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Notizie su Israele 233 - 8 aprile 2004

1. Riflessioni di un giornalista israeliano
2. Il gioco rischioso di Arafat
3. Bambini e coscienza
4. Contraddizioni nei racconti degli evangelisti?
5. Un'Europa ossessionata dalla paura del terrorismo
6. «Caro amico ti scrivo...»
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 37:21-22. E di’ loro: “Così parla DIO, il Signore: Ecco, io prenderò i figli d’Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d’Israele; un solo re sarà re di tutti loro; non saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni.
1. RIFLESSIONI DI UN GIORNALISTA ISRAELIANO




Amnon Rubinstein


Una stampa europea unanime


Riflessione a freddo di un giornalista israeliano sullo stato d'animo e l'atteggiamento generale dei suoi colleghi europei quando si tratta d'Israele e degli Stati Uniti.

di Amnon Rubinstein

Qualcosa d'inatteso si è prodotto nei media europei: Jean Daniel, il direttore del "Nouvel Observateur", influente settimanale parigino, ha rimproverato i suoi colleghi per il modo in cui affrontano la questione degli attentati suicidi e del terrorismo.

«Tutti i media apparsi in Francia, e ce ne sono molti, condannano il terrorismo e il fondamentalismo, ma quando si occupano del Medio Oriente vi mettono un'enfasi particolare che non può che suscitare la compiacenza del lettore riguardo a questo fenomeno», scrive Jean Daniel. «Il terrorismo palestinese - gli attentati suicidi perpetrati dai martiri - è sempre descritto come giustificato e il bagno di sangue che ne segue è presentato come la conseguenza del colonialismo israeliano. Questo favorisce un atteggiamento compiacente e indulgente verso questa violenza. Dobbiamo mettervi fine.»

    Come mai i media operanti in Francia veicolano tutti lo stesso messaggio? E se è così, come si spiega che tutti i media europei fanno la stessa cosa: una severa critica degli Stati Uniti e di Israele, una comprensione per gli "altri", cioè il Terzo Mondo. E' vero che la stampa riflette l'opinione pubblica europea, secondo cui gli Stati Uniti fanno una politica unilaterale e menzognera. Questa stessa opinione pubblica sostiene quindi la causa palestinese e si oppone a Israele.
    Bisogna tuttavia precisare che i sondaggi mostrano anche che esiste una minoranza significativa che non rientra in questo schema: il 15% dei francesi e il 22% dei tedeschi non pensano che gli Stati Uniti siano disonesti e una minoranza sostiene anche Israele.
    Questa minoranza evidentemente non ha voce in capitolo nei media europei, dove ormai si è instaurato il conformismo del linguaggio; a tal punto che si ha l'impressione che tutti gli editoriali dei quotidiani europei siano scritti dalla stessa penna - dal "Guardian" britannico al "El Pais" spagnolo passando per "Le Monde" francese e la "Neue Freie Presse" austriaca - e che si sarebbe potuto risparmiare somme considerevoli affidando le loro colonne ad un solo e unico editorialista.
    In effetti si è verificato un rivolgimento radicale nella stampa europea: nessun media oggi è etichettato di destra. Si sottomettono tutti a un codice di "politicamente corretto". Non si nota più alcuna differenza d'opinioni su certe questioni che dividevano molti giornali: la pena di morte, l'aborto, i diritti degli omosessuali, il riconoscimento dei diritti dei genitori non sposati, ecc. Anche quelli che hanno combattuto tutte queste battaglie - ivi compreso il giornalista che scrive - resta a bocca aperta davanti a un tale unanimismo.
    Come si è arrivati a tutto questo? Le risposte sono complesse, mi sembra. Anzitutto, oggi si afferma una generazione più giovane di intellettuali che hanno una coscienza anticolonialista e considerano l'Europa come responsabile dei crimini commessi contro il Terzo Mondo. In questo schema, Israele - che occupa dei territori conquistati militarmente 40 anni fa e che ha sviluppato degli insediamenti che beneficiano di un regime diverso da quello delle popolazioni occupate - sembra condividere la medesima situazione delle potenze coloniali europee (non c'è dunque alcuna ragione per condannare questi paesi per i loro errori del passato). Gli Stati Uniti sono collocati sotto la medesima etichetta in ragione del loro intervento in Iraq.
    Questo approccio è incontestabilmente superficiale: i giornali a cui Jean Daniel fa riferimento hanno apertamente sostenuto l'intervento contro i serbi lanciato dalla NATO senza l'approvazione dell'ONU, ai tempi della crisi del Kosovo, ma adesso usano gli stessi argomenti invertiti per condannare l'intervento americano in Iraq. In compenso, non si può negare la sincerità del loro credo anticolonialista.
    Inoltre, i media hanno bisogno di una preda facile per i loro editoriali e le loro caricature. Nel passato l'Africa del sud con l'Apartheid assolveva a meraviglia questo ruolo di abietto avversario. Da quando questo regime è scomparso, sono stati i serbi a rappresentare per un certo tempo questo parte. Quando anche questi sono spariti dall'orizzonte mediatico e c'era una vera penuria di nemici da detestare, gli israeliani - che insieme agli "afrikaner" e ai serbi sono visti come i bianchi che si accaniscono sui "diversi" - hanno fatto la loro comparsa.
    Finalmente si è trovato un elemento che riguarda esclusivamente Israele: le vittime della barbarie nazista si comportano oggi come i loro carnefici di una volta martirizzando i palestinesi, assimilati alle vittime ebree. Questo fa nascere paragoni tra la barriera di sicurezza e il ghetto di Varsavia o Auschwitz, paragoni che dimostrano a quale punto questo politicamente corretto e questa unanimità della stampa europea si discreditano in modo così assurdo agli occhi di quelli che, come me, condannano l'attuale tracciato di una recinzione che accerchia e soffoca i palestinesi.
    
