ashdod, fungono da famiglia adottiva ad Estela Kogan, una stilista nel campo della gioielleria, ed ai suoi figli, Diego (28 anni) che ha un B.A. in Amministrazione Aziendale, e Damian (16 anni), studente di 2° presso il Liceo ad indirizzo plurimo Zayin della città. La famiglia Kogan è immigrata da Buenos Aires sei mesi fa ed oggi affittano un appartamento ad Ashdod.
    “Ci siamo incontrati circa 6 mesi fa e da allora passiamo parecchio tempo insieme” – dice Iris – “All’inizio, ci intendevamo a gesti, ma oggi ci capiamo bene. Siamo usciti ed abbiamo organizzato pasti famigliari insieme e loro sono stati nostri ospiti per il Seder di Pesach ed anche per Rosh Hashanà. Abbiamo anche molti altri progetti, come andare insieme ad Eilat e fargli conoscere altri posti in tutto il paese”.
    Estela sente già che il rapporto ha avuto successo: “Per noi, è come se fossero la nostra famiglia” – afferma – “Festeggiamo insieme i compleanni e insieme siamo andati in gita in cammello ed abbiamo mangiato i sabras [frutto del fico d’india]”.
    Nissim e Hila Heiman, con la loro figlia Hila ed il suo fidanzatino Kfir Pe’er, hanno adottato la Famiglia Kravitz, immigrata in Israele dall’Uruguay un mese e mezzo fa. I genitori, Samuel e Alicia Kravitz, con i figli Martin (20 anni), elettricista a Holon, e Nadia (15 anni), studentessa nella classe di ulpan al Liceo ad Indirizzo Plurimo Alef, vivono nel Centro di Assorbimento Beit Canada.
    Hanno stabilito un contatto solo di recente: “Vogliamo mostrare loro la Bella Israele e la gente calorosa che ci vive” – dice Nissim – “andremo fuori insieme e faremo tutto il possibile, affinché il loro inserimento sia un successo”.
    Samuel spera che le cose si sistemino bene. “Sono contento che ci sia una famiglia così affettuosa che ci aiuta” – afferma – “Il mio sogno è di essere in grado di riparare i freni, che è il lavoro che ho fatto là dove sono nato. Speriamo che le cose si mettano bene per noi”.
    Questa settimana, Nissim è già riuscito a trovare lavoro a Samuel nel suo campo.

    
La prima famiglia

    Amikam e Tsippi Gamlieli sono in contatto con Enrique e Norma Buchman Martin, immigrati in Israele circa sei mesi fa. Amikan parla delle circostanze che li hanno fatti incontrare con i Martin: “ Li ho visti a Purim. Ero andato al centro di assorbimento, in qualità di volontario della Guardia Civica e dopo la lotteria, siamo stati scelti per distribuire i premi di Purim. Poi li abbiamo invitati a celebrare il Seder con noi e da allora siamo insieme. Siamo andati insieme al Muro del Pianto e ci sentiamo davvero come un’unica famiglia”.
     
    

Qualcosa di nuovo e speciale

    Shosh e Avraham Gorner hanno accettato di adottare i Rozen. Carlos Alberto, che fa il magazziniere, e sua moglie Paulina Perl, una maestra di yoga, sono immigrati dall’Argentina due anni e mezzo fa, lasciandovi tre figli adulti.
    Avraham considera il progetto come la chiusura di un cerchio. “Ci siamo conosciuti in un’ora” - dice Avraham – “ci siamo inseriti in questo simpatico progetto per dare quanto più possibile ad una coppia di immigrati. Molti anni fa, anche noi eravamo nuovi immigrati e decismente non è stato facile. Stiamo facendo qualcosa di nuovo e speciale, per il bene di tutti”.
    Carlos Alberto esprime un cauto ottimismo: “Il nostro sogno è di vivere bene in Israele. I nostri figli sono rimasti in Argentina e ne abbiamo nostalgia, ma il calore che abbiamo trovato qui in Israele ed ora la famiglia che ci ha preso sotto la sua protezione, ci hanno reso ottimisti e speriamo in bene”.
    
    
Qualcuno con cui parlare

    Jerry e Ora Harel hanno adottato Yefim e Zina Takitz, entrambi ingegneri immigrati in Israele dalla Russia circa sei mesi fa. La coppia ha raggiunto qui i due figli adulti, che vivono nel paese già da diversi anni.
    “Ci siamo imbattuti per caso nel programma” – dice Jerry – “Ne siamo rimasti entusiasti e dal momento che sappiamo quanto sia difficile la vita qui per i veterani e tanto più per i nuovi immigranti, abbiamo deciso di partecipare. Intendiamo dare una mano a questa simpatica coppia ovunque sia necessario; li porteremo in giro e tenteremo di alleviare i loro timori”.
    Yefim: “Abbiamo incontrato la nostra famiglia adottiva per la prima volta questa settimana e sono stati molto affettuosi e simpatici. Per noi è stato un po’ difficile per via della lingua, ma capirli è stata una vera sfida e fa parte dell’esperienza dell’inserimento. E’ molto simpatico avere qualcuno con cui parlare, soprattutto quando sei nuovo in un paese e non conosci molte persone. Mi auguro che il legame con questa famiglia israeliana si rafforzi col tempo”.

