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Notizie su Israele 361 - 25 settembre 2006

1. Intervista a un leader politico libanese
2. La risposta va cercata in termini religiosi
3. Genitori di soldati israeliani rivedono i loro figli
4. Olocausto, si ritrovano dopo 65 anni
5. Nascosta per 61 anni e col marito ebreo
6. Crisi di coscienza di un allenatore ebreo-americano
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Zaccaria 14:12. Questo sarà il flagello con cui il Signore colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme: la loro carne si consumerà mentre stanno in piedi, i loro occhi si scioglieranno nelle orbite, la loro lingua si consumerà nella loro bocca.
1. INTERVISTA A UN LEADER POLITICO LIBANESE




Unifil potrà solo assistere al balletto tra Hezbollah e esercito

Il leader druso: ''Il presidente della Repubblica Emile Lahoud assicura la copertura istituzionale ai piani di Damasco e Tehran''

Walid Jumblat
BEIRUT - "Siamo di fronte a un compromesso 'alla libanese'": è con queste parole che Walid Jumblat, leader druso del Partito socialista progressista e principale esponente del fronte 'antisiriano', commenta con Aki-Adnkronos International il tema del disarmo di Hezbollah e del ruolo di Unifil-2. Jumblat lamenta la mancanza di un accordo chiaro tra esercito libanese e milizia sciita: "I soldati del Partito di Dio per ora rimangono nel territorio al sud del fiume Litani (40 chilometri a nord dalla frontiera con Israele, ndr) ma nascosti, in modo da dare l'impressione che il nostro esercito torni davvero sovrano. Ma il problema di fondo rimane". I caschi blu dell'Onu, "da parte loro, hanno tutto il diritto di difendersi se attaccati, ma il loro mandato non consentirà altro che stare a guardare questo 'balletto' tra miliziani Hezbollah ed esercito regolare di Beirut". In ogni caso, prosegue Jumblat, "Unifil-2 non rischia di subire attentati come avvenne per il contingente internazionale del 1982-84 a Beirut. Questa volta c'è la copertura delle Nazioni Unite e Hezbollah non ha interesse a mettersi contro l'intera comunità internazionale".
    Jumblat ribadisce poi ad Aki le sue critiche alla politica del Partito di Dio: "E' costata molto cara al Libano la cattura da parte di Hezbollah dei due soldati israeliani il 12 luglio scorso. Così hanno provocato una guerra che il paese non voleva". "Perché dare a Israele un pretesto per distruggere il paese?", si chiede Jumblat che ricorda come "il sud del Libano era già stato liberato nel 2000 e nessuno può credere alla favola che questa guerra è stata fatta per liberare i venti chilometri quadrati delle Fattorie di Shebaa (territorio conteso tra Siria e Libano e dal 1967 occupato da Israele, ndr)". Il leader druso, dal suo castello di Mukhtara, nel cuore delle montagne dello Shuf, 60 chilometri a sud-est di Beirut, non ha dubbi: "La questione di Shebaa serve alla Siria e all'Iran per continuare a usare Hezbollah come milizia armata nel paese e tenere tutti ostaggi della cosiddetta resistenza. In Libano - continua - il presidente della Repubblica Emile Lahoud assicura la copertura istituzionale ai piani di Damasco e Teheran. Il nostro paese si trova nuovamente al centro di una congiuntura regionale molto pericolosa, stretto tra l'Iran e la Siria da una parte, e tra Israele e Stati Uniti dall'altra". Per Jumblat "il Partito di Dio è davvero uno Stato nello Stato e, ancora oggi, non sappiamo cosa entra ed esce dall'aeroporto di Beirut. L'area dei carichi cargo - spiega - è sotto il controllo di Hezbollah e le autorità libanesi non hanno la possibilità reale di verificare la natura delle merci in uscita e in entrata". Riguardo alla presenza di altre fazioni armate in Libano, il capo druso di Mukhtara assicura che "i vari gruppi hanno solo i fucili del passato e che nessuno di questi possiede i temibili missili Fajr o Zilzal di fabbricazione iraniana. Non bisogna comunque temere - ha detto - una nuova guerra civile perché la questione dell'integrazione dell'ala armata del Partito di Dio nell'esercito dovrà esser risolta con una discussione interna".
    Quindi un commento sull'imminente presentazione del rapporto preliminare della commissione d'inchiesta sull'omicidio Hariri. Il testo dovrà esser presentato dal capo degli inquirenti, il giudice belga Serge Brammertz, lunedì prossimo: "Spero che il rapporto possa rappresentare un passo in avanti per la costituzione del tribunale internazionale. Sarà questo l'unico modo per far saltare il regime di sicurezza siro-libanese ancora in vigore nel paese a causa della permanenza di Lahoud sulla poltrona di presidente". Jumblat non ha dubbi nell'accusare Lahoud e il regime siriano di essere mandanti dell'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri il 14 febbraio 2005: "La Siria è governata da un regime di assassini. Con loro non c'è dialogo o compromesso". Infine una battuta sul fatto che cittadini israeliani drusi abbiano combattuto nel luglio e agosto scorso, ancora una volta, contro il Libano: "Sono come gli harki dell'Algeria, sono dei collaborazionisti del nemico".

(Aki-Adnkronos International, 21 settembre 2006)





2. LA RISPOSTA VA CERCATA IN TERMINI RELIGIOSI




Intervista a Fiamma Nirenstein

di Angelo M. D'Addesio

D: Innanzitutto iniziamo con una domanda abbastanza netta: giusto, possibile, realistico disarmare Hezbollah, oppure il fatto che la risoluzione 1701 non faccia riferimento a ciò è significativo dell'impossibilità di farlo al momento?

