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Notizie su Israele 330 - 21 gennaio 2006

1. Secondo la «Santa Sede»
2. Una ricostruzione della storia di Hebron
3. La cultura dell'impunità
4. L'umore del Presidente palestinese
5. L'economia israeliana tra export e ricerca
6. Sondaggi in Israele
7. Intervista a Netanyahu
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Proverbi 30:12-13. C'è una razza di gente che si crede pura, e non è lavata della sua sozzura. C'è una razza di gente che ha gli occhi molto alteri, e le palpebre superbe.
1. SECONDO LA «SANTA SEDE»




"Il vero Israele"

di Luigi Castaldi

Lunedì 9 gennaio, dinnanzi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, una soave vocina ha detto: "Lo Stato d'Israele deve poter sussistere pacificamente in conformità alle norme del diritto internazionale". I diplomatici – si sa – sono di fibra algida: sghignazzare mantenendosi la panza, mai. Inoltre, pur essendo quasi tutti molto bravi in storia e in geografia, sanno trattenersi dal fare i pignoli quando risulterebbe inopportuno: l'alveare è permaloso, l'ape regina non si tocca. Insomma, quando quella vocina soave ha speso quei due grammi di ovvietà in favore di
Israele, lunedì 9 gennaio, nessuno dei presenti ha sghignazzato, nessuno ha detto: "Santità, che ipocrisia!", per dirla come l'avremmo detta noi. Che infatti diplomatici non saremo mai.
  "Per quanto riguarda il destino dei luoghi santi e in generale degli interessi cattolici in Palestina, il Vaticano avrebbe preferito che né gli ebrei né gli arabi, ma una terza forza esercitasse il controllo in Terra Santa; in ogni caso, sapeva bene che questa soluzione era irraggiungibile e, nelle presenti circostanze, preferiva gli arabi agli ebrei", così scriveva, l'8 agosto 1949, il ministro plenipotenziario della Gran Bretagna presso la Santa Sede, John Victor Perowne. Era stata della primavera del 1947 la decisione britannica di rimettere il mandato in Palestina; la cosa aveva messo il Vaticano in grande difficoltà. Quando se n'era ventilata l'ipotesi, nel 1945, monsignor Thomas McMahon, massimo responsabile della politica vaticana in Medio Oriente, aveva scritto: "La Palestina è internazionale. Un governo internazionale della Palestina [il riferimento, oltre nel testo, era alle Nazioni Unite] è la soluzione migliore fra tutte, perché tutela il carattere sacro della terra natale di Cristo". Fin lì, il controllo britannico della regione aveva dato ottime garanzie alla Santa Sede che pure non aveva mancato di esprimere qualche timore, quando la cosa era ancora in discussione presso la Società delle Nazioni nel 1922, per voce del suo Segretario di Stato, cardinal Pietro Gasparri, ancora una volta sulla possibilità che la posizione ebraica risultasse privilegiata. Poi, le cose s'erano messe per il meglio, e per nessuna delle tre confessioni – cattolica, musulmana ed ebraica – c'era stato di che lamentarsi troppo, almeno non ufficialmente. Per la Santa Sede l'opzione dell'internazionalizzazione della Palestina poteva essere messa da parte, per essere tirata fuori un quarto di secolo dopo. A opporsi decisamente, allora, furono musulmani ed ebrei e non se ne fece nulla.
  Come sempre fa, quando non può far sentire la sua voce con la forza che vorrebbe, il Vaticano tacque, si ritirò dai maneggi e lasciò fare, limitandosi a dichiararsi "del tutto indifferenti alla forma di regime che la vostra stimata Commissione [delle Nazioni Unite] potrà proporre, purché nelle vostre proposte conclusive vengano presi in considerazione e tutelati gli interessi della Comunità cattolica, protestante e ortodossa". Andava prendendo corpo, però, qualcosa che la Santa Sede temeva più d'ogni altra, e che non si aveva idea di come si potesse ostacolare: la nascita dello Stato di Israele. Sir Alan Cunningham, l'ultimo dei commissari britannici in Palestina, scrisse nel 1947: "La cosa peggiore, dal punto di vista cattolico, è che Gerusalemme finisca sotto il controllo ebraico". Qualche odierno residuo di screzio tra lo Stato della Città del Vaticano e lo Stato di Israele viene dalla storia certamente, poi chissà se pure dalla teologia. In ogni caso, fino a tutto il 1948, ogni voce vaticana si astenne scrupolosamente dal seppur minimo cenno alla Palestina, cercando di far garante il governo degli Stati Uniti, presso il quale si spese il cardinal Francis Spellman: "Se in ogni caso la spartizione sarà imposta – aveva scritto a George Wadsworth, ambasciatore Usa in Iraq – non bisogna perdere l'occasione di fissare un sistema accuratamente concepito e dettagliato di garanzie e tutele per i luoghi santi e per le minoranze cristiane". Ma quando il 14 maggio 1948 nasce lo Stato di Israele, l'Osservatore Romano rompe il silenzio e palesa, con amarezza, quello che avrebbe voluto realmente in Palestina: "Il sionismo moderno non è il vero erede dell'Israele biblico ma uno stato laico […] La Terra Santa e i suoi luoghi santi appartengono al Cristianesimo, il Vero Israele".

