1. IL SILENZIO DELL'ONU SUI QASSAM
Chi difende il Neghev?
Il ritiro unilaterale israeliano dalla Striscia di Gaza non solo non è stato utilizzato dagli arabi palestinesi per porre le basi di una prima costruzione di uno Stato indipendente e democratico, ma è divenuto, dopo il golpe di Hamas, la base di lancio dei Qassam contro le città d'Israele.
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"Non abbiamo figli di ricambio".
Scritto da manifestanti di Sderot |
Pur avendo occasione di governare in uno spazio territoriale significativo come Gaza, i gruppi terroristi di Hamas, al soldo del dispotismo iraniano, hanno, dapprima, perseguitato e scacciato gli uomini di Fatah, quindi hanno dato vita a un continuo attacco missilistico contro Sderot ed Ashkelon. Tale attacco proditorio e criminale imperversa sulle città del Neghev da ben due anni e mezzo, provocando rovine e vittime tra la popolazione civile israeliana. Nessuna reazione internazionale c'è stata, in quella evenienza, né da parte dell'Onu, né da parte della Farnesina, che, oggi, di fronte all'intervento di Tsahal volto a neutralizzare i continui lanci di razzi palestinesi, reagiscono con tanta asprezza contro Israele tacendo sulle cause dell'azione. La vittima sacrificale della follia terrorista di Hamas e dei suoi infami mandanti è, ancora una volta, la popolazione civile, dietro la quale, cinicamente, si nascondono coloro che con i Qassam seminano indiscriminatamente morte e distruzione fra i civili di Sderot e Ashkelon.
L'offensiva israeliana si è sviluppata sia con una serie di attacchi aerei, sia con l'ingresso dell'esercito nel territorio sul versante nord di Gaza, per tentare di neutralizzare i lanci dei razzi palestinesi in territorio israeliano. Ogni animo retto prova dolore e costernazione di fronte al dramma che vede le popolazioni civili vittime innocenti - sia palestinesi, sia ebraiche - della sconsiderata azione del terrorismo. Il segretario generale dell'Onu, ha chiesto la fine delle operazioni di neutralizzazione delle basi di lancio dei razzi palestinesi, da parte dell'esercito israeliano, ma non s'appresta alcuna soluzione fattibile per alleviare il peso di una situazione che, per Israele, si fa sempre più insostenibile.
Il presidente americano Bush ha lanciato l'appello alla cessazione delle violenze e alla necessità della ripresa del dialogo. Come sarà mai possibile l'accettazione di questa esortazione fintanto che nessuno fa cessare i lanci dei Qassam palestinesi? È lecito, per uno Stato che si rispetti, difendere il proprio territorio dagli attacchi che vengono sferrati da chicchessia, affinché ogni cattiva intenzione venga a essere scoraggiata, oppure tale prerogativa spetta solo e soltanto alla Turchia? L'Onu, da parte sua, poco o nulla ha fatto per bloccare l'azione venefica dei Paesi canaglia, come l'Iran e la Siria, che tanto palesemente manovrano i gruppi terroristi di Hamas e di Hezbollah, che lanciano continuamente sul territorio d'Israele i loro ordigni di morte e distruzione.
La condizione posta dagli israeliani, per bocca del ministro della Difesa Barak è chiara ed esaustiva, per chiunque voglia capire: "L'offensiva non potrà fermarsi fintanto che i Qassam palestinesi non cesseranno di cadere su Ashkelon e su Sderot". Ancora una volta Israele non può assolutamente permettersi il lusso di fidarsi degli organismi internazionali, che, regolarmente, evitano di andare a toccare i veri nodi che aggrovigliano la matassa e a intervenire sulle cause che bloccano qualsiasi tentativo di pacificazione. Israele, per non farsi stritolare dalla morsa che il totalitarismo di marca islamica cerca di stringergli attorno, deve essere uno Stato eccezionale, guidato da uomini e donne eccezionali, che siano in grado di fargli superare ogni asperità che gli si presenta sulla strada.
La tanto coraggiosa comunità internazionale, sempre pronta ad atti di condanna contro la "perfida" Israele, perché tace sui continui bombardamenti palestinesi? La tragedia, che ha colpito la popolazione di Gaza non nasce per caso, ma ritrova tutte le sue motivazioni nella vile assenza che le istanze internazionali hanno manifestato nel campo delle garanzie di spegnimento di qualsiasi fuoco di guerra e di minaccia alla pace nel Medio Oriente.
Riguardo all'Iran, poi, gran mallevadore di gruppi terroristi come Hamas ed Hezbollah, nulla si è fatto per frenarne e arrestarne la forsennata corsa all'armamento atomico, che ad irrisione dei vari "organismi di controllo", continua indisturbata a procedere. Non passa giorno che il piccolo Hitler, dalle tribune di Teheran, non proferisca minacce d'estinzione contro lo Stato ebraico. Il sud del Libano, in barba alla presenza delle truppe internazionali, è fortemente controllato dai terroristi di Hezbollah che si sono abbondantemente riarmati e che minacciano a nord il territorio d'Israele, tenendo, nel frattempo, in ostaggio lo Stato libanese. Il territorio di Gaza, scacciati con ignominia gli uomini e le strutture dell'Anp, vede il pieno predominio dei terroristi di Hamas, che ne hanno fatto una piattaforma di lancio di ordigni contro le città del Neghev, portando morte e distruzioni.
L'assenza degli organismi internazionali è stata massima e può ritenersi causa prima di ciò che sta succedendo nella regione mediorientale. È perciò nauseante e fuorviante qualsiasi accusa di olocausto rivolta contro Israele, che non fa che difendersi da un accerchiamento insostenibile. Mediti l'ineffabile signor ministro degli Affari esteri: spesso l'eccessiva equivicinanza, può essere uno strumento letale e sghembo, che può apportare solo visioni distorte e distorcenti della realtà.
(L'Avanti, 5 marzo 2008)
2. AL QAIDA ARRUOLA KAMIKAZE ONLINE
Videogame e forum per donne e bambini
Il web è ormai da anni uno degli strumenti preferiti e maggiormente utilizzati dal terrorismo, che ne ha colto immediatamente le potenzialità: una rete decentralizzata che assicura un perfetto anonimato, difficilmente sottoponibile a controlli o a restrizioni e accessibile a chiunque lo desideri. Internet è utilizzato dai terroristi per fare propaganda, raccogliere fondi, riciclare denaro sporco, reclutare e formare nuovi membri, pianificare e realizzare attentati.
Seguendo le strategie pubblicitarie occidentali, Al Qaida ha messo in opera il cosidetto "narrowcasting", una ricerca di mercato mirata per reclutare e formare le categorie più deboli e maggiormente infleunzabili: donne e bambini.
Attualmente sono oltre 5.600 i siti controllati e gestiti da Al Qaida e circa 900 quelli che ogni anno si aggiungono a questa cerchia. Il terrorismo sfrutta anche chat, e-mail, forum, videogame, risorse come YouTube e Google Earth. Internet è un media che ha destato fin dalla sua nascita grande riscontro tra i più giovani. Questo aspetto non è passato inosservato alle menti terroristiche.
Uno dei siti di Hamas, Al-Fateh o The Conqueror, è stato ideato espressamente per i bambini, presentando una grafica accattivante, stile cartone animato. Il titolo del sito promette discussioni sulla jihad, pagine scientifiche, storie inedite e racconti di eroi straordinari. Tra le canzoncine e le storielle scritte dai bambini stessi si trovano messaggi che promuovono il terrorismo suicida.
Per arrivare ai più giovani, però, la tattica più usata è quella dei videogiochi. Molti gruppi terroristici offrono infatti videogame gratuiti, creati come strumenti di radicalizzazione e formazione. Uno di questi è "Alla ricerca di Bush", videogame online realizzato da Global Islamic Media Front, organizzazione mediatica qadista.
Un altro esempio è Special Force di Hezbollah. Un videogame online dove il giocatore interpreta il ruolo di un guerrigliero che combatte in campagne terroristiche contro Israele. E' un gioco violento, dove i giocatori si esercitano a fare il tiro a segno con il ritratto dell'ex primo ministro israeliano Ariel Sharon e di altri personaggi israeliani. Chi ottiene un punteggio alto vince un certificato che viene presentato in una cerimonia virtuale e firmato dal leader Hezbollah, Nasrallah.
Nell'agosto 2007 ne è stata realizzata una nuova versione, intitolata Special Force 2, ambientata nella guerra in Libano del 2006. Il videogioco è stato prodotto dal "Partito di Dio" e permette al giocatore di avventurarsi in una guerra tridimensionale contro Israele. Il gioco è disponibile nelle versioni in arabo, farsi, inglese e francese.
Esistono poi numerosi siti islamici dedicati esclusivamente all'indottrinamento delle donne. Sono stati costruiti dei forum in cui le donne vengono incoraggiate a pianificare attentati suicidi, attraverso la pubblicazione di biografie di testamenti di alcuni martiri appartenenti sia alla storia islamica che ai tempi moderni.
Puntando su siti, forum e videogame specializzati il successo dei terroristi appare pressochè assicurato. Infatti è appurato che una persuasione sofisticata vada a buon fine quando il mezzo, lo stimolo, l'annuncio e la grafica sono stati creati su misura sul target che vuole essere raggiunto. La crescente partecipazione di donne e bambini al terrorismo suicida è senza dubbio un segnale d'allarme sul successo di queste pratiche.
(TGCOM, 13 marzo 2008)
3. DIALOGARE CON LA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA
Israele, la storia si ripete
di Elena Lattes
Ci risiamo, la storia si ripete all'infinito, sempre uguale a se stessa. Ogni volta che gli israeliani non riescono più a sopportare la pioggia di missili e il governo decide di tentare di smantellare le basi di lancio, perché il dialogo che continua imperterrito e non porta a nulla di concreto, l'Onu, la Comunità Europea, il nostro Ministro degli Esteri uscente e tanti altri fino a quel momento silenti si ergono a giudici e pubblici ministeri.
Mai una volta che qualcuno cominciasse a condannare la violenza prima della reazione israeliana. Mai una volta che qualcuno condannasse l'uso indiscriminato di bambini e deboli in genere come scudi umani da parte delle organizzazioni terroristiche. Come se anche la solidarietà ai civili israeliani attaccati dovesse subire una sorta di par condicio o sottostare ad una priorità predefinita: prima quella ai palestinesi, poi, forse, ma solo tra i più magnanimi, bontà loro, anche quella ad Israele. Come se i civili palestinesi non solo fossero più importanti di quelli israeliani, ma acquistassero una certa valenza soltanto se la loro morte o il loro ferimento si può in qualche modo attribuire ad Israele, anziché alle organizzazioni terroristiche che approfittano della loro debolezza o della loro ingenuità. Altrimenti come spiegare il silenzio assordante sui 214 palestinesi che sono rimasti uccisi negli scontri tra Hamas e Fatah negli ultimi tempi? Come spiegare la totale indifferenza per l'"educazione" al martirio e alla jihad?
Questo eccessivo ritardo e questa parzialità così palese, fanno venire il sospetto che nulla hanno di equivicino, né tanto meno di imparziale. Qualcuno sostiene ancora che la violenza palestinese sia dovuta all'occupazione israeliana. Ma dal 2006 ad oggi, cioè da dopo che Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza e da dopo la libera elezione (almeno così si sostiene) di Hamas, sono stati sparati su Sderot più di 9000 missili. Gli ultimi, quelli della settimana scorsa, che sono arrivati anche ad Ashkelon, una cittadina di 120 mila abitanti che si trova più a nord, causando la morte di un uomo di 47 anni, padre di 4 figli e il ferimento grave di diversi bambini, sono stati lanciati, secondo le rivendicazioni terroristiche, come reazione alle vignette danesi. Qualcuno ha sollevato qualche protesta per questo? Qualcuno si è preso la briga di spiegare ai dirigenti di Hamas che la Danimarca è lontana migliaia di kilometri da Israele e si trova in un altro continente? Qualcuno ha spiegato loro che Israele non ha niente a che vedere con le vignette pubblicate dal Jyllands Posten?
Si obietta che Israele dovrebbe dialogare con i terroristi e con la pistola puntata alla tempia (perché, è sempre bene ricordare che sia Hamas che Fatah indicano come scopo principale nel loro statuto la distruzione di Israele dal Fiume Giordano al Mar Mediterraneo). A parte il proseguimento del dialogo con Fatah e Abu Mazen, Israele continua perfino ad aiutare gli abitanti di Gaza, nonostante questi abbiano scelto Hamas e nonostante che questi aiuti, come per esempio l'energia elettrica, vengano spesso sfruttati per alimentare la guerra verso i civili del Paese donatore. Quale altro Stato farebbe così tanto? Non certo l'Italia che bombardò la Serbia, senza essere stata attaccata. Certamente non la Turchia che indisturbata ha bombardato il Kurdistan iraqeno. E l'elenco potrebbe andare avanti molto a lungo...
Da parte israeliana, poi, l'intenzione a dialogare non è venuta meno. "Siamo ovviamente intenzionati a proseguire nel processo di pace - ha affermato Olmert - All'inizio dei colloqui chiarimmo subito che desideravamo continuassero a dispetto della situazione sul terreno." Al contrario è Abu Mazen che ieri ha dichiarato di voler interrompere i colloqui, definendo gli scontri di Gaza "più che un olocausto" in un insostenibile paragone tra i milioni di morti nei campi di sterminio e i 50 caduti negli scontri.
Il mondo cosa fa? Vuole continuare a finanziare il terrorismo? Vuole continuare ad ignorare l'insegnamento all'odio, la costruzione di basi di lancio tra le abitazioni civili e le scuole? Vuole continuare ad ignorare il fatto che gli aiuti ai palestinesi vengono utilizzati per attaccare i civili israeliani, come è stato scoperto per i sacchi con targa Unione Europea nei quali al posto dello zucchero è stata trovata la materia prima per fabbricare il tritolo o come per i mezzi delle Nazioni Unite che trasportavano armi e terroristi?. Lo può anche fare ma a condizione che si metta bene in testa una cosa: come dice giustamente Dan Segre, è finita l'era in cui ammazzare gli ebrei non comportava nessuna conseguenza. Israele difende e difenderà i suoi cittadini, come qualunque altro Stato fa o dovrebbe fare.
(Ebraismo e dintorni, marzo 2008)
4. SONDAGGIO NEI TERRITORI PALESTINESI
Favorevole alla tregua con Israele la stragrande maggioranza dei palestinesi
Un sondaggio mostra che però non credono che nei prossimi anni ci sarà la pace con lo Stato ebraico. Giudizio contrastante sugli attentati suicidi, negativo sulla situazione economica e le prospettive personali.
GERUSALEMME (AsiaNews) I palestinesi, sono in stragrande maggioranza a favore della tregua con Israele, anche se non credono che nei prossimi anni non ci sarà la pace con lo Stato ebraico; sono per lo più contrari agli attentati suicidi, non vogliono lo schieramento di forze multinazionali a Gaza, anche se sono convinti dell'importanza degli aiuti di Usa ed Ue; vorrebbero elezioni per eleggere un nuovo capo dell'Autorità palestinese - ed in tal caso il più votato sarebbe Marwan Al-Barghouti, attualmente in prigione in Israele giudicano cattiva la loro situazione economica e pongono la sicurezza in cima alle loro preoccupazioni.
Sono i dati più significativi che emergono dal più recente sondaggio, reso noto oggi ed inviato ad AsiaNews, compiuto dal Palestinian Center for Public Opinion (PCPO), un ente indipendente che dal 1994 studia l'opinione pubblica palestinese, diretto da Nabil Kukali, cristiano, che è anche professore alla Hebron University, in Cisgiordania.
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La ricerca - compiuta prima che l'uccisione ieri da parte degli israeliani di uomini ritenuti coinvolti nella strage della scuola rabbinica di Gerusalemme e il
lancio di razzi da parte della Jihad gettasse ombre sulla tregua mostra che il 73% dei palestinesi è, a diversi livelli, favorevole alla tregua e solo il 24,3% contrario. Alla pace, però, non ci credono. Alla domanda "pensate che quando i vostri figli avranno la vostra età ci sarà pace con Israele?" solo il 39% ha risposto, a diversi livelli, affermativamente, contro il 60,9% che ritiene, a differenti livelli, di no.
Contrastato appare il giudizio sugli attentati suicidi: il 49,1% dei 1220 intervistati ritiene che essi non giovano attualmente agli interessi palestinesi, contro l'opposta opinione del 40,1% e ben un 10,1% che non dà risposte. Ad una più specifica domanda sugli attentati suicidi all'interno di Israele, il 49,4% ritiene che vadano fermati, contro il 40,2% che vuole che continuino ed un 10% che tace.
I palestinesi sono poi generalmente favorevoli (54,5%) ad elezioni presidenziali ed in caso di voto le preferenze indicate sono per Marwan Barghouti (24.3 %), l'attuale presidente Mahmoud Abbas (23.1 %) e l'ex premier di Hamas, Ismael Haniyeh(12.4 %).
Negativo infine il giudizio sulla attuale situazione. Il 72,6% giudica "cattive" ed il 23,1% "mediocri" le condizioni economiche nei territori palestinesi, il 60,1%, inoltre, si dice "pessimista" sulle prospettive future. A livello personale, le maggiori preoccupazioni sono la sicurezza (35.9%) ed il lavoro (25.0%), ma anche il futuro (20.3%) e la salute (17.5%).
(AsiaNews.it, 13 marzo 2008)
5. ARCHEOLOGIA IN ISRAELE
a cura di Duilio Pacifico
Per più di un secolo la storia dell'archeologia in terra d'Israele è stata al centro di molte e complesse vicissitudini. Sin dall'Ottocento, studiosi e viaggiatori europei erano animati dal desiderio di trovare qui reperti e testimonianze monumentali che potessero confermare gli avvenimenti narrati nella Bibbia. è necessario ricordare che il notevole dispiegamento di mezzi, sia militari che scientifici, che consentiva l'avvio dell'esplorazione archeologica in Terra Santa, faceva parte della politica imperialista delle potenze coloniali occidentali, di Gran Bretagna, Francia, Germania e, in minor grado, degli Stati Uniti e della Spagna e, più tardi anche dell'Italia.
Lo studio dei luoghi biblici venne esteso anche nei Paesi confinanti, come l'Egitto e la Mesopotamia. L'afflusso di dati archeologici si accrebbe sempre di più e così, quasi per necessità, l'esplorazione della Terra Santa venne gradualmente a concentrarsi nelle mani delle istituzioni religiose e delle scuole straniere fondate nel Paese. A partire dalla I Guerra Mondiale, il primato delle indagini archeologiche appartenne al governo britannico il quale, avvalendosi del supporto di varie istituzioni inglesi, intraprese il maggior numero di scavi.
Non c'è da meravigliarsi che gli Inglesi, considerandosi il primo regno cristiano stabilitosi nel Paese, dopo che i Crociati lo avevano abbandonato ben 800 anni prima, abbiano favorito in particolare proprio lo scavo dei molteplici siti che ancora testimoniavano la presenza in Terra Santa di quei cavalieri medioevali: la Cittadella di Gerusalemme, il castello di Athlit, il castello di Rabad in Transgiordania e così via.
Negli stessi anni il Sionismo politico, che aveva come obiettivo principale il ritorno di un'entità ebraica nel Paese, si riferiva alle scoperte archeologiche - anche se in parte inconsapevolmente come ad uno strumento per rinnovare, sul piano della propria identità culturale, l'antico legame con quella terra. Con lo scavo delle città di biblica memoria venivano alla luce le conferme della presenza ebraica nel passato storico di Israele: in questa ottica va vista, ad esempio, la scoperta delle mura di Gerico (che si pensava fossero quelle di Giosuè ) o quella delle famose "scuderie di Re Salomone" di Meghiddo, luoghi storici che non mancarono di sollevare un'ondata di entusiasmo tra coloro che ricercavano le testimonianze della loro antica presenza in questa terra.
In questa temperie un aspetto culminante era costituito dalle continue scoperte delle più antiche sinagoghe (ricordiamo che è recentissimo il rinvenimento della Sinagoga di Sefforis) che si aggiungevano al vasto inventario delle testimonianze ebraiche visibili e tangibili nel paese.
A questa motivazione, però , si affiancò anche una tendenza diversa: il desiderio, cioè, di esplorare il territorio di Israele senza condizionare le ricerche ad alcuna tendenza politica o religiosa. Gli archeologi israeliani incominciarono così ad interessarsi dei siti appartenenti a periodi storici diversi da quelli delle loro radici culturali.
Con il diverso approccio ideologico cambiarono anche il metodo e la tecnica della ricerca.
Già negli scavi di Meghiddo, all'inizio degli anni Trenta, venne impiegata la fotografia aerea: sugli scavi veniva fatto innalzare un pallone, equipaggiato con una macchina fotografica. La fotografia aerea acquistò poi un'importanza sempre maggiore fino a diventare uno strumento fondamentale della ricerca, aprendo una nuova dimensione alla riscoperta storico-archeologica del Paese.
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Grazie al dott Dan Bahat
Archeologo Israeliano
(Ladysilvia, 25 gennaio 2007)
6. LIBRI
Intervista all'ex ambasciatore israeliano in Italia
di Anna Fiorino
Ex ambasciatore di Israele in Italia, ha scritto un libro, «Da Gerusalemme a Roma» che raccoglie gli articoli pubblicati durante la missione italiana 2001-2006.
Vi si narra una personalità che verrebbe ovvio definire «al di là di ogni clichet» e che invece, più realisticamente, contiene un protagonista della storia del suo Paese, un diplomatico convinto che le soluzioni bisogna andarsele a cercare. Con tenacia, intelligenza e sacrifici. Ehud Gol vive per Israele e per la sua famiglia. L'Italia gli è rimasta nel cuore. S'abbandona alla nostalgia quando pensa alla Sicilia, alla Campania «a tutto il sud». E poi il cibo, il calcio: un po' Roma, un po' Lazio. Ai cinque anni romani dedicherà il suo prossimo libro.
Parla da Gerusalemme.
«C'è il sole, è una bellissima giornata».
- Anche a Roma. L'operazione «inverno caldo» si è appena conclusa. Hamas canta vittoria sorvolando sulle dichiarazioni del premier Olmert che ha confermato la linea dura in caso di nuovi bombardamenti.
«È una tragedia per noi e per i palestinesi. Tre anni fa siamo usciti da Gaza. Ci aspettavamo dialogo, collaborazione, ingoiamo violenza tutti i giorni».
- Trattative, dialogo, collaborazione. Alla fine sembra una beffa. Nulla cambia, la guerra continua.
«Trattare è giusto, inevitabile, necessario».
- Con chi?
«Non certo con Hamas, sono terroristi. Lo sanno tutti. Il mondo occidentale lo ha stabilito. E con i terroristi non c'è parola utile. Bastano le armi».
- E allora con chi?
«Con i moderati, con i palestinesi che vogliono la pace. Abbiamo lo stesso sogno».
- Che appare sempre più lontano.
«Ci vuole tempo. Non bisogna distrarsi dalla potenza negoziale, occorre un lavoro quotidiano per ampliare la qualità e la quantità delle relazioni con i moderati».
- Il senso è stringere relazioni, stabilire obiettivi comuni, determinare l'isolamento dei terroristi e colpirli?
«Sono nato qui. Israele ha relazioni di pace con la maggior parte del mondo arabo. Non c'è altra soluzione che continuare a parlare. A parlarsi».
- L'Iran vi vuole cancellare dalla faccia della terra, Hezbollah ha dichiarato guerra a Israele.
«L'Iran rappresenta un fattore di destabilizzazione. Il più negativo, il più pericoloso, soprattutto per la convinta adesione all'armamento nucleare. Iran, Hezbollah, Siria, Hamas. Eccoli, con loro è inutile trattare. Ci difenderemo, ogni volta che ci attaccheranno».
- L'America e i grandi mediatori sono sulla strada giusta?
«L'America esercita un ruolo importante. Da sessant'anni. Ora si sta scegliendo il nuovo presidente, è difficile aspettarsi iniziative diverse da quelle avviate».
- McCain o Obama? McCain o Hillary?
«Personalmente conosco soltanto la signora Clinton, ma, chiunque sarà il presidente, per noi non cambierà nulla. L'America è un alleato fedele. Fondamentali i suoi contatti con il mondo arabo. Non cambierà la lotta al terrorismo».
- Ha avuto parole dure nei confronti dell'Onu.
«Ho pensieri chiari nei confronti di una organizzazione di cui fanno parte 55 Paesi musulmani che non hanno relazioni con Israele, di un'organizzazione che accoglie molti Paesi totalitari che criticano Israele a prescindere».
- Insomma, a volte dannosa. E il dialogo avviato da Benedetto XVI fra le religioni del mondo le appare di una qualche utilità?
«Il dialogo si svolge e ha senso fra i moderati».
- Moderati nella Fede?
«Moderati. Naturalmente ostili al terrorismo».
- La scelta militare adottata in Iraq e in Afghanistan ha portato risultati concreti?
«In Iraq non c'è più Saddam, in Afghanistan non ci sono i taliban. Mi sembra un successo. Non siamo al cento per cento degli obiettivi raggiunti. Ma i risultati dimostrano che i militari servono».
- E costano.
«Il 25 per cento del nostro bilancio è destinato alla difesa. Un peccato: miliardi di dollari che potrebbero essere destinati allo sviluppo. A far crescere il nostro Paese».
- Il terrorismo spaventa e impoverisce. Vuol dire questo?
«Anche. Il terrorismo e la fame sono i problemi del mondo».
- Passando per acqua e petrolio.
«Alcuni Paesi usano il petrolio come arma, altri tendono a minimizzare la questione. La verità è che bisogna concretamente pensare a risorse energetiche alternative per sottrarsi a ogni possibile ricatto. Per l'acqua è più difficile. In Israele ancora di più. Questione amara, facciamo il massimo».
- I prodotti cinesi a basso costo, la droga afghana, l'intraprendenza indiana, gli arabi in grado di comprarsi il mondo, un messicano appena diventato il più ricco della terra. Che fine faranno America ed Europa?
«Devono unirsi e collaborare sempre di più per vincere le prossime sfide. Non possono fare altro. È un obbligo».
- In mezzo c'è la Russia.
«Solo otto anni fa era un Paese debole. Oggi, dopo Putin, ha un ruolo molto più centrale. Vedremo che cosa farà il neo presidente. Diamogli tempo».
- Che voto dà alla nostra politica estera vista da Gerusalemme?
«Ben bilanciata. L'Italia è un Paese chiave fra quelli che ci sono vicini. Quando ero a Roma c'era Berlusconi al governo e abbiamo avuto relazioni straordinarie».
- Il ministro degli Esteri D'Alema è convinto che bisogna trattare con tutti quelli che stanno a Gaza, non solo con il presidente Abu Mazen.
«Da qui non posso valutare le sue dichiarazioni».
- Che s'aspetta dal prossimo governo?
«Quello che abbiamo avuto dal precedente e prima ancora, amicizia e qualcosa di più: più visite, più scambi commerciali. Relazioni chiare».
- Due parole su Veltroni.
«Peccato non averlo incontrato alla presentazione del mio libro. È stato un buon sindaco».
- E su Berlusconi.
«Grande amico, ha scritto la prefazione al mio libro».
- Quante volte al giorno parla con il presidente Olmert?
«Lo sento quando posso. Il mio lavoro, quest'anno, mi porta continuamente in giro per il mondo».
- La politica è la sua passione?
«La famiglia è la mia passione, la politica è un interesse».
- E la Fede, com'è il suo rapporto con Dio?
«Senza Fede una persona non è completa».
- C'è qualcosa che le fa paura?
«Sì, il terrorismo».
(Il Tempo, 6 marzo 2008)
MUSICA E IMMAGINI
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