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Notizie su Israele 310 - 29 agosto 2005

1. Continua la politica del doppio binario
2. E ora i palestinesi rinominano le città
3. Dai campi profughi in Puglia alla Terra Promessa
4. Einstein fa ricca l'Università ebraica
5. Così i pescatori del lago salvarono 30 ebrei
6. Centinaia di nuovi «olim» dalla Francia
7. Richiesta di rettifica
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 29:15-16. Guai a quelli che si allontanano dal Signore in luoghi profondi per nascondere i loro disegni, che fanno le loro opere nelle tenebre e dicono: «Chi ci vede? Chi ci conosce?» Che perversità è la vostra! Il vasaio sarà forse considerato al pari dell’argilla al punto che l’opera dica all’operaio: «Egli non mi ha fatto?» Al punto che il vaso dica del vasaio: «Non ci capisce nulla?»
1. CONTINUA LA POLITICA DEL DOPPIO BINARIO




Premio di poesia per la kamikaze, gaffe per il governo palestinese
    
di Giorgio De Neri
    
“Ora tocca ai palestinesi l’onere della prova. Devono combattere le organizzazioni terroristiche, smantellare le strutture del terrorismo e dimostrare sincere intenzioni di pace per poter sedere con noi al tavolo negoziale. Il mondo aspetta la risposta dei palestinesi”. Si era rivolto così Ariel Sharon alla nazione israeliana il 15 agosto. E Abu Mazen raccontava di volere fermare il terrorismo perché assicurava di avere capito che i palestinesi "adesso dovevano farla finita di distruggere e ricominciare invece a ricostruire il proprio destino". Parole, forti come quelle che si dicono nei momenti in cui la storia di un paese sta per cambiare. E se si tratta di un paese tenuto in ostaggio per 40 anni dalle bande armate dei terroristi e dall'ambiguità di un profittatore come Arafat, parole di grande speranza. Peccato però che la pratica smentisca sempre la teoria, quando si parla di uomini politici palestinesi.
    Nei giorni del ritiro, esattamente lunedì 21 agosto, il ministero della Cultura dell’Autorità palestinese aveva appena pubblicato il suo “Libro del Mese”, cioè una raccolta di poesie in onore della terrorista suicida Hanadi Jaradat responsabile dell’assassinio di 29 israeliani innocenti. Hanadi Jaradat viene definita “Rosa della Palestina, Iris del Carmelo, Martire di Allah”. La poesia a lei dedicata si concludeva così: “Oh, Hanadi! O Hanadi! / Fa’ tremare la terra sotto i piedi del nemico! / Fallo esplodere!”. Non è un’iniziativa privata, ma di un ministero palestinese finanziato dall’Unione europea e dalle Nazioni unite. E questo va sempre sottolineato. Il libro è stato distribuito come supplemento speciale del quotidiano Al-Ayyam. Non basta, il giorno dopo un articolo del quotidiano ufficiale dell'Anp, Al ayat al jadida, informava i palestinesi che Hamas adesso sta reclutando donne per la guerriglia. "Non possono fare le kamikaze - diceva l'articolo - perchè una fatwa dei fratelli musulmani glielo proibisce, ma ci sono tante altre maniere di far parte della jihad come lanciare missili kassam, far parte di battaglioni armati che possono tendere imboscate ai militari israeliani.." e così via.
    La politica del doppio binario scelta nel 1964 da Arafat sembra ben lungi dall'essere andata in pensione. E il doppio standard comprende anche la doppia comunicazione: quando si parla in arabo alla propria gente il linguaggio è la propaganda armata e la predicazione d'odio, quando si parla, di solito in inglese, alle tv straniere, ai media inglesi e alla stessa al Jazeera che oramai la vedono tutti in tutto il mondo con una parabola da 150 euro allora si ritorna alle rassicurazioni su una pace imminente. Sempre chiedendo a Israele di fare di più.
    Ma loro, i palestinesi, che faranno per fermare il terrorismo? Per ora a parte le chiacchiere e le gaffe che contraddicono le tante promesse si è visto ben poco. E mentre hezbollah si sta approfittando del caos in atto a Gaza e nella West bank per rosicchiare un po' di territorio a sud del Libano da cui lanciare i propri attacchi assassini a Israele, un altro poco encomiabile palestinese, Abdallah Azzam, un terrorista tanto per cambiare, per fortuna ucciso in un omicidio mirato da Israele alcuni anni fa, diventa il simbolo di una nuova filiale di Al Qaeda: quella in Giordania.
    Infatti la branca di Al Qaeda che agisce in Giordania e che ha rivendicato qualche giorno fa il doppio attacco al porto giordano di Aqaba e all'aeroporto israeliano di Eilat (bilancio un morto tra i soldati giordani di stanza al porto di Aqaba) ha preso il proprio nome di battaglia da questo ideologo dell'odio che in passato fu considerato il vero e proprio maestro ideologico di Osama bin Laden. Azzam infatti è stato prima un imam della fratellanza musulmana e poi uno dei fondatori di Hamas.
    Era un uomo che aveva molta influenza persino sullo sceicco Ahmed Yassin e la sua opera intrisa d'odio e fanatismo è adesso diffusa in tutti i territori amministrati dall'Anp. Poi venne ucciso da Israele con un missile teleguidato. Da allora non solo è diventato un eroe per tutti i terroristi palestinesi ma anche per quelli che stanno cercando di esportare il terrorismo islamico in tutto il resto del mondo. Ecco oggi il mondo chiede ai palestinesi, oltre che di rompere con la lotta armata e con il terrorismo, di scegliersi altri simboli da commemorare e di altri esempi da esportare in tutto il resto del mondo islamico. Finché questa doppiezza e questa ipocrisia non sarà per sempre finita e bandita dalla loro cultura, parlare di pace sarà solo un esercizio di retorica e finirà per dare ragione a chi (tra cui Daniel Pipes) ha messo in guardia gli israeliani dal fare concessioni "gratis" come il ritiro da Gaza che potrebbe avere le stesse controindicazioni di quello dal sud del Libano nel 2000. All'epoca il terrorismo si moltiplicò perchè i capi della guerriglia si vendettero il passo diplomatico di Israele come una resa senza condizioni alla guerriglia degli hizbullah. Oggi la storia rischia di ripetersi.
    
