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Notizie su Israele 274 - 3 gennaio 2005 |
1. Una disposizione del Sant'Uffizio del 1946 2. Fa discutere l'ordine del Sant'Uffizio 3. Una reazione da parte ebraica 4. Le comunità ebraiche nell'ex Unione Sovietica 5. Sharon: «Nessun ruolo per l'Europa nel processo di pace» 6. Abu Mazen sogna Gerusalemme come capitale 7. Libri: «Ebraismo moderno» 8. Musica e immagini 9. Indirizzi internet |
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1. UNA DISPOSIZIONE DEL SANT'UFFIZIO DEL 1946
di Alberto Melloni Chi augurerà buon anno a Charles de Gaulle il 1° gennaio 1945? Questa domanda, apparentemente sciocca, angoscia Pio XII nel dicembre 1944 e segna uno snodo importante per la politica vaticana di allora e dei decenni successivi. Nella Parigi liberata di quei mesi si va infatti ricostituendo il rituale civile, a partire dagli auguri che il corpo diplomatico porge al capo di Stato. Per tradizione tali voti augurali venivano letti dal nunzio, decano del corpo diplomatico in Francia. Ma per il Capodanno del 1945 il nunzio ancora non cè. De Gaulle ha fatto cacciare monsignor Valeri, disponibile al dialogo col regime collaborazionista di Vichy. Nominare un nunzio vuol dire riconoscere il diritto di de Gaulle a epurare la Chiesa; ma non nominarlo significa cedere allanziano ambasciatore dellUrss il diritto di pronunciare il discorso dellEliseo - e per Pio XII questo sarebbe un immeritato regalo a Stalin. La questione non è protocollare. La cartina dEuropa del Capodanno 1945 racconta di destini imminenti e fatali. Per ciascun Paese è vicina la vittoria, la vendetta, la catastrofe, la libertà, la rinascita, la divisione. E il Vaticano deve riposizionare se stesso, dopo che alcuni capisaldi prima scontati (lindulgenza verso il confessionalismo autoritario, lanticomunismo ideologico, il pregiudizio antisemita, la diffidenza per la democrazia liberale) si sono rivelati radici della tragedia bellica. Ma la Chiesa può accettare una politica che adotti la democrazia nella sfida al comunismo e la rottura col nazifascismo come principio da cui essa stessa non è esentata? E a rovescio: può la Chiesa rinunciare a vivere il futuro dellEuropa per limitarsi al rimpianto dun passato inglorioso? Questo è il groviglio in cui sono impigliati gli auguri a de Gaulle del Capodanno 1945. Pio XII taglia quel nodo con una mossa personale e audace. Piglia da Istanbul, ultima retrovia della politica estera pontificia, un diplomatico di basso rango e, contro il parere di molti suoi collaboratori, lo manda a Parigi. Monsignor Angelo G. Roncalli, un bergamasco fino a quel momento sconosciuto ai più, ma non agli ebrei che aveva aiutato a fuggire verso la Palestina, sale così al primo posto della diplomazia vaticana. Il suo compito è arduo: il ministro degli Esteri Georges Bidault, proprio perché cattolico, è il più intransigente nel pretendere la testa di molti vescovi accusati di collaborazionismo; il ricomporsi politico della nazione coincide con una rinascita impetuosa della ricerca teologica che Roma guarda male; e mille questioni - dal processo di Norimberga alla nascita dellUnesco, dalla conferenza di pace alla nomina di nuovi vescovi - bussano alla sua porta. Che Roncalli se la cavi con buon successo era già noto. Ma ora possiamo capire molti dettagli inediti, perché con il volume "Anni di Francia. Agende del nunzio Roncalli 1945-1948" , Étienne Fouilloux, uno dei massimi storici francesi, pubblica le fitte note quotidiane di quel periodo. Esse svelano poco delluomo Roncalli (che con un filo di ironia trema dei successi del Pci a Sotto il Monte, suo paese natale), ma dicono molto dei dilemmi che attraversano la politica vaticana. Il cattolicesimo francese, infatti, è stato su tutti i fronti: ha collaborato e ha resistito; chiede un ricambio e offre copertura; pensa vie nuove teologico-politiche e sporge le denunzie al SantUffizio. Roncalli si muove fra questi scogli con studiata lentezza, che i testi inediti documentano ora per ora. È un nunzio fedele alla politica di Pio XII, ma ha una sua sensibilità e una sua storia. È così per la Shoah. Roncalli, appoggio sicuro negli anni dIstanbul per il rabbinato e per lAgenzia ebraica, trova a Parigi un ambiente attento e attivo: nella capitale francese Jules Isaac sta promuovendo la rete di intellettuali che redigerà i «punti di Seelisberg», coi quali si chiedeva alla Chiesa di ripudiare ogni variante dellantisemitismo; da Parigi passa il gran rabbino di Palestina Herzog, per cercare di ottenere che vengano restituiti alle organizzazioni ebraiche i bambini salvatisi nelle case e nei conventi cattolici. Roncalli, racconta lAgenda, riceve il rabbino Herzog nel 1946 come un amico e, con una lettera