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Notizie su Israele 371 - 11 dicembre 2006 |
1. Antisemitismo islamico
2. Negazionismo islamico 3. Una conferenza con il nuovo Hitler? 4. La tenaglia si stringe 5. Conseguenze della guerra del Libano 6. Il rapporto Baker 7. Musica e immagini 8. Indirizzi internet |
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1. ANTISEMITISMO ISLAMICO
Ahmadinejad invita 67 studiosi di 30 nazioni per rispondere ai suoi quesiti
Dopo essere stato opportunamente strombazzato, levento andrà dunque in scena, organizzato dallIstituto per la politica e le relazioni internazionali della capitale e sponsorizzato dal ministero degli Esteri. Parteciperanno 67 studiosi e intellettuali, accademici provenienti da più di 30 nazioni di cui però si preferisce non fornire ulteriori delucidazioni. Secondo il Guardian ci saranno anche alcuni delegati del Regno Unito, ma Mohammadi non ha sciolto il riserbo sui nomi per timore che i passaporti degli invitati possano essere sottratti. Filo conduttore del simposio è linterrogativo posto da Ahmadinejad. Il presidente si è soltanto chiesto se lOlocausto sia avvenuto o no. E se fosse accaduto perché devono essere i palestinesi a pagare per questo?. E per rispondere a questo dilemma che a Teheran si sviscererà la questione rispettando il giudaismo ed evitando la propaganda. Le solite ambiguità e i nomi top secret Da un lato lIran non nega i crimini di Hitler, dallaltro si impegna a fornire senza che nulla appaia come una contraddizione lopportunità di presentare studi pro e contro la teoria del genocidio degli ebrei. E così i revisionisti dogni dove potranno discutere sulla natura dellantisemitismo, esaltare la storia degli ebrei in Iran, analizzare il sionismo, dibattere lesistenza o no delle camere a gas e rivendicare orgogliosamente la libertà di espressione per tutti coloro che negano la verità dellOlocausto. Tutto questo potrà essere fatto in Iran perché lantisemitismo è un fenomeno occidentale e chi meglio di Teheran, mai coinvolta in tali orrori, può giudicare spassionatamente gli eventi? Non solo, il ministero degli Esteri sottolinea che, come ha testimoniato anche il concorso per le vignette sullOlocausto, lIran è un paese libero. In Iran possiamo investigare e studiare le tematiche islamiche e anche confutarle e nessuno ci fermerà, ha detto Mohammadi. Nessuno dei giornalisti stranieri presenti gli ha fatto domande sul filosofo Hashem Aghajari, condannato due volte a morte dal regime per apostasia. (Il Foglio, 7 dicembre 2006) 2. NEGAZIONISMO ISLAMICO A cosa serve negare la Shoah di Fiamma Nirenstein Difficile dire se domani, quando comincerà la conferenza organizzata a Teheran per negare la Shoah, appariranno più oltraggiosi e ridicoli gli «studiosi» che vanno a sostenere la tesi negazionista di Ahmadinejad o quelli che si presteranno a far loro da spalla recitando la seconda parte in commedia. Sessantasette «studiosi» discuteranno la veridicità dellOlocausto - ha detto il viceministro degli Esteri Manouchehr Mohammad al giornale Jomhuriye Eslami -: provengono da 30 Paesi, intellettuali a favore dellesistenza della Shoah e intellettuali contro, un dibattito senza pregiudizi per dimostrarvi la nostra libertà di pensiero. Peccato però che i cortesi ospiti abbiano fatto una loro fiammeggiante bandiera della negazione dellOlocausto e di molte altre ripugnanti prese di posizioni che riguardano gli ebrei e Israele. Peccato anche che la negazione della Shoah non sia unopinione, ma semplicemente una menzogna; e come parlare di libertà di opinione in un Paese che perseguita, tortura, uccide i dissenzienti e che considera nemici da battere tutti quelli che non aderiscono allislam radicale? Ma cerchiamo le ragioni dellinfausto show di domani. Quando Ahmadinejad dice che lOlocausto non è mai esistito, in realtà intende enunciare un programma: «Israele non ha diritto ad esistere». Il presidente iraniano ripete spesso che «Israele è un tronco marcio», che lui lo «spazzerà via dalla Terra». Dice anche che se lEuropa non se ne allontanerà