(L'Opinione.it, 27 agosto 2005)





2. E ORA I PALESTINESI RINOMINANO LE CITTÀ




Nevè Dekalim, la capitale dei coloni della striscia di Gaza caduta la settimana scorsa dopo un lungo assedio alla sinagoga, potrebbe anche essere ribattezzata «Arafat City». Tra i palestinesi di Gaza imperversa il toto-nomi per le 21 colonie ebraiche, ora vuote, che nelle prossime settimane, dopo la distruzione delle villette dei loro 8.500 abitanti, saranno consegnate alle autorità palestinesi. L'Anp prevede di trasformarle in piccole città, costruendo palazzi in grado di ospitare almeno 250mila palestinesi.
Tra i sostenitori di Hamas, c'è chi pensa al nome dell'ex presidente Yasser Arafat proprio per Nevè Dekalim, la città simbolo delle colonie di Gush Katif. Altri propongono il nome del fondatore del movimento integralista, Ahmed Yassin, per una delle colonie «dure» intorno alle quali si è più combattuto come Kfar Darom, Morag o Netzarim. Ai vertici dell'amministrazione locale si pensa piuttosto a usare nomi degli insediamenti per ricompensare i donatori più generosi alla ricostruzione di Gaza.
Il governatore di Rafah suggerisce il nome di Re Abdallah di Giordania e spiega: «Se re Abdallah ci aiuta a costruire una città, è normale che porti il suo nome». Il presidente degli Emirati Arabi ha fatto sapere di voler contribuire con 100 milioni di dollari alla costruzione di una città di 30.000 abitanti al posto della colonia di Morag.

