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Notizie su Israele 343 - 22 aprile 2006

1. Inquietanti segnali di collegamento
2. La minaccia iraniana
3. Il mar Morto sta morendo
4. Le carte dell'Olocausto
5. La «metropoli laica» dello Stato ebraico
6. Per poter studiare in pace
7. Un'insolita alleanza
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 10:20. In quel giorno il residuo d’Israele e gli scampati della casa di Giacobbe smetteranno di appoggiarsi su colui che li colpiva, e si appoggeranno con sincerità sul Signore, sul Santo d’Israele.
1. SEGNALI DI COLLEGAMENTO NEL MONDO ISLAMICO




Hamas e la ragnatela del fanatismo

di Federico Steinhaus

Al-Majid Al-Zindani
Da quando Hamas ha vinto le elezioni palestinesi ed ha assunto il potere ci si interroga ovunque su quale debba essere l'approccio ad uno sviluppo politico che non era stato inserito con sufficiente attenzione nelle proiezioni dei possibili scenari del "dopo Arafat".
Nella sostanza le metodologie proposte sono, semplificando, due: la massima intransigenza sempre e comunque e l'annullamento di tutte le contribuzioni internazionali, oppure una intransigenza in cui la fermezza lasci aperto lo spiraglio verso una revisione ed una riapertura dei flussi di denaro qualora Hamas dimostri una qualche flessibilità.
La prima opzione sottovaluta le ripercussioni del problema umanitario conseguente al blocco degli aiuti in relazione anche alle posizioni politiche delle varie pedine – occidentali ed arabe – che hanno interessi divergenti o conflittuali nella regione.
La seconda opzione invece tende a cercare un punto di equilibrio nella antica politica del bastone e della carota, che soddisfi le legittime esigenze di sicurezza di Israele senza scontentare il massimalismo arabo ed islamico.
In linea di principio il dilemma ha una sua legittimità e le motivazioni addotte per una scelta di flessibilità non possono essere scartate a priori con senso di fastidio, come alcuni fanno. Si tratta piuttosto di approfondire le valutazioni che in questa opzione sono state lasciate in ombra, e che a nostro parere dimostrano quanto i suoi fautori siano preda di illusioni e quanto poco realismo dimostrino.
Innanzi tutto dobbiamo rileggerci alcuni passaggi fondamentali della carta costitutiva di Hamas, che come noto si basa su elementi di fede vissuti con un radicalismo che esclude ogni possibilità di rinuncia o revisione.
"La base del Movimento di Resistenza Islamico è l'Islam. Dall'Islam deriva le sue idee e i suoi precetti fondamentali, nonchè la visione della vita, dell'universo e dell'umanità; e giudica tutte le sue azioni secondo l'Islam, ed è ispirato dall'Islam a correggere i suoi errori" (art.1).
"Il Movimento di Resistenza Islamico... si sforza di innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina" (art.6).
"Il Profeta - le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: «L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo»"(art.7).
"Dio come scopo, il Profeta come capo, il Corano come costituzione, il jihad come metodo, e la morte per la gloria di Dio come più caro desiderio" (art. 8).
"Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni del'Islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa... la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistata con la forza..."(art.11).
"Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. In verità cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione" (art.13).
"La natura islamica della questione palestinese è parte integrante della nostra religione..."(art. 27).
Queste parole sono molto diverse dalle minacce di annientamento che erano contenute nella costituzione, laica e politica, dell'OLP. L'OLP le ha potute modificare con una decisione assembleare. Hamas non potrà fare altrettanto senza rinnegare l'Islam.
Da qui partono anche le spiegazioni che ci consentono di comprendere quanto sta succedendo, in particolare nel modo di rapportarsi ad Hamas che si manifesta in molte parti dell'Islam. Innanzi tutto la rete di collusioni che sta nascendo, e che non è di certo limitata al solo fanatico Iran. Anche l'Arabia Saudita ha già promesso ad Hamas 92,5 milioni di dollari, ed il Qatar ne ha promessi 50.
Partecipando ad un vertice islamico nello Yemen, prima della costituzione formale del governo, alcuni esponenti di primo piano di Hamas si sono incontrati con uomini di Al Qaeda vicini a Bin Laden.
