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Notizie su Israele 341 - 7 aprile 2006

1. Discorso di Ehud Olmert dopo la vittoria alle elezioni
2. Come si costruisce un Hamas credibile
3. I soldi per i terroristi si trovano sempre
4. Il malsano sogno degli arabi palestinesi
5. Chi vuole il telefono kosher?
6. Dopo 63 anni scopre un assassino della sua famiglia
7. Un lato poco noto dell'esercito israeliano
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Ezechiele 37:21-22. Così parla DIO, il Signore: "Ecco, io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d'Israele; un solo re sarà re di tutti loro; non saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni."
1. DISCORSO DI EHUD OLMERT DOPO LA VITTORIA ALLE ELEZIONI




Ehud Olmert
Gerusalemme, 28 marzo 2006

Cari israeliane e israeliani, amici e colleghi,

Oggi la democrazia israeliana si è espressa con voce limpida e chiara: Israele vuole "Kadima" (in ebraico: "avanti". n.d.t.)!
Da qui io tendo una mano amichevole e riconciliante a tutti coloro che hanno fatto parte di questo lungo processo, forse troppo lungo, faticoso e importante, a tutti i miei amici e i miei avversari, a tutti coloro che mi hanno criticato e anche ai miei denigratori.
In questo momento, al termine della foga della battaglia, noi torniamo a essere un solo popolo unito, senza schieramenti, ma coesi nell'amore infinito che abbiamo per questa terra che non ha eguali.
In questo momento io rivolgo gli occhi e il cuore all'ospedale Hadassah di Gerusalemme, verso l'uomo che ha dato inizio a tutto ciò: il Primo Ministro Ariel Sharon. Ancora adesso: Primo Ministro.
A colui che ha avuto il coraggio, la forza, la volontà e l'ostinazione di vedere le cose diversamente e di cambiare. A colui che ha cambiato direzione, ha infuso speranza e ha proposto una nuova via. A colui che ha concepito e dato il via a "Kadima" e il cui corpo, proprio quando era vicino il meritato momento in cui egli vedesse realizzarsi la sua visione, ha ceduto.
Grazie Arik, a nome mio, a nome dei membri della Knesset, a nome dei deputati di "Kadima", a nome degli elettori di "Kadima" e a nome del popolo d'Israele. Invio da qui un caloroso abbraccio ai suoi due amati figli, Omri e Ghilad, che stanno vicino al suo letto giorno e notte.
Questa sera è stato siglato un capitolo storico di grande importanza nella vita dello Stato.
Sta a noi, e a me alla vostra guida, realizzare questo nuovo capitolo nella vita dello Stato d'Israele.
Prima di tutto aspireremo all'unità del popolo.
Prima ancora di dare forma alla pace e la vita a fianco dei nostri vicini, è giunto il tempo di fare la pace al nostro interno. Con tolleranza, con rispetto reciproco, con moderazione e con amore.
Allora mettiamo da parte ogni divisione, su primo Israele contro secondo Israele, Israele integro contro Israele diviso, Israele delle minoranze contro Israele dei soli ebrei, Israele dei religiosi contro Israele dei laici, Israele degli Askenaziti contro Israele degli Orientali, Israele dei nuovi immigrati contro Israele dei cittadini veterani.
Tutti noi siamo un Israele unito, primo, forte, di successo, prospero, giusto e riconciliato con sé stesso.
Nel prossimo periodo aspireremo a delineare i confini definitivi dello Stato d'Israele quale stato ebraico con una maggioranza ebraica stabile, e quale stato democratico.
Ci adopereremo per farlo attraverso dei negoziati e un accordo con i nostri vicini palestinesi. Questo è il nostro desiderio e questa la nostra preghiera.
Non vi è alternativa migliore di un accordo di pace. Non vi è pace più stabile di quella basata su un accordo.
Un accordo può essere basato soltanto su un negoziato, condotto sulla base di un riconoscimento reciproco, degli accordi firmati in passato, dei principi della Road Map, e, ovviamente, della cessazione di ogni violenza e del disarmo e dello smantellamento delle organizzazioni terroristiche.