E' giusto, giustissimo disarmare Hezbollah, che è la longa manus, di un progetto di Jihad  mondiale, guidato dall'Iran. E' un'organizzazione terrorista che ha ucciso centinaia se non migliaia di persone, usando il terrorismo suicida. E' l'inventore del terrorismo suicida. Il suo programma è nella concezione che l'Islam domini il mondo  e che Israele debba essere distrutto. La sua ragione sociale è proprio in primo luogo nella distruzione di Israele ed in secondo luogo nella distruzione di tutto l'Occidente. Anzi si può dire che Israele, nella logica Hezbollah, è considerato come l'avamposto di quell'Occidente che deve essere dominato dall'Islam e questa è la sua visione praticata, reiterata, armata, condotta con armi potenti ed ultramoderne che hanno misurato adesso, con questa guerra, provocata da un attacco Hezbollah e, nonostante Israele fosse uscito dal Libano nel 2000 e non si sarebbe mai sognato di attaccare il Libano e non ci fosse più nulla da contendere, secondo quanto stabilito anche nella risoluzione 1559. E si può vedere come Hezbollah in Libano abbia trasformato, in questi anni, il confine meridionale fra Libano ed Israele, in un confine fra Iran ed Israele, avendo l'Iran questo progetto di conquista islamista… E' molto grave che questa forza rimanga armata come di fatto è rimasta, perché Israele è stato fermato con il cessate il fuoco e con la decisione di mandare una forza armata che avrebbe disarmato Hezbollah. Al momento, qui vengo alla seconda parte della domanda, non sarà possibile disarmare Hezbollah, perché le forze inviate, che costituiscono l'Unifil-2 non hanno intenzione di farlo.

D: Per gli Usa ed Israele Hezbollah è già nella lista delle organizzazioni terroristiche; l'UE e l'ONU non sono ancora arrivati a questo passo e considerano Hezbollah come un interlocutore politico, chiedendo solo il disarmo dell'ala armata. Negli Stati arabi è considerato un partito ed una formazione politica. Cos'è realmente Hezbollah?

Hezbollah non può essere considerato un interlocutore politico, perché non desidera esserlo. Per capire cosa veramente vuole fare Hezbollah, bisognerebbe ascoltare ciò che dice e vedere ciò che fa. Il fatto che Hezbollah abbia voluto far parte del governo libanese, con l'obiettivo di creare una stagione migliore per il Libano dopo la cacciata delle armate siriane (ma io ho molti dubbi in proposito su tali obiettivi) che hanno occupato il Libano è un'illusione. Quando una forza non democratica si presenta alle elezioni, non vuol dire che diventa democratica, ma che vuole conquistare maggiore consenso popolare, attraverso le elezioni. Questa è la storia. C'è chi intende servirsi delle elezioni per fare consenso, come Hezbollah, come anche Hamas, e non per questo diventa una forza democratica. Questa è un'illusione terribile e pericolosa che non esiste. Hamas ha dimostrato sin dalle origini di diventare l'ostacolo più grande fra Israele, la Palestina e la pace. Hezbollah è stata la dimostrazione virulenta di come i rapporti con Israele si potessero incrinare e di come il cammino intrapreso dal governo libanese come la cacciata dell'esercito siriano dopo che Israele se ne era già andato da 5 anni, mentre la cacciata era avvenuta nel 2005. Chi ha impedito che questo processo democratico diventasse consistente e che Cristiani, Musulmani, Drusi, potessero finalmente trovare una strada verso la democrazia, se non Hezbollah?
    Ebbene dalla cacciata dei siriani, Hezbollah ha continuato ad essere la longa manus dei Siriani attraverso il passaggio di denaro ed armi ed in cambio di questo ha ottenuto che Hezbollah fosse il guardiano del potere uscito dalla porta e rientrato dalla finestra. Tutto ciò ha fatto Hezbollah, in primo luogo. In secondo luogo hanno causato, attaccando essi Israele, una guerra che ha provocato tantissimo danno ai libanesi ed adesso non hanno alcuna voglia di abbandonarla, nonostante gli accordi internazionali, la loro ragione di vita, ovvero il programma integralista islamico sciita che fa un punto di riferimento essenziale in tutto lo schieramento islamista estremo. Gli Hezbollah hanno fatto questo dal 1982, quando iniziarono gli attacchi terroristici in Libano che fecero centinaia di morti fra americani e francesi e poi via, via, in questi anni, con i continui bombardamenti a Nord di Israele, di cui si è detto sempre poco, con il proseguimento della belligeranza in quelle zone, creando una vera e propria città sotterranea con tutti i villaggi al confine fra Israele e Libano, scagliando 13.000 missili, perlopiù iraniani. Cos'è tutto questo? Forse configura una forza politica? O i discorsi di Nasrallah davanti a uomini armati fino ai denti che non hanno mai conosciuto la parola pace e giurano morte e vendetta, configura una possibilità di dialogo? Non bisogna sognare ciò che non c'è. I personaggi come Nasrallah, le prediche che fuoriescono dalla bocca degli Hezbollah, la cultura dell'odio, i vertici con altre simili organizzazioni, il rapporto continuo con l'Iran e la Siria di Bashar-al Assad, non hanno nulla a che vedere con una forza democratica e con il sogno europeo di crearne una.

D: Nel conflitto israelo-libanese, oltre alla questione dei prigionieri libanesi, ai vecchi conflitti legati ai territori al confine, c'è un'altra questione venuta fuori in questo periodo e riguarda la striscia territoriale di Sheba. Quali gli sviluppi in questa area?