del 19 luglio, lo autorizza «ad utilizzare della sua autorità presso le istituzioni interessate, di modo che ogni volta che gli fosse stato segnalato, questi bambini potessero ritornare al loro ambiente dorigine». Tuttavia (come rivela uno straordinario documento, parte dellapparato del secondo tomo delle Agende di Francia , che i lettori del Corriere possono leggere in anteprima) al nunzio arrivano nello stesso 1946 istruzioni elaborate dal SantUffizio e approvate da Pio XII. Al nunzio Roncalli, la cui fraternità con gli ebrei in transito dalla Turchia non era passata inosservata, si trasmettono ordini agghiaccianti: non deve dare risposte scritte alle autorità ebraiche e precisare che «la Chiesa» valuterà caso per caso; i bambini battezzati possono essere «dati» solo a istituzioni che ne garantiscano leducazione cristiana; i bambini che «non hanno più i genitori» (proprio così!) non vanno restituiti e i genitori eventualmente sopravvissuti potranno riaverli solo nel caso che non siano stati battezzati... Alcune delle vicende su cui queste disposizioni cadono si risolveranno felicemente, ma non tutte. Di casi di sottrazione dei bambini ebrei - repliche del caso Mortara dei tempi di Pio IX nella Francia del dopoguerra - non cè per ora un censimento, se non nella memoria ferita delle vittime di questa tragedia umana e spirituale. Nemmeno Roncalli ne annota in dettaglio gli sviluppi, abile comè nel filtrare tutto in uno stile ecclesiastico apparentemente impassibile. Ma è difficile credere che questi episodi non siano alla base della sua risposta positiva a Jules Isaac, che nel 1960 gli chiede di aprire una riflessione sui punti di Seelisberg: quando nel 1955 Isaac li aveva portati a Pio XII, il Papa gli aveva detto «li appoggi su quel tavolo», quasi a marcare un abisso fisico fra due umanità; quando nel 1960 li porterà a Giovanni XXIII, questi li accoglierà e farà iscrivere il ripudio degli antisemitismi nellagenda del Concilio Vaticano II. Decisione capitale, perché diceva a tutti che la Chiesa non vive immacolata negli orrori della storia, ma ne è parte, nel bene e nel male; diceva che nellEuropa senza più innocenza del secondo Novecento il futuro non vive di mitologie del sé, ma di una memoria umile e sincera, radice dindispensabile cambiamento, anima della speranza nel tempo. (Corriere della Sera, 28 dicembre 2004) 2. FA DISCUTERE L'ORDINE DEL SANT'UFFIZIO SUI BAMBINI EBREI «Il Vaticano non può beatificare Pio XII» di Antonio Carioti Cera da aspettarselo. Il documento del SantUffizio pubblicato ieri dal Corriere della Sera ha riacceso le polemiche sulla possibile beatificazione di Pio XII. A sollevare la questione è Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche italiane, che si dichiara «allucinato» e bolla come «agghiacciante» e «orrendo» lordine, approvato da Papa Eugenio Pacelli, di non restituire alle famiglie i «bambini giudei» battezzati che avevano trovato rifugio presso istituzioni cattoliche francesi durante loccupazione nazista. Se il Vaticano deciderà di beatificare comunque Pio XII, nonostante questa scoperta archivistica, Luzzatto non esclude «che vi saranno problemi nei rapporti con gli ebrei». A suo parere, siamo di fronte a una vicenda ancora più grave del famoso caso di Edgardo Mortara, il bambino ebreo bolognese sottratto alla famiglia, perché battezzato, allepoca di Pio IX, prima che scomparisse lo Stato Pontificio. Il documento infatti, sottolinea Luzzatto, «porta la data dellottobre 1946», quando «tutti già sapevano che cosa era successo agli ebrei dEuropa, conoscevano gli orrori dei campi di concentramento». Eppure la decisione del SantUffizio «non fa cenno alcuno» allOlocausto: «È un documento arido, burocratico - insiste Luzzatto - che non ha nessuna sensibilità, mi spiace dirlo, per la Shoah». La diatriba pare destinata a inasprirsi, visto che sulla sponda opposta padre Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione riguardante Pacelli, sostiene che il documento uscito sul Corriere , «ammesso che sia autentico, non inficia affatto la santità di Pio XII». E si richiama al diritto canonico vigente allepoca. «Secondo la dottrina prevalente del tempo - spiega Gumpel - se un bambino riceveva il battesimo aveva il diritto ad avere uneducazione cattolica ed era considerato ormai membro effettivo della Chiesa. Ciò lo poneva sotto la giurisdizione dellautorità ecclesiastica: una vecchia legislazione che non derivava da Pio XII. Lui applicò solo le norme in vigore». Sembra insomma che la vicenda riproponga lantico e angoscioso dilemma di Antigone: da una parte linflessibile dettato delle norme scritte, per giunta religiosamente ispirate; dallaltra il senso umanitario e il rispetto del legame filiale tra bambini e genitori. Ma