(Il Giornale, 23 agosto 2005)





3. DAI CAMPI PROFUGHI IN PUGLIA ALLA TERRA PROMESSA




Puglia, agosto '45 le prime navi verso la Palestina

Alla fine del secondo conflitto mondiale, decine di migliaia di sopravvissuti allo sterminio nazista finirono nei campi profughi: alcuni in Puglia, da dove cominciò l'esodo per la Terra Promessa.

di Vito Antonio Leuzzi

La fine del secondo conflitto mondiale non rappresentò la conclusione del dramma degli ebrei. In mezzo alle rovine della guerra, attorno agli ex campi di concentramento del Terzo Reich, nella Germania meridionale ed in Austria (Bergen Belsen-Mathausen), vagavano decine di migliaia di sopravvissuti allo sterminio nazista. Per affrontare tale emergenza umanitaria, furono istituiti diversi campi profughi, sotto la sigla di «Displaced persons» (letteralmente «persone spiazzate») da parte dell' l'UNRRA, l'agenzia istituita dalle Nazioni Unite per soccorrere le vittime della guerra e per avviare la ricostruzione dei paesi europei più colpiti.
    In questa particolare situazione i superstiti della Shoah iniziarono a vivere in una sorta di limbo, senza alcuna sicurezza dal punto di vista abitativo e lavorativo e in una situazione di crescente disagio e privazione. Si registrò una crescente ostilità delle popolazioni locali senza considerare una nuova ondata di antisemitismo manifestatasi soprattutto in Cecoslovacchia ed in Polonia. Si colloca in quest'ambito la decisione degli esponenti sionisti di intensificare il flusso dell'emigrazione verso la Palestina.
    Fu istituita una rete clandestina - per la ferma opposizione del governo britannico all'emigrazione dei profughi verso il Medio Oriente - che trovò in Italia ed in Puglia uno dei suoi più importanti punti di riferimento. La comunità di Bari e gli altri centri di aggregazione ebraica sorti nel 1944, soprattutto nel Salento (Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea), sostennero la lunga permanenza dei profughi nell'attesa di imbarcarsi clandestinamente. Nella sola Comunità ebraica di Bari nell'ottobre del 1944 erano presenti oltre un migliaio di ebrei stranieri di diverse nazionalità iugoslavi (i più numerosi), austriaci, polacchi, cecoslovacchi, tedeschi, romeni, russi, bulgari, ungheresi, lettoni, inglesi, francesi, estoni e decine di apolidi, ospitati in gran parte nel campo profughi di Torre Tresca e in alcune abitazioni requisite dagli alleati.
    Nell'estate del 1945 giunsero in Puglia con il compito di sostenere la rete clandestina e di agevolare il trasferimento degli ebrei, Yehuda Arazzi, uno dei comandanti dell'Aganà (addestramento militare) ed Ada Ascarelli (emigrata nel 1927 in Palestina assieme al marito Emilio Sereni che dopo una difficile missione nel Nord-Italia nel '44 fu catturato e deportato a Dachau dove morì). A Torre a Mare fu allestita, in gran segreto, una stazione radio che consentì di mantenere i contatti con le navi cariche di ebrei che gli agenti del Mossad (Istituto per l'immigrazione illegale) cercarono di far partire dalle coste pugliesi. Dopo tante difficoltà, nell'ultima decade di agosto, partì da Monopoli il «Dallin», la prima nave della sezione italiana dell'emigrazione clandestina, che giunse a Cesarea il 28 agosto del 1945 con un carico di 35 passeggeri. Oltre al «Dallin», secondo la testimonianza di Ada Sereni, contenuta nell'importante volume autobiografico I clandestini del mare (1973), partirono il «Nettuno I», il 27 agosto, da Mola di Bari con 79 passeggeri; il «Pietro I», il 17 settembre da Chiatona (Taranto) con 169 passeggeri; il «Nettuno II», il 24 settembre da Mola con 73 passeggeri; e il «Pietro II» da Chiatona, il 15 ottobre, con 174 passeggeri.
    L'attività del Mossad si sviluppò senza soluzioni di continuità tra il 1945 ed il 1947, nonostante i rigidi controlli inglesi, e si concentrò su Cozze, frazione di Mola di Bari, dove erano stati presi in fitto diverse abitazioni ed una grande villa, utilizzata ufficialmente come convalescenziario, a poca distanza dal mare. Il luogo venne soprannominato «Aqabè» (località sul Mar Rosso) e si rivelò di grande utilità sia per la vicinanza al capoluogo pugliese, sia per le caratteristiche della costa. Nel suo racconto Ada Sereni affermò: «Formata da una scogliera bassa e spianata e il mare profondo sin sotto la riva, Aqabè fu per noi un'ottima base e fu usata parecchie volte per partenze facili, senza avventure».
    Tra il 1945 ed il 1947 le strade pugliesi furono percorse da migliaia di ebrei, provenienti dalla Germania, dalla Polonia, dall'Ungheria, dalla Austria, dalla Romania, che attraversarono tra molte difficoltà e con ogni mezzo i valichi alpini soprattutto del Nord-Est. I sopravvissuti alla Shoah trovarono ampia accoglienza nei campi gestiti dall'UNRRA in attesa di imbarcarsi dalle località lungo la costa barese e salentina Diversi altri imbarchi di profughi furono organizzati lungo le spiagge di Ginosa e Metaponto (cfr. l'importante ricostruzione di Mario Toscano, La porta di Sion, Il Mulino, 1990 ed il recente volume di Andrea Villa, Dai lager alla terra promessa, Fondazione ISEC, Sesto San Giovanni, 2005).
    L'irrigidimento delle autorità militari inglesi che avevano il controllo dei porti pugliesi (furono infatti poste sotto sequestro a Bari con l'accusa di traffici clandestini il «Dallin», il «Nettuno» e l'«Albertina») non scoraggiò i responsabili del Mossad. L'invisibile rete clandestina messa su dai sionisti continuò a funzionare. Il 4 marzo 1947 partì da Metaponto la nave «Susanna» e il 13 maggio salpò da Cozze una motonave, l'«Orietta», ribattezzata «Lohamè Hagghettact» (i combattenti dei ghetti) con 1500 passeggeri. Nella Puglia dell'immediato dopoguerra, terra di passaggio per migliaia di ebrei stranieri in fuga da un'Europa devastata dall'odio razziale, si attuò la «grande epopea» dell'emigrazione verso la terra promessa.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 agosto 2005)





