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Notizie su Israele 335 - 24 febbraio 2006

1. Viaggio cupo e inquietante
2. Nuovi sviluppi nel terrorismo mondiale
3. Conferenza stampa di Netanyahu
4. Petizione all'associazione della stampa americana
5. Cattive abitudini dure a morire
6. Una visione della fine della storia
7. Libri
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Salmo 105:4-7. Cercate il Signore e la sua forza, cercate sempre il suo volto! Ricordatevi dei prodigi fatti da lui, dei suoi miracoli e dei giudizi della sua bocca, voi, figli d'Abraamo, suo servo, discendenza di Giacobbe, suoi eletti! Egli, il Signore, è il nostro Dio; i suoi giudizi si estendono su tutta la terra.
1. VIAGGIO CUPO E INQUIETANTE




Hamas in trasferta a Teheran

di Vittorio E. Parsi

Ali Larijani, segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale di Teheran, saluta il leader di Hamas Khaled Mashaal
Il capo dell'ufficio politico di Hamas vola da Gaza a Teheran, e con questo volo evoca purtroppo il più cupo degli scenari ipotizzati dagli analisti, ovvero il passaggio a un'alleanza organica fra l'Iran degli ayatollah e l'Autorità nazionale palestinese guidata da Hamas. Ufficialmente la delegazione palestinese era in Iran alla ricerca di quei finanziamenti che Europa e Stati Uniti hanno sospeso fino a quando Hamas non dichiarerà di rinunciare al terrorismo e di accettare il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Qualcuno si affannerà a dire che, considerato il congelamento dei fondi deciso da gran parte della comunità internazionale, la mossa palestinese non deve essere eccessivamente «drammatizzata». Oltretutto, altri Paesi arabi hanno già promesso sostegno finanziario all'Anp (a partire dai sauditi).
    È una spiegazione formalmente ineccepibile, ma non troppo rassicurante. Perché ciò che è sostanzialmente ineccepibile, e assai più inquietante, è che l'obiettivo a cui Hamas non intende per ora rinunciare - cioè distruggere Israele - sia lo stesso sbandierato ai quattro venti dal presidente iraniano Ahmadinejad, che ha fatto dell'antisemitismo, per altro assai diffuso nel mondo musulmano, il suo cavallo di battaglia, arrivando a promuovere un convegno internazionale che «sbugiardi l'impostura dell'olocausto». Ironia della sorte: uno storico inglese, David Irving, è appena stato condannato a tre anni da un tribunale austriaco per aver negato la realtà storica dell'olocausto.
    Conosciamo già il ritornello di quanti preferiscono descrivere il mondo come più gli aggrada, o come più gli conviene (magari per non compromettere i propri affari petroliferi o metaniferi): le parole di Ahmadinejad sono dichiarazioni a uso interno, frutto della retorica estremista di un ex capo pasdaran, eletto sulla base di un programma populista. Sarà. Ma si dicevano le stesse cose dei proclami sulla militarizzazione della Renania e sulle necessità di un Lebensraum (spazio vitale), lanciati da un improbabile caporale austriaco, improvvisamente divenuto cancelliere del Reich. Intanto l'Iran va avanti nel suo programma nucleare, che la comunità internazionale nel suo complesso ritiene illegale, e che Europa, Stati Uniti e Israele (cioè il Paese nel mirino sia di Hamas sia dell'Iran) sospettano in realtà indirizzato all'obiettivo di dotarsi dell'arma atomica.
    Sotto il profilo geopolitico, oggi forse non c'è nulla di peggio che la saldatura tra le secche del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico. Per Israele la prospettiva di una protesi dell'Iran ai suoi confini costituirebbe una minaccia drammatica, che potrebbe innescare una strategia della tensione dagli esiti imprevedibili. Per la comunità internazionale è inaccettabile la prospettiva che la pressione finanziaria che cerca di esercitare su Hamas, affinché il processo di pace possa avere ancora una speranza, venga vanificata proprio grazie allo Stato, l'Iran, che la sfida apertamente su uno dei pochi principi (la non proliferazione nucleare) che ancora sono considerati «non trattabili». Che tutto ciò prenda poi corpo sullo sfondo della radicalizzazione estrema di queste settimane, non solo rende più difficile la composizione degli interessi in gioco, ma soprattutto rende meno percorribili le strade tortuose della pacificazione di un'area strategica come quella mediorentale.