Sempre nello Yemen vive sotto la protezione dello stesso presidente Abd Al-Majid Al-Zindani, capo del'Università Islamica Al-Iman e presente fin dal febbraio 2004 nella lista dei terroristi di Al Qaeda delle Nazioni Unite; lo scorso 23 marzo Al-Jazeera ha trasmesso un suo discorso a sostegno dei terroristi suicidi palestinesi, tenuto ad una conferenza organizzata (sempre nello Yemen) a favore di Hamas.
Appare sconcertante che il recente attentato di Tel Aviv abbia colto di sorpresa le autorità israeliane in quanto, per la prima volta, era stato preparato all'estero. La pianificazione era avvenuta durante un incontro a Teheran del capo della Jihad Islamica a Damasco, Ramadan Shalah, con Mohammad al Hindi che guida la medesima organizzazione terroristica a Gaza, con il vice-comandante degli Hezbollah Sheikh Ali Qassem e con il generale Kasim Suleimani che è a capo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane. Pur avendo scoperto e sventato nelle settimane precedenti 70 tentativi di compiere attentati, in questa occasione le forze israeliane sono state colte di sorpresa. Pare che il giovanissimo terrorista sia stato prelevato dalla sua casa pochi giorni prima e portato in un luogo sicuro sotto la sorveglianza degli Hezbollah per mettere a punto l'attentato.
La Giordania ha annullato la visita del primo ministro palestinese prevista per il 19 aprile dopo che erano state scoperte armi, esplosivi e missili introdotti nel paese da Hamas.
Sono segnali di collegamenti che sfuggono al monitoraggio politico occidentale, incapace di comprendere anche l'ostinazione con cui il presidente iraniano enuncia messaggi di terrore e distruzione incurante dello sgomento ostile che suscitano – come del resto è incapace di comprendere un fanatismo religioso che incita a commettere un suicidio-omicidio per meglio onorare Dio. Forse sta nascendo una ragnatela di fanatismi islamici convergenti e pronti a collaborare fra loro, ispirati come sono dal medesimo odio; che ciò sfugga alle analisi occidentali e venga ignorato dai media non depone a favore della capacità di tenerle testa.
Se il futuro che ci si prospetta come scenario politico è questo, non meno grave appare quello culturale. Come e più che ai tempi di Arafat la televisione palestinese educa i giovani – anche i bambini – all'odio e li prepara al martirio come massima aspirazione.
Dal sito della Fratellanza Musulmana in Egitto (http://www.ikhwanonline.com/) ci si può facilmente connettere al sito che i Fratelli Musulmani hanno creato per i piccoli (http://www.awladnaa.net/: "I nostri bambini"), nel quale vengono mescolati argomenti piacevoli e banali con risposte che vengono date alle immaginarie domande dei bambini.
Nella rubrica "cultura generale" la domanda "Lo sapevate?" introduce all'argomento palesemente più importante. Vi si afferma che "la resistenza irachena è il più bell'esempio della lotta per l'indipendenza", che "gli ebrei hanno assassinato 25 profeti di Allah, e la loro nera storia è piena di crimini ed omicidi e corruzione", anzi, essi abitualmente uccidono i bambini. In un altro settore l'Andalusia viene descritta come "parte della grande patria musulmana".
Certo, quando viene commessa una strage come quella di Tel Aviv e le decine di altre che l'hanno preceduta, in cui perdono atrocemente la vita figli dinanzi ai genitori, genitori dinanzi ai figli, persone qualunque che avrebbero voluto fare la spesa, divertirsi, mangiare una pizza in compagnia – quando ciò accade è difficile non associarsi ai sanguigni, addolorati, furiosi commenti di Deborah Fait. Quando si mettono in fila tutte le informazioni che compaiono in questa pagina non è facile mantenere il contatto con la propria razionalità e con il proprio equilibrio di giudizio. Ma la politica, anche quando ci costa molto farlo, chiede il distacco dall'emotività pura. E' dalla politica che speriamo di ricevere risposte alle terribili domande che abbiamo poste, e prospettive non retoriche di pace, una pace che quasi tutti vogliono appassionatamente, di cui tutti indistintamente hanno bisogno, ma contro la quale alcuni scatenano l'ira dell'inferno.

(Informazione Corretta, 21 aprile 2006)

COMMENTO - «E' dalla politica che speriamo di ricevere risposte alle terribili domande che abbiamo poste, e prospettive non retoriche di pace...». E' la politica l'ultima speranza? Salmo 131:3.





