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Notizie su Israele 493 - 20 setttembre 2010

1. Un avvenimento fondamentale nella storia d'Italia
2. Per evitare la scomunica del Papa
3. Patria, cultura e Bibbia
4. Firenze festeggia la Breccia di Porta Pia
5. Ebrei in Italia
6. Israele verso gli otto milioni di abitanti
7. Musica e immagini
8. Indirizzi internet
Geremia 22:29. O paese, o paese o paese, ascolta la parola dell'Eterno!
1. UN AVVENIMENTO FONDAMENTALE NELLA STORIA D'ITALIA




Nel 140o anniversario della Breccia di Porta Pia

Proprio dinanzi al dispiegarsi inevitabile di una società espressione di molteplici forme culturali e religiose, giusto un forte Stato Laico sarebbe in grado di garantire la libertà a tutti.

di Gadi Polacco (*)

Porta Pia
Appena 140 anni or sono, un'inezia per la Storia, si aprivano finalmente i cancelli del ghetto di Roma. Era una conseguenza della Breccia di Porta Pia, con la prima cannonata fatta sparare agli ordini del Capitano Giacomo Segre, ebreo, forse per "salvaguardare" gli ufficiali cattolici dalla scomunica minacciata da Pio IX o forse per fare un ulteriore "dispetto" all'ultimo Papa Re.
    Secondo il calendario ebraico correva il giorno 24 del mese di Elul dell'anno 5630 e l'avvenimento, dunque, almeno per gli ebrei non fu quella "sciocchezza" che qualcuno ha cercato di far passare nell'immaginario collettivo.
    Tale non fu anche perché completò l'Unità d'Italia e pose Roma quale capitale dello Stato unitario, fatto sancito nell'ottobre di quello stesso anno dal Plebiscito popolare, dando forma allo Stato Laico attraverso una serie di provvedimenti che conseguirono alla fine del potere temporale della Chiesa.
    Per anni festa nazionale, significativamente l'abolì la dittatura fascista, "casualmente" un anno prima della stipula dei cosiddetti "Patti Lateranensi", ma altrettanto significativamente non l'ha ad oggi reintegrata la Repubblica, pur Laica per dettato costituzionale.
    Evento simbolo del Risorgimento italiano e dell'Unità d'Italia, dunque, la Breccia di Porta Pia appare quest'anno particolarmente importante in quanto propedeutica al 150o dell'Unità italiana, anniversario invero da più parti bistrattato o almeno malamente sopportato che l'ebraisno italiano ha invece motivo di ricordare attentamente e con gratitudine ed al quale dette notevole apporto.
    Certamente, però, Porta Pia rimane una sorta di incompiuta dinanzi alla constatazione che quella Laicità dello Stato che simboleggia, seppur sancita nei principi, deve combattere ogni giorno (si pensi ad esempio alla scuola pubblica, solo per citare un aspetto) contro trasversali nemici che, spesso illusi di poterne strumentalizzare a proprio favore l'avversione, si adoperano per affossarla: incautamente perché, proprio dinanzi al dispiegarsi inevitabile di una società espressione di molteplici forme culturali e religiose, giusto un forte Stato Laico sarebbe in grado di garantire la libertà a tutti, nel rispetto delle comuni leggi di convivenza, al contempo mantenendo la forza per dirimere, quale entità super partes, eventuali conflitti a sfondo religioso.
    Ricordiamo quindi degnamente Porta Pia e non dimentichiamoci del Capitano Segre, in rappresentanza anche dei suoi colleghi, che riposa nel Cimitero Ebraico di Chieri: oggi non avrebbe da ordinare altri tiri di cannone e non vorrebbe certamente, dall'una come dall'altra parte, nuove vittime ma di sicuro constaterebbe come quella Breccia abbia aperto una via ancora in gran parte da percorrere.


(*) Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(italialaica, 16 settembre 2010)