(Notizie Radicali, 18 gennaio 2006)





2. UNA RICOSTRUZIONE DELLA STORIA DI HEBRON




Il passato, il presente e il futuro

di Deborah Fait

Mi aspettavo frotte di pacifisti schierati a Hebron per difendere i diritti delle 8 famiglie di ebrei che vogliono riprendere possesso delle loro case nella casbah araba.
Otto famiglie contro 130.000 abitanti arabi di quella che e' la seconda citta' piu' importante per Israele dopo Gerusalemme.
Mi sbagliavo, come sempre. Pacifisti dalla parte degli ebrei? Quando mai?

Forse sarebbe il caso di ricordare a chi legge le notizie frammentarie e spesso inesatte dei media sull'argomento, la storia Hebron per capire quello che sta accadendo in questi giorni.
Ecco una parte di un articolo scritto da me alcuni anni fa dopo una emozionante e mai dimenticata visita alla prima Capitale di Israele.

Hebron fu una delle citta' piu' importanti di Israele durante tutto il periodo che va dal Primo al Secondo Tempio e fu qui che Bar Kochba diede inizio alla sua rivolta contro i Romani. La rivolta si concluse tragicamente con la distruzione del Secondo Tempio, la fine di Israele e l'inizio della diaspora ebraica che doveva durare duemila anni, fino al 15 maggio 1948.
Vi furono molti pii ebrei che rimasero in terra di Israele, divenuta Palaestina Romana, e andarono a vivere nelle citta' sante dell'ebraismo tra cui appunto Hebron dove abitarono ininterrottamente per 3700 anni sopportando varie conquiste, distruzioni e mutamenti drammatici.
I bizantini e i crociati trasformarono la Grotta del Padre Abramo in una chiesa, poi arrivarono i mussulmani e la trasformarono in una moschea ma gli ebrei rimasero la' nonostante tutto e continuarono a pregare i Padri e le Madri di Israele.
Circa 700 anni fa i Mammelucchi conquistarono Hebron, dichiararono il luogo proprieta' islamica, proibirono l'entrata alla Grotta a tutti gli ebrei e non permisero loro di avvicinarsi piu' di sette passi dall'inizio della scalinata.
Sette passi per poter pregare, sette passi che non permettevano neppure di vedere l'entrata della Grotta.
Altri ebrei arrivarono nel 1492 dopo la cacciata dalla Spagna e l'Inquisizione.
Erranti di terra in terra, cacciati e perseguitati, trovarono a Hebron i loro fratelli e un po' di tranquillita' all'ombra delle Tombe dei loro Patriarchi.
La popolazione araba viveva tutto intorno e lentamente i rapporti tra i due popoli si normalizzarono. Gli ebrei, quasi tutti studiosi e maestri insigni della Torah, non davano fastidio alla popolazione araba che arrivo' infine ad apprezzarli poiche' la loro presenza creava lavoro e miglior stile di vita.
Verso la fine del 700 gli ebrei acquistarono 400 dunam di terra intorno a Tel Rumeida per poter vivere piu' comodamente. Quei 400 dunam, ancora oggi proprieta' ebraica, costituiscono la maggior parte della Hebron odierna, compresa la Casbah in cui si possono trovare ancora i segni delle mezuzoth (piccoli rotoli di pergamena, racchiusi in astucci, recanti versi del Deuteronomio) ai portoni delle case diventate illegalmente di proprieta' araba.
Gli ebrei e gli arabi di Hebron convissero piu' o meno pacificamente per alcuni secoli, fino al 1929, data del massacro e della distruzione della comunita' ebraica.

Cosa accadde nel 1929?

Il Muftì di Gerusalemme Haij Amin al-Husseini, zio di Yasser Arafat, era un fervente nazista e un feroce odiatore di ebrei.

Incomincio' proprio dal Palazzo del Muftì, a Gerusalemme, una violenta campagna antiebraica, gli Imam di tutta la Palestina tennero sermoni pieni di odio nelle moschee fino ad incendiare gli animi della gente e a provocare i pogrom che attraversarono tutto il paese, complice il silenzio assoluto degli inglesi.
Quando incomincio' la rivolta araba, gli ebrei di Hebron rifiutarono la protezione dell'Hagana' sicuri che nella loro citta' non sarebbe accaduto niente e che i loro amici arabi non gli avrebbero torto un capello dopo centinaia d'anni di convivenza pacifica.

Purtroppo la loro fiducia risulto' essere mera illusione e pagarono caro la loro illusione di affetto e amicizia.
Pagarono con la morte, una morte cosi' atroce che, disse un sopravvissuto, pareva che il cielo cadesse su Hebron.
Il pogrom incomincio' il 23 agosto, nel pomeriggio. Orde di arabi attaccarono ogni ebreo che incontravano sulla loro strada, ammazzando tutti, entrarono nelle case e nelle sinagoghe, uccisero i rabbini, bruciarono ogni cosa.
Agli ebrei che chiedevano disperatamente aiuto, i britannici, sempre dalla parte degli arabi, risposero di chiudersi in casa e di aspettare gli eventi.
Eventi che purtroppo non tardarono.