(Ha´aretz, 1 aprile 2004)




2. IL GIOCO RISCHIOSO DI ARAFAT




Yasser Arafat, il presidente dell'Autorità Palestinese, ha recentemente proposto a Hamas di partecipare al potere in seno alla direzione palestinese, la stessa cosa che ha proposto alla Jihad islamica e a tutte le componenti terroristiche. Il riconoscimento del suo potere è la sola condizione che esige in cambio della loro partecipazione. Mercoledì [7 aprile] Hamas ha risposto positivamente a questa offerta esprimendo l'augurio che in questa operazione non venga marginalizzato.
    Sentendo il terreno mancargli sotto i piedi, Arafat tenta l'ultima carta per mandare a monte il piano di Sharon e la road map. Arafat ha sempre posto la legittimità del suo potere solo nella violenza e nell'atteggiamento costante di rifiuto. E' venuto a sapere che israeliani e americani erano sul punto di mettersi d'accordo sul disimpegno nella striscia di Gaza. Inoltre, dopo le dichiarazioni molto critiche di Mohammed Dahlan nei suoi confronti ha preso coscienza che una strategia tripartita (Bush, Sharon, Dahlan) stava per scalzare definitivamente il suo potere.
    Questa strategia tripartita mira a due obiettivi: la riduzione di Hamas alla sua più semplice espressione e il controllo della striscia di Gaza da parte di Dahlan che, improvvisamente, potrebbe ritrovarsi alla testa dell'Autorità Palestinese. Di conseguenza, Arafat il disturbatore vuole servirsi di Hamas per minare le basi di questo accordo.
    Conoscendo la popolarità di Hamas (il 17% della popolazione palestinese gli è favorevole) e il declino di Fatah (ormai soltanto il 23*% dei palestinesi lo sostiene), Arafat non ha alcun interesse a prendere qualcosa da questa alleanza con Hamas perché sa che a medio termine finirebbe per essere assorbito dal movimento islamista. D'altra parte, il portavoce del Dipartimento di Stato americano ha vigorosamente rigettato questa idea della partecipazione di Hamas all'interno dell'Autorità Palestinese: «Hamas è un'organizzazione terroristica che deve essere scartata dal potere», ha precisato.
    Ad Arafat non rimane altro che distruggere ogni prospettiva di pace per conservare un frammento di potere. Arafat preferisce regnare sul caos piuttosto che non regnare per niente.
    
(Arouts 7, 7 aprile 2004)




3. BAMBINI E COSCIENZA




Una riflessione del Presidente della Federazione delle Associazioni di Amicizia Italia Israele sugli avvenimenti di Nassirya.

7 aprile 2004

La morte degli innocenti angoscia sempre tutti noi. Quando dal Medio Oriente le cronache parlano di bambini morti, israeliani o palestinesi che essi siano ci sentiamo morire un po' anche noi. La sofferenza dei bambini e dei civili tocca la coscienza, lacera l'anima.
    E dal Medio Oriente le cronache non offrono mai il beneficio del dubbio: come mai tanti bambini palestinesi trovano la morte negli scontri? La risposta è contenuta nei titoli di solito di questo tenore " Gaza: ucciso dagli israeliani bambino palestinese di 8 anni", o peggio " I militari di Tel Aviv sparano sulla folla: 2 bambini morti".
    Ieri però a Nassirya i nostri bersaglieri hanno dovuto fronteggiare uno scontro di stile conflitto israelo-palestinese. E allora i nostri commentatori, che non mostrano mai dubbi su dove stiano i cattivi e dove i buoni, si sono trovati in imbarazzo: nel riferire correttamente degli avvenimenti dovevano scegliere se rivelare finalmente un modus operandi degli estremisti islamici, che poteva aprire gli occhi all'opinione pubblica, o equiparare anche i nostri ragazzi, italiani brava gente, ai terribili soldati "con la stella di David".
    Finalmente dunque abbiamo potuto scoprire che donne e bambini venivano spinti in avanti mentre dietro di loro i coraggiosissimi "militanti" aggredivano a colpi di mitragliatrice i soldati che devono mantenere l'ordine pubblico.
    Ci sono stati tanti morti ieri a Nassirya, forse tanti bambini morti sotto il fuoco dei "militari con il tricolore".
    Ci sarà lo stesso sdegno verso i nostri bravi bersaglieri che c'è contro i ragazzi israeliani in divisa?
    La risposta è insita nella domanda: naturalmente no. I nostri bersaglieri si difendevano e hanno fatto del loro meglio per non sparare sulla folla, proprio come in Israele, e se questo parallelismo non verrà in mente a tutti vi invito ad aiutare i vostri amici ad aprire gli occhi.
    La nostra guerra è contro un nemico che la pensa molto diversamente da noi circa il valore della vita dei propri figli.
    Ricordatelo a tutti.