in fretta, se ne pentirà. Che centra la Shoah con il suo piano? Israele se lè inventata, dice lIran, per legittimare la sua esistenza. Poiché la Shoah non esiste, Israele non ha nessun motivo di legittimazione. È un messaggio che non tiene in considerazione che la storia del sionismo è precedente alla Shoah, che le radici del popolo ebraico sono rimaste nei millenni a Gerusalemme; che nella sua barbarie ignora che minacciare la distruzione di una società forte e attiva, dellantico popolo che ha fondato il monoteismo e ha dato i natali a Gesù Cristo, di uno Stato democratico, è un patente crimine contro lumanità. Per il presidente iraniano il nesso fra Shoah, antisemitismo e Israele è un magnifico strumento: mettere alla berlina la più grande tragedia ebraica è di fatto eguale a rallegrarsi della distruzione del popolo ebraico; e se auspicarla di nuovo in Israele, con la bomba atomica, è la dimostrazione di come lantisraelismo coincida con lantisemitismo, è anche meglio. Lantisemitismo è il drappo rosso davanti al toro della guerra islamista che egli ritiene suo compito storico. È la bandiera dietro la quale sono pronti a marciare tutti gli estremisti islamici; e bisogna tenerla alta questa bandiera per mostrare che lislam ha trovato il capo che sognava. Quello che distruggerà Israele. E poi batterà lOccidente. Da quando la settimana scorsa il prossimo ministro della Difesa americana Robert Gates ha dichiarato che gli Usa useranno la forza contro lIran solo come ultima risorsa, Ahmadinejad si è convinto di poter coronare la sua strategia e raggiungere il potere nucleare senza nessun intoppo esterno. Per questo scopo, gli ebrei e Israele sono il suo asso: il grandioso progetto di distruggere un popolo che ha saputo portare la fiaccola della propria cultura per più di tremila anni fra tante persecuzioni, è il suo passepartout verso il Califfato mondiale e la venuta del Mahdi, il 12° profeta. La negazione della Shoah è un tassello indispensabile al suo scopo. La conferenza cade un giorno dopo quello in cui Ahmadinejad ha annunciato che la realizzazione del potere atomico è fuori discussione; nei giorni in cui Ismail Hanje, il primo ministro palestinese di Hamas, ha promesso che non riconoscerà mai Israele. Cade anche nei giorni in cui gli Hezbollah, di nuovo in possesso di un arsenale di missili iraniani recapitati con laiuto siriano, pretendono di dominare il Libano per farne una roccaforte dellintegralismo sciita. Nasrallah, il capo degli Hezbollah, è oggi il garante del potere siriano in Libano; e la Siria è per Ahmadinejad il ponte su cui passano gli uomini e le armi diretti verso tutti gli angoli del suo scacchiere strategico: Gaza, il Libano, lIrak, il Golfo... Grande giuoco: domani 67 «studiosi» che amano giocare col fuoco. (Il Giornale, 10 dicembre 2006) 3. UNA CONFERENZA CON IL NUOVO HITLER? Sono sessantasette gli «studiosi» accorsi alla corte di Ahmadinejad per negare che la pagina più vergognosa della storia contemporanea - l'Olocausto - sia stata scritta. La conferenza della vergogna è stata travestita di pluralismo con intellettuali a favore dell'esistenza della Shoah e intellettuali contro: «un dibattito senza pregiudizi per dimostrarvi la nostra libertà di pensiero». Peccato anche che la negazione della Shoah non sia un'opinione, ma una odiosa menzogna, una menzogna vergognosa pronunciata in un paese che tortura ed uccide, nega strutturalmente ogni forma di dignità individuale. Quando Ahmadinejad afferma che l'Olocausto è un'invenzione, intende enunciare un paradigma: «Israele non ha diritto ad esistere». L'infausto show revisionista che si tiene a Teheran serve a sostenere che la Shoah è stata inventata da Israele (nientemeno!) per legittimare la propria esistenza. Quando Ahmadinejad offende la Memoria di 6 milioni di ebrei sterminati nella Shoah, non tiene in considerazione che la storia del sionismo è precedente alla Shoah, che le radici del popolo ebraico si sono miracolosamente preservate nei millenni; nella sua barbarie ignora che minacciare la distruzione di una società e di