va aggiunto che le istruzioni del SantUffizio riguardavano anche gli orfani ebrei non battezzati, per i quali si suggeriva che la Chiesa continuasse a farsene carico, a dispetto delle richieste delle comunità israelitiche. Non bisogna dimenticare poi che il nunzio pontificio in Francia Angelo Roncalli (divenuto poi Papa Giovanni XXIII), con una lettera del luglio 1946, aveva appoggiato lazione del rabbino Herzog, impegnato nella ricerca dei piccoli ebrei accolti nei conventi. Dunque nella gerarchia ecclesiastica potevano manifestarsi atteggiamenti di maggiore apertura, anche se non è chiaro come Roncalli abbia poi accolto la decisione del SantUffizio, posteriore di alcuni mesi alla sua lettera. Peraltro Gumpel avanza delle riserve anche sullautenticità del documento, chiedendosi perché sia finito in un archivio diverso da quello della Nunziatura. È evidente che la questione merita di essere approfondita in ogni suo aspetto. (Corriere della Sera, 29 dicembre 2004) 3. UNA REAZIONE DA PARTE EBRAICA Quando il male ha la capacità di annullare il bene di Federico Steinhaus Largomento di questa analisi non è strettamente di nostra pertinenza, se non per il fatto che il Corriere della Sera ha dato una grande rilevanza alla notizia, e che la notizia riguarda un problema quello dellantisemitismo del quale ci siamo occupati in più di una occasione. Il Corriere della Sera del 28 e 29 dicembre pubblica, sia nel suo sito web sia nella versione cartacea, un articolo di Alberto Melloni ed una pagina di reazioni e commenti. Larticolo di Melloni, molto ben scritto e documentato, rievoca il periodo dellimmediato dopoguerra, i cruciali anni 1945 e 1946, nella Francia libera ma dilaniata ancora dalle conseguenze della frattura dolorosa di Vichy; il ruolo di protagonisti spetta, in questa rievocazione, a papa Pacelli (Pio XII) ed a mons. Roncalli (il futuro Giovanni XXIII) suo nunzio a Parigi. Lo sfondo è quello della Shoah. Sorvoliamo sui rapporti di mons. Roncalli con esponenti ed istituzioni dellebraismo, e diamo per scontato che tutti sappiano che, ovunque egli andò in quei tragici anni, fu sua premura aiutare incondizionatamente gli ebrei in cerca di salvezza. Diamo ugualmente per scontato il fatto che tutti riconoscano che la Chiesa, per mezzo delle sue istituzioni locali, aiutò moltissimi ebrei a trovare rifugio nelle chiese e nei conventi, e che in tal modo essi poterono sfuggire alle deportazioni. Ma, ecco la domanda che insinua un dubbio atroce, quanti di questi sacerdoti, frati,suore agirono spontaneamente ed in modo assolutamente disinteressato, e quanti invece lo fecero allo scopo di impadronirsi delle anime di questi miscredenti maledetti da Dio? Già, perché in quel tempo era questa limmagine che dellebreo veniva trasmessa nelle scuole e nelle chiese, ed ancora oggi, quarantanni dopo che Papa Giovanni XXIII ne pretese labolizione, vi è chi ne è convinto. Dobbiamo anche ricordare che, con Pio XII, la Chiesa si oppose frontalmente al sionismo ed allipotesi della rinascita di uno stato ebraico in Palestina; e dobbiamo ricordare che subito dopo la caduta del fascismo Pio XII inviò padre Tacchi Venturi da Badoglio per chiedergli di non abrogare le leggi razziali volute da Mussolini nel 1938. Nessuna ambiguità, dunque: Pio XII aveva affermato che si dovessero aiutare gli ebrei a salvarsi in quanto individui, senza per questo riconoscere le loro aspirazioni come popolo. Questo è il punto di contatto fra loggetto della scoperta storiografica di cui riferisce il Corriere della Sera, con le sue implicazioni di antigiudaismo teologico, e lantisionismo che fu la linea politica ufficiale della Santa Sede con Pio XII, ma anche, in maniera meno drammatica, dei suoi successori, che rifiutarono per decenni di riconoscere lesistenza dello Stato dIsraele e di ammettere un qualche diritto dIsraele a far rientrare nei propri confini e nella propria sfera di sovranità i Luoghi Santi. Ma cosa successe in quel 1946 di faticosa ricostruzione di unEuropa stremata, affamata, dolente? Successe che, riferendosi ai molti bambini ebrei accolti caritatevolmente nei conventi ed in altri luoghi protetti della Chiesa di Francia, il 20 ottobre 1946 Pio XII impartì precise disposizioni attraverso il SantUffizio: * Non si risponda per iscritto alle Comunità israelitiche che chiedono la restituzione dei minori, si prenda tempo. * I bambini ebrei battezzati "non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l'educazione cristiana", e quelli non battezzati non dovranno essere affidati "a persone che non hanno alcun diritto su di loro"; potranno essere restituiti ai genitori solo qualora "non abbiano ricevuto il battesimo". Queste poche, ma chiarissime, direttive emanate un anno e mezzo dopo la