(Keren Hayesod, 2 gennaio 2004)




6. ISRAELE 2003: ECONOMIA IN RIPRESA, CALO DELL'IMMIGRAZIONE




Nel corso del 2003 sono immigrate in Israele 23.000 persone, la cifra piu' bassa degli ultimi 15 anni. Nel 1988, un anno prima dell'apertura delle frontiere dell'Europa orientale, gli immigrati furono 13.000, mentre nel 2002 erano immigrate 34.000 persone. Lo comunica l'Israel's Central Bureau of Statistics.
    Degli immigrati nel 2003, circa la meta' sono arrivati dai paesi dell'ex Unione Sovietica, il 13% dall'Etiopia, l'8% dalla Francia e il 7% dagli Stati Uniti. Nel 2003 e' diminuito anche il tasso di crescita generale della popolazione israeliana (+1,7%, pari a 116.000 nuovi cittadini israeliani).
    Per contro, dopo due anni di contrazione, si registrano segni di ripresa economica. Il Pil israeliano e' cresciuto dell'1,2%, dopo un calo dello 0,8% nel 2002 e dello 0,9% nel 2001. Il Pil pro capite (16.000 dollari) e' sceso dello 0,6%, contro un calo del 2,8% nel 2002. La spesa pubblica si e' contratta dell'1%, dopo un'espansione del 5,7% nel 2002. Secondo l'Israel's Central Bureau of Statistics, il calo e' dovuto soprattutto a una diminuzione del 4,6% delle spese militari.

(Ha'aretz, 31.12.03 - israele.net)




7. I RABBINI METTONO IN GUARDIA CONTRO I PERICOLI CHE CORRE L'EBRAISMO




L'ebraismo europeo di fronte all'islamismo radicale

In una brossura preparata dall'Agenzia Ebraica, i rabbini europei sono stati messi in guardia davanti ai musulmani che sono stati educati all'"occidentale" e vivono in Europa. Secondo l'Agenzia Ebraica, questi musulmani hanno subito una "rinascita" e hanno optato per posizioni più che radicali.
    Questa brossura è stata preparata in occasione del Congresso Internazionale dei capi di comunità ortodosse, che si è aperto il primo gennaio a Gerusalemme.
    La brossura, intitolata "Guida sull'antisemitismo e sul terrorismo nella diaspora", sarà distribuita a più di 200 rabbini e capi di comunità.
    Il rabbino Yehiel Wasserman, che dirige il Centro dei servizi religiosi nella diaspora, ha dichiarato che questa brossura ha per scopo «di far prendere coscienza di questo fenomeno».
    La brossura consiglia di non tentare un avvicinamento tra ebrei e musulmani su una base religiosa perché, contrariamente al cristianesimo, l'ebraismo non ha punti teologici in comune con l'Islam.
    Del resto, afferma che «l'Europa sta diventando a poco a poco un continente musulmano» e che «quello che è cominciato una quarantina d'anni fa come un'immigrazione di disoccupati provenienti da paesi musulmani si è trasformato in un tentativo di occupazione al fine di cambiare la faccia della storia del mondo occidentale».
    Criticato da alcuni su questi punti, considerati troppo estremisti, il rabbino Wasserman ha annunciato che alcune frasi saranno cancellate o "addolcite".
    L'antisemitismo e la minaccia che incombe sulle comunità ebraiche della diaspora saranno al centro dei dibattiti di questo Congresso Internazionale delle comunità ebraiche ortodosse.
    Tra gli ebrei francesi arrivati per partecipare al Congresso sono emerse delle divergenze d'opinione a proposito dei "consigli" sull'uso del caschetto emessi dal Gran Rabbino di Francia, Joseph Struck.
    Il Gran Rabbino di Parigi, David Messas, ha affermato che «gli ebrei devono essere fieri del loro ebraismo», senza tuttavia cercare di far nascere provocazioni.
    Riguardo alla nuova legge che vieta di portare la kippà nelle scuole, alcuni rabbini hanno dichiarato di aver vivamente consigliato ai loro fedeli di rispettare la legge e di andare a scuola a capo scoperto.

(Arouts 7, 1 gennaio 2004)

*

I pericoli dell'assimilazione

    Il Ministro del Lavoro e degli Affari sociali d'Israele, Zevulon Orlev (Partito nazionale religioso) è stato uno degli invitati d'onore del Congresso Internazionale dell'ebraismo ortodosso che si è tenuto in questi giorni a Gerusalemme. Nel corso della sua allocuzione ha sottolineato in modo particolare che l'esistenza del popolo ebraico è fondamentalmente minacciata dall'assimilazione, che per la continuità d'Israele rappresenta un pericolo ben più grande dei paesi arabi.
    Ha osservato che Israele non è risparmiato da questo flagello. Ha deplorato il fatto che la maggior parte degli scolari israeliani non studiano sufficientemente delle materie ebraiche e che ignorano le tradizioni dei loro antenati. Ha precisato che un certo numero di nuovi immigrati non si sono convertiti all'ebraismo e a questo bisogna aggiungere i lavoratori stranieri, che sono circa 300.000, e circa un milione di arabi.
    Orlev ha lanciato un pressante appello ai rabbini presenti, esortandoli a elaborare un programma d'emergenza su scala mondiale, al fine di lottare contro i misfatti dell'assimilazione che mette in pericolo l'esistenza nazionale ebraica. E ha proseguito: "Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. La responsabilità d'Israele, come Stato del popolo ebraico, non si limita alle frontiere del paese, perché abbiamo dei doveri verso l'ebraismo della diaspora. I rabbini d'Israele e quelli all'estero devono unire i loro sforzi per lottare contro tutti quelli che contestano l'identità ebraica di Israele".
    
(Arouts 7, 2 gennaio 2004)




8. MUSICA E IMMAGINI




David, Melekh Yisrael




9. INDIRIZZI INTERNET




Christian Friends of Israel

Contemporary Christian and Messianic music




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