Io mi rivolgo questa sera al Presidente dell'Autorità Palestinese, Mahmud Abbas, e gli dico nella maniera più semplice e diretta in cui si parlano le persone:
Per migliaia di anni nel nostro cuore abbiamo serbato il sogno di una terra d'Israele integra. Questo paese rimarrà sempre, con i suoi confini storici, un desiderio del nostro cuore. Mai ci separeremo dall'anelito del nostro cuore per i luoghi che furono la culla della nostra cultura e dove sono custoditi i ricordi più cari del nostro popolo.
Ma, prendendo atto della realtà e comprendendo le circostanze, noi siamo disposti a un compromesso, a rinunciare a parti dell'amata terra d'Israele, dove è sepolto il meglio dei nostri figli e dei nostri combattenti, a far evacuare da lì, con grande dolore, gli ebrei che vi vivono, per creare le condizioni che permettano a voi di realizzare anche il vostro sogno di vivere al nostro fianco, in un vostro stato, in pace e tranquillità.
Mi attendo di sentire dall'Autorità palestinese una dichiarazione simile.
È giunto il tempo che l'opinione pubblica palestinese e i suoi leader conformino i propri sogni alla realtà dell'esistenza dello Stato d'Israele, quale stato ebraico, al loro fianco. È giunto il tempo che si rassegnino, come noi, a realizzare solo parte dei propri sogni, che abbandonino il terrorismo e cessino l'odio, che diano forma a una vita democratica, equa, loro, che guardino a un futuro di riconciliazione, di compromesso e di pace con noi.
Noi siamo pronti e disposti a ciò. Noi ce lo auguriamo.
Dico queste cose qui adesso, conscio dell'enorme forza dello Stato d'Israele e del coraggio dei suoi soldati, dei suoi militari e delle forze di sicurezza, che possono colpire qualsiasi nemico e battere qualsiasi terrorista.
Con la percezione di questa potenza, noi abbiamo il dovere di agire con tutta la nostra forza per creare la speranza di una vita diversa per le giovani generazioni, nostre e dei nostri vicini palestinesi.
Facendo ciò io seguo il cammino di Ben Gurion, di Menachem Begin, di Yitzhak Shamir, di Yitzhak Rabin, di Shimon Peres, di Ehud Baraq e di Ariel Sharon. Sono tutti leader che si sono assunti la suprema responsabilità delle sorti dello Stato d'Israele e hanno dimostrato coraggio e disponibilità a rinunciare, a trovare un compromesso, a conciliare, per giungere alla pace.
Attingo incoraggiamento dall'esempio personale di leader arabi, come il grande presidente Anwar Sadat, il grande re Hussein, e i loro continuatori: il presidente egiziano Hosni Mubarak e il re Abdallah secondo.
È giunto il momento che i palestinesi traggano dal loro "ethos" la forza necessaria per quel compromesso ineluttabile, ed è meglio che le cose accadano il più presto possibile.
Se i palestinesi riusciranno ad agire nel prossimo futuro, potremo sedere al tavolo dei negoziati e creare una nuova realtà nella nostra regione.
Se non lo faranno, Israele prenderà in mano la propria sorte e, sulla base di un ampio consenso nazionale al nostro interno e di una profonda intesa con i nostri amici nel mondo, con in testa gli Stati Uniti d'America e il presidente George Bush, agiremo anche senza un accordo con loro (i palestinesi. N.d.t.). Non attenderemo all'infinito. È giunto il tempo di agire.
[ … ]
Sono stati tre mesi difficili e complessi, da quella notte del 4 gennaio. In tutto questo tempo non sono rimasto solo. Sono stato circondato da amore, buona volontà e infinita disponibilità ad aiutarmi ad amministrare lo Stato d'Israele.
Desidero ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato e che sono stati con me. Primi fra tutti i fedeli assistenti che mi accompagnano da decenni con infinita dedizione, i funzionari dell'ufficio di gabinetto del Primo Ministro, i suoi consiglieri veterani, gli uomini di Kadima che si sono uniti a me in questa grande sfida, gli innumerevoli amici che fanno parte di questo popolo meraviglioso.
Grazie dal profondo del cuore.
[ … ]

(QuadrantEuropa, 4 aprile 2006 - traduzione non ufficiale)