Mi dispiace contraddirla, ma l'ONU ha misurato centimentro per centimetro il confine fra Israele e Libano, dal 2000, e non ha mai ritenuto cruciale questo cocuzzolo, non una striscia, ma una collinetta inaridita, senza alcuna costruzione, alta circa 300 metri, deserta, con la distesa di territori tutt'intorno, ma per il resto vuota. Il pregio di quella collinetta è di essere un punto esplorativo da cui si scorge il Libano, la Siria, le pianure israeliane, importante, ma non così strategico come può esserlo la striscia di Gaza o West Bank.
    Inoltre questa collinetta è rivendicata non solo da Hezbollah, ma anche dalla Siria ed il governo libanese non ne aveva mai accennato, almeno fino all'inizio della guerra e fino a quando Hezbollah non ha imposto al governo libanese un comportamento molto forte e prepotente. Quindi tale questione non può essere considerata un problema politico o militare, semmai un problema logistico, creato da un pezzettino di terra che i Siriani potranno rivendicare solo nel momento in cui la Siria pervenisse ad un colloquio con Israele.

D: Lei ha parlato prima di Israele "costretto" al ritiro. Cos'è che ha costretto Israele a questa scelta? Il lavoro diplomatico internazionale, o la paura che la situazione precipitasse, dopo le condanne internazionali per la morte dei civili libanesi e per la difficoltà di avanzare oltre sul territorio libanese?

Il motivo per cui Israele ha smesso di attaccare è stato soltanto il "cessate il fuoco". Ricordo che prima di questa tregua si erano presentati dei punti interrogativi molto giusti e sensati, non solo per Israele, ma per tutto il mondo. Domande legate alla questione della cosiddetta "guerra asimmetrica". Ovvero a fronte di un esercito regolare riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra, può esserci solo un altro esercito, mentre la popolazione civile va messa in salvo. Israele invece si è trovata a combattere contro un'organizzazione sì armata, ma non un esercito, senza i comportamenti dello stesso. Una banda armata che invece di rispettare le norme internazionali sui civili, ha utilizzato per coprire armi, uomini, munizioni, i villaggi del Sud del Libano. Non solo. Invece di considerare la perdita dei civili come un tragico effetto collaterale, l'ha scelto come obiettivo della guerra, sparando bordate di circa 4000 razzi Katiusha, Al Fajr, Zelzal, Qassam solo su città israeliane. Israele si è trovata in difficoltà. Per poter distruggere l'esercito Hezbollah avrebbe dovuto distruggere la barriera di vite umane da loro usata invece non lo ha potuto fare e nessun esercito potrebbe farlo, date le regole d'ingaggio che vanno seguite da un esercito regolare, a maggior ragione, dall'alto codice etico, come quello israeliano.
    Quindi si diceva di Israele. Israele non ha perso, perché ha distrutto almeno la metà degli armamenti di Hezbollah, probabilmente i 2/3 delle forze attive più pericolose, più legate ai vertici. I capi di questo esercito non sono ancora usciti dai bunker e questo è un altro segno positivo. Tuttavia Israele non ha compiuto un azione di annientamento come successe ad esempio nel 1967, con l'aviazione egiziana che era considerata un grande rischio per Israele, perché altrimenti avrebbe dovuto fare una strage gigantesca di civili e questo è il vero problema mondiale, perché il terrorismo, ovunque, si nasconde dietro ai civili ed ha per obiettivo i civili. 

D: In questi giorni 2 israeliani su 3 chiedono le dimissioni di Olmert, contestano la politica del ministro Livni e di Peretz. Israele si sta realmente avviando ad una crisi politica e quali possono essere a questo punto gli scenari futuri?

Sì il governo israeliano è nei guai ed anche profondi, perché ha condotto la guerra senza rendersi conto di tutti i problemi che ho prima elencato, ha usato l'aviazione invece delle forza di terra per un lungo periodo e non riuscendo a scalzare le forze di Hezbollah. Ha mostrato soprattutto un'impreparazione logistica, nel gestire il comando della situazione e quindi vive un momento in un certo senso "normale" per un paese democratico, "agitato" come Israele, dove tutti sono sempre l'uno contro l'altro, perché ci sono tanti credi politici, tanti credi religiosi e c'è anche un buon 15% della popolazione che è laico e che si divide in più partiti. Insomma arrivano diverse critiche da destra e da sinistra e si scagliano contro questo governo che era sicuramente impreparato a gestire questa situazione militare che gli è cascata addosso, subito dopo aver iniziato a governare.

D: A questo punto cosa accadrà al governo Olmert. Ci sarà un governo di unità nazionale con le dimissioni di quest'ultimo?

In questo periodo c'è stato anche il problema degli scandali a sfondo sessuale. Israele ha molto mostrato le vicende e le avventure (cosa che in Italia accade molto difficilmente) del Presidente della Repubblica, sotto inchiesta, perché accusato di aver molestato delle signore che lavoravano nel suo ufficio, le dimissioni del ministro della Giustizia Haim Ramon, molto quotato, giovane ed intelligente, accusato da una soldatessa di averla costretta a baciarlo e che si è subito dimesso dopo questa storia, affermando di poter provare che non era vero…
    Queste vicende si accompagnano a tutto il resto ed hanno causato un disgusto che si è ripercosso sulla politica militare di Israele. Non c'è dubbio che ora come ora Israele è nei guai e quindi ci saranno influenze sul governo, sulla piramide del sistema politico e probabilmente cambierà il Presidente della Repubblica e forse dopo le inchieste molto accurate e precise sul modo in cui è stata condotta la guerra, potrebbe cambiare anche il governo. La vedo però una cosa molto difficile perché non c'è una forza di ricambio e l'assenza di Sharon si è fatta molto sentire.
    Voglio però aggiungere una cosa. Quanto detto è vero, ma c'è un elemento, che io, che ho seguito la guerra sul fronte, ho valutato come un fatto molto positivo: Israele ha una generazione di giovani molto forte. Ragazzi di 18-20 anni che sentono su loro stessi il peso della responsabilità della propria terra, della propria famiglia, del proprio paese, che vanno a combattere queste guerre che bisogna purtroppo combattere. C'è un senso di devozione verso il proprio paese, per la sopravvivenza del popolo, un senso della collettività ed un altruismo che ha fatto sì che ci siano stati enormi atti di eroismo, giovani che sono tornati più volte sotto il fuoco per portare in salvo i propri compagni o numerosi civili. Insomma c'è una generazione che merita di essere entusiasta e di essere parte di un paese che sta lottando contro il terrorismo.