2. LA MINACCIA IRANIANA




«Noi ebrei in Iran ora ci sentiamo più soli»
    
di Gian Micalessin

TEHERAN - La casa è vasta, spaziosa, di un'eleganza un po' retrò un po' spartana. Arash ti accoglie con sorrisi attenti e scrupolosi. Sua sorella Elham è già alla porta, s'avvolge la chioma bionda nel foulard multicolore, allunga la mano, scappa via. La madre ti studia un attimo, porge il palmo, riaffonda nel divano. Gli chiedi come va e Arash ti risponde «tutto bene» con un sorriso in cui leggi «e che ti posso dire». La prende alla lontana Arash. Incomincia da 2.700 anni fa, dagli antenati arrivati in catene dopo la vittoria di re Nabucodonosor, distruttore del primo tempio di Salomone. Da allora a oggi Arash e gli altri ebrei d'Iran sono rimasti in 20/25mila. Diecimila a Teheran, il resto sparso tra Isfahan, Shiraz e Kherramshar.
    Cinquantamila sono svaniti nell'ultimo quarto di secolo e per un attimo anche dire dove siano finiti sembra un arcano. Un mistero sospeso nella penombra del salotto, tra lo sbircio della madre e il gracchiare della tv. Poi in un fiato la parola impronunciabile salta fuori, Israele ricomincia a esistere e l'ingegnere Arash Abaie, lettore della Sinagoga e insegnante di Religione alla Scuole ebraiche di Teheran incomincia a rivivere, a uscire dal bozzo. «Non c'è paura, non c'è mai stata, ma c'è preoccupazione, dopo quel discorso molte certezze sono svanite... per la prima volta da 25 anni anche questa famiglia si chiede se sia ora d'andare».
    Il discorso, così lo chiama Arash, è la prima esternazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, quella con cui a ottobre promise di cancellare Israele dalla faccia della Terra e mise in discussione l'entità del genocidio. Quel giorno i diecimila sopravvissuti di Teheran e quelli dispersi nel resto del Paese sentirono un brivido freddo risalirgli la schiena. Solo Harush Yashayaei, capo del Consiglio ebraico di Teheran, ha preso carta e penna e ha chiesto spiegazioni. «Caro presidente, la nostra piccola comunità guarda con profondo orrore alla quotidiana negazione dell'Olocausto... L'Olocausto non è una leggenda, è una vera vergogna che qualcuno si chieda se gli ebrei uccisi furono sei milioni o un milione...».
    Horush, abituato a protestare con il ministero della Guidanza islamica e a ricevere risposta per ogni trasmissione tv sulla causa palestinese, quella volta non ebbe soddisfazione. Qualcuno al posto del «caro presidente» gli rifilò quattro righe formali promettendo di esaminare le sue lagnanze. Da allora Arash e i suoi pensano un po' di più ai parenti lontani e al modo per raggiungerli. «Alla solitudine siamo abituati, da un decennio qui a Teheran o in Iran non vive più uno solo dei nostri parenti o dei vecchi amici, ma con Ahmadinejad ci sentiamo ancora più soli. Non abbiamo più certezze, non sappiamo cosa aspettarci dal governo. La situazione è ogni giorno meno chiara e il futuro un'incognita».
    Un'angoscia raramente provata prima. «Qui in Iran non ci siamo mai sentiti né perseguitati, né in pericolo. La chiave dorata ce la offrì l'imam Khomeini quando ricordò a tutti di distinguere tra ebrei e sionisti. Da allora malgrado i bambini crescano imparando a scuola gli slogan contro Israele nessuno ha mai alzato un dito contro di noi». Oltre a riconoscere l'esistenza della comunità religiosa, a permetterne il culto e l'insegnamento religioso nelle scuole private, la Costituzione iraniana prevede l'elezione di almeno un deputato ebreo al Parlamento. Questo non ha impedito l'esecuzione di 13 ebrei accusati d'attività filo-israeliane tra il 1980 e il '98 e l'arresto, nel '99, di tredici esponenti della comunità di Isfahan e Shiraz accusati di spionaggio.
    Dal 2002 - quando gli ultimi otto dei tredici sospetti tornarono liberi - gli appelli dell'allora presidente Khatami al dialogo tra le civiltà sembrarono esorcizzare le antiche paure. «L'arrivo di Ahmadinejad è stato un salto nel passato, ascoltandolo molti di noi hanno incominciato veramente a guardare a Israele», racconta un commerciante che scruta il nostro taccuino di appunti e si guarda bene dal dare il nome. «Certo qui a Teheran abbiamo le scuole della Comunità per i nostri figli, venti sinagoghe che si riempiono ogni Shabbat e due ristoranti kosher, ma quanto durerà? E se le cose peggioreranno riusciremo a fuggire?». Andarsene oggi non è troppo difficile. «Gli anni bui - ricorda il mercante - erano quelli della guerra con l'Irak, allora per noi ebrei ottenere il passaporto era un'impresa, ma dopo la fine della guerra siamo ridiventati viaggiatori come gli altri. Solo chiedere di andare in Israele resta vietatissimo, ma basta arrivare in Turchia e tutto si risolve. L'ambasciata israeliana può farti depositare il passaporto e tu voli a Tel Aviv con un permesso speciale. Qui lo sanno e chiudono un occhio... Neppure le comunicazioni sono più un'impresa. Per vent'anni chiamare l'estero era fuori discussione, ma oggi con alcune carte telefoniche puoi raggiungere il prefisso cancellato da tutti gli elenchi del Paese. Il problema è questo presidente. Da quando c'è lui né noi, né i nostri amici iraniani, sappiamo più cosa ci riserverà il domani».