Sabato 24 agosto 1929, si rinnovo' la tragedia.

Migliaia di arabi armati di coltelli, asce forconi e ogni arma possibile incominciarono un sistematico assalto alle case degli ebrei di Hebron. Non risparmiarono nessuno, ammazzando ogni ebreo sul quale potevano mettere le mani. Entrarono nella casa del Rabbino Yosef Castel, loro amico, lo sgozzarono e bruciarono la sua casa.
Il Rabbino Hanoch Hasson, caporabbino di Hebron, fu ucciso con l'intera famiglia. Tagliarono le mani della moglie che mori' dissanguata. Sopravvisse solo Shlomo, un bambino di un anno, coperto di sangue quindi probabilmente creduto morto. L'eccidio continuo' per tutta la giornata, di casa in casa, senza pieta' sotto gli occhi degli inglesi indifferenti e spaventati.
Quel giorno furono sgozzati 89 ebrei di Hebron e tre giorni dopo gli inglesi decisero di evacuare chi era sopravissuto nella Comunita'. Li misero sui camion e li portarono a Gerusalemme e tutte le loro proprieta' furono prese dagli arabi e mai piu' restituite.

Fu distrutta cosi', col tacito consenso del Governo britannico, la piu' antica comunita' ebraica in Terra di Israele, ma la sabbia che si calpesta non e' piu' rossa del sangue di tanti innocenti.
Il tempo e' passato e le ferite restano soltanto nei cuori..

Il cielo, quel cielo che pareva cadesse sulla citta', e' terso e azzurro e pare aver assorbito le grida disperate dei pii vecchi, dei rabbini, delle donne e bambini ebrei ammazzati senza motivo, senza pieta', senza guerra, senza un motivo al mondo se non l'odio.

Dopo aver superato ostacoli di ogni genere, nella primavera del 1931, un gruppo di famiglie ritorno' a Hebron guidate da Rabbi Heiem Begaio e Avraham Franco. Rimasero a Hebron per 4 anni cercando con ogni sforzo di svilupparsi e consolidarsi nonostante l'atmosfera ostile che li circondava.
Quando nel 1936 altri tumulti scoppiarono e si paventava un altro eccidio gli inglesi deportarono ancora tutti gli ebrei: in piena notte li ricaricarono sui camion e li portarono fuori dalla citta'.
Ancora una volta trionfavano terrore, odio e violenza con il vergognoso appoggio agli assassini arabi delle autorita' inglesi.
Ancora una volta, senza nessun motivo, la minuscola e pacifica comunita' ebraica di Hebron fu distrutta e svani' nel nulla.

Nel 1948 i giordani conquistarono Giudea e Samaria, inclusa Hebron. Le autorita' giordane completarono la distruzione dei pochi ebrei abbarbicati a quella terra e di qualsiasi forma di vita ebraica.
L'antico quartiere ebraico fu raso al suolo (come a Gerusalemme) e al suo posto fu insediato il mercato. Gabinetti pubblici furono costruiti al posto dei luoghi santi dell'ebraismo, e la casbah fu allargata sulle antiche case degli ebrei.
L'antica Sinagoga di Abramo fu fatta crollare e al suo posto fu costruito un recinto per capre, pecore e asini .

Altre case di ebrei, come l'antico ospedale Hadassa e la Beit Romano, furono usate come uffici per i conquistatori giordani.
L'antico cimitero ebraico, incluso il cippo a onore dei martitri del 1929, fu completamente distrutto. Le pietre tombali, qui come a Gerusalemme, furono usate per lastricare le strade e per costruire edifici.

Hebron rimase senza ebrei per 20 anni.

Nel 1967, dopo che i giordani insieme ad altre cinque nazioni arabe avevano perso la guerra per l'annientamento di Israele, la Giudea e la Samaria furono liberate e gli arabi di Hebron temendo la vendetta per i fatti del 29 e 36 si arresero senza sparare un colpo.

Il capo dell'IDF, Generale Shlomo Goren, fu il primo ebreo ad entrare a Hebron, entro' da solo e prosegui' verso la Grotta della Machpela' dove ricevette il proclama di resa della citta'.
Quello era il momento opportuno per i figli di Hebron di ritornare a prendere possesso delle loro terre e delle loro case per sempre.
Purtroppo il governo esito' e gli ebrei di Hebron dovettero arrangiarsi da soli.
Un gruppo di famiglie rientro' subito, altri seguirono all'inizio del 1968 e coll'andare del tempo, nonostante le difficolta' e i pericoli, la comunita' crebbe e si stabilizzo'.

