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Notizie su Israele 302 - 2 luglio 2005

1. Lo sgombero di Gush Katif: la nazione è in pericolo!
2. Lettera al Congresso americano
3. Quello che Hamas vuole
4. Congresso internazionale a Monaco di Baviera
5. Sondaggio tra i palestinesi sui delitti d'onore
6. Portare i giovani ebrei a fare un'esperienza in Israele
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Salmo 32:1-2. Beato colui la cui trasgressione è rimessa e il cui peccato è coperto! Beato l'uomo a cui l'Eterno non imputa l'iniquità e nel cui spirito non è frode alcuna!
1. LO SGOMBERO DI GUSH KATIF: LA NAZIONE E' IN PERICOLO!




L'indispensabile unità...

di Guy Senbel

La polizia israeliana rimuove un "colono" di Gush Katif
Questa settimana hanno avuto inizio le prime operazioni di una certa importanza concernenti il piano di disimpegno.
Purtroppo, gli scontri tra ebrei, che tanto temevamo, si sono verificati. Grazie ai suoi corrispondenti, "Guysen" ha ricoperto quasi tutti gli avvenimenti drammatici di questi ultimi giorni, relativi al ritiro da Gush Katif. La raccolta di tutte queste informazioni non ha fatto che allarmare ancora di più, se era il caso, il nostro comitato di redazione.
Mercoledì 29 giugno eravamo in quattro sul posto: tre giornalisti dell'agenzia e Arié Lévy, il coordinatore di "Hatzalah-Yoch" e di "Soccorritori senza Frontiere", oltre che un partecipante occasionale per conto di "Guysen".
Due missioni ci aspettavano. Arié ed io, complici da sempre, dovevamo valutare le necessità in termini di soccorso se la situazione in Gush Katif fosse degenerata. I nostri due confratelli dovevano occuparsi invece dell'eventuale evacuazione della casa che gli ebrei avevano occupata dopo che Tsahal aveva distrutto alcune abitazioni edificate sulla spiagga di "Shirat Hayam", località situata sul litorale di Gush Katif.
Sapevamo che era impossibile per il governo lasciare questa casa palestinese nelle mani degli oppositori al piano di ritiro.
Presentivamo che mercoledì sera sarebbe stato il giorno ritenuto propizio dai servizi di sicurezza per tentare di sloggiare gli "squatters".
Le nostre previsioni si sono rivelate esatte. Per tutta la giornata ci sono stati brevi scontri tra gli oppositori al piano di ritiro, i palestinesi che occupavano una casa vicina, e i servizi di sicurezza che tentavano di mantenere l'ordine.
La vita qualche volta è piena di paradossi.
Come si conviene, Arié Levy aveva il suo kit di soccorso in macchina. Durante la giornata ha curato un ufficiale ferito alla testa, due giornalisti, di cui uno di "Guysen", dei manifestanti, e anche sé stesso, con il mio aiuto, perché aveva ricevuto un sasso sulla mano.
Ha cercato soprattutto di soccorrere un palestinese, di cui non si sa ancora che cosa stesse a fare lì, e che ha corso il rischio di essere linciato.
Qualche eccitato ha cercato di impedire ad Arié di intervenire, ma ci vuol altro per impedirgli di salvare una vita, quale che sia.
Con nostro grande sgomento, Arié ha dovuto rassegnarsi a rimanere a distanza dal ferito perché un soldato si era messo vicino a quest'ultimo al fine di proteggerlo da ogni tentativo di linciaggio. Per fortuna, quel palestinese è stato portato via molto velocemente da Tsahal. Ormai è fuori pericolo.
Qui devo ricordare che questo editoriale è redatto senza alcun partito preso. Nella nostra redazione sono rappresentate quasi tutte le componenti della società israeliana e tutte le opinioni pro e contra il piano di disimpegno.
Resta il fatto che tutto il mondo, e in particolare i nostri nemici, perché bisogna pure dire pane al pane e vino al vino, è stato testimone del fatto che degli ebrei si sono reciprocamente maltrattati.
Che vergogna!
Siamo stati testimoni di scene strazianti, ma anche incredibili. Dei soldati molto commossi usavano la loro forza contenendo la loro violenza. Da parte dei manifestanti israeliani segnaliamo delle invettive, qualche volta degli insulti, ma nessuna aggressione fisica contro i soldati.
I poliziotti ci andavano dentro un po' più forte. Tuttavia, anche lì, nonostante che le immagini televisive mostrino una certa brutalità, se quei poliziotti non si fossero contenuti, il conto delle vittime della giornata di mercoledì avrebbe potuto essere di decine di morti. Ci sono stati dei feriti, ma la maggior parte di questi sono dovuti al lancio di pietre da parte dei palestinesi.
Il giorno dopo è toccato all'hotel "Maoz Yam" ad essere evacuato. Di nuovo, le stesse scene strazianti ma nessun ferito: non c'erano palestinesi...

