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Notizie su Israele 294 - 4 maggio 2005 |
1. Israeliani e palestinesi si preparano al «trasloco» 2. Paragoni con altri casi di ritiro forzato 3. Il Ministro Nathan Scharansky si dimette 4. Un rapporto dell'Osservatorio Europeo sul razzismo 5. In attesa che la Turchia entri nell'Unione Europea 6. Una proposta caldeggiata da molti 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. ISRAELIANI E PALESTINESI SI PREPARANO AL «TRASLOCO» Problemi di trasloco nella striscia di Gaza di Anna Momigliano Il ritiro dalla Striscia di Gaza sarà anche rimandato (dopo il 14 agosto, dice Sharon), ma l'Autorità Palestinese si sta rimboccando le maniche (risponde Abu Mazen). Anzi, «siamo più organizzati degli israeliani. E molto più avanti coi preparativi», ha dichiarato un ministro dell'Anp al quotidiano israeliano Haaretz. Già all'opera sono due comitati di esperti: uno con base a Gaza, l'altro a Ramallah: ai due team di tecnici (soprattutto urbanisti ed esperti di diritto internazionale) si affianca poi la commissione politica, composta da sette ministri di Ramallah e guidata dal premier Abu Ala (al secolo Ahmed Qureia). Occupazione numero uno degli esperti è passare in rassegna e selezionare gli edifici israeliani nella Striscia che ritengono «utili allo sviluppo e alla crescita dell'economia palestinese». Vagliata l'utilità degli edifici, caso per caso, la commissione d'esperti chiederà a Israele di lasciare intatte le costruzioni utili e di distruggere le altre. Secondo il diritto internazionale, sostiene il ministro palestinese, gli israeliani sono tra l'altro tenuti non solo a smantellare gli edifici che l'Anp riterrà opportuno smantellare, ma «anche a rimuovere tutti i detriti». Tanta puntigliosità da parte dell'Autorità può sembrare forse fuori luogo, davanti un evento tanto significativo come il disimpegno da Gaza, primo smantellamento di colonie israeliane dalla restituzione del Sinai all'Egitto. Ma l'obiettivo è semplice: mettere le mani avanti per evitare una seconda Yamit. Quando Israele abbandonò le postazioni nel Sinai, all'inizio degli anni Ottanta, distrusse la maggior parte di ciò che aveva costruito: alcuni villaggi, e la cittadina di Yamit, dove i bulldozer abbatterono tutte le case, e tagliarono le linee elettriche (secondo la ricostruzione dell'emittente americana Abc). Gli insediamenti ebraici di Gaza constano di circa 1800 case private, 120 edifici pubblici e 30 sinagoghe (questi i dati dell'Israel policy forum di New York), ed è quindi comprensibile che l'Autorità sia interessata a potere usufruire di queste strutture. Perché la già instabile economia palestinese è uscita stremata dal fallimento della seconda Intifada, e perché l'Anp ha già dimostrato di avere molte difficoltà nel costruire infrastrutture per i suoi cittadini, senza contare che la leadership di Fatah gode di una minore legittimità a Gaza. Dove i problemi di sicurezza rischiano di rallentare qualsiasi costruzione. D'altro canto, Israele potrebbe avere buoni motivi per decidere invece di fare tabula rasa, come ai tempi di Begin: cioè il timore che Hamas, i Martiri di al-Aqsa e le varie forze estremiste che trovano nella Striscia la propria roccaforte utilizzino le strutture costruite dagli israeliani come basi. Gaza, poi, non è Yamit. E' Hamasland, e, nella migliore delle ipotesi, ci vorrà molto tempo prima che Abu Mazen riesca a mantenere il controllo sulla zona. Le preoccupazioni dei più pessimisti sembrano trovare conferma nell'escalation di violenza che si è verificata nella Striscia di Gaza in questi giorni. La tregua de facto osservata dai gruppi estremisti, com'era da aspettarsi, è terminata: 25 attacchi contro l'esercito israeliano in meno di una settimana, riportano fonti di Tsahal. Si tratta per lo più di esplosivi piazzati sulle strade percorse dalle jeep israeliane e controllati a distanza, molti dei quali vengono però disinnescati. Ieri, per esempio, una jeep israeliana è stata colpita da un'esplosione: 3 i feriti, secondo le fonti ospedaliere. «La pazienza di Tshal sta scemando», riporta Yediot Ahronot. Un ufficiale dell'esercito intervistato dal quotidiano sostiene che «la situazione non può andare avanti così»: o Abu Mazen riesce a fermare gli attacchi, oppure Tsahal, che finora ha mantenuto un profilo relativamente basso, si troverà costretto a una linea più interventista. Attacchi