2. PER EVITARE LA SCOMUNICA DEL PAPA




20 settembre. Quel capitano ebreo che, in fondo, fece un favore al Papa

Il varco, la breccia aperta il 20 settembre 1870 dalle cannonate degli artiglieri piemontesi del generale Cadorna nelle mura di Roma, vicino alla bella e monumentale Porta Pia, rappresentava per i liberali italiani insieme la fine del Risorgimento, il completamento dell'unità nazionale e la conquista della capitale storica.
    Per i cattolici papisti voleva dire l'introduzione forzosa dei principi del liberalismo e la fine del potere temporale del papato, cioè dell'abnorme figura del "Papa Re".
    Ma, visto col senno di poi, per tutti i cattolici, liberali e papisti, il 20 settembre era in realtà il giorno della rinascita, l'inizio della riscoperta della sfera puramente spirituale e religiosa del cattolicesimo, come era già avvenuto nell'Europa del nord protestante. A Roma e nel Centro Italia (Stato della Chiesa) le incrostazioni da eliminare erano tante, anche rispetto ad altri Paesi cattolici, e proprio per i guasti e la corruzione che il potere temporale aveva generato sul territorio e tra le coscienze. Da allora, insomma, anche i cristiani italiani come i cristiani francesi, tedeschi, spagnoli o americani, smisero di adorare un parroco, un monsignore, un Prefetto della Fede, un Cardinale, un Nunzio, un Ministro, un Delegato di Sua Santità. E riscoprirono, se non Dio, almeno la propria coscienza di Dio.
    Tutto merito d'un ebreo.
    Ma sì, l'ufficiale israelita piemontese a cui il cattolico Cadorna affidò il compito del primo bombardamento delle mura, per evitare - oh, delicatezza de "li cavalieri antiqui" - che la scomunica decretata dal Papa a chi per primo avesse comandato di sparare toccasse la quasi totalità degli ufficiali italiani. Squisitezze di coscienza d'epoca, machiavelli morali del buon tempo antico che oggi fanno sorridere, ma che dimostrano che non furono i perfidi atei, i mangiapreti, i radicali, i rivoluzionari - che erano una minoranza - a combattere contro il Papa-Re per l'unità d'Italia e i principi liberali, ma i tantissimi liberali cattolici. Che, non erano neanche tutti moderati, anzi.
    Però, scusate, facciamo un po' di filologia storico-militare. Tutti dicono che questo benedetto ufficiale ebreo era "un tenente che sparò le prime cannonate". Doppio errore. Gente che non ha neanche fatto il servizio militare. Se no, saprebbe che un ufficiale non può essere addetto ad un cannone. Dunque il "tenente" al massimo avrà ordinato di sparare. Bene. Ma, ditemi, vi pare possibile che un ordine così importante, destinato a cambiare la storia d'Italia, il generale Cadorna lo affidasse ad un giovane ufficiale inferiore? No, lì ci voleva almeno un capitano. E infatti, fu il capitano Segre, ebreo e piemontese tutto d'un pezzo, a ordinare l'attacco fatale.
    "C'è una tomba nel cimitero ebraico di Chieri sulla quale è scolpito un simbolo: due cannoni incrociati. È la tomba di un ufficiale di artiglieria, il capitano Segre, che nel 1870 diede l'ordine di "Fuoco!" che aprì la breccia di Porta Pia", ricorda Guido Fubini in una pagina dell'Unione delle Comunità ebraiche.
    Segre, un protagonista sconosciuto, uno dei tanti eroi del Risorgimento liberale a cui purtroppo non è dedicata nessuna strada o piazza d'Italia. Grazie, capitano Segre. E grazie ai tanti liberali e patrioti ebrei che animarono il Risorgimento e poi nell'Italia liberale unita salirono con la loro intelligenza ai posti di prestigio in tutti i campi, dall'esercito alla scienza, dall'industria all'amministrazione, alla politica.
    A lei, capitano Segre, dedichiamo la più bella, la più vera delle feste nazionali, quella ricorrenza del 20 settembre che il fascismo cinicamente, per puro calcolo politico (Mussolini era ateo) per un piatto di lenticchie eliminò dopo il Concordato, e che ora deve essere assolutamente ripristinata. [...]

(Salon Voltaire, 20 settembre 2006)