(Il Giornale, 21 aprile 2006)






3. IL MAR MORTO STA MORENDO




GERUSALEMME. Allarme Mar Morto: a lanciarlo è la sezione medio-orientale dell'organizzazione ecologista «Amici della Terra», che oggi ha parlato del rischio di una «catastrofe ecologica» se non si troveranno rapidamente contromisure per fermare l'inesorabile prosciugamento del «mare» interno più salato e più «basso» (412 metri sotto il livello del Mediterraneo) del mondo. Da circa 20 anni il livello delle acque del Mar Morto cala di quasi un metro all'anno. Le coste si sono cosi allungate in certe zone di quasi 2 chilometri, e alcune aree, verso il Mar Rosso, si sono completamente prosciugate.
    «La situazione ecologica è catastrofica», ha avvertito il responsabile della sezione medio-orientale di «Amici della Terra» (di cui fanno parte ecologisti israeliani, giordani e palestinesi), Gideon Bromberg: «in 50 anni ha perso un terzo della sua superficie». Il problema è causato soprattutto dallo sfruttamento idrico intensivo del Giordano, il fiume biblico che sfocia nel Mar Morto e che in passato lo alimentava in acqua dolce compensando l'evaporazione naturale dovuta al caldo soffocante che per buona parte dell'anno copre questa area brulla ai margini del deserto della Giudea. Ma nell'ultimo mezzo secolo le acque del Giordano hanno subito ampi salassi, per il consumo umano, l'irrigazione dei campi, lo sfruttamento idroelettrico, per scopi industriali. Secondo alcuni esperti il Mar Morto potrebbe essere a rischio di prosciugamento totale nel 2050 se non si correrà ai ripari rapidamente. Israele e Giordania, con l'assenso dell'Anp, hanno proposto nel 2004 un progetto congiunto per la costruzione di un canale fra il Mar Rosso e il Mar Morto, per salvarlo appunto dalla morte annunciata. Una sponda del Mar Morto è giordana, l'altra è per una metà in territorio israeliano e per l'altra in territorio palestinese. Uno studio di fattibilità (15,5 milioni di dollari) è in corso dall'anno scorso, con il finanziamento di diversi paesi donatori fra cui gli Usa, il Giappone, e in Europa anche l'Italia, e dovrebbe essere completato per metà 2007. Se il progetto sarà effettivamente realizzato, gli ecologisti temono però che possa alterare la struttura del Mar Morto, portando acqua salata invece di quella dolce che tradizionalmente giunge dal Giordano.
    Il Mar Morto, di grande importanza biblica (sulle sue sponde sono stati trovati i più antichi frammenti delle Sacre Scritture), è oggi anche un famoso sito turistico e terapeutico, grazie alla sua speciale composizione, ricca in sali minerali, soprattutto magnesio, potassio, bromo.
Nelle sue acque è quasi impossibile nuotare: i bagnanti vengono spinti verso

prosegue ->
la superficie dalla particolare densità dell'acqua. Galleggiano e vengono cosi immortalati nelle fotografie di rito che li ritraggono adagiati sull'acque con il giornale in mano.