La nazione è in pericolo!
Oggi in Gush Katif sono rimasti soltanto gli abitanti d'origine, che non hanno niente a che vedere con gli "evacuati" sopra menzionati.
In grandissima maggioranza sono dei "legalitari", anche se molti di loro non capiscono per quali motivi devono lasciare tutto.
Su di loro gravano tutti i fantasmi malsani e i pregiudizi infondati che gli hanno affibbiato le "opinioni pubbliche" di quasi tutte le nazioni. Gli "sporchi coloni", come si compiacciono di definirli i media corrotti, di sporco hanno soltanto i loro vestiti e le loro mani dopo una giornata di lavoro spossante nelle serre e nei campi.
Non è con loro che gli amanti di sangue e di violenza potranno estinguere la loro sete. Anche questo, abbiamo il dovere di gridarlo, alto e forte. Tutti i paesi e la diaspora non devono dimenticarlo.
Il governo ha preso una decisione. Buona o cattiva che sia, bisogna accettarla nel reciproco rispetto.
Ma è anche necessario che coloro che sono a favore del piano di disimpegno abbiano compassione per coloro che stanno per lasciare alle spalle un intero lembo della loro vita. Non devono dimenticare che il più grande degli indennizzi non rimpiazzerà mai i ricordi, le sofferenze, ma anche le gioie, che i loro fratelli di Gush Katif devono abbandonare.
Chi è fra di noi, ebreo di una qualsiasi nazione, che non ha provato le angosce dell'esodo, subito se non da lui stesso almeno dai suoi genitori o dai suoi nonni? Loro, che impropriamente sono stati chiamati "dei coloni", stanno per subire un esodo interiore, probabilmente il più terribile di tutti, affettivamente parlando.
Non dobbiamo mai dimenticare che alle nostre porte, i nostri nemici, i nostri detrattori, i nostri "cari" antisemiti di ogni risma non aspettano altro che di vederci uccidere fra di noi per poterci finire meglio.
Israele è un'"immensa" piccolissima nazione. Dobbiamo saperla conservare e questo passa attraverso l'unità, anche se questa ha un gusto d'amarezza.
    
(Guysen Isra‘l News, 1 luglio 2005)





2. LETTERA AL CONGRESSO AMERICANO




John Stambridge, ex-sindaco di Miami Nord, ha scritto una lettera al Congresso americano per invitarlo a riflettere sulle decisioni che dovrà prendere in merito al ritiro israeliano dalla striscia di Gaza.