Tre anni piu' tardi il governo decise di costruire un insediamento nell'antica Kiriat Arba a pochi chilometri dal centro di Hebron e dal 1971 la comunita' si estese fino a raggiungere le 7000 persone, religiosi e laici.

Kiriat Arba oggi ha una piccola zona industriale, centri commerciali, una grande varieta' di scuole religiose e laiche e centri sociali.
Le antiche sinagoghe distrutte furono ricostruite e restaurati gli scavi di palazzi dell'era cananea e delle parti della citta' dell'epoca del Primo e Secondo Tempio, tutto era stato sepolto con spregio sotto metri di immondizie.
Gli avvenimenti degli anni tra il 1994 e il 1996 portarono Hebron ad essere il centro dell'attenzione internazionale.

Nel settembre del 1993, gli accordi di Oslo diedero all'OLP la totale autonomia su Giudea, Samaria e Gaza e il primo risultato di questo accordo fu la creazione della polizia palestinese composta da ex terroristi e terroristi ancora in carica e il ritiro dell'esercito di Israele dai centri urbani lasciando tutto in mano all'autorita' palestinese che si occupo' di tutto meno che della difesa degli ebrei.
Quelli che molti paventavano si verifico' e incomincio' un altro periodo di efferati attentati, anche se era gia' pronto il premio Nobel per la pace per il Capo dell'OLP, Yasser Arafat.

Vi furono molti attacchi terroristici nella zona e molti ebrei furono uccisi. Dal 1993 gli attacchi del terrore contro gli ebrei continuarono senza sosta con le piu' svariate armi, dai coltelli, alle bombe, ai sassi, ai fucili e numerosi ebrei di Hebron tra cui alcuni bambini, la piu' piccola di tre anni, furono uccisi.
Una settimana prima della festa di Purim del 1994 Hamas fece circolare un volantino per annunciare un prossimo e massiccio attacco alla comunita' ebraica e per ordinare agli arabi di chiudersi in casa.

La sera di Purim centinaia di arabi urlanti gli stessi slogan di sempre : "ALLAH E' GRANDE ! MORTE AGLI EBREI!" correvano per le strade della cittadina terrorizzando gli ebrei che credevano di essere ritornati al 1929.
Il giorno dopo Purim, il dottor Baruch Goldstein un medico chirurgo di Kiriat Arba che aveva dovuto curare o dichiarare la morte di numerose vittime del terrorismo arabo, entro' nella grotta della Machpela' e apri' il fuoco uccidendo 29 arabi. Dopo questo gravissimo attentato si riparlo' di evacuare gli ebrei da Hebron, ma durante la festa della pasqua ebraica (Pessach) una grande manifestazione ebbe luogo per protestare contro la minaccia del Governo di sradicare gli ebrei dalla loro citta' santa.

Dopo l'attentato del 1994 agli ebrei fu vietato di entrare nella Grotta della Machpela' e per un anno intero furono costretti a pregare all'aperto, lontani dagli arabi anche se dall'inchiesta condotta dal giudice Meir Shamgar risulto' enorme il numero di attacchi e omicidi che aveva colpito i cittadini ebrei di Hebron e di Kiriat Arba prima del folle gesto di Baruch Goldstein.
Questo pero' non poteva sminuire la gravita' dell'attentato condannato all'unanimita' e con forza da tutti gli israeliani che, non abituati al terrorismo ebraico, se ne vergognavano moltissimo.

Il Governo decise la permanente separazione fisica tra i gruppi e nego' agli ebrei il permesso di visitare la Tomba di Isacco che si trova in pieno quartiere arabo.

Queste decisioni del governo di Israele prese allo scopo di evitare altre tragedie, provocarono tuttavia una forte opposizione a causa del calpestato diritto degli ebrei di poter avere un legame continuo e libero con le proprie radici.

Le decine di attentati arabi non avevano provocato nessuna punizione alla popolazione araba, un unico attentato di un ebreo porto' alla punizione di tutta la comunita' ebraica da parte del suo stesso governo.
Spesso le ingiustizie fanno piu' male della morte.

Nel 1995, a Taba, il destino di Hebron fu segnato, la citta' fu irresponsabilmente regalata a Arafat e l'esercito si ritiro' dall'85% dell'area .
Tutti gli ebrei furono evacuati anche da altre 6 citta' di Giudea e Samaria: Jenin, Shechem, Tulkarm, Bet Lechem, Ramallah e Kalkilia. Gli uomini dell'OLP entrarono nelle citta' come vincitori e si sa che i luoghi abitati dai palestinesi devono essere "judenrein", naturalmente senza che il mondo libero gridi allo scandalo.

Le bandiere di Israele furono dissacrate e bruciate, sempre senza scandalo.

La probabile evacuazione di Hebron paventava l'avvicinarsi all'orlo di un abisso da cui non si sarebbe piu' risaliti perche' cancellare la presenza ebraica dalla citta' significava cancellare 4000 anni di storia e nessuno voleva assumersi tale responsabilita'.