o meno, questo ritiro s'ha da fare: «gli insediamenti di Gaza non sono mai stati costruiti con l'intenzione di essere per sempre sotto il controllo israeliano», spiega Sharon in un'intervista pasquale con Yediot Ahronot: «non c'è altra alternativa che smantellarle». Questo non significa però che il «ruolo storico dei coloni» sia giunto a un termine: «Abbiamo bisogno di nuovi insediamenti nel Negev, in Galilea e a Gerusalemme», spiega il premier. Che almeno a breve termine, il governo abbia intenzione di mantenere la maggior parte delle colonie in Cisgiordania, Ariel Sharon aveva già anticipato in un'intervista a Haaretz di pochi giorni prima: «saremo capaci di resistere alle pressioni internazionali su un ulteriore ritiro», cioè successivo allo smantellamento di Gaza e di alcune colonie a nord della West Bank. Quanto a Gaza, invece, nonostante i recenti episodi di violenza, le trattative per il disimpegno vanno avanti: ieri, in un albergo di Gerusalemme, Shimon Peres ha incontrato Abu Ala. Quanto allo slittamento, poi, è ufficiale: la seconda metà di agosto, per permettere ai coloni, quasi tutti religiosi, di osservare la festa religiosa di Tesha be-Av, che commemora la distruzione del Tempio e quest'anno cade il 14 agosto. (Il Riformista, 22 aprile 2005) 2. PARAGONI CON ALTRI CASI DI RITIRO FORZATO Il ritiro forzato degli israeliani da Gaza è senza precedenti? di Daniel Pipes Un mio precedente articolo "Follia di Ariel Sharon", rilevava la probabilità che oltre 8.000 israeliani che vivono a Gaza vengano rimossi dal loro stesso governo, con l'uso della forza se necessario. Ho definito questo gesto senza precedenti e poi ho sfidato il lettore a menzionare "un'altra democrazia che ha rimosso forzatamente migliaia di propri cittadini dalle legittime abitazioni". I lettori hanno accettato la sfida sia postando dei commenti che inviandomi dei messaggi e-mail. Le loro risposte rientrano in tre principali categorie: Potere di espropriazione per utilità pubblica. Una prerogativa di governo utilizzata "per costruire strade, opere pubbliche e infrastrutture",ma spesso si abusa di questo potere per favorire dei progetti commerciali. Come scrive un lettore intervenuto: "In America, lo Stato e i governi locali ogni anno abusano del potere di espropriazione per utilità pubblica rimuovendo migliaia di cittadini americani. Ciò non equivale al progetto di Sharon, ma è altresì insidioso poiché lede i diritti di proprietà". Tre corrispondenti fanno specifico riferimento a dei casi in cui a subire lo sfratto furono le loro famiglie: alla Authority di Tennessee Valley che tra il 1933 e il 1935 sfrattò forzatamente migliaia di cittadini per costruire la diga di Norris; a Boston, quando negli anni Sessanta centinaia di case vennero confiscate per fare posto a un'autostrada; e a un progetto di un centro commerciale a Los Angeles. È stato altresì menzionato il caso dei Navajos nella zona (joint use area) che condividono con gli Hopi in Arizona, come pure sono stati riportati esempi di espropriazione in Australia. Internamento dei giapponesi negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. "Gli Stati Uniti rimossero parecchi cittadini americani di origine giapponese dalle loro abitazioni per piazzarli nei campi di internamento durante la Seconda guerra mondiale". Casi di "pulizia etnica" in cui una popolazione viene considerata come straniera e cacciata dalle proprie case e perfino fuori dal Paese. Vengono citati a titolo di esempio i Nativi americani, le vittime del nazismo e dell'apartheid in Sudafrica, i tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale, i musulmani in India nel 1947 e i Russi negli Stati baltici nel 1991. Mi sembra che nessuna di queste categorie sia comparabile al caso in questione. Come sostiene un commentatore in merito al potere di espropriazione per utilità pubblica, esso "si applica a TUTTI i cittadini senza distinzione di razza, nazionalità o credo, che vivono e posseggono una proprietà nell'area destinata alla realizzazione di un progetto pubblico ( ) niente di simile è previsto accadere [a Gaza]. Invece SOLO DEGLI EBREI verranno rimossi forzatamente". Un altro lettore conclude: "Non si può fare alcuna comparazione tra ciò che il potere di espropriazione per utilità pubblica' significa in termini di sviluppo' e di utilità' e ciò che Sharon intende fare". Proprio così. Quanto all'internamento