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Notizie su Israele 334 - 17 febbraio 2006 |
1. Per «Diffusione di dottrina anti-islamica»
2. Dove l'odio è un dovere religioso 3. L'odio insegnato ai bambini 4. Polemica tra ebrei e anglicani 5. Contrasti all'interno di Israele 6. Il governo israeliano invitato a parlare chiaro 7. Invito a schierarsi per Israele 8. Musica e immagini 9. Indirizzi internet |
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1. PER «DIFFUSIONE DI DOTTRINA ANTI-ISLAMICA»
di Johannes & Krista Gerloff La mattina del 12 febbraio scorso, palestinesi mascherati e armati hanno distribuito volantini nella città di Gaza in cui annunciano di far saltare in aria l'intero edificio in cui si trova la libreria della Società Biblica Palestinese (SBP), se la società non sospende le sue attività nella striscia di Gaza entro il 28 febbraio prossimo. La serietà della minaccia è stata sottolineata dal fatto che già una settimana fa è esplosa una bomba davanti all'entrata della libreria. Nei volantini si dice che l'attività della SBP, che è membro dell'Unione mondiale delle Società Bibliche, costituisce "diffusione di dottrina anti-islamica", e quindi viene considerata una "crociata evangelistica sostenuta dai crociati dell'occidente". Al proprietario dell'edificio in cui si trova la libreria è stata fatta la minaccia di far saltare la sua proprietà se non mette alla porta la SBP entro la fine del mese. Agli abitanti è stato dato il consiglio di lasciare l'edificio, e la SBP è stata avvertita di non tentare di trovare un'altra sistemazione dentro la striscia di Gaza, perché viene "attentamente osservata". I collaboratori della SBP hanno informato le forze di sicurezza palestinesi e l'ufficio del Presidente Mahmoud Abbas. Hanno chiesto alla chiesa sostegno in preghiera e si sono proposti di non cedere alle minacce. Gli abitanti della zona però sono caduti nel panico e il proprietario ha chiesto una temporanea chiusura degli uffici della SBP e della libreria. Le recenti minacce non sono le prime ad essere state rivolte contro la Società Biblica Palestinese. Alla fine di luglio 2005 ai collaboratori della SBP arrivarono "informazioni degne di fiducia" che un gruppo di estremisti stava progettando un attacco terroristico contro il loro centro e contro la biblioteca pubblica dei Battisti a Gaza. E nella prima mattina del 18 novembre 2005 il Centro SBP "Living Stones" (Pietre Viventi) a Bir-Zeit presso Ramallah fu incendiato. Gli autori avevano sfondato una finestra del retro e avevano dato alle fiamme i locali del centro con stracci imbevuti di benzina. Le chiese arabo-cristiane cercano sempre di addossare la responsabilità dell'emigrazione dei cristiani palestinesi esclusivamente all'occupazione israeliana, e a chi chiede spiegazioni sulla crescente pressione esercitata nella società palestinese reagiscono dicendo che i cristiani evangelici dell'occidente sono più interessati alla demonizzazione dell'Autonorità Palestinese che al bene dei loro fratelli in fede palestinesi. D'altra parte, sembra che la vittoria elettorale di Hamas alla fine di gennaio e il tumulto mondiale provocato dalle vignette danesi su Maometto abbiano evidentemente peggiorato la già precaria situazione dei cristiani nei territori dell'Autonomia Palestinese. Subito dopo che furono note le notizie sull'alta maggioranza di Hamas [alle elezioni], uno dei suoi leader, Osama Hamdan, assicurò che ai cristiani nell'Autonomia Palestinese non sarebbe accaduto nulla. In una visita alla cattolica "Chiesa della Sacra Famiglia", il medico dr. Mahmoud A-Sahar, numero uno di Hamas nella striscia di Gaza, assicurò all'inizio di febbraio che Hamas avrebbe protetto i cristiani palestinesi, i loro luoghi sacri e le loro istituzioni, e che non avrebbero tollerato alcun attacco. Quando lo sceicco Mohammed Abu Tir, numero due della lista elettorale di Hamas, annunciò che la "sharia", il diritto