una antica cultura rappresenta un crimine contro l'umanità. Come spesso accade di sentire anche in Italia, anche per Ahmadinejad il nesso fra Shoah, antisemitismo e Israele è un eccezionale strumento di propaganda odiosa, che salda l'antisrealismo con l'antisemitismo: ridicolizzare la più grande tragedia ebraica è di fatto eguale a rallegrarsi della distruzione del popolo ebraico. Nel folle progetto di distruggere un popolo che ha saputo portare la fiaccola della propria cultura per più di tremila anni fra tante persecuzioni, c'è il suo tramite per il Califfato mondiale. Non a caso la conferenza antisemita avviene il giorno dopo quello in cui Ahmadinejad ha annunciato che la realizzazione del programma atomico è fuori discussione; nei giorni in cui il primo ministro palestinese di Hamas, ha promesso che non riconoscerà mai Israele; gli Hezbollah, di nuovo in possesso di un arsenale di missili iraniani recapitati con l'aiuto siriano, pretendono di dominare il Libano per farne una roccaforte dell'integralismo sciita. Tutto quadra, insomma. Tutto appare pronto per una seconda fase dell'escalation di violenza in Medio Oriente. Davvero Prodi ritiene di poter avviare una Conferenza sul Medio Oriente coinvolgendo direttamente Ahmadinejad? Davvero Prodi sederebbe a fianco di questo nuovo Hitler? A queste domande senza sicura risposta, c'è una sicurezza odiosa, quel silenzio colpevole della classe politica italiana e un ingenuo permissivismo di gran parte dell'opinione pubblica. (radicali di sinistra, 10 dicembre 2006) 4. LA TENAGLIA SI STRINGE La politica delle illusioni di Giorgio Israel Ricomincia la politica delle illusioni, che prepara un aggravarsi della situazione e, con ogni probabilità esiti molto drammatici. Il presidente Bush sembra sempre più isolato ed ora anche il nuovo ministro della Difesa americano parla di soluzioni "politiche" e di riaprire il dialogo con la Siria e l'Iran. La disponibilià del governo israeliano è grande come non mai e non si limita al rispetto del cessate il fuoco con Gaza, ma si spinge fino alla decisione di un ministro di introdurre nei libri di testo scolastici la demarcazione dei confini del paese entro la "linea verde", come eloquente segnale di massima disponibilità nei confronti dei palestinesi. Cosa corrisponde a questi passi in avanti dall'altra parte? Si constata qualche passo simmetrico? Nulla di nulla. Al contrario. Sul fronte libanese, ormai il governo Siniora è sotto assedio, il primo ministro non riesce neppure a mettere il naso fuori del suo palazzo e non si vede come possa evitare il crollo del suo governo. Mentre Hezbollah continua a riarmarsi si profila la prospettiva di un governo da esso controllato e quindi il passaggio dell'esercito libanese sotto il comando del gruppo terrorista. Sono assai concrete le prospettive di una situazione in cui la missione Unifil non avrebbe più nulla da fare, in quanto la risoluzione ONU su cui è basata sarebbe svuotata: l'esercito libanese dovrebbe disarmare se stesso? Non stupisce, al riguardo, che il nostro ministro degli esteri sia preoccupato: evidentemente le sue capacità di previsione sono inferiori a quelle del più mediocre ufficio di meteorologia. Occorre ora che pensi, e in modo concreto, alle modalità di un probabile rientro delle truppe senza troppi danni. Intanto, la prospettiva della formazione di un governo palestinese unitario sfuma e il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha ribadito che il suo movimento, Hamas, non farà nessuna "concessione" quale il riconoscimento di Israele. "Non rinunceremo a nessun lembo della terra di Palestina, né al diritto al ritorno per i rifugiati", ha proseguito Haniyeh, secondo cui "la resistenza (contro Israele) ormai non è la scelta di una sola fazione, ma quella di tutti i palestinesi, all'interno e all'esterno" dei Territori. Haniyeh ha anche detto ha ripetuto che non permetterà nessun conflitto interpalestinese, poiché "la nostra lotta è diretta soltanto contro l'occupante?". Malgrado ciò il governo israeliano confida che il riconoscimento della Linea