Andrea Jarach
Presidente della Federazione delle Associazioni di Amicizia Italia Israele

(Amici d'Israele, 07.04.2004)




4. CONTRADDIZIONI NEI RACCONTI DEGLI EVANGELISTI?




Sul mito del deicidio
    
di Marco Ottolenghi

    La passione e la morte di Gesù sono tra gli elementi fondamentali della religione cristiana. Purtroppo, accanto alla fede, si è sviluppato nella storia del cristianesimo il mito del deicidio a danno del popolo ebraico, che ha causato una sequenza atroce di morte e distruzione.
    Quasi tutti i Padri della Chiesa contribuirono a rafforzare l'accusa del "popolo deicida" ed indussero i cristiani, con invettive feroci ed oltraggi, al disprezzo e all'odio verso il popolo ebraico, che a loro dire, un tempo prediletto da Dio, era poi diventato il popolo di Satana. Ad esempio, S. Giovanni Crisostomo scrisse che "Dio ha abbandonato gli ebrei: essi non hanno riconosciuto il Padre, hanno crocifisso il Figlio (…), la loro sinagoga ormai è la sede dei demoni e dell'idolatria".
    La questione da porsi oggi, in occasione dell'arrivo in Italia del film di Mel Gibson, è se la Chiesa e i cristiani vogliano e possano liberarsi del mito del deicidio o se siano destinati a rimanerne prigionieri.
    La pretesa di Gibson e degli estimatori entusiasti del film, quali Vittorio Messori, di attribuire ad esso una esatta ricostruzione storica dei fatti, optando per una interpretazione letterale e semplicistica dei Vangeli, non va certamente nella direzione auspicata.
    Scrive in proposito Cesare Mannucci nell'Odio antico: "i cristiani hanno il diritto religioso di crederlo [Gesù] Dio, ma non il diritto storico di attribuire questa credenza a lui e ai suoi compagni. Di conseguenza l'accusa di deicidio al popolo ebreo, o anche solo a una sua parte, può avere un significato meritevole di un'indagine psicologica, ma è un'incongruenza storica, perché nessun giudeo – dal sadduceo più codino allo zelota più fanatico – è costituzionalmente capace di vedere in un uomo, fosse pure il più grande dei profeti, il 'figlio di Dio'", cioè una sua incarnazione.
    È veramente necessario, ai fini della fede cristiana, sottolineare la presunta responsabilità del popolo ebraico nell'uccisione di Gesù, leggendo i Vangeli non come un testo religioso ma come la cronaca di un giornale?
    Come mai non è stata adottata per i Vangeli una lettura di tipo allegorico alla pari di quella proposta da molti esegeti cristiani riguardo alla Bibbia ebraica?
    L'interpretazione letterale delle parole degli evangelisti, peraltro, conduce inevitabilmente a contraddizioni inconciliabili fra le diverse narrazioni degli stessi avvenimenti.
    Per rimanere nell'ambito dei capitoli trattati nel film, la cronaca del "processo" è diversa fra Marco e Matteo rispetto a Luca, e in modo molto più profondo fra tutti e tre i sinottici rispetto a Giovanni. Le differenze sono notevoli anche riguardo alla dinamica della cattura, al momento dell'ultima cena e della crocifissione.
    Nei sinottici il gruppo armato che cattura Gesù è composto esclusivamente da ebrei, in Giovanni il gruppo è misto ebraico e romano. Gibson nel film, ovviamente, sceglie la versione dei sinottici.
    Nei sinottici l'ultima cena equivale al seder ebraico della prima sera di Pesach, gli interrogatori di Gesù hanno luogo durante quella notte e la crocifissione avviene nel primo giorno della festa. In Giovanni tutto ciò accade un giorno prima, non viene descritto alcun interrogatorio nella casa di Caifa e non si parla neppure di una seduta del consiglio avvenuta nel mattino.
    In entrambi i casi l'ambientazione temporale non regge da un punto di vista storico: per la legge ebraica, infatti, era vietato celebrare processi capitali nei giorni di festa o nel giorno precedente una festa. Inoltre, tali processi non si potevano tenere se non alla luce del giorno.
    Se pensiamo, poi, all'importanza della festa di Pesach durante il periodo del Tempio e agli innumerevoli preparativi connessi, è difficile immaginare che proprio in quei giorni l'attenzione di tutto il popolo ebraico, compresi il Sinedrio, i sacerdoti ed il sommo sacerdote, fosse rivolta non alla festa ma alla figura di Gesù.