D: Lei ha accennato a Sharon. Israele è in difficoltà, forse perché sente ancora il peso della mancanza di Sharon, è orfana in un certo senso del suo vero capo?

Lo stato di Sharon sta peggiorando di giorno in giorno. Ci sono stati giorni in cui si pensava che potesse morire, ma a quanto pare la sua fibra è molto forte e continua a vivere anche se praticamente è in uno stato vegetativo. Sharon sicuramente era una figura al tempo stesso paterna ed impositiva e che dava l'impressione di poter difendere il paese, anche perché lo ha difeso in tanti e tanti anni di guerra. Sharon fu l'uomo che salvò Israele sul fronte egiziano nel '73, quando Israele fu aggredito su due fronti, dall'Egitto e dalla Siria nella guerra del Kippur e si inventò una manovra molto speciale; Sharon era sempre sul campo di battaglia ed ha tutelato tante e tante crisi, compresa quella in cui, da ministro della difesa, fu accusato della strage di Sabra e Shatila compiuta dai Cristiani Maroniti contro i palestinesi; in Libano nel 1982, è stato accusato di aver condotto la guerra in maniera molto avventata ed oltre i limiti che gli erano stati prefissati da Begin.
    E' stato un uomo molto discusso e controverso che è arrivato alla conclusione di doversi giocare il tutto per tutto per la pace, forse proprio perché aveva combattuto molte guerre. Ha provato ad uscire da Gaza, portandosi dietro numerose critiche ed ha di nuovo reagito, fondando il partito Kadima, lasciando quanti lo avevano attaccato nel vecchio partito Likud, come Netaniahu. E' un uomo sicuramente straordinario, uno dei grandi padri della patria, come potrebbe essere Simon Peres ed infatti non a caso, negli ultimi tempi si sono trovati d'accordo. Tuttavia, Israele deve imparare a fare a meno di questa generazione di ottantenni che sono degli eroi che hanno combattuto per la fondazione dello Stato, dal 1948 ed in tutte le guerra in cui Israele è stato sempre aggredito dai paesi arabi, che lo hanno sempre rifiutato e che non hanno mai finito di mostrare questa avversione. Questa è la cosa più tragica. Sharon se ne è andato prima di poter vedere un minimo di accettazione, perché anche la decisione di lasciare la Striscia di Gaza, con lo scontro feroce con gli abitanti che sono stati sbattuti e trascinati via dalle loro case, dal loro lavoro per consentire un'operazione politica di pace non ha dato frutti. Sono proseguiti gli attentati, gli spari di razzi Katyusha. Si pensava che i palestinesi volessero accettare questa mano tesa, ma i palestinesi hanno scelto Hamas ed eleggendo Hamas hanno dato una svolta alla loro politica che è contraria ad ogni soluzione di pace. 

D: Ecco, si parlava di Hamas. In questi giorni si parlava della volontà di Hamas di voler costituire un governo di unità di intenti con Fatah e con il presidente Abu Mazen. Eppure si continua a combattere e la situazione anche sul  fronte palestinese non sembra sbloccarsi. Perché tutto ciò? L'obiettivo è unicamente distruggere Israele?

Hamas è la faccia sunnita in termini assoluti di ciò che Hezbollah è in chiave sciita. E' una buona domanda, vista da un occidentale, ma vista in termini religiosi non lo è. Bisogna guardare alla carta di costituzione di questa organizzazione che è un manifesto anti-occidentale ed anti-semita, pervasa di un anti-semitismo paragonabile a quello nazista, in cui si dice "Albero, pietra, se vedi un ebreo (non un israeliano, si badi, ma un ebreo), che è dietro di te, avverti il primo buon musulmano che vedi, così lui verrà e lo ucciderà". Addirittura una pietra deve avvertire della presenza di un ebreo…
    Questo tipo di mondo, di tipo messianico come quello di Hamas, ma anche quello di Ahmadinejad, di Hezbollah non sogna altro che il dominio dell'Occidente da parte dell'Islam trionfante, lo vedono come la giusta strada verso la redenzione del mondo. Bisogna cercarla in termini religiosi la risposta, non in termini politici. Perché politicamente è chiaro che i palestinesi avrebbero già ottenuto tutto, se avessero voluto…
    Ehud Barak a Camp David offrì ad Arafat qualsiasi cosa, compreso Gerusalemme, salvo la città vecchia. Forse quella è stata la svolta più disfattista nella storia dei rapporti fra Israele e la Palestina, più di quella attuale con Hamas. Arafat ricevette un'offerta di quelle che non si possono rifiutare, se avesse voluto realmente uno stato palestinese. Avrebbe potuto dire sì, magari aumentare gradualmente le richieste ma questo avrebbe significato tradire quell'impostazione, prima tradizionale, dall'inizio dei tempi e poi religiosa, che i palestinesi hanno sempre avuto, nonostante siano dotati di una base laica molto forte, essi comunque hanno sempre avuto una posizione escatologica molto accentuata.

D: In ultimo Le chiedo quale potrà essere il ruolo di queste forze di interposizione nel garantire un periodo di stabilità? Che prospettive di pace ci sono con l'arrivo della Forza UNIFIL-2 in Libano?

Ad oggi nessuna. Perché l'UNIFIL nasce collateralmente al "cessate il fuoco", come una promessa ad Israele impostata proprio sul cessate il fuoco, perché Israele, se non fosse stato fermato avrebbe conquistato molte più posizioni rispetto ad Hezbollah e si sarebbe trovato in una condizione migliore e con lo scenario di una forza che avrebbe disarmato Hezbollah e questo cessate il fuoco avrebbe ripagato Israele sul campo, in vista di una prospettiva di pace.
    Israele spera veramente che questa decisione possa realmente portare alla pace, e me lo ha riferito personalmente il ministro degli Esteri Livni, in un colloquio per La Stampa. E' vero?
    No. Perché qui c'è invece una prospettiva sia morale che pratica che non è contemplata nei progetti di questa nuova forza è che è combattere il terrorismo.
    Non si può venire qui ad aiutare l'esercito libanese contro niente. Lo si viene ad aiutare contro il terrorismo. Il terrorismo rapisce, trasporta armi lungo il confine fra Siria e Libano che Fouad Siniora (primo ministro libanese) ha detto di non voler sorvegliare, l'UNIFIL ha detto che non lo sorveglierà e quindi le armi torneranno ed in quantità maggiore ed ancora più sofisticate, agli ordini dell'Iran che si sta riarmando nuclearmente e che continua

prosegue ->
a minacciare Israele. Quindi l'asse terrorista è molto attivo e come ha utilizzato Hezbollah una volta, continuerà a farlo ed a sua volta Hezbollah è convinta di essere l'avanguardia, proprio perché al confine con Israele, della guerra contro l'Occidente e perché mai dovrebbe smettere? Fino a quando non verranno disarmati e spostati nulla potrà accadere, ma è impossibile spostare e smantellare interi villaggi. Può l'UNIFIL fare ciò? Si è già detto che l'esercito regolare libanese sciita vuole addirittura incamerare gli Hezbollah. Può l'UNIFIL bloccare i camion pieni di armi che passano dai confini con l'Iran…?

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Fiamma Nirenstein è nata a Firenze dove si è laureata in Storia Moderna. Insegna storia del Medio Oriente all'Università Luiss di Roma.
Editorialista, inviata e scrittrice, lavora prevalentemente da Gerusalemme per la Stampa di Torino. Ha una colonna di politica internazionale su Panorama e su Liberal. E' vincitrice di dodici premi giornalistici di primo piano, fra cui il premio di Fregene, il Capalbio, l'Ilaria Alpi, il premio Informazione Corretta. Ha intervistato oltre a quasi tutti i leader mediorientali, da Arafat a Sharon, moltissimi personaggi di statura mondiale, da Deng Tziao Ping a Rajiv Ghandi, e oggi molti protagonisti dell'attuali crisi mondiali Achmad Chalabi, Rezha Pahlavi junior, il principe Hassan di Giordania, una quantità di capi di organizzazioni terroriste.  E' stata fra le prime ed affrontare in profondità i temi del terrorismo, dell'integralismo islamico, della guerra al terrore.
Fiamma Nirenstein, ha scritto oltre a un gran numero di saggi pubblicati su riviste specializzate, otto libri: "Il razzista democratico", Mondatori; "Israele una pace in guerra", il Mulino; "Come le cinque dita di una mano, una famiglia ebraica di Firenze a Gerusalemme", Rizzoli; "L'abbandono", Rizzoli; "Islam, la guerra e la speranza", Rizzoli; "Gli antisemiti progressisti", Rizzoli ed in ultimo "La sabbia di Gaza, cronaca di uno sgombero forzato", Rubbettino.

(Il Legno Storto, 21 settembre 2006)





3. GENITORI DI SOLDATI ISRAELIANI RIVEDONO I LORO FIGLI




Il più bel dono di Rosh HaShana

da un articolo di Yuli Khromachenko (HaAretz, 15 settembre) e dal sito web dell'Agenzia Ebraica