Verde nei libri scolastici possa indurre Haniyeh ad abbandonare il proposito di recuperare ogni lembo di terra? L'Europa ed ora anche il ministro degli esteri americano vogliono parlare con la Siria. Intanto, mentre dalla Siria passano materiali bellici verso Hezbollah, Haniyeh viene ricevuto dal presidente siriano Bashar al Assad, che annuncia per i palestinesi un aiuto siriano di circa 17 milioni di dollari. Mentre la tenaglia iraniana si stende intorno a Israele, il presidente iraniano Ahmadinejad, con abilità alterna le sue profezie di prossima distruzione di Israele a minacce e avvertimenti concernenti la questione nucleare. Quando l'Occidente riapre il discorso sul programma nucleare iraniano egli solleva la questione palestinese, come madre di tutti i problemi, e trova subito attente orecchie e menti pronte a sperare che inducendo Israele a concedere quanto più possibile di suo il despota iraniano si calmi e conceda qualcosa sul terreno nucleare. Non appena l'insolubilità della questione palestinese risulta evidente dall'assoluta intransigenza del fronte Iran-Hezbollah-Hamas, Ahmadinejad riporta l'attenzione sulla questione nucleare. Procedendo e minacciando su entrambi i fronti, e ottenendo progressivi arretramenti dell'occidente, Ahmadinejad avanza verso il suo obbiettivo. E, in realtà avanza verso la guerra. In questo vortice, l'occidente stralunato non trova neppure la forza per profferire una sola parola per denunciare l'infamia del convegno "storiografico" sulla Shoah che avrà luogo a Teheran il prossimo 11 dicembre. Siamo ormai ad un passo da Monaco 1938 e Israele prende il posto dei Sudeti. Non sono pochi , ne siamo purtroppo convinti , coloro che lascerebbero Israele andare in malora pur di ottenere la pace, la "pace per la nostra epoca" di Chamberlain. Certo, Israele non è i Sudeti e rappresenta comunque un osso duro militare non indifferente. Ma nessuno è invincibile, soprattutto se è |
lasciato da solo o circondato dall' indifferenza. Come a Monaco 1938 così oggi, c'è chi crede che concedendo all'Iran, un ruolo di potenza regionale "stabilizzatrice" - e quindi anche stabilizzatrice della Palestina? - si riuscirebbe a calmare i bollenti spiriti dei suoi dirigenti e a imboccare una via di pacificazione. Come a Monaco 1938 si fallirà perché nessuna concessione materiale può soddisfare chi è animato da un ideale escatologico. Chi ripete che la questione palestinese é la madre di tutte le questioni ha idee chiare della situazione quanto le aveva chi credeva di poter allontanare la guerra concedendo i Sudeti. Disse Churchill a proposito di Monaco: "Potevano scegliere tra disonore e guerra, hanno scelto il disonore, avranno la guerra". Non si riesce a sottrarsi alla tragica impressione che questa frase sia ancora pienamente attuale, dopo quasi settant'anni. (Informazione Corretta, 6 dicembre 2006) 5. CONSEGUENZE DELLA GUERRA DEL LIBANO Tre mesi dopo, un terzo della popolazione del nord soffre ancora per le conseguenze della guerra. Dalla fine della guerra, il numero delle persone che si sono rivolte al Centro per la Prevenzione dello Stress è decuplicato di Eli Ashkenazi Di recente Y., residente nellAlta Galilea, è stata convocata per un colloquio di lavoro. Le sarebbe piaciuto accettare quel particolare incarico, ma dopo lunghe e attente riflessioni, ha informato il datore di lavoro che aveva deciso di ritirare la sua candidatura. Gli ho aspiegato che volevo cominciare con il piede giusto. Mi ripresenterò quando mi sentirò di nuovo sicura e tutta dun pezzo. In questo momento non sono emotivamente pronta, spiega Y. Come molti altri residenti del nord, dalla fine dellultima guerra, Y. prova paure che le impediscono di operare normalmente. Allinizio della guerra, un razzo katyusha è caduto sulla casa accanto alla nostra, racconta Y. Lintero edificio ha tremato, le finestre sono andate in frantumi e noi siamo stati sollevati da terra e sbattutti contro i muri. È stato molto difficile. Quello stesso giorno abbiamo raccolto le nostre cose e abbiamo abbandonato la casa. I giorni successivi