Probabilmente non ci sara' mai piu' il ricongiungimento tra la Citta' Santa dei Padri e lo stato di Israele ma la missione di Abramo non e' conclusa e, per gli ebrei, Hebron e'

*il passato, il presente e per sempre*

Oggi gli ebrei di Hebron, esasperati dagli ultimi 5 anni di guerra e terrore, vogliono riprendersi le loro case, ma ancora una volta hanno tutto il mondo contro e il passato, il presente e il futuro di questa minuscola comunita' si fondono in un'unica millenaria tragedia.

(Informazione Corretta, 18 gennaio 2006)





3. LA CULTURA DELL'IMPUNITA'




Palestina: Appello di Amnesty International ai candidati alle elezioni

I candidati al Consiglio legislativo palestinese devono impegnarsi per stabilire lo stato di diritto nella Striscia di Gaza e nelle aree della Cisgiordania sotto la giurisdizione dell'Autorita' palestinese, dove la violenza inter-palestinese ha raggiunto livelli senza precedenti. La richiesta e' contenuta in una lettera aperta diffusa da Amnesty International alla vigilia delle elezioni del 25

prosegue ->
gennaio. L'organizzazione per i diritti umani invita tutti i candidati a porre i diritti umani al vertice della loro agenda politica e a presentare proposte concrete per porre fine alla violenza tra le varie fazioni e all'impunita', nonche' a impegnarsi per introdurre leggi che garantiscano giustizia per la popolazione palestinese.
    'I candidati dovranno impegnarsi affinche' sia l'esecutivo palestinese che i gruppi armati siano chiamati a rispondere per la crescente assenza di legalita' e l'aumento degli abusi dei diritti umani' – si legge nella lettera aperta. La spirale di violenza e' proseguita nel corso dell'ultimo anno, in un contesto di totale assenza dello stato di diritto e in cui i gruppi armati, le famiglie piu' potenti, i clan e le fazioni hanno acquisito sempre piu' influenza politica ed economica. Centinaia di palestinesi sono rimasti feriti o uccisi in attacchi e scontri armati tra gruppi rivali, e a seguito del sempre piu' frequente e immotivato uso di armi da fuoco ed esplosivi in aree densamente popolate. I gruppi armati – la maggior parte dei quali legati al partito al potere, Fatah – hanno inoltre rapito decine di palestinesi e diversi giornalisti e cooperanti stranieri, rivendicando lavoro, riforme istituzionali e la scarcerazione di detenuti.
    'Le vittime non hanno alcun mezzo per ottenere giustizia, dato che il sistema giudiziario e le forze di sicurezza non possono o non vogliono portare di fronte alla giustizia i membri dei gruppi politici armati, delle famiglie e dei clan influenti, responsabili di questi attacchi. Questa situazione e' inaccettabile e molto pericolosa' – sostiene Amnesty International. Decenni di occupazione militare israeliana, i frequenti attacchi di Israele contro le installazioni di sicurezza palestinesi e i blocchi militari intorno alle citta' e ai villaggi palestinesi hanno pregiudicato il funzionamento delle istituzioni dell'Autorita' palestinese, strozzato l'economia e contribuito al deterioramento della situazione della sicurezza interna [come al solito, quando proprio non si può evitare di riconoscere i crimini palestinesi, è d'obbligo attribuire una congrua parte di colpa ad Israele. L'inverso accade molto raramente. ndr] .
    'Ma questo non attenua la responsabilita' dell'Autorita' palestinese, delle fazioni politiche e dei gruppi armati per la crescente violenza e assenza di legalita'. L'Autorita' palestinese e le sue istituzioni, specialmente il Consiglio legislativo, devono occuparsi di questi problemi con urgenza. Esse dovranno, inoltre, porre fine alla cultura dell'impunita', particolarmente rafforzatasi nel corso di questi anni, lasciando in liberta' i responsabili di uccisioni di civili, sequestri e altre gravi violazioni dei diritti umani' – prosegue la lettera aperta di Amnesty International. Gli autori e i mandanti di questi crimini, compresi membri delle forze di sicurezza dell'Autorita' palestinese e i gruppi armati legati al partito Fatah non devono sentirsi al di sopra della legge. Per questo, e' necessario rafforzare il sistema giudiziario, stabilirne l'indipendenza e rafforzare i poteri dei tribunali.
    'I candidati alle elezioni devono impegnarsi ad assicurare che le uccisioni, i sequestri, le torture e gli altri abusi saranno oggetto d'indagini e che i responsabili saranno portati di fronte alla giustizia' – si legge nella lettera aperta. Inoltre, le leggi che concedono alle donne inferiori diritti e minore protezione rispetto agli uomini dovranno essere modificate. 'Oltre alla sofferenza che hanno patito a seguito di decenni di occupazione israeliana e di conflitto, le donne palestinesi vengono uccise o sottoposte a violenze e abusi da parte dei loro parenti maschi per motivi di onore familiare e sono colpite da leggi e pratiche che istituzionalizzano l'ineguaglianza e la discriminazione e negano loro i diritti umani fondamentali' – accusa Amnesty International. L'organizzazione chiede pertanto ai candidati al Consiglio legislativo di condannare le uccisioni e gli altri abusi commessi contro le donne in nome dell'onore e li sollecita ad agire per modificare le leggi che discriminano le donne.