    Gibson, nonostante abbia affermato più volte che il suo è un racconto dettagliato, preciso, quasi un resoconto cronachistico dei fatti avvenuti, nel film non fa alcuna menzione della festa. Nessuna attenzione ai riti che preparavano la celebrazione della festa, come è accennato nel Vangelo di Giovanni. Nulla di tutto ciò.
    Come se ciò non bastasse, nel film c'è qua e là qualche aggiunta al testo dei Vangeli. Gibson, ad esempio, fa dire a Ponzio Pilato una frase di sprezzante rimprovero a Caifa, quando questi gli consegna Gesù sanguinante dopo l'interrogatorio. Pilato dice nel film, ma questa frase non compare in nessuno dei Vangeli: "Usate sempre punire i prigionieri prima di averli giudicati?".
    Il garantismo e la pietà del procuratore romano, in contrapposizione alla crudeltà dei capi del popolo ebraico, potrebbe far sorridere, se non rischiasse di diventare un altro tassello nella lunga storia dell'antisemitismo.
    A differenza dei tribunali dell'Inquisizione, per i quali la tortura (il "rigoroso esame") era un elemento fondamentale, nella legge ebraica tale pratica è sconosciuta, poiché la confessione dell'imputato è irrilevante ai fini del processo: secondo il diritto ebraico non si può condannare un imputato basandosi sulla sua confessione.
    Oltre alla dinamica e alla collocazione temporale del "processo", anche l'accusa principale rivolta a Gesù non regge ad una seria analisi storica.
    Matteo in 26,63 scrive: "… il sommo sacerdote replicò: 'ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio'".
    E Marco in 14,61: "… sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?".
    Infine Luca in 22,70: "… tutti allora dissero: 'dunque tu sei il Figlio di Dio'".
    Gli evangelisti ascrivono al sommo sacerdote (Luca addirittura a tutti gli ebrei presenti) un concetto che rivela la visione cristiana del messia, che è completamente diversa da quella ebraica, e gli attribuiscono un credo cristiano che allora doveva ancora nascere. Questa è chiaramente una ricostruzione fatta a posteriori da chi ha già una consolidata fede cristiana e poca conoscenza dell'ebraismo, per il quale il messia non è e non può essere il figlio carnale di Dio.
    In aggiunta, nel Discorso della Montagna, secondo Matteo (5,17) e Luca (16,16), Gesù dichiara di non essere venuto a cambiare neppure uno iota della legge ebraica. Con questa premessa, anche una possibile dichiarazione di Gesù di essere il messia non sarebbe stata vista come un'offesa o un reato punibile con la pena di morte.
    Per chiarire meglio questo concetto, basti pensare che ancora oggi fra gli ebrei sorgono sedicenti messia, ma fin quando loro e i loro seguaci rimangono ancorati fedelmente alla legge ebraica, non sono esclusi dall'ebraismo, ma tutt'al più sono visti con una benevola ironia.
    In realtà, anche da un punto di vista strettamente teologico cristiano, il mito del deicidio non avrebbe dovuto svilupparsi e creare quelle mostruosità di cui è piena la storia delle persecuzioni antiebraiche.
    Così scriveva Padre Mariano pochi anni prima del Concilio Vaticano II: "l'opinione che stiamo discutendo [il deicidio] non ha neppure alcun fondamento teologico. Si dovrebbe, per affermarlo, giungere all'assurdo teologico che Gesù, il quale ha comandato ai suoi seguaci di perdonare ai nemici, ed esige tale perdono come condizione 'sine qua non' per ottenere il perdono dei peccati …. Egli stesso per primo, avrebbe calpestato il proprio comandamento".
    Nonostante i cambiamenti operati dalla Chiesa negli ultimi quarant'anni, il pregiudizio antiebraico è duro da estirpare e il film di Gibson non può che alimentare strumentalizzazioni da parte di chi ancora è prigioniero di questa ideologia dell'odio.
    Un esempio sorprendente del permanere dei frutti velenosi del mito del deicidio si può trovare nell'ultimo numero del mensile Jesus. Nella copertina, nonostante un richiamo agli articoli di critica al film di Gibson presenti all'interno, domina la foto di una ragazzina palestinese piangente e con indosso una bandana verde di Ez el din el-kassam (la cellula operativa di Hamas, responsabile della maggior parte degli attentati suicidi in Israele). Questa foto, insieme al titolo "Terrasanta senza pace – PASSIONE A BETLEMME", ripropone – forse inconsciamente – l'argomento della propaganda palestinese, che sostiene l'identificazione fra palestinesi e Gesù, come vittime del "popolo deicida".