(L'Avvenire, 22 febbraio 2006)





2. NUOVI SVILUPPI NEL TERRORISMO MONDIALE




Al-Qaida potrebbe colpire Israele quest'anno

di Judith Cohen

Il Jihad mondiale ha Israele sotto mira: membri ufficiali dei servizi di sicurezza israeliani stimano che l'anno 2006 è "l'anno stabilito" dalla rete terroristica di Al-Qaida per un attacco in grande stile su Israele, secondo un reportage di giovedì scorso del giornale Yediot Aharonot.
Questo reportage inquietante è stato pubblicato dopo una conferma ufficiale del capo di stato maggiore aggiunto Moshe Kaplinsky, indicante che delle forze del Jihad mantengono delle basi in Libano e in Giordania.
Ma i dettagli rivelati sarebbero soltanto la punta dell'iceberg.
Già due anni fa i servizi di sicurezza rilevarono il cambiamento di priorità dei terroristi del Jihad mondiale per quel che riguarda Israele, che sarebbe stato "promosso" in prima posizione, certamente in seguito a cambiamenti ideologici in seno alla rete mondiale del terrorismo.
Abu Musab Al-Zarqawi
Si potuto percepire questo cambiamento, tra l'altro, anche da dichiarazioni pubbliche di terroristi di fama mondiale. Recentemente, un cervello del terrorismo, Abu Musab Al-Zarqawi, che opera in Iraq, ha dichiarato che la sua organizzazione conta di sferrare un attacco a Israele. Un altro indizio inquietante è il dispiegamento di forze armate del Jihad mondiale nei paesi vicini a Israele come Egitto, Giordania e Libano, dove i concentramenti si trovano soprattutto in prossimità dei campi profughi.
Anche fonti ufficiali sottolineano l'emergenza di una rete di Al-Qaida nella striscia di Gaza.
Anche la Siria è implicata e serve da punto di trasferimento per terroristi in viaggio verso l'Iraq. Per Al-Zarqawi la Siria è anche un punto di trasferimento e una base per terroristi che prevedono di portare attacchi in Giordania e in Israele. Al momento attuale la Siria ospita numerosi campi di terroristi.
I servizi di sicurezza stimano anche che alcuni terroristi di Fatah o di Hamas, delusi dalla relativa "moderazione" di cui fanno prova le loro organizzazioni, potrebbero essi stessi raggiungere le fila del Jihad.
Questo cambiamento in seno ad Al-Qaida, che ha spostato la sua attenzione da una rivoluzione islamica mondiale al Medio Oriente, è la conseguenza dell'indebolimento di Osama Bin-Laden all'interno dell'organizzazione.
Il vice di Bin-Laden, Ayman Al-Zarqawi, ha preso spazio e le sue operazioni adesso partono dall'Egitto. Questi terroristi aderiscono a una dottrina che mette al primo posto la necessità di provocare delle rivoluzioni islamiche nei paesi arabi moderati, particolarmente l'Egitto e la Giordania. Il Medio Oriente è diventato il bersaglio numero uno del Jihad mondiale, e Israele uno dei primi obiettivi della regione.
Da parte israeliana, le forze di sicurezza si preparano ad affrontare queste minacce terroristiche con grande energia. I differenti scenari previsti dalle forze di sicurezza sono molto diversi dalle minacce dei gruppi terroristici palestinesi.
Un'indicazione dei piani di Al-Zarqawi: nel 2005 aveva preso come bersagli due navi passeggeri in Turchia, un attacco che avrebbe potuto concludersi con la morte di circa 1500 persone. Le autorità si preparano ad attacchi la cui ampiezza potrebbe superare quella degli attentati dell'11 settembre.

(Arouts 7, 23 febbraio 2006)





3. CONFERENZA STAMPA DI NETANYAHU




«Israele deve fermare Hamas con la forza»

di Mara Vigevani

GERUSALEMME — «Hamas non diventerà piu docile ora che è al potere, al contrario, le cose stanno andando proprio come prevedono i loro piani. Il prossimo passo sarà cancellare Israele dalle cartine geografiche. Per questo bisogna dare una risposta forte e decisa. Ad ogni azione terroristica, compreso il lancio di missili Qassam, Israele deve reagire con forza e non, come ha fatto fino ad ora, premiare il nemico». Così ha detto ieri Bibi Netanyahu, leader del partito di destra Likud, in una conferenza stampa a Gerusalemme.