Succede che nella vita si arrivi in un certo momento in cui si deve prendere una decisione cruciale. Questo momento arrivera' per il Congresso americano quando dovra' votare il finanziamento in favore della cancellazione ebraica da Gaza o da qualsiasi altro posto in Sion. Ebrei che hanno dato anima e corpo per redimere una zona della loro patria desertica e col loro sacrificio l'hanno resa un giardino e vi hanno creato case, scuole e sinagoghe saranno costretti con la forza ad abbandonare tutto quello che si erano duramente costruiti.
I membri del Congresso dovranno decidere se i soldi delle tasse, ovvero ottenuti grazie al duro lavoro dei contribuenti,saranno utilizzati per strappare ebrei fedeli dalla loro Terra. Nessuno disturba gli ebrei atei di Tel-Aviv, di Haifa, di Tiberiade, di Eilat, di Nazaret o di Herzlia che godono di relativa tranquillita' e di ogni agio, ma si deportano, dopo aver fatto di tutto per infangarli, gli ebrei fedeli che hanno sacrificato la loro carriera e la loro sicurezza fidando nella promessa divina che il frutto dei loro duri sacrifici passasse in eredita' ai loro discendenti.Ogni membro del Congresso dovra' profondamente ragionare su come votera' per come dovra' essere speso ogni dollaro ottenuto dal duro lavoro americano. Ogni congressista che votera' a favore del finanziamento della deportazione di un ebreo da qualsiasi posto della Terra Santa se ne dovra' pentire amaramente in futuro. L'America dovrebbe usare tutta la Sua influenza affinche' ogni paese islamico riconosca il diritto all'esistenza dello Stato ebraico invece di cercare di costringere Israele ad accettare su parte del Suo territorio un altro stato arabo-islamico terroristico. E' giunta l'ora che 1.250.000.000 musulmani escano dall'impero delle tenebre e riconoscano il fatto che Israele debba restare dove si trova e che non abbandonera' nessun territorio. La verita' e' che Esso crescera' e si sviluppera'. Tra poco tempo altri milioni di ebrei e di israeliani torneranno a vivere, lavorare, studiare, pregare e crescervi i loro figli in tutte le zone della Terra Santa. Per questo motivo Israele dovra' espandersi territorialmente e non restringersi. Israele potra' rivendicare i Suoi diritti religiosi e storici. L'ONU, la UE e tutte le nazioni del globo dovranno rendersi conto della nuova realta' che arrechera' inoltre benefici notevoli allo sviluppo dell'Umanita'. L'America e le altre nazioni dovranno accettare questa nuova realta' perche' chi vi si opporra' dovra' un giorno non lontano renderne conto a D.o per essersi opposto alla Sua volonta' di ristabilire il Suo popolo nella Sua Terra.
Distinti saluti

John Stambridge,
ex-sindaco di Miami Nord e candidato al Congresso.

(VENATATIM, N.5,24/6/05, liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleaza Ben Yair - da HonestReporting Italia)






3. QUELLO CHE HAMAS VUOLE




«Oggi Gaza e Cisgiordania, domani tutta la Palestina»

Brani da un’intervista al portavoce di Hamas a Gaza, Sami Abu Zahri

Domanda: Dopo le elezioni, Hamas deporrà le armi e diventerà un’organizzazione politica?
Sami Abu Zahri: L’ala militare e la parte politica di Hamas, tutte sostengono il popolo palestinese che cerca di liberarsi dall’occupazione. La ragione, qui, è l’occupazione. Se non c’è occupazione, non ci sono armi.

Domanda: Se Hamas diventa un’organizzazione politica con membri eletti, gli altri paesi dovrebbero rimuovere Hamas dalla lista dei gruppi terroristici?
Sami Abu Zahri: Un grande errore dell’Europa e dei paesi occidentali è stato quello di mettere Hamas sulle loro liste di terroristi, perché Hamas fa parte del popolo palestinese. I palestinesi hanno scelto Hamas nelle elezioni, e l’Europa e i paesi occidentali dovrebbero rispettare questo.

Domanda: Come può la gente in occidente rispettare un’organizzazione che fa esplodere autobus pieni di bambini e bombarda abitazioni?
Sami Abu Zahri: Fermate l’uccisione del popolo palestinese e noi fermeremo l’uccisione di israeliani. Il problema, il grande problema, l’unico problema è l’occupazione. Siamo sotto occupazione, e la gente sotto occupazione deve combattere per liberarsi.

Domanda: Hamas considererà finita l’occupazione una volta che i coloni avranno lasciato Gaza?
Sami Abu Zahri: Gaza non è la Palestina. Gaza è parte della Palestina. E dove c’è occupazione della terra dei palestinesi, noi combatteremo fino alla fine dell’occupazione.

Domanda: Alcuni coloni israeliani hanno chiesto di poter continuare a vivere a Gaza [sotto Autorità Palestinese]. Come risponde Hamas?
Sami Abu Zahri: Questa è la nostra terra. Non accetterò né permetterò a nessun colono di stare sulla nostra terra. Devono andarsene dalla nostra terra.

Domanda: La prospettiva di Hamas è sempre stata quella di un’unica Palestina, dal fiume Giordano al mare. È ancora così o Hamas ha modificato questa posizione?
Sami Abu Zahri: Vogliamo i nostri diritti. Non c’è problema con una soluzione passo dopo passo al conflitto arabo-israeliano. Possiamo accettare oggi Gaza e Cisgiordania e, in futuro, tutta la Palestina.