(Newsletter di Morasha.it, 04.04.2004)




COMMENTO - Per reagire alle accuse di deicidio dei padri della chiesa, alle persecuzioni antiebraiche provocate dalla chiesa cattolica romana identificata tout court con il cristianesimo, alcuni ebrei credono di individuare le ragioni profonde di tutto questo nel testo fondamentale della fede cristiana: il Nuovo Testamento. Si pensa di poter individuare con facilità evidenti contraddizioni nei Vangeli e con tranquilla certezza si arriva a dire che si tratta di "una ricostruzione fatta a posteriori da chi ha già una consolidata fede cristiana e poca conoscenza dell'ebraismo". Gli ebrei hanno innumerevoli motivi per accusare uomini e istituzioni per quello che hanno dovuto subire nella storia, e quindi hanno il pieno diritto di farlo. Quanto ai testi scritti originari però sarebbe meglio essere più sobri e prudenti. Le Sacre Scritture (Antico e Nuovo Testamento) oppongono tenaci resistenze a chi vi si avvicina, e chi pensa di poterne dimostrare in quattro e quattr'otto l'inconsistenza può rimanere deluso nelle sue aspettative, come già è successo più volte. A qualcuno può dare fastidio, ma è innegabile che il Nuovo Testamento è un prodotto squisitamente ebraico. Le deformazioni storiche successive (sia ecclesiastiche che cinematografiche) sono invece pagane. L'annuncio di Gesù Messia (degli ebrei) e Signore (di tutti) è stato portato nel mondo da ebrei provenienti dalla terra d'Israele, non da pagani provenienti dalla Polonia. Che i falsi cristiani costantiniani si siano impossessati di questo messaggio per dominare il mondo angariando non solo gli ebrei, ma anche i veri cristiani bollati come eretici, non toglie nulla alla verità del messaggio, anzi lo conferma. Perché Gesù l'aveva

prosegue ->
predetto. Come cristiani evangelici letteralisti (cioè non allegoristi, né per l'Antico né per il Nuovo Testamento), troviamo nei testi biblici, e precisamente nella persona di Gesù Cristo crocifisso, il motivo e la spinta per essere dalla parte di Israele e vicini agli ebrei. Se questo non verrà riconosciuto e accolto, ne porteremo senza amarezza il peso. E' già successo a tanti altri prima di noi. Essere evangelici significa in primo luogo porre come fondamento prioritario le Scritture. Invitiamo quindi a leggere il Nuovo Testamento senza tener conto delle interpretazioni dei preti, e l'Antico Testamento senza tener conto delle interpretazioni dei rabbini. Dopo di che ciascuno potrà fare la sua valutazione e trarne le dovute conseguenze assumendosene la responsabilità davanti a Dio. E soltanto davanti a Lui.
    “Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: «Io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti». Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.”
    (Paolo di Tarso, 1 Corinzi 1:18-25)