Come deve reagire Israele alla vittoria politica di Hamas?
«Hamas fa parte di una rete terroristica mondiale, per questo motivo Hamas, nonostante sia arrivato al potere, non cambierà, anzi diventerà sempre più radicale. Cosi è avvenuto in Afganistan quando i talebani sono andati al potere, in Iran e in Libano. È nostro compito impedire che Hamas faccia diventare la nostra regione un secondo Iran».

Se vincerà le elezioni, quali saranno i metodi che userà per prevenire che ciò avvenga?
«È fondamentale dare dei messaggi chiari, una politica forte è l'unico modo per contrastare Hamas. Ad ogni azione contro Israele, bisogna rispondere in modo deciso, senza esitazione. La società palestinese non è una società stabile, o cresce o diminuisce. Noi dobbiamo fare in modo che Hamas diminuisca. Inoltre è necessario impiegare parte della Cisgiordania per creare delle zone cuscinetto che proteggano le città israeliane che si trovano al confine con la linea verde dal lancio di missili Qassam. In Cisgiordania ci sono molte zone quasi completamente disabitate, che potrebbero diventare facilmente zone cuscinetto. Inoltre è indispensabile spostare il muro di difesa verso l'interno affinchè sia il piu lontano possile dalle autostrade israeliane».

Gli Stati Uniti e l'Europa non sono però favorevoli ad una politica di questo tipo. Il presidente russo Putin ed altri rappresentanti del quartetto hanno pensato di incontrare i leader neo eletti di Hamas.
«Quando qualcuno dice di volere la tua morte, devi credergli, questa è una delle principali lezioni di vita che si imparano in Medio Oriente. So che per chi vive negli Stati Uniti o in Europa è difficile credere a questa regola, ma questa è la verità. Hamas ha piu volte affermato che il loro scopo è quello di creare un unico stato musulmano. Per Hamas, Israele è solo un piccolo ostacolo alla creazione del loro ideale. È nostro compito fermarli, e Stati Uniti ed Europa lo capiranno».

In Israele in molti l'hanno criticata per la sua politica economica, se vincerà le elezioni pensa di continuare con una economia liberale? «Sicuramente. Solo con una politica economica che appoggi la liberalizzazione dei monopoli, la diminuzione delle tasse e la concorrenza potremmo continuare l'ascesa economica iniziata quando ero ministro delle Finanze. So che la mia politica ha diminuito gli aiuti a molti cittadini, ma era l'unico modo per salvare il paese da una crisi di tipo argentino».

(Il Tempo, 22 febbraio 2006)





4. PETIZIONE ALL'ASSOCIAZIONE DELLA STAMPA AMERICANA




USA: appello giornalisti per discriminazione antisemita anni '30

di Rico Guillermo

Settanta importanti giornalisti americani hanno firmato una petizione che chiede all'associazione della stampa americana di riconoscere che i loro predecessori negli anni '30 commisero l'errore di sottovalutare il fenomeno dei giornalisti ebrei rifugiati perche' in fuga da Hitler".
    Fra i firmatari, primari nomi del giornalismo americano, diversi dei quali Ebrei. La petizione nota che, mentre altre organizzazioni hanno chiesto scusa pubblicamente e cercato di riparare con fondi o altre misure, l'associazione USA non ha fatto ancora nulla per cancellare gli errori fatti dalla comunita' giornalistica in quegli "anni terribili."
    L'appello e' basato sulla ricerca di Laurel Leff, ex redattrice del Wall Street Journal che insegna giornalismo all'universita' di Boston. Fra gli esiti della ricerca, e' emerso che i giornalisti non hanno istituito i comitati, come invece fatto dai medici e dagli avvocati, per aiutare i rifugiati ebrei assicurando le condizioni che li avrebbero resi esenti dai limiti di immigrazione e permesso loro di entrare negli Stati Uniti, ne' le scuole di giornalismo USA si sono adoperate a facilitare gli allievi ebraici.
    Secondo Leff, che ha presentato le risultanze del suo lavoro in dicembre ad un congresso di operatori dei Media a Chicago, "non c'e' dubbio che l'antisemitismo abbia influenzato tali decisioni".