4. EINSTEIN FA RICCA L’UNIVERSITÀ EBRAICA




Quattro milioni di dollari all’Università di Gerusalemme grazie all’anniversario di Albert Einstein, scomparso 50 anni fa all'età di 76 anni. Lo rivela Bloomberg News.

L’immagine dello scienziato è infatti sfruttata molto nel mondo della pubblicità. Questo ha fatto sì che Einstein sia una delle principali voci di reddito per il custode del suo patrimonio e cioè per la Università ebraica di Gerusalemme. Quest'anno ricorre il centenario dalle sue più importanti scoperte. Nell'anno detto “del miracolo” Einstein pubblicò infatti le sue opere più importanti, tra cui “La teoria speciale della relatività. Si prevedono quindi celebrazioni in tutto il mondo in onore dello scienziato, ad opera di governi, scuole e musei, e tali eventi potrebbero procurare proventi per 4 milioni di dollari in diritti di immagine, dice chi gestisce il patrimonio. “Esaminiamo da una a tre proposte al giorno”, commenta Hanoch Gutfreund, sessantanovenne docente di fisica, a capo di una commissione dell'Università cui spetta valutare le richieste per l'utilizzo del nome ed immagine di Einstein. A inizi luglio, la Germania ha coniato una moneta commemorativa da 10 euro, che reca la sua formula che lega la massa all'energia, “E=mc2”. Si tratta di una delle numerose iniziative in corso a livello mondiale per ricordare lo scienziato. Tra queste, c'è la conferenza scientifica in calendario questo mese a Berna, in Svizzera, dal titolo “Oltre Einstein: una fisica per il 21mo secolo”.
    Non mancano le commemorazioni artistiche, tra cui la rappresentazione teatrale londinese, “Albert's Boy” -- vale a dire “Il ragazzo di Alberto”-- che racconta il ruolo svolto da Einstein nello sviluppo della bomba atomica. Le commissioni relative al diritto di immagine di Einstein fruttano all'Università ebraica di Gerusalemme circa 1 milione di dollari l'anno, secondo esponenti di questa istituzione. Nell'ultimo decennio, da quando cioè l'Università ha cominciato a utilizzare tali diritti, i ricavi hanno raggiunto circa 16 milioni di dololari. Lo scienziato rimane quindi tra i donatori più generosi ed assidui dell'Università. Una delle operazioni più lucrative, per l'immagine di Einstein, risale allo scorso marzo, quando la californiana Walt Disney Co. accettò di versare 2,66 milioni di dollari all'Università ebraica per poter utilizzare il nome dello scienziato nella sua linea di giochi didattici, denominata “Baby Einstein”. Einstein passò gli ultimi 22 anni della sua vita all'Institute for Advanced Study a Princeton, New Jersey, ma lasciò le sue carte ed il diritto ad utilizzare il suo nome all'Università ebraica, che aveva visitato nel 1923 e di cui divenne membro non residente del consiglio dei governatori.
    Le carte personali di Einstein rimasero a Princeton, dove vennero organizzate in un archivio, sino al 1982, e poi trasferite in Israele.