5. UN'EUROPA OSSESSIONATA DALLA PAURA DEL TERRORISMO




Contro Israele l’antisemitismo globale
    
di Fiamma Nirenstein


Fiamma Nirenstein
Per tre anni e mezzo giornalisti, scrittori, politici, gente legata a differenti organizzazioni non hanno fatto che discutere l’enorme sconcerto, lo stupore, il dolore, di fronte al diffondersi di un nuovo antisemitismo globale... Non lo voglio descrivere qui, l’ho già fatto altrove; mi sono molto diffusa sul divorzio a partire dal 1967 fra la cultura di sinistra, cui appartengo storicamente come la maggior parte degli italiani della mia generazione, e Israele. Il rifiuto arabo, la campagna terrorista dopo l’ennesimo no di Arafat nei confronti di Barak a Camp David, le difficoltà di combattere una guerra senza precedenti contro il terrorismo e l’incitamento a uccidere gli ebrei che ha accompagnato la scelta di Arafat... tutto questo ha fatto da cornice a un crescente odio nei confronti di Israele e di tutto quello che le è connesso, ovvero gli ebrei del mondo intero.
    Non si trattava di critica a Israele, ma di pregiudizio, di odio, di antisemitismo: e il ministro israeliano per la diaspora Nathan Sharanskj, l’ex refusenik che ha imparato sulla sua pelle l’antisemitismo totalitario, ha definito e portato molti esempi delle «tre D» che mettono l’ebreo collettivo, Israele, al centro dell’odio antiebraico odierno; demonizzazione, doppio standard e denial, la negazione del diritto di esistere di uno Stato ebraico. L’Europa, sulla scia del Mondo Arabo, ha seguitato a negare per tre anni (dall’inizio dell’Intifada) che si trattasse di antisemitismo, sostenendo che questa era legittima critica della politica di Israele, o del perfido Sharon. Non destava sospetti che tale critica si esprimesse nelle caricature di Sharon nudo che mastica bambini palestinesi il cui sangue gocciola sul suo petto.
    Oggi, tre elementi fondamentali vanno messi in rilievo. Primo: quando era del tutto evidente l’ondata antisemita, il diniego europeo è stato deciso tanto da rallentare enormemente la reazione, dando il tempo al fenomeno di diventare enorme. Secondo: l’enorme mole di elaborazione spesa su questo, la massa di articoli, di libri, di convegni, di risoluzioni... ha cambiato lo stato della conoscenza. Oggi si ammette che l’antisemitismo è un problema; che la sua prima fonte di importazione che ha trovato fertile terreno nelle antiche radici europee è tuttavia, oggi, l’islamismo estremo, che genera anche il terrorismo. Terzo: Israele è il cuore dell’attacco antisemita, il conflitto è stato letto attraverso una lente deformante a causa della mole immensa di propaganda araba, e della sua alleanza con i movimenti antiglobal e antiamericani. Ma, per la prima volta nella storia dell’umanità, gli ebrei si trovano a combattere con il loro Stato a fianco, uno Stato che ha un ministero per la lotta all’antisemitismo. E’ la prima volta nella storia che l’ebreo non è solo: e Israele è un corpo democratico, moderno, influente, la cui voce è moralmente e strategicamente ascoltata dai presidenti degli Usa (da Clinton a Bush), non come un risultato di una lobby (gli arabi ne hanno una più danarosa e più vasta) ma per il retaggio morale ebraico e il suo incredibile successo nell’economia, l’arte, le scienze pure nello scontro quotidiano con terribili nemici. Mai prima d’oggi l’antisemitismo è stato un argomento di controversia diplomatica ai livelli governativi e dei forum internazionali. Per la prima volta è un problema che investe rapporti economici, o militari, o di intelligence. Ora i rappresentanti eletti del popolo ebraico possono puntare ufficialmente un dito accusatore contro le risoluzioni e i documenti nell’assemblea generale dell’Onu; o contro la Comunità Europea. L’aiuto esterno, che gli ebrei della diaspora se ne rendano conto oppure no, dona loro una forza senza precedenti.
    Tutto questo ci porta all’ultimo punto, quello strategico: la globalizzazione dell’antisemitismo va di pari passo con i suoi altri grandi problemi, sta dentro le sue contraddizioni, ed è qui che bisogna considerarla e combatterla. Il segnale di tromba lo si ha non a caso a Durban, nel 2001, quando una conferenza dell’Onu contro il razzismo si trasformò in una conferenza razzista contro Israele. Con un ritorno alla risoluzione Onu del 1975 «sionism is racism», si attribuirono a Israele tutte le colpe del mondo moderno: pulizia etnica, razzismo, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, apartheid. Ciò ricorda quello che Emile Fakenheim scriveva: prima si dice «non puoi vivere fra noi come ebreo»; poi «non puoi vivere fra noi»; e infine «non puoi vivere». Nelle strade d’Europa si sono viste scritte parallele e opposte a quelle degli anni '30: allora si scrisse «Gli ebrei in Palestina»; oggi: «Fuori gli ebrei dalla Palestina»: una specie di «destinazione, il nulla».
    In nome dei diritti umani, il messaggio globale di moda è divenuto quello della negazione che Israele appartenga alla famiglia delle nazioni, ma che sia uno stato criminale così come gli ebrei sono una nazione criminale. Questa fantasia nata nel palazzo dei sogni dell’estremismo arabo, si è innestata sulla crisi della globalizzazione europea: la fantasia sulla fame di potere degli ebrei ha sposato le teorie del complotto bellicistico giudaico americano post 11 settembre, si è accoppiato con il senso di colpa postcoloniale e con l’ira antiglobale antimperialista.
    Un’Europa ossessionata dal problema dell’egemonia americana e dalla paura della guerra, incapace di perdonare agli ebrei di essere stata la sua vittima nella Shoah, ha accettato l’antisemitismo come pegno. Eppure, troppi cristiani sono stati assassinati in tante parti del mondo, gli americani sono stati attaccati, l’Europa si è trovata popolata da cellule terroristiche, Madrid ha pianto duecento morti. Questo, mentre facevamo di tutto per dimostrare che il mondo è più piccolo e più unito, più integrato, capace di superare le differenze. I milioni di musulmani che vivono a Londra, Parigi, Roma, hanno suscitato molte speranze. Ma ecco che si è mostrato il grande rift: l’idea di una umanità unita è retaggio occidentale, non necessariamente di altre culture. Molti musulmani vedono l’unificazione come un rischio di egemonia imperiale. Molti hanno tratto dall’esperienza nei paesi occidentali disprezzo e disgusto. Sessualità, ruolo della donna, diritti civili, decenza, onore... Le differenze sono diventate motivo di frattura.
    All’inizio l’Europa ha fatto poca attenzione all’antiamerica- nismo-antisemitismo promanante da parecchie moschee. L’Europa, sempre pronta per l’antisemitismo e l’antiamericanismo, pure non è mai stata pronta ad ammetterli. Un vero antisemita esce, per la storia Europea, dalla dimensione della decenza, nessuno che sia antisemita è un vero candidato per la leadership, o nemmeno un invito a cena in una casa come si deve. Perdi la credibilità post 1945 dei diritti umani e civili se ti associ all’idea che gli ebrei e Israele siano assetati di sangue, la scoperta di essere diventati antisemiti è un lusso che solo i regimi totalitari arabi si possono permettere.
    Una democrazia europea non può: la generale cultura dell’integrazione si è presentata invece, nel tempo, con questa macchia sempre più indecente, il suo senso comune si è macchiato di antisemitismo e terrorismo. Se le istituzioni e gli intellettuali che l’hanno permesso saranno finalmente costretti a ammetterlo, la battaglia non è del tutto perduta: approfondire le contraddizioni dell’attuale società globalizzata, criticarne la confusione fra vittime e aggressori, e valorizzare i segnali di consapevolezza (ormai tanti in Europa, congressi internazionali, incontri fra Paesi), affondare la spada nella follia delle istituzioni globali create quasi apposta per criminalizzare Israele, monitorare le istituzioni internazionali cadute preda di ideologie antiamericane, segnalare il rapporto fra antisemitismo e sviluppo del terrorismo in Europa... Tante cose si possono ancora fare. Studiare l’Olocausto? Questo è un tema a sé stante. A un fulmineo approccio, la sensazione è che non sia servito quanto si sperava.