(La Sicilia, 15 aprile 2006)






4. LE CARTE DELL'OLOCAUSTO




«Sei mesi per aprire gli archivi dei nazisti»

WASHINGTON. Sarà una svolta per gli storici. Restano da determinare le modalità. Ma entro sei mesi, gli archivi dei campi di sterminio nazisti potrebbero essere accessibili al pubblico. È la prima conseguenza dell'impegno assunto dal ministro della giustizia tedesco Brigitte Zypries, due giorni fa a Washington, dopo una consultazione al Museo dell'Olocausto della capitale federale degli Stati Uniti. Il governo di Berlino, ha detto la Zypries, intende lavorare con l'amministrazione americana, e con le altre interessate, per rivedere la normativa internazionale sulle informazioni che riguardano circa 17 milioni di vittime dell'Olocausto: ebrei, ma anche milioni di persone di altre etnie, fedi e gruppi.
Finora, la Germania aveva opposto resistenza alle richieste che venivano da storici e da superstiti, o da familiari di vittime, di avere accesso alle decine di milioni di documenti custoditi negli archivi d'un villaggio: si calcola che ve ne siano tra 30 e 50 milioni a Bad Arolsen.
Solo la Croce Rossa internazionale era stata autorizzata, nei 60 anni trascorsi dall'Olocausto, a consultare i documenti nel tentativo d'accertare la sorte di ebrei e di lavoratori coatti deceduti nei campi nazisti o di cui, comunque, s'era perduta la traccia dopo la loro deportazione.
Ma nè il pubblico nè gli storici vi avevano, e non possono tuttora avervi, alcun accesso.
La riluttanza della Germania ad aprire gli archivi poggiava, finora, su ragioni di privacy, come ha spiegato la Zypries. Ma parlando con la direttrice del Museo dell'Olocausto sul Mall (la spianata dei monumenti di Washington), Sara Bloomfield, e, poi, alla stampa, il ministro ha detto che la Germania ha ora cambiato posizione e vuole cercare di modificare immediatamente l'accordo fra 11 Paesi che regola l'accesso agli archivi.
La Zypries, le cui parole hanno suscitato eco immediata, almeno nella comunità ebraica negli Stati Uniti, ha detto: «Siamo d'accordo per aprire gli archivi di Bad Arolsen e riteniamo che i dati dovranno essere protetti-





5. LA «METROPOLI LAICA» DELLO STATO EBRAICO




«Vogliamo Tel Aviv capitale mondiale dei gay»

L'associazione degli omosessuali israeliani candida a sede dell'Europarade del 2009

TEL AVIV - Israele è uno dei Paesi più affascinanti del mondo, ma da anni il suo settore turistico è in affanno. Una tragica sequenza di attentati (veri) ai danni di civili innocenti e ripetute minacce di annientamento nucleare (per ora soltanto virtuali) da parte di una inquietante potenza vicina fanno riflettere più volte i turisti prima di recarsi nello Stato ebraico. E gli imprenditori del settore non sanno più cosa inventarsi.
L'ultima iniziativa ha qualcosa di speciale, a metà fra la trovata geniale e la dimostrazione di disperazione: Tel Aviv, capitale «laica» di Israele contrapposta alla «religiosa» Gerusalemme, aspira a diventare la capitale mondiale dei gay, onde accaparrarsi una quota significativa di un movimento turistico che interessa circa 70 milioni di persone.
Shai Deutsh, portavoce dell'associazione israeliana degli omosessuali, lesbiche, transessuali e bisessuali, ha detto al quotidiano Yedioth Ahronoth che «il turismo omolesbico è ultimamente in forte espansione e noi abbiamo grande assistenza da parte dell'associazione degli albergatori di Tel Aviv, dagli enti turistici locali e dal ministero del turismo». Deutsh afferma che operatori turistici greci, turchi e olandesi hanno già cominciato a organizzare escursioni di fine settimana a Tel Aviv per omosessuali.
Nel quadro degli sforzi per sviluppare questo tipo di turismo, che riguarda persone con reddito solitamente alto e con sviluppati gusti culturali e di viaggio, l'associazione omolesbica israeliana ha presentato la candidatura di Tel Aviv come sede dell'Europarade 2009, la più grande manifestazione mondiale gay.
Tra breve, inoltre, apparirà un sito internet israeliano (Gay map) contenente tutti i nomi e gli indirizzi dei luoghi turistici e di ritrovo a Tel Aviv che sono riservati agli omosessuali e alle lesbiche di tutto il mondo.