li abbiamo trascorsi in un rifugio. Quando, qualche tempo dopo, siamo tornati a casa, è andata via la luce e la gente ha iniziato a gridare Giù la testa!. Siamo corsi nel rifugio antimissile e ci siamo seduti lì al buio. Io ero distrutta. Avevo la nausea e i nervi a fior di pelle e cè mancato poco che non svenissi, ricorda Y. Y. dice che da quando la guerra è finita, alla sera lei non riesce ad addormentarsi. Ho paura quando sono sola in casa e non riesco a mandare mio figlio a scuola da solo perché temo che da un momento allaltro possa partire la sirena dellallarme antimissile. Entrare nella lavanderia, dovera quando è caduto il razzo, è per lei quasi impossibile. Y. ha, da poco, deciso di farsi curare, insieme al marito e ai due figli, dallo psicologo Alan Cohen presso il Centro Comunitario per la Prevenzione dello Stress (CSPC) del collegio universitario Tel Hai di Kiryat Shmona. Dalla fine della guerra, il numero delle persone che si rivolgono al centro è decuplicato. Da più di 25 anni il CSPC lavora a livello individuale, organizzativo e governativo per combattere lo stress. Secondo Nira Kaplansky, direttore delle cliniche del CSPC, prima della guerra avevamo 12 pazienti e quattro terapeuti. Ora abbiamo 16 terapeuti e 130 pazienti, e 70 persone hanno completato la cura. Nel contempo, continuiamo a cercare persone che hanno bisogno del nostro aiuto. Con ciò, al CSPC sono consapevoli di riuscire a raggiungere solo una frazione di quanti hanno bisogno di aiuto. Gli studi insegnano che, in situazioni traumatiche di emergenza, circa il 5% della popolazione registra sintomi gravi. Per Kiryat Shmona, questo vorrebbe dire che 1.200 persone hanno bisogno di cure, mentre solo circa 200 si sono rivolte al CSPC per essere aiutate. Il professor Mooli Lahad è il fondatore e il direttore del centro. Stando ai dati raccolti in vista di una ricerca a tutto campo sulla guerra, più del 40% [dei residenti del nord] continua a pensare agli eventi della guerra. Più del 50% dei residenti della Galilea conosce persone che sono state ferite. Questo è un tasso di esposizione molto alto. Per queste persone la guerra è unentità tangibile, non teorica, dice Lahad. La cura non è lunga, e si è dimostrato che nell80% dei casi aiuta ad alleviare i sintomi, spiega Lahad. Non cè alcuna ragione perché le persone continuino a soffrire. I funzionari del centro dicono che il disordine da stress post-traumatico (PTSD) si sta diffondendo. Secondo Lahad, si manifesta attraverso scoppi dira, un basso livello di tolleranza, incubi notturni, disordini del sonno e levitare le incombenze più semplici le persone non escono alla sera, non vanno al supermercato, fanno solo ciò che non è procrastinabile. Tutto ricorda loro levento originario: il katyusha che è caduto a pochi passi da me, che continua a inseguirmi ovunque io vada. Kaplansky ricorda una donna che è scappata da Kiryat Shmona con la figlia. Un katyusha è caduto accanto alla loro macchina mentre stavano scappando. La donna ha soffocato le proprie grida ed è corsa via come impazzita con la bimba tra le braccia. Questo è bastato ed avanzato: sia la madre che la figlia oggi soffrono di esaurimento, dice Kaplansky. Quando compaiono i primi sintomi, le persone non capiscono che si tratta di PTSD: sanno di non stare bene e cercano di far fronte alla situazione, ciascuno a modo suo. La persona che non riesce a dormire, per esempio, chiede al dottore di prescriverle dei sonnifferi e non sa o non cerca di capire che cosa le sta in realtà succedendo. Anche molti studenti della scuola per assistenti sociali del collegio universitario Tel Hai manifestano i sintomi della sindrome da stress post-traumatico (PTDS). Il dottor Moshe Farchi, lettore presso la facoltà, dice: Molti studenti sono stati arruolati nellesercito, molti vivono nel nord e la maggior parte degli studenti della scuola per assistenti sociali, circa il 60%-70% del totale, ha prestato servizio di volontariato nelle tendopoli di Nitzanim, allestite per accogliere i residenti del nord in fuga dalla guerra. Per la prima volta