(Il Denaro, 26 agosto 2005)





5. COSÌ I PESCATORI DEL LAGO SALVARONO 30 EBREI




«Sulla mia barca c’era la famiglia Levi e un ragazzo che si chiamava Arrigo»

di Luigi Foglietti

TUORO – Una pagina di eroismo al Trasimeno, finora sconosciuta, è riemersa dall’oblio grazie alla riscoperta dello storico Gianfranco Cialini. Metà giugno

prosegue ->
del ’43, un periodo che Agostino Piazzesi, oggi 80 anni ben portati, non dimenticherà mai. «Sulla mia barca – dice Agostino - c’era la famiglia Levi e ricordo un ragazzo sui 16, 17 anni che si chiamava Arrigo...». Proprio Arrigo Levi, il giornalista della Rai ed ex direttore della Stampa, era sulla barca di Agostino. Il pescatore del Trasimeno, insieme a 14 colleghi con 5 barche, salvò la vita di trenta ebrei, confinati nell’Isola Maggiore nel castello dei marchesi Guglielmi, consegnandoli a Sant’Arcangelo alle truppe alleate ed evitando la deportazione nei lager nazisti.
    Organizzatore dell’esodo fu don Ottavio Posta, all’epoca parroco sull’isola. «Eh! Don Ottavio un grande prete – ricorda Piazzesi – un vero padre, come lui se ne trovano pochi, riunì tutti i pescatori dell’isola e ne scelse quindici, i più forti, tra i quali io, dando disposizioni precise, direi quasi con piglio militare e spiegando anche i grossi rischi. In quel tempo infatti il lago divideva il fronte, a nord-ovest i tedeschi a sud-est gli alleati. Ricordo uno scontro cruento a Sanfatucchio durato 10 giorni per fermare l’avanzata degli alleati, con i tedeschi che avevano ricevuto rinforzi utilizzando l’aeroporto di Castiglion del Lago». «I tedeschi non scherzavano con chi aiutava gli ebrei – continua nel suo racconto l’anziano pescatore – Quella notte alle dieci, comunque, dopo gli accordi presi da don Ottavio con il responsabile del campo un certo Lana, gli ebrei rinchiusi nel castello vengono fatti uscire e vengono fatti salire a bordo delle cinque barche presso il moletto che serviva la proprietà Guglielmi. Tutti stesi sul fondo delle barche per renderli il meno visibili possibile».
    Agostino Piazzesi ripensando a quella notte quasi si commuove e sembra riprovare tutta la tensione che visse a 18 anni: «La traversata del lago era ad altissimo rischio non solo per il carico che portavamo, ma anche perché c’erano dei lanci di bengala da parte di aerei che illuminavano a giorno lo specchio d’acqua e poi mitragliavano. Vogavamo veloci, alternandoci ai remi, in fila indiana a distanza di un centinaio di metri gli uni dagli altri, verso l’isola Polvese allontanandoci dalle zone controllate dai tedeschi. Superata la Polvese dalla parte di San Feliciano puntiamo verso Sant’Arcangelo dove giungiamo dopo due ore. Proprio sotto la villa Valeria, sede del comando inglese». Missione compiuta. «No – conclude Agostino – perché appena scesi dalle barche siamo circondati da militari inglesi armati fino ai denti che, non essendo stati avvertiti si erano fortemente insospettiti per quello sbarco notturno. Fortunatamente alcuni ebrei parlavano l’inglese e tutto si chiarì».