Domanda: Se Hamas avrà successo, come sarà la Palestina fra cento anni? Israeliani e palestinesi convivranno?
Sami Abu Zahri: Non sappiamo niente del futuro. Noi continueremo a combattere la nostra resistenza contro l’occupazione finché avremo liberato la nostra terra. Il diritto internazionale sostiene la lotta all’occupazione.

Domanda: Hamas è contro l’occupazione. Ma è a favore di che cosa?
Sami Abu Zahri: La fine dell’occupazione. Sono contro l’occupazione e sono a favore della fine dell’occupazione.

Domanda: Ma cosa vuole Hamas?
Sami Abu Zahri: Hamas vuole la fine dell’occupazione e vuole che tutte le terre palestinesi vadano ai palestinesi e non agli israeliani.

Domanda: Dunque, nessun israeliano in Palestina?
Sami Abu Zahri: Abbiamo dei diritti e accettiamo di ottenere questi diritti passo dopo passo. Non riconosceremo mai l’occupazione. Se gli israeliani vogliono vivere sotto l’Autorità Palestinese, che lo facciano.

Domanda: Hamas considera la lotta dei palestinesi come parte di una lotta più ampia contro l’oppressione dei musulmani?
Sami Abu Zahri: La gente là fuori odia l’islam e i musulmani a causa di Israele, che gioca un grosso ruolo in questo: spingono la gente a odiare l’islam e i musulmani. Ma qui in Palestina abbiamo una situazione particolare perché noi, qui, stiamo combattendo l’occupazione.

(National Post, 13 giugno 2005 - da israele.net)





4. CONGRESSO INTERNAZIONALE A MONACO DI BAVIERA




"Gli ebrei in Italia dall'Antichità ai giorni odierni: tra ghetto e integrazione"
    
Il 16 e 17 giugno scorsi si è svolto presso l'Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera un importantissimo congresso internazionale su "Gli ebrei in Italia dall'Antichità ai giorni odierni: tra ghetto e integrazione", promosso dal Dipartimento di Storia Europea del XIX e XX secolo e dal Dipartimento di Storia e Cultura ebraica, con