fine della guerra, quando l' enormità della tragedia abbattutasi sul popolo ebraico era già nota, costituiscono la prova inconfutabile di un atteggiamento medievale della Chiesa nei confronti degli ebrei. La singolarità delle argomentazioni firmate da illustri pensatori cattolici, portate a fondamento degli scritti in difesa delle decisioni assunte dal papa - il battesimo non è reversibile e dà alla Chiesa il potere assoluto sul battezzato, chiunque egli sia - non sono che una aggravante di questa empietà commessa contro le leggi dell' umanità, i diritti della famiglia, contro Dio stesso se vogliamo considerarlo unico per tutto il genere umano. Ma, se vogliamo rimanere sul piano politico dei giudizi che a noi è più congeniale, in questa situazione emersa in maniera così imprevedibile la vera discriminante è la Shoah. La Shoah costituisce uno spartiacque storico nel quale la morale e la politica confluiscono per determinare un "prima" ed un "dopo". Prima della Shoah un atteggiamento antigiudaico basato su argomentazioni teologiche costituiva, nella Chiesa cattolica, la regola: eredità di 1900 anni di discriminazioni, emarginazioni, massacri ed anche semplici ingiurie assurte ad insegnamento ufficiale, esso non destava stupore né scandalo, faceva parte insomma del corso naturale della storia umana. Ma dopo Auschwitz esso divenne insostenibile ed intollerabile indipendentemente da ogni altra considerazione che lo potesse spiegare: per il solo fatto dello sterminio commesso in un continente intriso proprio di quella cultura antigiudaica che aveva consentito anche ad un regime dichiaratosi ateo di far germogliare la malapianta dell' odio antiebraico, che portò i frutti noti come campi di sterminio, l' antigiudaismo cattolico era stato svuotato di ogni sua presunta motivazione. Ma così non fu, evidentemente, se il papa stesso potè basarsi su una visione oscurantista del battesimo, della scelta consapevole cioè di una religione, per farne uno strumento imposto con la implicita violenza del mondo esterno e con la esplicita posizione di inferiorità dei battezzandi: bambini incosapevoli, soli, trovatisi alla mercè di persone che, sole, potevano salvare loro la vita. Lo abbiamo definito un furto di anime, ma fu anche di peggio, fu la separazione violenta delle famiglie, fu la dispersione di una identità storica emozionale e culturale, fu un colpo di spada che recise legami millenari. Fu un crimine contro l'umanità, e chi oggi lo difende e giustifica se ne dovrebbe invece vergognare, ricusandolo con orrore. (Informazione Corretta, 30 dicembre 2004) 4. LE COMUNITA' EBRAICHE NELL'EX UNIONE SOVIETICA Intervista con Julia Koschitzky, ex-Presidente della Commissione dei Fiduciari del Keren Hayesod e Co-Presidente della Commissione per lEducazione dellAgenzia Ebraica. In ottobre, Julia Koschitzky ha passato quattro intense giornate in visita di accertamento della situazione nellex-Unione Sovietica. In unintervista speciale al sito web del Keren Hayesod, in occasione dellanniversario della fondazione dellorganizzazione, Julia Koschitzky ha comunicato le sue impressioni, le sue sensazioni e le conclusioni tratte da questa visita. Ci può dire qualche cosa sul background della sua visita, dei suoi motivi e dei suoi obiettivi? Nella mia funzione di co-presidente del Dipartimento di Educazione dellAgenzia Ebraica, ho ritenuto che facesse parte delle mie responsabilità visitare lex-Unione Sovietica, dove abbiamo fatto investimenti più che cospicui in programmi e attività educative ebraiche. Ho voluto vedere in prima persona alcuni di questi programmi, poiché, pur avendo letto un numero infinito di rapporti e avendo visto splendide presentazioni in Power Point, nulla può prendere il posto di una visita personale. Sono stata molto fortunata perché sono stata accompagnata dal direttore del Dipartimento per lex-Unione Sovietica dellAgenzia Ebraica, Gerda Feuerstein e da Gadi Dror, dierttore per le Regioni dellEst del Keren Hayesod, che ora è molto impegnato in tutta questa zona. Mi è sembrato che questi quattro giorni fossero come sei mesi. Ho imparato così tanto ed è chiaro che è necessario essere sul posto di persona, vedere, sentire e toccare, conoscere il tipo di persone che sono impegnate nel nostro lavoro, quegli shlichim che svolgono davvero lopera del Signore a nome nostro, persone che dedicano la loro vita alleducazione ebraica e sionista. Può spiegarci più ampiamente che cosa ha visto durante la sua visita? Abbiamo visto una grande quantità di programmi educativi e di scuole, dove anche noi introduciamo qualcosa, come ad esempio, le scuole di Chabad (Lubavitch) e tutta la rete Chabad. Fanno un lavoro incredibile. Sono persone piene di passione, impegnate ed hanno un solo obiettivo: rinnovare la vita ebraica in quelle regioni. Abbiamo con loro una certa forma di collaborazione e per me è stato affascinante vedere come sia possibile |