Andre Kressik, con le mostrine da paracadutista che decorano la camicia e il fucile che ballonzola sulla schiena, passeggia con lo sgardo perso nell'atrio del City Hotel di Tel Aviv. Da un momento all'altro sua madre Olga, che non vede da un anno, dovrebbe emergere da un autobus dell'Agenzia Ebraica. Negli ultimi due mesi Andre ha combattutto in Libano con la sua unità di paracadutisti ed è stato ferito in battaglia. Ora sta aspettando sua madre, che ha seguito la guerra da lontano, da una piccola città degli Urali in Russia. Quando viene interrogato sulle sue ferite risponde modestamente: "Non sono così gravi. Ho respirato molto fumo e le mie mani sono state colpite da parecchie schegge, ma adesso sto bene". Per non far preoccupare sua madre, preferisce omettere i dettagli.
    Quando l'autobus si ferma e le porte si aprono, lei corre verso di lui e lo ricopre di baci e abbracci. "Ciò che conta è che lui sia qui", dice rispondendo ai giornalisti che la tempestano di domande su ciò che pensa riguardo ai problemi emersi durante la guerra in Libano, "il resto non è importante".
    Ieri ventun soldati, inclusa una donna, tutti immigrati dall'ex-Unione Sovietica, hanno incontrato i genitori che non vedevano da molto tempo grazie all'Agenzia Ebraica e al sostegno finanziario dell'Associazione Internazionale di Cristiani ed Ebrei, presieduta dal rabbino Yechiel Eckstein, e della comunità ebraica mondiale. Questi sono solo alcuni dei "soldati solitari" che anni fa sono immigrati in Israele grazie a vari programmi dell'Agenzia Ebraica per la giovane aliyah (Na'ale) e che ora prestano servizio in unità da combattimento delle Forze di Difesa Israeliane (FDI). La maggior parte di loro ha trascorso gli ultimi due mesi in Libano. In un ebraico fluente e quasi del tutto privo di sfumature russe, parlano dei loro progetti futuri, che includono l'iscrizione all'università e la ricerca di un lavoro.
    I loro genitori sono stati portati in Israele per una settimana dall'Agenzia Ebraica per incontrare i figli e per valutare la possibilità di fare loro stessi l'aliyah. Alcuni soldati potranno trascorrere solo un breve fine settimana con i genitori perché devono tornare alle rispettive unità dell'esercito di stanza nel nord del Paese.
    Ogni anno, più di 1.000 "soldati solitari" arrivano in Israele sotto l'egida dei programmi di accoglienza per giovani dell'Agenzia Ebraica. Dopo che hanno completato la scuola superiore, vengono arruolati nelle FDI, per servire - nella maggior parte dei casi - in unità da combattimento.
    Attualmente, circa 2.400 "soldati solitari" prestano servizio nelle FDI e più della metà proviene da Paesi dell'ex-Unione Sovietica. Durante quest'ultimo conflitto libanese, sono rimasti uccisi cinque soldati solitari immigrati da Stati Uniti, Australia, Francia, ex-Unione Sovietica ed Etiopia; altri dieci sono stati feriti.
    "La guerra à stata molto difficile per me", dice Olga Kressik. "La televisione mostrava sempre quello che accadeva in Libano e io volevo sapere che cosa stava succedendo a mio figlio". Il loro principale mezzo di comunicazione erano gli SMS che Andre mandava a sua madre. Il fratello e la sorella di Andre sono anche loro in Israele, e la sorella ha iniziato da poco il servizio militare. "Andre mi manca ogni giorno", dice Olga. "Lascio qui metà del mio cuore".
    Elizabetha Borigin guarda commossa suo figlio, Alexander Borigin, che non vedeva da più di due anni. Alexander presta servizio nel corpo corazzato e durante la guerra è stato ferito leggermente ad una mano. Lei è di San Pietroburgo e le storie della guerra in Israele le hanno fatto tornare alla mente la sua infanzia durante la seconda guerra mondiale. Ha scoperto che il figlio aveva combattuto in Libano solo dopo che la guerra era finita. "Durante la guerra le ho detto che stavo prestando servizio nel sud del Paese", racconta Alexander. Ammette che non è facile essere un soldato solitario. "Nei due anni e mezzo da che sono in Israele non ho avuto il tempo di farmi dei veri amici", dice. "Talvolta torno a casa e mi sento solo. Gli altri chiamano la famiglia o una ragazza. Io non ho nessuno a cui telefonare".
    Daria Stahl, 21 anni quasi compiuti, è l'unica donna soldato combattente del gruppo. È immigrata da Kishinev, in Moldavia, attraverso il programma Sela dell'Agenzia Ebraica e presta servizio, insieme ad altri ragazzi e ragazze, nel battaglione Karkal (fanteria leggera). A farle visita à venuta la nonna, Irina Spitzin. Irina pensa che il sirvizio militare della nipote in un'unità da combattimento sia normale e aggiunge: "Ha scelto la sua strada e io ho piena fiducia in lei. Non appena sono atterrata, Daria mi ha chiesto se sentivo degli spari o se qui vedevo una guerra. È molto ottimista e il suo ottimismo è molto contagioso".

(Keren Hayesod, 20 settembre 2006)





4. OLOCAUSTO, SI RITROVANO DOPO 65 ANNI




Due fratelli si credevano morti

Per ben 65 anni due fratelli si sono creduti morti in Europa, durante l'Olocausto. Ma poi, quasi per caso, si sono ritrovati in occasione della cerimonia organizzata dall'autorità israeliana per il memoriale dell'Olocausto. E' successo a Hilda Shilck, una donna ebrea di 75 anni, e a suo fratello Simon Glasberg, di 80. Quando si sono ritrovati Hilda è caduta piangendo tra le braccia del fratello.
    L'incontro tra i due, giurano i presenti, è stato molto emozionante. "Ho pianto, tutti hanno pianto. Non riesco proprio a spiegare la sensazione che ho provato, dopo 65 anni...". ha raccontato Hilda. La storia della loro separazione inizia nel 1941 nella città rumena di Chernowitz, quando i nazisti entrarono e occuparono il paese. Hilda, che aveva 10 anni, scappò con la sorella maggiore Bertha in Uzbekistan, rifugio per i molti ebrei che fuggivano dalle persecuzioni naziste.
    I genitori di Hilda, insieme a quattro fratelli e un'altra sorella, restarono indietro. Durante la guerra Hilda e Bertha si trasferirono in Estonia, poi, nel 1970, Bertha morì e 28 anni dopo Hilda decise di seguire la famiglia di suo figlio in Israele. Passarono molti anni senza che la donna ricevesse notizie della sua famiglia. Alla fine si convinse che i suoi erano tutti morti. Fino a quando, qualche mese fa, uno dei suoi nipoti, David, decise di indagare per trovare qualche informazione in più sulla famiglia della nonna. Pensò bene di scrivere il nome da nubile della nonna nel grande archivio del Yad Vashem, il più grande memoriale dell'olocausto e che raccoglie più di tre milioni di nomi di ebrei uccisi nell'Olocausto e di dettagli scritti dai parenti delle vittime.
    Fu allora che saltò fuori il messaggio di una certa Karol alla sorella morta. Il nome, Hilda, e molti particolari coincidevano con la storia della nonna di David. Ho cercato Karol ovunque" ha detto David, "alla fine ho rintracciato il figlio, un dottore che abitava in Florida". E' stato proprio lui a svelare che, contrariamente a quello di cui Hilda era convinta, la famiglia Glasberg era sopravvissuta alla guerra e si era spostata in Canada. Anche loro, pero', pensavano che Hilda e Bertha fossero morte in Europa, in qualche campo di sterminio. I genitori di Hilda morirono nel 1980 a Montreal, i fratelli Karol e Eddie rispettivamente nel 1999 e nel 2004; una terza sorella scomparse durante la guerra. Ma due fratelli, Simon e Mark, sono ancora vivi. "Abbiamo preparato Hilda a ricevere la notizia" ha detto Benny, il fratello di David. "Avevamo paura che la verità l'avrebbe sconvolta. Così, per una settimana intera non abbiamo fatto che ripeterle "Sai che sono molti gli ebrei che hanno ritrovato le loro famiglie anche a distanza di moltissimi anni?'. Ma la nonna rispondeva che non voleva rivivere il passato, che non esisteva alcuna possibilità che i suoi fossero ancora vivi" ha raccontato. Alla fine la verità è arrivata. Hilda ha parlato per telefono con Simon due volte prima di incontrarlo, venerdì scorso, all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
    "Mia madre non capisce ancora bene quello che è successo. Non realizza a pieno" ha detto Zali, la figlia di Hilda. La anziana donna alla cerimonia sembrava sopraffatta dalla meraviglia, dal ricordo e dal dolore misto alla gioia inspiegabile dell'incontro. Mentre Simon raccontava le vicende della famiglia in un inglese sciolto, senza smettere di abbracciare la sorella, lei parlava piano, in un russo un po' incerto. Ma tra di loro, i due fratelli, hanno istintivamente usato l'ebraico. "Il mio sogno, adesso, è di andare a trovare Mark, l'altro nostro fratello, che vive in Canada ed è molto malato" ha detto Hilda. "Poi andrò sulla tomba dei miei genitori".