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il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura, della Fondazione Fritz Thyssen per il progresso scientifico e del Circolo degli Amici della Cattedra di Storia e Cultura ebraica.
    Il Ministro Plenipotenziario Francesco Scarlata, Console Generale d'Italia, ha aperto solennemente il congresso nella Grande Aula dell'Università Ludwig Maximilian, riportando alcuni ricordi personali legati agli ebrei, durante la sua permanenza a Napoli, in Israele e nel mondo, che hanno segnato profondamente la sua esistenza, ed ha ricordato le posizioni prestigiose occupate dagli ebrei nel nostro Paese. Ha poi ringraziato tra l'altro l'Addetto Culturale del Consolato Generale d'Italia e Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura, Francesco Jurlaro, per aver reso possibile la realizzazione di questa complessa manifestazione.
    L'apertura del congresso nella prestigiosa sala della Sede centrale di una delle più importanti Università della Germania testimonia la volontà di recupero della memoria di un passato molto difficile, che non si vuole rimuovere, in occasione del sessantesimo anniversario della fine della II Guerra mondiale. La grande Aula, dopo essere rimasta miracolosamente illesa nel corso della II Guerra mondiale, fu teatro della fondazione del nuovo Stato bavarese: proprio qui ebbe luogo la votazione della nuova costituzione Bavarese e si insediò il primo Consiglio Regionale del Dopoguerra.
    Sono poi intervenuti i promotori della conferenza, i Professori Brenner e Baumeister, che hanno ringraziato sentitamente Francesco Scarlata e Francesco Jurlaro per l'impegno profuso nella realizzazione di questo importantissimo evento culturale.
    Michael Brenner ha citato un saggio dello studioso Cesare Cases "Il testimone secondario", per anticipare che la minoranza ebrea in Italia non ha svolto un ruolo di testimone, ma di attore significativo nella storia italiana. Ha inoltre anticipato i temi del congresso, evidenziando come il XX secolo veda l'alternarsi di integrazione e di isolamento, di distruzione e di ricostruzione dell'identità perduta. Il punto focale di discussione si colloca nella particolarità della storia degli ebrei in Italia dall'antichità ai giorni odierni, un tema che ha occupato sinora in Germania una posizione molto marginale.
    Martin Baumeister, nel suo successivo intervento, ha evidenziato le difficoltà che nascono nell'affrontare la storia ebraica per la sua complessità, ma ha rilevato come l'apporto di varie istituzioni renda possibile l'affronto di tematiche estremamente complesse.
    Gli ebrei in Italia, ha proseguito, sono vissuti piuttosto liberamente, pubblicando meravigliosi libri, occupandosi di musica, contribuendo alle scoperte rinascimentali. D'altra parte però il ghetto è stato introdotto per la prima volta proprio in Italia. Gli studiosi che partecipano al congresso si interrogheranno intorno a questa dicotomia e al rapporto fra integrazione e segregazione degli ebrei in Italia.
    L'Italia è l'unico Paese europeo dove dall'antichità sino ad oggi, senza interruzione, gli ebrei sono vissuti e vivono in una comunità organizzata, che è stata via via influenzata da tutti gli importanti eventi e processi che trasformarono il mondo ebreo e l'ambiente circostante non ebreo: la nascita dell'impero romano, la distruzione di Gerusalemme, l'ascesa del Cristianesimo a religione ufficiale di Roma, la diffusione dell'Islam, il Rinascimento, i movimenti emancipatori, il nazionalismo e il fascismo.
    La I Giornata è proseguita con l'intervento del prof. David Ruderman, specializzato in storia dell'ebraismo medievale e degli inizi dell'età moderna, direttore del centro di Studi ebraici all'Università della Pennsylvania, dal 1971 rabbino a New York, nonché presidente dell'Accademia americana per la ricerca sull'ebraismo. Il prof. Rudermann ha definito "curioso e degno del più grande interesse" un congresso sugli ebrei italiani, che si svolge in Germania, in lingua inglese. Egli ha raccontato del suo saggio sull'emancipazione e sulla definizione dell'identità degli ebrei nei ghetti europei, mettendo in evidenza convergenze e divergenze di vedute rispetto agli studi di Roberto Bonfil dell'Universitá di Gerusalemme. Secondo Rudermann gli ebrei italiani, nell'assorbire le diversità fra forme culturali ebree e non ebree, esprimono al meglio i propri talenti e la propria creatività, laddove il rispetto per la diversità e l'integrazione non sono vissuti in maniera passiva. Secondo Bonfil, al contrario, anche in Italia il destino degli ebrei si sarebbe dipanato nel segno dell'emarginazione e dell'esclusione.
    Martin Zimmermann, docente di Storia Antica presso l'Università di Monaco di Baviera, Daniel Schwartz, docente di Storia Ebraica presso l'Università Ebraica di Gerusalemme, e Erich Gruen, docente di Storia e lettere classiche presso l'Università della California, Berkeley, hanno sottolineato come tramite l'analisi della storia degli ebrei in Italia sin dalle origini si possa chiarire e valutare tutta la storia ebrea dall'antichità sino ad oggi. Proprio a Roma si costituì la comunità ebrea più antica del mondo nella diaspora, e a Venezia si coniò il termine "ghetto".
    Ad occuparsi in particolar modo delle condizioni di vita degli ebrei durante il Medio Evo sono stati gli studiosi Gadi Luzzatto, docente di Storia contemporanea italiana e Storia dell'Ebraismo al Centro Studi della Boston University, e Giuseppe Veltri, docente di Studi ebraici presso l'Università di Halle in Germania ed esperto di filosofia, misticismo e folklore ebraici. Quest'ultimo è intervenuto con una relazione sull'ebraismo di Dante e sul linguaggio italiano nell'identità filosofica e letteraria ebraica nel Medio Evo. Il prof. Veltri ha parlato inoltre esaurientemente di Shabbetai Donnolo, dotto ebreo vissuto nella Puglia bizantina del X secolo, nato a Oria (Brindisi), uno dei fondatori della scuola medica salernitana,
    Hanno poi fatto seguito gli interventi del prof. David Abulafia, docente di Storia del Mediterraneo presso l'Università di Cambridge, che ha conferito riguardo agli ebrei nel Sud Italia e in Sicilia nel Medio Evo, del prof. Giulio Busi, docente presso la Libera Università di Berlino, della prof.ssa Johanna Weinberg dell'Università di Oxford e del prof. Benjamin Ravid, docente di Storia ebraica, dedicati alla situazione degli ebrei durante il Rinascimento e all'isolamento degli ebrei nella vita del ghetto.
    Durante la serata della prima giornata la conferenza del prof. Dan Vittorio Segre, docente di Relazioni internazionali presso l'Università di Haifa e presidente dell'Istituto di Studi del Mediterraneo presso l'Università di Lugano, avente per tema "Il caso degli ebrei italiani: normalità o eccezione" è stata preceduta dall'introduzione di uno dei più grandi scrittori e intellettuali tedeschi: Hans Magnus Enzensberger. Ha fatto poi seguito una tavola rotonda con la prof.ssa Diana Pinto, storica, scrittrice e consulente presso il Consiglio d'Europa e con Amos Luzzatto, presidente del Consiglio delle Comunità ebraiche in Italia.
    Durante la seconda giornata hanno avuto luogo le conferenze del prof. Ulrich Wyrwa, docente presso l'Università di Potsdam e ricercatore presso l'Università di Berlino, e del prof. Mario Toscano, docente di Storia dei movimenti politici e dei partiti, che si sono occupati della storia degli ebrei italiani nell'età dell'emancipazione e del Risorgimento. Nel XIX secolo gli ebrei italiani si coinvolsero con entusiasmo nel processo di unificazione dell'Italia, e ricoprirono anche in seguito posti di rilievo all'interno del giovane Stato nell'ambito militare, della diplomazia e del governo. Per concludere il convegno internazionale sono intervenuti il prof. Lutz Klinkhammer, attualmente ricercatore presso l'Istituto Storico Germanico di Roma con responsabilità per il settore della Storia moderna e contemporanea, il prof. Simon Levis Sullaman, docente presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, e la prof.ssa Susan Zuccotti, docente di Storia moderna presso la Columbia University di New York, che hanno affrontato in particolar modo il periodo precedente la II Guerra mondiale. Ha partecipato al congresso un pubblico molto attento e interessato, costituito in prevalenza da importanti esponenti del mondo universitario e da moltissimi studenti. La Süddeutsche Zeitung ha dedicato alcuni importanti articoli al congresso dedicato agli ebrei italiani, tra i quali un lungo ed esauriente articolo della storica, prof.ssa Franziska Meier, nel prestigioso inserto culturale "Feuilleton".
    