(La Stampa, 06.04.2004)




6. «CARO AMICO TI SCRIVO...»




Alla fine dello scorso anno scolastico l'Autorità Palestinese ha dichiarato i vincitori di una gara di lettere proposte ai bambini palestinesi.


di Itamar Marcus


Temi elaborati dai partecipanti:
1. Lod e Giaffa sono città palestinesi.
2. Glorificazione della violenza, odio, morte per Allah- Shahada.
3. Odio per l’America.

Introduzione
Il ministro dell'educazione dell'Autorità Palestinese (AP) ha annunciato i primi dieci vincitori fra migliaia di lettere presentate in una gara di lettere per bambini. Quello che è evidente dalle selezioni è che il ministero dell’educazione AP continua a promuovere odio e violenza come valori per i giovani palestinesi.
    Tutte e dieci le lettere hanno a che fare con il conflitto, promuovendo odio e omicidio. Non una che promuova la pace con Israele. Le lettere includono il desiderio di distruggere Israele, la voglia di ammazzare ebrei e l'odio per gli USA. Gli israeliani sono definiti come i nemici e i soldati israeliani raffigurati come se prendessero bottiglie di sangue dai bambini uccisi e il Primo Ministro Sharon viene insultato.

E' indicativo della politica educativa dell'AP il fatto che la prima lettera abbia il titolo “Ritornerò a Lod - una lettera al mio nemico”, dove il bambino palestinese scrive: “Tu non meriti Lod, e da oggi io non accetterò più la piccola vasca, [invece del mare di Giaffa]." Dando onore al rifiuto di accettare la sovranità d’Israele sulle città di Giaffa e Lod i bambini palestinesi imparano che la distruzione d’Israele è un legittimo obiettivo da raggiungere.
Se fra i milioni di lettere presentate ce n'era qualcuna che promuoveva la pace e tuttavia i leader AP si sono rifiutati di includerne anche una sola fra i vincitori, vuol dire che i palestinesi stanno continuando la loro istruzione di odio. D’altro canto, che non ci sia stata nessuna lettera che promuovesse la pace è ugualmente preoccupante, come minaccioso avvertimento del successo raggiunto dall’educazione AP nel formare una generazione improntata all’odio per Israele. Il Palestinian Media Watch Bulletin ha ripetutamente fatto notare che l’educazione all’odio ed alla violenza dell'AP è stata sempre un preciso indicatore dei suoi obiettivi e del suo comportamento nel passato.

I testi che seguono sono apparsi sul numero del 28 maggio 2003 del quotidiano Al-Quds, pubblicazione ufficiale dell’Autorità Palestinese.

1- “Ritornerò ancora a Lod”.
“Una lettera al mio nemico,
…Sono Lara da Lod, e sono una ragazza di undici anni che vive nella città di Ramallah. Ero abituata ad accettare che Ramallah fosse un sostituto per Lod, e che il grande mare fosse stato sostituito da una piccola vasca. Tuttavia, nonostante questo, voi mi avete derubata del mio semplice sogno. Siete entrati nella mia piccola casa e l'avete conquistata; avete ucciso, avete distrutto, e avete effettuato arresti. Dunque non meritate di ricevere Lod e d’ora in poi non accetterò più la piccola vasca. Sognerò il mare di Giaffa e il sole di Lod”.
(Lara Amar Scuola di Al-Janan, Ramallah, Sesto Grado).

2- “Anima mia, amore mio, perché mi tengono lontano da te?”
“Dopo aver sofferto per l’attacco contro mio fratello, lo shahid, Majdi, il 24 aprile 2002, persi anche mio padre, Naji, quarant’anni dopo, quando fu ucciso dall’occupazione.
“Mi sono precipitato a cercare mio padre agli angoli delle case, ma non sono riuscito a trovarlo. Ho guardato anche nel suo letto ormai rimasto vuoto, e l’ho pensato essere all’inferno. Io sono l’unico che ho visto la morte di suo fratello, nel momento in cui divenne uno shahid. Il mio cuore si è trasformato in un triste blocco di dolore. Un giorno comprerò un’arma e farò saltare tutte le catene. Sparerò il mio corpo vivente-morto nelle tue braccia, oh padre mio, e tu mi raccoglierai nelle tue mani. Anima mia, amore mio, perché mi tengono lontano da te?”
(Mahmoud Naji Chalilah, Jaba Boys Elementary (School) Jenin- Settimo Grado).

