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Notizie su Israele 418 - 21 marzo 2008

1. Siamo tutti esseri umani
2. Utopie e imposture
3. Per difendersi dai missili Qassam
4. Impossibilità di una mediazione
5. In calo l'immigrazione in Israele
6. Libri
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Ezechiele 37:28. «Le nazioni conosceranno che io sono il Signore che santifico Israele, quando il mio santuario sarà per sempre in mezzo a loro».
1. SIAMO TUTTI ESSERI UMANI




Ebrei e arabi cantano insieme per la liberazione
di Gilad Shalit

Gilad Shalit
Il rapimento da parte di Hamas del caporale Gilad Shalit è senza dubbio uno degli avvenimenti più duri per Israele in questi ultimi anni. Molti progetti sono stati fatti per attirare l'attenzione sul fatto che il soldato è ancora nelle mani dei suoi rapitori, dal lancio di palloni fino a delle corse in bicicletta.
Martedì 11 marzo, nel villaggio di Ibilin, ebrei, cristiani, musulmani e drusi si sono riuniti per cantare insieme e chiedere la liberazione del prigionero.
All'età di 11 anni Gilad Shalit aveva scritto un piccola storia: «Quando lo squalo e il pesce s'incontrano per la prima volta». È la storia di due nemici che alla fine del percorso decidono di vivere l'uno accanto all'altro piuttosto che mangiarsi a vicenda. Il musicista israeliano Yuval Dor ha messo in musica questa storia. Poi ha chiesto all'artista arabo Djémal Moussa di diffondere questo piccolo racconto in lingua araba. Così degli artisti ebrei e arabi si sono messi insieme per tradurre e comporre una canzone tratta dalla storia del ragazzo Shalit. Martedì 11 marzo hanno cantato insieme per la prima volta e si propongono di continuare.
«Siamo tutti esseri umani, abbiamo tutti una madre e proviamo tutti l'orrore che può provare qualcuno in una prigione senza alcun contatto col mondo esterno», ha dichiarato Djémal Moussa.

(Un écho d'Israël, 12 marzo 2008 - trad. www.ilvangelo-israele.it)






2. UTOPIE E IMPOSTURE




Israele e Palestina: la bugia dei due Stati

Come gemelli siamesi inoperabili: sepàrali e li uccidi entrambi

di Guido Ceronetti

La fabbrica delle bugie non conosce crisi, le assunzioni in pianta stabile non finiscono mai. Vorrei segnalare una impostura delle più credute, delle più facili, delle più ripetute, delle più diffuse. Non ha né destra né sinistra, è un luogo comune infarcito di falso: l'impostura dei due Stati, Israele e Palestina, di cui uno è riuscito a essere Stato (dopo sessant'anni giusti di esistenza ufficiale in guerra permanente), l'altro semplicemente non potrà mai farcela a diventare qualcosa che somigli a uno Stato. Purtroppo si tratta di due siamesi inoperabili: sepàrali chirurgicamente, li uccidi entrambi.
Eppure tutti, dal più potente ministro degli Esteri all'articolista politico meglio informato, non hanno, quando parlano della faccenda, che questo asso nella manica di soluzione da proporre: due Stati, due Stati... Gli stessi scrittori israeliani, nella stretta della disperazione che li opprime, quando annaspano per una boccata di soluzione riossigenatrice, ufficialmente almeno, parlano dei due Stati, che in termini religiosi è come dire che il Messia sta venendo. Lo penseranno davvero? Vedono o no che, se sei dentro un vicolo cieco in astratto, non c'è piccone che ti rompa il muro? Seguitando a pensare che bastino certe combinazioni di volontà umane a mutare un destino, siamo tagliati fuori da un rapporto vero con la realtà. Al razionalismo politico sfugge l'essenza crudamente religiosa del conflitto palestinese.

BREAK IN NEWS - Avviato da poco questo articolo, arriva anche a me, repentina, la notizia della inumana strage della yeshivà alla periferia di Gerusalemme. Il giubilo in entrambi i cantoni del paese-Palestina, in casi simili, ne supera le divisioni: «Se il nemico è in lutto, io mi crogiolo nella gioia». Israele fa la guerra, le fazioni terroristiche attuano una pratica rituale di morte che ha per base la lettura alla lettera di un testo sacro. Uno Stato combatte, sia pure (è la sorte funesta delle guerre contemporanee) con ricadute, sempre, sui civili; l'atto terroristico suicida viene de profundis, dai gradi più bassi di una sacralità degenerata. Torno alla mia tesi iniziale: uno Stato palestinese è impossibile, uomini dalla faccia dell'ombra non possono, né mai vorrebbero, dar vita a uno Stato. Perché ingannarsi? Perché ingannare?

Trovo molto persuasive e illuminanti alcune idee di Daniel Sibony, psicanalista e filosofo, che alcuni anni fa intervistai a Parigi.
Ebreo e arabofono per nascita marocchina, Sibony possiede invidiabilmente Bibbia ebraica e Corano, i testi cristiani e la storia d'Israele nel XX secolo; scrive oscuro e affascinante, come Jung o Lacan. Dove l'osservazione superficiale vede nient'altro che una «occupazione coloniale» alla quale un popolo oppresso resisterebbe, fino a usare, per disperazione, armi ripugnanti ma esaltanti, come il suicidio terroristico, è all'opera secondo Sibony qualcosa di molto più profondo, la ferita insanabile di aver visto risorgere e vincere guerre quelli che il loro Testo ha maledetto e rigettato tra i vinti, un male risentito in tutto il mondo islamico. Di grado in grado della psicopatia antisemita, al-Qaida è arrivata a giudaizzare l'America e l'intero Occidente, come propaggini dell'odiato nemico ebreo, un fantasma religioso, ben altro che un blocco d'armi sofisticate. Dunque l'enigma dell'antisemitismo, tornato religioso, resta da decifrare, con motivazioni tradizionali implicate e nuovi modelli di deviazione psichica, imbarcati a milioni, con armi e urla, sulla Nave dei Pazzi della storia...
Israele è laico, tollera le minoranze religiose, mezzo ateo, forse avviato a esserlo del tutto, e a un pugno risponde, avendone la forza, con due. Ma nell'avversario il pugno non è laico per niente, la cintura di tritolo, il missile Qassàm sono gesta Dei per Palaestinos e di ogni colpo che va a segno l'onda lunga rimanda il suono uraganico Allah è grande. Si può fare Stato di una frazione minima di Palestina che ragiona e tratta (ma guasta e infida), riattaccandola a una forza religiosa totalizzante come Hamas, per cui «l'usurpazione sionista» è in realtà occupazione di spazio sacro, che richiede una Soluzione Finale di purificazione definitiva (leggi: sterminio, cancellazione dell'identità nemica)? Per quel che posso io comprenderne con strumenti di solo pensiero informato, Gaza di Hamas è già un regime teocratico non statuale, da rissa interpalestinese passata a lembo di umma islamica mondiale, escludente sia la trattativa politica sia la soluzione militare. Gaza non è la Casbah di Algeri del tempo di Massu: in una Casbah missilistica mondializzata una «battaglia di Algeri» è impensabile, quantunque possa far perdere la testa aver a che fare con una follia simile. Ma là, come alle Torri Gemelle, si è già dentro una guerra escatologica, da Dies irae dies illa, sullo sfondo di un orizzonte incandescente. Un magma di fanatismo non è luogo per negoziatori e statisti - e neppure per generali. Buco Nero...
Naturalmente, per gente simile, il brutale soffrire umano - principalmente della propria parte - è del tutto indifferente. La bocca contorta dal lutto vero, non per recitazione di formule d'odio predicato, è messa in gloria di Trascendenza.
Un po' d'immaginazione: Gaza, Ramallah, Betlemme potrebbero mai diventare capitali credibili? L'assurdità dei due Stati che si tengono per mano col grembiulino non è abbastanza evidente? Non è tempo di farla finita con questa impostura da oratorio buonista? Quante utopie, segate come rami in gemme di alberi sventuratamente italiani, segnano sabbie e asfalti di quella che i Papi, caparbi e trasognati, non finiranno mai di nominare come Terrasanta!

(La Stampa, 17 marzo 2008)





3. PER DIFENDERSI DAI MISSILI QASSAM




Israele pensa di adottare temporanemente un sistema americano per la difesa dai missili Qassam

Il sistema è prodotto da Raytheon

TEL AVIV - Secondo alcune indiscrezioni, lo Stato di Israele starebbe pensando ad acquisire "Temporaneamente" un sistema di difesa contro i piccoli, ma comunque pericolosi missili palestinesi Qassam, che piovono sul territorio israeliano con sempre maggiore frequenza.
Il missile Qassam, del quale sono state prodotte varie versioni, è un'arma molto semplice da produrre, del tutto priva di guida e di qualsiasi dispositivo di controllo, può essere paragonato come tipo ai missili Katiusha usati dai russi durante la seconda guerra mondiale e lanciati da razziere denominate "Organo di Stalin".
Il Qassam è quindi molto diffuso fra gli attivisti palestinesi della Striscia di Gaza, ma non ha alcuna precisione ed è un'arma con una scarsa portata che colpisce a caso.
Comunque, per cercare di limitare i rischi per la popolazione, il governo israeliano, al di là di adottare un sistema di difesa anti-Qassam prodotto "In casa", ma che comunque non riuscirebbe ad essere operativo prima di due anni circa, starebbe nel frattempo prendendo in considerazione l'opportunità, comunque non molto apprezzata a livello governativo, di utilizzare un sistema già in produzione negli Stati Uniti con il nome di Goalkeeper (portiere calcistico), del tipo utilizzato sulle navi per distruggere i missili in arrivo, in particolare quelli a bassissima quota, che sfiorano la superficie del mare.
Il sistema, che ha la possibilità di essere montato anche su veicoli pesanti, si basa su 2 radar di tiro disgiunti, uno di ricerca in banda I rotante su di un supporto superiore per l'aquisizione dei bersagli, e uno in banda K e I con antenna a scansione conica per il loro inseguimento. I radar sono ad alta definizione, il che permette di avere un chiaro ritorno di segnale anche da piccolissimi bersagli come i mssili Qassam (che sono lunghi meno di due metri e con un diametro di meno di 20 centimetri), e sono impiegati in congiunzione con uno o due cannoni a 7 canne rotanti da 30 millimetri, in grado di sparare fino a 70 colpi al secondo ciascuno, con una portata utile di 3000 metri.
Il cannone utilizza cartucce con bossolo 30x173 ed un proiettile del peso di 360 grammi, sparato all'elevatissima velocità di 1100 metri al secondo: la dotazione standard prevede 1350 colpi prontamente disponibili.
Questo cannone, è in effetti l'Avenger controcarro dell'aereo da attacco statunitense A-10 Thunderbolt, con il quale l'aereo, utilizzando proiettili ad uranio impoverito, è in grado di demolire qualsiasi carro armato moderno, grazie anche all'elevatissimo volume di fuoco.
Il sistema radar del Goalkeeper è capace di localizzare e tracciare ben 18 bersagli in arrivo alla volta, per cui è in grado di tenere sotto controllo anche uno sciame di missili Qassam lanciati tutti insieme.
Il sistema anti-Qassam è comunque facilitato dal fatto che detto missile ha un volo che avviene a relativamente bassa quota, ad una velocità abbastanza bassa e che non è guidato in alcun modo, per cui la sua traiettoria è facilmente prevedibile dal sistema che così lo può colpire più agevolmente.

(Avionews, 18 marzo 2008)





4. IMPOSSIBILITA' DI UNA MEDIAZIONE




Se l'odio religioso affossa la politica

di Alessandro Leto

«Colpire il terrorismo come se non ci fossero negoziati in corso e negoziare come se non ci fosse il terrorismo», questo in sintesi era uno dei cardini della «dottrina Rabin» che oggi il Premier israeliano Olmert tenta di perpetuare. Ma il quadro politico di riferimento si è modificato strutturalmente nel corso degli ultimi mesi: l'avvento di Hamas quale forza di occupazione territoriale di una parte dei territori dell'Autorità Nazionale Palestinese, militarmente molto più dotata della stessa milizia governativa ed il suo radicamento fra la popolazione grazie alle attività di supporto e filantropia nella vita quotidiana, hanno delegittimato inesorabilmente le istituzioni palestinesi.
    Abu Mazen non è sostanzialmente riconosciuto come tale nella sua veste istituzionale a Gaza e la componente irredentista che ostacola politicamente e combatte in armi ogni progresso nel processo di pace, rifiuta a priori il concetto di esistenza stessa di Israele. E non si tratta di una posizione di estremismo politico, come quelle cui ci aveva abituato Al Fatah con Arafat nel corso del suo esordio sanguinoso, perché la radice laica di quella formazione si fermava alle rivendicazioni di natura politica e nazionale del popolo palestinese nella diaspora.


Oggi Hamas ha pericolosamente spostato l'asse della contesa su posizioni religiose oltranziste, che per loro natura non sono negoziabili, e che si saldano con le tante altre che nell'area accomunano sciiti e sunniti nella loro rivalsa contro l'Occidente ed Israele appunto quale suo avamposto in Medio Oriente. Prova di questo è il carattere marcatamente religioso del recente attacco di Hamas alla scuola talmudica Merkaz Ha Rav di Gerusalemme, che rappresenta il fulcro ideologico intorno al quale ruota l'identità politica del Movimento dei Coloni. Questo è il «Blocco dei Fedeli», o Gush Emunim, attivo fin dalla guerra del 1967 che ha animato la colonizzazione dei territori, conferendogli la necessaria legittimazione sotto il profilo nazional-religioso.
    Ora, è del tutto evidente come dal punto di vista della politica internazionale, si sia giunti ad una svolta drammatica del conflitto, non inedita, ma fuori dall'orbita della politica, per proiettarlo in un altra dimensione, all'interno della quale non è possibile alcuna mediazione. Il Processo di Pace di Annapolis, come quelli precedenti, aveva trovato compromessi politici sostenibili ed accettabili da entrambe le parti proprio perché la contesa era di natura espressamente politica e le rivendicazioni territoriali, come il ritiro parziale dei coloni, o il rientro della diaspora palestinese, trovavano in quella sede una opportunità di confronto prima e di soluzione poi. Ma quando si scivola sul piano inclinato dell'odio religioso, la componente emotiva diviene il fattore dominante e la politica, già debole in questo inizio di millennio, diviene penosamente impotente.
    E con essa anche i ledaers che hanno mietuto successi planetari pochi anni or sono come Tony Blair, si rinchiudono in un assordante silenzio che acuisce sgomento e paura. Se anche un uomo del suo spessore, con la sua esperienza e la corposa dotazione di ambizioni che lo hanno sostenuto nell' accettare il ruolo di coordinatore del Quartetto per la pace in Medio Oriente tace, ebbene allora è la stessa speranza che rischia di venir meno. Di fronte al torvo trionfatore di questa politica della morte per la morte, cioè Hamas padrone incontrastato ormai del territorio, la ragione e le argomentazioni tradizionali della politica di cui l'ex- premier britannico è portatore, rappresentano solo parole vuote. Questo dramma è per lui un serio problema personale che mina la sua candidatura in pectore a prossimo Presidente della Commissione UE, ma soprattutto è per tutto l'Occidente la presa di coscienza del fallimento dell'intero impianto negoziale su cui fino ad oggi si è tentato di risolvere la questione israelo-palestinese, cioè la sua natura politica. Di fronte a questo saldarsi dell'asse ultra confessionale, distorto ed abusato a fini di mero potere basato sul terrore, praticato dall'Iran e dai suoi bracci armati secolari nell'area, Hezbollah in Libano ed Hamas in Palestina appunto, non sarà certo il confronto imperniato sulle ben note questioni politiche a portare ad una pacificazione dell'area. Blair ha solo una mossa che lo può togliere da questo impasse, dimostrare la complicità e la leadership confessionale in questa guerra asimmetrica e sanguinaria, del regime di Teheran. Se non lo farà subito, si rischia che le ragioni perverse di questa politica che punta all'affermazione territoriale dell'Iran come super potenza dell'area, si saldino con le pretese muscolari delle potenze energetiche che trovano proprio nell'instabilità politica la possibilità di continuare a vendere il loro petrolio agli attuali, folli prezzi. Con il conforto ideologico dell'unico nemico esterno, l'Occidente, che serve a dominare le rispettive opposizioni interne. Il rifiuto della Libia di aderire al documento di condanna contro l'ultimo attentato di Gerusalemme è un pericoloso segno in questa direzione.

(Corriere del Ticino, 17 marzo 2008)





5. IN CALO L'IMMIGRAZIONE IN ISRAELE




L'Agenzia Ebraica cambia

di Giorgio Raccah

GERUSALEMME - Sessant'anni dopo la costituzione dello stato di Israele e a 85 anni dalla sua nascita, l'Agenzia Ebraica volta pagina e si prepara a chiudere lo storico dipartimento per l'immigrazione degli ebrei e per il loro assorbimento nel Paese. D'ora in poi, pur senza rinunciare alla finalità originaria che fu colonna portante del movimento sionista mondiale, l'accento sarà posto sull'istruzione e sul rafforzamento dell'identità ebraica e dell'ideologia sionista nella Diaspora. "L'Agenzia Ebraica - dice all'ANSA il portavoce, Michael Jankelowitz - è un organo dinamico che si adatta alla realtà". Nella situazione attuale, visto che da diversi anni l'immigrazione è in drastico calo e che nel 2007 è stata di meno di ventimila persone, "non c'é ragione di tenere in vita un dipartimento che annualmente costa cento milioni di dollari" (63 milioni di euro circa). La decisione di eliminare il dipartimento dell'immigrazione, fondendolo con altri, è perciò una conseguenza del calo nel numero di immigranti ebrei, dovuto sia al fatto che due dei tre principali serbatoi di ebrei al mondo - quello dei Paesi di lingua russa e soprattutto dei Paesi arabi - si sono esauriti, sia al carattere ormai individuale e non di massa che ha assunto l'immigrazione in Israele. Il terzo grande serbatoio è quello degli ebrei americani che in gran parte non mostrano interesse a trasferirsi in Israele.
    A liquidare la maggior parte degli ebrei dell'altro grande serbatoio, quello in Europa, ci pensarono i nazisti. Il calo dell'immigrazione preoccupa Israele, che deve fare i conti con un tasso di natalità della popolazione ebraica inferiore a quello dei palestinesi e che in prospettiva rischia di fare degli ebrei una minoranza nel Paese (Israele e territori occupati). Tra i palestinesi circola perciò da anni un'amara e celebre battuta: "Copulare per non farsi occupare". Israele (esclusi i Territori) conta attualmente 7,2 milioni di abitanti, il 75% dei quali è costituito da ebrei, cioé intorno ai 5 milioni e mezzo. I palestinesi a Gaza e nei Territori sono già più di 4 milioni, cui si aggiungono quelli residenti in Israele, che sono un altro milione. L'Agenzia Ebraica è un ente finanziato in gran parte dalle comunità ebraiche nel mondo, soprattutto negli Usa. Fu fondata nel 1923 allo scopo di incoraggiare e facilitare l'immigrazione degli ebrei in quella che era allora la Palestina sotto il mandato britannico, funzione che ha poi mantenuto dal 1948 in poi con la nascita dello Stato di Israele.
    Nella decisione dell'Agenzia ha contribuito tuttavia, al di là del drastico calo dell'immigrazione, anche una contrazione dei finanziamenti provenienti dalle comunità ebraiche nella Diaspora, e le pressioni degli stessi finanziatori, che preferirebbero donare fondi ad altre istituzioni ebraiche o che vorrebbero invece focalizzare l'Agenzia su questioni educative ebraiche nella Diaspora. I compiti del dipartimento per l'immigrazione e l'assorbimento, stando al piano di ristrutturazione tuttora in fase di definizione, saranno trasferiti agli altri due dipartimenti esistenti: quello per l'istruzione ebraica e sionista all'estero e quello per i programmi di benessere sociale in Israele. "Ma che sia chiaro - afferma Jankelowitz - noi non cessiamo di essere l'indirizzo per tutto quanto concerne l'immigrazione ebraica in Israele". L'Agenzia ebraica ebbe un ruolo rilevante soprattutto nei periodi di forti ondate immigratorie: nei primi cinque anni di vita di Israele, quando quasi un milione di ebrei, in gran parte originari dai Paesi arabi, arrivarono nel Paese; e poi negli anni Novanta quando con la dissoluzione dell'Urss giunsero un milione di ebrei di lingua russa: l'Agenzia afferma di aver aiutato a quel tempo tre milioni di ebrei a emigrare in Israele.

(ANSA, 20 marzo 2008)





6. LIBRI




La storia nascosta dell'Olocausto degli ebrei libici

di Emanuele Giordana

Eric Salerno, Uccideteli tutti, Il Saggiatore, 2008 pp.239, ¤ 17.

"Il ministro Teruzzi con foglio riservatissimo ha comunicato al generale Bastico che il Duce ha deciso che tutti gli ebrei della Cirenaica siano riuniti in un campo di concentramento della Tripolitania...". Come spiega la nota dei carabinieri italiani del 28 febbraio 1942 la "soluzione degli ebrei di Tripolitania", per usare le parole del console tedesco a Tripoli, era stata avviata su diretta iniziativa di Mussolini. In realtà, l'operazione di pulizia era cominciata ben prima, a partire dalla promulgazione delle leggi razziali anticipate dal "Manifesto della razza" del '38 e che prefiguravano, oltre alle disposizioni per l'Italia, anche le limitazioni da imporre agli ebrei residenti nelle colonie per "..togliere loro le posizioni acquisite in assoluta sproporzione con la loro entità numerica, ponendoli e tenendoli in un piano razziale inferiore". Gli ebrei di Libia erano diverse migliaia. Solo a Tripoli erano almeno 15mila di cui forse mille di origine italiana. Erano mercanti e imprenditori che figuravano soprattutto nell'élite locale ma non soltanto. Ce n'erano di provenienza italiana, francese, spagnola. Vivevano nelle città ma i più poveri, i "trogloditi della montagna", campavano d'agricoltura e piccoli commerci in uno stato di palpabile povertà. A sentire il generale Badoglio, che ne scrive nel 1930, gli "israeliti d'Italia son meglio degli israeliti di Tripoli...veri indigeni...(in cui) prevalgono l'egoismo, il disinteresse per gli altri, la pigrizia materiale e morale". La macchina dell'Olocausto era pronta comunque per tutti loro - ebrei di serie A o di serie B come la gerarchia razzista di Badoglio li aveva catalogati - e gli italiani la misero in moto istituendo un campo di concentramento a Giado, nel Gebel tripolitano, dove nel maggio del '42 vennero trasferite 2.597 "unità", come le chiama il linguaggio asettico della burocrazia coloniale.
    Oggi Giado è una cittadina della municipalità di Yefren e del campo di concentramento non restano nemmeno più le macerie. Per vedere com'era bisogna ricorrere a Mushi Meghidish, Moshe per gli amici, che in un garage vicino a Tel Aviv l'ha ricostruito in scala sulla base dei suoi ricordi di internato: "ci dissero – ha raccontato a Eric Salerno – che ci avrebbero ucciso tutti. L'ordine era arrivato dall'alto. Da lontano". Non tutti furono ammazzati ma Salerno, l'autore di "Uccideteli tutti. Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado (Il saggiatore), stima che nel campo morirono circa 600 persone "...uomini, donne, e tanti bambini perché sono i primi a cadere". Molti altri passarono il mare perché Giado era solo un avamposto nella macchina dello sterminio. Furono trasferiti in Italia e da lì a Bergen-Belsen "una delle anticamere della soluzione finale".
    Il libro di Eric Salerno, che alla Libia aveva già dedicato un bel saggio sul genocidio messo in atto dall'Impero, non riempie solo un vuoto storico della memoria collettiva su un capitolo dell'Olocausto poco indagato. Restituendo dignità agli ebrei di Libia, e per converso a quelli che vivevano nel Magreb, fa giustizia del duplice razzismo che li colpì: come ebrei e poi anche come africani. Uomini appartenenti a un mondo dove noi italiani avevamo portato la fiaccola della civiltà che avrebbe dovuto illuminare il cammino di popolazioni inferiori per carnagione, costumi e tradizioni oltre che per fede. Volutamente dimenticati dall'Italia, paradossalmente gli ebrei di Libia furono in qualche modo dimenticati persino da Israele: discriminati al processo ad Eichmann dove le sollecitazioni degli ebrei di Libia e Tunisia, che vi volevano testimoniare, vennero respinte.
    In parte questa storia nascosta degli ebrei del Magreb si deve anche a una sorta di loro vergogna o timidezza nel rivelare quel capitolo buio che costò la vita ad almeno mille persone. In parte. Spiega Yacov Haggiag-Liluf, del centro degli ebrei libici a Or Yehuda, cittadina vicina a Tel Aviv, che "anche se quanto capitato agli ebrei libici non può essere paragonato all'Olocausto degli ebrei europei per dimensioni" per decenni è stato insegnato che "l'Olocausto era patrimonio degli ebrei europei, soprattutto degli askenaziti". Fu detto a libici e tunisini – conclude – che non appartenevano a questa storia. Salerno restituisce loro quell'appartenenza.

(Lettera 22, 16 marzo 2008)





MUSICA E IMMAGINI




Elihavi




INDIRIZZI INTERNET




IsraHelp

israel today




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