(Il Messaggero, 10 agosto 2005)





6. CENTINAIA DI NUOVI «OLIM» DALLA FRANCIA




"Sento come dei fuochi d'artificio nel cuore"

Bisognava essere all'aeroporto "Ben Gurion" in quel giorno, il 25 luglio 2005, per provare, vedere e capire fino a che punto, al di là dei fatti, delle crisi, delle polemiche e dei titoli della stampa di questi giorni, sia vivo e vitale il sionismo classico, semplice, immediato, quel sionismo che fa sì che ogni anno migliaia di ebrei decidano di venire ad abitare in Israele.
    E così, alle 14.00 in punto, è atterrato il volo El Al da Parigi, con al suo interno un folto gruppo di nuovi immigranti, ai quali si uniranno, un'ora più tardi, altri olim che arriveranno con un volo da Marsiglia. Trecentotrenta ebrei francesi cominciano così una nuova vita in Israele. Tra loro si contano cento bambini e settanta studenti, che inizieranno i loro studi nelle università di Gerusalemme, Tel Aviv e Bar Ilan.
    Gli sportelli si aprono. Sul viso dei passeggeri pronti a scendere si legge lo stupore; ai piedi della scalinata di sbarco, stanno aspettando fotografi e cameramen, attivisti d'alià che sventolano bandierine, fiori dappertutto. I passeggeri esitano un istante e poi cominciano a scendere; alcuni di loro hanno le lacrime agli occhi, altri appaiono imbarazzati, altri vengono "sequestrati" dai media, una prima intervista nella nuova patria. Anche noi c'eravamo e la canicola delle ore pomeridiane non si sentiva affatto.
    Emmanuelle Segura (17 anni), Eva Azerad (17) ed Elsa Barkats (18) sono arrivate insieme con il volo da Parigi. Emmanuelle dice che è contenta di essere in Israele, anche se è un po' triste dopo il commiato dai suoi cari. "Da sempre volevo venire a vivere qui. Ho finito la maturità e sono arrivata. E' questo il nostro paese" dichiara, emozionata, stanca e felice. Elsa è sorpresa dall'accoglienza "Non ci avevano detto niente in aereo" dice sorridendo, la grande confusione la diverte. Tra qualche ora andrà dalla sua famiglia ad Ashdod; Eva si recherà a Kfar Saba ed Emmanuelle a Gerusalemme. Qualche giorno di vacanza fino ai primi di agosto; poi cominceranno a fare sul serio, perchè la loro mechinà (il corso accademico preparatorio) ha inizio il 3 agosto.
    Quando le lasciamo salire in autobus, ecco arrivare una coppia con quattro figli. E' la famiglia Toledano, che ha lasciato Sarcelles, un sobborgo della periferia parigina, in cui vive una numerosa comunità ebraica. Il papà, Didier, e la mamma, Josyane, non perdono d'occhio i figli Jonathan (20 anni), Kevin (18), Tania (14) e Dan (4). Didier dice: " Che emozione! Che accoglienza! Ci sono ancora molti punti interrogativi. Io vorrei aprire un ristorante ad Ashdod. Vedremo come andranno le cose, per adesso la sensazione è fantastica". E sua moglie Josyane ringrazia: "Sono terribilmente emozionata, non riesco a trattenere le lacrime".
    Lo abbiamo visto, signora cara e anche noi ci siamo commossi con lei. Parliamo camminando. Il piccolo Dan si è addormentato nel suo passeggino, con una bandierina israeliana in mano. Per lui tutto sarà più facile. Gli basterà un mese nel giardino d'infanzia per diventare un israeliano a tutti gli effetti.
    La signora Liliane Atlan è arrivata da Tolone, nel sud della Francia. "Sono così felice, emozionata, è tutta la vita che aspettavo questo giorno, ho ritrovato la mia casa" afferma e aggiunge "spero di vivere in pace con tutti i miei fratelli".
    Una coppia di anziani si fa strada nel caos generale; la signora sorride e il marito dice: "Ho 81 anni e da 60 anni che aspettavo questo giorno... ma dove sono i nostri bagagli?".
    Ecco arrivare un ragazzo giovane, con in mano un foglio verde dell'Università Ebraica di Gerusalemme. Si chiama Jonathan Chemouni, ha 18 anni, ha lasciato la sua città, Bèziers, e ora intende intraprendere gli studi di Odontoiatria. Lo attendono la mechinà e lo studio dell'ebraico.
    "Ci sto pensando già da tre anni. Sentivo di non avere un futuro in Francia. I miei genitori erano d'accordo ed eccomi qui e ora sento come dei fuochi d'artificio nel cuore. Sto vivendo il mio sogno. Spero che tutto andrà bene. Ho due fratelli e una sorella e mi auguro che ben presto mi seguiranno".
    Qui ognuno ha una sua storia personale. La maggior parte ha in Israele familiari o amici, che potranno facilitare la loro integrazione.
    Ma ecco che ha inizio la cerimonia. Prendono la parola Mira'le Gal, Direttrice Generale del Ministero dell'Assorbimento dell'Alià, Arieh Azulay, che è alla guida della Commissione per l'Alià dell'Agenzia Ebraica e Gil Taib, Presidente della nuova organizzazione AMI (Alià e migliore integrazione), fondata da uno dei leader dell'ebraismo francese, Pierre Besnainou. Il cantante Doron Mazar entusiasma il pubblico. C'è un'atmosfera festosa, commovente, canzoni gioiose e occhi lucidi.
    La cerimonia si è conclusa. E' stata una giornata indimenticabile. Domani sarà un nuovo giorno. La festa è finita e comincia una nuova vita. Per tutti loro non sarà sempre facile, ma la scelta è stata fatta. Noi saremo al loro fianco, con la speranza che i fuochi d'artificio continuino ad illuminare i loro cuori per tanto tempo ancora.