islamico, sarebbe stato il fondamento del lavoro legislativo del Parlamento palestinese, si preoccupò subito di sottolineare che i cristiani avrebbero potuto continuare a vendere alcool e che le donne non sarebbero state obbligate a portare il velo. Resta da vedere in quale misura queste assicurazioni siano tranquillizzanti o se devono piuttosto essere considerate un indizio del fatto che i cristiani nell'Autonomia Palestinese hanno effettivamente qualcosa da temere. Di fronte al tumulto mondiale provocato dalle vignette danesi su Maometto, il movimento laico Fatah si vide costretto nella prima settimana di febbraio a sottolineare, in una dichiarazione ufficiale, che le minacce contro i cristiani contraddicono i principi del Fatah. Ad uso dei media, attivisti di Fatah armati distribuirono fiori a suore e a bambini nella chiesa latina della città di Gaza, dopo che il portavoce della Brigate Yasser, Al Muatesim Bilah, aveva dichiarato che ogni minaccia ai luoghi sacri cristiani in Palestina è un attacco contro tutti i palestinesi. Secondo l'agenzia di notizie "Maan", le suore hanno ringraziato per le rose rosse e hanno sottolineato la "profonda, sentita comunione tra cristiani e musulmani palestinesi". Maan però aveva taciuto il fatto che nel frattempo circolavano incitamenti a bruciare le chiese dei circa duemila cristiani della striscia di Gaza. Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato le manifestazioini anti-cristiane e ha promesso di proteggere le chiese cristiane. Purtroppo però nemmeno le comuni dimostrazioni cristiano-musulmane contro le supposte diffamazioni di Maometto provenienti dalla Scandinavia hanno impedito a centinaia di musulmani palestinesi, all'inizio della seconda settimana di febbraio, di gettare quattro bombe nella chiesa latino-cattolica di Ramallah. Fortunamente le esplosioni hanno provocato soltanto danni minori. (Christlicher Medienverbund KEP, 17 febbraio 2006) 2. DOVE L'ODIO E' UN DOVERE RELIGIOSO Nelle scuole arabe si insegna a odiare ebrei e cristiani: «Sono nemici di Dio» di Nonie Darwish * Non stiamo cogliendo il vero significato della controversia sulle vignette danesi del profeta Maometto. Certamente di cattivo gusto, ma queste caricature dei giornali non legittimano il rogo di edifici e l'uccisione di innocenti. Le vignette non sono state la causa di questa propagazione di odio che vediamo nel mondo musulmano dalle nostre televisioni. Le vignette sono solamente un sintomo di un malanno molto più grave. Sono nata e cresciuta al Cairo e nella Striscia di Gaza come musulmana. Negli anni 50, mio padre fu mandato dal Presidente Egiziano Nasser come capo dell' Intelligence Militare Egiziana a Gaza e nel Sinai, dove creò i Fedayeen palestinesi, o la "resistenza armata". Le loro azioni comprendevano attacchi oltre la frontiera contro Israele, che hanno causato la morte di 400 israeliani e il ferimento di oltre novecento. Mio padre è stato ucciso a causa delle operazioni dei Fedayeen quando io avevo otto anni. È stato celebrato da Nasser come
Durante il suo famoso discorso sulla nazionalizzazione del Canale di Suez, Nasser promise solennemente che tutto l'Egitto avrebbe vendicato la morte di mio padre. Nasser chiese a me e ai miei fratelli: «Chi di voi ucciderà degli ebrei per vendicare la morte di vostro padre?». Ci siamo scambiati sguardi tra di noi, incapaci di rispondere. Nelle scuole elementari di Gaza ho imparato l'odio, la vendetta e le ritorsioni. La pace non è mai stata un'opzione, anzi, veniva considerata come un segno di sconfitta e debolezza. Le nostre canzoni ripetevano che «gli ebrei sono i nostri cani», animali considerati impuri nella cultura araba. Ogni critica e interrogativo erano vietati. Quando presentavo un dubbio, mi veniva detto che «i musulmani non possono amare i nemici di Dio, e coloro che lo fanno non riceveranno alcuna pietà in inferno». Più avanti negli anni, mentre visitavo un amica cristiana al