(Il Giornale, 21 aprile 2006)

Dalla Torah:
    "Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole. Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità. Non vi contaminate con nessuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; per questo io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, e non commetterete nessuna di queste cose abominevoli: né colui che è nativo del paese, né lo straniero che abita in mezzo a voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato. Badate che, se contaminate il paese, esso non vi vomiti come ha vomitato le nazioni che vi stavano prima di voi. Poiché tutti quelli che commetteranno qualcuna di queste cose abominevoli saranno tolti via dal mezzo del loro popolo." (Levitico 18:22-29)






6. PER POTER STUDIARE IN PACE




Palestinesi nelle celle israeliane

di Francesco Cerri e Giorgio Raccah

GERUSALEMME. È un fenomeno bizzarro, legato alle difficoltà economiche crescenti della popolazione palestinese e forse anche alla fase di incertezza aperta nella società dalla vittoria di Hamas.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, dall'inizio dell'anno alcune decine di ragazzi palestinesi si sono fatti arrestare deliberatamente dai militari israeliani, per poter studiare in carcere. «Vogliono solo studiare in pace, in un carcere israeliano» ha titolato ieri in prima pagina il quotidiano liberal di Tel Aviv.
La quiete delle prigioni in Israele per studiare e prepararsi agli esami di maturità: questa sarebbe la scelta di molti dei ragazzi palestinesi che dall'inizio dell'anno sono stati arrestati ai check-point dell'esercito con in tasca un coltello. «In diversi casi, afferma il giornale, non hanno fatto alcun tentativo per nascondere» le armi.
Secondo Haaretz le autorità militari hanno notato un forte aumento rispetto agli anni passati del numero di giovani palestinesi arrestati ai posti di blocco in Cisgiordania (nella foto, giovani dell'Intifada). Dei 103 palestinesi trovati in possesso di coltello e arrestati ai posti di blocco dall'inizio dell'anno, solo 35 hanno confessato che intendevano attaccare israeliani. Le fonti militari hanno detto di stimare che più del 50% abbiano deliberatamente voluto farsi arrestare e la ragione principale di questo comportamento sembra sia la volontà dei giovani di prepararsi e di fare gli esami di maturità nelle prigioni israeliane. Al check-point di Hawara, all'uscita da Nablus, riferisce Haaretz, ormai praticamente ogni giorno un ragazzo viene arrestato con un coltello in tasca.
A casa è più difficile studiare, per le difficoltà economiche che impongono a molti giovani di cessare gli studi per andare a lavorare e cercare di contribuire a fare vivere la famiglia. In prigione invece possono studiare indisturbati e avvalersi dell'assistenza di maestri arabi israeliani per prepararsi agli esami. In ogni caso le autorità militari hanno rilevato che il numero di giovani palestinesi arrestati aumenta con l'avvicinarsi degli esami di maturità.
Altre ragioni che spingono i giovani a farsi arrestare, secondo le fonti militari citate dal giornale, sono problemi nei rapporti con la famiglia e gli aiuti economici che questa riceve da organizzazioni assistenziali durante la loro detenzione.
Un altro movente è il desiderio di molti di conquistarsi il rispetto e l'aureola di combattente con alcuni mesi nelle carceri del «nemico» israeliano.
Durante gli interrogatori da parte dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani, la maggior parte dei ragazzi arrestati «non ha nulla da raccontare» su possibili complici o gruppi armati.
In certe aree i militari hanno notato che uno dopo l'altro venivano arrestati ragazzi della stessa scuola. Per ridurre il fenomeno, secondo Haaretz, i pm militari sono stati invitati a chiedere pene più brevi – 2-3 mesi invece di 10 – per chi venga arrestato con un coltello, ma senza avere ferito nessuno. Un periodo forse non sufficiente per passare gli esami.