(Keren Hayesod, 5 agosto 2005)





7. RICHIESTA DI RETTIFICA




Nel n. 306 di Notizie su Israele, nell'articolo "Il peggiore abominio" abbiamo riportato un brano del libro di Raul Hilberg, "La distruzione degli Ebrei d'Europa". Nel testo citato si parla della deportazione degli Ebrei da Vienna nel 1941 e viene nominato anche il Rabbino Benjamin Murmelstein. Il figlio di quest'ultimo, il dr. Wolf Murmelstein, ci ha prima telefonato e poi scritto per chiedere una rettifica di quanto riportato nell'articolo in merito a suo padre. E' una richiesta che ben volentieri accogliamo pubblicando integralmente la sua lettera.


Ladispoli, 21 agosto 2005

Illustrissimi Signori!

Faccio seguito alle nostre odierne conversazioni telefoniche riguardo a quanto scritto su mio Padre, Rabbino Benjamin Murmelstein, nell’articolo citato in riferimento, affermazioni che respingo come offensive per la Sua memoria e quale rappresentazione distorta dei fatti del 1941/42.

Confido nel Vostro rispetto di quanto detto nel Discorso della Montagna, Matt. 5.22 “…e chi avrà detto al suo fratello raca sarà sottoposto al Sinedrio e chi gli avrà detto pazzo sarà condannato …” e chiedo di presentare ai Vostri lettori le mie precisazioni.

Riassumendo quanto scritto in un contesto più esteso da Hilberg risultano nel Vostro articolo due affermazioni delle quali chiedo la rettifica e l’eliminazione in quanto gravemente offensive:

• La Kultusgemeinde (Comunità Religiosa Ebraica) non cercava alcun soccorso. Al contrario collaborava con la Gestapo e il rabbino Murmelstein non lesinava gli sforzi (…).
• ... Gli “Ausheber” di Murmelstein facevano irruzione …

Dette affermazioni sono pure del tutto infondate come risulta dai seguenti dati di fatto:

1. Nel 1938 a Vienna vivevano circa 180000 ebrei oltre ad un certo numero di persone che avevano creduto di poter risolvere i propri problemi convertendosi ad una delle Chiese, che poi non erano state in grado di aiutarli.