3- “Una bottiglia di sangue come regalo per la festa della mamma”
“Ai miei cari compagni di umanità, i soldati israeliani che sono al posto di blocco militare.
Abbiamo festeggiato la festa della mamma e poi siamo andati a trovare una famiglia che abita a poca distanza di qui per unirci a loro per la festa e portare loro le nostre benedizioni perché il loro figlio è mancato. Fratello mio, sai perché è mancato? E' morto perché uno dei tuoi compagni gli ha sparato, ed è stato ucciso all’età di 14 anni.
La tua mamma ha festeggiato il Giorno della Mamma? Non penso che lo abbiate festeggiato con lei a causa degli incarichi che dovete svolgere contro i Palestinesi. Se andrai a farle visita ti suggerisco di portarle un regalo: una bottiglia contenente il sangue di un bambino palestinese che tu hai ucciso sulla strada e che sua madre sta ancora cercando. Sono sicuro che tua madre sarà veramente contenta di questo regalo”.
(Jhouk Tarek abd Al-Chalim Anavta Girl’s (School), Decimo grado).

4- “Ti chiamano “nonno”?”

“A Sharon, senza nessun saluto.
Sharon, non sai quanto vorrei incontrare i tuoi nipoti, così potrei chiedergli se giochi con loro. Ti chiamano nonno? Oppure hanno paura di te? Vorrei dirti il segreto del mio odio per voi. L’odio che provo per voi non è per motivi religiosi, perché anch’io credo in Mosè, possa il suo ricordo essere benedetto. Vi odio perché odiate i bambini della mia nazione.
Noi amiamo la pace esattamente come voi amate la guerra. E vorrei dirti una cosa. Nel mio quartiere c'è un ragazzo molto maleducato, sai come lo chiamano? Lo chiamano “Sharon.”
[Saja Etzam Marei Mahmoud Alhamshari School, Tulkarem, Settimo Grado].

5- “Era in pace con se stessa”
Lettera ai genitori di Rachele Corey, la ragazza americana che morì quando cercò di impedire a un bulldozer israeliano di distruggere i tunnel palestinesi del contrabbando d'armi nella striscia di Gaza.
“Alla Signora Cinzia ed al Signor Craig, i genitori della Shaida (morti per Allah ) del popolo palestinese, agli americani, a Rachele Corey, Washington.
Rachele non ha attraversato l'oceano inutilmente. L'ha fatto per trasformare il suo corpo, che era di piccola misura, in qualcosa di grande in termini di amore e speranza, [per essere] come uno schermo protettivo per quelli che sono sfruttati sotto l'occupazione. E' venuta per prendere parte a un simbolico processo contro il Presidente del suo paese, Giorgio Bush, perché sapeva che il governo del vostro Presidente appoggia quello israeliano. La prova più schiacciante di questo è che il governo del vostro paese non condanna l’uccisione di vostra figlia, ma hanno cercato di condurre un'indagine sull’incidente. Vorrei invitarvi insieme a visitare la Palestina in modo che possiate rendervi conto della pace che Rachele provava quando ci ha spiegato quello che ha fatto e ha fatto quello che ha fatto.
(Mahmoud Ibrahim Alsatiti Jilabun Elementary School for Boys, Nono Grado).

6- Una lettera all’Ambasciatore Svizzero
Il vostro rispettosissimo governo ci costruì le scuole nel 1995…. Ed ora l'attuale Israele sta costruendo il suo finto recinto di sicurezza a cinque metri dalla nostra scuola. Potresti mandare al governo Israeliano una richiesta di tenere il loro muro il più lontano possibile dalla nostra scuola?”

7- Una lettera ad un soldato israeliano del blocco stradale
“Ti vedo dietro a un blocco di cemento, sulla tua schiena si trova un carico di munizioni, questo equipaggiamento è troppo pesante per te, la tua faccia mostra stanchezza e il tuo cuore è pieno di preoccupazione e paura. Vedo i miei amici che vanno a scuola e sulla schiena portano tutto l’equipaggiamento scolastico. Sui loro volti si legge speranza e felicità. Noto una grande differenza fra quello che noi portiamo sulla nostra schiena e quello che porti tu sulla tua. Voi vivete con la speranza del potere, mentre noi viviamo con il potere della speranza”.

8-10
Le ultime tre sono: una lettera a un padre in una prigione israeliana “che è come marcire in un posto dove il tempo passa come una lumaca”; una lettera ad un padre andato via quando i bambini erano ancora giovani; ed una lettera al Segretario dell'ONU contenente la lamentela: “Perché state in silenzio quando contro di noi sono perpetrati i più grandi crimini?

(Palestinian Media Watch Bulletin, 01.06.2003)




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