2. COME SI COSTRUISCE UN HAMAS CREDIBILE




«Hamas già pentita dei segnali di pace a Israele e Olmert»

di Angelo Pezzana

Che i nostri media fossero attenti verso ogni qualsivoglia segnale potesse giungere da Hamas era più che un'impressione. Che fosse un movimento terrorista era già passato in seconda linea subito dopo che aveva vinto le elezioni il 25 gennaio scorso. Gli analisti dei nostri giornaloni ne avevano subito messo in evidenza l'aspetto "pragmatico", che i missili Kassam non erano loro a lanciarli contro Israele da Gaza perchè rispettavano la "tregua", e che la prossima responsabilità parlamentare avrebbe evidenziato la volontà di cambiamento. Per chi conosce il terrorismo palestinese e le sue vere finalità, ci voleva poco a capire che eravamo di fronte all'ennesimo gioco delle tre carte, buono appunto per darla intendere a quegli esperti che si sono sempre e solo dimostrati abili nel prendere le difese dei terroristi comunque venissero chiamati. Militanti, miliziani, resistenti, l'importante è che diano dei segnali senza il botto, che non commettano attentati, poi possono dire quello che vogliono, credibili sulla parola anche se dietro c'è l'inganno.
    Questi sono i fatti. Hamas scrive una lettera all'Onu, nella quale si augura " come tutti gli stati del mondo,di vivere nella libertà e nella sicurezza, e che il nostro popolo possa godere della pace e dell'indipendenza, fianco a fianco con i nostri vicini in questo luogo santo del mondo", queste le parole indirizzate a Kofi Annan. Hamas apre a Israele, vedete, sembravano dire i cornacchioni che da decenni svolazzano su Israele in attesa di veder realizzate le loro profezie, vedete, l'avevamo detto, adesso tocca solo ad Israele dimostrare volontà di pace, il più è fatto. Balle, perché nella medesima lettera Mahmoud Zahar accusa Israele di voler impedire la nascita dello Stato palestinese, e che la pace ci sarà solo quando tutti i profughi saranno rientrati. Come dire, quando Israele avrà cessato di esistere se il rientro dovesse avvenire.
    In realtà, come abbiamo scritto fin dai primi passi di Hamas, la tecnica è quella della doppiezza, usata con successo da Arafat e da lui copiata paro paro con ottimi risultati. "Desideriamo vivere in libertà con i nostri vicini" viene accolta come una affermazione di pace, poco importa che Israele non sia compresa fra i "vicini", anzi, manco una virgola viene eliminata dallo statuto, nel quale si continua a leggere che lo stato sionista non può esistere su "terra islamica". Considerazioni di poco conto, visto l'entusiasmo espresso dalle titolazioni di ieri su buona parte dei giornali europei. In Israele, dove si conosce bene con chi si ha a che fare, la notizia della lettera a Kofi Annan non ha destato nessuna sorpresa, nè ha meritato titoli di particolare evidenza. C'è un governo da mettere insieme, dopo le elezioni del 28 marzo, è vero, ma se ci fossero veramente dei segnali positivi che Hamas la fa finita con il terrorismo e si dichiara pronto a riconoscere lo stato degli ebrei, la notizia avrebbe superato quella delle trattative Olmert-Peretz. Invece così non è stato. Questa non-notizia ha destato invece clamore in Europa, e anche soddisfazione. Adesso si potrà citare Hamas senza farne precedere il nome da movimento terrorista, via quella definizione così pesante, in fondo hanno un premier, un ministro degli esteri, scrivono all'ONU, e cosa si pretende da loro ! Che lo stato palestinese non lo vogliano perché pensano di impadronirsi di quello israeliano non gli sfiora neanche l'anticamenra del cervello, è Israele che deve cessare l'occupazione e che la smetta una buona volta di preoccuparsi della propria sicurezza, lasci fare ad Hamas, che ci pensi Mahmoud Zahar a tracciare i confini. L'Europa, esperta in questa materia, si darà da fare per istituire subito una giornata della memoria. Grande, come sempre, nella celebrazione dei defunti.