lavorare insieme ai Chabad per creare un sano ambiente ebraico e sionista. Il mio proposito era davvero di vedere che tipo di lavoro stiamo facendo, per esempio, nel programma Chefziba. Chefziba è un' organizzazione-casco che abbiamo creato in società con il governo israeliano, che aveva chiesto allAgenzia Ebraica di assumersi la responsabilità delleducazione formale. In questo modo, abbiamo la possibilità di influire sul corso di studi, che consideriamo più adatto alla popolazione di quelle regioni. Ci sono circa sessantacinque scuole sotto lombrello dellorganizzazione Chefziba, che vanno dallORT, al Chabad e alle Scuole Simcha e Or Avner. Si tratta dellintera gamma delle correnti di educazione ebraica sotto un solo tetto ed è davvero la maggior fonte di specializzazione ebraica-sionista oggi esistente. Una delle cose che ho imparato è stato che, sebbene le cifre dellalià siano in calo, linteresse per gli ulpanim è del tutto sorprendente. Abbiamo visto persone anziani, giovani, famiglie che studiano insieme e persino particolari programmi di ulpan, per persone che si specializzano in musica, arti o informatica. Come spiega il grande interesse per Israele e lo studio dellebraico? Penso davvero che in questo momento abbiamo una piccola finestra di opportunità. Ritengo che vi sia ancora un grande serbatoio di olim potenziali, probabilmente il più grande del mondo, ed anche se per il momento hanno messo lidea dellalià in disparte, hanno ancora in mente questo pensiero. Per quanto vi sia la sensazione di un nuovo tipo di democrazia e di un nuovo genere di risveglio di tipo occidentale, colgo ancora un senso di incertezza ed instabilità. Non penso che il sistema democratico sia ancora completamente saldo in sella e così la gente si prepara a diverse possibilità. Direi che il loro interesse negli ulpanim e nellebraico come lingua derivi dal fatto che Israele e lebraico rappresentano le loro categorie di ebraismo. E il loro modo di rimanere in contatto, la loro corrente vitale nei confronti del Popolo ebraico e dello Stato dIsraele. Penso che lebraico svolga un ruolo importante. Quando ero là, ho preso parte ad alcune di queste lezioni di ebraico, a cui la gente arriva dopo il lavoro. Devono andare a piedi per lunghi tratti, perché la più vicina stazione della metropolitana può essere anche a venti minuti di distanza e mi chiedo: in quale delle nostre comunità della Diaspora si possa trovare questo tipo di interesse e di impegno? E vedere tutta quella gente di età diverse arrivare insieme; persino i ragazzi, dopo un lungo giorno di scuola, vengono a questi gruppi giovanili, per una certa qual forma di soddisfazione ebraica-sionista, perchè sentono che si tratta della loro corrente vitale ebraica. Non si tratta di persone che necessariamente appartengono ad una sinagoga e che hanno quel senso di comunità che noi conosciamo dalle nostre diverse comunità della Diaspora, così che gli ulpanim, le attività connesse con Israele e le attività giovanili incentrate su Israele, hanno per loro un grande significato e sono convinta che essi sentono di volere questi legami. Penso che ci sia un risveglio e che abbiamo lopportunità di sfruttarlo. Ritengo che sia solo una cosa temporanea, e, parlando con alcuni dei rabbini e degli insegnanti, ho visto che la pensano allo stesso modo. Dobbiamo trasformare leducazione ebraica-sionista nella forza più attraente ed irresistibile della loro vita, poiché leccellenza è di importanza primaria. La gente vuole il meglio per i loro figli, così, qualsiasi cosa investiamo nelleducazione ebraica, per renderla di un grado al di sopra della media, sarà attraente. Anche nellambito del sistema scolastico, se noi riusciamo a fornire, ad esempio, pasti caldi e trasporti, è altrettanto importante quanto buoni maestri e buoni libri di testo: qualsiasi cosa possa darci un ventaggio. Una cosa che mi ha davvero fatto unottima impressione sono stati i programmi di Bar/Bat Mitzvà. Un padre di ha detto di essere impaziente che sua figlia frequentasse il programma di Bat Mitzvà, perché i suoi nonni erano stati uccisi a Babi Yar. Quindi cè un collegamento, e ora cè una sensibilità crescente per lOlocausto, di cui non sanno molto. Dobbiamo istruirli sullOlocausto e su quanto è accaduto in questo tragico capitolo della nostra storia, e dobbiamo sensibilizzarli, perché, una parte della nostra competizione, in forma negativa, è con la Germania, che ci fa concorrenza. Moltissimi ebrei russi vanno in Germania. Ce ne sono già 200.000 laggiù. Può condividere con noi altre esperienze commoventi? Ciò che mi ha veramente commosso è stato constatare quello che è accaduto negli ultimi dodici anni, da quando siamo stati là lultima volta. Le conferenze del Keren Hayesod furono tenute in Russia nei primi anni 90, con larrivo delle grandi ondate di immigranti. Non dimenticherò mai i momenti in cui stavamo alle stazioni di transito a Budapest, per accogliere parte di questi nuovi immigranti. Alcuni dei giovani teenagers diretti in Israele, che incontrai allora con i loro genitori, hanno frequentato scuole israeliane, si sono arruolati nellesercito, hanno studiato nelle università israeliane ed ora ritornanto nellex-Unione Sovietica, per restituire un po di quello che hanno ricevuto, sono gli insegnanti e gli shlichim di oggi. Per me si tratta di una cosa molto toccante, ogni volta che chiediamo a qualcuno: Da dove vieni? e lui risponde: Beh, ero un nuovo immigrato da Mosca o da Kiev. Abbiamo chiuso un cerchio, dai primi giorni dellExodus fino ad ora ed abbiamo visto che parte degli sforzi fatti in tale investimento, sono ritornati indietro, sotto forma di reinvestimento nel potenziale umano rimasto nellex-Unione Sovietica. I giovani che abbiamo accompagnato in quei treni diretti in Israele, sono diventati adulti istruiti, si sono costruiti una vita in Israele ed ora loro stessi si sentono responsabili e obbligati a dare ad altri le medesime opportunità che hanno ricevuto. Un altro grande momento è stata la visita alla Scuola Simcha di Mosca, di cui siamo compartecipi con il movimento Chabad. Molti dei bambini vengono da famiglie molto povere, per cui la scuola li accoglie la mattina alle sette ed i genitori li vengono a riprendere alle sette di sera. Lì vengono vestiti, ricevono delle belle uniformi e anche le scarpe, ricevono ottimi pasti caldi e vengono istruiti. Sentire questi bambini, questi bambini russi, parlare lebraico e dire la Berachà di Netilat Yadayim prima del pasto, poi cantare delle belle canzoni, ogni genere di belle canzoni, da quelle ebraiche moderne ai vecchi canti sionisti, che gli insegnano i maestri israeliani ... Gerda Feuerstein ed io siamo scoppiate in pianto, perché è davvero una cosa incredibilmente toccante vedere la dedizione di queste persone, di questi educatori e la nostra capacità di lavorare in collaborazione con alcune di queste scuole. Se non ci vai di persona e non lo vedi con i tuoi stessi occhi, non puoi immaginare quanto sia meraviglioso. Unaltra cosa che mi ha davvero colpito è stato ricordare come dodici anni fa eravamo alla Sinagoga Coral ed abbiamo visto entrare uno o forse due ebrei anziani, mentre adesso, allora di pranzo, cè una lezione del Kollel Tzionit, dove uomini di età diverse studiano per tutto lintervallo del pranzo. Mentre li guardavo, pensavo: Guarda dove siamo arrivati, guarda che cosa hanno fatto i nostri investimenti. Puoi vedere i frutti della nostra fatica, di quello che ci abbiamo messo e che cosa è stato creato. Se si pensa alle nostre comunità, siano esse in Canada, in Australia o in Sud Africa, ci sono volute generazioni per costruire il genere di comunità che oggi abbiamo là, mentre qui, nellarco di dodici anni, ci aspettavano miracoli ed abbiamo creato miracoli. Ma abbiamo ancora molta strada da fare. Guardando al futuro, quali pensa siano le sfide maggiori che adesso dobbiamo affrontare? Credo che dobbiamo mettere laccento sul tentativo di colmare il divario fra leducazione religiosa e leducazione ebraico-sionista. Credo che sia compito dellAgenzia Ebraica colmare tale divario e riempire il vuoto oggi esistente. Dobbiamo tentare di sfruttare le numerose opportunità, perché ci sono molti modi su cui possiamo focalizzare parte delle nostre energie: programmi specifici, ad esempio, come la partecipazione a shabbatonim per intere famiglie. Dobbiamo sfruttare le reti di educazione ebraica per coinvolgere i genitori, le famiglie, poiché sono convinta che questa sia la chiave del futuro. Ritengo che linsegnamento a distanza sia un modo di aiutare le aree periferiche. Io stessa non sono andata fino alla regione dellundicesimo fuso orario, nel Birobijan e nellestrema Siberia, dove pure abbiamo shlichim che fanno un lavoro incredibile, ma non hanno le stesse risorse educative che esitono a Kiev, a Mosca e a San Pietroburgo. Penso quindi che abbiamo da fare un sacco di lavoro per portare le conoscenze ebraico-sioniste, i programmi e lesperienza pedegogica in quelle zone, per mezzo dellapprendimento a distanza basato sullhigh-tech. In una delle scuole, la Scuola Lipman di Mosca, ho visto che gli allievi del penultimo anno di liceo ricevono lezioni in video-conferenza e noi possiamo compartecipare a questi progetti. Vi è anche un risveglio nelle università dei programmi accademici in Studi Ebraici. Noi possiamo aiutare