nella loro vita si sono ritrovati faccia a faccia con lutto, trauma e stenti. Il collegio ha deciso di dedicare a questa questione una giornata allinizio dellanno accademico e lo scorso mercoledì gli studenti hanno avuto la possibilità di riunirsi e analizzare le proprie esperienze estive. Era impossibile ignorare gli eventi che la scorsa estate tutti qui hanno vissuto, dice Farchi, aggiungendo che: I ragazzi hanno bisogno di sfogarsi e di parlare della loro esperienza. Per esempio, una delle studentesse che ha prestato volontariamente assistenza nella tendopoli di Nitzanim ha parlato del momento in cui una donna, che era scappata dal nord con i figli, ha ricevuto la notizia che il marito, rimasto ad Acri, era stato ucciso da un razzo katyusha. A Nitzanim non cera nessuno che potesse riportare la donna nel nord e la studentessa si è offerta volontaria per accompagnrla in questo difficile viaggio. Ora, dice Farchi, alcuni studenti hanno perso la gioia di vivere e si sentono vuoti dentro. Nonostante siano altamente motivati, si sentono come se le loro batterie si fossero scaricate durante la guerra. Farchi, che per lavoro va a Sderot una volta alla settimana, mette a confronto la cittadina del sud e Kiryat Shmona. Secondo lui, si percepisce unatmosfera di scoramento e pessimismo in entrambe le città. Per questo, dice, non si sentono quasi mai lamentele o proteste. Le persone imparano a vivere con la routine della disperazione. (Ha'aretz, 13 novembre 2006 - da Keren Hayesod) 6. IL RAPPORTO BAKER "Parlare con Siria e Iran? Una follia" di Arturo Zampaglione NEW YORK - «E´ un pessimo rapporto, questo del gruppo di studio sull´Iraq. Ha un approccio burocratico e la tendenza a riciclare vecchie idee fallimentari, senza neanche porsi il problema di capire quali siano i veri interessi strategici degli Stati Uniti. Spero proprio che finisca nel dimenticatoio». Daniel Pipes non usa mezzi termini per esprimere il suo disappunto sul documento finale del gruppo di studio sull´Iraq, guidato dall´ex-segretario James Baker e dall´ex-parlamentare democratico Lee Hamilton. Come tanti esponenti di primo piano della destra ideologica, Pipes non si identifica nelle iniziative bi-partisan che si moltiplicano dopo la vittoria dei democratici nelle elezioni di mezzo-termine. «In Iraq abbiamo fatto degli errori negli ultimi tre anni e mezzo», ammette. «Ma con il rapporto Baker, scritto da dieci personaggi incompetenti, metà di un partito metà dell´altro, rischiamo di commettere sbagli ancora più gravi». Fondatore e direttore del Middle East Forum, autore di diciotto libri tradotti in 19 lingue, Pipes è uno dei maggiori esperti americani del Medio Oriente. E´ anche un "neo-con" dalle posizioni anti-conformiste: nel passato ha parlato dell´opzione militare per l´impasse nucleare con l´Iran. Gli abbiamo chiesto di spiegare i rischi che la destra americana intravede nel rapporto sull´Iraq e quali alternative esistano al piano Baker. Qual è a suo avviso il punto più debole del rapporto presentato ieri a George W. Bush e al Congresso? «Il documento dà per scontato che i membri della coalizione, e quindi soprattutto gli Stati Uniti, siano responsabili per quel che succede in Iraq. Non è così: se gli iracheni vogliono ammazzarsi tra di loro, è una cosa terribile, ma non è affare nostro. Certo, avremmo dovuto chiarirlo sin dall´inizio, limitandoci a togliere di mezzo Saddam Hussein, a insediare un uomo forte e concentrarci sulla sicurezza del paese. Invece per tre anni e mezzo ci siamo fatti distrarre dai sogni di democrazia e libertà, con notevoli sacrifici in termini economici e di vite umane. Adesso è necessario rielaborare l´intera politica irachena in base ai nostri obiettivi strategici, tenendo presente che l´Iraq non è vitale per gli interessi americani, come invece lo erano la Germania, il Giappone e in parte anche l´Italia, dopo la seconda guerra mondiale». Baker, Hamilton e gli altri saggi hanno suggerito alcuni orientamenti. Che giudizio dà delle singole proposte, a cominciare dal dialogo con la Siria e l´Iran? «E´ una idea davvero singolare: perché mai i nostri nemici dovrebbero aiutarci a uscire dall´impasse? Semmai sono interessati a umiliarci, a indebolirci, a sconfiggerci. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la proposta del dialogo con Tehran e Damasco è ingenua; nella peggiore delle ipotesi è folle. E sicuramente il presidente iraniano Ahmadinejad ne approfitterà per intensificare il confronto con il mondo occidentale». Un´altra proposta è il rilancio dei negoziati diplomatici per il problema palestinese. «Ed è un esempio del pessimo lavoro di riciclaggio: dopo la vittoria nella prima guerra del Golfo, invece di concentrarsi sul Kuwait e l´Arabia Saudita, la Casa Bianca si impelagò nelle trattative israelo-palestinesi. Fu un fallimento. Adesso il comitato Baker ripropone la stessa strada, ipotizzando persino la restituzione ai siriani delle alture del Golan. E´ tutto assurdo, ma non ne sono affatto sorpreso: non potevamo aspettarci molto di più da un gruppo di incompetenti». Incompetenti? «Non basta che dieci pensionati della politica e della Corte suprema abbiano buona volontà per produrre soluzioni creative. Purtroppo è una vecchia abitudine della politica americana: quando qualcosa non va, ci si affida ai vecchi saggi, non agli esperti del campo. L´unica speranza, ora, è che prevalga lo spirito critico. Dobbiamo smetterla di combattere contro gli insorti, di presidiare le città, di lottare contro il caos: a questo ci pensino gli iracheni. Al tempo stesso dobbiamo mantenere un forte contingente militare in Iraq a salvaguardia dei nostri interessi strategici nella regione». (La Repubblica, 7 dicembre 2006) * * *
La follia di Baker di Carlo Panella Il rapporto che J. Baker ha consegnato ieri a George W. Bush merita un posto nella storia. Leggetelo e studiatelo, perché il suo schema è identico a quello di Monaco del 1938 ed è ispirato alla medesima dottrina politica. Baker e i suoi colleghi sono evidentemente convinti, come Chamberlain, che il problema in gioco in Medio Oriente sia ''la terra''. Ragionano quindi -come Kissinger- dentro lo schema europeo post Westfalia: propongono trattative con gli Stati, mediazioni, accordi. Non si accorgono, non si vogliono accorgere, che invece la questione non è ''la terra'', o meglio che non è la sola. Non vogliono rendersi conto che l'avversario non è un indistinto terrorismo, ma un progetto totalitario islamista composto da estremismo sciita, politica di potenza siriana, fanatismo di Hamas e Hezbollah in cui la terra è secondaria, il punto focale è ''eliminare Israele dalla faccia della terra'' per ragioni religiose, come ha ripetuito ancora ieri Ahmadinejad.. Conclusione: la proposta Baker è di trattare oggi Israele peggio di quanto non fu trattata la Cecoslovacchia nel 1938: obbligarlo a cedere a Damasco le alture del Golan di modo che Behar al Assad possa essere ben certo che la sua politica di appoggio al terrorismo di Hamas e Hezbollah paga e quindi lo spinga ancora di più a mettere le alture restituite a loro disposizione per lanciare razzi sulla Galilea anche da lì. Non fare nulla contro il progetto della bomba atomica dell'Iran e infine auspicare addirittura il ''diritto al ritorno dei palestinesi in israele'', in modo da cancellarlo con una bomba demografica. Colpendo in questa direzione, Baker infligge un colpo mortale anche a Abu Mazen, avversario dichiarato di Damasco che proprio in questi giorni tenta di liberarsi del figlioccio di Beshar al Asaad, Hanyeh, e il premier libanese Fouad Siniora che sta tentando di resistere alle pressioni eversive della piazza di Hezbollah, ectata apertamente da Damasco. Naturalmente, Baker propone anche implicitamente che non si faccia il processo sull'assassinio di Hariri, perché se no non si potrebbe trattare con il fratello e il cognato degli imputati, sempre Beshar al Assad. Un capolavoro, non a caso osannato dalla sinistra progressista italiana. (dal blog di Carlo Pannella) MUSICA E IMMAGINI Lemaan Tsion INDIRIZZI INTERNET Ha Keilllah Zion's Sake Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte. |