(Libero, 6 aprile 2006 - da Informazione Corretta)





3. I SOLDI PER I TERRORISTI SI TROVANO SEMPRE




Il nuovo capo di gabinetto di Hamas sembra aver ereditato le stesse capacità di propaganda mediatica del suo predecessore di Fatah. Da diversi giorni Ismail Haniyeh diffonde su tutta la stampa informazioni allarmanti concernenti una "crisi umanitaria" nelle zone autonome di Gaza, cosa che il governo israeliano contesta. Questo mercoledì il leader terrorista ha convocato per la prima volta i membri del suo gabinetto e ha cominciato a lamentarsi dicendo che "le casse del Tesoro dell'Autorità Palestinese sono completamente vuote".
    Non teneva conto però delle dichiarazioni di Ahmed Bahar, un altro capo di Hamas, nominato vice-presidente del Consiglio legislativo palestinese. Quest'ultimo ha ufficialmente annunciato che le erogazioni mensili destinate alle famiglie dei terroristi detenuti in Israele continueranno ad essere versate. Bahar ha manifestato questi propositi in occasione di una manifestazione di queste famiglie davanti al quartier generale della Croce Rossa a Gaza. L'ex responsabile dei prigionieri, Sufan Abu Zaida (Fatah), ha rivelato recentemente che il suo ufficio dispone di un budget di quattro milioni di dollari per sostenere i parenti dei terroristi imprigionati.
Comunque sia, Ismail Haniyeh prosegue la sua campagna per intenerire la comunità internazionale e il mondo arabo. Il nuovo capo delle finanze dell'Autorità Palestinese, Omar Abdel Razek, ha sollecitato l'aiuto dei ricchi paesi petrolieri, come l'Arabia Saudita, che secondo lui si appresterebbero a versare 80 milioni di dollari per risollevare le casse dell'AP. Si può scommettere che anche un piccolo giro nei conti di Yasser Arafat in Svizzera potrebbe rivelarsi molto fruttuoso per la popolazione palestinese che sta tanto soffrendo per l'«occupazione sionista».

(Arouts 7, 7 aprile 2006)





4. IL MALSANO SOGNO DEGLI ARABI PALESTINESI




In che modo Israele può vincere

di Daniel Pipes

Da quando la settimana scorsa ho opinato che Israele può e deve sconfiggere gli arabi palestinesi, una raffica di reazioni ha contestato questa tesi. Alcune di esse sono futili (Ha'aretz ha pubblicato un articolo che mette in discussione il mio diritto a esprimermi in merito visto che io non vivo in Israele) ma la maggior parte di queste reazioni solleva delle serie questioni che meritano una replica.
    Lo stratega cinese Sun Tzu osservò che in guerra occorre "fare della vittoria il tuo principale obiettivo" e a lui fece eco nel XVII secolo il teorico della guerra austriaco Raimondo Montecuccoli. Il suo successore prussiano Clausewitz aggiunse che "La guerra è un atto di violenza per costringere il nemico a soddisfare il nostro volere". Queste idee sono valide ancor oggi. La vittoria consiste nell'imporre la propria volontà al nemico, il che propriamente significa obbligarlo a desistere dai suoi obiettivi strategici. Di solito i conflitti si concludono con l'annientamento della volontà di una delle parti.
    In teoria, non è detto che sia così. I belligeranti possono giungere a dei compromessi, possono sfiancarsi l'un l'altro oppure possono risolvere le loro beghe sotto la minaccia di un nemico più forte (come quando la Gran Bretagna e la Francia, da tempo considerate come "nemici naturali e inevitabili", siglarono nel 1904 l'Entente cordiale, a causa della loro comune apprensione riguardo alla Germania).
    Ma risoluzioni del tipo "senza vincitori né vinti" costituiscono un'eccezione in epoca moderna. Ad esempio, benché l'Iraq e l'Iran abbiano posto fine alla loro guerra del 1980-1988 sfiancandosi vicendevolmente, questo match non sanò le loro divergenze. Generalmente, purché nessuna delle due parti esperisca l'agonia della disfatta – essendo le speranze infrante, i forzieri vuoti e le esistenze stroncate – lo spettro della guerra persiste.
    Ci si può aspettare questa agonia a causa di una sconfitta schiacciante sul campo di battaglia, ma a partire dal 1945 non è stato in genere così. Gli aerei abbattuti, i carri armati distrutti, le munizioni esaurite, i soldati che disertano e i territori persi sono raramente degli elementi decisivi. Si prendano in considerazione le molteplici disfatte arabe contro Israele tra il