Cairo durante le preghiere del Venerdì, abbiamo entrambe ascoltato gli attacchi verbali contro i Cristiani e gli Ebrei provenire dagli altoparlanti delle moschee. Dicevano: «Possa Dio distruggere gli infedeli e gli ebrei, i nemici di Dio. Non dobbiamo essergli amici né trattare con loro». Abbiamo sentito i fedeli rispondere «Amen». La mia amica aveva paura e io mi sono vergognata. Non è facile essere un infedele e vivere in un paese musulmano. Questo è stato il momento in cui, per la prima volta, ho capito che qualcosa era molto sbagliato nel modo in cui la mia religione veniva insegnata e praticata. Purtroppo io non sono l'unica ad essere stata educata in questo modo. Centinaia di milioni di altri musulmani sono stati cresciuti con l'odio verso Israele e l'Occidente. Per decenni tutte le colpe e i mali sono stati attribuiti a Israele e all'Occidente per distrarre dalle mancanze e i fallimenti dei loro leader. Le cose non sono cambiate. I testi scolastici palestinesi tuttora negano l'esistenza di Israele. Più di 300 scuole palestinesi sono dedicate agli shahid e dal 1956 la scuola più grande e antica è dedicata a mio padre. I leader che hanno firmato trattati di pace, come il presidente Anwar Sadat, sono stati assasinati. Oggi, il presidente Islamista-fascista dell'Iran utilizza i sogni nucleari, la negazione della Shoah e le minaccie di «cancellare Israele dalla mappa» per tenere sotto controllo un paese la cui disoccupazione, prostituzione e uso di droga sono ormai fuori controllo. In questo clima, I bambini imparano in fretta ad avvicinarsi all'oppressore e non all'oppresso. Non c'è da sorprendersi se dopo decenni di indottrinamento alla cultura dell'odio, la gente inizia ad odiare profondamente. La società araba ha creato un sistema che si basa sulla paura di un nemico comune. Questo sistema ha contribuito a creare un'unità, una coesione e un'ubbidienza essenziali in una terra devastata da feudi tribali, instabilità, violenza e corruzione. In questo sistema, Israele e l'Occidente sono serviti come nemici utili, capri espiatori. I leader arabi accusano gli ebrei invece di costruire scuole, strade, ospedali, case o offrire lavoro e speranza alle proprie popolazioni. Per trentanni ho vissuto in questa zona di guerra di dittature oppressive e stati di polizia. I cittadini facevano a gara per graziarsi e glorificare i dittatori, trattati come se fossero dei. In seguito dovevano tacere e guardare dall'altra parte mentre musulmani torturavano e terrorizzavano altri musulmani. Ho visto con i miei occhi uccisioni di onore di giovani ragazze, l'oppressione delle donne, la mutilazione di genitali femminili e la poligamia con i suoi effetti devastanti sulle relazioni famigliari. Tutto questo sta distruggendo la fede musulmana dal di dentro. È ora che gli arabi e i musulmani si alzino e agiscano per le loro famiglie. Dobbiamo agire per fermare i leader arabi e musulmani dall'usare Israele e l'Occidente come una scusa per distrarre dalle loro incapacità di governare e dalla mancanza di diritti e libirtà. Le scuse per le vignette non risolveranno i problemi. Fino al momento in cui non sarà riconosciuto che la cultura dell'odio è la vera causa delle manifestazioni attorno alla controversia delle vignette, queste reazioni esagerate e violente saranno solamente l'inizio di uno scontro di civiltà che il mondo non può sopportare. -------------------------- * Figlia del capo dei servizi segreti egiziani a Gaza negli anni '50 (Il Tempo, 12 febbraio 2006) 3. L'ODIO INSEGNATO AI BAMBINI Il kamikaze è un eroe dei cartoon di Maurizio Piccirilli Un cartone animato per insegnare l'odio. Un filmato per bambini dove il «super eroe» di turno è un kamikaze. Prodotto dalla televisione iraniana è andato in onda a partire da ottobre sul «Irib 3 tv» alle 8 del mattino e alle tre del pomeriggio. L'ora dei cartoon per le tv di mezzo mondo. L'ora di maggior ascolto indirizzata alla fascia dei