(La Sicilia, 15 aprile 2006)





7. UN'INSOLITA ALLEANZA




Ebrei e arabi dalla stessa parte della barriera

Un'insolita alleanza: ebrei di un sobborgo di Gerusalemme ricorrono in giudizio insieme agli abitanti di un quartiere arabo perché vogliono vivere insieme dalla parte israeliana della barriera di sicurezza.
    Il tracciato del confine rischiava di isolare una piccola enclave del quartiere Jabel Mukaber di Gerusalemme Est. Gli abitanti arabi si sono rivolti per aiuto ai Rabbini per i diritti umani per far modificare il tracciato della barriera di sicurezza affinché il villaggio, che si trova in parte sul territorio israeliano e in parte su quello palestinese, possa continuare a costituire un'unità. Ad un caso come questo si può arrivare nella costruzione della barriera se Israele si attiene con esattezza ai cosiddetti confini del '67. Durante gli anni molti abitanti arabi hanno costruito sul territorio vicino che si trova al di là di questa linea di confine. Si è arrivati in questo modo a un conflitto di interessi, perché Israele non può senza problemi recintare una terra che secondo i confini del '67 appartiene al territorio palestinese. Oltre a questo c'è anche il fatto che molti arabi di Gerusalemme preferiscono vivere sotto il governo israeliano, piuttosto che sotto quello palestinese.
    Non appena fu noto il tracciato della barriera di sicurezza, gli abitanti della parte palestinese di Jabel Mukaber si sono affrettati a procurarsi documenti israeliani per poter far venire i loro parenti dalla parte israeliana. Il villaggio Sheich Saad, che si trova su una collina che guarda sui monti del deserto di Giudea, è stato assegnato al territorio palestinese, mentre gli altri sei quartieri appartengono a Gerusalemme. Messi insieme, i sette piccoli quartieri costituiscono un villaggio formato da grandi famiglie e gruppi di amici, collocato su una collina al di fuori delle alture di Gerusalemme. L'insuperabile muro di cemento costituito dalla barriera di sicurezza avrebbe separato molte persone dalle scuole, dall'ospedale, dal cimitero e dal distributore di benzina.
    Daoud e suo cugino Fadal Allan vivono a cinque minuti di strada a piedi l'uno dall'altro, ma si trovano da parti opposte della linea di confine. Daoud, che vive a Sheich Saad, non ha una carta d'identità israeliana. Dice che a lui succede la stessa cosa che a molti altri: membri della stessa famiglia vivono da parti diverse e non si possono incontrare. Un'insuperabile barriera divide Sheich Saad dal resto di Jabel Mukaber. Benzina e generi alimentari vengono issati al di sopra del muro.
    I Rabbini per i diritti umani si sono occupati del caso. Si sono assunti il compito di essere di aiuto in tutti i casi in cui ci sono persone che sono state divise dai loro campi o dai loro villaggi. Dopo che la contesa giudiziaria si è protratta per due anni, alla fine di marzo gli abitanti del villaggio arabo e i loro vicini ebrei hanno potuto finalmente rallegrarsi quando è arrivata la notizia della sentenza: il Ministero della Difesa dovrà spostare la barriera per mantenere intatto Jabel Mukaber.
    In festa, 300 persone, arabi ed ebrei, si sono radunate a Sheich Saad. «Adesso appartiene alla famiglia», ha detto il palestinese Daoud Allan
Daoud Allan (sin.) con Hillel Bardin
abbracciando l'ebreo Hillel Bardin che si era impegnato nella questione. Bardin ha spiegato il motivo per cui ha aderito alla coalizione ebraico-araba per lo spostamento della barriera di sicurezza. «Ho visto la situazione sul posto e ho dovuto ammettere che per le persone interessate sarebbe stato spaventoso», ha dichiarato Bardin a israel heute.
    Il caso ha gettato nuova luce sulla barriera e sulle relazioni ebraico-arabe in Israele. Bardin ha assicurato che in questa regione ebrei e arabi hanno un rapporto assolutamente positivo. Ha detto che circa 1000 ebrei hanno sottoscritto la petizione per impedire che il quartiere Sheich Saad fosse staccato dagli altri sei quartieri di Jabel Mukaber.
    Se poi il Ministero della Difesa vorrà impugnare la sentenza, è una cosa che rimane ancora aperta.

(israel heute nr. 332, maggio 2006)





MUSICA E IMMAGINI




Fun taschlich




INDIRIZZI INTERNET




Feste ebraiche

God's Clay: ISRAEL




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