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Notizie su Israele 415 - 23 gennaio 2008

1. La sventura di Sderot
2. Intervista al sindaco di Sderot
3. Amici di Israele
4. Uno strumento al servizio dell'Iran
5. Mosca si scopre violenta e razzista
6. Nauseante manifestazione del vento antiebraico
7. Libri
8. Musica e immagini
9. Indirizzi internet
Isaia 44:21-22. «Ricòrdati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo; io ti ho formato, tu sei il mio servo, Israele, tu non sarai da me dimenticato. Io ho fatto sparire le tue trasgressioni come una densa nube, e i tuoi peccati, come una nuvola; torna a me, perché io ti ho riscattato.»
1. LA SVENTURA DI SDEROT




I bambini in prima linea

Il Fondo per le Vittime del Terrorismo, sostenuto dal Keren Hayesod e dal UJC (USA), in azione a Sderot


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Razzo kassam
I miracoli non continuano a ripetersi in eterno e lo scorso sabato 9 febbraio sono improvvisamente finiti, quando la gamba sinistra di Osher Tuito, 8 anni, è stata amputata dalle schegge di un razzo kassam caduto a pochi metri da lui.
    Era andato al locale bancomat per prelevare il denaro necessario ad acquistare un regalino per il compleanno di suo padre. Nell'attacco è stato colpito anche suo fratello maggiore, Rami Tuito, 19 anni. Entrambi sono stati feriti gravemente durante il fuoco di fila di razzi kassam che sabato scorso ha martoriato Sderot. In un primo momento sono stati ricoverati presso l'ospedale Barzilai di Ashkelon, ma data la gravità delle loro condizioni sono stati poi trasferiti all'ospedale Tel Hashomer d Ramat Gan, che è specializzato nella cura di questo tipo di ferite. Là si sottoporranno alle cure necessarie, trascorreranno il periodo di convalescenza e, se va tutto bene - come si spera - affronteranno la riabilitazione. La gamba sinistra di Osher è stata amputata dopo che i dottori, nonostante tutti i loro sforzi al limite dell'eroismo, non sono riusciti a salvarla e dopo che il bambino era rimasto privo di conoscenza per molte ore.
    La notizia che i due ragazzi erano stati feriti si è diffusa in un lampo tra gli attivisti coinvoilti nel progetto Giovani Futuri nel sud d'Israele. Dopo lo schock iniziale, il personale dell'Agenzia Ebraica si è subito messo in moto per assistere la famiglia e tutte le persone direttamente coinvolte nei fatti. Prima di tutto hanno contattato Tami Betito, il consigliere del progetto Giovani Futuri che, all'interno del programma, era direttamente responsabile per Osher. In un effetto domino di atti di gentilezza e generosità, tutte le persone in qualche modo coinvolte nel progetto hanno voluto partecipare. Tutti si sono impegnati a prendersi cura del ragazzo, in particolare, e di Sderot, in generale.
    L'Agenzia Ebraica e i suoi partner sono al fianco di Sderot dall'inizio del blitz di razzi kassam, offrendo sostegno finanziario attraverso il Fondo per le vittime del terrorismo, rimodernando i rifugi antimissile, riparando il centro per il trauma di Sderot, offrendo oasi di pace ai bambini e ai giovani di Sderot e sviluppando altri programmi di assistenza.
    L'Agenzia Ebraica per Israele sta offrendo assistenza finanziaria immediata alle vittime dei bombardamenti di razzi kassam a Sderot, grazie alla recente decisione di usare i fondi del Fondo per le Vittime del Terrorismo per assistere subito questi cittadini. Il Fondo per le Vittime del Terrorismo è sottoscritto dal Keren Hayesod e dall'Unione delle Comunità Ebraiche.
    A causa dell'escalation dei bombardamenti contro Sderot e contro le comunità limitrofe, il mese scorso il Fondo per le vittime del terrorismo ha stanziato più di 300.000 dollari per l'assistenza finanziaria immediata delle vittime dei razzi kassam, in attesa degli aiuti che riceveranno dal governo.
    Le famiglie destinatarie degli aiuti di emergenza dal Fondo per le vittime del terrorismo, riceveranno subito 1.100 dollari per l'acquisto di cibo, medicine, prodotti di prima necessità danneggiati dai razzi kassam, ecc. questa donazione verrà pagata alle famiglie immediatamente per coprire le spese dei loro bisogni personali che non sono coperte da altri enti coinvolti nell'assistenza alle vittime dei razzi kassam.

(Keren Hayesod, 10 febbraio 2008)






2. INTERVISTA AL SINDACO DI SDEROT




"In Israele manca un piano contro il terrorismo"

di Nicola Seu

Sderot è una cittadina di circa 20.000 abitanti ad una manciata di chilometri dalla striscia di Gaza. Il paesaggio è indubbiamente suggestivo. Campi aperti coltivati, poco traffico, aria pulita e apparente tranquillità. Fu proprio lì che la famiglia dell'ex-sindacalista Amir Peretz si stabilì subito dopo l'immigrazione dal Marocco quando era ancora una piccola città in via di sviluppo come tutto il sud d'Israele. Oggi purtroppo il nome di Sderot in Israele non evoca certo affascinanti panorami né possibilità lavorative. Da circa 7 anni essa è l'obiettivo principale dei lanci di razzi dalla Striscia di Gaza rendendo la vita praticamente impossibile agli abitanti. I morti sono un numero relativamente contenuto se si pensa che il numero dei Qassam ha superato le 5000 unità dall'inizio della seconda Intifada ad oggi. Oramai i media israeliani sorvolano su questo triste fenomeno (a meno che non ci siano vittime) e un razzo che cade su Sderot merita solo un trafiletto sui giornali o poche linee sui quotidiani on-line. Eli Moyal è il sindaco di questa piccola e sfortunata città e, considerate le sue minacce di dimissioni e i continui attriti con il governo, non ha intenzione di sottostare a questo stato di cose. Non è stato semplice contattarlo. In questi giorni si trovava fra Gerusalemme e Tel Aviv oberato di impegni fra i quali, pare di capire, anche alcune riunioni per stanziare fondi per la ricostruzione dei tetti e delle case distrutte o danneggiate dai razzi palestinesi. Ci concede volentieri comunque qualche minuto del suo tempo per una intervista telefonica.

Signor Sindaco, sono passati più di 2 anni e mezzo dal ritiro da Gaza. Quali erano le vostre aspettative prima del ritiro?

moyal
Eli Moyal
Noi eravamo contro il ritiro senza alcun dubbio. Verso aprile del 2005 (quando il piano per il ritiro era già stato approvato dalla Knesset) il primo ministro Sharon tentò di convincermi e mi promise addirittura che un ritiro da Gaza avrebbe fatto cessare il terrorismo islamico. E' chiaro invece che la situazione è gravemente peggiorata. Il lancio di Qassam è aumentato dopo il ritiro e Hamas ha preso il potere. E' stata una inutile e nociva operazione, questa è la nostra opinione su quanto il governo fece nell'agosto del 2005.

Quindi per la vostra città e stata una sciagura. Quale è lo stato d'animo attuale degli abitanti di Sderot?
Gli abitanti della nostra città si sentono meno sicuri, frustrati e delusi. Come ho detto prima il lancio di razzi è tutt'altro che diminuito e ciò ci frustra maggiormente perché abbiamo pagato un prezzo altissimo per niente. Subito dopo il ritiro dei nostri soldati e concittadini i palestinesi hanno distrutto i nostri templi, profanato i nostri cimiteri e il terrorismo continua ad essere un problema ancor più grave di quanto non lo fosse prima. Quando l'ex-capo del governo decise di lasciare Gaza gli dissi che si trattava di un errore clamoroso e benché aggiunsi che speravo di sbagliarmi ero ben poco fiducioso. Purtroppo i fatti mi hanno dato ragione.

Lei, tre mesi fa, si dimise per poi tornare in carica pochi giorni dopo a seguito di un colloquio con Olmert. Quali sono i rapporti fra lei e il governo?
Non possiamo certo dirci soddisfatti della sua politica. Il governo non fa quello che ci aspettiamo. E' compito suo proteggerci e al momento non vediamo alcun miglioramento della nostra situazione, semmai le cose stanno peggiorando.

Il 17 gennaio il ministro della difesa Barack ha dato inizio ad una politica di forza piuttosto pesante per tentare di stroncare il lancio di razzi sul sud d'Israele. Ha avuto qualche effetto?
Come ho già detto non vediamo cambiamenti. Quello che sta facendo Barack non è parte di un disegno per combattere il terrorismo ma è semplicemente una reazione ai continui attacchi dei terroristi. Il problema è proprio questo. Quello che manca al governo israeliano è un piano, una strategia chiara per debellare il terrorismo internazionale, ci sembra che ancora non vogliano decidere di combattere il terrorismo in maniera risoluta. Vorrei specificare che non abbiamo nulla contro i Palestinesi, abbiamo lasciato Gaza, nessun civile o militare si trova nella striscia e non pensiamo di ritornarci. Abbiamo solo intenzione di vivere in pace ma non possiamo rimanere con le mani in mano di fronte alle aggressioni di Hamas e degli altri gruppi del terrorismo internazionale finanziati da Iran e Hezbollah.

Parliamo del futuro Quale deve essere secondo lei la ricetta da attuare per poter dare o restituire normalità alla vostra città?
Non posso consigliare il governo, non è il mio lavoro. Ciò che devo fare è chiedere aiuto e protezione dal governo e loro ci devono aiutare, devono trovare una soluzione. Stiamo aspettando da più di sette anni (inizio della secondo Intifada) e non scorgiamo vie d'uscita. E' da troppo tempo che soffriamo in questa situazione e ci preoccupa constatare che il governo non abbia ancora un progetto chiaro e ben definito.

(L'Opinione, 22 febbraio 2008)





3. AMICI DI ISRAELE




Cristiani di tutto il mondo si mobilitano per Sderot

di Suzanne Millet

32 rifugi pubblici, finanziati da un fondo cristiano, sono stati inaugurati a Sderot in presenza dell'assistente del Ministro della Difesa, Matan Vilnai, del sindaco di Sderot, Eli Moyal, e del direttore del fondo "per l'amicizia", il rabbino Yhial Ekstein. La riparazione di questi rifugi, inutilizzabili fino ad ora, è stata finanziata da un fondo cristiano evangelico che sostiene dei progetti in Israele. I doni arrivano a 6,3 milioni di shekel.
    Questi rifugi potranno ospitare gli abitanti di Sderot notte e giorno, nel tempo in cui ci sono lanci continui. Per i lanci dei Kassam gli abitanti sono avvertiti 15 secondi prima e non hanno quindi il tempo di andare nei rifugi. Per questo sono state previste stazioni di autobus blindati che possono contenere una quindicina di persone.
    A gennaio sono state inaugurate 6 stazioni blindate la cui costruzione è stata finanziata in gran parte dall'Ambasciata Cristiana di Gerusalemme. In precedenza ne erano già state installate 12 grazie al finanziamento dell'operazione "Salvare la Vita". Questa operazione è il frutto di una collaborazione dell'Ambasciata Cristiana e di "Israele sempre": Ebrei e cristiani del mondo intero si uniscono per aiutare Israele.
    L'Ambasciata ha anche finanziato in gran parte l'ingrandimento di un centro per giovani in difficoltà a Sderot con una grande sala concepita come rifugio.
    Infine, l'operazione "Salvare la Vita" ha aiutato dei piccoli kibbutz e villaggi del Negev a costruire dei rifugi. Perché, come diceva il direttore del Consiglio generale del Negev: «E' una questione di vita o di morte. Si vive una vita normale in una situazione impossibile.»

(Un Écho d'Israel, 14 febbraio 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





4. UNO STRUMENTO AL SERVIZIO DELL'IRAN




Chi gioca sporco con la carta palestinese?

da un articolo di Barry Rubin

In mezzo alle minacce di Hezbollah contro Israele all'indomani dell'uccisione del capo delle operazioni di terrorismo di quel gruppo Imad Mugniyah, si è registrato un fatto di notevole interesse, che dice molto circa il futuro del Medio Oriente.
    Si tratta della dichiarazione rilasciata dal generale Muhammad Ali Jafari, comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, vale a dire della principale forza militare di Teheran (nonché dei futuri custodi delle armi nucleari dell'Iran). Jafari ha preannunciato che "in un futuro prossimo assisteremo alla distruzione di quella crescita cancerosa che è Israele". Ma questa non è la parte più interessante del suo discorso. Ciò che è più notevole è chi realizzerà l'opera di distruzione: secondo Jafari, Israele sarà spazzato via dalla carta geografica ad opera di Hezbollah.
    Si potrebbe prenderla come una spacconata propagandistica. Se invece vi si presta un attimo di attenzione, la dichiarazione rivela un notevole spostamento rispetto a ciò che è stato vero negli ultimi sessant'anni e più.
    Jafari e altri esponenti iraniani preferiscono non dire a chiare lettere che sarà lo stesso Iran a realizzare l'annichilimento di Israele. Dopo tutto, in passato allusioni di questo genere non hanno fatto che rafforzare l'opposizione internazionale all'ambizione iraniana di dotarsi di armi nucleari che potrebbero essere usate contro Israele. Una tale presa di posizione, inoltre, potrebbe persino giustificare un attacco da parte di Israele in quanto paese apertamente minacciato di genocidio da parte di Teheran.
    Tuttavia, ciò che di fatto fa Safari è cancellare dalla scena tutti i protagonisti storici del conflitto: stati arabi, movimenti nazionalisti arabi, musulmani sunniti e – cosa particolarmente rilevante – gli stessi palestinesi. La guerra viene dunque condotta dagli eroi di oggi, vincitori di domani: i musulmani sciiti, e in particolare quelli libanesi. Non è più nemmeno una guerra fra musulmani ed ebrei (che è la percezione islamica generale) dal momento che la grande maggioranza dei musulmani (sunniti) non viene più menzionata.
    Naturalmente Hezbollah ha sempre detto che avrebbe combattuto e sconfitto Israele, sebbene negli anni '80 e '90 fosse innanzitutto interessato a riprendersi il controllo sul Libano meridionale. Ma parlare di Hezbollah, e solo di Hezbollah, come protagonista della lotta e della disfatta di Israele configura una nuova teoria del conflitto.
    Non dovevano essere i palestinesi l'avanguardia della lotta? E questa lotta non doveva essere teoricamente combattuta in loro nome?
    Ora, invece, è diventata una causa non araba e nemmeno islamica, bensì sciita: da utilizzare per promuovere l'egemonia iraniana sulla regione. Gli arabi sono tagliati fuori, sono tagliati fuori i sunniti, e sono tagliati fuori gli stessi palestinesi.
    Non è impossibile una cooperazione tra sunniti e sciiti: gli esempi migliori

sono la simpatia per il regime siriano pur con la sua maggioranza sunnita, e quella per i fondamentalisti sunniti palestinesi di Hamas clienti dell'Iran. Ma per lo più sunniti e sciiti sono in forte antagonismo, arrivando spesso a dividersi in scontri sanguinosi.
    Si consideri un aspetto quasi completamente ignorato: non c'è e non c'è mai stata un'organizzazione tipo Hamas fra i palestinesi in Libano. Perché? Perché gli iraniani, i siriani e Hezbollah non permettono a nessun concorrente di operare, eccetto i loro gruppi fantoccio.
    È vero che sauditi, giordani, egiziani, iracheni e una decina di altri stati arabi – almeno per ora – non sono direttamente coinvolti nel conflitto. Se ne sono tirati fuori, almeno dal piano della lotta attiva, indipendentemente da quanta propaganda facciano sulla questione. Ma come si sentiranno i Fratelli Musulmani egiziani (sunniti) e i palestinesi di Fatah (o anche quelli di Hamas) di fronte a questa ri-definizione del conflitto che li relega nell'irrilevanza?
    Si tratta, naturalmente, di un piano sciovinista iraniano e sciita (che comprende anche la Siria, che è sì a maggioranza sunnita ma dominata da un regime alawita che si dichiara vicino agli sciiti e alleato dell'Iran). Come se dicessero: ora la carta palestinese è nelle nostre mani.
    Ma, se la carta palestinese viene usata come uno strumento al servizio di Teheran, perché mai i sunniti e gli stati arabi dovrebbero sostenere questo tentativo? Se una minoranza di libanesi vuole sfruttare il conflitto israelo-palestinese per perseguire le proprie ambizioni e i propri legami con potenze straniere, perché mai la maggioranza dei libanesi dovrebbe accettare di patire e morire, lasciando che il paese venga usato come campo di battaglia?
    E come fa l'occidente a continuare a pensare che tutta la questione ruoti soltanto attorno ai palestinesi quando è sempre più evidente – ma è sempre stato vero – che il conflitto è piuttosto imperniato su una lotta di potere per il controllo della regione?

(Global Research in International Affairs Center, 19 febbraio 2008 - da israele.net)





5. MOSCA SI SCOPRE VIOLENTA E RAZZISTA




Sei omicidi a sfondo etnico in 7 giorni

MOSCA - Sale l'allarme razzismo a Mosca, dove nel giro di una settimana le vittime di omicidi a sfondo etnico sono state sei, quasi una al giorno. Le ultime due sono dell'altro ieri: un venticinquenne chirghiso che lavorava in un supermercato e un altro giovane azero, entrambi accoltellati a morte per strada in due differenti zone della capitale, ma sempre a sud-est, la più colpita da attacchi di questo tipo. Due omicidi che sembrano segnare una vera escalation del fenomeno, all'indomani dell'aggressione a un giovane uzbeco di 25 anni, pugnalato a morte da un gruppo di adolescenti. Appena martedì la polizia aveva assicurato un aumento della vigilanza, mentre i rappresentanti delle comunità di immigrati stranieri avevano lanciato un grido d'allarme.
    Dall'inizio dell'anno le vittime sarebbero già una decina, di cui sette chirghisi. I bersagli preferiti di questi attacchi, condotti spesso da bande di giovanissimi naziskin, sono infatti proprio gli immigrati delle ex Repubbliche sovietiche, in particolare dell'Asia centrale e del Caucaso. Nel 2007 complessivamente gli omicidi a sfondo etnico sono stati 42(il 3,8% del totale) contro i 37 del 2006 e i 16 dell'anno precedente. Gli ultimi episodi si sono svolti in rapida successione. Domenica sera la polizia ha trovato a nord-ovest il corpo di un trentaquattrenne originario della repubblica di Kabardino-Balkaria, con addosso ancora il cellulare e un portafoglio con 40mila rubli, circostanza che ha portato gli investigatori a escludere la rapina e a ipotizzare la pista razzista. Il giorno precedente una banda di dieci giovani armati di coltello ha preso di mira una coppia di kirghizi: Merlan Eygeshov, 25 anni, è morto dopo essere stato colpito undici volte, mentre Abdametal Mamydov (21), è stato ricoverato in gravi condizioni all'ospedale. Giovedì scorso, invece, è toccato a un tagico, pugnalato a morte.
    Secondo gli esponenti delle comunità chirghise, azere e tagiche, in Russia si alimenta il mito dell'impunibilità degli autori di delitti razzisti tentando di considerarli alla stregua di «monelli» o «teppisti» sullo sfondo di un nazionalismo sempre più pericoloso. Al tempo stesso, l'antica piaga dell'antisemitismo non conosce tramonto in Russia. Il candidato putiniano alla presidenza della Repubblica Dmitri Medvedev, strafavorito nei sondaggi, ha ricevuto da un avversario ultranazionalista l'accusa per lui più infamante: ebreo. Non è una novità: a suo tempo lo dissero perfino di Lenin e Andropov.

(Il Giornale, 21 febbraio 2008)





6. NAUSEANTE MANIFESTAZIONE DEL VENTO ANTIEBRAICO




Hamas, i cartoni animati che divorano gli ebrei "immondizia"

di Giulio Meotti
 
ROMA - Ha scritto sul Jerusalem Post Eliahu Richter che "istigazione e indottrinamento all'odio sono l'esposizione più tossica dei nostri tempi: forgiano l'ambiente socio-culturale che permette al terrorismo genocida di affermarsi come una norma sociale accettata e persino approvata". Nel marzo del 2007 il mondo scoprì il volto della tv di Hamas. "Tu ami la mamma, vero? Dov'è adesso". "In paradiso". "Che cosa ha fatto?". "Ha scelto il martirio". "Ha ucciso degli ebrei? Quanti ne ha uccisi?". È un'intervista trasmessa dalla televisione Al Aqsa, controllata da Hamas nella Striscia di Gaza. I due bambini sono figli di Rim Riashi, che il 4 gennaio del 2004 si è fatta saltare in aria al valico di Erez uccidendo cinque israeliani. L'intervistatore incalza Mohammed: "Quanti ne ha uccisi?". Il piccolo, 5 anni, fa vedere le dita: "Così...". "Quanti sono?". "Cinque". Ci avevano abituato al pupazzo del topolino Farfur, che incitava "i pionieri di domani a restaurare la gloria di questa nazione: liberate al Aqsa, liberate l'Iraq e con il volere di Allah liberate i paesi musulmani invasi dagli assassini". Nell'ultimo sketch del cartoon trasmesso dall'emittente di Hamas Al Aqsa, Farfur viene picchiato a morte da un funzionario israeliano che vuole acquistare la terra palestinese contro la sua volontà. Il nonno di Farfur affida al nipote dei documenti dicendogli che "provano che la terra è nostra", la magica terra "coperta di fiori, ulivi e palme", occupata "nel 1948 dagli sporchi, criminali ebrei saccheggiatori". Farfur chiede: "Che terra, nonno?". Risposta: "La terra si chiama Tel Al Rabi, ma gli ebrei la chiamano Tel Aviv da quando l'hanno occupata". Il nonno consegna a Farfur "la chiave che – dice - userai quando la terra sarà riconquistata".
    Nella scena dopo compare il funzionario israeliano che interroga Farfur: "Abbiamo saputo che tuo nonno ti ha affidato le chiavi e i documenti della terra. Farfur, vogliamo comprare la tua terra, ti daremo un sacco di soldi e ci prenderemo i documenti". "No – risponde Farfur – noi non siamo gente che vende la propria terra a dei terroristi". "Farfur, dammi i documenti", insiste l'attore. "No, non ve li darò, non ve li darò", grida il pupazzo. L'attore picchia Farfur gridando: "Dammi i documenti". Farfur, sotto i colpi, continua a gridare: "Non li darò a degli odiosi terroristi, a dei criminali". Continua a picchiarlo, mentre Farfur grida "Basta, basta!". La piccola Sara, che conduce il programma da studio, commenta: "Miei piccoli amici abbiamo perduto il nostro amatissimo amico Farfur. È diventato martire difendendo la sua terra. È diventato martire per mano di criminali e assassini che uccidono bambini innocenti". Chiama Shaimaa, ha tre anni. Sara chiede: "Hai visto, gli ebrei hanno fatto morire Farfur come un martire. Che cosa vorreste dire agli ebrei?". La voce della bimba al telefono risponde: "Non ci piacciono gli ebrei perché sono cani, li combatteremo". Sara interviene con tono sarcastico. "Ma no, Shaimaa. Gli ebrei sono buoni, gli ebrei sono nostri amici e noi giochiamo con loro, non è così?". La piccola ascoltatrice: "Hanno ucciso Farfur!" Sara sorride: "Hai ragione, Shaimaa, gli ebrei sono criminali e nemici, dobbiamo buttarli fuori dalla nostra terra".
    Morto Farfur per mano degli ebrei perfidi, il nuovo protagonista della tv di Hamas è stata un'ape di nome Nahul e si è presentata alla conduttrice del programma dicendo d'essere il cugino di Farfur e di voler "continuare sulla strada di Farfur… La strada del martirio, dei guerrieri della jihad". "In suo nome ci prenderemo la nostra vendetta sui nemici di Allah, sugli assassini di profeti…". La stessa conduttrice, Sara, dice: "E tu chi sei? Da dove vieni?". E l'ape: "Sono Nahul. Voglio essere con te in ogni puntata di "Pionieri di domani", proprio come Farfur. Voglio continuare sulla strada di Farfur, la strada dell'islam, la strada dell'eroismo, la strada del martirio, la strada dei mujahideen della jihad. Io e i miei amici seguiremo le orme di Farfur. E in suo nome ci prenderemo la vendetta sui nemici di Allah, sugli assassini dei profeti, sugli assassini di bambini, fino a quando libereremo Al-Aqsa dalla loro sozzura. Noi abbiamo fede in Allah". L'ape Nahul, è stata fatta poi drammaticamente morire, in un successivo episodio, per l'impossibilità di ricoverarla in ospedale a causa dell'assedio israeliano.
    Quindi nella trasmissione per bambini è comparso il coniglietto Assud, dicendo che è riuscito a entrare clandestinamente dall'Egitto dopo che è stata sfondata la barriera di frontiera. Dopo aver appreso della morte "da martire" di Nahul, il coniglio Assud dice alla giovanissima conduttrice: "Tutti noi siamo aspiranti martiri, vero Sara? Noi sacrificheremo le nostre anime e tutto ciò che abbiamo per la nostra terra patria". Sara risponde: "Noi libereremo (la moschea di Gerusalemme) al-Aqsa dalla sozzura dei sionisti". E il coniglietto conclude: "Io Assud farò piazza pulita degli ebrei e li divorerò, ad Allah piacendo". L'episodio termina con una canzoncina che recita: "Non riconosceremo mai Israele fino a quando avremo liberato la terra patria dalla sozzura sionista". Mickey Mouse nel 1935 fu insignito dalla Lega delle Nazioni come "simbolo della buona volontà universale". Farfur sarà ricordato come la nauseante manifestazione del vento antiebraico e genocida che spira nelle terre palestinesi dominate da Hamas. Un odio che declina gli ebrei come "maiali", "cancro", "immondizia", "germi" e "parassiti".
 
(Il Velino, 22 febbraio 2008)





7. LIBRI




Un filosofo tra ebrei e palestinesi

di Elena Loewenthal

Martin Buber, Una terra e due popoli. Sulla questione ebraico-araba, ed. La Giuntina, pp. 72, ¤ 18

Martin Buber è il filosofo del dialogo. Centrale nel suo pensiero è il rapporto io-e-tu, secondo un principio dell'inclusione in cui, nell'incontro con l'altro, «l'io non nega la propria realtà, ma cerca di includere la realtà dell'altro». Tale contesto è solo all'apparenza astratto, e trova invece una concretezza storica e attuale nella raccolta di saggi che La Giuntina manda in questi giorni in libreria: Una terra e due popoli. Sulla questione ebraico-araba (testi scelti e introdotti da Paul Mendes-Flohr, a cura di Irene Kajon e Paolo Piccolella, pp. 372, e 18). Quest'antologia di scritti buberiani è quanto mai opportuna, e l'apparato critico aiuta il lettore a districarsi fra i dati storici che sono la cornice indispensabile di queste riflessioni. Perché Buber non solo scrisse di queste cose: furono la sua vita, e una militanza mai stanca, fino all'ultimo.
    La questione fondamentale, che è anche lo spartiacque del pensiero sionista nelle sue due correnti fondamentali, si pone in questi termini: il ritorno del popolo d'Israele alla sua terra significa conquista di una «normalità» nazionale, ambizione a diventare un paese come ogni altro? Oppure questo risorgimento ebraico deve avere come presupposto una vocazione particolare, in continuità con l'«eccentrica» condizione del popolo d'Israele?
    Se Theodor Herzl era mosso dall'urgenza di rendere gli ebrei uguali agli altri popoli, per farli sfuggire all'antisemitismo e alla limitatezza esistenziale della diaspora, Buber è dell'avviso opposto. Per lui l'elezione d'Israele rappresenta la base del ritorno alla terra (che considera urgente e necessario), della costruzione di un ebraismo «produttivo», che il filosofo sente come un'istanza di giustizia. Non solo per gli ebrei stessi, bensì per tutto l'Occidente. «Se in Occidente - scrive nel 1929 - vi sono speranze di una intuizione perfetta di vita umana, allora questa fede nel futuro vive di ciò che è stato iniziato e interrotto a causa della fine della comunità ebraica».
    Ma che cosa è esattamente questa elezione, che ha inventato la speranza e il futuro? «Essa non intende affermare alcun sentimento di superiorità, bensì di determinazione: non deriva da alcun confronto di sé con gli altri, ma dalla necessaria dedizione al proprio compito, a quel compito ai cui primi tentativi di esecuzione il popolo crebbe come nazione».
    Nel rispetto di questa vocazione, di un principio di giustizia se non dettata per filo e per segno certo suggerita dal cielo, Buber fonda la sua idea di terra promessa. In nome di quel principio di giustizia egli ritiene fondamentale il presupposto della convivenza, il confronto con quell'altro da sé, quel tu che condivide questa terra: la popolazione araba con i suoi diritti. Tutto ciò accanto alla battaglia che il filosofo ingaggia per il ritorno alla terra degli ebrei, perché sia consentita loro l'immigrazione in quella terra. Per una nuova, produttiva dimensione della storia d'Israele. Le parole di Buber sono sempre ferme, lucide, a volte profetiche.

(La Stampa, 22 febbraio 2008)





MUSICA E IMMAGINI




In the Window




INDIRIZZI INTERNET




Naomi Ragen

Solly Ganor -- Remembrance




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