(Cani Sciolti, 18 gennaio 2006)





4. L'UMORE DEL PRESIDENTE PALESTINESE




Abu Mazen: «Sono depresso»

Il presidente minaccia di dimettersi: non mi candiderò mai più
Il premier pensa di non essere più in grado di governare il proprio territorio


di Mara Vigevani

GERUSALEMME — Abu Mazen sull'orlo di una crisi di nervi. Così i quotidiani israeliani hanno titolato ieri [18 gennaio]. Secondo americani ed europei che hanno incontrato il rais negli ultimi giorni «Abu Mazen è depresso, non crede
Abu Mazen
più in se stesso, minaccia di dimettersi e si è ripromesso di non candidarsi mai piu». Anche l'Intelligence israeliana conferma che Abu Mazen sta perdendo il controllo della situazione. Non crede più nelle persone che gli stanno vicine, sembra triste, depresso. A Gerusalemme i leader del governo israeliano sono già in allarme: in queste condizioni Abu Mazen non potrà creare un governo e certamente non riuscirà a mettere ordine nell'anarchia creatasi nell'ultimo periodo a Gaza. Il rais soffre di sbalzi di umore, annulla importanti incontri, si rifiuta di incontrare ospiti invitati da lui stesso. Secondo Ben Caspit, editorialista del quotidiano israeliano «Maariv», il principale motivo di questa situazione è la presa di coscienza, da parte del Presidente dell'autorita palestinese, di non essere in grado di governare il proprio territorio e sopratutto di non poter mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Secondo Caspi, Abu Mazen avrebbe affermato in incontri privati: «Non riesco a prendere in mano la situazione a Gaza a causa dell'autorità Pelsetinese». Persino gli uomini del suo partito, il Fatah, avrebbero smesso di considerare Mahmud Abbas il loro leader. Abu Mazen, in uno dei suoi attacchi, se la sarebbe presa persino con Muhamed Dahlan, ministro degli Affari Civili. Lo avrebbe accusato di essere il responsabile dell'attacco subito da rappresentanti dell'ambasciata indiana a Gaza: «Sei impazzito proprio come il tuo predecessore», ha risposto Dahlan. Anche il viaggio in Arabia Saudita, dove Abu Mazen avrebbe dovuto raccogliere soldi per la sua campagna elettorale, risultato in realtà inutile, prova che la situazione psichico-mentale del rais palestinese sia peggiorata notevolmente. Dall'altra parte il rais continua a essere considerato il personaggio più importante e sopratutto più moderato tra i palestinesi dagli Stati Uniti, da Israele e dall'Europa. Lunedi Olmert aveva infatti manifestato l'interesse di intraprendere con Abu Mazen negoziati sull'assetto definitivo nei Territori nel contesto del Tracciato di pace, a condizione che il presidente dell'Anp provveda a disarmare le varie milizie dell'Intifada. Ieri a Ramallah, in un incontro con la stampa palestinese, Abu Mazen, si è detto pronto a incontrare il leder, ad interim, israeliano. «Spero che presto potremo sederci assieme attorno al tavolo dei negoziati perché quella è l'unica via per raggiungere la pace», ha detto Abu Mazen. Il futuro non pare quindi roseo per l'Autorita palestinese, si parla di Guerra tra i giovani del Fatah per prendere in mano la situazione, in particolare tra Dahlan e Marwan Bargouti. Anche all'interno di Hamas si prospettano lotte di potere tra coloro che vivono nei Territori Palestinesi e coloro che risiedono all'estero. In Israele sono pronti a ogni evenienza, se l'autorita palestinese dimostrerà di non essere un partner con cui poter aver un dialogo, non rimarrà altra alternativa che continuare una politica di decisioni unilaterali.

(Il Tempo, 19 gennaio 2006)





5. L'ECONOMIA ISRAELIANA TRA EXPORT E RICERCA




«Israele, un Paese di opportunità»

di Matteo Asti

BRESCIA - Infrastrutture, risorse umane e vantaggi fiscali. Sono le ragioni per le quali, secondo l'ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol, gli imprenditori bresciani non possono perdere l'occasione di fare affari con lo stato della stella di David. Un invito esplicito, formulato ieri nel corso di un incontro nella sede di Apindustria.
    «Auspico un futuro di accordi regionali - ha detto l'ambasciatore, impegnato in una visita diplomatica del territorio bresciano -, azioni di cooperazione e progetti di sviluppo, fattiva collaborazione. Israele ha delle grosse potenzialità per gli imprenditori europei: questo potrebbe diventare un sogno da realizzare». Israele è un Paese che ha vissuto straordinarie trasformazioni negli ultimi anni che l'hanno portato ad abbandonare la vecchia veste di centro agricolo del Medio Oriente per diventare un cuore pulsante dell'hi-tech, con una particolare predisposizione all'information and comunication technology, e una forte vocazione alla specializzazione di piccole e medie imprese. Imprese che potrebbero interfacciarsi con quelle bresciane a partire dal comparto della meccanica in cui gli israeliani cercano con determinazione dei partner. Quella israeliana è un'economia che vive di export, visto il limitato mercato interno, florida dal punto di vista finanziario e con un'inflazione e un tasso d'interesse comparabili a quelli occidentali. La risposta alla crisi negli anni passati è stata una politica finanziaria volta a diminuire le spese di welfare, una riduzione delle tasse sul lavoro e una lunga serie di privatizzazioni che hanno portato il Paese da un sistema di tipo socialista a uno più vicino al libero mercato.
    Ma l'enfasi è stata soprattutto sull'aumento del livello di istruzione e della ricerca e sviluppo: oggi sono diverse le multinazionali che hanno dato vita nel Paese a centri di ricerca, come per esempio il gigante dei processori Intel. I settori di produzione strategici sono però anche altri. In primo luogo le agrotecnologie: il Paese è all'avanguardia per quanto riguarda le tecniche di irrigazione e l'automazione di serre. C'è poi un altro settore chiave: quello dello smaltimento rifiuti, produzione energia solare e desalinizzazione delle acque. Inoltre, sono importanti anche le biotecnologie e le tecnologie medicali. Diversi i vantaggi per un imprenditore: la presenza di una diffusa rete di infrastrutture, scienziati e ingegneri di altissimo livello, una comunità di venture capital e la presenza di ottimi incentivi e defiscalizzazioni. «I nostri associati vedono in questo Paese la presenza di pericolosi competitor che però potrebbero trasformarsi in possibili partner - ha spiegato il presidente di Apindustria Flavio Pasotti -. E' per questo che inviteremo i nostri associati a sfruttare il contatto con questa disponibile ed efficiente ambasciata».

(Bresciaoggi, 19 gennaio 2006)





6. SONDAGGI IN ISRAELE




La West Bank, notoriamente conosciuta come Cisgiordania, va lasciata unilateralmente da parte delle truppe di Gerusalemme. E' questo il risultato del sondaggio lanciato dal quotidiano ebraico "Maariv", secondo il quale il 51% degli israeliani risulta favorevole allo smantellamento delle colonie e della presenza militare nella zona al di là del Giordano. Soltanto il 49% degli intervistati si è dichiarato contrario a ripetere, anche per la West Bank, l'operazione realizzata l'estate scorsa a Gaza - ovvero il ritiro ebraico dall'area colonizzata. Il direttore del giornale ha commentato il risultato dell'inchiesta affermando che il pubblico israeliano si dimostra più lungimirante dei partiti politici che dovrebbero guidarlo.
In un secondo sondaggio, presentato dallo stesso giornale, risulta invece che la maggioranza, seppur non assoluta, dei cittadini israeliani pensa che il loro governo dovrebbe assumersi la responsabilità di un attacco militare contro i siti nucleari iraniani, qualora gli sforzi diplomatici per fermare il programma atomico di Teheran dovessero fallire. Il 49% degli intervistati si è dichiarato favorevole ad un intervento militare anti-iraniano, il 40% invece ha espresso un giudizio contrario, mentre l'11% non si è ancora formato un'opinione al riguardo.

Un altro sondaggio, pubblicato dal giornale "Haaretz", ha invece indagato la situazione partitica interna. Dalle interviste è emersa un'importante ripresa da parte del partito conservatore "Likud" e di quello laburista, che hanno riacquistato consenso a danno di "Kadima", la formazione creata da Ariel Sharon. Secondo il sondaggio, il Likud salirebbe di quattro seggi raggiungendo la quota di 17, mentre i laburisti ne guadagnerebbero tre arrivando a 19. Per Kadima, invece, i seggi ottenuti sarebbero 41. Dato il numero complessivo della "Knesset", che accoglie 120 deputati, il partito di "Arik" (Sharon) continua a rimanere comunque la formazione politica di maggioranza relativa.

Inoltre, a cinque giorni dalle criticate elezioni politiche, un nuovo sondaggio palestinese dell'agenzia stampa Jmcc mette in luce una sostanziale parità fra i due principali partiti - "al Fatah" e "Hamas". Il partito del presidente Abu Mazen dovrebbe infatti ricevere complessivamente il 32,3%, mentre Hamas avrebbe il 30,2%.

(Aprile online.info, 21 gennaio 2006)





7. INTERVISTA A NETANYAHU




«Sharon ha fatto capitolare Israele. Gaza è la base terrorista di Hamas»

Contro Kadima: «Vuole il confine del '67. Non è una linea di pace bensì di terrorismo Tel Aviv e tutta la costa si troverebbero sotto tiro. Attendiamoci un'ondata di nuovi attentati»

di Fiamma Nirenstein

GERUSALEMME. Bibi Netanyahu adesso è pronto alla lotta contro Olmert, e ci spiega come. Risfodera la solita grinta ma si vede che è stanco e scottato dall'esperienza iniziale in questo Likud, che con la previsione di soli 17 seggi, raccoglie i resti della fuoriuscita del nuovo Kadima, guidato alla sua formazione da uno Sharon ancora forte e imbattibile. Anche oggi la battaglia per Netanyahu si profila durissima: Kadima raccoglie ancora il 42% dei consensi, e intanto, mentre lo shock di Sharon in coma viene lentamente assimilato, si riapre ogni genere di spaccatura interna.

Mentre parliamo, arriva la notizia dell'attentato di Tel Aviv. Come lo interpreta, a meno di una settimana dalle elezioni?
«E' un altro segnale del fallimento dell'Autorità palestinese nel combattere il terrorismo. E' una tragedia per la pace, e prima di tutto per i palestinesi stessi. E' un periodo di buio radicalismo, che si interromperà solo quando si libereranno dal giogo del terrore per sostituirlo con valori della coesistenza pacifica e del pluralismo».

Eppure Olmert vuole andare avanti con il processo di pace: parla di distruggere in fretta gli insediamenti illegali, di iniziare colloqui definitivi di pace, e intanto consente le elezioni nonostante la presenza di Hamas.
«La vera domanda sul governo di Israele è: chi è in grado di proteggerlo oggi dall'emergere di uno Stato terrorista di Hamas».

Uno Stato di Hamas? C'è anche Abu Mazen.
«Hamas amministra già Gaza, e permette ad al Qaeda di penetrare. Ha un grande successo, e da tempo. E il crescente organizzarsi del terrorismo a Gaza, di fatto è stato, invece che punito, ricompensato con lo sgombero unilaterale. Io avvertii Sharon che lo sgombero sarebbe stato visto come una capitolazione e avrebbe rafforzato Hamas. E così è stato».

E quindi qual'è la sua linea?
«Israele la deve smettere di punire i moderati premiando il terrore. La mia politica fece crollare il terrorismo per via del principio di reciprocità. In tre anni ci furono tre attacchi. Resi chiaro che avrei distrutto il loro regime se avessero continuato con le centinaia di morti. Promisi che avrei fatto accordi in assenza di attacchi, e ne feci svariati».

Anche Sharon, che lei biasima, ha portato con le sue operazioni alla diminuzione radicale degli attacchi.
«C'era un'incoerenza fondamentale nella sua politica: non puoi punire i terroristi militarmente e poi ricompensarli politicamente. Sappiamo tutti che stiamo per fronteggiare una nuova ondata terrorista: dipende dal fatto che Hamas, la Jihad Islamica, le Brigate di Al Aqsa hanno capito che funziona».

Il tema tuttavia resta sempre quello del territorio, non le pare? Lei non è pronto a concessioni di alcun genere?
«Il tema oggi non sono i confini. Non lo dicono più neppure loro: Hamas dice che in cambio della linea del '67 sarebbe, forse, pronto a una tregua, e non si sa neppure fino a quando. La loro linea non è quella del '67, ma quella del mare, dove ci vogliono spingere...».

Con la linea del '67 molti sarebbero contenti?
«Contenti perché allora potrebbero tenere sotto tiro l'aviazione civile all'aereoporto Ben Gurion, la linea della costa in cui ci sono quasi tutte le città importanti, la strada Tel Aviv-Gerusalemme. Non possiamo pemetterci che questo accada».

Così lei esclude la nascita di uno Stato Palestinese?
«Penso che il nucleo di uno Stato Palestinse esista già, ed è Gaza; e da quello si vede quanto oggi sia pericoloso allargare l'esperienza alla Cisgiordania».

Insomma la sua linea sarà quella di allontanare un processo di pace?
«No, ma dev'essere un vero processo di pace: la verità è che Kadima vuole tornare ai confini del '67 che non sono confini di pace, ma confini di terrorismo.Avere Hamas a distanza di tiro da Tel Aviv secondo lei migliora le possibilità di pace?».

Ma Hamas può cambiare, dicono.
«Se revocano la loro ideologia e rinunciano al terrore, certo. Ma non sta accadendo».

E allora? Che cosa è pronto a fare per la pace?
«Mi intenda: non voglio dominare i palestinesi, non mi interessa affatto controllare le loro città. Ma intendo procedere via via che si creano condizioni di sicurezza per Israele. Chiunque vuole la pace vede che questa è la linea giusta».

E la linea su cui lei convincerà gli Usa, che vogliono la road map subito? Quella su cui convincerà gli elettori, che ormai intendono proseguire sulla linea di Sharon?
«Il Likud prenderà molti più voti di quanto vi aspettiate tutti quanti. Quanto agli Usa, anche Bush è contro Hamas alle elezioni, e Sharon solo tre settimane fa diceva che era assolutamente contrario. Ora, non solo partecipano alle elezioni, ma ce li ritroviamo a Gerusalemme!»

(La Stampa, 20 gennaio 2006)




8. MUSICA E IMMAGINI




Ma Nishtana




9. INDIRIZZI INTERNET




binario 21

Biblical Roots




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