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1948 e il 1982, la disfatta della Corea del Nord nel 1953, quella di Saddam Hussein nel 1991 e quella dei sunniti iracheni nel 2003. In tutti questi casi, la sconfitta sul campo di battaglia non si tradusse in disperazione.
    Nell'ambito ideologico degli ultimi decenni, il morale e la volontà contano maggiormente. I francesi si arresero in Algeria nel 1962, malgrado sovrastassero i loro nemici a livello numerico e in armamenti. Lo stesso dicasi per gli americani in Vietnam nel 1975 e per i sovietici in Afghanistan nel 1989. La Guerra Fredda si concluse senza vittime.
    Se applicate alla guerra di Israele contro gli arabi palestinesi, queste riflessioni conducono a diverse conclusioni:
    • Israele non gode della libertà di azione per perseguire la vittoria; in particolare, esso si sente osteggiato dai desideri del suo principale alleato, il governo americano. È questo il motivo per il quale io, analista americano, affronto tale questione con l'intenzione di influenzare la politica statunitense e quella di altri paesi occidentali.
    • Israele dovrebbe essere esortato a convincere gli arabi palestinesi del fatto che essi hanno perso e ad agire sulla loro psicologia.
    • Un'azione aggressiva come "il trasferimento" degli arabi palestinesi fuori dalla Cisgiordania sarebbe controproducente per Israele, ciò susciterebbe una maggiore indignazione, accrescerebbe il novero dei nemici e prolungherebbe il conflitto.
    • Al contrario, la percezione della debolezza di Israele riduce la possibilità di una disfatta degli arabi palestinesi; pertanto, gli errori commessi da Israele durante gli anni di Oslo (1993-2000) e il ritiro da Gaza euforizzano gli arabi palestinesi e li inducono a proseguire la guerra.
    • A Israele basta solamente sconfiggere gli arabi palestinesi, e non tutte le popolazioni arabe o musulmane, che finirebbero per seguire l'esempio degli arabi palestinesi.
    Mi astengo dal suggerire misure specifiche che Israele potrebbe adottare, sia perché io non sono un israeliano, ma altresì perché è prematuro discutere delle tattiche che conducono alla vittoria, prima che la vittoria non sia la strategia scelta. È sufficiente dire che gli arabi palestinesi beneficiano di un immenso aiuto e supporto da parte di una rete mondiale costituita da ONG, editorialisti, accademici e politici; che il problema dei "profughi" arabi palestinesi si colloca nel cuore del conflitto e il mancato riconoscimento internazionale di Gerusalemme come capitale di Israele deteriora la situazione. Questi tre problemi sono chiaramente delle priorità.
    Ironia della sorte, il successo israeliano nel piegare l'animo bellico degli arabi palestinesi sarebbe la migliore cosa mai accaduta loro. Ciò significherebbe che essi finirebbero per rinunciare al malsano sogno di eliminare il loro vicino e avrebbero la possibilità di concentrarsi piuttosto sui loro problemi politici, economici, sociali e culturali. Per diventare un popolo normale, uno in cui i genitori non incoraggiano i figli a diventare dei terroristi suicidi, gli arabi palestinesi devono subire la dura prova della sconfitta.

(New York Sun, 4 aprile 2006 - dall'archivio di Daniel Pipes)