 
(AISE - Agenzia Internazionale Stampa Estero, 28 giugno 2005)o





5. SONDAGGIO TRA I PALESTINESI SUI DELITTI D'ONORE




Donne disonorate: un palestinese su quattro le ucciderebbe

Un quarto circa della popolazione palestinese pensa che una figlia “disonorata” debba essere uccisa: è il dato che emerge da un sondaggio reso pubblico ieri a Ramallah. L’esito del sondaggio fornisce una base concreta per analizzare i recenti episodi di violenza contro giovani donne nei territori.
Nelle ultime settimane, infatti, diversi 'delitti d'onore sono stati commessi nei territori palestinesi, dove la società, soprattutto nelle zone rurali, è sottoposta a norme ancora arcaiche. Il Centro palestinese per l'opinione pubblica (Pcpo) ha interrogato un campione della popolazione sul fenomeno dei “delitti d’onore”. “Se una famiglia scopre che una figlia è coinvolta in una vicenda di disonore familiare, per esempio un adulterio, come pensate che debba reagire?” è stato chiesto agli intervistati.
Il 23,5 per cento ha risposto che si deve “uccidere la figlia per eliminare il disonore”, il 34,4 per cento del campione invece afferma che occorre “nascondere il fatto e non farla più uscire”.
Proseguendo, per il 17,4 per cento degli intervistati è meglio piuttosto “sposarla con un familiare” mentre il 5,4 ritiene si debba "abbandonarla e tagliare ogni relazione con lei". Solo il 13,6 per cento considera invece che si debba “ammonirla a non ricominciare”.
Alcuni delitti d’onore particolarmente efferati sono stati resi pubblici negli ultimi mesi dalla stampa e dalle organizzazioni di difesa della donna nei territori.
A Ramallah un padre cristiano ha ucciso la figlia dopo che aveva tentato di fuggire con il fidanzato musulmano, a Gerusalemme est due sorelle sono state uccise dal fratello perché, a suo parere, civettavano con estranei, e nei dintorni di Tulkarem una ragazza è stata prima violentata dal padre e poi strangolata dal fratello per cancellare il disonore.
 
(Il Denaro, 30 giugno 2005)





6. PORTARE I GIOVANI EBREI A FARE UN’ESPERIENZA IN ISRAELE




Appello Unificato per Israele 2005. Il Dossier della Campagna.
 
