Inizio ยป
<- precedente        seguente ->


Notizie su Israele 453 - 4 febbraio 2009

1. Un riservista israeliano scrive a un palestinese
2. Un'oscena menzogna per delegittimare Israele
3. Conseguenze della rappresaglia contro Hamas
4. «La gente ti sorride, non ha perso l'ottimismo»
5. Testimonianza di Elena Ottolenghi
6. Indignazione per la Bibbia in ebraico moderno
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Isaia 44:2-3. Così parla il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato fin dal seno materno, colui che ti soccorre: Non temere, Giacobbe mio servo, o Iesurun che io ho scelto! Io infatti spanderò le acque sul suolo assetato e i ruscelli sull’arida terra; spanderò il mio spirito sulla tua discendenza e la mia benedizione suoi tuoi rampolli.
1. UN RISERVISTA ISRAELIANO SCRIVE A UN PALESTINESE




Riportiamo da Informazione Corretta una lettera aperta, scritta da un riservista in missione a Gaza, rivolta ai padroni della casa di cui il suo gruppo si è servito come base. Il testo è stato pubblicato originariamente su Maariv. La traduzione in italiano è di Yuval Segev, con la collaborazione di Giorgio Montersino.

Lettera aperta per un abitante di Gaza: sono il soldato che ha dormito a casa tua

"So che sei arrabbiato perché ho dormito sul tuo divano. Ma solo tu ed i tuoi vicini potete cambiare la situazione".

Ciao,
mentre tutto il mondo osserva la distruzione di Gaza, tu torni nella tua casa. È vero, è intatta, ma noterai che qualcuno è stato lì
mentre tu non c'eri. Quella persona ero io. Ho pensato molto a quale potrà essere la tua reazione quando rientrerai in casa tua. Cosa proverai quando capirai che i soldati di Tsahal hanno dormito sui tuoi divani, si sono coperti con le tue coperte. Ho immaginato che ciò ti renderà triste e amareggiato. E ti offenderà profondamente sapere dell'ingresso, nello spazio intimo della tua vita, di quelli che sono considerati i tuoi nemici. Sono convinto che mi odii di un odio vero, e che non hai la minima voglia di starmi ad ascoltare. Ma è importante per me scriverti queste cose, nella speranza che tu abbia voglia di ascoltarmi.
    Ho passato lunghi giorni in casa tua. Ho avvertito la tua presenza e quella della tua famiglia in tutta la casa, ho visto le foto che hai appeso al muro e mi hanno fatto pensare alla mia famiglia. Ho visto i profumi di tua moglie, sul cassettone, e mi hanno fatto pensare a mia moglie. I giochi dei tuoi bambini e i loro libri di inglese. Il tuo computer, con il cordless vicino allo schermo, esattamente come l'ho sistemato anche io, a casa mia. Vorrei che capissi che il disordine che hai trovato in casa tua è dovuto alla nostra ricerca di bombe e di tunnel (che abbiamo trovato in altre case!). Ho tentato di trattare con cura tutto ciò che immaginavo fosse importante per te. Quando abbiamo dovuto spostare la scrivania, ho scollegato i fili del computer e li ho sistemati sul pavimento, esattamente come farei con il mio, e ho coperto il computer con un pezzo stoffa. I vestiti che abbiamo dovuto muovere, spostando gli armadi, ho provato a rimetterli in ordine, ovviamente non come avresti fatto tu, ma almeno in modo da non perdere le cose.
    Lo so - la grande distruzione, le tracce dei colpi sulle mura, le case dei tuoi vicini trasformate in un mucchio di calcestruzzo e detriti - rendono ridicolo ciò che ti scrivo. Ma comunque, vorrei che tu mi capissi, che ci capissi, e rivolgessi la tua rabbia e le tue critiche nella giusta direzione. Ho deciso di scrivere questa lettera dopo essere stato a casa tua. Vedo che sei intelligente, razionale, alcuni della tua famiglia vanno all'università, i tuoi bambini studiano l'inglese, sei collegato a internet. Non sei stupido, vedi quello che ti succede intorno. Dunque certamente sapevi che dal tuo quartiere sono stati lanciati dei razzi Qassam verso le città israeliane. Come potevi vedere questi lanci e non pensare che un giorno avremmo detto "basta"? Non hai pensato che fosse ingiusto sparare dei razzi sui civili innocenti, gente che come te vuole soltanto vivere una vita normale? Quanto tempo pensavi che saremmo rimasti seduti e in silenzio, senza reagire? E immagino quello che dirai, "non sono io, è Hamas", la mia intuizione mi dice che non sei un loro fan. E se guardi bene la triste realtà in cui vivi, se riesci a non ingannare te stesso, dando tutta la colpa all'occupazione, arriverai alla semplice conclusione che è Hamas il tuo reale nemico.
    La realtà è così semplice che può capirla anche un bambino: Israele ha lasciato la Striscia di Gaza, evacuato i suoi abitanti e le basi militari. Abbiamo continuato a darvi elettricità e merce, nonostante il ritiro (e questo lo so bene, perché durante i miei giorni di servizio ho dovuto sorvegliare diverse volte i passaggi e ho visto centinaia di camion pieni che entravano ogni giorno nella non-assediata Gaza). Nonostante tutto ciò, inspiegabilmente, irrazionalmente, Hamas ha continuato a sparare razzi sulle città israeliane. Per tre anni siamo stati in silenzio, abbiamo stretto i denti, ma alla fine non abbiamo più potuto sopportare, e siamo entrati nella Striscia e nel tuo quartiere, per allontanare tutti quelli che vogliono ucciderci. È una realtà dolorosa, ma molto semplice da descrivere.
    Quando concorderai con me sul fatto che Hamas è il tuo nemico, ed è il motivo per cui il tuo popolo è arretrato e in miseria, capirai anche che il cambiamento deve venire da te. So bene che le cose che scrivo sono più facili da dire che da fare, però non vedo un'altra via. Tu, che sei collegato al mondo e ti curi dell'educazione dei tuoi figli, dovresti portare avanti, con i tuoi amici, una resistenza popolare a Hamas. Ti giuro, se gli abitanti di Gaza si fossero preoccupati di costruire strade, scuole, industrie e istituti culturali, invece di cercare qualcuno a cui dare la colpa di tutto, di contrabbandare armi attraverso i tunnel e infiammare continuamente l'odio per i vicini israeliani, la tua casa non sarebbe stata perquisita, adesso. Se i vostri capi non fossero corrotti e guidati dall'odio per le persone, la tua casa non sarebbe stata messa a soqquadro. Se qualcuno avesse gridato, all'inizio, che non c'erano giustificazioni per sparare razzi sui civili innocenti, io non sarei entrato, da soldato, qui nella tua cucina.
    "Non abbiamo soldi", mi dirai, ma in realtà avete a disposizione più di quanto si può immaginare. Ancora prima che Hamas prendesse il controllo di Gaza, ai tempi di Yasser Arafat, milioni, se non miliardi di dollari, donati da vari paesi del mondo, sono stati spesi per comprare armi o sono stati depositati nei conti bancari dei vostri capi. I paesi del Golfo, gli Emirati Arabi, vostri fratelli, gente come voi, sono tra i paesi più ricchi del mondo. Se ci fosse stata una qualche solidarietà tra i paesi arabi, e cioè se avessero avuto un qualche interesse a supportare il popolo palestinese, la vostra condizione sarebbe molto diversa. Pensa a Singapore: la superficie di Singapore non è molto più grande di quella della Striscia di Gaza, ed è il secondo paese più densamente popolato al mondo. Ma nonostante ciò, Singapore è un paese sviluppato, prospero e ben organizzato. Perché voi no?
    Amico mio, vorrei chiamarti per nome, ma ovviamente non lo farò in publico. Voglio che tu sappia che io approvo al 100% ciò che ha fatto il mio Paese, il mio Esercito, e ciò che io stesso ho compiuto. Ma compatisco il tuo dolore, mi dispiace per la distruzione che trovi in questo momento nel tuo quartiere. E posso dirti che a livello personale ho fatto di tutto per limitare i danni in casa tua. Credo che noi abbiamo in comune più di quanto tu immagini. Io sono un civile, la mia professione non è militare, e non ho relazioni con l'esercito, nella mia vita privata, però, ogni volta che qualcuno mi attacca, sento il dovere di uscire di casa, indossare la divisa e difendere la mia famiglia. Non ho intenzione di tornare a casa tua da soldato. Ma sarò lieto di sedere con te, da ospite, sul tuo bellissimo balcone, e bere un tè, insaporito con la salvia del tuo giardino. L'unica persona che può rendere questo possibile, sei tu. Prenditene la responsabilità, curati della tua famiglia, del tuo popolo, e inizia a controllare il tuo destino. Come, non lo so. Forse la storia degli ebrei può esservi d'esempio. Gli ebrei, che si sono risollevati dalla più grande tragedia del XX secolo, e hanno costruito un paese florido e prospero, invece di abbandonarsi all'autocommiserazione.
    È possibile. È un'impresa che puoi realizzare! Io sarò lì per te, ti darò una mano, per sostenerti ed aiutarti. Ma solo tu puoi mettere in moto le ruote della storia.

Tuo
Yshai
Riservista IDF

(Informazione Corretta, 1 febbraio 2009 - trad. Yuval Segev)





2. UN’OSCENA MENZOGNA PER DELEGITTIMARE ISRAELE




L'olocausto non va in TV
    

di Federico Steinhaus
    
Alcuni giorni or sono il giornale ha pubblicato la lettera di un lettore che paragonava l'esercito israeliano alle SS.
    Chi ha vissuto, sia pure solo da bambino, quegli anni ha bene impressi nella memoria i crimini terribili commessi dai nazisti: centinaia e talvolta migliaia di civili di ogni età ammassati ed uccisi per rappresaglia, umiliazioni e violenze di una ferocia senza pari. Per tacere dei campi di sterminio, in cui furono assassinati ebrei per il solo fatto di essere ebrei, zingari per il solo fatto di essere zingari, omosessuali, malati di mente...Cosa di tutto ciò si può vedere a Gaza? Nulla. Possiamo parlare di memoria corta o di memoria selettiva? Non credo.
    Da queste constatazioni del tutto oggettive possiamo desumere che il paragone ebrei (o israeliani) = nazisti è una oscena menzogna che ha l'unico scopo di demonizzare gli ebrei e delegittimare lo stato d'Israele.
    Sì, perché noi stiamo assistendo ad una perversa manipolazione, molto ben orchestrata, abbondantemente finanziata e capillarmente diffusa attraverso i media: se gli ebrei, vittime del nazismo, fanno ai palestinesi le stesse cose che i nazisti fecero a loro, ecco che gli europei ed in generale gli antisemiti possono dormire sonni tranquilli sapendo di aver ragione nell'odiare gli ebrei. Non vi è più motivo di avere dei rimorsi per i 6 milioni di ebrei assassinati, e non vi è motivo alcuno che autorizzi gli ebrei ad avere un loro stato a spese di un altro popolo che loro stanno crudelmente sterminando.
    Da qui, e solo da qui, nascono i cortei che bruciano le bandiere israeliane, le vignette satiriche che dipingono gli ebrei secondo gli stereotipi medievali mentre bevono il sangue dei bambini cristiani (anzi, ora bevono quello dei bambini arabi), gli ebrei che in Francia vengono picchiati, le sinagoghe bruciate. Cose di tutti i giorni in questa nostra Europa così civile e progredita.
    A Gaza è in corso una guerra fra una organizzazione terroristica che vuole cancellare dal mondo lo stato d'Israele ed Israele che vuole invece sopravvivere. Il governo israeliano può commettere eccessi, errori e scelte criticabili, ed è sottinteso che ogni critica politica è legittima, ma non vi deve essere spazio per giudicare Israele con parametri diversi da quelli che si usano per qualunque altro stato.
    Vi è anche chi, per non essere accusato di essere antisemita, precisa: ma no, io rispetto gli ebrei, sono solo antisionista. Dobbiamo fare chiarezza anche su questo. Il sionismo è il movimento di rinascita nazionale del popolo ebraico, e si è realizzato riportando una parte del popolo ebraico nella sua terra d'origine, dalla quale era stato cacciato all'epoca di Roma antica. Non in tutta la sua terra d'origine, ma solo una parte di essa: l'altra parte, quando il mondo arabo lo vorrà, diventerà la patria del popolo palestinese. E questo ritorno è avvenuto quando l'ONU - già, proprio l'ONU! - decise nel 1947 che gli ebrei dovevano avere una loro patria nazionale in Palestina, e gli arabi palestinesi dovevano avere la loro a fianco di quella ebraica. Gli ebrei accettarono, gli arabi rifiutarono.
    Negli anni 70 la Giordania e la Siria massacrarono in pochi giorni diverse migliaia di palestinesi: tutto avvenne nel silenzio del nostro occidente così pronto invece a scandalizzarsi per quel che fa Israele. Del resto neppure i curdi iracheni massacrati da Saddam con i gas, oppure il milione di morti della guerra Iraq-Iran in cui gli iraniani mandarono squadre di bambini ad esplorare i terreni minati prima di farli attraversare dai loro militari , suscitarono molto interesse dalle nostre parti. E che dire delle migliaia di razzi Kassam sparati da Gaza contro i civili israeliani per 8 anni senza che Israele reagisse? Silenzio. Chi ha detto una sola parola di condanna? L'ONU? L'Unione Europea? Qualche governo? Si sono visti cortei per le strade?
    E poi: vi ricordate la guerra della NATO contro l'ex Jugoslavia? Sono passati 10 anni, da noi il governo era presieduto da D'Alema. Bombardamenti, centinaia di civili uccisi come "effetto collaterale". Ho visto personalmente le case sventrate nel Kossovo, le moschee e le chiese recintate da filo spinato e sorvegliate da militari armati per paura di vendette, i grandi cimiteri.
    In guerra è inevitabile che anche civili muoiano, per quanto doloroso ciò sia. Ma quelli di Gaza sono morti perché gli uomini di Hamas, con una tecnica terroristica spietata, li hanno costretti a rimanere nelle loro case mentre essi vi si nascondevano per sparare contro i civili israeliani coi mortai o coi kassam. In guerra non vi è una parte che abbia sempre ragione ed una che abbia sempre torto, neppure quando la guerra è giusta. Ma il nazismo fu l'incarnazione stessa del male, senza possibilità di esitazioni. L'analogia con la metodica, organizzata, sistematica crudeltà dei nazisti è oscena oltre che aberrante e falsa.
    E' speranza di tutti, in Israele, che in futuro possa esservi una coesistenza pacifica fra lo stato ebraico ed uno stato palestinese, pacifico e democratico. Ma questa coesistenza si deve poter basare sul reciproco riconoscimento e rispetto, non sulla violenza del terrorismo né sul pensiero (che è alla base dell'ideologia di Hamas) che la coesistenza sia solo una tappa provvisoria per poter meglio preparare l'annientamento di Israele.

(Alto Adige, 3 febbraio 2009)





3. CONSEGUENZE DELLA RAPPRESAGLIA CONTRO HAMAS




Dopo Gaza una pace più facile

di Benny Morris

La rappresaglia israeliana contro Hamas a Gaza potrebbe essere preludio a un importante passo avanti per sbloccare il processo di pace arabo- israeliano, proprio come la Guerra di ottobre nel 1973 portò alla firma della pace tra Egitto e Israele e l'invasione del Libano nel 1982 produsse un'attenuazione delle posizioni intransigenti dell’Olp e l'inizio dei colloqui di Oslo tra israeliani e palestinesi.
    Certo, con il suo ripudio dogmatico e teologico del Sionismo e di Israele e di qualsiasi forma di dialogo con l'infedele, Hamas opporrà un rifiuto incrollabile, malgrado il crescente ostracismo da parte della comunità internazionale. Ma è palese che agli oppositori del processo di pace è stato inflitto un durissimo colpo. Hamas, una delle filiali di Teheran, ha subito perdite cocenti. Allo stesso tempo, indubbiamente, gli Stati arabi - specie i «moderati», come Arabia Saudita ed Egitto - sono rimasti stupefatti dalla potenza e dall'accuratezza dell'aviazione militare israeliana e dalla risolutezza e dall'abilità dimostrata dalle forze di terra.
    L'opzione bellica dei Paesi arabi, che dai tempi della sconfitta egiziana e siriana nel 1973 e nel 1982 è stata lungi dal sembrare convincente, oggi rischia ancor più di retrocedere nell'oblio. E questo promette di incoraggiare una maggior flessibilità tra i sostenitori arabi (sunniti) del piano di pace proposto dalla lega arabo-saudita nel 2002, specie tra coloro che vedono con preoccupazione il programma nucleare iraniano (sciita) e le ambizioni di Teheran nella regione.
    Quel piano presentava tuttavia al governo israeliano un certo numero di problemi insormontabili, il più spinoso dei quali era l'insistenza per una soluzione al problema dei profughi palestinesi basata sulla risoluzione 194 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del dicembre 1948, che nell'interpretazione araba appoggia il «diritto al ritorno» e al ritiro completo da parte di Israele fino ai confini del 5 giugno 1967. Secondo tutti i sondaggi di opinione, oltre il 90% degli ebrei israeliani si oppone al rientro dei profughi, perché rischia di trasformare lo Stato ebraico in uno Stato a maggioranza araba. E la maggior parte degli ebrei israeliani, benché a favore di uno Stato palestinese, non è disposta a rinunciare ai nuovi confini che includono gli insediamenti della Cisgiordania, come il Blocco Etzion. Al contempo, la campagna militare contro Hamas, che per gli ebrei è stata portata a termine con successo, potrebbe convincere la leadership israeliana - nella sua nuova compagine scaturita dalle imminenti elezioni politiche - a far mostra di una maggior disponibilità nelle trattative con l'Autorità palestinese e forse anche con la Siria.
Gli eventi del 2006, malgrado l'attacco israeliano dell'anno seguente andato a segno contro il reattore nucleare siriano, avevano segnato un indebolimento del deterrente israeliano. La campagna di Gaza ha ristabilito quel deterrente e riacceso i timori arabi nei confronti di Israele.
    È indubbio che l'attacco israeliano contro Hamas abbia lasciato l'amaro in bocca a molti arabi. Ma i governi degli Stati arabi «moderati», nel Golfo e altrove, quando le passioni popolari (e populiste) si saranno calmate, sapranno valutare realisticamente gli equilibri di forza nella regione. E la ritrovata statura di Israele nelle cancellerie occidentali non sarà passata inosservata nel mondo arabo. Pertanto, paradossalmente, la campagna di Gaza potrebbe condurre a un nuovo giro di negoziati arabo-israeliani - come è accaduto dopo i conflitti del 1973 e del 1982 - quando tutti gli interessati, tranne i fondamentalisti islamici, saranno più disposti al compromesso e alla conciliazione.

(Corriere della Sera, 1 febbraio 2009)





4. «LA GENTE TI SORRIDE, NON HA PERSO L'OTTIMISMO»




Vivere al confine di Gaza

di Alessandro Pagano

Sono stato in Israele per 3 giorni, al confine con la Striscia di Gaza, in missione come osservatore per conto del PDL e assieme ad uno stimato collega del PD, l'On. Gianni Vernetti.
    Vi voglio raccontare le mie impressioni, le mie emozioni e il mio stato d'animo per farvi capire che cosa si prova a visitare i luoghi dove in questo momento gli occhi del mondo sono puntati.
    La guerra, come sapete, per il momento è finita. Israele unilateralmente ha offerto la tregua e si è ritirata dai territori palestinesi dopo aver inferto una dura lezione militare ad Hamas. Una lezione che i terroristi ricorderanno a lungo, anche se difficilmente cambieranno il loro atteggiamento tant'è che, appena è iniziata la tregua, hanno gambizzato, cavato gli occhi, torturato e ucciso molti palestinesi moderati perchè colpevoli di ricercare la pace con Israele.
    Ma torniamo alla cronaca. Arriviamo martedì 20 gennaio ad Ashkelon, nel sud d'Israele e in albergo ci danno le istruzioni nel caso di attacco missilistico: " i rifugi sono nei piani 1, 4, 5 e 6 ma anche le scale, dicono le note, sono ben protette. Se invece si è fuori bisogna distendersi per terra con le mani a protezione della testa ". Come inizio non c'è male!
    Anche la visita della casa municipale di Ashkelon ricalca le prime impressioni. La stanza del Sindaco e del suo staff è in un sotterraneo disadorno in cemento armato. D'altronde in quale altro modo si potrebbe gestire un comune di 120.000 abitanti quando negli ultimi anni sono piovuti migliaia di missili in tutta l'area? Per tutti voi che leggete, sappiate che ogni volta che da Gaza viene lanciato un razzo, una sirena avverte la popolazione israeliana e da quel momento i civili hanno solo 30'' (avete letto bene, 30 secondi) per rifugiarsi nei sotterranei.
    I bambini ormai non vanno a scuola con regolarità da anni.



Cinque scuole sono state colpite e se le vittime sono state appena una decina è solo perché i sistemi di sicurezza e protezione sono eccezionali, ma i danni economici e psicologici sono incalcolabili.
    Quasi nessuno però è emigrato, perché ciò significherebbe darla vinta ai terroristi. Questa è gente con gli attributi, ma il prezzo pagato è stato altissimo. A Sderot (3 km da Gaza city) su 6500 abitanti, quasi 5000 sono stati in cura dagli psicologi.
    E chi si sorprende di questa notizia, provi ad immaginare sulla propria pelle cosa significhi passare anni e anni con le sirene che suonano, e migliaia di Qassam che ti scoppiano a due passi da te distruggendo case e affetti. Eppure quanto amore ho colto nel popolo Israeliano! Per strada la gente ti sorride, non ha perso l'ottimismo, nè la speranza per un futuro migliore.
    Nella ridente città di Beer-Sheva ho visitato l'ospedale Soroka, uno fra i più belli ed efficienti che abbia mai visto in vita mia; ho visto centinaia di arabi (palestinesi e beduini) utilizzare la struttura con una naturalezza sorprendente. La professionalità e l'amore che medici e infermieri israeliani davano loro è da esempio per tanti nostri operatori sanitari che invece la parola Amore l'hanno cancellata dal loro vocabolario. Nessun sentimento diverso dalla solidarietà più autentica e generosa ho visto in loro.
    In un altro incontro facciamo visita ad un Moshav (fattoria autogestita, ndr) nella regione del Negev, in pieno deserto e a pochissimi chilometri da Gaza. Vi operano 50 volontari, tutti sotto i 25 anni, che lavorano ad un progetto denominato Ayalim e da loro stessi concepito. Il progetto, mira a popolare il deserto trasformandolo in terre fertili e città ricche. Contemporaneamente gli stessi giovani, che sono le classi dirigenti future, si stanno forgiando, non solo studiando ma anche coltivando in loro stessi un alto senso di responsabilità. Pensateci un attimo! Esattamente il modello pedagogico opposto a quello italiano, che invece da anni ha smesso di investire sulle aree deboli del nostro Paese e che sta allevando una generazione futura che qualcuno ha già definito di bamboccioni
    Chiudiamo giovedì incontrando il Presidente della Repubblica Israeliana Shimon Peres, alla presenza dell'ambasciatore italiano in Israele Luigi Mattiolo, dell'ex ambasciatore israeliano in Italia, il mitico Avi Pazner e dei rappresentanti della comunità ebraica italiana. Ho l'onore e il privilegio di parlare in nome e per conto del gruppo PDL della Camera. Nel mio breve discorso ricordo che nessuno può rinunciare alla difesa degli inermi, men che meno le Pubbliche Autorità che della protezione dei propri popoli e dei deboli trovano la loro ragion d'essere, ciò anche se questo può, con dolore, costare l'uso delle armi. La legittima difesa, fondata sulla verità e sulla giustizia infatti, è un diritto inviolabile e inalienabile. Concludo il mio discorso ringraziando il Presidente per quanto sta facendo Israele per la libertà del mondo; senza di loro oggi il terrorismo internazionale avrebbe invaso l'Occidente.
    Il Presidente Shimon Peres ci risponde con un discorso tanto intenso quanto commovente: "Molti, nel mondo, non capiscono le ragioni di Israele, ma Israele non capisce perchè questi molti non comprendano. Cosa vuole Hamas? Cosa propone? Quindicimila coloni israeliani - spiega, - si ritirarono unilateralmente dalla Striscia di Gaza nel 2005. Lasciarono Gaza per decisione di Israele. Furono investiti miliardi dalla comunità internazionale. La Striscia era libera, così come i suoi valichi. Io stesso ho pensato che fosse una cosa giusta. E cosa e' successo dopo? E' stato costruito un sistema sotterraneo dove far passare le armi. Hamas e' giunta a lanciare missili contro di noi." Il Presidente ha continuato ricordando la presenza nefasta dell'Iran, che vuole controllare il Medio Oriente per mezzo delle " sue succursali terroristiche " Hamas ed Hezbollah. Sul conflitto ha sottolineato poi le modalità usate: gli avvisi dell'esercito israeliano ai civili mediante telefonate e biglietti. Le precauzioni per evitare quante più vittime possibili tra i civili. Il tutto esattamente al contrario di Hamas che invece i bambini e le donne li ha usati come scudi umani. "Abbiamo atteso - ha aggiunto Peres - ben otto anni prima di reagire ". E ha concluso il suo discorso ricordando la posizione dei Paesi arabi moderati, come l'Egitto, che ha condannato Hamas riconoscendo le sacrosante ragioni di Israele.
    Dalle sue parole capisco la grandezza di questo popolo e la sua capacità di resistere alle difficoltà, anche le più inaudite.
    Sulla strada del ritorno penso a tutto quello che ho visto e capisco che l'Occidente non deve cedere, che deve continuare a difendere le proprie radici, la propria storia, la propria identità e la propria libertà. Penso che anche se in Italia le difficoltà che stiamo vivendo sono notevoli, Israele ci sta insegnando, giorno dopo giorno, che tutto si può superare se i grandi ideali sono la ragione della propria vita, sia essa individuale, sia essa come popolo.
    E alla fine penso che i miracoli di cambiare le cose si possono realizzare. Mi aiuta in questo mio pensiero, Ben Gurion che fu il Padre fondatore dello Stato di Israele: "Un popolo che non crede nei miracoli, non è un popolo realistico! "

(Notiziaro Italiano, 29 gennaio 2009)





5. TESTIMONIANZA DI ELENA OTTOLENGHI




I ricordi di una bambina al tempo delle leggi razziali

di Elena Donà

Elena Ottolenghi aveva finito la terza elementare quando vennero promulgate le prime leggi razziali in Italia. Gli ebrei fuori dalla scuola, per non 'profanarla', come le venne spiegato da una bidella incaricata di portarle un premio di merito per i risultati scolastici. Le fu detto che aveva sì diritto al premio, un libro di mitologia «bruttissimo e fascistissimo», ma che non mettesse piede a scuola per la premiazione.
    All'epoca Elena non sapeva nulla né di deportazioni né di campi di sterminio, non lo immaginava ancora nessuno. Oggi è seduta davanti a una platea di studenti della 66 Martiri di Grugliasco a raccontare che è stata fortunata. E dire che non è proprio la prima parola che verrebbe in mente pensando a qualcuno che ha dovuto nascondersi, lasciare una scuola che amava, vivere gli anni della guerra con la paura di essere scoperta, tradita. Racconta i bombardamenti a Torino come li aveva vissuti la bambina di sessant'anni fa, che incrociava le dita perché durassero più di due ore perché così il giorno dopo non si andava a scuola. Però non era un gioco e la guerra c'era davvero, insieme alla caccia agli ebrei.
    La famiglia Ottolenghi riuscì a sfuggire alla deportazione grazie all'aiuto di tanti amici e semplici sconosciuti, «i giusti tra le nazioni», che li nascosero a Villar Pellice e poi in una baita in alta montagna, fino alla fine della guerra. Ora lei sorride a raccontare l'ingenuità con cui sul documento falso della mamma apposero una foto ricordo che il padre teneva nel portafoglio. «Era una foto romantica, mia mamma aveva un abito bianco ed era seduta in un giardino. Non era certo una foto che trovi su un passaporto. Se avessero controllato non l'avremmo mai fatta franca». Ingenuità ma anche grande coraggio, di Elena quattordicenne, che disobbedendo al padre si mette nei guai insieme al cuginetto per procurarsi i documenti falsi per tutta la famiglia. «Vi incito a non obbedire sempre» dice ai ragazzi - e grande coraggio anche di tutti quelli che l'hanno aiutata, mettendo a rischio la propria stessa vita, come l'impiegato dell'anagrafe Silvio Rivoir che procurò più di settanta documenti falsi a partigiani ed ebrei.
    Accanto all'eroismo la Ottolenghi ricorda anche i piccoli gesti che non andrebbero mai dimenticati nelle grandi tragedie, come quello del commissario di polizia che li avvertì: «Domattina vengo a cercare la radio, non fatemela trovare, ci disse. Non l'abbiamo mai ringraziato per non metterlo nei pasticci». E' l'indifferenza a uccidere, come provano le tante storie di chi, scampato ai lager, torna e si toglie la vita poco dopo, perché raccontare l'inferno non è possibile, nessuno vuole ascoltare, chi non l'ha vissuto si tappa le orecchie e si volta dall'altra parte, per non crederci.
    Lei ai giovani che la ascoltano dice: «Dovete essere curiosi, bisogna partecipare. Se qualcuno sta vivendo qualcosa di brutto, bisogna almeno aiutarlo a non sentirsi solo». E dice anche una cosa bellissima: «Studiare, imparare, perché le cose che vi ficcate nella testaccia restano vostre e non ve le toglie più nessuno. Ecco perché per noi era così importante. Potevano portarci via tutto ma non quello che avevamo dentro la nostra testa».
    Si parla di antisemitismo, la Ottolenghi cita subito la cronaca contemporanea. «Mi arrabbio quando al telegiornale titolano 'Rumeno ubriaco travolge e uccide una ragazza'. Un ubriaco al volante è un criminale a prescindere dalla nazionalità, che senso ha presentarlo in questo modo, così si fomenta il razzismo». Appunto. E si sposta l'attenzione dai crimini tutti italiani, tutti in famiglia. Il peggio è che funziona.

- C'era allora e c'è ancora una grande confusione sul significato di essere ebreo. Gli ebrei sono stati perseguitati per le ragioni più disparate, spesso contraddittorie: accusati di essere comunisti, capitalisti, per la loro fede, infine per la razza. Aveva mai avvertito un clima di sospetto nei confronti della sua famiglia prima del '38?
- Prima delle leggi razziali non c'era niente che ci distinguesse dagli altri. Mio papà è stato un volontario della prima guerra mondiale. I primi ebrei in Italia sono del 70 a.C. portati dalla Palestina, quando la invasero i Romani. Sono gli italiani più italiani che ci siano. Quando ci furono tutte le restrizioni, quando Carlo Alberto concesse lo Statuto dando diritti civili a ebrei e protestanti, gli ebrei divennero incredibilmente monarchici. I miei nonni erano monarchici. Io a scuola ero diversa dalle mie compagne perché non dicevo il Padre Nostro prima delle lezioni. La mia mamma mi diceva stai sull'attenti per rispetto, e tutto lì. Usava sposarsi tra ebrei, questo sì. Si pensava a una continuità di tradizioni, che poi erano molto blande. Le tradizioni erano un modo di tenere unita la famiglia, ecco.

- Come si spiega la rinascita di tutti questi gruppi neonazisti, neofascisti, tra i giovanissimi?
- E' ignoranza, certo. E' bullismo. E' volersi sentire forti. Sono dei deboli che vogliono sentirsi forti e allora fanno queste azioni di gruppo, da vigliacchi.

- Ha mai rivisto le compagne della scuola elementare che dovette lasciare in seguito alle leggi razziali?
- Questo è interessante. Tanti anni dopo ho incontrato una signora che era stata mia compagna alla Mignon, che mi ha raccontato che il primo giorno in quarta lei aveva detto forte: «Ma mancano tre compagne: Elena, Nora e Andreina» e allora la maestra le ha fatto shhh e lei è stata zitta, è andata a casa, ha detto ai suoi genitori che mancavano tre bambine e la risposta è stata: «Stai zitta, non sono affari tuoi, non fare domande». E allora si capisce che una bambina di nove anni obbedisce. Un'altra mi ha cercata, anni dopo, ma io non mi ricordavo di lei… Il fatto che non mi avessero mai cercata prima, che nessuna mi avesse chiesto nulla quando dovetti lasciare la scuola. Non è facile.

- Cosa rappresentava Israele nel '48?
- Allora era la speranza, enorme. Io ho avuto un periodo in cui pensavo di andare a stare là. Perché pensavo, quello che è successo in Italia può succedere ancora e io non voglio che i miei figli rischino questo. Poi… Sono figlia unica, avevo i miei genitori, e a Torino erano pochissimi i sionisti. La comunità non era sionista. Noi avevamo fatto un gruppo di giovani, pensavamo a Israele perché non volevamo che una storia simile si ripetesse. Era la speranza di uno stato giusto, uno stato socialista, la speranza di vivere in pace con gli arabi. Eravamo convinti che portare il progresso tecnico in quella zona volesse dire alzare il livello di vita dei palestinesi e vivere in pace.

- Cos'è andato storto?
- Tutto. Tutto. Sono sempre i religiosi fanatici, da una parte e dall'altra. I religiosi ebrei che dicevano allora, perché adesso non lo dicono neanche più, che quella striscia era stata data da Dio agli ebrei… C'era un partito che diceva Al di là e al di qua del Giordano e gli altri idem. Tutti a dire che la spianata di Gerusalemme è sacra, ma è sacra la pace, sono sacri gli uomini, non sono sacre le pietre. Però ci sono possibilità di convivenza. Io ho fatto di tutto per organizzare dei gruppi di studenti israeliani e palestinesi di 17 anni, prima che comincino il servizio militare, farli trovare insieme. Ho lavorato tanto a un progetto in Val d'Aosta… poi la Regione non ha dato i soldi per il viaggio e non se ne è fatto niente, ma progetti simili ci sono e funzionano. Coi palestinesi ci sono infinite collaborazioni. Pensi che quando sono cominciati i bombardamenti di questi giorni, nell'ospedale di Ashkelon c'erano molti palestinesi che erano stati portati lì ed erano in cura e quindi i loro parenti rimasti a Gaza erano preoccupati che da Hamas partissero missili su Ashkelon. Io due volte all'anno mando soldi all'ospedale pediatrico di Gerusalemme dove ci sono bambini ebrei e palestinesi da sempre e anche la collaborazione medica è enorme. Ci sono medici palestinesi che lavorano in ospedali israeliani. Bisogna isolare i fanatici, che sono tanti purtroppo, e non è facile.

- Parlando di Auschwitz, lei ha detto ai ragazzi dell'auditorium che queste cose oggi non capiterebbero più. Il mondo è cambiato?
- Sì perché questi ragazzini danno speranza. Non penso potrebbe oggi esserci ancora un orrore simile, anche per l'informazione che c'è. Certo, bisogna combattere l'indifferenza. Qui a due passi da noi in Jugoslavia c'è stata la pulizia etnica e noi non abbiamo fatto niente, non abbiamo mobilitato il mondo. Si legge sul giornale che bruciano un campo nomadi? Ma noi il giorno dopo dovremmo essere lì, tutti lì, e invece… Io ho solo abbracciato una zingara. Chiedeva l'elemosina. Le ho chiesto: «Passate dei momenti brutti?». Le si sono riempiti gli occhi di lacrime. «Sì, molti». Io l'ho abbracciata. E' un po' poco. Non so come mai ci facciamo la nostra vita quando succedono queste cose.

- Lei ha dimostrato molta fiducia nei confronti delle nuove generazioni. E' un parere controcorrente.
- Sì, ma ho detto loro che devono partecipare a quello che succede agli altri. Certo che ci vogliono anche delle forme di democrazia civile, di resistenza civile, delle forme di… Io non lo so, sono soltanto una nonna.

(pagina.to.it, 28 gennaio 2009)





6. INDIGNAZIONE PER LA BIBBIA IN EBRAICO MODERNO




«Linguaggio colloquiale scandaloso per la Bibbia»

Il «popolo del libro» è in subbuglio, perché «il loro libro», le Sacre Scritture donate da Dio, sono state riedite nella versione ebraica in un linguaggio moderno e colloquiale.


Gli studenti israeliani non riescono a capire l'ebraico della Bibbia. Per questo motivo l'ottantasettenne biblista e direttore scolastico Avraham Ahuvia ha avuto l'idea di riscrivere la Parola di Dio in un ebraico più semplice, comprensibile e moderno, senza però guastarne il contenuto storico.
    «Dal punto di vista degli studenti la Bibbia è scritta in un ebraico incomprensibile», spiega. «Per questo se ne allontanano. E così non possono più comprendere la storia del giudaismo. Per essere chiari, noi insegnanti insegniamo la Bibbia nelle classi solo oralmente e in nessun'altra maniera, a parole nostre, in modo che sia più facile per i nostri studenti.» Perciò Ahuvia durante lo scorso anno ha riscritto i 14 libri che stanno alla base dell'educazione scolastica israeliana, in un «ebraico facilmente comprensibile, fuori dal tempo e moderno». Senza questa «versione alleggerita della Bibbia in ebraico moderno», crede che gli studenti si disinteressino coll'andare del tempo ai testi. Per questo sarebbe sicuramente meglio se leggessero almeno questa versione.
    Quando la versione di Ahuvia è andata alle stampe, voleva che fosse introdotta nel sistema scolastico israeliano. I responsabili dei materiali didattici del Ministero della Pubblica Istruzione si sono scandalizzati. L'autorità nazionale del ministero dell'istruzione per il controllo degli studi sulla Bibbia, Drora Halevy, ha detto al riguardo: «La creazione di una Bibbia in un linguaggio colloquiale si può definire con una sola parola: scandaloso!» I contrari chiariscono, che per il giudaismo, libri molto importanti dell'Antico Testamento in un linguaggio colloquiale verrebbero sviliti. La riformulazione rappresenta un disprezzo per il ruolo e l'importanza della Bibbia. In questo modo la cultura del linguaggio ebraico verrebbe danneggiata. Alcuni arroganti parlano di questo come un iniziativa puramente commerciale. L'editore del libro, Rafi Mozes aveva deciso di negare questa accusa. Comunque egli resterà molto probabilmente seduto sul grande mucchio di libri già stampati, poiché il ministero dell'istruzione ha esteso un divieto alle scuole del paese.
    Per coloro che sono specializzati nel linguaggio della Bibbia la linguista Dr. Zvia Walden ha espresso in una intervista del quotidiano Haaretz: «L'Antico Testamento è come un dizionario ebraico. Quando se ne legge una versione derubata delle sue parole e dei suoi significati più importanti, allora la fine della nostra lingua è vicina, che tra l'altro, è stata trasmessa grazie anche ai testi biblici!» ZL

(Chiamata di Mezzanotte, Anno IV - n.12 2008)





MUSICA E IMMAGINI




Chaim




INDIRIZZI INTERNET




What Really Happened In The Middle East

Israel Insider




Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.