2. Nella primavera 1938 il Dirigente Loewenherz chiese a Benjamin Murmelstein di assumere la direzione dell’Ufficio Emigrazione. Murmelstein “non lesinava gli sforzi” e il suo Ufficio riuscì a curare, fino al 1941, l’emigrazione verso la salvezza di almeno 110000 (centodiecimila!) persone, tra le quali anche la famiglia di Raul Hilberg. Murmelstein “non lesinava gli sforzi” per superare le crescenti difficoltà tra cui anche le norme USA sull’immigrazione e delle quali circoli protestanti conservatori chiedevano l’applicazione ancora più restrittiva.

3. Con l’emigrazione – per la quale Murmelstein “non lesinava gli sforzi” – in tre anni di circa due terzi della popolazione ebraica risulta, grosso modo, la cifra indicata nell’articolo di 51000 persone, in maggioranza anziani, presenti a Vienna nell’autunno 1941 all’inizio delle deportazioni di massa.

4. Chi doveva compilare le liste della selezione delle persone da deportare? A Berlino Leo Baeck sosteneva che se le liste venivano compilate dalla Comunità tutto si sarebbe svolto in un modo più umano.
A Vienna Murmelstein, conformemente ad una antica risoluzione rabbinica, sosteneva che le liste dovevano essere compilate dall’SS, che un milite doveva andare sul posto e che la Comunità poteva solo inviare personale di assistenza per la preparazione dei bagagli e accompagno ai luoghi di raccolta. La frase “gli Ausheber di Murmelstein …” risulta quindi sia offensiva che del tutto infondata alla luce dei fatti.

5. La frase “La Kultusgemeinde (Comunità Religiosa Ebraica) non cercava soccorsi …” appare priva di senso, specialmente se si legge quanto scrive Doron Rabinovici sull’isolamento nel quale si trovavano gli ebrei in un ambiente ostile o, almeno, indifferente. Inoltre, chi scrive sulla Shoah dovrebbe considerare che il Terzo Reich era un soggetto riconosciuto di diritto internazionale e che l’annessione dell’Austria era stata, di fatto, riconosciuta dai vari governi. Dove si avrebbe dovuto cercare soccorso? La frase (la Comunità) “al contrario collaborava con la Gestapo”appare gravemente offensiva e del tutto assurda. Infatti la Gestapo e il Servizio Centrale di Eichmann davano ordini, espressi in termini durissimi e pessimo tedesco. I dirigenti Loewenhertz e Murmelstein potevano solo tentare di ottenere qualche attenuazione, il più delle volte senza successo. Il rapporto fra Comunità e l’SS non era di collaborazione ma di dura soggezione. Chi scrive sulla Shoa deve considerare la differenza fra questi due concetti.

6. Hilberg su Vienna è informato in modo incompleto, non ha ritenuto di contattare Murmelstein e, molto grave, attribuisce un valore eccessivo ai documenti di fonte tedesca.

7. L’accostamento che fate nell’articolo fra quanto succede in questi giorni a Gaza e quanto accadde allora “in quelle tenebre” aumenta, ai miei occhi, l’effetto offensivo del Vostro articolo.

Sono a disposizione per ogni ulteriore chiarimento in materia di storia della Shoah e confido nella Integrale pubblicazione della presente sul Vostro prossimo numero e resto in attesa con i
Migliori Saluti.

Wolf Murmelstein


Per quanto riguarda l'esattezza storica dei fatti, ripetiamo che abbiamo riportato fedelmente quanto contenuto nell'edizione italiana del testo di Raul Hilberg a pag. 477. Se quanto scritto da Hilberg non corrisponde a verità, siamo ben contenti che la cosa sia fatta rilevare. Per quanto riguarda l'accostamento ai fatti di Gaza, i commenti all'articolo volevano sottolineare la gravità di una situazione che spinge gli ebrei a mettersi gli uni contro gli altri, ma la responsabilità viene attribuita soprattutto all'ambiente che sta intorno, come evidenziava anche l'articolo di Doron Rabinovici. Se un accostamento si voleva fare, sia pure in forma interrogativa e con le dovute cautele, era tra regime nazista e comunità internazionale. Queste almeno erano le intenzioni, se però l'effetto è risultato offensivo ne chiediamo sinceramente scusa. M.C.





8. MUSICA E IMMAGINI




Barhku




9. INDIRIZZI INTERNET




For Zion's Sake Ministries

Messianic Bureau International




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