Cresciuta a Toronto, Jenny Hazan si sentiva estraniata dalla locale comunità ebraica. Frequentando l’università, si sentiva molto lontana dall’ebraismo e Israele non era per niente nei suoi pensieri. Un giorno, a sua insaputa, suo padre l’ha iscritta al programma “Birthright”, che prevede un viaggio in Israele. “Non ho mai avuto alcun legame con Israele” racconta “però ho accettato di buon grado. Ho fatto un’esperienza di dieci giorni che ha cambiato la mia vita. Non so cosa mi sia veramente successo, ma mi sono innamorata di Israele. Per la prima volta, ho sentito di portare sulle mie spalle il peso del mio popolo.”
    Tornata in Canada, ha rotto con il suo ragazzo, ha lasciato il posto di lavoro e il suo appartamento e, dopo sette mesi, è venuta in Israele per studiare ebraico in un ulpan di un kibbutz. Dopo breve tempo, ha deciso di fare l’alià.  Grazie al programma “Internato Professionale”, che inserisce giovani professionisti qualificati, provenienti dall’estero, in adeguati posti di lavoro in Israele, Jenny ha iniziato a lavorare come praticante nel quotidiano israeliano in lingua inglese, The Jerusalem Post. Dopo un mese, è stata assunta stabilmente dal giornale.
    Anche sua sorella, che “usciva insieme ad un ragazzo libanese”, l’ha seguita in Israele. Lei è venuta nel quadro del programma “Birthright” e ora è molto impegnata nella comunità ebraica. “Anche lei ha provato lo stesso senso di obbligo storico e di responsabilità che ho provato io” dice Jenny “adesso sta studiando all’Università di Tel Aviv”.
    Il popolo ebraico rischia di scomparire. Le comunità ebraiche nella Diaspora stanno progressivamente diminuendo e i giovani ebrei sentono poco il legame con la loro eredità, con la comunità ebraica mondiale o con Israele. Il mezzo più efficace per ricollegare questi giovani alla loro identità ebraica e per far loro capire l’importanza di Israele nella vita ebraica, è quello di portarli in Israele per constatarlo di persona.
    Ogni anno, la gita di dieci giorni “birthright Israel” permette a migliaia di adolescenti e giovani adulti della Diaspora di compiere la loro prima visita in Israele e di avere un primo incontro non mediato con la propria identità ebraica. Questa indimenticabile esperienza di studio prevede visite guidate ed escursioni, conferenze e seminari, incontri con la gioventù israeliana. Tra i partecipanti ci sono anche studenti, che vengono dai paesi dell’ex Unione Sovietica, che seguono un corso di addestramento per poi operare nelle proprie comunità d’appartenenza.
    Per molti partecipanti del programma “birthright”, questo incontro con le proprie radici ebraiche sfocia nella decisione di fare l’alià, o in un accresciuto coinvolgimento nella vita comunitaria ebraica nella Diaspora e/o nel ripetere la visita in Israele. Per i giovani, non c’è metodo migliore per ravvivare la storia e l’identità ebraica di un Programma di Esperienza in Israele, che viene proposto in più opzioni a studenti liceali e universitari e a giovani adulti, per cui ognuno può trovare il programma che gli si addice: visite con un periodo di volontariato e/o di studio, escursioni estive, programmi di studio della durata di un anno. La visita in Israele spesso si accompagna ad un’esperienza che trasforma la vita e crea nel soggetto un forte legame con la propria identità ebraica e un intenso senso di solidarietà con Israele e con il popolo ebraico.
    I programmi di tirocinio in servizio offrono a migliaia di istruttori ed insegnanti ebrei della Diaspora l’opportunità di accrescere le loro nozioni di storia e letteratura ebraica, di Bibbia, di storia e geografia d’Israele, di lingua ebraica, etc., utilizzando le vaste risorse didattiche presenti in Israele. Essi sviluppano altresì le loro capacità didattiche e imparano a far sentire ai loro giovani allievi il legame con l’ebraismo, con il popolo ebraico, con lo Stato d’Israele e a inculcare loro un senso di responsabilità per il futuro dell’ebraismo.

(Keren Hayesod, 29 giugno 2005)





MUSICA E IMMAGINI




Seushor




INDIRIZZI INTERNET




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