3. PATRIA, CULTURA E BIBBIA




Insieme ai bersaglieri, nel 1870 a Roma è entrata anche la Bibbia

di Marcello Cicchese

«Io non sono profeta, né figlio di profeta, ma in realtà vi dico che non entrerete in Roma» aveva detto Pio IX a chi gli aveva sottoposto la proposta di resa offerta al Papa dal governo italiano.
    «Dopo tre giorni di inutile attesa (durante i quali si aspettò invano la dichiarazione di resa), la mattina del 20 settembre (intorno alle nove) l'artiglieria dell'esercito italiano, guidata dal generale Raffaele Cadorna, aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura della città, accanto a Porta Pia, che consentì a due battaglioni (uno di fanteria, l'altro di bersaglieri) di occupare la città.» (Wikipedia)
Che a dare l'ordine di sparare sulle mura di Roma fosse stato un ebreo per evitare che la scomunica papale cadesse su un cristiano, è un fatto poco noto. Ma un altro fatto poco noto è che dietro ai bersaglieri c'era un carretto pieno di Bibbie in lingua italiana stampate in Inghilterra dalla British and Foreign Bible Society, pronte ad entrare in Roma.
    «XX settembre 1870, una data fausta per le minoranze religiose in Italia, in primis protestanti ed ebrei. Perché? E' molto semplice: perché fino al 20 settembre gli ebrei potevano vivere nella città del papa solo ghettizzati, i protestanti nemmeno quello. Tra la Riforma del XVI secolo e il 1870 a Roma mi risultano soltanto le seguenti presenze protestanti: quella del pastore Giovan Luigi Paschale, ministro delle chiese valdesi di Calabria, che vi fu condotto nel 1561 per essere processato dall'Inquisizione e che fu arso di fronte a Castel Sant'Angelo; i membri protestanti delle ambasciate europee, che nelle sedi diplomatiche potevano celebrare il loro culto, ma che dovevano esser sepolti "fuori le mura" della città santa; quelli che vennero a stamparvi il Nuovo Testamento durante la Repubblica Romana e che dovettero lasciare la città dopo il rientro di Pio IX e furono così risparmiati dall'assistere al rogo papalino dei testi evangelici. Possiamo immaginare - e li condividiamo come cittadini e come cristiani - i sentimenti dei "colportori" che entrarono in Roma poco dopo i bersaglieri con un carretto di Bibbie trainato da un cane che portava una gualdrappa con il nome "Pio IX"!
    XX settembre 1870, una data fausta per l'Italia. Veniva posta fine ad une delle ultime e più caparbie monarchie assolute dei tempi moderni, che motivava la sua intolleranza e il suo dominio sulle coscienze e sui corpi non solo con il richiamo ad un generico diritto divino, ma con la specifica pretesa che il papa-re fosse il vicario del crocifisso, una contraddizione in termini, tanto più per ogni lettore del Vangelo.» (Daniele Garrone, da NEV - Notizie evangeliche 36/37 - 2009)
La caduta dello Stato pontificio non ha significato soltanto la vittoria del liberalismo laico, ma anche l'introduzione della possibilità di leggere e diffondere la Bibbia in Italia. Potere temporale dei papi e ignoranza popolare andavano di pari passo. La Bibbia era un libro proibito, e più persone sapevano leggere, maggiori erano i rischi per il potere clericale. Per questo nei primi tempi dell'unità d'Italia l'opera missionaria degli evangelici italiani ed esteri è andata di pari passo con la creazione di scuole e asili, perché per conoscere il contenuto della Bibbia è indispensabile saper leggere. Fino a qualche anno fa si potevano trovare ancora dei vecchi che dicevano di aver imparato a leggere sulle pagine della Bibbia. Ed era una Bibbia edizione Diodati, scritta in un italiano antiquato che i giovani scolarizzati di oggi avrebbero qualche difficoltà a capire.
A quel tempo poi non c'era internet: il testo doveva essere portato fisicamente a contatto con le persone. Per questo scopo i colportori usavano la cosiddetta "carrozza biblica". Ecco come la presenta l'Osservatore Romano in un articolo del maggio 1890:
    «Ora abbiamo anche la Carrozza Biblica, un ritrovato di cui ha il brevetto d'invenzione la società protestante [...]; lo spacciatore [il colportore] è un tipo fra il ministro evangelico e il cavadenti, il quale dall'alto della vettura cerca di accreditare la merce con discorsi ciarlataneschi nei quali fa entrare un poco di tutto... e le risa di scherno e le apostrofi burlesche che gli vengono dirette devono avergli fatto già inghiottire vari bocconi amari.»
Vengono in mente i versi del poeta romanesco Cesare Pascarella (1858-1940) nella sua famosa "Scoperta dell'America":
    Ché mettetelo in testa ch'er pretaccio
    È stato sempre lui, sempre lo stesso!
    Er prete? È stato sempre quell'omaccio
    Nimico de la patria e der progresso.

    E in quelli tempi, poi, si un poveraccio
    Se fosse, Dio ne scampi, compromesso,
    Lo schiaffaveno sotto catenaccio,
    E quer che'era successo era successo.

    E si poi j'inventavi un'invenzione,
    Te daveno, percristo, la tortura
    Ner tribunale de l'inquisizione.

    E 'na vorta lì dentro, sarv'ognuno,
    La potevi tené più che sicura
    De fà la fine de Giordano Bruno.
Questo era il sentimento diffuso tra i patrioti di allora. Adesso i tempi sono cambiati, ma non per questo sono migliori. Anzi.

(Notizie su Israele, 20 settembre 2010)





4. FIRENZE FESTEGGIA LA BRECCIA DI PORTA PIA




Il nostro XX settembre: celebrazione a Firenze in Piazza dell'Unità

Lunedì 20 settembre, alle ore 12,00, in piazza dell'Unità d'Italia, davanti all'obelisco ai Caduti

Centoquaranta anni fa, il 20 settembre, i bersaglieri italiani del generale Raffaele Cadorna, guidati nell'attacco finale dal capitano - ebreo e piemontese - Giacomo Segre, entravano a Roma attraverso la breccia di Porta Pia. La città diventava capitale del Regno d'Italia, mentre finiva il potere temporale dei Papi. L'anniversario dell'avvenimento, importante per la storia italiana ed europea, sarà celebrato a Firenze, lunedì 20 settembre, alle ore 12,00, in piazza dell'Unità d'Italia, davanti all'obelisco ai Caduti.
Celebrando la ricorrenza, vogliamo ricordare innanzitutto la politica del grande Cavour che nei memorabili discorsi alla Camera e al Senato ( marzo e aprile 1861 ) aveva sostenuto l'esigenza di una definitiva, netta separazione dello Stato dalla Chiesa, per permettere e garantire allo Stato di legiferare in piena, doverosa autonomia, e alla Chiesa - meglio, alle religioni - di predicare ed agire con la massima, necessaria libertà. "Libera Chiesa in libero Stato": la storica formula politica, in sintonia ideale con il detto evangelico "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", è ancora oggi, proprio nella società di oggi, di straordinaria attualità; principio e metodo guida, sia per i governi sia per le fedi religiose, ai fini di una convivenza civile.
Nel bicentenario della nascita, 10 agosto 1810, rendiamo la parola a Cavour:
    "Ma quando il clero, riconquistata ed assicurata la libertà, vuol combattere per riacquistare gli antichi privilegi, per far tornare indietro la società, per impedire il normale e regolare sviluppo della civiltà moderna, allora è da deplorare il suo intervento nelle lotte politiche (...). Io ho troppa fede nel principio del progresso e della libertà per temere che possa essere posto a cimento in una lotta condotta con armi puramente legali. Se la libertà ha potuto fare dei progressi immensi quando aveva a lottare contro il clero e le classi privilegiate, e la libertà era in certo modo inerme, come mai potrei temere che ora essa potesse correre vero pericolo se avesse a combattere i suoi avversari ad armi uguali? (…) Ma se io non temo le lotte politiche, quando siano combattute con armi legali, non posso dire altrettanto, ove il clero potesse impunemente valersi delle armi spirituali di cui è investito per ben altri uffizi che per far trionfare questo o quell'altro politico candidato. Oh! Allora veramente la lotta non sarebbe più uguale; ed ove si lasciasse in questo terreno pigliare piede e assodarsi l'uso di queste armi spirituali, la società correrebbe i più gravi pericoli, la lotta da legale correrebbe rischio di trasformarsi in lotta materiale". (dal libro: "Il Conte di Cavour" - Ricordi biografici, cura di Giuseppe Massari, Torino 1873)
Ricordare il XX settembre vuol dire invitare i cittadini, gli italiani, a riaffermare e difendere la libertà di pensiero in contrapposizione ad ogni integralismo; e, contro la violenza sempre in agguato del fanatismo e del terrorismo, la cultura e la pratica della ragione e della tolleranza.

Promuovono e aderiscono:
Comitato per la promozione dei valori risorgimentali, Circolo Piero Gobetti, Fondazione Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, Circolo Fratelli Rosselli, Associazione per l'iniziativa radicale, "Andrea Tamburi", Associazione veterani e reduci garibaldini, Gruppo dei centouno, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, Gruppo consiliare "Spini per Firenze", Verdi della Toscana.

(UAAR, 17 settembre 2010)





5. EBREI IN ITALIA




Intervista ad Emanuel Segre Amar

di Barbara Mella

- Segre Amar: un cognome noto fin dagli anni Trenta. Vorresti ricordarci come e perché è salito alla ribalta?

    In realtà la domanda non è precisa, se mi permetti.
Io credo che tu ti riferisca al momento dell'arresto di mio Padre, nel 1934, allorquando venne arrestato alla frontiera di Ponte Tresa mentre rientrava in Italia, con un amico, Mario Levi, con dei volantini nascosti nel bagagliaio dell'automobile nei quali si invitavano gli italiani a votare no nelle elezioni del 25 marzo.
    Ebbene, in quel momento mio Padre si chiamava ancora Sion Segre, e solo successivamente aggiunse un secondo cognome, appunto Amar, per ricordare la famiglia di sua Madre, da poco deceduta. Sua Madre, Margherita Amar vedova Segre, era l'ultima di una antica famiglia che si sarebbe pertanto estinta, almeno nel suo ramo. E mia nonna Margherita deve essere ricordata, tra l'altro, per essere stata la fondatrice di un importante salotto sionista, sorto negli anni 20, molto frequentato nella vecchia Torino del periodo tra le due guerre.
    Quando dunque mio Padre venne arrestato, venne processato e giudicato nel primo processo fatto dal Tribunale Speciale voluto dal fascismo per combattere gli antifascisti, in gran parte torinesi, ed in gran parte ebrei. Va detto che mio Padre subì una condanna a tre anni, della quale scontò un anno soltanto grazie alla riduzione della pena accordatagli alla nascita della principessa Maria Pia di Savoia. In carcere, a Regina Coeli, in una cella insieme a Leone Ginzburg, visse quello che amava definire il momento più importante e arricchente della sua vita. Tra l'altro, mancandogli la possibilità di leggere se non pochi libri, mandò a memoria l'intera Divina Commedia. La convivenza con Leone doveva influenzare il resto della sua vita per la enorme personalità dell'amico, e compagno di scuola, Leone.

- Figura davvero straordinaria, quella di Sion Segre Amar, non solo per il suo impegno nella lotta antifascista. Vogliamo ricordarne qualche altro aspetto?

    
Ben difficile questa domanda, per un figlio.
Innanzitutto devo dire che è stato un padre ed un nonno eccezionale, e fino all'ultimo giorno della sua vita, pur ormai malato, non è venuto meno a questo compito che si era sempre imposto. Non è facile essere genitore, ma egli lo ha saputo essere lungo tutto l'arco della sua vita, nei momenti belli come in quelli tristi, quando ero bambino come quando ero studente o quando ormai lavoravo anch'io, inizialmente insieme a lui, e poi per conto mio. E, nello stesso modo, seppe essere guida per i miei figli. Io nacqui in tempo di guerra, in condizioni difficili per tutta la famiglia, eppure le rare immagini di quei tempi lo mostrano come fu poi sempre, per tutta la vita.
    Ebbe numerosi interessi, fece tanti lavori diversi, soprattutto negli anni della guerra ed in quelli immediatamente successivi, ma credo che si debbano ricordare, in particolare, i suoi libri ed i suoi articoli che iniziò a scrivere quando si ritirò dal lavoro. Fu per lui il



modo migliore per mantenere la testa in esercizio. Iniziò quasi per divertimento, scrivendo un libro di memorie, Sette storie del numero 1 (il numero 1 era la linea del tram che passava davanti a casa nostra). Ma poi continuò, e collaborò anche con diversi quotidiani italiani scrivendo sulla attualità di Israele; aveva conosciuto a fondo il paese, e manteneva stretti legami di amicizia con italiani che avevano fatto la aliyah.
    Ma non si può parlare di mio Padre senza ricordare anche la sua passione per i libri miniati; nacque quasi per caso, un giorno che era di passaggio a Londra, e segnò profondamente la sua vita di uomo sempre alla ricerca di interessi colti ed intelligenti. Divenne non solo collezionista di antichi codici e miniature, ma fine intenditore, e due libri da lui scritti furono l'occasione per raccontare una storia romanzata dei miniatori che vissero nell'Italia del medio evo.
    Fu anche presidente della Comunità ebraica torinese dove portò cambiamenti ed innovazioni che furono rottura col passato; trovò sul momento molti avversari, mossi soprattutto da motivi politici, ma molte sue azioni influenzarono gli anni successivi non solo dell'ebraismo torinese, ma anche di quello italiano. Alcuni avversari di allora, mi fa piacere ricordarlo, gliene resero atto quando mancò, nel 2003.
    Ecco, queste poche parole servono forse per descrivere, a chi non lo conobbe, quello che fu mio Padre al di là della lotta antifascista; di questa mi preme dire che non amava parlare se non con gli amici di allora, o forse meglio con i pochi che non abbracciarono poi altre ideologie assolutiste che egli sempre combatté, vedendone i pericoli che portavano ad Israele, agli ebrei ed all'uomo in generale. Si illuse quando sembrò che palestinesi ed israeliani potessero finalmente raggiungere un'intesa, ma fu un'illusione nella quale in cuor suo forse non credeva del tutto, vista la sua conoscenza del mondo e della mentalità araba (e qui non vorrei che proprio lui fosse considerato razzista per questa mia affermazione; non si deve parlare di razzismo se si studia attentamente la mentalità di un popolo).

- Che cosa ha significato per te essere figlio di questo uomo eccezionale?

    
Non è davvero facile rispondere a questa domanda, che richiede per me una attenta riflessione.
    Certamente, avendo io delle attitudini diverse dalle sue (io mi sono dedicato a studi scientifici, essendomi laureato al Politecnico), ho faticato, nei primi anni, a cogliere il significato profondo degli insegnamenti che, giorno dopo giorno, mi arrivavano. Ma quegli insegnamenti restavano lì, nella mia testa, ed arrivato all'età matura me li sono ritrovati tutti a disposizione, per la vita.
    È così che ho imparato a non dare mai nulla per scontato, a cercare di non essere mai banale, e, soprattutto, a non far mai nulla di cui un giorno potrei pentirmi. Insegnamento di vita così raro e così importante anche oggi, ma che non credo che ancora molti genitori trasmettano ai propri figli.
    In parte sono insegnamenti che so che egli aveva ricevuto da sua madre (suo padre morì quando egli era bambino), e li ha trasmessi poi anche ai miei figli.
    Ecco, anche se non sono sicuro di aver risposto davvero alla domanda, credo di poter affermare che questi valori sono il principale insegnamento che ho ricevuto, per tutto il lungo cammino della vita fatto insieme.

- Bene, e ora che abbiamo parlato di tuo padre, anche se certamente non in modo esauriente rispetto al calibro del personaggio, parliamo di te: chi è Emanuel Segre Amar?

    Mia cara, possibile che le tue domande siano sempre più difficili?
    Da dove si deve cominciare, visto che ho già 65 anni?
    Bene, da bambino ero sempre sorridente, amico di tutti. Poi ho continuato ad aprirmi, ma solo con gli amici, e anche questi erano via via sempre più selezionati.
    Il fatto è che ho incominciato un severo lavoro di attenta valutazione, ho incominciato a soppesare attentamente chi mi stava di fronte. Le sventure della vita, che capitano a tutti noi, insegnano a difendersi per cercare di evitare di cadere due volte negli stessi errori.
    Nella mia vita lavorativa ho avuto la fortuna di fare sempre dei lavori che mi piacevano, e quando i due figli (entrambi maschi) sono diventati adulti, ho avuto ancora la fortuna che uno dei due volesse lavorare con me.
    E così ora ho molto tempo libero, perché gran parte del lavoro lo fa questo figlio. Io ne approfitto per approfondire la conoscenza della cultura che è stata alla base della vita della mia famiglia per almeno un secolo. Già mia nonna, Margherita Amar vedova Segre (da qui il mio cognome, come ho già spiegato) aveva fondato a Torino un salotto dove si riunivano i sionisti dell'epoca. Di mio Padre ho già spiegato, ed io ho trovato uno spazio tutto mio (anche se certo in valida compagnia) nel quale puntualizzo, correggo e critico tutto quello e tutti coloro che, volutamente, falsificano i fatti, di ieri e di oggi. Non capiscono, queste persone, che se non si guarda con onestà in faccia alla realtà, il conto lo si pagherà, alla fine, tutti insieme. Per questo non mi stanco di dire e di spiegare quello che riportano i documenti ufficiali.
    Guardiamo, ad esempio, i nostri quotidiani: perché solo pochi giornalisti, e pochissimi direttori (forse soltanto De Bortoli, direttore del Corriere, tra questi ultimi) accettano il dialogo (che deve essere sempre corretto e concreto, ovviamente)? È una grave mancanza di correttezza professionale quella di tanti professionisti della stampa e della televisione che non accettano il dialogo. Preferiscono stare chiusi nel loro ufficio a pontificare. Da un dialogo preciso, puntuale e corretto, non possono invece venire che arricchimenti per tutti. Il rifiuto è, per me, indice di codardia e di servilismo (verso altri, ovviamente).
    Ecco, oggi, compresso da questi problemi, sono sempre più chiuso in me stesso, frequento meno persone, sono meno loquace, sorrido sempre meno. Ma penso che ne valga la pena, e che sia utile e necessario per tutti noi (anche se non ho la pretesa di cambiare il mondo; ci mancherebbe altro). Come ho sempre sostenuto, coloro ad esempio che fondarono Giustizia e
    Libertà non cambiarono il corso della storia. E tuttavia furono utili, tanti anni dopo. E loro, almeno loro, furono in pace con la loro coscienza. Non dovettero far finta di dimenticare i loro trascorsi di collaborazionisti, come tante figure altamente "democratiche" della nostra Repubblica, del mondo politico e culturale e della società civile.
    Io credo in quello che faccio, in quello che scrivo, e penso che sia utile per tutta la nostra società occidentale, a rischio oggi come mai nel passato recente.

- Parliamo allora di Israele: Israele ed Emanuel Segre Amar, Israele e il mondo, Israele e Israele...

    Israele, cosa è per me?
    Ma io sono nato in Israele; non ne ho merito, evidentemente, ma nascere a Gerusalemme è una cosa che non può essere ordinaria. Quando ero bambino mi dicevano tutti erroneamente: ah, come Gesù bambino. Ed io mi seccavo.
    Poi, per tanti anni non sono più tornato, in quella terra che lasciai quando avevo un anno.
    Ci tornai, per la prima volta, subito dopo il servizio militare, e feci un grandissimo giro, pieno di avventure, insieme ad un carissimo compagno di scuola. Ma era un paese del tutto diverso da quello che è poi diventato. Ricordo che quando mio cugino mi accompagnò a vedere la casa in cui ero nato, ebbene, io la riconobbi prima che lui me la indicasse. Impossibile? Non so, ma è così.
    Poi tornai dopo poco, in una circostanza che non voglio divulgare; lavoravo in un pollaio, con amici italiani, la famiglia Eckert; altra esperienza che mi ha segnato moltissimo.
    E appena i miei bambini furono in grado di capire, tornai con loro e con mio Padre.
    E poi tornai tante altre volte ancora.
    Adesso ci vado una volta all'anno (ma quest'anno ho programmato due viaggi consecutivi), non solo per visitare il paese, ma per incontrare tante persone come si trovano solo là e in pochi altri posti al mondo. E per capire, per comprendere sempre di più come, ahimé, in questa situazione non si può davvero sperare che la pace sia vicina.
    Se il mondo volesse capire la mentalità dei popoli e della gente, se i governanti non preferissero stare in pace con la propria coscienza mandando tanti soldi (dei cittadini, non certo loro), forse si potrebbe aprire uno spiraglio di luce. Ma visto come vanno le cose, no, non è possibile vedere una luce in fondo al tunnel. I governanti palestinesi non hanno nessun interesse personale a cambiare lo status quo; loro stanno troppo bene così. Ed a quale governante islamico è mai interessata la condizione in cui vivevano i suoi concittadini?
    Ed Israele, così, pur con il desiderio di pace che hanno tutti i suoi cittadini, è destinato a non conoscerla tanto presto. La situazione è pericolosa; ma è così da sempre. Israele ha sempre trovato (quasi unica tra le nazioni) governanti in grado di risolvere i suoi enormi problemi. Durerà? C'è da augurarselo, almeno guardando alla realtà del paese. Un paese in cui, grazie al livello scolastico, il numero di brevetti e di innovazioni, e il livello culturale è da primato. Anche la politica non può che trarre dei giovamenti da questa situazione. Auguriamoci che così continui, senza catastrofi cioè, fino al giorno in cui i suoi nemici (ed i suoi amici poco sinceri) comprenderanno quello che è nell'interesse di tutti.

- Vorrei parlare ora dell'ebraismo. Che cos'è per te l'ebraismo? Che cosa significa per te essere ebreo? Quale ruolo e quale peso ha l'ebraismo nella tua vita?

    
Vorrei rispondere con parole tratte da: "POURQUOI JE SUIS JUIF" di Edmond Fleg [qui il testo originale, ndb].
    Sono ebreo
    perché sono nato non solo nel popolo di Israele, ma in Israele, (che poi ho lasciato subito, quando ero ancora piccolissimo); ma voglio che viva dopo di me, più vivo ancora di quanto non sia dentro di me.
    Sono ebreo
    perché la fede per il popolo di Israele non richiede nessuna abdicazione.
    Sono ebreo
    perché per il popolo di Israele sono pronto a tutto.
    Sono ebreo
    perché in ogni luogo dove vi sono sofferenze, vi è un ebreo che piange.
    Sono ebreo
    perché sempre quando vi sia la disperazione, l'ebreo spera.
    Sono ebreo
    perché la parola di Israele è la più antica e la più nuova.
    Sono ebreo
    perchè, per il popolo di Israele, il mondo non è compiuto, ma sono gli uomini che lo fanno.
    Sono ebreo
    perché, al di sopra delle nazioni e di Israele, il popolo di Israele mette l'Uomo e la sua unità.
E vorrei aggiungere che sono ebreo, come tanti, pur in un totale agnosticismo, senza seguire i 613 precetti, senza pregare in sinagoga. Ma non mangio cibi proibiti: è forse un controsenso? Certo che lo è, ma per me non lo è. È il mio modo di essere ebreo, come ho imparato ad esserlo da mio Padre che a sua volta lo aveva imparato dai suoi genitori. Sono ebreo perché credo nei valori della famiglia che stanno alla base del mio mondo.

- A partire dall'inizio del 1994 (immeditamente dopo la firma degli accordi di Oslo: sarà un caso?) si è scatenata in tutto il mondo un'ondata di antisemitismo come non si era più visto dalla fine della guerra, con aggressioni fisiche ad ebrei, devastazioni di sinagoghe e cimiteri e violentissime campagne di stampa. Alcuni parlano di "nuovo antisemitismo". Qual è la tua opinione in proposito: è sempre lo stesso antisemitismo che, dopo un periodo di latenza è tornato ad alzare la testa o è un fenomeno nuovo con caratteristiche proprie, diverse dal precedente?

    
L'antisemitismo dura da almeno 2000 anni e si è sempre rinnovato nelle sue forme pur restando sempre identico a se stesso, nella sua malvagità.
    Nel 1993, vorrei ricordare, non si firmano solo gli accordi di Oslo, ma si aprono anche i rapporti diplomatici tra Israele e il Vaticano.
    Questi due episodi sono strettamente legati; non a caso il papa si incontra con Arafat prima di compiere il grande passo, sempre rifiutato, fino ad allora, dal GOVERNO DELLA CHIESA.
    Ed ecco che ora si capisce lo stretto collegamento che vi è tra fatti apparentemente slegati, e le conseguenze che ne derivarono.
    Arafat era un grande maestro nell'arte di far finta di accettare l'idea dei due stati, salvo poi trovare il modo di scatenare i suoi uomini contro gli ebrei per bloccare tutto; nella sua azione, e nella reazione israeliana trovava il successo che cercava: la non accettazione di Israele, e quindi l'uccisione degli ebrei (non dimentichiamo che suo zio, il Gran Muftì di Gerusalemme, fu grande alleato di Hitler fino alla fine del regime nazista, e ne continuò gli ideali nell'Egitto del dopo guerra; e l'OLP non ha mai modificato il suo statuto originale, nonostante gli impegni firmati). [qui il testo integrale della Costituzione di al-Fatah, ndb]
    Arafat scatena poco per volta i suoi alleati contro Israele; tra questi vi sono certamente i classici nemici degli ebrei, quei movimenti cioè di estrema destra mai scomparsi nel vecchio continente. Ma vi sono anche i simpatizzanti di una sinistra più o meno estrema che, pur orfani del comunismo, sono rimasti fedeli a certi principi che durano fin dall'epoca di Stalin. E vi sono, ovviamente, le masse di fedeli dell'islam non necessariamente fondamentalista, ma certo facile preda di predicatori senza scrupoli.
    Parallelamente nella Chiesa, che oramai ha riconosciuto lo Stato di Israele, rimangono forti presenze di uomini che mantengono intatti gli ideali più violentemente antigiudaici. Proprio nei giorni scorsi ne abbiamo avuto la riprova con le dichiarazioni di "autorevoli" rappresentanti della Chiesa.
    E così diventa semplice, per chi continua a rifiutare l'ebreo come cittadino uguale a tutti gli altri, trovare persone pronte a scatenarsi con atti che non sono spariti né con l'illuminismo, né con l'apertura dei ghetti, né con la fine della seconda guerra mondiale. Il male è sempre presente, anche quando la malattia sembra essere debellata, ed alla prima occasione si scatena in forme nuove, ma che ricalcano quelle vecchie.
    Il Presidente Napolitano lo ha detto benissimo; l'antisemitismo e l'antisionismo sono sintomi di una stessa malattia; ieri gli ebrei, come oggi gli israeliani (e, di conseguenza, anche gli ebrei) sono accusati di rubare il sangue o gli organi dei goim, di controllare le finanze del mondo intero, di voler dominare il mondo. Che cosa vi è di nuovo negli ultimi tempi?

- Ti è accaduto di viverlo, l'antisemitismo, sulla tua pelle?

    
Devo riconoscere che non ho dovuto soffrire troppo sovente per atti o parole antisemite. Tuttavia...
    Quando ero bambino avevo un grande amico, Gianni, che giocava a pallacanestro dai salesiani, proprio dietro casa mia. Un giorno mi presentai al cancello per vedere una partita che mi era stata annunciata di grande interesse. Ma un sacerdote mi ha bloccato sulla porta dicendomi testualmente: tu sei ebreo, non puoi entrare.
    Mi ha colpito molto, quella frase, e mai osai riferirla a mio Padre, forse temendo chissà quale sua reazione. Oggi mi chiedo anche come facesse a sapere che ero ebreo, visto che non ho neanche il naso adunco, e la stella gialla non era più di moda.
    Detta a un bambino una frase di quel genere rimane impressa nella mente per tutta la vita, e questo mi fa pensare a come dovevano vivere i giovani che subirono nella loro vita situazioni ben più tragiche, e ripetute in drammatiche sequenze.
    Non mi ritrovai in seguito in simili condizioni per lungo tempo, fino al momento del servizio militare, quando un mio compagno uscì con un'altra frase tipica dell'antisemitismo; ma oramai sapevo come difendermi.
    Oggi è diverso: non sono attaccato come ebreo, ma come filo-israeliano; spesso capisco che alla base è la stessa cosa (spesso, non sempre); ma credo di sapere argomentare contro qualsiasi attacco.

- Io le domande le avrei terminate, quindi, come si fa a scuola, per la conclusione ti assegno un "tema libero": c'è qualcosa che avresti sempre voluto dire - in qualunque campo e su qualunque argomento - e non ne hai mai avuto l'occasione perché nessuno te lo ha mai chiesto?

    Ma perché dobbiamo sempre fare attenzione a quello che è politicamente corretto? Ma perché dobbiamo sempre fare attenzione a che cosa succede se... Ma non ci renderemo mai conto che è sempre meglio dire le cose che vanno dette, perché altrimenti i problemi non si risolvono da soli? E poi, quando impareremo a sceglierci i compagni di strada? Quello sbagliato, prima o poi, ci porta alla rovina, sempre. Io sono fatto così, e sarà anche per questa ragione che pochi mi sopportano. Ma non me ne importa niente. Ora anche voi sapete un poco come sono fatto. Se vi va, bene, altrimenti, alla mia età, non cambio più.

(da ilblogdibarbara, 17 maggio 2010)





6. ISRAELE VERSO GLI OTTO MILIONI DI ABITANTI




La tendenza in Israele a formare famiglie ebraiche più numerose in confronto al tasso di nascite tra gli ebrei della Diaspora risulta un modello confermato dalle cifre più recenti sulla popolazione, commentate in occasione del capodanno ebraico dal demografo Sergio Della Pergola, titolare della cattedra "Shlomo Argov" in Rapporti Israele-Diaspora dell'Università di Gerusalemme.
    L'Ufficio Centrale di Statistica israeliano ha diffuso i dati aggiornati da cui risulta che, all'inizio di questo anno ebraico 5771, la popolazione totale d'Israele conta 7.645.000 abitanti, di cui il 75,5% ebrei.
    Il tasso di natalità degli ebrei israeliani è in media poco al di sotto dei tre figli (2,9) per famiglia, il più elevato da molti anni a questa parte: un dato che va confrontato coi meno di 2 figli per famiglia ebraica che si registra in altri paesi industrializzati. La differenza è dovuta a più di un fattore, spiega il prof. Della Pergola. Uno è l'altissimo tasso di nascite, in Israele, tra le famiglie "haredi" (ultra-ortodossi). Un altro è la complessiva sensazione di benessere tra la popolazione in generale. Contribuisce anche la situazione economica relativamente stabile, in Israele, in confronto alle crisi finanziarie degli ultimi anni in altri paesi.
    Un ulteriore dato è l'aumento dell'immigrazione. "Benché il numero degli immigrati sia relativamente basso in confronto a periodi precedenti nei sessantadue anni di storia dello stato - nota Della Pergola - il tasso di immigrati è comunque più alto di quello dell'anno scorso a riprova dell'influenza esercitata dalla problematica situazione economica nel mondo, unita alla sensazione di disagio provocata dai trend generali verso antisemitismo e anti-israeliano".
    Diversamente che in Israele, altrove la tendenza verso un declino della popolazione ebraica continua, osserva Della Pergola, a causa di fattori come i matrimoni misti e una popolazione che invecchia rapidamente, con un aumento delle morti in confronto alle nascite. "Mentre la popolazione ebraica in Israele è aumentata nell'anno passato dell'1,7%, la popolazione ebraica nella Diaspora è diminuita dello 0,2%", spiega il professore dell'Università di Gerusalemme. Il risultato netto è un costante aumento della percentuale di ebrei residenti in Israele, che al momento rappresentano il 43% della popolazione ebraica complessiva mondiale.
    Dopo Israele, il paese con la più numerosa popolazione ebraica sono gli Stati Uniti, aggiunge Della Pergola, con 5,3 milioni di ebrei, benché questo numero dipenda dalle diverse definizioni di chi viene considerato "ebreo". Le altre principali comunità ebraiche nazionali sono: la Francia, con 485.000 ebrei; il Canada, con375.000; la Gran Bretagna, 292.000; Russia, 205.000; Argentina, 182.000; Germania, 119.000; Australia, 108.000; Brasile, 96.000. (Oggi gli ebrei italiani iscritti alle 21 comunità presenti nel paese sono meno di 30.000, su una popolazione residente di 60 milioni.)

(Università di Gerusalemme, Dept. of media relations, 9 settembre 2010 - da israele.net)





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