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Notizie su Israele 450 - 14 gennaio 2009

1. Equivalenza morale tra Israele e palestinesi?
2. Intervista a Robert Wistrich
3. Il vero volto di Hamas
4. Voglia di pareggiare i conti
5. L'idra islamista
6. Panorama messianico da Gerusalemme
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 44:6-7. Così parla il Signore, re d'Israele e suo salvatore, il Signore degli eserciti: Io sono il primo e sono l'ultimo, e fuori di me non c'è Dio. Chi, come me, proclama l'avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? Che egli lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l'avvenire, e quanto avverrà!
1. EQUIVALENZA MORALE TRA ISRAELE E PALESTINESI?




Sapete chi si preoccupa della morte dei palestinesi?
Gli ebrei!

di Dennis Prager

Per tutti coloro - che sono più o meno tutti i giornalisti del mondo intero - che in seguito all'invasione di Gaza da parte di Israele dicono che c'è equivalenza morale tra Israele e i palestinesi, ecco alcuni pensieri chiarificatori.
    Anzitutto, sarebbe molto difficile, se non quasi impossibile, trovare israeliani o altri ebrei che celebrino la morte di civili palestinesi. Gli ebrei, sia in Israele che fuori, rabbrividiscono quando vedono immagini di morti palestinesi, uomini, donne o bambini. Per migliaia di anni, durante il seder di Pessach, gli ebrei hanno bevuto vino dalle loro coppe per piangere formalmente la morte degli egiziani - di cui sono stati schiavi per quattrocento anni - che morirono durante l'esodo degli ebrei. Gli ebrei non hanno mai smesso di piangere per i loro nemici.
    E' vero invece il contrario per la gran maggior parte dei palestinesi. Sarebbe abbastanza difficile trovare un gran numero
di palestinesi che non celebrano la morte di ebrei israeliani e non israeliani. Questo si manifesta non solo nella cittadinanza palestinese, che offre un grande sostegno al terrorismo (e per terrorismo s'intende ammazzare ebrei innocenti), ma si vede anche nei media palestinesi, nelle scuole palestinesi e nelle moschee palestinesi, in cui fa parte della routine glorificare gli assassini di ebrei e indicare tutti gli ebrei come "scimmie" e cose simili.
    Si prenda, per esempio, la reazione palestinese all'attacco terroristico fatto nel 2001 a Gerusalemme, alla pizzeria Sbarro, in cui sono stati uccisi 15 ebrei, tra cui due intere famiglie, 130 sono stati feriti, e alcuni permanentemente menomati.
    Secondo quanto riportato dall'Associated Press, un mese dopo «Studenti universitari palestinesi hanno aperto un'esposizione che include una raccapricciante ricorstruzione» di questo massacro. Gli studenti avevano costruito una copia della pizzeria Sbarro, con falso sangue, falsi pezzi di pizza sparsi, una mano in plastica che pendeva dal soffitto, una falsa gamba tranciata con i jeans e la scarpa da ginnastica nera insanguinati.
    «L'esposizione includeva anche un grosso masso davanti al quale c'era un manichino con cappello nero, giacca nera e pantaloni neri, come portano abitualmente gli ebrei ultra-ortodossi. Dall'interno del masso un registratore diceva: «O musulmano, c'è un ebreo dietro di me. Vieni e uccidilo!», citando un versetto del Corano. Per i palestinesi è diventata un'attrazione turistica. I genitori ci portavano i figli piccoli.
    Una domanda: si può immaginare un ebreo, in Israele o da qualsiasi altra parte del mondo - per quanto possa essere di estrema destra politicamente o religiosamente - che fa qualcosa di simile per celebrare la morte di civili palestinesi? Dopo l'invasione di Gaza ho parlato con gruppi di ebrei della costa est e della costa ovest degli Stati Uniti, e per quanto riguarda i morti civili palestinesi ho sentito soltanto parole di rammarico e dolore.
    L'abisso morale che separa Israele dai suoi nemici, e separa gli ebrei dai loro nemici, non fa che confermare quello che lo stesso Hamas continua a ripetere: «Noi amiamo la morte più di quanto gli ebrei amino la vita». Questo è tanto vero che Hamas non solo non piange per i morti israeliani, ma non piange nemmeno per i morti palestinesi. Usa i palestinesi vivi come scudi umani e i palestinesi morti come propaganda. Questo squilibrio morale è tale che gli ebrei piangono per la morte di civili palestinesi più di quello che faccia Hamas.
    Un altro punto da sollevare riguarda la prospettiva storica.
    Se durante la seconda guerra mondiale i media occidentali avessero riportato le vittime civili tedesche e giapponesi con la stessa abbondanza di particolari e la stessa simpatia, è dubbio che i nazisti e i giapponesi avrebbero perso la guerra. E' certo comunque che, quanto meno, gli sforzi antinazisti e antifascisti sarebbero stati seriamente compromessi.
    L'analogia è del tutto appropriata, perché Hamas è allo stesso livello morale dei due grandi nemici della Seconda Guerra Mondiale. Quelli che condannano Israele per gli attacchi contro i combattenti di Hamas che hanno come tragico risultato la morte di centinaia di civili palestinesi, condannano anche i bombardamenti alleati degli obiettivi militari tedeschi e giapponesi che hanno provocato la morte di molti più civili? A me sembra che la maggior parte dei critici di Israele continui a considerare morale la Seconda Guerra Mondiale. La questione principale dunque è questa: è morale la guerra contro Hamas? Se è così, allora la morte non voluta di civili palestinesi è una tragedia, non una malvagità (se non dalla parte di Hamas, che di proposito colloca i suoi combattenti e i suoi missili tra i civili, incluse le scuole).
    Terzo, se Hamas avesse la stessa capacità di bombardare Israele come Israele può bombardare Gaza, i morti tra i civili ebrei si conterebbero soltanto a centinaia? O ci sarebbe
quell'olocausto che rappresenta il sogno di Hamas e dei suoi sponsor iraniani?
    La risposta è così evidente che questo solo fatto rende morale la guerra di Israele per distruggere Hamas. Fra poco Hamas potrebbe disporre di missili più precisi e di maggiore portata. Uno solo di questi potrebbe uccidere un migliaio di civili e ancora più. Un altro potrebbe colpire un aereo di passeggeri che arrivano all'aeroporto Ben Gurion, bloccando il traffico aereo delle compagnie straniere che hanno voli verso Israele. E' proprio l'inevitabilità di questo fatto che Israele vuole prevenire con la guerra. Ma nel mondo moralmente confuso in cui viviamo soltanto la morte di migliaia di israeliani renderebbe "proporzionale" l'invasione israeliana di Gaza, e quindi accettabile.
    Ma Israele preferisce vivere e avere la disapprovazione del mondo, piuttosto che morire e avere la sua compassione.

(FrontPageMagazine.com, 13 gennaio 2009 - trad. www.ilvangelo-israele.it)





2. INTERVISTA A ROBERT WISTRICH




«Vogliono un mondo judenrein»

di Giulio Meotti

Il 18 agosto 1988 Hamas diffuse la propria Carta fondamentale nelle moschee e nelle scuole di tutti i territori di Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. "La nostra battaglia con gli ebrei è molto lunga e pericolosa, chiede la dedizione di tutti noi", recita il documento. "Il Profeta dichiarò: 'L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno'". Passano tredici anni e il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, ribadisce: "Sì, noi uccidiamo anche ebrei innocenti". Un mese fa Hamam Said, guida suprema della Fratellanza islamica in Giordania, legato ad Hamas, ha proclamato: "Oh nobile Gaza, oh gente di Hebron, voi state combattendo una guerra contro gli ebrei, e lo sapete fare bene. Abbiamo visto come, in un giorno del 1929, avete trucidato gli ebrei. Oggi, trucidateli sulla terra di Hebron, uccideteli in Palestina".
    Robert Wistrich non ha dubbi: "L'islam politico oggi persegue il sogno di un medio oriente 'judenrein', senza ebrei". Metà della famiglia Wistrich non è sopravvissuta all'Olocausto. Oggi lui è uno dei massimi esperti mondiali di antisemitismo, dirige il Vidal Sassoon International Center di Gerusalemme e insegna all'università ebraica. Vent'anni fa, in "Hitler's Apocalypse", Wistrich spiegò che l'ayatollah Khomeini aveva rivitalizzato la giudeofobia nazista. Ha fatto parte della commissione di sei storici nominata dal Vaticano per studiare l'operato di Pio XII. E' stato in cattedra a Cambridge e al London College, ha scritto una biblioteca di testi e a settembre per l'americana Random House usciranno un migliaio di sue pagine sul nuovo antisemitismo. "Hamas è un totalitarismo islamico", spiega Wistrich al Foglio. "La sua ideologia è una fusione di estremismo palestinese, islamismo e antisemitismo radicale basato sulla premessa che tutta la Palestina, dalla Giordania al Mediterraneo, è terra islamica. Non c'è possibilità di compromesso con lo stato ebraico, è una forma totalitaria e universale di antisemitismo. Il conflitto è fra ebrei e musulmani, non fra sionisti e palestinesi. E' una guerra eterna nata in seno alla Fratellanza musulmana.
    Ma è ancora più radicale. Hamas non ha altro da offrire se non la guerra al popolo ebraico. La sola ragione della loro esistenza non è l'amministrazione di Gaza, è il jihad contro Israele. La loro carta, formulata vent'anni fa, parla di ebrei, non di sionisti, si riferisce al Corano. Combattono gli ebrei in nome di Allah e la 'hudna', la tregua con Israele, serve per armarsi meglio contro gli ebrei.
    Nessun governante arabo può scalfire la devozione a questo programma di sterminio degli ebrei. E la storia delle colonie di Gaza ha dimostrato che nessuna concessione territoriale può fermarli. Il movimento islamico descrive gli ebrei come 'figli di scimmie e maiali'. La disumanizzazione ideologica anticipa il genocidio. Gli attentati suicidi si sono fermati non perché ha deciso Hamas, ma perché Israele ha costruito un muro di sicurezza. Hamas così ha inventato i missili qassam per terrorizzare gli ebrei".
    L'islamismo non è liquidabile come un "estremismo", perché secondo Wistrich "minaccia di morte milioni di ebrei in Israele. Minaccia l'Europa, l'America, il mondo intero. E' un fenomeno suicida e genocida. Ci sono importanti similarità fra Hamas e l'ideologia nazista. Penso alle teorie della cospirazione sulle guerre di cui sarebbero responsabili gli ebrei e alla cospirazione massonica ebraica per sfruttare le risorse energetiche del mondo".
    Wistrich ha intervistato il leader di Hamas, Abel al Rantisi, per la Bbc. "Rantisi mi disse che i 'Protocolli dei savi di Sion' erano autentici e che se anche non fossero stati veri, ben riflettevano la mentalità ebraica. Per Hamas, gli ebrei sono responsabili della divisione nell'islam. Non usano eufemismi, non parlano di sionisti, ma di ebrei. La diffusione di droga, pornografia, prostituzione e alcol sarebbero mezzi ebraici per corrompere il mondo islamico".
    Veniamo al negazionismo. "Il rovesciamento dell'Olocausto è così profondo nell'islam che anche Abu Mazen ha scritto una tesi di laurea per minimizzare e negare la Shoah. Stanno cercando di dirci: 'Non esiste giustificazione storica per lo stato ebraico in medio oriente e l'argomento con cui gli ebrei hanno convinto l'occidente è una frode, una farsa'. Azzerano ogni argomento morale alla base dello stato degli ebrei. E lo fanno sotto gli occhi dell'occidente. Che accetta il rovesciamento di questo paradigma. L'autodeterminazione ebraica è liquidata come eresia da arabi e nemici di sinistra. Per la prima volta uno stato come l'Iran ha promosso a politica nazionale la negazione dell'Olocausto, un'ideologia ricostruita in medio oriente ed esportata in Europa". A Milano sono state bruciate due giorni fa le bandiere israeliane.
    Wistrich accusa la chiesa cattolica di reticenza. "Ha reagito senza chiarezza morale e coraggio intellettuale. Hamas ha attaccato deliberatamente donne, vecchi e bambini esponendoli all'attacco israeliano e i cristiani sono vittime del fanatismo islamico. La chiesa cattolica però non ha parlato contro questo scempio. Mai una parola o un gesto contro il terrorismo che miete vittime in Israele. Penso anche all'assedio della Natività di Betlemme, il sacrilegio della natività di Gesù. A Gaza Hamas usa le moschee e gli ospedali e le scuole per attaccare Israele. Forse la chiesa ha paura, ma sta di fatto che non ha mai espresso argomenti morali a favore dello stato d'Israele. Dovrebbe esserci un riconoscimento del dovere morale per il cristianesimo a non ripetere gli errori del passato, la mostruosità della Shoah. Pio XII fu ambiguo e oggi la chiesa continua a rimanere in silenzio. Non è cambiato molto. E' il silenzio che non le fa onore. Perché se le cose non cambiano, ne verrà un disastro anche per l'Europa".
    Un affondo, infine, proprio all'Europa. "Non è ironico che la memoria dell'Olocausto sia così frequentemente evocata da politici, accademici, intellettuali, giornalisti e chierici europei, e allo stesso tempo la critica di Israele abbia acquisito risonanza globale? Quando leggo di distinzioni fra ebrei e Israele, sionismo e giudaismo, mi sento triste. E' una opinione pubblica intossicata di isteria antisraeliana, spero che il common sense degli europei li spinga a formulare un giudizio indipendente. Gli islamisti vogliono realizzare una 'soluzione finale' di quello che chiamano il cancro ebraico-sionista in medio oriente".

(Il Foglio, 13 gennaio 2009 - ripreso da Informazione Corretta)





3. IL VERO VOLTO DI HAMAS




«Io, musulmano convertito dico: Hamas è soltanto una banda di torturatori»

di Silvia Kramar

Il racconto del figlio di un leader palestinese: "Il mio sogno da ragazzino è diventato un orrore"

NEW YORK - «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici». Fu ascoltando la lettura di questo passaggio del Vangelo secondo Matteo che Mosab Hassan, nel cuore di Gerusalemme, capì di voler abbandonare Hamas.
    Hassan era nato nelle strade di Ramallah e Hamas aveva sempre rappresentato i suoi sogni storici, l'immaginario religioso e le sue ambizioni represse di un ragazzino cresciuto nelle moschee dove si inneggiava l'odio dell'estremismo musulmano. Aveva giocato a pallone nel cimitero di Ramallah prima che fosse calpestato dai funerali dell'intifada. Hassan aveva sposato l'estremismo e la violenza spinti ai massimi livelli. Dopotutto lui era un «eletto», un ragazzino privilegiato poiché suo padre era lo sceicco Hassan Yousef, uno dei fondatori, nel 1987, di Hamas. Ma poi, dopo essere stato arrestato e dopo aver visto che l'odio di Hamas portava i sui leader a torturare anche i suoi confratelli, Hassan aveva rifiutato l'ideologia che ne aveva fatto un ragazzino che lanciava sassi contro i soldati israeliani e credeva negli attentati suicidi.
    «Quando fui imprigionato nel carcere israeliano di Megida - ha raccontato Hassan al giornalista della rete televisiva Fox, Jonathan Hunt, che nei giorni scorsi ha bucato gli indici d'ascolto trasmettendo l'intervista - cominciai a riflettere. Mio zio Ibrahim Abu Salem, era un capo delle brigate di Hassam ed era imprigionato con me. I suoi uomini erano ossessionati dal dubbio che tra di noi ci fossero delle spie. Avevano istaurato un punteggio chiamato «punti rossi». Se uno si soffermava troppo a lungo nella doccia calcolavano che probabilmente era un collaborazionista dei servizi segreti israeliani. Poi, quando il punteggio raggiungeva una certa quota, partivano le torture. Sentivo le urla, di notte. Torturavano ragazzini e vecchi infilando chiodi sotto le unghie, bruciando loro la pelle con brandelli di plastica scottante. Quando vidi che mio zio, che per me era stato un eroe come mio padre, era quello che dava ordine di torturare, provai orrore».
    In quei tre mesi di carcere si rese conto che Hamas non avrebbe mai risolto i veri problemi della sua gente. Aveva poco più di 27 anni quando, camminando davanti al Muro del pianto, aveva incontrato un missionario cristiano. «Vieni e ti insegnerò il Vangelo», gli aveva detto. Aveva seguito questa sua ricerca spirituale, sapendo di rischiare la morte perché Maometto aveva detto che «bisogna uccidere chiunque si converta a un'altra religione».
    Adesso Hassan vive in California, si è convertito al cristianesimo, aiuta l'Fbi a svolgere la complessa matassa dei segreti di Hamas e promette di dedicare la sua vita a combattere l'estremismo islamico. Al Qaida l'ha messo sulla sua lista dei most wanted, con una taglia sulla sua vita. Non molti sanno che nei giorni di Natale i legislatori di Hamas hanno approvato a pieni voti un codice della Sharia che ha legalizzato l'uso della crocefissione per i nemici dell'Islam. Anche per questo Hassan sta chiedendo asilo politico negli Usa.
    «La forza di Hamas sta non solo nelle loro armi ma nelle basi religiose su cui si regge - ha detto alla Fox -. Ma sono convinto che tutte le pareti che l'Islam ha eretto negli ultimi 1400 anni non esistono più. La gente non è più ignorante. Se un padre impedisce a sua figlia di uscire di casa, dal suo computer lei già viaggia attraverso il mondo».
    Hassan frequenta la chiesa protestante della Barabbas Road, a San Diego. «Non avevo mai sentito parlare del perdono», ha ammesso questo giovane convinto che il 95 per cento dei musulmani non capisca la propria religione: «L'islam non è la parola di Dio». Sono discorsi che ha voluto fare anche a suo padre, prima di dargli l'addio. «Gli ho detto che sapevo che in fondo al cuore era molto lontano dall'odio di Hamas, che si era lasciato trascinare nel terrorismo. Gli ho detto anche che è molto più vicino al cristianesimo di quanto non sappia».

(il Giornale, 6 gennaio 2009)

ved. Notizie su Israele 435





4. VOGLIA DI PAREGGIARE I CONTI




Solo quando è coinvolto Israele

Quando praticamente ogni nazione - dalla Repubblica Ceca alla Turchia alla Francia - chiede di essere coinvolta con Israele e con



le questioni di questa regione, sorge la domanda: come mai il mondo si interessa così tanto a Israele? La locuzione "opinione internazionale" rimbalza tra politici, stampa e commentatori, ma il cittadino medio norvegese o canadese sono davvero tanto interessati agli eventi che hanno luogo a Gaza o a Sderot?
    "Forse non interessano il singolo cittadino, ma sicuramente interessano le elite di quelle nazioni, gli intellettuali metropolitani: la stampa, gli autori, gli accademici", risponde il professor Shlomo Ben-Ami, già ministro degli esteri nel governo Barak (200-2001). "Il che non si deve tanto all'orrore che una persona normale prova di fronte alle scene di morte in televisione - spiega Ben-Ami - quanto al fatto che c'è Israele coinvolto nella faccenda. Ho chiesto molte volte ai palestinesi se pensano davvero che il mondo sia tanto interessato alla loro sorte. Dopotutto, quando degli arabi uccidono altri arabi, fossero anche palestinesi, la cosa non suscita nemmeno una minima parte di queste proteste mondiali. Se fossero gli egiziani o i giordani ad attaccarli, forse che si vedrebbe una tale levata di scudi?".
    In effetti, senza risalire ai tempi del "settembre nero" 1970 in Giordania, anche in anni recentissimi l'attacco dell'esercito libanese al campo palestinese di Nahr al Bared nel Libano settentrionale (estate 2007, più di 400 morti), o il massacro di palestinesi ad opera di altri palestinesi durante il sanguinoso golpe di Hamas nella stessa striscia di Gaza nel giugno 2007 sono stati a mala pena notati dall'opinione pubblica mondiale.
    "Solo quando sono coinvolti degli ebrei - continua Ben-Ami - si scatena una grande passione pubblica, e questo perché evidentemente esiste una radicata sindrome globale riguardo agli ebrei". Secondo l'ex ministro del processo di pace, non si tratta di antisemitismo in se stesso, quanto piuttosto di un fenomeno legato alla relazione pluri-secolare fra ebrei e resto del mondo. "Quando il mondo vede che siamo implicati in un conflitto che (come tutti i conflitti) coinvolge anche degli innocenti, si scatena un meccanismo del tipo: vedete, lo fanno anche loro. Il desiderio del mondo di alleggerire il proprio senso di colpa (per i secoli di maltrattamenti degli ebrei, culminati come sappiamo) è così forte che lo spinge continuamente a trarre conclusioni pericolose", prendendo per buone ogni notizia anti-israeliana senza controllare. "Come mai - si domanda Ben-Ami - si fa ricorso così rapidamente a parole come 'genocidio'?". E risponde: "Perché c'è la voglia di pareggiare i conti".
    Ben-Ami ricorda ad esempio il caso del Premio Nobel Jose Saragamo che, parlando da Ramallah, equiparò ad Auschwitz l'Operazione Scudo Difensivo contro l'ondata di attentati suicidi che colpiva le città israeliane, e si chiede: "Come può parlare in questi termini una qualunque persona col lume della ragione? Nella crisi di Sri Lanka sono state uccise circa 70.000 persone, più dei morti causati da tutte le guerre d'Israele messe insieme. Eppure il mondo sa a mala pena che c'è una crisi in Sri Lanka. Quella che ne emerge è una dose notevole di cinismo e di ipocrisia double-speak".
    Conclude Ben-Ami: "E' importante capire che questo nostro conflitto vedrà sempre coinvolti altri attori: non sarà mai semplicemente 'noi contro i palestinesi' o contro gli arabi. Questa non è una guerra normale, qui c'è sempre anche una guerra per l'opinione pubblica".

(YnetNews, 11 gennaio 2008 - ripreso da israele.net)





5. L'IDRA ISLAMISTA




Sconfiggere Hamas per ridare una chance al popolo palestinese

di Amir Taheri*

Quest'anno i palestinesi andranno a votare per un nuovo parlamento e un nuovo presidente. Divisi tra Hamastan e Fatah-land, avranno poche possibilità di creare un governo unitario capace di costruire uno stato palestinese. Ma un cambiamento dello status quo a Gaza potrebbe dargli questa possibilità.

Il conflitto a Gaza è stato scatenato dalla convinzione di Israele che lo "status quo" fosse diventato insostenibile e che doveva essere rovesciato. Esistono diverse ragioni per cui Israele non può più tollerare questa situazione a Gaza. La principale sono gli attacchi dei razzi di Hamas che hanno gettato la vita di quasi un decimo degli Israeliani in uno stato di ansia permanente. Un ulteriore fattore è che Hamas, da quando realizzò il suo colpo di stato due anni fa, ha rinchiuso dentro Gaza tutti quei gruppi palestinesi che accettano la soluzione 'due popoli/due stati'. Questo rende impossibile per Israele e per l'amministrazione del presidente Abu Mazen nella West Bank di restaurare dei negoziati volti alla creazione di uno stato di Palestina confinante con Israele.
    Ma forse, ancora più importante, è il fatto che Hamas abbia stretto un patto d'acciaio con l'Iran basato sulla strategia del Presidente Mahmud Ahmadinejad di "cancellare Israele dalle carte geografiche". L'investimento su Hamas è stato di gran lunga sufficiente a Teheran per dargli l'ultima parola sulla definizione della strategia del gruppo. Gli israeliani guardano ad Hamas come una delle due parti di una tenaglia - insieme all'Hezbollah libanese, anch'esso finanziato dall'Iran - che Teheran ha costruito contro di loro. Gli scopi della guerra iniziata da Israele, quindi, sono chiari: gli attacchi dei razzi di Hamas devono cessare, bisogna riaprire Gaza ad altri partiti palestinesi ed eliminare la presenza iraniana. Questo significa la creazione di un nuovo status quo in cui Hamas non sia più il partito dominante.
    Alcuni commentatori hanno scritto che la causa della guerra attuale sia esclusivamente l'occupazione israeliana. Ma fino allo scorso weekend Gaza era l'unica parte del territorio arabo nominalmente sotto l'occupazione israeliana che è stata liberata dagli insediamenti e dalle truppe israeliane. Ancora, i maggiori problemi di Israele, gli attacchi con i razzi e le operazioni suicide, vengono tutti da Gaza. Dall'altro lato dello spettro ci sono le alture del Golan, sotto occupazione israeliana dal 1967, che sono rimaste tranquille quanto un cimitero nonostante la presenza di un gran numero di insediamenti e truppe israeliane.
    Se leggiamo i documenti e gli opuscoli politici di Hamas appare chiaro che l'organizzazione non vuole mettere fine all'occupazione israeliana. Desidera soltanto l'estinzione dello stato di Israele. Questo perchè Hamas è parte di un movimento panislamista con ambizioni messianiche globali. Il suo obiettivo non è la creazione di uno stato palestinese a Gaza. Come ramificazione dei "Fratelli Musulmani", Hamas sogna di dominare il mondo grazie alla sua visione dell'Islam piuttosto che creare un mini-stato di 5.000 chilometri quadrati su una terra arida e in un ambiente geopolitico tutto sommato ostile.
    Sebbene sia stata creata ufficialmente nel 1987, le radici di Hamas risalgono al 1930 quando Hal Amin al-Hussaini - Grand Muftì di Palestina sotto il Mandato Britannico - si alleò con Hitler sognando di far rivivere il Califfato islamico per diventare lui stesso il nuovo califfo. Che Hamas sia poco interessato alla Palestina in quanto aspirante 'stato-nazione' è palese fin dal suo nome e dal suo statuto. Hamas è l'acronimo di "Movimento della Resistenza Islamica" intendendo quindi che il gruppo guarda alla Palestina non come a una nazione di diritto, ma come una piccola parte della Ummah, la comunità dei credenti. Hamas è l'unico partito significativo in Palestina il cui nome non includa le parole "Palestina" e "palestinesi".
    Nell'ideologia di Hamas, come in quella del defunto Sheikh Ahmad Yassin, l'amore per la Palestina come nazione viene considerato una forma di una falsa venerazione o idolatria. Hamas vede i nazionalisti palestinesi alla Abu Mazen come dei traditori dell'Islam. Per Hamas la Palestina è parte di una causa piuttosto che un progetto politico. Nessuno può negoziare con i militanti di una causa che rivendica la benedizione celeste, specialmente quando respinge la vera legittimità della sua esistenza. Un progetto politico, comunque, è negoziabile in quanto riguarda problemi di questo mondo come questioni di frontiere, confini, sicurezza, mercato e amministrazioni comuni di certe aree, che potrebbero avere soluzioni terrene.
    Per decenni i palestinesi hanno sofferto a causa dei loro leader - cominciando dal Gran Muftì e arrivando a Yasser Arafat - e per le loro rivalità, perché hanno usato la Palestina solo come uno slogan e come un pretesto. Erano gli anni Novanta quando la leadership della Palestina, guidata da Fatah, trattò per ridefinire la Palestina come un conflitto territoriale tra due nazioni vicine, piuttosto che come parte di uno scontro di civiltà. Quella ridefinizione portò agli Accordi di Oslo e alla creazione di un'amministrazione palestinese - il primo passo verso l'indipendenza.
    Hamas, comunque, rinnega quelle ridefinizioni e sta cercando di ricomporre la Palestina con nuovi attori, come una questione religiosa all'interno di una lotta globale dell'Islam contro gli "infedeli". Molti palestinesi lo vedono come un tradimento delle loro aspirazioni nazionaliste. Non ambiscono ad essere l'agnello sacrificale dell'ambizione mondiale panislamica come accadde per il panarabismo negli anni Sessanta.
    Abbattere Hamas sarebbe un risultato positivo non solo per Israele ma anche per il popolo palestinese, in modo particolare per la gente di Gaza, che è divenuta prigioniera di un partito infangato dalla corruzione e dalla incompetenza. Questo, in ogni caso, non è un compito facile. Hamas è una idra dalle molte teste. Una delle teste è quella parte dell'organizzazione che si occupa di sanità ed educazione, che ha imposto il suo controllo nei campi cacciando più di 200 Ong, prendendo il controllo delle cliniche indipendenti e delle scuole e infiltrando i suoi sostenitori nei flussi provenienti dalle agenzie umanitarie.
    Una seconda testa è costituita dalla rete politica che portò Hamas alla vittoria con il 46 per cento dei voti nelle uniche elezioni libere che si sono svolte nei territori. Sebbene la macchina politica di Hamas rimanga forte non è del tutto certo che riesca a conservare il suo pacchetto di voti fino alle prossime elezioni. Una terza testa è la rete dei rapporti d'affari. Attraverso un misto di clientelismo, investimenti assennati e intimidazioni, Hamas si è guadagnata il controllo dell'economia di Gaza - dai barbieri ai negozi di tessile. Gestisce inoltre un'organizzazione di protezione e una rete di contrabbando. Come impresa d'affari, Hamas ha conquistato il monopolio quando prese il controllo di più di 600 compagnie controllate da Fatah e dal clan di Arafat.
    Infine c'è la macchina del terrore, una forza paramilitare di circa 20.000 uomini e donne, che rispondono solo alla loro propria struttura di commando. E' quella parte di Hamas che Teheran sta cercando di comprare e controllare per mezzo di figure come Khaled Meshal, capo dell'ufficio politico di Hamas. Quest'anno i palestinesi hanno il dovere di votare un nuovo parlamento e un nuovo presidente. Divisi tra Hamastan a Gaza e Fatah-land nella West Bank, avranno poche possibilità di creare un governo unitario capace di fare pressioni per uno stato palestinese. Un cambiamento dello status quo a Gaza potrebbe dargli questa possibilità.


* Amir Taheri è un giornalista iraniano che è cresciuto tra Teheran, Londra e Parigi. Il suo ultimo libro è The Persian Night: Iran Under the Khomeinist Revolution.

Tratto da Times Online

(l'Occidentale, 14 gennaio 2009 - trad. Kawkab Tawfik)





6. PANORAMA MESSIANICO DA GERUSALEMME




Una nuova edizione della Bibbia in ebraico e in amarico

«... ma la parola di Dio non è incatenata.» (2 Timoteo 2:9).

di Gershon Nerel

Come in molti altri posti del mondo anche in Israele si possono trovare un gran numero di bibbie bilingue, in cui al testo ebraico è aggiunto a fronte la traduzione in un altra lingua. In questo modo sono state stampate edizioni di Bibbie ebraico-inglese, ebraico-francese ed ebraico-tedesco. Fino ad oggi era mancata una versione ebraico-amarico del Nuovo e dell'Antico Testamento. La lingua semitica amarica (la lingua ufficiale dell'Etiopia da non confondersi con l'aramaico) è la lingua parlata e scritta da centinaia di ebrei, che negli ultimi trenta anni si sono trasferiti in Israele dall'Etiopia. Ora in Israele si è dato il via ad un nuovo progetto di pubblicazione di una Bibbia in ebraico-amarico.
    Messele Mamo (40 anni), un ebreo messianico di Gerusalemme (sposato, padre di quattro figli) è l'ideatore e il coordinatore di questo nuovo progetto. Nell'estate del 1992 si trasferisce in Israele dall'Etiopia. Numerosissimi parenti della madre vivevano ancora nel paese d'Israele. All'inizio conosceva solo poche parole dell'ebraico. «All'inizio mi sembrava di scrivere in arabo, per via della direzione da destra a sinistra della scrittura», mi ha raccontato nel settembre 2008 durante un'intervista. Ma dopo un corso intensivo in un «Ulpan», una scuola per ebrei, la lingua ebraica non aveva più segreti per Messele, come la sua lingua madre, il «tigrino», un dialetto semitico dell'Etiopia. La maggior parte degli «Olim» (i neoimmigrati) dell'Etiopia parlano il «tigrino» e per questo motivo hanno pochi problemi con il lessico ebraico. Messele si convertì durante una evangelizzazione di strada nel 1994.
    Oggi in Israele sono otto le comunità di messianici che parlano in amarico, tre in Gerusalemme, tre in Tel Aviv, una ad Haifa e una a Netanya. In queste comunità i credenti ebraico-etiopici si sentono a loro agio, perché non hanno nessun problema di comprensione e perché possono vivere in un ambiente familiare. Messele decise comunque di cercarsi una comunità che parlasse ebraico. Già da molti anni frequenta la comunità di «Sukkat David» (la capanna di Davide) sulla strada dei Profeti. I componenti sono di estrazioni diverse e tutte le prediche sono in ebraico. «Per me, mia moglie e i miei figli è la scelta migliore Ci permette di integrarci meglio nella società e migliorare il nostro lessico ebraico», mi ha detto Messele.
    Il suo lavoro alla Bibbia in ebraico-amarico è iniziato il primo gennaio 2007 ed è durato circa sette mesi. La maggior parte del lavoro (circa l'ottanta per cento) lo ha concluso da solo, il resto un gruppo di fedeli amici. Il primo passo è stato la raccolta da internet di testi biblici in ebraico e in amarico privi di licenza che poi sono stati posti a confronto. A causa delle numerose differenze il lavoro non è sempre stato facile. Nella versione in amarico dei Salmi manca nella maggior parte dei capitoli la numerazione dei primi versetti, perché probabilmente sono stati ritenuti parte integrante del titolo o sottotitoli.
    Ho posto a Messele anche la seguente domanda: «Quale testo ebraico per il nuovo testamento avete scelto? Ci sono un gran numero di traduzioni come quella di Franz Delitzsch, Zalkinson-Ginzburg e quelle in ebraico moderno». La sua risposta è stata: «Tra tutte le traduzioni ebraiche io e altri dodici amici credenti abbiamo scelto la versione di Delitzsch, perché il suo stile si avvicina di più a quello della Bibbia e dei Mischna (testi della tradizione orale del giudaismo rabbinico)». Messele sostiene che questo stile più antico rispetto a quello dell'ebraico più moderno crei meno problemi o renda più naturale il collegamento tra l'Antico e il Nuovo Testamento rendendo così possibile una continuità linguistica tra le due parti della Bibbia.
    «Avete scelto voi, per il nuovo testamento, lo stile arcaico, biblico, e non l'ebraico moderno?», ho chiesto a Messele. «No», ha replicato, «il nostro gruppo ha realizzato un questionario. Attraverso una indagine informale abbiamo constatato che in Israele la maggior parte degli ebrei etiopici che credono in Gesù preferiscono l'antica parlata del testo di Delitzsch, anche se in alcune parti è più difficile da comprendere.» Messele ha spiegato che le autorità per l'immigrazione mandano i giovani appena arrivati dall'Etiopia in scuole e internati ebraico-ortodossi. I testi letti in questi luoghi seguono lo stile dei Mischna. I genitori vorrebbero una educazione scolastica realizzata seguendo le linee guida del giudaismo ortodosso, e a questo si addicono anche i testi biblici e quelli dei Mischna.
    Messele ritiene anche che, secondo la sua indagine, per gli ebrei messianici di origine etiopica il testo della Bibbia ebraica in stile più antico sia dotato di una maggiore dignità, che non avrebbe se fosse una semplice riproduzione in ebraico moderno. Secondo la sua opinione, il testo biblico deve essere per gli etiopici oggetto di grandi attenzioni, perché «la Parola di Dio non merita un trattamento negligente». Alla realizzazione del testo ebraico-amarico hanno lavorato molte persone. Il materiale è stato poi riletto e corretto da altri otto aiutanti. Successivamente, dopo una ricerca di mesi per una casa produttrice, si è finalmente trovata una ditta che concluderà l'atteso progetto.
    È degno di nota il fatto che non solo i credenti etiopici hanno preferito la versione nello stile più antico, e più «difficile», per la loro Bibbia bilingue. Anche gli ebrei messianici «Olim» russi leggono più volentieri il «vecchio» testo di una Bibbia in lingua moderna.
    Esemplare il fatto che già nel 1991 fosse pubblicato il «Sefer Habritob» (Il libro delle Federazioni), che presentava nel Nuovo Testamento il testo russo accanto alla traduzione di Delitzsch. Da questo possiamo comprendere quanto i credenti e i neoimmigrati ebrei in Israele sono pronti ad abbattere le barriere linguistiche per conservare l'alta considerazione della Parola di Dio e la continuità dei testi dal primo libro di Mosè fino all'Apocalisse .

(Chiamata di Mezzanotte, Anno IV - n.12 2008)





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