(TGCom, 20 settembre 2006)





5. NASCOSTA PER 61 ANNI E COL MARITO EBREO




Elfriede Rinkel aveva lavorato nel campo di concentramento di Ravensbruck.
Dal 1959 viveva in America insieme al consorte, morto senza sapere nulla pochi mesi fa.

Elfriede Rinkel
SAN FRANCISCO - Elfriede Lina Rinkel, 84 anni, è sempre stata una cittadina modello di San Francisco. Di origine tedesca e sposata con un ebreo, era molto attiva nella comunità ebraica locale e si era fatta ben volere da tutti. Ma Elfriede nascondeva un segreto, una terribile verità che non aveva mai avuto il coraggio di confessare nemmeno al marito Fred, morto pochi mesi fa: da giovane era una SS nazista e aveva lavorato nel campo di concentramento femminile di Ravensbruck, teatro di orrori indicibili. Ora però tutto è tornato a galla e dovrà tornare in Germania a fare i conti con il suo passato.
    Oggi la Rinkel è un'anziana signora che ci vede poco da un occhio a causa del diabete e ha bisogno di un bastone per camminare. A 22 anni, però, era ben diversa e, in compagnia di un cane feroce, aveva il compito di sorvegliare le detenute. Durante la sua permanenza a Ravensbruck, dal giugno 1944 alla primavera 1945, 10 mila persone persero la vita tra le mura del lager. Alcune uccise da esperimenti medici crudeli. Altre morte di fame o di stenti. Molte finite nelle camere a gas.
    Dopo la fine della guerra, Elfriede ha conosciuto il suo Fred, un ebreo con il quale nel 1959 è emigrata negli Stati Uniti. Nel compilare i documenti per l'ingresso negli Usa, la donna ha evitato accuratamente qualsiasi accenno al suo passato. E in tutti gli anni successivi non ha mai abbassato la guardia e rivelato la sua storia all'uomo della sua vita. Quando il marito ha prenotato una tomba nel cimitero ebraico di San Francisco, il Sinai Memorial Chapel, ha persino chiesto di essere sepolta accanto a lui, in un loculo a due posti sormontato da una grande stella di David.
    Fred è morto pochi mesi fa, senza sapere nulla della vera identità della moglie. Il ministero della Giustizia americano, invece, a più di sessant'anni di distanza ha scoperto tutto. Durante un confronto tra i nomi dei dipendenti del campo di concentramento di Ravensbruck e gli elenchi degli immigrati, è stata trovata una certa Elfriede Huth, il nome da ragazza dell'ormai anziana signora. Pochi giorni dopo il funerale del marito, due funzionari hanno bussato alla porta del modesto appartamento della donna, in una delle aree più povere di San Francisco, per metterla davanti al suo passato.
    Elfriede è stata espulsa dagli Stati Uniti e condannata a tornare in Germania per aver mentito nella richiesta di immigrazione. La donna ha ammesso di aver lavorato al campo di concentramento ma ha negato di essere stata una SS. "Non sono mai stata iscritta al partito nazista - ha detto - e non ho mai fatto del male ai prigionieri: col mio cane facevo il giro del perimetro esterno per impedire che qualcuno scappasse". "Non aveva mai detto niente al marito perché riteneva troppo imbarazzante la rivelazione - ha spiegato il suo avvocato, Alison Dixon -. Aveva cercato di riscattare il suo passato sposando un ebreo e aiutando la comunità ebraica".
    Le autorità statunitensi non si sono però impietosite. Elfriede ha avuto a disposizione alcuni giorni per chiudere la sua vita negli Usa prima di tornare nel Paese natale. Il suo ultimo atto, prima di lasciare per sempre San Francisco, è stato vendere il loculo che l'aspettava nel cimitero ebraico, accanto al marito. "La sua presenza in America è un affronto per tutte le vittime dell'Olocausto", ha affermato un funzionario del ministero della Giustizia.