dei giapponesi, ciò implicava lo spostamento temporaneo dei cittadini, non uno sgombero permanente né la demolizione delle loro case. Anche qui, non si può fare un paragone con ciò che sta facendo Sharon. La pulizia etnica non ha niente a che vedere con la situazione di Gaza, perché il governo e i cittadini sfrattati sono della stessa etnia, e i cittadini israeliani vengono spostati in territorio israeliano e non espulsi. Altri due suggerimenti vanno presi in considerazione. Il generale Charles de Gaulle, "eletto sotto lo slogan dell'Algeria francese, subito dopo la sua elezione avviò il ritiro delle truppe francesi gettando così le basi dell'indipendenza algerina". Ciò avrebbe costituito un valido precedente se de Gaulle avesse chiesto ai cittadini francesi residenti in Algeria di lasciare il paese, ma non lo fece. In effetti, il governo francese non si aspettava l'esodo di circa un milione di piedi neri e di ebrei che ebbe luogo nel 1962: La valigia o la bara, era lo slogan diffuso tra gli europei e la comunità ebraica. Il governo francese non aveva previsto un simile esodo di massa, al massimo stimava che 200.000 o 300.000 potessero scegliere di andare temporaneamente in Francia. Di conseguenza, nulla era stato disposto per il loro ritorno e in parecchi dovettero dormire per strada o nelle fattorie abbandonate al loro arrivo in Francia. De Gaulle lasciò i cittadini francesi d'Algeria liberi di decidere il loro futuro, se restare o partire; per inciso, questa è una linea politica che avevo raccomandato ai dirigenti israeliani di adottare per gli israeliani di Gaza. La migliore analogia proposta è stata quella della demolizione di Africville, in Nova Scotia. Nel 1965, le autorità rasero al suolo il più antico e il maggiore insediamento di neri del Canada, ma questa azione fu condotta in nome del risanamento edilizio e non del trasferimento. Passare in esame queste risposte alla sfida da me lanciata non è altro che una conferma al fatto che ciò che le autorità israeliane stanno per fare ai loro cittadini di Gaza non ha precedenti storici. (FrontPageMagazine.com, 11 aprile 2005 - dall'archivio di Daniel Pipes) 3. IL MINISTRO NATHAN SHARANSKY SI DIMETTE Il Ministro israeliano Nathan Sharansky ha presentato questa mattina [2 maggio] la sua lettera di dimissioni al Primo Ministro Ariel Sharon. Come motivo il Ministro per le questioni della Diaspora e Gerusalemme ha addotto il suo rifiuto del piano di ritiro. Sharansky (Likud) è il primo ministro che di sua iniziativa ha lasciato il suo ufficio per questa ragione. Questo ha comunicato la stazione radio dell'esercito "Galei Zahal", specificando che nella sua lettera di dimissioni il Ministro ha sottolineato la necessità di riforme nell'Autorità Nazionale Palestinese. Nel suo lungo documento di dimissioni Sharansky ha dichiarato che rifiuta il piano in tutte le sue diverse fasi. Si è concentrato soprattutto sul tema della democratizzazione nell'Autorità Palestinese, sostenendo che questa è la condizione per l'esecuzione del piano. «Il ritiro favorirà la libertà di opinione nella società palestinese? i diritti umani o l'economia libera? la costruzione di sistemi di diritto? La risposta naturalmente è No», ha scritto Sharansky nel suo documento. E ha aggiunto: «Stiamo andando verso la divisione del popolo, e con mio rammarico non vedo alcuno sforzo nel governo per evitarla.» L'ufficio del Primo Ministro ha comunicato che Sharon ha espresso il suo profondo dispiacere per queste dimissioni. Sharon e Sharansky hanno buone relazioni tra di loro. Il deputato della Knesset Efi Eitam (partito | nazional-religioso "Mafdal") ha dichiarato che l'abbandono di Sharansky rappresenta una grossa vittoria per il campo degli oppositori al piano di ritiro, e questo deve indicare la via ad altri ministri del Likud. Sharansky si unisce ad una serie di ministri che in un modo o nell'altro hanno abbandonato il governo per differenti opinioni sul piano di ritiro. Tra i primi a ritirarsi sono stati Efi Eitam, Uzi Landau, Avigdor Liberman e Benny Alon. Negli ultimi tempi si era sparsa la voce che Sharansky fosse candidato per l'ufficio di Presidente della Jewish Agency. Alcuni vedono un collegamento tra le sue dimissioni e la sua candidatura a questo ufficio. (Ambasciata di Israele a Berlino, 2 maggio 2005) 4. UN RAPPORTO DELL'OSSERVATORIO EUROPEO SUL RAZZISMO Europa, allarme razzismo La violenza