5. CHI VUOLE IL TELEFONO KOSHER?




GERUSALEMME - Un telefono cellulare che non permette di chiamare hot-line erotiche e salva l'utente da atti impuri, condannati dalla tradizione giudaica. È il nuovo prodotto di Mirs, azienda israeliana partner di Motorola: il Washington Post l'ha già ribattezzato "il telefono kosher", ovvero in linea con i dettami dei rigorosi rabbini ultraortodossi.
    Il terminale non è provvisto di funzioni aggiuntive, giochi o software particolarmente avanzati: si limita al suo ruolo originale, ovvero quello di ricevere ed effettuare chiamate. Sullo chassis del telefono campeggia la stella di David, simbolo dell'approvazione di un apposito "comitato di vigilanza" costituito da rabbini tradizionalisti.
    Il comitato ha infatti inserito all'interno del telefono una lista di 10mila numeri bloccati, tra i quali spiccano chat erotiche ed agenzie per "incontri promiscui". "C'è molta richiesta per questo tipo di apparecchi", dice il CEO di Mirs, Abrasha Burstyn, intervistato dal Washington Post.
    Gli ultraortodossi sono il 14% della popolazione israeliana ma il telefono prodotto da Mirs potrebbe trovare un ottimo target anche in altre comunità religiose note per la loro osservanza. Ad esempio, una versione musulmana del dispositivo potrebbe essere un vero successo in tutto il medioriente. Il concetto di "kosher", infatti, trova corrispondenza in quello tipicamente musulmano di "halal" (consentito).
    La strategia di Mirs si basa su un'osservazione assai pertinente: in un'ottica di rapida espansione tecnologica, i gruppi religiosi più integralisti ed osservanti potrebbero presto trovarsi in difficoltà. Questo perché l'onnipresenza dei servizi telematici permette l'accesso ad una vasta mole di materiale moralmente discutibile, soprattutto dal punto di vista sessuale.
    "Non vogliamo che la corruzione del mondo entri dentro le nostre comunità", sostiene l'avvocato Jacob Weinroth, attivo sostenitore dell'iniziativa dei cellulari religiously correct. "Al tempo stesso", parla Weinroth a nome dei vari gruppi religiosi israeliani, "non possiamo permetterci di perdere le possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione".

(PI Telefonia News, 3 aprile 2006)





6. DOPO 63 ANNI SCOPRE UN ASSASSINO DELLA SUA FAMIGLIA




In Polonia, 63 anni fa contadini polacchi massacrarono otto persone per rapina

GERUSALEMME - Un uomo d'affari israeliano è riuscito a scoprire in Polonia uno dei presunti assassini di parte della sua famiglia, 63 anni dopo il crimine e ora la magistratura polacca ha aperto un'inchiesta. Secondo quanto ha riferito oggi [2 aprile] il quotidiano Haaretz, Roni Lerner, un ricco imprenditore israeliano, è riuscito a scoprire uno dei presunti assassini della prima moglie del padre, dei suoi cinque figli e di due giovani ebrei, massacrati a colpi di coltello da agricoltori polacchi, presso i quali avevano trovato rifugio, in un villaggio vicino a Lublino.
    Nell'aprile del 1943 Gitl Lerner, 45 anni, i suoi cinque figli Miriam, Hannah, David, Zvi e Haim, tra i 13 e i 22 anni, e due giovani di cui si conosce solo il cognome Zefrin e Pomeranz, riuscirono a scappare da uno dei convogli diretti al campo di sterminio di Majdanek e a trovare rifugio in un nascondiglio che un agricoltore polacco, amico di famiglia, Jan Sodovsky, aveva trovato per loro in una fattoria a Pashgalini, un villaggio nella Polonia orientale, vicino a Komarovka, la cittadina dove abitavano i Lerner.
    Il padre Yitzhak, nel frattempo, era riuscito a fuggire a Varsavia dove si nascondeva sotto false generalità. La notte del 30 aprile 1943, quattro agricoltori polacchi, tra i quali lo stesso Sodovsky, raggiunsero il nascondiglio dei Lerner e li massacrarono a colpi di coltello per impadronirsi di oggetti di valore in loro possesso.
\Alla fine della guerra, Yitzhak Lerner, informato della sorte della moglie e dei figli, arrivò a Pashgalini e riuscì a identificare i quattro assassini, uno dei quali si chiamava Joseph Radchuk. Quest'ultimo, raggiunto da Yitzhak Lerner, ammise di essere stato testimone dell' assassinio e che il movente era stato di impadronirsi di oggetti di valore.
    Yoseph Lerner, che aveva motivo di temere di essere assassinato, fuggì poi da Pasgalini e le sue ripetute denuncie alle autorità sovietiche non ebbero apparentemente seguito. Dei quattro assassini solo uno,Sodovsky fu processato e giustiziato. Lerner senior emigrò poi in Israele, dove si sposò con una profuga polacca e formò una nuova famiglia.
    Sessantatre anni dopo il figlio Roni, dopo aver assunto un gruppo di ricercatori, spacciandosi per storico, è riuscito a raggiungere uno dei presunti assassini, Joseph Radchuck, ora 92enne, a farsi raccontare da lui le modalità del crimine e indicare il punto preciso dove furono sepolte le vittime, ai margini del cimitero cattolico di Pashgalini. Informata del fatto, la magistratura polacca ha aperto un'inchiesta. In Polonia non c'è prescrizione per crimini commessi durante la seconda guerra mondiale.
    Roni Lerner è partito oggi per la Polonia per riesumare le salme e portarle in Israele per seppellirle, accanto alla tomba del padre, morto alcuni anni fa. "Non lascerò membri della mia famiglia - ha detto a Haaretz - in questa terra maledetta di Polonia".

(Swissinfo, 2 aprile 2006)





7. UN LATO POCO NOTO DELL'ESERCITO ISRAELIANO




Ragazze in divisa

Una fotografa che ha servito nell'esercito israeliano negli anni 1988-1990 ha voluto rappresentare in un suo sito alcuni aspetti poco noti dell'esperienza militare che hanno le ragazze in Israele.

di Rachel Papo

La vita di una diciottenne in Israele viene interrotta nel momento in cui è strappata dal suo ambiente in un'età in cui i valori sessuali, educativi e familiari si trovano al più alto punto di esplorazione. Viene collocata in una severa istituzione in cui l'individualità diventa secondaria e viene sostituita dal nazionalismo. "Giuro solennemente... di dedicare tutta la mia forza e di sacrificare la mia vita per proteggere il paese e la libertà d'Israele", ripete la nuova recluta durante la sua cerimonia del giuramento. Entra così in un periodo di due anni in cui da ragazza diventerà donna, da adolescente adulta, e tutto questo in un ambiente maschile entro i confini di un esercito che è impegnato in una guerra quotidiana.
    Ho deciso di ritrarre donne soldato in Israele durante il loro servizio militare obbligatorio come un modo che servisse a me per rivisitare la mia propria esperienza. Ho servito come fotografa nell'aviazione israeliana negli anni 1988-1990. E' stato un periodo caratterizzato da continua depressione e estrema solitudine, e in quel tempo ero troppo giovane per comprendere queste emozioni. Attraverso una serie di immagini che mostrano soldatesse dentro basi israeliane e all'esterno, individualmente o in gruppo, ho cercato di rivelare un aspetto di questa esperienza che generalmente è trascurato dalla comunità globale.
    Invece di ritrarre il soldato come eroico, fiducioso e fiero, le mie immagini dischiudono una complessità di emozioni. La soldatessa spesso viene ripresa
in un fugace momento di autoriflessione, di incertezza, in una interruzione della sua realtà quotidiana, come se interrogasse la sua propria identità e il suo stato di contraddizione. E' un soldato in uniforme, ma nello stesso tempo è una teenager che sta cercando di negoziare tra queste due opposte dimensioni. E' in una base dell'esercito, circondata da centinaia di altri come lei, ma sotto l'uniforme c'è un'individualità che vorrebbe essere notata.
    Mi accorsi che nonostante durante il mio servizio militare fossi in uno stato emozionale vulnerabile e pensassi a cose che erano fuori di lì, c'era in me un certo grado di accettazione. Le ragazze che incontravo erano così immerse in questo stile di vita, nella loro nuova realtà, e completamente distaccate dal mondo di fuori. Come potevo spiegare loro che quello che stavano facendo non significa niente per il mondo esterno, e tuttavia le avrebbe influenzate per il resto della loro vita? Per il momento hanno lasciato quello che sono; hanno messo in attesa i loro sogni; per due anni la loro vita è diventata un malinconico compromesso.
    Questi pensieri e sentimenti costituiscono il quadro di questo lavoro e la spinta essenziale che mi ha portato alla decisione di tornare indietro. Con


questo progetto vorrei cercare di rispondere a questioni rimaste irrisolte e fare un po' di luce su un lato dell'esercito israeliano che è meno evidente prevedibile, e più vulnerabile del modo in cui è comunemente rappresentato.

Sito internet: www.serialno3817131.com





MUSICA E IMMAGINI




A Bisele Glik




INDIRIZZI INTERNET




Pera e Mela in Piazza

Netivyah Bible Instruction Ministry




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