(Repubblica, 20 settembre 2006)





6. CASO DI COSCIENZA DI UN ALLENATORE EBREO-AMERICANO




David Blatt, tecnico ebreo-americano della Benetton, deve scegliere: il 1° ottobre, festa dello Yom Kippur, dovrebbe guidare la squadra in Supercoppa

Panchina o sinagoga, il dilemma del coach

di Luigi Maffei

Un serio caso di coscienza attanaglia David Blatt, il coach ebreo-americano della Benetton Basket. Domenica 1 ottobre la sua squadra sarà impegnata al Palaverde di Villorba nella Supercoppa, il primo trofeo ufficiale della stagione fra i campioni d'Italia ed i detentori della Coppa Italia, l'Eldo Napoli. Il fatto è che nello stesso giorno gli ebrei di tutto il mondo festeggiano lo Yom Kippur, la ricorrenza più santa e solenne dell'anno, oltre 24 ore dedicate al digiuno ed alla penitenza, una data in cui si riconoscono non solo gli ortodossi più ligi ai dettami religiosi ma anche i laici sensibili ad un evento entrato ormai nella tradizione da sempre al punto che un tempo, gli ebrei più lontani venivano detti "ebrei del Kippur" perché si avvicinavano all'ebraismo solo in questo giorno.
    Spinto da forti legami d'appartenenza ma catapultato per la prima volta in questa situazione di calendario in una carriera quasi interamente sviluppatasi a Tel Aviv e dintorni (primo contratto all'estero due stagioni fa a San Pietroburgo che l'anno scorso lasciò lusingato dall'offerta di Treviso), Blatt vorrebbe santificare la giornata rinunciando a guidare i biancoverdi, convinto (a ragione) che in ogni caso sarebbe ottimamente sostituito da Frank Vitucci, il coach veneziano fra l'altro per pura combinazione cresciuto nella zona del Ghetto. Ma si rende conto anche che il club trevigiano non sarebbe certo entusiasta per una nuova, peraltro occasionale e limitatissima, assenza dopo il mese abbondante trascorso a capo della nazionale russa per le qualificazioni europee invece che nella preparazione precampionato della Benetton.
    Vero che sull'impegno russo il club trevigiano aveva dato la scorsa primavera il suo pieno assenso, dichiarandosi anzi onorato della scelta del suo tecnico da parte di una delle federazioni mondiali più prestigiose, ma non va dimenticato che la data della Supercoppa sarebbe stata facilmente cambiata se non più di un mese fa Blatt avesse fatto presente alla Ghirada i propri più che comprensibili doveri confessionali. Ed è proprio su questa colpevole "dimenticanza", probabilmente dovuta alla stressante concatenazione di impegni, non ultimi i numerosi contatti quotidiani col gm Fadini per la costruzione di una squadra quasi completamente da rifare, che il 47enne coach ebreo-americano si macera quasi vituperandosi con l'onestà intellettuale che lo contraddistingue e che anche a Villa Minelli hanno apprezzato sin dal primo giorno nella Marca.
    Decisione non semplice per il buon David, per fortuna aiutato finalmente da vicino dall'amatissima Kineret, la moglie laureata in medicina, ex giocatrice di basket conosciuta su un campo di gioco, che l'ha raggiunto da pochi giorni a Treviso assieme ai quattro figli, due gemelle quindicenni, Shani e Ahdi, iscritte al Liceo Internazionale di Padova, Tamir (7 anni) e Elak (6) allievi di una scuola per stranieri ad Olmi, vicino al casello austradale di Treviso Sud. Una famiglia molto unita e solidale che non ha avuto dubbi ad accettare, anzi a condividere totalmente, la non facile scelta professionale del papà che a giugno rifiutò un'offerta economica molto consistente del Maccabi, il club cestistico che per gli sportivi israeliani conta ben più della stessa nazionale, per onorare con immutato entusiasmo il contratto con Treviso ben conoscendo le più limitate disponibilità finanziarie e quindi ambizioni sportive di una Benetton per giunta alla prese con l'ennesimo rinnovamento.
    Impossibile prevedere come se la caverà Blatt in questo scontro fra professione di fede e professione di ruolo. Probabilmente alla fine deciderà di andare a malincuore in panchina, calamitandosi ulteriore considerazione degli sportivi non solo trevigiani ma anche le critiche feroci dei connazionali e quindi azzerando una fetta di fama ed affetto da parte di una nazione molto sensibile alle questioni di bandiera e di spirito. Scegliesse invece di raccogliersi fra i suoi in preghiera e di osservare alla lettera i dettami di una ricorrenza che non prevede deroghe e dispense, figurarsi generale comprensione (persino le ambulanze spesso vengono prese a sassate dagli ortodossi più devoti), non dovrebbe di certo temere chissà quali ritorsioni dalla dirigenza biancoverde, non solo perchè da sempre più attenta ai risultati finali che alla strada spesso tortuosa e satura di infortuni (non solo fisici) per la quale vengano raggiunti. La stessa conquista dello scudetto ha cancellato immediatamente tutte le perplessità per una stagione ricca di chiaroscuri.
    Del resto secondo recenti statistiche in Italia l'88% della popolazione si dichiara cristiana ma appena la metà si considera "praticante", ammissione forse già di per sè larga. Un dato che non può che, pur con i distinguo del caso, far apprezzare una tanto delicata e complessa decisione religiosa. Specie in un Nordest da sempre terra di "basabanchi".

(Il Gazzettino On Line, 23 settembre 2006)





7. MUSICA E IMMAGINI




Baruhk's Boots




8. INDIRIZZI INTERNET




Jewish.com

Torah Resources




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