minori. Non è la prima volta che attraverso i cartoni animati si incita alla guerra santa. La stessa Al Qaeda ha realizzato un cartone animato che vede protagonisti i mujaheddin che si fanno esplodere contro gli infedeli. Il titolo di questo macabro cartone è «Irhabi», ossia terrorista, ed è stato diffuso nel dicembre scorso su Internet. Il breve cartoon, che dura 5 minuti ed è realizzato con mezzi professionali da esperti di animazione, riproduce con minuzia di particolari scene di attacchi terroristici e kamikaze ai danni di obiettivi e personalità occidentali. Anche il sottofondo musicale è di alta qualità e a tema: versetti del corano che incitano alla jihad. Alcuni brani sono stati trasmessi dalla tv Al Arabya. Ora c'è anche la versione iraniana del «kamikaze» a uso dei bambini ha una storia più articolata e vede protagonista una famiglia di palestinesi trucidati da soldati israeliani davanti agli occhi dei figli. La storia ha inizio così, in un frutteto della Palestina. Un cartone animato per raccontare come un giovane palestinese può diventare una bomba umana, figlio di Allah, e così vendicarsi e fermare l'orda sionista. Teheran da un lato insorge per le vignette che irridono Maometto dall'altro pianifica una serie di iniziative per educare i bambini all'odio verso Israele. Un ragazzo, Abd al Rahman protegge e nasconde la sorellina dalla «ferocia dei soldati israeliani» rappresentati anche nei dialoghi come violenti e psicopatici. Il giovane poi si trasferisce da alcuni parenti e in quel villaggio incontra alcuni suoi coetanei hai quali confida di volersi vendicare degli assassini dei genitori. Karim un suo cugino lo presenta a Jassem il quale «fa parte di un gruppo di resistenza che combatte Israele». Così Abd al Rahman con altri giovani si ritrova a casa di Jassem di notte. L'istruttore che indossa una kefiah intorno al collo interroga il giovane e gli rivela che l'ufficiale israeliano che ha massacrato la sua famiglia si chiama Ariel ed è «uno dei più sanguinari». Per rafforzare questa opinione racconta che alcuni giorni prima Ariel al comando di una pattuglia è andato in un villaggio palestinese e ha ordinato a tutti gli abitanti di abbandonare le case. «Al rifiuto ha ucciso tutti gli abitanti», dice Jassem. Quindi rivolgendosi a un altro del gruppo, Kahlil: «Dovete unirvi al nostro gruppo per colpire i sionisti e impedire che continuino a uccidere il nostro popolo». «Sicuro ma siamo pochi per una simile azione», risponde Khalil. Interviene il giovane Al Rhaman «Mi unisco a voi». I due miliziani esperti si guardano: «Non sei pronto. Non sei abbastanza addestrato». Il giovane ribatte: «Ho ancora due giorni». «Va bene - risponde Jassem - ma devi sapere che nessuno sopravviverà a questa azione. Potrai trasformarti in martire». «Ci avevo pensato - risponde Al Rahman - Così vendicherò la mia famiglia anche se morirò». La scena cambia e i miliziani armati di tutto punto sono appostati lungo un vallone in attesa del passaggio del convoglio militare israeliano. Il gruppo si divide rimangono solo Karim e Al Rahman. Vengono distribuite le cinture con le granate. Il giovane Al Rahman aspetta il passaggio dei camion poi tira le sicure delle granate e salta nel vuoto: «Ho posto la mia fiducia in Dio. Allah Akbar». Esplosioni, fumo e distruzione: morti i militari isrealiani e il giovane kamikaze. Appare un giovane palestinese che raccoglie la kefiah insaguinata di Al Rahman, la mette intorno |