(Osservatorio sulla Legalità, 20 febbraio 2006)

5. CATTIVE ABITUDINI DURE A MORIRE




Che rabbino!

di Adriano Farano

Le espressioni antisemite ancora presenti nelle lingue europee dimostrano quanto la paura o la diffidenza nei confronti degli ebrei sia fossilizzata nelle nostre società.
Se in Francia "mangiare da ebrei" (manger en en juif) vuol dire "mangiare da soli", in Olanda una jodenfooi è una "mancia da ebrei" cioè da taccagni, mentre l'espressione ungherese "ne légy zsidó" ("non essere ebreo") equivale all'italiano «che rabbino!».
Ma le nostre lingue non si accontentano dello stereotipo dell'"ebreo tirchio". Una cantilena ungherese deride il divieto ebraico di mangiare carne di maiale: "Do-re-mi-fa-sol-la-si-do, szalonnát eszik a zsidó!" ("l'ebreo mangia la pancetta!"). In Francia quando "si sbatte il nervo del gomito", si sbatte "il piccolo ebreo" (le petit juif), incidente che doveva capitare ai commercianti ebrei quando si contavano alcuni prodotti con l'avanbraccio.
Eccezione notevole la Germania nella quale le espressioni antisemite sono scomparse. O, meglio, quasi tutte. Un particolare tipo di petardo viene chiamato Judenfurz o "scoppia-ebreo".

(cafebabel.com, 22 febbraio 2006)





6. UNA VISIONE DELLA FINE DELLA STORIA




E Dio si ritira con discrezione

di Claude Riveline, professore a "l'École des mines" di Parigi.

Un aspetto notevole della Meghillat Esther è l'assenza totale della menzione di D.io nel testo, che comunque è incluso nel canone biblico. Tutto ivi è affare di politica, d'intrigo, di violenze tra i protagonisti, ed il saluto finale non è attribuito che a Mardocheo, Esther ed ai loro alleati.
    E' interessante confrontare questo testo col racconto dell'Esodo, od anche con la festa di Pesach e con la festa di Purim. A Pesach D.io è dappertutto e l'uomo è appena presente. Gli ebrei, schiavi terrorizzati dal Faraone d'Egitto, trovano, dopo le dieci piaghe, abbastanza coraggio per sacrificare un agnello per famiglia e per fuggire di nascosto nel mezzo della notte. La sequenza cronologica delle feste[1] mette in evidenza il ruolo crescente degli uomini ed il ruolo decrescente dell'Eterno negli avvenimenti commemorati.
    A Shavuot, gli ebrei hanno raccolto energia sufficiente per accettare pubblicamente il contratto che viene loro proposto nel Sinai: «Naassè ve-nishmah», «Noi faremo e noi ascolteremo» dicono essi in coro.
    A Succot, essi celebrano nella gioia la fine dei raccolti e vanno a risiedere nelle capanne dove accolgono l'umanità intera sotto la volta dei cieli.
    A Hanucca, accendono le luci per commemorare una vittoria militare sui siriani ellenizzanti, l'intervento di D.io si limita a fornire una quantità d'olio per otto giorni.
    A Purim infine, D.io si eclissa, nonostante i commentatori si ingegnino a riconoscere la Sua azione discretamente segnalata nelle singolarità del testo.
    E, al contrario, via via che D.io si nasconde al passare delle feste, gli uomini sono sempre più presenti ed attivi.
    A Pesach, nessuno è nominato all'infuori del Faraone, Mosè ed Aronne. Gli altri egiziani non hanno nome, solamente delle funzioni, e gli ebrei sono una massa anonima. All'altro capo del ciclo, nel libro di Esther, la minima comparsa è designata con il suo nome. Tutto accade come se l'Eterno provvedesse all'educazione dell'umanità, come si alleva un bambino, finché non diviene adulto ed autonomo.
    Queste note aiutano a comprendere perché gli ebrei abbiano provato in tutti i tempi una viva simpatia per la scienza e per i sapienti, anche se questi ultimi professano un umanesimo laico, od agnostico od ateo. Io debbo al mio sapiente amico il professor Georges Hansel l'interpretazione di questo passaggio del talmud (Ketuvot 110b): «Un ebreo che abita fuori della terra d'Israele assomiglia ad un ateo». Sì, il miglior amico dell'ebreo è il razionalista, poiché è assicurato che non sia un idolatra. Così gli ebrei hanno collezionato numerosi premi Nobel, come indicava Actu J del 15 dicembre 2005.
    Sì, gli atei hanno ragione nel loro ideale, che è quello di una società fraterna e felice sotto la sola spinta della saggezza umana, ma sono troppo impazienti. Guardate l'esperienza sovietica, alla quale così tanti ebrei hanno aderito con entusiasmo. Non ne resta che sangue e lacrime. Tutto ciò impone la convinzione che per avere successo nella Storia, gli uomini armati della loro ragione e della loro buona volontà non siano sufficienti. Occorrono loro anche delle feste e dei riti, dei sogni, che nutrano la loro immaginazione e le loro vite collettive, delle leggi e dei costumi che regolino le loro usanze, ed occorre loro nientemeno che dei millenni di esperienza affinché possano gestire tutto ciò da soli. Gli ebrei hanno ricevuto la loro Torah, e sono convinti che ciascuna delle settanta nazioni abbia ricevuto la propria, altrettanto efficiente della loro, a patto che rispetti i sette comandamenti universali di Noé.
    Il trattato di Sanhédrin ci assicura che i tempi messianici assomiglieranno del tutto ai tempi attuali, con la sola differenza che sarà cessato lo scontro tra nazioni. Invece che rimproverarsi le loro differenze, gli uomini si riuniranno e si istruiranno gli uni con gli altri. Il commentatore Rachi si domanda perché i costruttori della Torre di Babele che volevano detronizzare l'Onnipotente, siano stati puniti così leggermente, mentre la generazione del Diluvio è invece stata massacrata. Risponde che a Babele gli uomini si comprendevano bene, mentre prima del diluvio si combattevano.
    E così ci offre una visione della fine della Storia. Gli uomini allora si ameranno così bene gli uni con gli altri che D.io avrà piacere a risiedere in mezzo a loro, discretamente, come nel Libro di Esther.