a sfondo razzista sembra in aumento in Europa, ma gli Stati membri sottovalutano la necessità di raccogliere dati sul fenomeno per aiutare a combatterlo: è questa la principale conclusione del rapporto 'Violenza razzista nei 15 Stati membrì, elaborato dall' Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia (Eumc). L'elemento più preoccupante che emerge dallo studio è la mancanza, nella maggior parte degli Stati presi in esame, di un sistema di raccolta di dati affidabili su aggressioni e violenze a sfondo razzista, che rappresenta un ostacolo, spesso insormontabile, alla definizione di politiche adeguate per contrastare il fenomeno. "Il rapporto - osservano gli esperti Ue - mette in guardia contro il fatto che buona parte dei paesi passa sotto silenzio alcuni incidenti razzisti, e questo ostacola l'adozione di misure efficaci contro la violenza razzista contro le minoranze. Lo studio stigmatizza in particolare la situazione di Italia, Grecia e Portogallo, che non hanno nessun dato pubblico ufficiale sulle violenze e sui crimini razzisti. Fenomeno diffuso "L'Ue - è l'allarme lanciato dalla direttrice dell'Eumc, Beate Winkler - deve prendere coscienza di quanto questo fenomeno è diffuso, altrimenti non sarà in grado di proteggere le proprie minoranze culturali, religiose ed etniche contro la violazione dei loro diritti fondamentali. Il fatto di non recensire tali incidenti - afferma Winkler - significa che si sottovaluta il problema e che le vittime restano invisibili. La scarso numero di informazioni, sottolinea lo ss di grande preoccupazione, perché indica che nella maggior parte dei casi le aggressioni a sfondo razzista non vengono denunciate o non sono identificate in quanto tali, perché le vittime non si sentono abbastanza protette o non hanno abbastanza fiducia nelle autorità nazionali. Il rapporto traccia comunque un quadro generale dell' identità delle principali vittime di episodi di violenza razzista e dei responsabili. I gruppi più vulnerabili sono quelli degli immigrati illegali, degli ebrei, dei musulmani, dei nordafricani, delle persone provenienti dall'ex Jugoslavia, dei rifugiati e dei Rom. L'identikit dei responsabili è quello di giovani maschi membri di organizzazioni politiche estremiste. I dati più recenti di alcuni paesi - Francia, Olanda e Svezia - mostrano però che la maggior parte dei crimini e delle violenze razziste non sono attribuibili a gruppi di estremisti, e illustrano la tendenza che tali atti sono commessi sempre più spesso da persone che non appartengono a tali formazioni. Proporzioni Tra i paesi per cui sono disponibili i dati, si registra un aumento della violenza razzista nel 2004 soprattutto in Francia ed in Gran Bretagna, che, insieme alla Germania, emergono come i paesi in cui il fenomeno assume le proporzioni maggiori. Questa conclusione, avvertono però gli esperti, va presa con cautela, vista l'assenza di informazioni adeguate e comparabili. Nel 2004, la Germania ha registrato 6.474 crimini dettati da motivazioni politiche di estrema destra, 1.208 dei quali di natura xenofoba. In Francia, nei primi sei mesi dello stesso anno, ci sono stati 829 casi di minacce e violenze razziste, xenofobe e antimusulmane e oltre 400 casi di intimidazioni, minacce e violenze contro ebrei. Gran Bretagna In Gran Bretagna sono stati denunciati alla polizia oltre 52.000 casi di incidenti razzisti. "Paradossalmente però - osserva il rapporto - questo non significa che il Regno Unito sia il paese in cui si registra la più alta criminalità razzista, ma piuttosto che la Gran Bretagna ha messo in piedi un sistema di rilevamento molto valido grazie al quale è possibile registrare la portata reale di questi fenomeni". (Il Denaro, 14 aprile 2005) 5. IN ATTESA CHE LA TURCHIA ENTRI NELL'UNIONE EUROPEA In Turchia il "Mein Kampf" di Hitler sta diventanto un bestseller Il libro, scritto da Adolf Hitler 80 anni fa, è al 5° posto nelle classifiche delle opere più vendute in Turchia. Più che una forma di antisemitismo, sembra essere un'ondata di nazionalismo collegato alla ripresa delle operazioni armate da parte del Pkk. Il testo, tra l'altro, costa molto poco. Il libro "Mein Kampf" ("La mia battaglia"), scritto 80 anni fa da Adolf Hitler per chiamare i tedeschi a reagire contro il "complotto ebraico" interno ed internazionale, anticipandovi il tentativo di genocidio antiebraico e la "soluzione finale", è al quinto posto nelle classifiche dei libri più venduti in Turchia. E sembra abbia raggiunto la cifra di oltre 100'000 copie, molto considerevole nel Paese. La gran parte dei commenti di stampa a queste notizie cercano in gran parte di negare che vi sia in Turchia un ondata di antisemitismo senza precedenti o di fascismo, dietro questo improvviso interesse dei turchi per il libro-simbolo del razzismo, definito "l'opera più maledetta del XX secolo". Questi commentatori vi vedono piuttosto un'ondata di nazionalismo turco collegata alla ripresa delle operazioni armate da parte del gruppo separatista curdo, Pkk (già Partito curdo dei lavoratori, che ora si chiama Congra Gel). Diversi librai spiegano il fenomeno, invece, soprattutto con il fatto che i lettori turchi "comprerebbero i libri tenendo conto del rapporto tra prezzo e numero di pagine", che, nel caso del libro di Hitler, sarebbe - a loro dire - "particolarmente favorevole", costando solo 6 nuove lire turche (circa 4,45 franchi svizzeri) per 550 pagine. Tuttavia, il testo è in libreria in ben 13 edizioni differenti ed il giornale Hurriyet (dell'editore Dohan, uno degli editori turchi del libro), circa un mese fa, ha ritenuto profittevole fare una campagna promozionale che ha portato il libro al secondo posto nelle classifiche dei bestseller di alcune librerie della capitale turca, Ankara. Quali che siano le ragioni, è preoccupante che i turchi - per lo più giovani - si diano a letture così negative che professano la "soluzione finale". Ci auguriamo quindi che tale "passione" sia solo passeggera. L'odio verso il prossimo porta, infatti, sempre a tragiche conseguenze. (Ticin@nline, 17 aprile 2005) 6. UNA PROPOSTA CALDEGGIATA DA MOLTI Il rabbino Toaff sieda al Senato della Repubblica di Giancarlo Colombo Tanti anni fa, 61 per la cronologia storica, dalle parti di SantAnna di Stazzema, cittadina della Garfagnana medaglia doro a seguito della strage che i nazisti perpetrarono sulla popolazione inerme, tra le tante stragi avvenute nei dintorni ve ne fu una che va testimoniata ai lettori de Lopinione. Cinque partigiani combattenti per la libertà dItalia vennero acciuffati e costretti a scavarsi una fossa comune prima della fucilazione. Tra questi coraggiosi il professor Elio Toaff, diventato poi rabbino capo di Roma. Il professore, che era andato sui monti per difendere il Paese dalla barbarie, venne catturato nottetempo perché era andato a salutare i suoi genitori, sottovalutando lintelligence dei nazisti che controllavano le famiglie dei partigiani. Dopo una serie di violenze fisiche e morali di cui non voglio scrivere, il professore cominciò a recitare per sé e per gli altri le preghiere per i defunti, quelle contenute nel Talmud. Successe un miracolo laico, se vogliamo dire così e non parlare di intervento della provvidenza. Il maggiore nazista che comandava il plotone desecuzione interrogò il professore sullesatto significato delle preghiere e folgorato dalla rivelazione lo fece uscire dalla fossa e gli ordinò di fuggire. Il professore naturalmente tornò dai partigiani e combattè coraggiosamente fino alla liberazione. A guerra finita non volle ricompense al valore perché non fossero un ulteriore segno di divisione tra combattenti delle due parti, né tra ebrei e cattolici. La vita del rabbino capo è troppo nota perché io la riassuma: tra pochi giorni, il 30 aprile, compirà novantanni e lotto maggio la comunità ebraica lo festeggerà con una cerimonia pubblica, sia pure a numero limitato per motivi di sicurezza e di tranquillità. Vi è già una proposta fatta propria da Giorgio La Malfa e una seconda di altri cittadini italiani per una raccolta di firme per chiedere rispettosamente al presidente della Repubblica la nomina del professor Toaff a senatore a vita. Chiedo al direttore de Lopinione che indipendentemente dagli altri il nostro quotidiano dia inizio ad una ulteriore raccolta di firme tra i laici. Non sta a me descrivere il valore e il comportamento del professore dallepoca della guerra di liberazione ai giorni nostri, non dimenticando che è lunico italiano citato nel testamento del defunto papa per le sue preclare attività in favore del riavvicinamento delle religioni e della pace. (L'Opinione delle Libertà, 21 aprile 2005) MUSICA E IMMAGINI HaKayitz INDIRIZZI INTERNET Welcome to About Israel The Jewish Agency Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |