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Notizie su Israele 333 - 10 febbraio 2006

1. Vignette e pistole
2. Il problema non sono le vignette
3. Il discorso del leader di Hamas a Damasco
4. Uno Stato con il compito di distruggere Israele
5. Corruzione e bancarotta palestinese
6. Gli israeliani si interessano all'Italia
7. Israele e la sua terra
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Salmo 68:1-2. Si alzi Dio, e i suoi nemici saranno dispersi, e quelli che l'odiano fuggiranno davanti a lui. Tu li dissolverai come si dissolve il fumo; come la cera si scioglie davanti al fuoco, così periranno gli empi davanti a Dio.
1. VIGNETTE E PISTOLE




Intimidazione all'Europa

Non nascondiamoci dietro un dito. Non bastano vignette per quanto le si voglia giudicare irriverenti, inopportune, irridenti e irrispettose nei confronti dell'Islam, a spiegare l'ondata di proteste anti-danesi e anti-occidentali. Tanto meno a spiegare la barbara esecuzione di don Andrea Santoro. Non diciamo a giustificare, perché l'ondata di violenza e di intolleranza è ingiustificabile, ma a spiegarla. Saremo i soliti, inguaribili scettici, ma non crediamo all'indignazione popolare che spontaneamente esplode da Giakarta a Gerusalemme, da Teheran a Damasco. Non ci sarà dietro una sola mano, però stiamo assistendo a una intimidazione su larga scala nei confronti dell'Europa e dell'Occidente. Il fuoco è attizzato dall'islamismo radicale e si trasmette con la velocità che solo la società della comunicazione e la rete globale consentono. Ma sul fuoco soffiano i governi moderati e regimi autoritari in cerca del consenso perduto (o mai goduto). E lo fanno nel modo più irresponsabile. L'omicidio di don Andrea è avvenuto a Trebisonda, nel cuore di un paese come la Turchia considerato un baluardo della modernità nel mondo islamico, il più democratico e, fino a qualche tempo fa, il più laico dei paesi musulmani. E' avvenuto dopo che il premier Recep Erdogan ha chiesto all'Europa di limitare la libertà di stampa e punire i giornali che hanno pubblicato i cartoons. Non sappiamo se l'assassino è un giovane fuori di testa, un fanatico isolato, o il membro di un gruppo fondamentalista. Le testimonianze sono discordanti e anche dall'interno della Chiesa vengono suggerimenti e opinioni diverse. Ma la sequenza temporale tra le parole del capo del governo e l'azione criminale, inquieta e richiede la massima fermezza.
Erdogan non può e non deve minimizzare (come ha fatto ieri), ma deve dar prova della massima determinazione. Lo chiediamo a lui non solo perché è morto un italiano e un religioso che ha pagato con la vita il suo impegno al dialogo e al confronto, ma anche perché Erdogan, per opportunismo, sta guidando un paese modello verso una deriva pericolosa. Se la Turchia diventa terreno di coltura dell'islamismo fondamentalista, allora è perduta. Se i governi dei paesi musulmani non daranno prova di fermezza nel riportare la protesta dentro binari corretti, saranno schiacciati. Il "grande disegno" jihadista che sembrava in ripiegamento, riprenderà forza per la debolezza di classi dirigenti imbelli che si illudono così di conservare il loro potere. E' questo che l'Europa deve far capire con fermezza, non chiedere scusa.

(Il Riformista, 7 febbraio 2006)





2. IL PROBLEMA NON SONO LE VIGNETTE




Il burattinaio

di Magdi Allam

Pensate che il 2 maggio 2005 l'imam Ahmed Abu Laban era l'ospite d'onore al convegno «Le radici del terrorismo in Europa» organizzato dal capo dei servizi segreti danesi, Lars Findsen, svoltosi nel suo quartier generale a Copenaghen. Elevato dalle autorità al rango di rappresentante dei musulmani in Danimarca, cinque mesi dopo Abu Laban si rivelerà il grande burattinaio che ha promosso la «guerra santa» dell'islam mondiale contro il Paese che gli ha dato la cittadinanza. La figura centrale di Abu Laban, noto anche ai servizi segreti italiani per i suoi rapporti con la moschea di viale Jenner a Milano, sconfessa ancora una volta il luogo comune sulla natura reattiva dell'ondata di violenza e di terrorismo esplosa ben cinque mesi dopo la pubblicazione delle discusse vignette che ritraggono il profeta Mohammad (Maometto). Chiarendo che non c'è un rapporto di causa ed effetto tra la presunta blasfemia e il terrorismo.
    Bensì la fredda e deliberata strumentalizzazione di un risentimento diffuso tra i musulmani per pianificare, d'intesa con movimenti estremisti e governi canaglia islamici, l'aggressione a uno stato simbolo e a dei valori fondanti della civiltà occidentale.
    Premettiamo un fatto poco o per niente noto. Non solo il quotidiano Jyllands-Posten, sotto accusa per la pubblicazione delle vignette lo scorso 30 settembre, ha ospitato le opinioni polemiche di esponenti islamici, ma questi ultimi hanno effettivamente intentato una causa al giornale per diffamazione e blasfemia, un reato contemplato dal codice danese. Ma evidentemente l'obiettivo non è una soluzione civile che concilii il diritto alla libertà d'espressione con il rispetto dei simboli della religione, o comunque affidata alla sentenza di un tribunale.
    «Noi vogliamo internazionalizzare la vicenda affinché il governo danese si renda conto che le vignette non hanno offeso solo i musulmani della Danimarca ma anche i musulmani di tutto il mondo», sostenne Abu Laban il 18 novembre al sito integralista www.islam-online.net. Ed è così che dopo aver aizzato i militanti islamici in Danimarca, Abu Laban è partito al Cairo, dove è stato ricevuto dal segretario della Lega Araba Amr Moussa e dal grande imam dell'università islamica di Al Azhar Sayyed Tantawi. Poi si è recato in Arabia Saudita e infine nel Qatar, accolto a braccia aperte dallo sheikh Youssef Qaradawi, leader politico e spirituale dei Fratelli Musulmani d'Europa. Quest'ultimo, lo scorso 3 febbraio, ha emesso una fatwa che legittima l'uccisione dei vignettisti e dei direttori di giornali che avrebbero offeso il profeta Mohammad.
    Abu Laban, persona non grata in Egitto e negli Emirati Arabi per le sue tesi islamiche estremiste, è legato al movimento palestinese Hamas e al gruppo egiziano della Jamaa al-Islamiya. Ha ospitato a Copenaghen nel 1990 lo sheikh cieco Omar Abdel Rahman, condannato all'ergastolo negli Usa per il primo attentato al World Trade Center del 1993, e Ayman al Zawahiri, il numero due di Al Qaeda.
    All'indomani dell'11 settembre ha elogiato Bin Laden e i Taliban.
    Intervistato proprio dal Jyllands- Posten il 21 agosto 1994 dopo la strage di sette monaci e altri turisti in Algeria, Abu Laban commentò: «Forse i turisti diffondevano l'Aids in Algeria così come gli ebrei diffondono l'Aids in Egitto».
    Nel febbraio 1995 è stato ospite a Milano del nono congresso della moschea di viale Jenner. Abu Laban e altri predicatori pronunciarono dei sermoni, registrati in un video, di cui
    Il Foglio ha pubblicato un estratto: «Bisogna combatterli, ucciderli, lapidarli: solo così si può aver pietà di loro. Il Jihad con armi e fuoco ha come obiettivo di togliere il marcio da questa terra, perciò è questa la pietà: salvare il mondo dai miscredenti».
    Cosa significa tutto ciò? Che le scuse reiterate in tutte le salse all'islam e ai musulmani non solo non servono, ma vengono percepite come un segno di debolezza e incoraggiano i burattinai del terrore a infierire ancor di più. Sono loro il problema, non le vignette. Un problema creato dall'ingenuità e dalla pavidità dell'Occidente.

(Il Corriere della Sera, 8 febbraio 2006)





3. IL DISCORSO DEL LEADER DI HAMAS A DAMASCO




Khaled Meshal
Nella traduzione di Memri Il FOGLIO pubblica il discorso tenuto venerdì 3 febbraio 2006 dal leader di Hamas Khaled Meshal nella moschea di Damasco. Un documento impressionante e chiarissimo la cui diffusione toglie ogni alibi a quanti fingono di non sapere che cosa sia Hamas.

Dopo la vittoria e la satira, Hamas urla all'UE:"Arrenditi"

di Khaled Meshal

Noi diciamo a questo occidente, che non agisce ragionevolmente e non impara la lezione: in nome di Allah, sarete sconfitti. Sarete sconfitti in Palestina, la vostra disfatta in questo paese è già cominciata. Israele sarà sconfitto e così lo sarà chiunque l'abbia sostenuto in passato o lo sostenga attualmente. L'America sarà sconfitta in Iraq. Ovunque la nazione (islamica) sarà fatta bersaglio, i suoi nemici saranno sconfitti. La nazione di Maometto sta conquistando la vittoria in Palestina. La nazione di Maometto sta conquistando la vittoria in Iraq e sarà vittoriosa in tutte le terre arabe e musulmane. (…) Unirà presente e passato. Aprirà gli orizzonti del futuro. Riconquisterà il controllo del mondo. Quel giorno non è lontano. Non vedete che fanno tutto il possibile per sconfiggerci militarmente, ma non ci riescono? Israele e le forze dell'occupazione in Iraq possiedono l'intero arsenale militare occidentale, eppure falliscono e sono sconfitti. Non capite che credono di poter usare la democrazia per ingannare i popoli, ma la democrazia si rivolta contro di loro? Non vedete che spendono il loro denaro nel tentativo di ostacolare Hamas, di sconfiggerla, ma [questa congiura] gli si rivolta contro? (…)

Porto buone nuove al nostro amato profeta Maometto: la promessa di Allah, che prevede la nostra vittoria in Palestina sugli ebrei oppressori, ha cominciato ad avverarsi. Io dico (ai paesi europei): affrettatevi a scusarvi con la nostra nazione, perché se non lo farete ve ne pentirete. Non lasciate una macchia nera nella memoria collettiva della nazione, perché la nostra nazione non vi perdonerà. Domani la nostra nazione siederà sul trono del mondo. Non è un parto dell'immaginazione, ma una realtà. Domani guideremo il mondo. Scusatevi oggi. La nostra nazione sta avanzando ed è nel vostro interesse rispettare una nazione vittoriosa. (…)

Quando conseguirà l'egemonia sul mondo e avrà il controllo delle proprie decisioni, impedirà questa manifesta ingerenza [nei nostri affari] e il saccheggio delle nostre risorse naturali, e fermerà le offese ricorrenti contro la nostra terra, contro la nostra nazione e contro i nostri luoghi sacri. Allora rimpiangerete quello che avete fatto. I paesi occidentali devono fermare gli stolti. Sono persone ragionevoli? Permettono che Allah e i profeti siano offesi. Offendono non solo Maometto, ma tutti i profeti. Ma quando un loro storico parla dell'Olocausto, sembra che sia il peccato di tutti i peccati. Se qualcuno critica gli ebrei, commette antisemitismo. Per legge, ritengono che i loro stessi cittadini ne siano responsabili. L'occidente, che tre secoli fa sbandierava gli slogan della libertà dopo la Rivoluzione francese, oggi non rispetta i propri principi. Li viola. Questa vittoria, che è stata evidente nelle elezioni, porta un messaggio a Israele, all'America e agli oppressori di tutto il mondo: non potrete sconfiggerci in alcun modo. Se volete la guerra, siamo pronti. Se volete la democrazia, siamo pronti. Qualsiasi cosa vogliate, siamo pronti. Non ci sconfiggerete. Il tempo delle disfatte è finito. La sconfitta nel giro di sei giorni, o di poche ore: tutto questo è giunto al termine. Prima di morire, Israele dovrà subire umiliazioni e degradazioni. L'America non sarà di alcun aiuto. I loro generali non potranno aiutarli. L'ultimo dei loro generali è stato dimenticato. Allah lo ha fatto scomparire. È finito. Se ne è andato quel Sharon dietro cui potrebbero nascondersi e trovare rifugio e con cui si sentirebbero relativamente sicuri. Oggi hanno leader deboli, che non sanno neppure dove il nostro Signore li ha messi. Li priveremo della vista, li priveremo del cervello. (…)

Le loro armi non potranno aiutarli. Le loro armi nucleari saranno inutili. Pensavano di avere conquistato l'egemonia sulla regione con le loro armi nucleari, ma il Pakistan ha improvvisamente dimostrato di possedere armi nucleari islamiche, e ora temono l'Iran, e diversi paesi arabi sono in possesso di armi chimiche. Israele ha cominciato a intuire che la sua superiorità è arrivata alla fine. Non esistono più guerre in cui il suo esercito possa dispiegare quelle armi convenzionali superiori (forze aeree, corpi corazzati, missili) di cui dispone. Abbiamo imposto una nuova equazione nella guerra. In questa equazione, i nostri strumenti sono più forti. (…)

So che tutti i leader arabi vogliono che la Palestina sia liberata. So che tutti i leader arabi (e ne ho incontrati parecchi) nel loro cuore vogliono che la resistenza in Palestina sia vittoriosa e vogliono che la Palestina sia liberata. Forse il bisogno di lusinghe e di diplomazia, e l'egemonia americana, impongono loro altre scelte, ma nel loro cuore gioiscono quando siamo vittoriosi (…).

Hamas ha una visione. Hamas può gestire la battaglia politica, così come ha gestito quella militare. La tedesca Merkel si fa avanti e afferma: la democrazia e il successo elettorale non sono sufficienti per accordare la legittimazione ad Hamas. Andatevene tutti al diavolo. Cosa dovremmo fare per ottenere la legittimazione? Ora noi sosteniamo di avere la legittimazione della democrazia, ma voi lo negate. In questo caso, siete voi i primi a non essere legittimati, poiché siete nati dalla democrazia. Questa è la logica di una persona fragile e disfattista. Oggi ci danno un ultimatum: riconoscete Israele. Fantastico! Nessuno chiede all'assassino di riconoscere i diritti della sua vittima, ma la vittima deve riconoscere i diritti del suo assassino e tesserne le lodi. Hamas ha una visione. Hamas ha un piano. Hamas può gestire la battaglia politica, così come ha gestito quella militare, ma ricorrendo a un linguaggio e a strumenti diversi, e il riconoscimento di Israele non è tra questi. Ciononostante desideriamo occuparci di politica. Dico all'America, all'Europa e all'occidente: è nel vostro interesse cambiare le vostre relazioni e la vostra politica con la nazione araba e islamica e la causa palestinese. E' nel vostro interesse trattare con i vincitori, non con i perdenti. Israele sarà sconfitto e non vi sarà di alcuna utilità. I musulmani saranno vittoriosi. La Palestina sarà vittoriosa. Affrettatevi a cambiare la vostra politica, se volete proteggere i vostri interessi. © Memri

(Il Foglio, 8 febbraio 2006 - da Informazione Corretta)





4. UNO STATO CON IL COMPITO DI DISTRUGGERE ISRAELE




Un governo diretto da Hamas potrebbe essere designato come Stato terrorista

di Terence Hunt

WASHINGTON - Il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni ha avvertito mercoledì scorso [8 febbraio] che un governo palestinese diretto da Hamas potrebbe essere designato come Stato terrorista ed essere soggetto a sanzioni se il gruppo radicale non rinuncerà al terrorismo e non riconoscerà lo Stato d'Israele.
    «Quando un'entità, uno Stato, è diretto da terroristi, vuol dire che questa entità, questo Stato sè destinato a diventare uno Stato terrorista», ha dichiarato la signora Livni nel corso di una conferenza stampa a Washington tenuta congiuntamente con il segretario di Stato americano Condoleza Rice.
    La comunità internazionale dispone di sue «proprie sanzioni e misure quando si tratta di un'entità che diventa un'entità terrorista».
    Per quel che riguarda le tasse e il diritto di dogana trasferiti ai palestinesi dallo Stato ebraico, il ministro ha stimatso che il suo paese non dovrà più sentirsi legato agli accordi che prevedevano il trasferimento di queste tasse prelevate da Israele a profitto dell'Autorità Palestinese.
    «Stiamo parlando di Hamas, che è indicato come organizzazione terroristica», ha spiegato Tzipi Livni. «E' inaccettabile esigere da Israele che faccia la sua parte in questi accordi mentre l'altra parte non riconosce nemmeno il nostro diritto ad esistere. E' così semplice.»
    Israele ha accettato di restituire circa 50 milioni di euro (41,8 milioni) al mese fino a che l'attuale governo diretto da Fatah resta al potere, una misura temporanea suggerita dagli Stati Uniti.
    Da parte sua, la signora Rice è stata interrogata dai giornalisti riguardo all'annuncio fatto dal Primo Ministro israeliano ad interim, Ehud Olmert, della sua intenzione di conservare i principali blocchi di colonie della Cisgiordania e

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la totalità di Gerusalemme quando si fisserà il tracciato definitivo delle frontiere, e di abbandonare le parti della Cisgiordania dove vive la maggior parte della popolazione palestinese.
    In reazione a questi progetti annunciati da M. Olmert, la signora Rice ha risposto che la posizione americana non è cambiata e che «nessuno deve tentare di predeterminare in modo unilaterale il contenuto di un accordo sullo statuto definitivo».

(Edicom, 8 febbraio 2006)





5. CORRUZIONE E BANCAROTTA PALESTINESE




All'Anp 9 milioni di dollari per un impianto mai fatto

di Gian Micalessin

Coinvolte due alte personalità palestinesi, tra cui un ex ministro dell'Olp

GERUSALEMME - Nove milioni di dollari perduti. Un intero impianto industriale abbandonato nel deserto di Gerico. Uno scialo simbolo della corruzione e della bancarotta palestinese. A tirarlo fuori dall'archivio dei fallimenti e dei fiaschi governativi è stato domenica scorsa Ahmed al Meghani, il procuratore generale di Gaza impegnato a far luce su dodici anni di corruzione e distrazione di fondi ai vertici dell'Anp. In quell'enorme capitolo, il cui valore in termini di sprechi documentati supera già i 700 milioni di dollari, Al Meghani sottolinea il caso della Mepco, acronimo di «Middle East Pipe Company Co». L'azienda, fondata nel 1997 con capitali palestinesi e italiani e destinata alla produzione di tubi in vetroresina, diventa, nella conferenza stampa del procuratore palestinese, il simbolo del coinvolgimento di governi e imprenditori italiani nel disastro palestinese.
    Il Giornale, dopo aver esaminato il dossier dell'inchiesta, aver parlato con il procuratore Al Meghani e aver sentito numerosi protagonisti della vicenda, non ha trovato traccia del coinvolgimento del nostro governo. La Mepco sembra invece l'icona della cattiva gestione, dell'approssimazione e della disinvoltura con cui ministri e personalità palestinesi hanno alimentato un malaffare che mescola e confonde interessi privati e fondi governativi.
    La vicenda Mepco inizia con il contratto siglato il 12 luglio 1997 dall'imprenditore italiano Franco La Rosa, presidente della Tvr Tecnologie Vetroresina Spa, e da Maher Al Kurd, allora consigliere economico del presidente Yasser Arafat, e oggi vice ministro dell'Economia palestinese. Alla base del contratto c'è un'ottima idea. «Il governo italiano dell'epoca - spiega al telefono Franco La Rosa, oggi presidente della Tvr Engineering -, incoraggiava gli investimenti in quella zona, e noi proponemmo all'Autorità Palestinese uno stabilimento per la produzione di grandi tubature in vetroresina. Siamo i detentori di un brevetto unico nel settore, e in Medio Oriente non esistono aziende specializzate in quel genere di produzione. L'iniziativa ci sembrava un ottimo affare».
    Il lato oscuro di quell'ottimo affare è l'interesse privato di almeno due alte personalità palestinesi. Il primo è Maher al Kurd, l'allora consigliere economico di Arafat, che firma il contratto e assume la presidenza della Mepco. Il secondo è Zuhdi Nashashibi, l'allora ministro delle Finanze e membro del comitato esecutivo dell'Olp, che segue in prima persona la trattativa autorizzando l'uscita dalle casse palestinesi dei 4 milioni e 20mila dollari necessari a finanziare il 60 per cento delle quote della Mepco. Grazie a questi soldi e a due milioni e 680mila dollari, versati sulla carta dal socio italiano, nasce il 18 febbraio 98 la Mepco, registrata con l'atto numero 5631239575 al registro delle ditte di Gaza. Quell'atto resta l'unica tappa chiara nella travagliata storia della azienda.
    Il primo dubbio sollevato nel 2005 dalla commissione del Parlamento palestinese che esamina il caso e lo segnala poi alla procura di Gaza riguarda la partecipazione italiana. I due milioni e 680mila dollari dovuti dall'azienda di Franco La Rosa in cambio del 40 per cento delle quote non risultano versati. Neppure l'Autorità Palestinese paga, però, le quote di maggioranza garantite da Maher Al Kurd. I 4 milioni e passa di dollari usciti il 17 gennaio 1998 da un conto del ministero delle Finanze dell'Anp servono in verità a pagare gli impianti per la produzione di tubi in vetroresina spediti via nave dalla Tvr Engineering Srl di Franco La Rosa. «Noi - spiega oggi Franco La Rosa - non abbiamo mai versato i nostri due milioni e 680mila perché dovevamo semplicemente investirli nella costruzione e nell'avvio dello stabilimento».
    Una versione confermata dal contratto del 22 novembre 1997 con cui la Mepco si impegna a pagare alla Tvr Engineering sei milioni e 697mila dollari, cioè l'intero capitale, per l'acquisto dei macchinari e la messa in funzione degli impianti. La Mepco è dunque una scatola vuota utilizzata soltanto per far uscire denaro dalle casse del ministro delle Finanze palestinese e convogliarlo all'estero.
    Ma il peggio deve ancora arrivare. I cinque container pagati agli inizi del gennaio 98 e spediti dalla Tvr nei mesi successivi nel porto israeliano di Ashdod non vengono sdoganati e restano bloccati almeno fino all'ottobre 1998. «Solo un container è stato sdoganato ed è arrivato a Gaza, ma intanto tutti sembrano essersi dimenticati dell'impianto - leggiamo in una lettera indirizzata ad Arafat il 12 ottobre 1998 da Jirar Nouman Al Kidwa, capo del comitato di controllo dell'Anp -. I soci del comitato d'investimento sono anche soci della compagnia di trasporto che dovrebbe sdoganare e trasportare i container, ma quei signori sembrano desiderare che la terra si apra e ingoi tutta la merce. Abbiamo cercato di capire perché, e ci è stato detto che il primo container contiene solo attrezzature inutilizzabili e di seconda mano».
    L'accusa viene ripresa anche nell'indagine del Parlamento di Ramallah del 2005, ma Franco La Rosa la contesta con tutte le sue forze. «Prima di spedire quei container e ottenere la lettera di credito - afferma - abbiamo dovuto sottoporli alla certificazione dei Lloyd's di Londra, che comprovano la qualità e lo stato dei materiali». Lo scialo è solo all'inizio. Quando, finalmente, i container arrivano a Gaza, il comitato d'investimento incaricato di seguire la costruzione dello stabilimento fa traslocare tutto a Gerico, e il 22 giugno acquista i terreni su cui far sorgere lo stabilimento pagandoli l'astronomica cifra di 996mila dollari.
    Oggi i cinque container con i macchinari dell'azienda mai costruita sono ancora lì, parcheggiati su quei terreni pagati a peso d'oro. A segnalarne l'esistenza restano una misera tenda bianca e un buco di nove milioni di dollari nelle casse dell'Autorità Nazionale Palestinese.

(Il Giornale, 8 febbraio 2006)





6. GLI ISRAELIANI SI INTERESSANO ALL'ITALIA




Italia-Israele un'amicizia sempre più solida

di R.A. Segre

Convegni, corsi di lingua, dottorati, ricerca scientifica: s'infittiscono le relazioni fra Roma e Gerusalemme

GERUSALEMME - Si susseguono in Israele i convegni e i simposi sull'Italia. Si assiste a una sorprendente evoluzione nei rapporti fra questi due Paesi così differenti e allo stesso tempo simili fra loro. Una parte della diversità nasce, da sempre, dalla reciproca ignoranza. Nonostante la massa di informazioni su Israele, il pubblico italiano sa poco sull'ebraismo, la sua dimensione politica e i suoi conflitti e problemi di identità. Per il grande pubblico ebraico israeliano l'immagine dell'Italia è stata a lungo confusa e distorta dagli avvenimenti legati alla seconda guerra mondiale ma anche da una visione della dirigenza sionista di origine europea per la quale l'immagine dell'Italia è rimasta a lungo quella della propaganda austro-ungarica, con Caporetto - non Vittorio Veneto - come uno dei pochi eventi bellici ricordabili.
    In un recente convegno a Gerusalemme si è parlato del contributo di Giuseppe Mazzini a quel «nazionalismo parallelo» che per Alessandro Momigliano e per Gramsci ha fatto degli ebrei della Penisola fattori dell'unità d'Italia non differenti dai napoletani o dai veneziani. Ma si è anche parlato di quella che potrebbe definirsi la scoperta - o la passione nuova - degli israeliani per l'Italia. La politica del nostro governo, i viaggi del ministro Fini, le manifestazioni di sostegno e protesta contro le minacce irakene, i cambiamenti stessi nella sinistra italiana vi hanno contribuito. Ma c'è un fattore ancora più profondo e nuovo: la comprensione di quanto gli aspetti del processo di formazione della coscienza nazionale italiana (con le sue guerre di indipendenza, coloniali, conflitti civili e religiosi, col peso dei miti storici, con le delusioni irredentistiche, col difficile innesto di una capitale nazionale su una capitale universale) presentino echi noti col processo di formazione della coscienza nazionale israeliana.
    Per la prima volta l'Italia interessa per ciò che è, per la sua complessa e straordinaria identità, non per ciò che fa o ha fatto. Questo fervore di interessi resterebbe accademico se non fosse accompagnato da un fervore di crescenti scambi concreti e reciproci. Che si tratti di letteratura, architettura, mode, arte, ricerca scientifica, collaborazioni industriali e militari, i rapporti fra Roma e Gerusalemme non sono più quelli del passato. A dimostrarlo basterebbe lo «stupefacente interesse» per l'apprendimento dell'italiano che ha indotto il governo di Roma a creare tre posti di «lettore» per corsi di lingua dal livello elementare a quello universitario; a estendere l'attività dell'Istituto di cultura da Tel Aviv a Haifa, a Gerusalemme, da Nazareth a Beer Sheva offrendo corsi ad oltre 4mila studenti; a creare una società di fellows (Amitei Italia) che riunisce centinaia di ex studenti israeliani formatisi negli atenei italiani e che costituisce una rete di contatti e di influenza culturale e politica notevole.
    C'è una «passione» per la creatività italiana che non si limita a design, architettura, moda, archeologia, musica, ma si estende alla ricerca tecnologica e scientifica con un numero di accordi governativi e extragovernativi che hanno superato quelli con gli Stati Uniti. È notizia recentissima il finanziamento da parte del Fondo per la ricerca avanzata del Miur, di oltre trenta progetti interuniversitari tra Italia e Israele. Il che ovviamente si riflette anche nell'interscambio commerciale tra i due Paesi che l'anno scorso aveva già superato i due miliardi di euro con le esportazioni italiane in Israele al terzo posto (dopo gli Usa e la Germania).
    Non c'è dunque da stupirsi se nelle università israeliane si comincia a studiare l'Italia nel suo complesso storico, politico, culturale, sociale e non più nei suoi aspetti classici come l'arte rinascimentale o la musica operistica. Significativa è poi l'apertura di due corsi sul Novecento italiano nella Scuola interdisciplinare di Herzelyia, il nuovo centro di massima riflessione politico-economica di Israele. Tipica la giornata dedicata all'Italia contemporanea che si terrà presso l'Università Ben Gurion di Beer Sheva il prossimo 21 marzo. Un esempio, dice l'ambasciatore Sandro De Bernardin, di un «partnerariato dotato di un grande futuro».

(Il Giornale, 6 febbraio 2006)





7. ISRAELE E LA SUA TERRA




Ridestare l'amore per la propria terra!

Il violento scontro avvenuto ad Amona ha ancor di piu' inasprito la tensione tra le parti contendenti.
Da una parte i partigiani dell'amore per la Terra d'Israele, colpiti assai duramente dal sacrificio del Gush Katif, con ancora una decina di migliaia dei suoi figli sono sbattuti da albergo in albergo o vivono in rulotte, con la tremenda sensazione di essere stati semplicemente sbattuti in strada.
Dall'altra i loro avversari che sostengono che la parte avversa sia una piccola minoranza e che debba percio' accettare le decisioni della maggioranza.
Tale logica puo' essere legittima per le normali decisioni amministrative del paese ma non lo e' per decisioni contrarie a tradizioni millenarie del Popolo d'Israele.
    Se il problema fosse su come risolvere il conflitto medio-orientale o i rapporti col mondo e' legittimo chiedere alla minoranza di rispettare le decisioni della maggioranza. Ma qui si parla di parti della Terra d'Israele - la nostra Terra - come di "territori" per i quali non dovremo sentire nessun sentimento, che si possono commerciare, a cui possiamo facilmente rinunciare per cederli ad altri, quando tutta la Terra d'Israele e' la nostra Patria.
    E' assai triste dover ammettere che molta gente ha perso il legame con la Terra d'Israele, quella che e' anche la sua Terra non desta in lui nessun sentimento patriottico. Quando degli ebrei dicono di certe zone della Terra d'Israele "non ci abbiamo nulla da cercare la' ", avviene qui la rottura del rapporto fondamentale tra un popolo e la Sua Terra.
    La discussione sarebbe stata del tutto differente se tutti gli abitanti sentissero con forte dolore la cessione di parti della Terra d'Israele agli stranieri. Se anche coloro che sono favorevoli alla cessione di parti della nostra Terra allo straniero parlassero dicendo che cio' causa a loro lo stesso dolore di come se perdessero una parte del loro corpo proveremmo allora tutti lo stesso sentimento e che, nonostante le divergenze, ci capiamo tra di noi. Ma la discussione in questo paese e' come un dialogo tra sordi.
    Da qui la sensazione che la decisione della maggioranza di strappare parti dalla Terra d'Israele per consegnarle ai nostri nemici non sia legittima. E' come se dei ciechi dovessero decidere per questioni di scelta dei colori e dei sordi per questioni di canto e musica. Chi non sente la santita' e non prova amore per la Terra d'Israele e' logico che accetti molto facilmente di sbarazzarsi del cuore del paese per cederlo in mano a degli assassini!!!
    Perche' la discussione diventi legittima dobbiamo riacquistare tutti noi quel sentimento che ci ha fatto ritornare qui dai quattro angoli del mondo. Per far cio' non esiste giorno migliore di Tu Bishvat [festività ebraica chiamata anche Capodanno degli alberi, ndr] . Durante tutta la storia ebraica esso rappresento' l'amore per la Terra d'Israele. Il mangiare frutti di questa Terra, parlarne delle mitzvoth a Lei concernenti, racconti nostalgici sul paese e le sue citta' causo' sempre una grande commozione e si mangiavano i frutti con venerato rispetto.
    Tu Bishvat e' il tempo adatto per ridestare l'amore per la Terra d'Israele. Questo e' il periodo per capirne la Sua santita', perche' la Terra d'Israele non e' come tutti gli altri paesi. Anche le Nazioni del mondo la chiamano "Terra Santa", essa e' considerata il "Palazzo Reale" , luogo dove risiede incessantemente la Shekinah (Presenza Divina). Non invano la venuta in Terra d'Israele si chiama aliah (salita), perche' essa e' una salita spirituale . Un ebreo che salga in Terra d'Israele si eleva in santita' e cio' richiede da lui un miglior comportamento spirituale.
    Abbiamo avuto il grande privilegio che il Signore ci abbia ricondotto a vivere in Terra d'Israele, ma cio' ci da anche enormi responsabilita'. E speriamo che presto ai nostri giorni tutta la Terra d'Israele torni in nostro possesso e che, con l'aiuto di D.o Benedetto, la Gheulah (Redenzione) giunga al Suo compimento.

("Leorer micadash et ha'avath ha'aretz", SICAT HASHAVUAH n. 997, 10/2/06, p. 1; liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleazar Ben Yair).





MUSICA E IMMAGINI




Youkali




INDIRIZZI INTERNET




Ebraismo e dintorni

Amzi




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