(Traduzione dal francese di Roberto Maggioncalda.)

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[1] Eccettuati Rosh Hashana e Kippur.

(Actualité Juive – N° 917 del 05/01/2006 - da Morasha.it)

COMMENTO - E' una visione della fine della storia che sembra la versione ebraica della teologia della morte di Dio. Una versione però meno drammatica, perché invece di morire Dio si limiterà a togliere discretamente il disturbo. Resterà, sì, in mezzo agli uomini, ma senza interferire, godendosi silenziosamente lo spettacolo di una umanità in cui tutti si comprenderanno e si ameranno! Come favola, a qualcuno può piacere.





7. LIBRI




Philippe Haddad, L'ebraismo spiegato ai miei amici, ed. La Giuntina, Firenze 2003, ¤ 13.

Dall'ultima pagina di copertina:

«Cos'è l'ebraismo? Questo libro, in modo semplice e completo, presenta i diversi aspetti dell'ebraismo, seguendo tre linee principali: la storia, la religione e le sfide della modernità. Vi vengono esposti non soltanto gli eventi fondamentali della storia, i grandi temi biblici, le feste, le leggi alimentari, ma anche il ruolo della donna, il dialogo tra laici e religiosi e quello fra le varie religioni. Da questa analisi emerge un ebraismo variegato, attraversato da tendenze molteplici. Un ebraismo che, costantemente alla ricerca di un equilibrio tra fedeltà religiosa e adattamento alla realtà contemporanea, ha saputo sempre rimanere vivo.

Philippe Raddad è rabbino e delegato ai rapporti con i giovani al Consistoire di Parigi. Insegna pensiero ebraico nel quadro degli incontri e delle conferenze interreligiose e collabora regolarmente al giornale Temoignage chrétien e alla rivista Tribune juive.»

Interessante, e particolarmente attuale, è un'analisi della frattura tra laici e religiosi all'interno del mondo ebraico:

«Dopo l'emancipazione, emersero diverse tendenze che già erano in nuce nelle comunità. Schematicamente, c'erano gli assimilazionisti che volevano entrare a pieno titolo nella società (alcuni arrivando fino alla conversione al cristianesimo), i tradizionalisti che ritenevano necessario trovare un equilibno tra la vita civile e quella religiosa, i liberali che volevano adattare il rito alla modernità e gli ortodossi che rifiutavano di uscire dal ghetto per paura di essere fagocitati dalla cultura occidentale. Tralasciando la prima tendenza che sceglieva la diserzione a più o meno lungo termine, le tre altre correnti erano comunque espressioni religiose all'interno di una struttura civile non ebraica. Tutto cambiò il giorno in cui gli ebrei decisero di andare in massa a «creare un focolare nazionale ebraico in Palestina», ossia dopo l'affare Dreyfus e l'intuizione di Theodar Herzl.
    È necessario cogliere pienamente l'enormità del fenomeno. Per duemila anni, l'ebraismo era stato l'espressione della fede dei farisei passata attraverso l'esilio babilonese, e ogni individuo che rifiutava questa concezione cessava di essere ebreo. Questa fede farisaica si esprimeva con «l'accettazione del giogo del regno dei cieli» e dunque con la pratica delle mitzvoth. Ma questa fede si esprimeva anche nell'attesa di un Messia miracoloso che avrebbe liberato, come Mosè, il popolo di Israele, paragonato a un agnello smarrito in mezzo alle nazioni. Le sofferenze patite dagli ebrei non erano che la punizione di Dio per la loro infedeltà nella pratica religiosa; nel migliore dei casi, delle prove d'amore che era necessario accettare per la «santificazione del Nome».
    Possiamo leggere nei testi liturgici con quale abnegazione esemplare, con quale fede straordinaria, con quale fervore senza riserve comunità intere accettarono il terribile «dito di Dio» dopo le Crociate, dopo l'Inquisizione o dopo i pogrom. Ancora oggi, in alcune sinagoghe ortodosse si possono sentire dei rabbini che affermano che la Shoà è stata una punizione divina. Benché questo discorso sia scandaloso, dobbiamo ammettere che il mondo religioso non può dire altro. Mentalmente funziona secondo lo spirito talmudico passato attraverso i secoli, che fonda un rapporto di causalità tra la felicità e la giusta pratica delle mitzvoth.
    Ed ecco che all'inizio del XX secolo, e dopo la Shoà con l'accordo dell'Onu, il popolo ebraico, senza il minimo intervento miracoloso, senza la presenza di un nuovo Mosè, ha deciso di ricostituirsi in nazione sulla sua terra ancestrale.
    Ai nostri occhi, questo ritorno del popolo ebraico sulla sua terra ha fondamentalmente rimesso in discussione il discorso ortodosso esattamente come ha rimesso in discussione tutta la posizione della Chiesa. Quest'ultima diceva che la Sinagoga soffriva a causa della sua cecità, così come l'ortodossia ebraica diceva che Israele soffriva per la sua infedeltà.
    È esattamente questo il punto di frattura tra «laici» e «religiosi». Da una parte ci sono degli ebrei che pensano che il popolo ebraico deve far pieno uso della propria libertà di disporre di se stesso e ritengono che questa posizione trovi la sua giustificazione in nome della politica, della storia e anche della religione. E benché non ci sia niente che provi che Dio sia favorevole o contrario al sionismo, sono convinti che il miracolo della sopravvivenza stessa di un piccolo Stato in mezzo a tanti nemici sia la prova della Sua presenza nascosta.
    Dall'altra parte, gli ortodossi sono divisi tra radicali che giudicano blasfemo il sionismo politico (gli ultraortodossi di Gerusalemme) e quelli che, senza accettare il principio di uno Stato ebraico, tentano di approfittare della situazione per sviluppare le loro reti di scuole religiose.
    Di fatto, quello che viene chiamato «conflitto tra laici e religiosi» è prima di tutto una divergenza sulla percezione della Storia che, per l'ebraismo, è una questione essenzialmente religiosa (anche gli atei si pongono di fronte a Dio). Se il Messia verrà unicamente grazie all'adempimento dei precetti, allora ogni azione profana è condannabile. Ma se il Messia verrà grazie a una società umana in cui etica e politica saranno in armonia, allora il profano è santificato e sarebbe un errore rifiutare di farne parte. Per dirlo con altre parole, o la storia ebraica si vive fuori dalla Storia, in un'attesa sincera, fervente ma passiva della liberazione, con l'idea di un'esistenza ebraica sospesa, ferma nel tempo (l'uso del vestito nero del XVIII secolo da parte degli ultraortodossi ne è il segno esteriore), o si costruisce all'interno di una normalizzazione statuale, e allora, e solo allora, si pone il problema del rispetto della religione in seno alla società umana.» (p. 235-237)





8. MUSICA E IMMAGINI




Undzer Nigndl




9. INDIRIZZI INTERNET




Welcome to Sh'ma O' Christian Ministries

Jerusalem Prayer Team




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