al collo e si allontana verso un tramonto rosseggiante. Così il terrorista sucida si trasfroma in eroe. Il super eroe dei cartoni animati dell'odio. (Il Tempo, 16 febbraio 2006) 4. POLEMICA TRA EBREI E ANGLICANI La Chiesa d'Inghilterra verso il disinvestimento dalla Caterpillar accusata di violazione dei diritti umani E' polemica tra la Chiesa d'Inghilterra (anglicani) e comunità ebraiche, a causa di Caterpillar, l'azienda statunitense produttrice dei bulldozer speciali utilizzati dalle forze armate israeliane per la distruzione delle case palestinesi nella striscia di Gaza. L'azienda è accusata di violazione dei diritti umani, perché ha fornito i bulldozer a Israele, sapendo che sarebbero stati utilizzati contro i civili. La Chiesa d'Inghilterra possiede azioni di Caterpillar per un valore, alla fine del 2004, di 2,2 milioni di sterline. Lo scorso settembre, il Comitato consultivo per gli investimenti etici della Chiesa d'Inghilterra decise di "non raccomandare" di disinvestire dalla Caterpillar, "in modo particolare in questo momento di fluidità politica, dato il disimpegno israeliano da Gaza". Il 6 febbraio, invece, Il Sinodo Generale della Chiesa d'Inghilterra ha votato un documento, in cui decide di "dare ascolto all'appello della nostra chiesa sorella, la Chiesa Episcopale di Gerusalemme e del Medio Oriente, per investimenti moralmente responsabili nei territori occupati palestinesi e, in particolare, per disinvestire dalle ditte che traggono profitti dall'occupazione illegale, come la Caterpillar Inc., finché esse non cambieranno la loro politica". Il Sinodo ha anche sollecitato il Comitato consultivo ad intensificare le pressioni sulla Caterpillar, al fine di un suo ripensamento sulla fornitura e la manutenzione dei bulldozer utilizzati contro gli insediamenti palestinesi, a monitorare il comportamento della compagnia, a dare peso alla violazione delle norme internazionali in cui i macchinari della Caterpillar sono coinvolti e ad aggiornare le sue raccomandazioni, alla luce di quanto emergerà. Questa presa di posizione del Sinodo anglicano è stata generalmente letta come una decisione per il disinvestimento dalla Caterpillar ed ha riacceso immediatamente la polemica, da parte delle comunità ebraiche, al punto che l'Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che ha partecipato ai lavori del Sinodo e ha votato a favore del documento, ha scritto al rabbino capo britannico, Jonathan Sacks, esprimendo "profondo rammarico ( ) per la pena causata ai nostri fratelli ebrei". "Il Sinodo, con la sua iniziativa, non ha optato per il disinvestimento", afferma l'Arcivescovo di Canterbury, ma ha raccolto una preoccupazione, che "non significa assolutamente approvare un boicottaggio, né mettere in discussione la legittimità dello Stato d'Israele e il suo diritto all'autodifesa, men che meno sostenere qualunque genere di violenza o terrorismo contro Israele o il suo popolo, né scendere a compromessi col nostro impegno contro qualunque forma di antisemitismo, interno ed estero". Duro il commento apparso sul "Jerusalem Post", secondo cui "la chiesa anglicana preferisce qualche 'sparata morale' a buon mercato, anziché vedere e considerare il conflitto per quello che realmente è. Raccontarla in altro modo, o scusarsi con il rabbino capo britannico, anziché con lo Stato di Israele, non è sufficiente. Se l'arcivescovo Williams e la sua chiesa si preoccupano davvero per palestinesi e israeliani, e vogliono davvero scoraggiare antisemitismo e terrorismo, devono ribaltare la loro recente iniziativa e sottoscrivere invece la richiesta globale ai palestinesi di porre fine al terrorismo e accettare il diritto di uno stato ebraico ad esistere e difendersi". Caterpillar è oggetto di una denuncia per violazione dei diritti umani, presentata lo scorso marzo negli Stati Uniti, a due anni dalla morte di una pacifista americana, Rachel Corrie, schiacciata da un bulldozer della Caterpillar, mentre si opponeva alla distruzione della case palestinesi nella striscia di Gaza. Una denuncia è stata presentata anche in Israele, contro lo Stato, il ministro della Difesa e le forze armate israeliane. (rsinews, 15 febbraio 2006) 5. CONTRASTI ALL'INTERNO DI ISRAELE Shalom a tutti voi. L'evacuazione violenta dei manifestanti dell'Yishuv Amona e' una macchia nera sul nostro governo. La polizia ha ricevuto l'ordine di colpire senza pieta' i manifestanti e lo ha eseguito con una terribile aggressivita'. Noi dobbiamo denunciare questo atto orribile. Noi dobbiamo dire ad alta voce che non si ha il diritto d'obbedire a degli ordini come quelli. La volonta' di opprimere quelli che credono ancora in Eretz Israel e' flagrante, i dirigenti dei mitnahalim avevano proposto un compromesso: erano disposti a spostare le case in discussione in un altro posto. Ma la proposta e' stata respinta. Questo rifiuto testimonia la volonta' di "farla finita" con quelli che hanno lo spirito di amare la Terra. Ma essi sono rimasti confusi, han visto che non si sconfigge lo spirito con dei colpi di manganello. Ed essi dissero "impediremo a loro di moltiplicarsi", D. o disse "ed essi centuplicheranno". Malgrado tutto quello che e' accaduto noi dobbiamo evitare di disconoscere lo Stato. Noi non abbiamo che uno Stato, un Esercito che ci protegge contro la massa araba che non ha che un solo scopo: quello di sterminarci senza differenza tra religiosi e non-religiosi, i partigiani della destra e quelli della sinistra, i ricchi ed i poveri, i mitnahalim e gli abitanti delle citta'. Il nostro "battello" minaccia di colare a picco, noi dobbiamo fare di tutto per salvarlo, noi dobbiamo preservare quel che resta di fraternita' senza la quale arriveremo, D.o non voglia, ad una nuova catastrofe storica. Noi siamo gente di fede. In quanto tali noi sappiamo che non possiamo contare sui miracoli ma che abbiamo il compito ed il dovere di sacrificarci al massimo per la nostra nobile causa. Ma in quanto uomini di fede sappiamo che il mondo ha un Conducente e non dobbiamo comportarci come se tutto fosse solo nelle nostre mani. I gesti estremistici denotano disperazione, ed in noi non c'e' spazio per la disperazione. E' una mitzva lottare per i nostri diritti sulla Terra d'Israele ma i limiti di tale battaglia sono chiari e sono stati dichiarati da tutti i Rabbanim: non si debbono alzare le mani sui poliziotti e sui soldati. Noi dobbiamo rispettarci tra di noi in questi momenti cosi' difficili. Noi preghiamo per la guarigione di tutti i feriti e per il completo ristabilimento, fisico e morale, di tutti quelli, giovani ed adulti, che han manifestato con tanto coraggio. Non abbiamo perso la speranza. Al contrario, persuasi che stiamo combattendo per una causa giusta, continueremo ad agire per diffondere la Torah dappertutto, perche' il vero rimedio a tutti i nostri mali e' ristabilire il legame tra il nostro Popolo e la nostra Torah. (Lettre Ouvert du Rav Shaoul David Botschko, Le P'Tit Hebdo n. 246, 11/2/06, p. 4; liberamente tratto e tradotto dall'ebraico da Eleazar Ben Yair) 6. IL GOVERNO ISRAELIANO INVITATO A PARLARE CHIARO «Se Israele cede a Hamas, il mondo intero seguirà» di Alexandre Yudkewicz Il professor Ephraïm Inbar, capo del Centro Begin-Sadate di Studi Strategici dell'Università Bar-Ilan, intervistato da Aroutz 7, mette in guardia il governo israeliano, che secondo lui rischia di rinnovare i suoi errori del passato. «Il mondo ci guarda», segnala, «e se vede che cominciamo a trovare il modo di accettare Hamas, anche parzialmente, sarà più che contento di rientrare nel gioco. Dobbiamo assicurarci che il muro di opposizione a Hamas resti fermo. Fino ad ora i paesi che hanno espresso la speranza di poter avviare un dialogo con Hamas, come la Russia e il Venezuela, e perfino la Francia, che mostra qualche velleità di andare verso Hamas, l'hanno fatto soltanto per sottolineare la loro indipendenza di fronte agli Stati Uniti. Dopo la Russia e la Turchia, che giovedì mattina (16 luglio) ha accolto dei rappresentanti di Hamas, la Giordania ha annunciato che inviterà a sua volta dei rappresentanti del movimento terrorista. In questo caso sarebbe la prima volta che sarebbero autorizzati a recarsi nel Regno Haschemita dopo la messa al bando del movimento avvenuta nel 1999. Il professor Inbar denuncia anche il dialogo condotto sul piano municipale con i sindaci dei villaggi palestinesi amministrati da Hamas. «Certo, si preoccupano dei bisogni della loro città», ammette Inbar, «ma in definitiva costruiscono una struttura educativa forte che continuerà ad insegnare la lotta contro Israele». Per Inbar non c'è alcun dubbio che intrattere un dialogo con persone come quelle, come è stato fatto nel passato, è un totale non senso e deve essere fatto cessare. «Dobbiamo capire una volta per tutte», sottolinea il professor Inbar, «che tutti i soldi che arrivano all'Autorità Palestinese liberano altre risorse che servono ad aiutare il terrorismo e a sostenere le famiglie dei terroristi. Non esiste un aiuto "puramente umanitario". Inoltre, non c'è nessun motivo di dare un aiuto umanitario a quelli che hanno mandato al potere Hamas.» Secondo Inbar, Israele non dovrebbe sentirsi obbligato dagli accordi firmati con l'AP nella misura in cui i palestinesi stessi hanno violato i loro obblighi di non agire violentemente contro Israele. «Non dobbiamo agire con la politica dello struzzo. Dobbiamo invece dire al mondo qual è la nostra esatta posizione e dire a tutti la realtà così com'è, anche se alla gente non piace sentire cattive notizie come "non c'è soluzione". L'Autorità Palestinese è in sé stessa una cattiva notizia», afferma il professor Inbar. «Il mondo», conclude, «ha finito per abituarsi a vedere i palestinesi come un popolo che soffre. Ma dimentica che questa situazione è colpa loro.» (Aroutz 7, 16 febbraio 2006) 7. INVITO A SCHIERARSI PER ISRAELE L'asse del jihad Ahmadinejad nega l'Olocausto e ne prepara uno nuovo. Dobbiamo difendere Israele, nostra patria. di Carlo Panella Hezbollah a nord, dal Libano, Hamas da sud, da Gaza, e da est l'Iran: questo è lo schema dell'assedio politico a cui Israele è oggi sottoposto e soltanto l'Europa non vuole vedere che questo assedio può diventare da un momento all'altro militare, armato, può diventare guerra. Mentre aumentano i razzi e gli attacchi contro Israele, lanciati da Hezbollah e da Hamas, il nuovo leader del jihad contro gli ebrei, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, lancia con esemplare chiarezza il suo Mein Kampf: "Abbiamo chiesto all'occidente di eliminare quello Stato sionista che ha creato 60 anni fa. Se non ascoltano le nostre raccomandazioni, saranno il popolo palestinese e altre nazioni a farlo". Il nuovo, caporale austriaco, nel nome di un arianesimo farsi e musulmano, mostra ormai di sapere giocare su una sua straordinaria sintonia con il ventre profondo e feroce di parte del popolo dell'islam e reclama a gran voce la staffetta con il suo predecessore negando, veementemente, la realtà stessa dell'Olocausto. E prepara la guerra agli ebrei. Mentre le cancellerie occidentali si attardano in una sfiancante tornata diplomatica sull'atomica iraniana, Teheran prepara indisturbato la guerra a Israele con le armi convenzionali e il suo potente alleato, Hamas, trova credito e simpatia a Mosca come a Parigi. L'asse del "jihad", composto da Iran, Siria, Hezbollah e Hamas, non è così sprovveduto da progettare una guerra con i carri armati. Ha inventato la guerra degli shahid, la guerra asimmetrica e continua a urlare al mondo che si prepara a lanciarla. Questioni di settimane o di mesi e lo farà. Israele non è mai stato così isolato politicamente nella sua regione dal 1967, ora che anche il pavido Mubarak (presidente egiziano) si è affiancato ai wahabiti sauditi nella legittimazione piena di Hamas. Nelle ore dell'agonia terminale di Arik Sharon, a questo guarda Israele. Ci è ora chiesto non più solo di manifestare, di schierarci, ma di dire se siamo disposti, qui e subito a difenderla in armi, con i nostri soldati, con la Nato, con qualsiasi mezzo. Perché Israele è nostra patria. (Il Foglio, 14 febbraio 2006) MUSICA E IMMAGINI Ale Brider INDIRIZZI INTERNET Palestinian Media Watch Hebraic Heritage Ministries International Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |