1. COSSIGA PARLA E LA GRANDE STAMPA TACE
Qualche giorno fa il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha intervistato Francesco Cossiga. Tema di discussione il cosiddetto "accordo Moro" in vigore negli anni Settanta e Ottanta: l'Italia avrebbe concesso campo libero alle organizzazioni terroristiche palestinesi, ricevendo in cambio l'immunità dagli attentati in patria e all'estero. Da questo patto però erano esclusi gli ebrei. Infatti almeno due attentati, quello alla Sinagoga di Roma e quello all'aeroporto di Fiumicino, sembrano essere stati effettuati con la tacita connivenza dei servizi segreti italiani.
«Vi abbiamo venduti»
di Menachem Gantz
In casa di Francesco Cossiga, nel cuore del quartiere Prati di Roma, sventolano - l'una accanto all'altra - tre bandiere eleganti: quella dell'Italia, quella della Regione Sardegna e quella di Israele. Non sempre l'ex Presidente della Repubblica italiana - uno dei politici più noti e di buona fama del Bel Paese - era un tale amante di Sion. Una volta, negli Anni Cinquanta, fu lui ad inaugurare l'Associazione d'amicizia Italia- Palestina. Poi, quando era Presidente del Senato, ha persino dato, nel suo Gabinetto, asilo ad Arafat quando era stato emesso un mandato di cattura nei suoi confronti.
Ma oggi, a ottant'anni, Cossiga ama Israele. Questo è forse il motivo per il quale accetta quasi immediatamente, senza condizioni, di concedere un'intervista ad un giornale israeliano. Questo è forse anche il motivo per cui è disposto ad aprire, con raro candore, un vaso di Pandora tra i più stupefacenti e orripilanti dell'Italia, [che egli ha conosciuto] nei lunghi anni di servizio pubblico. Sarà forse l'imbarazzo, la volontà di riparare al male causato dall'accordo in cui l'Italia avrebbe di fatto permesso di sottrarre la vita di qualsiasi ebreo in quanto tale - sarà forse questo che lo porta ad aprire la storia per intero.
Tutto è cominciato lo scorso agosto, quando la maggior parte degli italiani inondava le spiagge per le vacanze estive. In un'intervista al Corriere della Sera, Bassam Abu Sharif, considerato il ministro degli esteri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina negli Anni Settanta e Ottanta, ha svelato che in quegli anni i Governi di Roma permettevano ad organizzazioni terroristiche palestinesi di agire liberamente in territorio italiano, in cambio [di un impegno] a non colpire obiettivi nazionali in Italia e nel mondo. L'accordo, secondo Abu Sharif, era stato denominato "L'Accordo Moro", riprendendo il nome di Aldo Moro, ex Presidente del Consiglio assassinato nel 1978, che ne era il responsabile.
Cossiga si è affrettato [in agosto] a confermare le asserzioni di Abu Sharif. "Ho sempre saputo - benché non sulla base di documenti o informazioni ufficiali, sempre tenuti celati nei miei confronti - dell'esistenza di un accordo sulla base della formula "tu non mi colpisci, io non ti colpisco" tra lo Stato italiano ed organizzazione come l'OLP ed il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina", ha ammesso in un articolo pubblicato dal Corriere.
Ma quella pubblicazione aveva lasciato dei buchi, degli interrogativi troppo grandi. Se l'Italia aveva ottenuto l'immunità dal terrorismo palestinese, come mai ebbero luogo nel Paese attentati sanguinosi contro obiettivi ebraici? Se c'era un accordo, come mai vi erano stati uccisi ebrei innocenti?
Ora Cossiga rivela tutta la verità. "In cambio di una "mano libera" in Italia", ammette in un'intervista speciale, "i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e [l'immunità] di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici - fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d'Israele". In altre parole: gli italiani non si toccano, ma se sono ebrei - questo è già un altro paio di maniche.
"Per evitare problemi, l'Italia assumeva una linea di condotta [che le permetteva] di non essere disturbata o infastidita", spiega Cossiga, "Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l'Italia più degli americani, l'Italia si arrese ai primi. Posso dire con certezza che anche oggi esiste una simile politica. L'Italia ha un accordo con Hizbullah per cui le forze UNIFIL chiudono un occhio sul processo di riarmamento, purché non siano compiuti attentati contro gli uomini del suo contingente".
Cossiga ammette di essere rimasto sorpreso per l'indifferenza con cui venne accolta in Italia la sua rivelazione. "Ero convinto che la notizia pubblicata in agosto avrebbe risvegliato i media, che magistrati avrebbero cominciato ad indagare, che sarebbero cominciate interrogazioni ai coinvolti. Invece c'è stato il silenzio assoluto. A quanto pare, nessuno se ne interessa qui. Lei è l'unico ad avermi interpellato in materia".
Tuttavia, scavare nella profondità di questo dossier potrebbe rivelare agli italiani molto sul loro regime e sulla sua condotta. E pare non ci possa essere persona più qualificata, esperta ed informata dei dettagli di questo ambiente che Cossiga. Ha ricoperto innumerevoli cariche: Direttore Generale del Ministero della Difesa, Ministro dell'Interno, Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica. Le riforme che portò a termine nei servizi segreti italiani gli hanno guadagnato il soprannome "Spy Master". Oggi non ha più un ruolo ufficiale, a parte quello di Senatore a Vita, ma le telefonate di Ministri ed alti ufficiali della Polizia, che interrompono continuamente l'intervista, dimostrano che la sua posizione è inalienabile. Cossiga continua a muovere i fili.
I rapporti complessi con il meccanismo del terrorismo palestinese, li ha conosciuti per la prima volta alla sua nomina a Ministro dell'Interno nel 1976. "Già allora mi fecero sapere che gli uomini dell'OLP tenevano armi nei propri appartamenti ed erano protetti da immunità diplomatica", rammenta, "Mi dissero di non preoccuparmi, ma io riuscii a convincerli a rinunciare all'artiglieria pesante ed accontentarsi di armi leggere".
Più tardi, quando era Presidente del Consiglio nel 1979-1980, gli divenne sempre più evidente il fatto che esistesse un accordo chiaro tra le parti. "Durante il mio mandato, una pattuglia della polizia aveva fermato un camion nei pressi di Orte per un consueto controllo", racconta, "I poliziotti rimasero sbigottiti nel trovare un missile terra-aria, che aveva raggiunto il territorio italiano per mare". Nel giro di alcuni giorni, racconta Cossiga, una sua fonte personale all'interno del SISMI - lui lo chiama "gola profonda" - passò al segretario del governo informazioni in base alle quali il missile andava restituito ai palestinesi. "In un telegramma arrivato da Beirut era scritto che secondo l'accordo, il missile non era destinato ad un attentato in Italia, e a me fu chiesto di restituirlo e liberare gli arrestati".
Cossiga stesso, va sottolineato, non era stato mai ufficialmente informato dell'esistenza di questo telegramma. Se non fosse stato per la sua fonte nel SISMI, non sarebbe stato consapevole di tutta questa storia. "Alle dieci di notte telefonai al capo del SISMI e lo rimproverai, "Mi stai nascondendo delle informazioni. Perché non mi hai informato del telegramma indirizzato a me?". Ma egli, a quanto pare, era partecipe dell'accordo con i palestinesi".
Il Presidente del Consiglio cominciò a sospettare che dietro all'evento di poca importanza si celasse qualcosa di più grande. "Col tempo cominciai a chiedermi che cosa potesse essere questo accordo di cui si parlava nel telegramma", racconta. "Tutti i miei tentativi di indagare presso i Servizi e presso diplomatici si sono sempre imbattuti in un silenzio tuonante. Fatto sta che Aldo Moro era un mito nell'ambito dei Servizi Segreti. Sin dalla fondazione della Repubblica fino ai miei tempi al Quirinale ho conosciuto tre politici che sapevano utilizzare i Servizi Segreti: il fondatore, io, e Aldo Moro. La gente gli giurava fedeltà, e continuava anche dopo finito l'incarico".
Ma le vere prove dell'esistenza de "L'Accordo Moro", e soprattutto i suoi raccapriccianti dettagli, si potevano trovare solo nella realtà. Ventisei anni sono passati dall'attentato al ghetto ebraico di Roma, ma la ferita è ancora aperta. Era il 9 ottobre 1982. La prima Guerra del Libano era in corso, e la comunità ebraica era esposta ad un'ondata di odio senza precedenti. "Sentivamo l'atmosfera", racconta uno dei vertici della comunità di quei giorni, "sentivamo che qualcosa di terribile si stava avvicinando".
Quel giorno, poco prima di mezzogiorno, un commando di sei terroristi si scagliò contro la sinagoga, sparando e lanciando bombe a mano sui fedeli che avevano appena finito la preghiera. Decine di persone furono ferite. Stefano Tache', un bambino di due anni, rimase ucciso per mano dei terroristi.
Dichiarazioni ufficiali di condanna da parte dei politici al vertice furono subito rilasciate, ma gli ebrei di Roma non ne rimasero convinti. La sensazione di abbandono era grave: quel mattino, all'improvviso, sparirono senza spiegazione le due volanti della polizia che durante le feste ebraiche fornivano protezione all'ingresso della sinagoga. Anche dopo l'attentato è continuato l'atteggiamento strano. A tutt'oggi non sono stati pubblicati i nomi dei terroristi. Con il passare degli anni, prende sempre più piede l'ipotesi che anche attivisti dalla Germania ed elementi delle Brigate Rosse avessero sposato la causa di assassinare ebrei, ma a Roma non c'è stato a tutt'oggi un governo che abbia ritenuto necessario portare i colpevoli in corte.
"Io non avevo un ruolo ufficiale in quell'epoca", chiarisce Cossiga, che allora aveva terminato l'incarico di Presidente del Consiglio e ancora non era stato nominato Presidente del Senato. "Ricordo di essere arrivato per primo sul luogo dell'attentato. Ho visto la pozza di sangue del bambino di due anni".
Solo uno degli attentatori fu catturato, e nemmeno dagli italiani. Avvenne un mese dopo l'attentato, quando Abd El Osama A-Zumaher fu arrestato in Grecia con esplosivi nella sua macchina. I greci lo liberarono dopo sei anni, ed egli scappò in Libia. Le Autorità italiane non ne chiesero l'estradizione. "Oggi", ammette Cossiga, "non si può più scoprire tutta la verità su quanto accaduto lì. L'Italia non chiederà mai la sua estradizione, ed i libici non lo consegneranno".
Cossiga sa perfettamente il significato delle cose che sta rivelando qui, ne conosce la gravità. Né cerca di giustificare coloro che presero le decisioni. Tuttavia, anche oggi torna a spiegare la logica di questo pensiero: l'Italia non si immischia in quanto non la concerne. A prova di ciò, presenta l'altra parte. "L'azione del Mossad contro gli assassini degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 è passata anche per Roma", dice. Come noto, Adel Wahid Zuaitar, il simbolo della furbizia dell'organizzazione del Settembre Nero, fu ucciso a Roma. "Crede che l'Italia non potesse, a suo tempo, arrestare i due agenti che lo fecero fuori? Un giorno, mentre rientrava in casa, due giovani lo picchiarono all'ingresso e lo fecero fuori con due pistole munite di silenziatore. Crede che gli italiani non sapessero chi fossero? È ovvio che lo sapevano, ma in questioni del genere è meglio non mettere le mani, ed è questa la linea che guidava il comportamento dell'Italia".
Lei paragona l'eliminazione di un terrorista all'assassinio di un bambino di due anni all'uscita della sinagoga? "No, assolutamente no. Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell'ambito di quell'accordo di cui mi hanno sempre negato l'esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente". La colpa, tuttavia, la attribuisce solo ed esclusivamente ad Aldo Moro.
Tuttavia, basta un ulteriore singolo sguardo sull'Italia degli ultimi trent'anni per scoprire che l'influenza dell'Accordo Moro non è finita lì. Nel dicembre 1985, quando Cossiga era già Presidente della Repubblica, avvenne l'attentato sanguinoso al banco della El Al all'aeroporto di Fiumicino. Fu un attacco combinato, a Roma e a Vienna, a firma delle unità di Abu Nidal, in cui morirono 17 persone, di cui 10 in Italia. Le Autorità di Roma, superfluo anche dirlo, non si sono considerate parte in causa.
Come si concilia l'attentato all'aeroporto con l'accordo di non colpire obiettivi italiani? "Non furono colpiti obiettivi italiani", spiega Cossiga, "fu la compagnia aerea israeliana ad essere attaccata nell'aeroporto". Ma il territorio era italiano.
"I morti furono tutti israeliani, ebrei ed americani, non italiani. Gli scambi di fuoco non hanno incluso i nostri uomini, solo i palestinesi e gli addetti alla sicurezza di El Al e dello Shabak [servizi di sicurezza interna israeliani - Ndt].
Cossiga sa perfettamente il significato di ciò. Dal punto di vista dell'Italia, in fondo, l'attentato non era affatto una cosa che la riguardava. Fin tanto che non sono stati uccisi italiani non ebrei, tutto bene. "Non ho mai visto le carte, ma credo di sì. Così funzionavano le cose", ammette. Il capo del SISMI a quei tempi, Fulvio Martini, ammette in un libro che ha scritto che era stato ricevuto un vero e proprio avvertimento dell'attentato. "Qualcosa non ha funzionato con le forze della sicurezza italiane, che sapevano a priori dell'attacco", spiega.
Cossiga tiene a che si sappia che egli non era stato coinvolto personalmente nell'accordo. "Quando ero Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica non ne sapevo niente", insiste fermamente, "me lo tenevano nascosto. Io soltanto speculavo che un tale accordo esistesse, per via di quel telegramma da Beirut, ma tutti stavano zitti. Bassem Abu Sharif ha detto che l'Accordo Moro fu firmato a Roma e a Beirut e che gli italiani erano rappresentati dal capo dei servizi segreti dell'Italia che era in servizio in Libano, ma io non ne sapevo niente".
Tuttavia, Cossiga mostra un certo bisogno, forse incontrollabile, di difendere quell'Italia che avrebbe firmato l'accordo. Quella politica, egli spiega, era comune anche in altri Paesi. "La Germania ha liberato il commando dei terroristi che uccisero gli atleti a Monaco di Baviera, e anche la Francia si è comportata analogamente. Questa era la politica europea. Tranne gli inglesi, ovviamente. I palestinesi sapevano quel che facevano. Non ho mai incontrato un capo di un'organizzazione terroristica che fosse stupido. Arafat non era stupido.
Cossiga, per inciso, non è solo. Dopo la rivelazione del Corriere della Sera, il famoso magistrato Rosario Priore - responsabile in quegli anni dell'indagine di misteri come il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro e l'attentato contro Papa Giovanni Paolo II - ne ha ammesso i dettagli. "L'Accordo Moro è esistito per anni", ha dichiarato, "l'OLP aveva in territorio italiano uomini, basi ed armi. Anche fazioni autonome come quelle di Abu Abbas, il Consiglio della Rivoluzione e il Fronte di George Habash. Era stata una decisione politica fredda, che aveva come scopo l'immunità della nostra gente e dei nostri interessi in territorio italiano, in cambio [dell'accettazione] dell'immagazzinamento e del trasporto di esplosivi e di commandi terroristici che dovevano operare altrove".
Ebbene sì, anche l'uomo che oggi è membro della Corte di Cassazione di Roma, non ha incluso gli ebrei della città nella definizione "immunità della nostra gente".
L'elenco non termina qui. L'Accordo Moro, si scopre, ha avuto un'influenza decisiva sulla vita - e sulla morte - di molti.
Anche le circostanze del sequestro della nave italiana Achille Lauro rivelano un legame tra l'Amministrazione di Roma e le organizzazioni terroristiche, e anche questa volta - che sorpresa! - gli obiettivi erano ebraici.
Il 7 ottobre 1985, mentre la nave era in viaggio da Alessandria d'Egitto a Port Said, l'hanno sequestrata quattro terroristi armati del Fronte per la Liberazione della Palestina di Ahmad Jibril. I sequestratori, entrati in azione prima del previsto poiché erano stati smascherati da un membro dell'equipaggio, hanno minacciato di uccidere ostaggi se non fossero stati liberati 50 prigionieri palestinesi che erano incarcerati in Israele. Si sono diretti verso la Siria, ma questa non ne ha permesso l'ingresso nelle sue acque territoriali.
La vittima di quel sequestro fu Leon Klinghoffer, un passeggero ebreo americano, paralitico in sedia a rotelle. I sequestratori non ebbero pietà di lui: gli spararono e poi lo gettarono in mare ancora vivo, con la sedia a rotelle. La nave ritornò in Egitto, e dopo due giorni di trattative i sequestratori acconsentirono a lasciarla. Furono trasferiti verso la Tunisia su un aereo civile egiziano, che fu però intercettato da caccia americani e costretto ad atterrare nella base NATO in Sicilia.
Questo evento è indelebilmente impresso nella memoria collettiva italiana. Forze italiane dei carabinieri da una parte, incursori delta americani dall'altra, in mezzo l'aereo con i sequestratori a bordo, e tutti che si minacciano a vicenda con le armi cariche, mentre si attende che i politici trovino una formula per uscire dalla crisi. L'evento è rimasto impresso nella coscienza italiana come un simbolo dell'indipendenza dell'Italia e dell'immobilità dell'allora Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, di fronte agli americani.
Solo che ora Cossiga rivela che il motivo della fermezza di Craxi era ben altro. Spiega che Craxi ha scelto di riservare ad Arafat un atteggiamento ruffiano. "C'era stato un accordo chiaro tra l'Italia e Arafat, secondo cui la nave sarebbe stata liberata dal commando terroristico in cambio della libertà di Abu Abbas, e così fu", svela.
I sequestratori furono arrestati dalle forze della polizia italiana ed all'aereo fu permesso di continuare il viaggio malgrado la richiesta americana di fermarlo - poiché tra i passeggeri liberi c'era anche l'uomo che era alla guida dei sequestratori, Abu Abbas. I quattro sequestratori furono processati in Italia e trovati colpevoli. Abu Abbas, invece, fu liberato.
La spiegazione ufficiale di Craxi e del governo italiano fu che le asserzioni degli americani sul coinvolgimento diretto di Abu Abbas nel sequestro erano arrivate troppo tardi, solo dopo il suo decollo dall'Italia in direzione della Jugoslavia. Cossiga, comunque, chiarisce che non fu proprio così. "Non è assolutamente andata così", dice, "tutto era parte dell'accordo con Arafat. Fu lui a convincere Abu Abbas, malgrado non facesse parte dell'OLP, di liberare la nave al Cairo, in cambio della sua libertà e di una promessa di incolumità. La posizione italiana, secondo cui questo lo si venne a sapere solo dopo la sua liberazione, è una frottola. Lo abbiamo liberato dopo".
C'è chi asserisce che egli sia rimasto a Roma alcune ore ed abbia persino incontrato alcune personalità.
"Io non ne so niente. Ero Presidente della Repubblica e a me dissero che era rimasto tutto il tempo all'interno dell'aeroporto. Le ricordo che tutta l'area era circondata da agenti della CIA". Questo episodio, va sottolineato, è lungi dallo sparire dalla coscienza pubblica italiana. Proprio in questi giorni, la corte a Roma sta per discutere la domanda di uno dei sequestratori, Abdel Atif Ibrahim, liberato dopo vent'anni in carcere, di rimanere in Italia. "Gli permetteranno di rimanere qui, non c'è dubbio", afferma Cossiga, "ma la decisione, in definitiva, sarà politica, ed il Ministro dell'Interno dovrà decidere".
Se Lei fosse oggi Ministro dell'Interno e dipendesse da Lei, gli permetterebbe di restare?
"Io lo metterei su un velivolo militare diretto in Libano, atterrerei lì con la scusa di portare un diplomatico, spegnerei i motori, aprirei la porta, lo butterei sulla pista e decollerei di ritorno".
Nonostante oggi Cossiga tenga molto a presentarsi come un fermo oppositore del terrorismo palestinese, c'è ancora chi non dimentica la sua posizione favorevole ad Arafat quando contro questi era stato emesso un mandato di cattura in Italia. Anche da questa faccenda, le Autorità e i meccanismi della legalità in Italia non escono - come dire - brillantemente. "Arafat", spiega Cossiga, "era arrivato in Italia per il funerale del leader della sinistra italiana, Segretario Generale del Partito Comunista, Enrico Berlinguer, che era mio cugino. Fino ad oggi c'è molta gente che non crede affatto che fossimo imparentati. All'arrivo di Arafat qui, lo attendeva un mandato di cattura del tutto folle emesso da un giudice italiano.
"A me chiesero di riceverlo a Palazzo Giustiniani, in qualità di Presidente del Senato, e permettergli di riposarsi. Stiamo parlando, Le ricordo, del 1984. Arafat partecipò al funerale e a tutta la cerimonia, alla quale era presente anche il Vice Segretario Generale del Partito Comunista di Mosca. Venne da me accompagnato dai Servizi Segreti italiani e dalle sue guardie del corpo. Contemporaneamente, una forza di polizia era partita alla sua ricerca per ordine di un giudice. Lei crede [veramente] che non sapessero dove si trovasse?"
Comunque sia, oggi Francesco Cossiga si identifica orgogliosamente come amico prossimo dello Stato di Israele ed entusiasta sostenitore degli Stati Uniti. Questo, forse, è il motivo per cui si permette ora di dire cose del tutto in ortodosse riguardo alla condotta degli scaglioni che contano.
E se a qualcuno potesse sembrare che quei giorni bui siano spariti, il quadro che dipinge Cossiga è allarmante: l'Italia, egli crede, attua oggi un accordo analogo con Hizbullah. Le forze di UNIFIL sarebbero invitate a circolare liberamente nel sud del Libano, senza temere per la propria incolumità, in cambio di un occhio chiuso e della possibilità di riarmarsi data a Hizbullah. "L'Accordo Moro non mi fu mai esposto in maniera chiara, ne ho solo ipotizzato l'esistenza. Nel caso di Hizbullah posso affermare con certezza che esiste un accordo tra le parti", dice Cossiga con certezza, "Se verranno ad interrogarmi, deporrò davanti ai giudici che trattasi di segreti dello Stato, e io non sono tenuto a rivelare le mie fonti".
Cossiga ha dichiarato che intende sottoporre un'interrogazione al Governo riguardo all'esistenza di un tale accordo segreto, atto a proteggere il contingente italiano in Libano. Come noto, durante gli Anni Ottanta, le forze americane e francesi in Libano hanno subito gravi perdite, mentre nessun attentato è stato compiuto contro la forza italiana.
Il giudice Priore - di nuovo lui - ha osato addirittura portare le ipotesi di Cossiga un passo in avanti. "È possibile", ha dichiarato ad un'agenzia stampa italiana, "che esista oggi persino un accordo tra l'Italia e Al Qaida od un'altra organizzazione fondamentalista".
La maggior parte degli italiani sono rimasti, come ho detto prima, sorprendentemente indifferenti di fronte alla rivelazione. Ma prevedibilmente, la comunità ebraica ne è rimasta scossa. Reagendo alle nuove rivelazioni esposte su queste pagine, il Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, fa appello al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di aprire un'indagine approfondita.
"È ovvio che non possiamo andare indietro nel tempo, e non si può cancellare questa vergognosa storia dell'Italia", ha detto a Yediot Aharonot, "ma bisogna esporre gli irresponsabili che hanno offerto gli ebrei d'Italia in sacrificio, trattandoli come stranieri, come immigrati di passaggio. Più di ogni altra cosa, esigiamo risolutamente la piena sicurezza per gli ebrei d'Italia e per le loro istituzioni".
È molto dubbio se Berlusconi darà ascolto ed inizierà l'intensa indagine che esige la comunità ebraica. È vero che il Presidente del Consiglio italiano ha modificato l'atteggiamento del suo Paese nei confronti di Israele, ma si possono ancora riconoscere incrinature nella comprensione che gli ebrei d'Italia sono parte radicale della vita
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italiana. Più di una volta, rivolgendosi agli ebrei,
egli ha detto "il vostro governo" - intendendo il Governo dello Stato d'Israele, e non quello italiano. La buona volontà forse c'è, ma la strada è ancora lunga per assicurare che la storia non si ripeta.
(Yediot Aharonot, 3 ottobre 2008 - ripreso da Informazione Corretta)
2. SEGRETI DI STATO
Così Cossiga rievoca il patto scellerato tra l'Olp e il Governo
di Dimitri Buffa
Il sospetto che i politici della Prima Repubblica come il compianto Aldo Moro e il sempreverde Giulio Andreotti non l'avessero raccontata tutta, né giusta, sui metodi sporchi di contenimento del terrorismo interno e internazionale c'era sempre stato. Da domenica scorsa però abbiamo anche una testimonianza illustre. Il sacco l'ha vuotato il "solito" Francesco Cossiga in un'intervista fiume a un diffuso quotidiano israeliano, "Yedioth Ahronoth", rilasciata al suo corrispondente a Roma Menachem Gantz venerdì 3 ottobre (poi tradotta in italiano dal sito Informazione Corretta domenica 5). Fino ad oggi tutti sapevano del patto di non aggressione stilato per ordine di Aldo Moro dall'ex colonnello del Sismi Stefano Giovannone già nei primi anni '70 con l'ex Olp di Arafat. Praticamente l'Italia diventava per i terroristi palestinesi una sorta di porto franco in cui fare confluire armi e uomini che poi sarebbero stati usati in agguati in Israele e in Europa contro obbiettivi dello Stato ebraico. In cambio però avremmo evitato azioni di terrorismo. Oggi Cossiga aggiunge qualche altro dettaglio veramente criminale di questo patto con Arafat: i cittadini italiani di religione ebraica erano da considerarsi esclusi dall'accordo di non aggressione.
E infatti il 9 ottobre del 1982 il piccolo Stefano Gaj Tachè perse la vita nell'orrendo attentato davanti alla Sinagoga e il 27 dicembre 1985 all'aeroporto di Fiumicino ci rimisero la pelle ben quindici tra cittadini italiani di religione ebraica e israeliani tutti in partenza dallo scalo della El Al. Cossiga addirittura ipotizza che nel caso dell'attentato alla Sinagoga i palestinesi abbiano avvertito prima i nostri servizi, permettendo al Sismi di fare richiamare le due volanti di guardia al luogo sacro degli ebrei. Insomma: ci avrebbero permesso di salvare i poliziotti rendendoci complici della morte del piccolo Stefano Gaj Tachè. Cossiga, per spiegare una simile nefandezza, fa anche il paragone con l'uccisione del sospetto terrorista di Settembre Nero, lo scrittore palestinese Adel Wahid Zuaitar, a Roma da parte del Mossad nel 1973 e dice ammiccando a Gantz: "crede che gli italiani non sapessero chi fossero quei due che hanno sparato? E' ovvio che lo sapevano, ma in questioni del genere è meglio non mettere le mani, ed è questa la linea che guidava il comportamento dell'Italia". Ma Gantz non lascia passare questo paragone "salomonico" sotto silenzio. E domanda: "Lei paragona l'eliminazione di un terrorista all'assassinio di un bambino di due anni all'uscita della Sinagoga?". Cossiga stavolta è veramente in difficoltà e risponde così: "No, assolutamente no.
Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell'ambito di quell'accordo di cui mi hanno sempre negato l'esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente". Bene, così parla un ex Presidente della Repubblica italiana. E così hanno operato ex presidenti del consiglio come Aldo Moro, Giulio Andreotti e lo stesso Bettino Craxi, di cui Cossiga rivela anche retroscena non edificanti di quell'episodio di Sigonella che, chissà perché, in tanti credono essersi trattato di un atto eroico. E che invece fu forse uno dei suoi più gravi errori politici. L'intervista di Cossiga indubbiamente avrà ripercussioni anche sul ruolo internazionale dell'Italia. Ma a livello più "terra-terra" la prima reazione che provocherà in molti di quei cittadini che l'hanno letta (e non solo in quelli di religione ebraica) è un profondo senso di vergogna e disgusto per gli uomini e le istituzioni che ci hanno rappresentato e tuttora ci rappresentano.
(l'Opinione, 7 ottobre 2008)
3. INTERVISTA A RAFFAELE PACE
Il sacrificio nascosto degli ebrei italiani
di Michael Sfaradi
Tutto è cominciato nell'agosto scorso quando Bassam Abu Sharif, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha dichiarato che negli anni '70 e '80 i governi italiani davano mano libera alle organizzazioni terroristiche palestinesi che agivano sul territorio della Repubblica, garantendo loro impunità contro l'impegno a non colpire obiettivi nazionali in Italia e nel mondo. Quest'accordo prendeva il nome di "Lodo Moro", dal nome dell'ex Presidente del Consiglio assassinato nel 1978, che ne era stato il fautore. Cossiga aveva subito confermato le parole di Abu Sharif, ed anche se queste non erano supportate da documenti ufficiali, sarebbe stato il caso di andare fino in fondo a queste dichiarazioni, ma su tutta la storia è calato il silenzio generale dei media. Venerdì 3 ottobre 2008 è stata pubblicata su Yediot Ahronoth, una delle più importanti testate israeliane, un'intervista di Menachem Gantz corrispondente da Roma, il senatore Francesco Cossiga riprende l'argomento e mette allo scoperto degli scenari e delle trame politiche che proprio non fanno onore all'Italia, ed è per questo che Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica Romana, da noi contattato telefonicamente, ci ha confermato la sua richiesta alle autorità di un'inchiesta che faccia piena luce sui fatti che precedettero l'attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre del 1982, in particolare il perché dell'assenza, proprio quel giorno, delle macchine della polizia che sempre stazionavano davanti al tempio a protezione dei fedeli e della mancata richiesta di estradizione dalla Grecia di uno degli attentatori. Partendo da ciò chiediamo a Raffaele Pace, presidente di Kadima Italia, il suo pensiero in proposito: "Tengo a precisare che la richiesta fatta dal presidente Pacifici è sacra, ed è anche la conferma di quello che si sospettava da tempo, e cioè che nel nostro Paese i terroristi giravano liberi e armati e potevano colpire, con il beneplacito delle autorità".
- E
come ebreo?
- Come ebreo credo che la notizia più sconvolgente è che i miei correligionari non fossero considerati italiani e di conseguenza, secondo il "Lodo Moro", obiettivi del terrore. Se l'accordo era di per sé scellerato, queste clausole infami dovrebbero far riflettere sul fatto che gli ebrei italiani sono stati considerati corpo estraneo alla nazione, di conseguenza merce sacrificabile e sacrificata. Mi chiedo poi perché mai il Presidente Cossiga abbia aspettato tutto questo tempo prima di scoprire le quinte di un macabro teatro che ha visto l'Italia come burattino in mano al terrorismo internazionale.
- Può farci un quadro dei sentimenti della gente con la quale Lei è in contatto?
- Il sentimento degli italiani di religione ebraica è doppiamente colpito; da italiani ci si chiede come si possa essere arrivati al punto di tradire così sfacciatamente le altre nazioni vittime del terrorismo arabo-palestinese, terrorismo che in quegli anni insanguinò l'Europa anche con quelle armi che entravano nel vecchio continente attraverso l'Italia. Da ebrei ci si chiede con quale coscienza il nostro governo si sia comportato in questo modo nei nostri confronti. Molti poi sono increduli davanti all'evidenza che gli ebrei italiani siano stati, ancora una volta, vittime della politica.
- Stando così le cose l'attentato alla Sinagoga di Roma è legato agli altri attentati di matrice anti-israeliana tipo quello che ci fu all'aeroporto di Fiumicino...
- Non bisogna dimenticare che l'attentato all'aeroporto di Fiumicino era rivolto al check-in della statunitense Twa, che per chi non lo sapesse all'epoca era posizionato davanti a quello della El Al Israel Airlines. Stando ai giornali dell'epoca, al momento del conflitto a fuoco, come accadde per la Sinagoga, non c'erano sul posto poliziotti italiani e che fu soltanto grazie all'intervento dei servizi di sicurezza della El Al che si scongiurò un conto dei morti e feriti ben più grave.
- Che ne pensa della dichiarazione che vede i principi del "Lodo Moro" ancora applicati in Libano?
- L'onorevole Cossiga dice anche che i principi del "Lodo Moro" sono ancora applicati negli accordi presi dal governo Prodi con Hezbollah per quello che riguarda la presenza in Libano delle truppe italiane che fanno parte dell'Unifil: si garantisce tranquillità alle truppe in cambio di occhi chiusi sul riarmo di Hezbollah. Viste le passeggiate a braccetto dell'allora ministro degli esteri D'Alema con gli amici di Nasrallah c'è da crederci. Si spiegano così anche le continue lamentele e polemiche israeliane sul mancato rispetto della risoluzione Onu 1701 che sancì fra l'altro il completo disarmo di Hezbollah. Ma molto grave è che, nonostante l'intervista contenga degli elementi di estrema gravità, questa sia stata ignorata dai giornali e telegiornali italiani con un silenzio indecente, mentre i cittadini italiani, ebrei e non, hanno il pieno diritto di sapere quali "patti col diavolo" sono stati fatti dai loro governanti.
(l'Opinione, 7 ottobre 2008)
4. COME CI VEDONO GLI ISRAELIANI
Quando l'Italia "vendette" ebrei e israeliani ai terroristi
da un articolo di C. Glick
Alla fin fine la jihad globale e l'erratica reazione dell'occidente all'aggressione dell'islamismo estremista contro la nostra civiltà hanno sempre a che fare con l'odio per gli ebrei. Questa verità, mai del tutto celata all'osservatore, è emersa negli ultimi mesi in tutta la sua brutalità con le sbalorditive rivelazioni fatte dall'ex presidente italiano e senatore a vita Francesco Cossiga.
In una lettera al Corriere della Sera dello scorso agosto, Cossiga riconosceva apertamente che durante i primi anni '70 l'allora primo ministro italiano Aldo Moro aveva sottoscritto un accordo con l'Olp di Yasser Arafat, e le varie organizzazioni ad essa affiliate, in base al quale l'Italia permetteva ai palestinesi di muovere terroristi, gestire covi e immagazzinare armi sul suolo italiano in cambio dell'immunità da attentati terroristici per l'Italia e gli interessi italiani nel modo.
Cossiga ammetteva anche che il governo italiano continuò a coprire i palestinesi anche quando questi assassinarono degli italiani. Anzi, per la prima volta in quella lettera dava atto che il più grande attentato terroristico che abbia mai avuto luogo sul territorio italiano - la strage alla stazione dei treni di Bologna del luglio 1980 che uccise 85 persone - era stata opera dei terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habbash, affiliato all'Olp.
A quell'epoca Cossiga era primo ministro. Subito dopo l'attentato, egli addossò la colpa della strage ai neo-fascisti. Per dirla con le sue parole di allora, "a differenza del terrorismo di sinistra, che colpisce il cuore dello stato nei suoi rappresentanti, il terrorismo nero ricorre essenzialmente al delitto di strage perché è la strage che provoca paura, allarme, reazioni emotive e impulsive".
Nell'agosto scorso Cossiga ha invece sostenuto che la strage fu opera dell'FPLP, spiegando che in realtà la bomba esplose accidentalmente. Vale a dire che i palestinesi non intendevano uccidere dei non ebrei: per questo le autorità italiane continuarono a coprirli.
Venerdì scorso Cossiga ha ulteriormente sviluppato le rivelazioni fatte al Corriere della Sera, con un'intervista concessa a Menachem Ganz, corrispondente da Roma di Yediot Aharonot. In essa, Cossiga ammette che l'Italia permetteva ai palestinesi di attaccare impunemente non solo obiettivi israeliani, ma anche obiettivi ebraici. Ed effettivamente in almeno due, forse tre occasioni gli italiani furono collusi con attentati di terroristi palestinesi contro ebrei.
Il 9 ottobre 1982 sei terroristi aprirono il fuoco sui fedeli che uscivano dalla principale sinagoga di Roma. Decine di ebrei furono feriti e il piccolo Stefano Taché, di due anni, fu ucciso. Poche ore prima dell'attacco erano state ritirate le auto della polizia italiana incaricate della sicurezza della sinagoga.
Di nuovo, nel dicembre 1985, terroristi palestinesi aprirono il fuoco al desk della El Al all'aeroporto di Roma-Fiumicino. Dieci persone rimasero uccise. Quello stesso giorno altre sette persone venivano ferite in un attacco simultaneo al banco El Al dell'aeroporto di Vienna. Secondo Cossiga, i servizi di intelligence italiani erano stati avvertiti in anticipo dell'attentato, ma non si erano presi la briga di passare l'informazione agli israeliani. Spiega Cossiga a Yediot: "Non venne colpito nessun obiettivo italiano; all'aeroporto attaccarono la compagnia aerea israeliana. I morti furono tutti israeliani, ebrei e americani".
C'è poi il dirottamento della nave da crociera italiana Achille Lauro al largo delle coste egiziane, nell'ottobre 1985. Terroristi palestinesi agli ordini di Abu Abbas (Muhammad Zaidan) si impadronirono della nave, uccisero a bruciapelo il passeggero ebreo americano Leon Klinghoffer, costretto su una sedia a rotelle, e lo gettarono in mare ancora vivo. Dopo la loro resa, gli egiziani liberarono i dirottatori e li misero su un aereo diretto in Libia. Ma quando i jet americani costrinsero l'aereo ad atterrare in una base NATO in Sicilia, gli italiani impedirono agli americani di prendere in custodia i sequestratori e lasciarono andare libero il loro capo, Abu Abbas. Ancora oggi in Italia quel confronto a Sigonella viene ricordato come una vittoria sull'arroganza degli americani. In realtà, fu la capitolazione di fronte alle minacce dei killer palestinesi. Come spiega Cossiga, "dal momento che gli arabi erano in grado di nuocere all'Italia più degli americani, l'Italia si arrese a loro".
Cossiga afferma inoltre che l'accordo fra il suo paese e i palestinesi è stato recentemente allargato fino ad includere i terroristi Hezbollah. Dopo la seconda guerra in Libano (estate 2006), l'Italia ha accettato di guidare le truppe Onu UNIFIL incaricate di impedire che Hezbollah riprenda il controllo sul Libano meridionale e di fermare le sue manovre per riarmarsi. Ma, dice Cossiga, "posso affermare con assoluta certezza che
l'Italia ha un accordo con Hezbollah in base al quale le truppe UNIFIL chiudono un occhio sul riarmo di Hezbollah finché non vengono fatti attacchi contro i soldati della forza Onu".
Il corrispondete israeliano da Roma Menachem Ganz nota mestamente che, sebbene queste dichiarazioni di Cossiga abbiano indotto la comunità ebraica italiana a chiedere al primo ministro Silvio Berlusconi di aprire un'inchiesta sulle collusioni del governo coi terroristi palestinesi, è assai improbabile che un'inchiesta del genere veda presto la luce. Ganz spiega che Berlusconi stesso non è immune dal quel pregiudizio anti-ebraico che ha spinto i suoi predecessori a "vendere" i loro concittadini ebrei al terrorismo. Quando si rivolge agli ebrei italiani, ad esempio, Berlusconi spesso parla del governo israeliano come del "vostro governo", rivelando in questo modo il suo sentimento secondo cui gli ebrei non possono essere autentici cittadini di un paese che non sia Israele.
La convinzione tipicamente anti-ebraica che ebrei equivalga a sionisti e che pertanto tutti gli ebrei in quanto tali siano bersagli legittimi nella guerra contro Israele - una guerra che in sé non è altro che l'ennesimo round della plurisecolare guerra contro gli ebrei - permette agli antisemiti di celare il fatto che la loro retorica anti-israeliana non è altro che il vecchio odio anti-ebraico riciclato. Gente come i leader iraniani Mahmoud Ahmadinejad e Ali Khamenei, i terroristi palestinesi dell'Olp e la loro progenie di Hamas e Hezbollah, si limitano quasi a minacciare i "sionisti", fingendo così di non essere autentici antisemiti, ma nella loro testa sionisti ed ebrei sono la stessa cosa. E questo loro sottile, letale inganno viene ben volentieri fatto proprio dai loro compagni di viaggio occidentali: da professori universitari come Juan Cole, Steven Walt e John Mearshimer, da statisti come Brent Scowcroft e Zbigniew Brzezinski, da decisori occidentali e capi di stato europei, fino ad un allarmante numero di politici americani. [
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(Jerusalem Post, 7 ottobre 2008 - ripreso da israele.net)
5. QUALCHE CONSIDERAZIONE
E noi, cristiani evangelici?
La situazione emersa dall'intervista a Francesco Cossiga è di una gravità eccezionale. Un ex Ministro degli Interni, ex Presidente del Consiglio, ex Presidente della Repubblica rivela ad un quotidiano straniero fatti non solo costituzionalmente inaccettabili e legalmente perseguibili ma anche moralmente riprovevoli, e non accade nulla. Qualcuno ha detto che chi ha fatto quelle rivelazioni non è persona credibile, ma anche in questo caso si sarebbe dovuto intervenire, rettificare, contestare, perseguire legalmente. E invece nulla. Con tutto il rispetto istituzionale che gli è dovuto, bisogna dire che lascia perplessi anche il silenzio del più alto rappresentante dello Stato: il Presidente della Repubblica, che in più occasioni è intervenuto pubblicamente su questioni di molto minore importanza. Se fosse vero che le autorità dello Stato in cui viviamo hanno "venduto" gli ebrei italiani ai loro nemici per ottenerne in cambio una promessa di non aggressione, e continuano a farlo anche oggi in altra forma, anche noi cristiani evangelici dovremmo sapere che la cosa ci riguarda. L'esperienza fatta dai credenti delle chiese evangeliche nella Germania nazista (*) dovrebbe far capire che non ci si può disinteressare di quello che fanno le autorità della nostra nazione quando si tratta di ebrei, e oggi quindi anche di Stato d'Israele. Se chi governa ha scelto di cercare lo sviluppo e la tranquillità politica e sociale del paese a scapito degli ebrei, un giorno chiederà anche ai suoi cittadini di collaborare, promettendo qualche forma di vantaggio sociale o personale. In altre parole, chiederà la nostra complicità. E in quel momento dovremo scegliere. Se non saremo pronti, se saremo soltanto preoccupati di assicurarci che le nostre chiese possano continuare a funzionare regolarmente, un giorno forse dovremo giustificarci davanti ai nostri figli e nipoti dicendo che non sapevamo, non potevamo sapere, non avevamo capito. Ma anche se riusciremo a convincerli, difficilmente riusciremo a convincere il Signore. Perché per il cristiano la saggezza spirituale in certe occasioni non è un lusso. E' un dovere (Ef 5:15-17).
Marcello Cicchese
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(*) Ved. l'articolo «Un moderato, equilibrato, "evangelico" antisemitismo»
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