nellorganizzazione e sponsorizzare convegni per i professori. I programmi di Bar/Bat Mitzvà sono davvero eccezionali e poi, ovviamente, ci sono i campeggi estivi. I campeggi estivi rappresentano veramente unopportunità di dieci giorni-due settimane e stiamo seriamente tentando di elaborare e compartecipare ad un programma di tre settimane. Si tratta di un reale risveglio per gli studenti ebrei, che potrebbe riaccendere la loro coscienza ebraica. Vi sono ancora molte sfide, che sono schiaccianti, e dobbiamo pensare in modo creativo, per ottenere il massimo dalle opportunità esistenti, che sono limitate e stanno restringendosi. Penso che non abbiamo ancora visto la fine del Grande Esodo e possiamo ancora attivare a decine di migliaia di ebrei. Fino a questo momento abbiamo visto i frutti della nostra fatica nel breve spazio di dodici anni e come essi influenzino la vita ebraica nellex-Unione Sovietica, ma il potenziale delleducazione ebraico-sionista e dellalià è ancora molto promettente. Sono davvero convinta che la nostra leadership del Keren Hayesod debba recarsi in questi paesi, perché è lì che si possono vedere i risultati tangibili di ciò che facciamo ed il potenziale è ancora abbastanza notevole. In termini più generali, per quanto riguarda lintero mondo ebraico, come definirebbe le principali sfide di oggi, nel campo delleducazione ebraico-sionista e della continuità? Il mondo del Keren Hayesod può essere molto fiero di ciò che è stato compiuto negli ottantaquattro anni della sua esistenza ed il lavoro continua. Credo che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sul milione e settecentomila giovani di età compresa fra i 18 ed 26 anni, in tutto il mondo, su questa fascia di età, impegnarli con Israele, facendogli riscoprire le loro radici ebraiche. Credo che questi programmi a lungo termine, che tentano di incoraggiare i giovani a venire in Israele per un programma semestrale o annuale, siano per noi una grande occasione. Sono essenziali per la prossima generazione. Questa è la nostra missione. E una specie di missione di sopravvivenza. Molte grazie per avere condiviso con noi le sue idee personali sulla situazione attuale nellex-Unione Sovietica e sul lavoro del Keren Hayesod-UIA in questa regione. (Keren Hayesod, 24 dicembre 2004) 5. SHARON: «NESSUN RUOLO PER L'EUROPA NEL PROCESSO DI PACE» GERUSALEMME - Secondo Ariel Sharon non potra' esservi alcuno spazio per l'Unione Europea nei futuri colloqui di pace sul Medio Oriente a causa dell'approccio "squilibrato" della stessa Ue rispetto al problema, e in particolare dell'atteggiamento nei confronti d'Israele; l'unico "ruolo positivo" che il premier ebraico si e' detto disposto a riconoscere ai Venticinque consisterebbe nel premere sui palestinesi affinche' varino finalmente profonde riforme politiche, adottino "leggi contro le organizzazioni terroristiche" e pongano termine una volta per tutte alla lotta armata. Sharon, nel manifestare la propria drastica opposizione a un intervento comunitario nel processo di pace, ha preso posizione nel corso di una riunione con gli ambasciatori israeliani nel mondo: "Esistono tuttora resistenze contro il diritto del nostro popolo a uno Stato ebraico", ha denunciato il leader del Likud. "Io me ne rendo ben conto, ed e' anche un risultato dell'anti-semitismo nonche' una conseguenza dell'esistenza di vaste comunita' arabe in Europa"."In occasione di tutti gli incontri che intrattengo con capi di Stato e altre personalita' straniere", ha proseguito Sharon, "io insisto sempre e parlo loro del diritto del popolo ebreo a una patria e a uno Stato ebraico indipendente, nella culla ove quello stesso popolo e' nato. Mi sembra", ha incalzato rivolto ai diplomatici, "che con tutta la vostra esperienza e le tante persone da voi conosciute non sottolineiate questo punto con sufficiente fermezza. Il diritto del popolo ebreo dev'essere enfatizzato in ogni appuntamento o colloquio. Il mondo occidentale, e i Paesi piu' o meno nostri amici, pongono invece senza sosta in dubbio tale diritto del nostro popolo alla terra d'Israele. Sappiatelo", ha concluso, "a mio parere chi non insiste su quel diritto non adempie le proprie funzioni". La sortita del premier israeliano fa seguito all'annuncio da parte del pari grado britannico Tony Blair, la settimana scorsa, dell'intenzione di convocare per il 2005 una conferenza di pace a Londra. L'iniziativa, molto bene accolta dall'Autorita' Nazionale Palestinese (recandosi a Ramallah, Blair e' stato il primo leader straniero a visitare un territorio autonomo palestinese dalla morte di Yasser Arafat, avvenuta l'11 novembre), e' stata accettata in linea di principio pure da Israele, che non ha pero' assicurato una partecipazione diretta, puntualizzando altresi' di non considerare l'evento alla stregua di un autentico forum negoziale. Sharon e' parso inoltre voler ribattere a quanto dichiarato dal ministro degli Esteri olandese Ben Bot, il cui Paese riveste la Presidenza semestrale di turno dell'Ue, secondo cui quest'ultima e' ormai considerata a tutti gli effetti parte nel processo di pace mediorientale, anche dagli Usa e dallo Stato ebraico medesimo. (AGI Online, 29 dicembre 2004)) 6. ABU MAZEN SOGNA GERUSALEMME COME CAPITALE Abu Mazen ha un bel vestirsi all'occidentale, con la cravatta, i suoi discorsi non lasciano ombra di dubbio. Due giorni dopo la sua visita a Jenin, dove è stato incensato dai terroristi delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, il candidato del Fatah ha calcato la dose durante la sua campagna elettorale nella Striscia di Gaza. «Noi continueremo la lotta là dove l'ha lasciata Arafat, fino a che un ragazzo o una ragazza palestinese potranno agitare la bandiera della Palestina sulla moschea di Al-Aqsa», ha dichiarato in un incontro a Rafiah. La riunione si è tenuta in occasione del quarantesimo anniversario della creazione del Fatah, il 1 gennaio 1965. In quel giorno l'organizzazione terroristica aveva messo in opera la sua prima azione, attaccandosi all'acquedotto nazionale che permette alle popolazioni del centro e del sud d'Israele di ricevere l'acqua dal lago di Tiberiade e dalla Galilea. Abu Mazen ha approfittato dell'occasione per assicurare alle decine di migliaia di persone venute ad ascoltarlo che riuscirà a trovare una soluzione al problema dei profughi. Ha anche invocato la liberazione dei prigionieri arabi detenuti in Israele. Ha incensato infine i terroristi arabi che sono morti durante le violenze degli ultimi quattro anni. «Non dimenticheremo mai Azzedine El-Kassem e tutti i martiri di Khan Yunès», ha gridato alla folla. Moderato, avete detto «moderato»? Bisogna sottolineare che secondo le informazioni divulgate dal giornale Haaretz e confermate da fonti arabe, dei «pour parler» sarebbero attualmente in corso per permettere ad Abu Mazen di effettuare una visita sul Monte del Tempio, a Gerusalemme, prima delle elezioni del 9 gennaio. Soltanto il Primo Ministro è in grado di dare una simile autorizzazione, che è sempre stata rifiutata a Yasser Arafat (con una sola eccezione, all'inizio dell'ultimo periodo di violenza). Dopo le dichiarazioni senza mezzi termini di Abu Mazen su Gerusalemme, potrà permettersi Ariel Sharon di cedere su questo punto? Dovremo saperlo in questa settimana. (Arouts 7, 1 gennaio 2005) 7. LIBRI Massimo Introvigne, J. Gordon Melton, "L'ebraismo moderno", Elledici, Torino 2004, p.236, € 14. Dall'ultima pagina di copertina: «La letteratura sugli ebrei è immensa, ma scarseggiano le panoramiche sul mondo contemporaneo e le mappe delle correnti tra loro diversissime che ne fanno parte in Israele, in Europa e negli Stati Uniti. Massimo Introvigne e J. Gordon Melton - dopo una necessaria quanto rapida ricognizione storica - partono dall'emancipazione politica degli ebrei nell'Ottocento, e seguono quindi la divisione del mondo ebraico in correnti distinte e oggi totalmente separate: i riformatori, i conservatori, gli ortodossi. A proposito dell'Ortodossia, gli autori mettono ordine fra le sue molteplici componenti, disponendole intorno ai temi centrali dell'atteggiamento verso la corrente mistica chiamata hassidismo e della posizione a favore ovvero contro il sionismo e lo Stato di Israele (che alcuni ortodossi hanno, a vario titolo, avversato). Il testo - che nasce da anni di visite a comunità ebraiche dei più diversi tipi compiute dagli autori in tutti i continenti - esamina quindi la proliferazione dei movimenti neo-ebraici, dai black jews negli Stati Uniti e in Africa agli incroci contemporanei fra ebraismo e New Age. La mappatura dell'ebraismo moderno permette agli autori di affrontare, a partire da sicuri dati empirici e statistici, la questione dell'identità ebraica, affrontando i contrasti spesso assai duri fra ebrei secolaristi e religiosi, e chiedendosi «chi è» e anche «chi sarà» ebreo. Mentre l'antisemitismo di ogni colore - un fenomeno su cui pure sono proposte alcune osservazioni - si fonda sull'idea mitologica dell'esistenza di una realtà unica e unitaria - «gli ebrei» -, lo studio mostra che l'ebraismo contemporaneo è piuttosto un mosaico dove coesistono etnie, posizioni, culture diverse, talora assai lontane le une dalle altre ma nello stesso tempo cruciali per qualunque comprensione degli scenari religiosi contemporanei, dagli Stati Uniti all' Africa, dalla Russia al Medio Oriente.» 8. MUSICA E IMMAGINI Turned The Boy INDIRIZZI INTERNET American Congress for Truth Exobus Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |