Notizie su Israele
     
Inizio - Attualità »
Presentazione »
Approfondimenti »
Notizie archiviate »
Notiziari »
Arretrati »
Selezione in PDF »
Articoli vari»
Testimonianze »
Riflessioni »
Testi audio »
Libri »
Questionario »
Scrivici »
Notizie giugno 2014


Chiamiamoli col loro nome: sono terroristi islamici

di Magdi Cristiano Allam

Chi uccide, sgozza, decapita e crocifigge, chi fa stragi e getta centinaia di corpi in fosse comuni, chi assalta case ed edifici, incendia chiese e fa esplodere moschee è un terrorista o no? Lo chiedo perché ormai
Mosul a ferro e fuoco.
Centinaia di civili massacrati durante la conquista improvvisa e inattesa della seconda città dell'Iraq avvenuta lo scorso 10 giugno.
leggendo le agenzie di stampa e i giornali, ascoltando le radio e le televisioni constato che sono pressoché scomparse le parole «terrorista» e «terrorismo». È il più recente successo dell'islamicamente corretto, una versione del relativismo ideologico che ci porta ad auto-censurarci per la paura delle conseguenze che gli islamici potrebbero infliggerciin termini di rappresaglie terroristiche o ritorsioni economiche.
   Qualche esempio di queste ultime ore. In un'agenzia stampa si definiscono «mìlizìani fondamentalisti» gli autori di una «esecuzione di massa», con «centinaia di uomini uccisi e gettati infosse comuni», così come si parla di «esercito» dell'Isis (Stato islamicodell'Iraq e del Levante) pur attribuendogli la responsabilità della «rnattanza» e di un «orribile crimine di guerra».
   Riferendo dell' appello dell' arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Yohanna Petros Moshe, per la drammatica situazione di Qaraqosh, cittadina dalla quale sono fuggiti più del 90 per cento degli oltre 40 mila abitanti,
Fucilazioni a Tikrit
Immagini satellitari confermano che presso Tikrit sono avven te esecuzioni di decine di prigionieri dell'lsis, costretti a scavare le loro fosse comuni.
quasi tutti cristiani, si attribuisce la responsabilità agli «insorti sunniti» o ai «fondamentalisti sunniti», pur precisando che «sottopongono l'area urbana allancio di missili e granate».
   Descrivendo la situazione militare, leggiamo «continua l'offensiva dei jihadisti verso Bagdad», «i miliziani si trovano a un'ora di auto da Bagdad», «Tikrit è da due settimane in mano ai ribelli», «le forze di sicurezza irachene stanno cercando di costringere alla ritirata i miliziani islamisti dell'Isis»,
   Sempre restando sul fronte militare: «L'offensiva lanciata il 9 giugno scorso dai ribelli sunniti, insieme agli alleati miliziani qaedisti dell'Isis, ha provocato più di un migliaio di morti».
   Passando alla Siria, ci consegnano questa frase asettica senza alcun aggettivo o commento: «L'Isìs ha gìustìziato 8 ribelli a Deir Hafer e poi li ha crocifissi nella piazza principale del villaggio dove i loro corpi dovranno rimanere appesi per tre giorni».
   Passando alla Nigeria ci riferiscono che «presunti membri del gruppo integralista islamico nigeriano Boko Haram hanno attaccato oggi alcune chiese vicino a Shibok», «fondamentalisti in azione con bombe e armi
Ricatti sessuali
I jihadisti dell'lsis vanno in giro per le case sostenendo di cercare «mogli per soddisfare le necessità sessuali dei combattenti della guerra santa»
da fuoco nel Nord-Est», «gli assalitori hanno fatto irruzione nelle chiese sparando a caso sulla gente».
   Insomma per gran parte dei nostri mezzi di comunicazione di massa i terroristi islamici sono «milizianifondarnentalìsti», «esercito dell'Isìs», «insorti sunnitì», «fondamentalisti sunniti», «jihadisti», «miliziani islamisti», «ribelli sunniti», «miliziani qaedisti», «gruppo integralista islamico» o più banalmente «assalitori», tranne che terroristi. Soprattutto è severamente vietato scrivere o dire «terrorismo islamìco» perché si incorrerebbe nel reato di offesa all'islam o di istigazione alla guerra religiosa.
   La nuova frontiera dell'islamicamente corretto che ci obbliga a non impiegare persino la parola «terrorista» è la camicia di forza che ci siamo auto-imposti nel contesto di una guerra in cui siamo oggettivamente perdenti. Come Occidente abbiamo fallito la battaglia contro il terrorismo islamico dopo l'11 settembre 2001, al punto che oggi i terroristi islamici occupano militarmente dei territori paragonabili a Stati dove impongono la sharia, la legge coranica. Ancor più preoccupante è il fatto che stanno distruggendo gli Stati nazionali in Iraq, Siria, Libia, Somalia e Nigeria tra l'indifferenza dell'Occidente o più correttamente con la collusionedell'Occidente. Possiamo confidare solo neliaRussia di Putin che sta seriamente contrastando il terrorismo islamico e aiutando i cristiani in Medio Oriente. L'islamicamente corretto emerge come lo strumento con cui l'Occidente ha scelto di suicidarsi e di sancire la vittoria del terrorismo islamico.

(il Giornale, 30 giugno 2014)


Netanyahu: supporto all'indipendenza del Kurdistan

La strategia di Netanyahu per contenere l'avanzata jihadista è duplice: dare il supporto al "coraggioso popolo curdo" per ottenere l'indipendenza e costruire una barriera di sicurezza ad est.

Addio agli accordi di Sykes-Picot. Insieme all'annuncio della costruzione di un nuovo muro da Eilat al Golan, il premier israeliano Netanyahu dato il suo supporto alla costituzione di uno Stato indipendente nel Kurdistan iracheno. Una posizione che va controcorrente rispetto ad altri protagonisti alla posizione più forte nella comunità internazionale, Stati Uniti e Turchia in testa, e cioè il mantenere l'intergrità territoriale dell'Iraq.
L'obiettivo di Netanyahu è creare una coalizione di forze regionali moderate per contenere sia gli estremisti sunniti legati ad al Qaeda sia gli sciiti sostenuti dall'Iran. Da qui l'endorsment, non del tutto inatteso, al "coraggioso popolo curdo" - con cui Israele ha legami militari e di intelligence dagli anni Sessanta - che ora controlla una regione ricchissima di petrolio nell'Iraq settentrionale e la manovra verso la Giordania, che si vede colpita sia dal conflitto siriano che da quello in corso in Iraq.

(Rai News, 29 giugno 2014)


"Muro protettivo anche a est di Israele"

Il premier vuole rafforzare la sicurezza da Eilat fino alla barriera del Golan: «Sì a cooperazione regionale con Egitto, Giordania e curdi contro l'Islam radicale».

Per arginare l'ondata dell'Islam radicale «sarà necessario costruire gradualmente una Barriera di sicurezza anche ad Est, da Eilat fino alla Barriera che abbiamo già costruito sulle alture del Golan»: lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu. La valle del Giordano, ha insistito, rappresenta il «confine di sicurezza' per Israele.
Netanyahu ha aggiunto che l'ondata dell'Islam radicale (sunnita o sciita) può inoltre essere ostacolata mediante una cooperazione regionale allargata: con l'Egitto, con la Giordania («che deve essere appoggiata»), con altri Paesi della Regione e anche «col combattivo popolo curdo, che ha dato prova di moderazione politica e che ha diritto ad una indipendenza politica».
La futura Palestina, ha insistito Netanyahu, dovrà essere «smilitarizzata». La zona compresa fra il territorio israeliano e la valle del Giordano dovrà restare «per un lungo periodo» sotto la supervisione militare diretta di Israele: cosa che a suo parere non contrasta con il principio della sovranità nazionale «così come la sovranità della Germania non è stata menomata dalla presenza sul suolo di forze Usa».

(La Stampa, 29 giugno 2014)


Il jihadismo è più pericoloso del nazismo

Intervista di Alain Elkann a George Weidenfeld

George Weidenfeld
Pranziamo nel soggiorno del bellissimo appartamento di George Weidenfeld al Chelsea Embankment, con vista sul Tamigi. Lord Weidenfeld, che in autunno festeggerà il suo 95o compleanno a New York e a Berlino, conduce una conversazione affascinante. Come sempre è preoccupato dal tema della pace e da Israele, dove va spesso. Parla di una conferenza di Henry Kissinger che ha seguito alla Royal Academy e della successiva cena offerta da lord Rothschild a Spencer House. Kissinger è uno tra gli amici di più vecchia data di Weidenfeld: s'incontrarono a Londra quando erano ventenni. «Henry era un giovane professore ad Harvard e io un giovane editore», dice Weidenfeld, che ha pubblicato il primo libro di Kissinger. Ultimamente è spesso a Berlino ed è molto vicino alla famiglia Springer. Nel loro quartier generale vorrebbe organizzare una conferenza con i principali «combattenti per la pace». Parliamo di Gerusalemme, dell'importanza della Chiesa cattolica, non solo come religione ma anche come una straordinaria organizzazione che dura da 2 mila anni. A suo parere cattolici ed ebrei sono per natura i migliori amici. Weidenfeld ha dedicato la vita alla cultura, alle scienze umane, alla politica e alla pace.

- Mi dice:
  «Di recente sono stato scelto come vice presidente onorario del Congresso Ebraico Mondiale. Il presidente è Ronald S. Lauder e David de Rothschild è presidente dei governatori. Ecco, prima di tutto vorrei parlarle delle mie tre forme di lealtà fondamentali».

- Sì, mi dica.
  «La prima è verso la mia famiglia e la tribù ebraica e ciò significa che sono un attivista sionista. Il mio secondo atto di fedeltà è per la Gran Bretagna: ha salvato me e i miei genitori dai nazisti e mi ha dato l'opportunità di una carriera meravigliosa. In terzo luogo devo fedeltà alla grande civiltà europea: la letteratura, la filosofia e la musica. Ho un forte attaccamento emotivo a quella che chiamo la "vera Germania". Nel periodo peggiore della mia vita non ho mai condannato la vera Germania o l'Italia a causa del fascismo o del nazismo. Credo che il modo in cui la Germania ha saputo ricostruirsi per diventare il Paese leader dell'Europa sia uno dei successi più grandi. E questo grazie a individui come Adenauer, Brandt, Kohl, Schmidt e Merkel».

- Secondo lei, oggi quali sono i principali problemi?
  «Lo jihadismo e la lotta all'intolleranza. È più pericoloso del nazismo, del fascismo o del comunismo».

- Perché?
  «Un soldato delle SS o un addetto ai Gulag giustificavano la loro crudeltà in nome di Hitler o Stalin. Uno jihadista pensa di avere Allah dalla sua parte. E' molto difficile da combattere. E' crudele ed è internazionale. E non colpisce solo i cosiddetti Paesi della Primavera araba, ma anche l'Africa o Boston o Londra. Dev'essere combattuto in modo sistematico. Dev'essere visto come nemico dell'umanità e punito di conseguenza».

- Che cosa sta succedendo con la Russia? E l'America è debole?
  «Stiamo risentendo del fatto che il Presidente degli Usa riscuote successi in politica interna, ma ha fallito in politica estera. Attribuisco a lui alcuni dei disastri in Siria e l'inetta gestione dei rapporti con Putin. L'accordo tra Obama e Putin per la localizzazione e la distruzione di gas tossici è un affare immorale. I colloqui di pace con l'Iran, poi, hanno innalzato il leader russo a una sorta di Bismarck dei nostri tempi. Per quanto riguarda l'Iran, è ingenuo da parte di Obama credere che una teocrazia rinunci a uno dei suoi obiettivi più importanti, come la realizzazione della bomba atomica. Se, da un lato Obama è l'uomo che ha catturato e ucciso Bin Laden, dall'altro ha aperto la strada alla vittoria di Assad e ha complicato la strada per fermare la bomba iraniana».

- E per quanto riguarda l'Europa?
  «Non c'è dubbio che Putin tenga aperte le sue opzioni e stia testando il terreno. Se percepisce che l'Occidente ha una politica rigorosa e solida può sempre tirare il freno, se, invece, l'Occidente mostra mancanza di volontà e nervosismo, può optare per un indirizzo più bellicoso. Ma aggiungo che l'Occidente dovrebbe organizzare una grande conferenza, mettendo tutte le carte in tavola, con i pacifisti più militanti, per discutere i rapporti con la Russia».

- E il suo lavoro? Fa ancora l'editore?
  «Vado in ufficio ogni giorno. La nostra azienda è parte del Gruppo Hachette ed è entrata in una nuova era globale grazie a tanti successi. Io sono il presidente non esecutivo e ciò significa produrre idee per nuovi libri. Sono anche un direttore dell'Enciclopedia Britannica, che mettiamo online».

- E il suo impegno accademico?
  «E' una parte molto importante del mio lavoro. A Oxford abbiamo creato la Blavatnik School of Government, simile alla Kennedy School of Government di Harvard. Poi ci sono le borse di studio Weidenfeld, grazie alle quali invitiamo studenti provenienti dall'Asia centrale, dall'Europa Orientale e dal Medio Oriente a trascorrere due anni a Oxford».

(La Stampa, 29 giugno 2014)


Giuseppe Lonetto nell'Istituto Weizmann, Israele

di Carmelo Colosimo

  
Giuseppe Lonetto
Parliamo di eccellenza, di livelli veramente alti e di prestigiosa ricerca in campo internazionale.
   Tra i circa 220 ricercatori che provengono da Usa, Canada, America Latina, paesi dell'Ue, paesi africani, Corea, Cina,India, Australia e Nuova Zelanda, c'è anche un giovane calabrese di Mesoraca (Crotone), Giuseppe Lonetto, nell'Istituto Weizmann, uno dei più importanti centri di ricerca e di studi superiori nel mondo, che si trova immerso nel verde di Rehovot, città israeliana tra Tel Aviv e Gerusalemme.
   Dopo aver conseguito la maturità scientifica nel 2004, ha conseguito nel 2007 il diploma di laurea triennale in Biotecnologie mediche, farmaceutiche e veterinarie presso l'Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro.
   Nel 2009, presso l'Università di Firenze, ha conseguito il diploma di laurea specialistica in Biotecnologie mediche, indirizzo di medicina sperimentale, con 110 e lode, con una tesi su "Cross-talk stroma-tumore:ruolo di mutazioni mitocondriali stromali". Dopo tre mesi vince un concorso per dottorato di ricerca in Fisiopatologia clinica e dell'invecchiamento presso il Dipartimento Area Critica Medico-Chirurgica di Firenze, nel Laboratorio di biologia molecolare coordinato dalla prof.ssa Francesca Tarantini. Le linee di ricerca portate avanti, ci dice il dottor Lonetto, sono "la progressione neoplastica del carcinoma prostatico:ruolo dell'ipossia e dei recettori Notch nella neuro differenziazione del carcinoma; il ruolo delle forme modificate dell'insulina nello sviluppo di insulino-resistenza; lo studio dell'espressione di citochine infiammatorie in pazienti con disordini metabolici e cardiovascolari".
   A febbraio 2013 supera l'esame di Stato per l'abilitazione alla professione di biologo. Nell'aprile del 2013 discute la tesi di dottorato col titolo "I recettori Notch mediano la neuro differenziazione e l'aumento di proliferazione cellulare indotte dall'ipossia cronica in cellule di carcinoma prostatico, in vitro".
   Nel giugno 2013 vince una borsa di studio post-doc "Sergio Lombroso" presso il Weizmann Institute of Science, dove il dottor Giuseppe Lonetto sta svolgendo il suo progetto di ricerca nel laboratorio della prof.ssa Varda Rotter del Dipartimento di biologia molecolare, il cui principale interesse è "lo studio della funzione dell'oncosoppressore p53. La proteina p53, ci spiega il ricercatore, è classicamente definita come il guardiano del genoma".
   Il laboratorio coordinato dalla prof.ssa Rotter è da sempre impegnato nell'individuazione e caratterizzazioni di tali funzioni aberranti sia nel campo delle cellule staminali, che in quello dell'oncologia. "Il mio studio, ci aggiunge il dottor Lonetto, è quello di cercare di caratterizzare nuovi meccanismi attraverso i quali p53 regola il processo di riprogrammazione analizzando il metabolismo cellulare, in particolare il rapporto fra questo e le forme mutate di p53. Sto, inoltre, valutando il processo di riprogrammazione in presenza di agenti tossici dannosi per il dna, come le radiazioni ionizzanti ed il fumo di sigaretta, indice, quest'ultimo, di uno specifico stile di vita".
   Ma Giuseppe Lonetto ha trovato anche il tempo di dedicarsi allo sport, essendo campione regionale di muay thai, una boxe thailandese.

(AreaLocale, 29 giugno 2014)


Il sogno di tutti: avere una casa in Israele

Il mercato del mattone rimane uno dei migliori investimenti, anche se i prezzi sono alti. I consigli dell'esperto Vito Anav.

di Jonatan Della Rocca

Il mercato immobiliare israeliano attira sempre più compratori. Da nord a sud, camminando per le strade delle città israeliane non passano inosservati i cantieri aperti dappertutto per l'edificazione di costruzioni e di infrastrutture, con una frequenza di apertura e chiusura dei lavori che fa impallidire i ritmi delle città europee. D'altronde Israele è sottoposto a continui flussi di immigrazione e riesce a rispondere alle esigenze di assorbimento e di logistica dei nuovi arrivati in modo sorprendente. Vito Anav, esperto del settore e broker del mercato immobiliare, spiega come muoversi in un mercato ricco di occasioni.

- Come va il mercato immobiliare israeliano?
  Il mercato immobiliare in Israele, tranne che per un breve periodo di flessione nel 2011, è in continua ascesa. Dal 2009 ad oggi nelle zone residenziali di Tel Aviv (verso il mare) e Gerusalemme (Rehavia e Talbye) si registra un aumento dei prezzi di circa il cinquanta per cento. Logicamente si parla di prezzi medi.
I dati dell'Istituto Centrale di Statistica indicano un aumento del prezzo medio su tutto il territorio nazionale, dalla fine del 2009 a fine 2013, del sessantacinque per cento, prendendo come campione di rilevamento appartamenti di tre vani, e del settantacinque per cento prendendo come campione di rilevamento appartamenti di quattro vani o più. Fenomeno nteressante è quello degli appartamenti "da investimento", proprietà solitamente piccole, non molto care ed in stato di manutenzione medio, in cittadine decisamente periferiche, che rendono un affitto relativamente alto, di circa il sei per cento annuo, più del doppio di quello che possa rendere un appartamento nelle grandi città.

- Quali le ragioni di questa vivacità?
  In Israele la domanda è composta dalla normale domanda interna, alla quale va a sommarsi la rilevante domanda dall'estero, composta da tutti coloro che hanno interessi familiari o ideologici a possedere un appartamento in Israele. A questa domanda "composta" va ad aggiungersi una penuria cronica di nuove costruzioni. Girando per Israele si ha l'impressione che sia tutto un cantiere eppure non basta. La domanda seguita a superare di gran lunga l'offerta, e da questo all'aumento costante dei prezzi il passo è breve e naturale.

- Quali le previsioni?
  La crisi economica che ha investito l'Europa e l'America ha in un certo qual modo diminuito leggermente la domanda da fuori, ma è stata in gran parte colmata dagli israeliani che si sono visti aprire nuove opportunità di investimento. Bisogna inoltre considerare che il mercato immobiliare nel suo complesso non è composto solo dalle quattro vie intorno a Ben Yehuda aTei Aviv e da Rehavia e Talbye a Gerusalemme. La maggior parte delle proprietà si trovano collocate altrove. Israele sta sviluppando lentamente ma costantemente il proprio sistema ferroviario. Appartamenti in cittadine distanti anche cinquanta chilometri dai centri più grandi, ma ben collegati, diventano appetibili per molte giovani coppie con conseguente aumento di prezzi.

- I successi delle aziende start-up israeliane hanno influito sul boom del mattone?
  Gli alti stipendi degli impiegati nel settore tecnologico hanno influenzato in maniera diretta i prezzi degli affitti, ma solo nella zona di Tel Aviv. La mobilità e l'incertezza che caratterizzano gli occupati in questo settore ha visto il proliferarsi di "super affitti" da un lato, così come la repentina risoluzione di contratti in caso di licenziamento o trasferimento ad altra sede.

- C'è più investimento sicuro o speculazione nella corsa all'acquisto?
  Il compratore in Israele, sia esso locale o dall'estero, è solitamente un compratore oculato, ed è raro trovare trattative concluse a prezzi esageratamente fuori mercato. Nonostante questo abbiamo visto negli ultimi anni, soprattutto acquirenti dall'estero, che sono rimasti attratti con troppa leggerezza ed hanno acquistato proprietà a prezzi alti, là dove un israeliano avrebbe preferito spostarsi di qualche palazzo o via e pagare anche i120% di meno. Negli ultimissimi anni sta prendendo molto piede l'investimento in proprietà che permettono di sfruttare la nuova legislazione riguardante le sopraelevazioni (la cosiddetta TAMA 38) che prevede forti incentivi fiscali per chi rinforza le strutture del palazzo mettendolo a norma con i nuovi standard antisismici ottenendo al contempo facilitazioni burocratiche, fiscali ed aumenti di cubatura.

- Pesa molto il fisco sui beni immobili?
  Le tasse di acquisto sono circa il sei per cento del valore della proprietà. Le vendite sono esonerate da tasse per quanto riguarda la prima casa e del venticinque per cento sul plusvalore negli altri casi. Gli affitti di proprietà ad uso abitazione sono esonerati da tasse per canoni inferiori ai 12.500 Euro annui (cumulati anche su più proprietà) e del 10% forfettario su canoni superiori. Negozi ed uffici pagano il venticinque per cento di tasse sugli affitti indipendentemente dal canone. Le tasse comunali, la cosiddetta Arnona, grava solitamente sull'inquilino, ma molto dipende dagli accordi tra le parti.

- Il sistema bancario in che modo facilita l'acquisto di una casa?
  La politica dei mutui ha subito negli ultimi anni una certa stretta. I mutui preferenziali per gli immigrati o per gli acquirenti di prima casa sono quasi spariti. I tassi di interesse sono decisamente abbordabili, in alcuni casi anche inferiori al 2,75% annuo, ma il capitale proprio richiesto e' aumentato e sfiora in alcuni casi il 50%. In compenso le procedure sono abbastanza snelle ed i tempi richiesti tra la richiesta del mutuo e la sua erogazione sono intorno ai 40 giorni.

- L'edilizia popolare è diffusa in Israele?
  Purtroppo no, e la poca che c'è è fatiscente e mal gestita. Negli ultimi anni, per ovviare al problema, si è preferito sovvenzionare agli strati di popolazione meno abbienti parte delle spese di affitto, ma questa è una goccia nel mare, e solo un modo per risolvere il problema.

- Come è cambiato il mondo professionale delle società immobiliari?
  Le agenzie e le società di mediazione, così come gli uffici vendita delle imprese costruttrici, stanno diventando sempre più professionali, motivo per cui il piccolo agente improvvisato va sparendo. La figura del mediatore sta diventando sempre più simile a quella del consulente.

(Shalom, giugno 2014)


Parashà Chuqàt: La vacca rossa e il vitello d'oro

di Donato Grosser

La vacca rossa
La parashà inizia con le parole "L'Eterno parlò a Moshè (Mosè) e ad Aharon (Aronne) e disse: questo è un decreto della Torà che l'Eterno ha comandato dicendo: chiedi ai figli d'Israele di procurarti una vacca rossa" (Bemidbàr-Numeri, 19:1-2). Questa mitzvà (precetto) è chiamata chuqqà ossia un decreto. La vacca doveva essere completamente rossa, senza difetti e senza che nessuno l'avesse usata. Doveva essere macellata da un Cohen e totalmente bruciata. Un po' di cenere doveva essere versata in un contenitore d'acqua e un po' di questa acqua doveva essere spruzzata nel terzo e nel settimo giorno su chi si era reso impuro dal contatto con un cadavere. In questo modo l'impurità veniva rimossa.

RASHÌ (Francia, 1040-1105), nel suo commento alla Torà, citando il Talmud babilonese (Yomà, 67) afferma che dal momento che le nazioni del mondo scherniscono Israele chiedendo cosa sia questo precetto e quale ne sia la ragione, la Scrittura lo definisce "un decreto" dell'Eterno che non si ha diritto di criticare.
Il carattere misterioso di questa mitzvà viene illustrato da un Midràsh (Pesiqtà de-Rabbi Cahana, 40) dove è raccontato che un idolatra venne da Rabban Yochanan ben Zaccai, che era il presidente del Sanhedrin a Yavne dopo la distruzione del Bet Ha-Miqdàsh (Santuario di Gerusalemme), e gli disse che quello che gli israeliti facevano con la vacca rossa aveva tutte le apparenze di una pratica da stregoni. A questa osservazione Rabban Yochanan rispose: "Hai mai visto qualcuno posseduto da un demonio?". L'altro rispose in modo affermativo. "E cosa gli avete fatto?", continuò R. Yochanan. L'idolatra rispose: "Portiamo delle erbe, le bruciamo e le facciamo fumare sotto l'indemoniato; poi gli gettiamo addosso dell'acqua e il demonio viene così esorcizzato". R. Yochanan gli disse: "Pensa a quello che hai detto; l'impurità è come il tuo demonio. Spruzziamo l'acqua e lo spirito impuro se ne va". Quando l'idolatra se ne andò i discepoli di R. Yochanan gli dissero: "L'hai mandato via con una risposta così tanto per accontentarlo, ma a noi come ce lo spieghi?". E R. Yochanan rispose: "Per la vostra vita, né il morto rende impuri, né l'acqua purifica; così si fa perché il Santo Benedetto ha detto: è un mio decreto e non siete autorizzati a violarlo".

Secondo NECHAMA LEIBOWITZ (Riga, 1905-1997, Gerusalemme) il gentile richiedeva una risposta razionale a lui comprensibile e R. Yochanan gli rispose che l'acqua con la cenere della vacca rossa serviva come sostanza repellente. Ai suoi discepoli poteva dire la verità: l'impurità non è parte integrale della natura né in un cadavere e neppure in chi viene a contatto con un cadavere; la cenere della vacca rossa e l'acqua non hanno alcuna proprietà purificatrice. È un comandamento divino ed è solo questo che determina l'impurità del cadavere e le proprietà purificatrici della cenere.

RAV YOSEF DOV SOLOVEITCHIK (BELARUS, 1903-1993, Boston) in Darosh Darash Yosef (p.339) afferma che la parola chuqqà si riferisce a una categoria di leggi non difficili da capire ma intrinsicamente incomprensibili e al di là della logica umana. Di fronte a dei chuqqìm dobbiamo sospendere il nostro giudizio. Egli menziona che Rashì cita un'interpretazione di carattere aggadico di R. Moshè Ha-Darshan di Narbona (XI secolo), il quale afferma che la vacca rossa era un'espiazione del peccato del vitello d'oro. Il vitello era paragonato al figlio di una serva che aveva sporcato il palazzo del Re, la serva era paragonata alla vacca rossa e la madre era stata chiamata a pulire gli escrementi del figlio.
Rav Soloveitchik commenta che questa interpretazione non va contro lo spirito del decreto perché c'è differenza tra spiegazione e interpretazione. Anche se ci è proibito chiedere spiegazioni di un decreto, possiamo chiederne un'interpretazione. Una spiegazione chiede il "perché" e non è una domanda di carattere scientifico ma di carattere metafisico. La scienza spiega il "come" e il "cosa" di un evento, non il "perché". Nel caso dei chuqqìm è cosa sciocca chiedere il perché però possiamo chiedere "cosa". Il "perché" è al di là della nostra comprensione specialmente per il motivo che dipende dall'Eterno. La risposta al perché è che "questa è la volontà dell'Eterno". Con tutto ciò possiamo domandare "cosa è la vacca rossa?" e anche "cosa possiamo imparare da questo decreto?". Nessuna di queste domande chiede perché l'Eterno abbia emanato questo decreto; chiediamo solo "qual è il messaggio spirituale della vacca rossa che possiamo inserire nella nostra visione del mondo?".

R. SHIMSHON REFAEL HIRSCH (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà offre una sua interpretazione al decreto della vacca rossa e all'impurità derivante dai morti. La vacca rossa è chiamata chattàt, ossia un sacrificio di espiazione. Secondo R. Hirsch, "la cancellazione del peccato è un concetto che appartiene esclusivamente alla sfera della moralità". La libertà morale è la condizione prima e indispensabile per la santificazione della vita richiesta dalla Torà. Questo concetto è messo in pericolo dalla visione della morte, perché il cadavere mostra il potere della morte e il dominio della natura sull'uomo. Se l'uomo soccombe alla morte, se il cadavere di fronte a noi rappresenta tutto quello che vi è nell'uomo, allora l'uomo non è diverso da un animale. Se così fosse non vi sarebbe spazio per la libertà morale. Lo scopo delle leggi di purità e impurità è di combattere questa idea. Questo sacrificio di espiazione, che serve a rimuovere l'impurità derivante dal contatto con i morti, proclama che l'uomo è dotato di una forza di volontà morale e che quindi può esercitare un controllo alle tentazioni fisiche.

(Comunità Ebraica di Roma, 27 giugno 2014)


Sorgente di vita - #EyalGiladNaftali

Manifestazioni di solidarietà e preghiere in tutto il mondo per chiedere la liberazione di Naftali, Eyal e Gilad, i tre studenti israeliani rapiti il 12 giugno scorso. Anche al Portico d'Ottavia a Roma, tante persone unite dall'angoscia e dalle preoccupazioni per la sorte dei tre giovani: #bringbackourboys, restituiteci i nostri ragazzi è lo slogan dell'iniziativa raccontata nel primo servizio di Sorgente di vita di domenica 29 giugno. Segue poi un servizio su Riccardo Calimani, saggista, scrittore, autore di romanzi, bibliofilo e soprattutto appassionato di storia: racconta di sé, della sua Venezia e delle sue opere dedicate al mondo ebraico, in particolare dell'ultima, ponderosa "Storia degli ebrei italiani", oltre 2000 anni di alterne vicende, dall'epoca romana fino ad oggi.
Ci sono poi musiche ebraiche al chiaro di luna nella splendida cornice della Villa dei Quintili sulla via Appia a Roma: dalle canzoni sefardite alle melodie del mondo askenazita, da Gershwin a Bernstein, suoni e voci senza confini in un variegato percorso musicale. Infine il Krav Magà, una disciplina di autodifesa arrivata da Israele e ormai diffusa nelle palestre di molti paesi. In una società sempre più violenta donne, uomini, ragazzi possono imparare mosse, trucchi, movimenti del corpo per acquistare sicurezza di sé e fronteggiare possibili aggressioni, senza usare violenza.
Sorgente di vita va in onda domenica 29 giugno alle ore 1,20 circa su RaiDue. La puntata verrà replicata lunedì 30 giugno alla stessa ora circa lunedì 7 luglio alle ore 8 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.

(moked, 29 giugno 2014)


Da Gaza razzi su Sderot. Israele risponde con un raid aereo

  
La scorsa notte razzi palestinesi hanno centrato e distrutto a Sderot (Neghev) due capannoni e l'aviazione di Israele ha reagito colpendo nella Striscia nove obiettivi militari.
Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha detto che Israele ha due opzioni: limitarsi a raid aerei o studiare l'occupazione della Striscia. A Sderot sono rimasti feriti quattro israeliani, mentre da Gaza si ha notizia di tre feriti, fra cui un bambino.
Dall' inizio di giugno sono stati oltre 60 i razzi lanciati da Gaza su Israele e 28 di questi hanno colpito il territorio dello stato ebraico. Lo ho detto il portavoce militare israeliano commentando l'acuirsi della tensione al confine con la Striscia.
Solo nello scorso fine settimana i razzi sono stati 12. ''L'aggressione da Gaza - ha detto il portavoce Peter Lerner - e' inaccettabile e non sarà tollerata''.

(ANSA, 29 giugno 2014)


Giordania nel mirino. Israele teme il crollo: "È pronta a intervenire"

Fonti Usa: Amman da sola non regge. Islamisti anche sul Golan.

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Il 95 per cento del confine siriano sul Golan è in mano ai ribelli islamici, nella città giordana di Maan si manifesta a favore dei jihadisti e il re hashemita Abdallah rafforza il dispiegamento di uomini a ridosso dell'Iraq: il fronte occidentale delle attività militari dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isis) è in pieno movimento e, secondo fonti Usa, potrebbe obbligare Amman a chiedere il sostegno militare di Israele.
   A descrivere i nuovi equilibri sul Golan è il tenente colonnello Anan Abbas, vicecomandante della brigata israeliana responsabile delle Alture, spiegando a Channel 10 che «circa il 95% del lato siriano è in mano ai ribelli islamici anti-Assad». Alle forze di Damasco resta solo il controllo della città di Quneitra e Israele dedica ingenti risorse per monitorare i progressi dei ribelli, la cui affiliazione varia da Al Nusra a Isis.
   II rafforzamento di Isis in Siria, per l'Osservatorio siriano sui diritti umani di base a Londra, è una conseguenza della conquista di vaste aree in Iraq perché gli hanno consentito di impossessarsi di tank, blindati e jeep abbandonati dai soldati di Baghdad. Alcuni di questi armamenti sono stati già osservati in Siria, come le jeep Humvee di produzione americana usate da Isis ad Aleppo. II controllo dei posti di confine fra Siria e Iraq facilita il trasferimento dei mezzi, rafforzando le capacità militari dei jihadisti guidati dal«Principe dei fedeli» Abu Bah al Baghdadi.
   Ciò significa aumentare la pressione sulla Giordania perché dopo aver catturato la città irachena di frontiera Turayvil, Isis mostra più aggressività anche dentro il regno. A provarlo è quanto avviene da tre settimane a Maan, piccolo centro nel Sud con una notevole presenza di salafiti. Dallo scorso 2 giugno si svolgono manifestazioni con le bandiere nere di Isis e striscioni inneggianti a «Maan, Falluja giordana» contro «Satana, Dio degli sciiti». I canti ritmati «La nostra via è la Jihad» e «Sciiti, stiamo arrivando» descrivono una mobilitazione crescente da parte di manifestanti che neppure non celano i volti. A guidarli è Abu Mohammed al Magdesi, 55 anni, ex studente islamico a Mosul e mentore di Abu Musab al Zarqawi fondatore nel 2004 di Al Qaeda in Iraq da cui nel 2013 è nata Isis.
   Per «Daily Beast» alti funzionari dell'amministrazione Obama hanno informato un ristretto gruppo di leader del Congresso Usa sui pericoli che incombono sulla Giordania, spiegando che «non è in grado di resistere da sola ad un'offensiva massiccia» e potrebbe, in caso di necessità, «chiedere aiuto a Israele e Stati Uniti». Per «Haaretz» Israele avrebbe già avvertito Washington che potrebbe «agire» per «salvare la Giordania dagli islamici».

(La Stampa, 29 giugno 2014)


Una foresta in Israele per ricordare Antonio Manganelli

Antonio Manganelli
ROMA, 29 giu. - A poco piu' di un anno dalla scomparsa del prefetto Antonio Manganelli la Onlus KKL pianta in Israele una foresta in suo onore. E' quanto si legge in una nota della Polizia di Stato. "Era il 20 marzo 2013 quando dopo una lunga malattia e' scomparso Antonio Manganelli, allora Capo della Polizia - si legge nel comunicato - Manganelli era un amico sincero delle Comunita' ebraiche in Italia, e un amico dello Stato di Israele, e nell'ambito dei suoi incarichi si e' sempre distinto per un grande impegno a garanzia della sicurezza delle istituzioni ebraiche e dei suoi rappresentanti italiani". La foresta, che verra' collocata nell'area di Shaar Hagi, all'interno di Yitzah Rabin park in Israele, vicino alla foresta dei caduti di Nassirya, come ha detto Raffaele Sassun, presidente della Onlus KKL, promotrice dell'iniziativa assieme all'Ambasciata d'Israele in Italia, "e' il miglior modo per onorare la memoria, un monumento vivente che fa bene all'ambiente, come ha fatto bene al lavoro di Manganelli". Alla cerimonia che avra' luogo questo pomeriggio, oltre alle autorita' israeliane, parteciperanno la signora Manganelli, il presidente del Senato Pietro Grasso e il capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, che domani avra' una serie di incontri istituzionali con gli omologhi vertici della sicurezza della Stato di Israele.

(AGI, 29 giugno 2014)


Venti di guerra sulla Striscia di Gaza. L'esercito israeliano allerta le truppe

Nella notte l'aviazione ha colpito dodici obiettivi di Hamas e della Jihad islamica in risposta al lancio di razzi contro le città del Negev

di Maurizio Molinari

 
Pompieri al lavoro a Sderot per spegnere le fiamme causate dal lancio di razzi dalla Striscia
GERUSALEMME - Venti di guerra su Gaza. Il sito del quotidiano "Yedioth Ha-Haronot" scrive che l'esercito israeliano ha dato ordine a un imprecisato numero di brigate corazzate di prepararsi alla possibilità di dispiegamento a ridosso della Striscia di Gaza.
La decisione è stata presa da Benny Gantz, capo di Stato Maggiore, al termine di una notte che ha visto l'aviazione colpire 12 obiettivi di Hamas e della Jihad islamica dentro la Striscia in risposta al lancio di razzi contro le città del Negev che ha investito Sderot, causando la distruzione di due fabbriche in un imponente incendio visibile a molti km di distanza. I pompieri hanno combattuto per ore contro le fiamme senza riuscire a impedire la completa perdita dei due stabilimenti.
L'esercito ha anche disposto l'aumento delle batterie anti-razzi "Iron-Dome" a protezione delle comunità urbane del Sud. Dall'inizio dell'operazione militare "Brother's Keeper" per liberare i tre ragazzi ebrei rapiti in Cisgiordania due settimane fa, sono oltre 40 i razzi lanciati da Gaza verso Israele e l'esercito ha maturato la convinzione che le cellule di Hamas nella Striscia vogliano aprire un secondo fronte contro lo Stato Ebraico.

(La Stampa, 29 giugno 2014)


Perché non annullammo la scomunica che subì dalla comunità ebraica

Anche il primo ministro israeliano Ben-Gurion chiese "che si ponesse riparo a quella ingiustizia" Ma revocare la condanna sarebbe stato come tradirlo.

di Steven Nadler

Nel febbraio del 1927, lo storico Joseph Klausner tenne una conferenza presso l'Università Ebraica di Gerusalemme sul «carattere ebraico» della filosofia di Baruch Spinoza. Quando era ormai prossimo alla conclusione del suo discorso, Klausner abbandonò l'abituale linguaggio accademico e, con grande passione, annunciò la sua intenzione di riportare Spinoza, scomunicato nel 1656 dalla comunità ebraica portoghese di Amsterdam, all'ovile ebraico. «Per l'ebreo Spinoza», dichiarò, «il bando è annullato! II peccato del giudaismo contro di te è rimosso e la tua offesa contro di esso è espiata. Tu sei nostro fratello! Tu sei nostro fratello! Tu sei nostro fratello!».
   Questo teatrale intervento di Klausner fu il primo di molti tentativi, nel XX secolo, di revocare la scomunica contro Spinoza. Un personaggio eminente come David Ben-Gurion, primo ministro di Israele, chiese che «si ponesse riparo a quell'ingiustizia» subita dal filosofo, insistendo sul fatto che i rabbini del XVII secolo non avevano l' autorità «per escludere per sempre l'immortale Spinoza dalla comunità di Israele».
   Nessuno di questi tentativi ebbe successo. Nell'inverno del 2012, tuttavia, sembrò che qualcosa potesse cambiare, quando un membro della comunità ebraica portoghese di Amsterdam chiese che il suo consiglio direttivo affrontasse la questione di revocare la scomunica contro Spinoza. Furono invitati quattro studiosi, me compreso, per costituire un comitato consultivo. Ed io, filosofo e studioso di Spinoza, che cosa ho consigliato? Confesso che, dopo una lunga riflessione, ho concluso che non vi sono buone ragioni storiche o giuridiche per la revoca della scomunica, piuttosto vi sono buone ragioni contro il suo annullamento. Una risposta deludente, per qualcuno. La mia raccomandazione, però, non è un tradimento di Spinoza (la cui filosofia ho sempre ammirato) o una capitolazione alla religione; per me, significa ricordare che cosa devono rappresentare, al loro meglio, la filosofia e la religione, ovvero la ricerca della comprensione e della verità. Mi spiego.
   La scomunica di Spinoza è stata la più dura mai sancita dalla comunità ebraica portoghese di Amsterdam. Anche se il bando parla delle sue «abominevoli eresie e delle sue azioni mostruose» senza dirci esattamente quali fossero, per chiunque abbia letto i trattati filosofici di Spinoza non è un mistero il motivo per il quale fu espulso. In quelle opere, Spinoza respinge il Dio provvidenziale di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; insiste sul fatto che la Bibbia non è letteralmente di origine divina, ma solo una raccolta disordinata (e «mutilata») di scritti umani tramandati attraverso i secoli; nega che la legge ebraica e l'osservanza cerimoniale abbia una qualsiasi validità o rilevanza per gli ebrei dei tempi moderni; sostiene che non vi è alcun senso teologico, morale o metafisico per cui gli ebrei sono diversi da tutti gli altri popoli; e respinge l'idea di un'anima immortale. Queste erano eresie.
   Il nostro comitato consultivo si trovò abbastanza d'accordo nel ritenere che sarebbe stato opportuno per la cornunità ebraica di Amsterdam, in termini di pubbliche relazioni, revocare la scomunica di Spinoza. In questa prospettiva, così come la Chiesa cattolica fece un bel gesto nel 1992, ammettendo, dopo un'indaginedurata 13 anni,che Galileo aveva ragione. Convenimmo anche sul fatto, però, che c'erano diverse considerazioni più importanti, a nostro parere, del mantenere delle buone relazioni pubbliche.
   Prima di tutto, Spinoza è morto. La dichiarazione di scomunica, così come fu pronunciata dalla comunità ebraica di Amsterdam nel XVII secolo, fu un atto di ostracismo personale, il che significò che a quell'individuo veniva proibito di partecipare alla vita dellacomunità finché non si mostrasse contrito e facesse ammenda. Questo sembra implicare che una tale scomunica aveva un senso ed era valida solo nel corso della vita di una persona. Inoltre, se dovessimo chiedere a Spinoza: «Vuoi che la scomunica sia revocata?», sono sicuro che la sua risposta sarebbe: «Non potrebbe importarmene di meno». E chiaro che non aveva alcun interesse a essere reintegrato nell'ebraismo. Si potrebbe perfino dire che voler reintegrare Spinoza nella vita ebraica annullando la scomunica sarebbe non comprendere ciò per cui Spinoza lottò, date le sue opinioni fortemente negative sulla religione organizzata e sull'ebraismo in particolare.
   È tutto quello che c'era da dire? Iocredo che ci sia una domanda più grande, e più pressante, che riguarda la saggezza e l'efficacia di far rispettare l'ortodossia, o la conformità in materia di idee (al contrario della conformità in termini di comportamento), nelle comunità religiose. Presumibilmente, la religione, oltre ad essere per molti una fonte di identità, di comunità, di conforto e di guida morale, è anche una ricerca di comprensione e di verità: la verità su noi stessi e sul mondo. Spinoza credeva di aver scoperto, attraverso l'indagine metafisica, delle verità importanti su Dio, la natura e gli esseri umani, verità che portavano a principi di grande importanza per la nostra felicità e per il nostro benessere fisico ed emotivo. E ciò che lui definiva la «vera religione». Qui c'è una lezione da capire: costringendo a rispettare una fede conformista e punendo le deviazioni dai dogmi, le autorità religiose possono finire col privare i devoti della possibilità di trovare nella religione ciò che essi cercano con maggiore urgenza.


da The New York Times 2014

(la Repubblica, 29 giugno 2014 - trad. Luis E. Morione)


Centounenne ricorda la fuga di profughi ebrei attraverso il passo dei Tauri

Marko Feingold
Nel 1947 Marko Feingold accompagnò migliaia di profughi verso l'Italia

BOLZANO, 28 giu - Nel 1947 accompagnò migliaia di profughi ebrei a piedi dall'Austria attraverso il passo dei Tauri (2.633 metri) verso l'Italia, da dove proseguivano il loro viaggio di speranza verso la Palestina. Oggi, Marko Feingold, all'età di 101 anni, ha dato il via all'8/a edizione della marcia della pace Alpine Peace Crossing in ricordo di questo esodo. Feingold ha portato la sua testimonianza a un incontro con profughi siriani, afgani e africani, in un rifugio sul versante austriaco del passo.

(ANSA, 28 giugno 2014)


Gravissimo atto antisemita alla Unione Africana. ONU ed UE silenti

Quanto successo ieri al summit dell'Unione Africana che si teneva a Malabo, in Guinea Equatoriale, è davvero uno dei fatti di antisemitismo più gravi mai avvenuti nella storia della Istituzioni mondiali, non tanto per l'evidente manifestazione di antisemitismo alle quali ci si è fatta l'abitudine, quanto piuttosto per la sostanziale indifferenza dimostrata da ONU e rappresentanti europei....

(Right Reporters, 28 giugno 2014)


Rachel Fraenkel: "Mio figlio rapito da Hamas. E l'Occidente zitto"

di Michael Sfaradi

Rachel Fraenkel
Naftali Fraenkel, Eyal Yifrach e Gilad Shaer sono i tre ragazzi rapiti da Hamas due settimane fa e che fin dalle prime ore del loro sequestro vengono cercati in Giudea, Samaria e, casa per casa, nella città Hebron. L'esercito israeliano ha messo in campo il meglio delle sue forze e lotta contro il tempo al fine di non far diventare questi tre giovani merce di scambio. Al seguito del gruppo arrivato dall'Italia per manifestare solidarietà alle famiglie e agli amici dei rapiti, gruppo con alla testa il presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici e il responsabile della pagina Facebook "Progetto Dreyfuss" Alex Zarfati, incontriamo Rachel Fraenkel, la madre di Naftali.

- Martedì 24 giugno ho visto in diretta la sua dichiarazione al Consiglio generale dei Diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra.
  «È stata una decisione spontanea di tre mamme che vogliono proteggere in qualche modo i loro figli, tre ragazzi minorenni sequestrati mentre tornavano a casa dalla scuola, su quello che è successo ai nostri ragazzi e sulla tragedia che stiamo vivendo abbiamo purtroppo registrato una tiepida reazione da parte dei governi amici d'Israele e della stampa internazionale. Per questo abbiamo voluto gridare davanti al presidente di turno e ai rappresentanti di tutte le nazioni la nostra rabbia e l'angoscia che stiamo vivendo in queste ore, il mondo ora non può più far finta di non sapere».

- Eppure in Italia c'è chi dice che non ci sono prove della responsabilità di Hamas.
  «Le prove ci sono, i rapporti dei servizi segreti e di sicurezza dicono chiaramente chi c'è dietro al rapimento, e inoltre non dimentichiamo gli appelli quasi giornalieri che arrivavano dalla dirigenza di Hamas a Gaza e da Damasco al fine di rapire qualche israeliano. Chi mette in dubbio la responsabilità di Hamas lo fa solo perché in malafede e per fare confusione intorno alla vicenda».

- Siete in contatto con il governo?
  «Siamo costantemente in contatto con la segreteria del primo ministro, e siamo sicuri che il governo, l'esercito, i servizi di sicurezza e la polizia stiano facendo di tutto per liberare i nostri figli».

- Li stanno cercando casa per casa e una città intera è praticamente sotto coprifuoco.
  «Mi dispiace per il disagio che tutto questo sta provocando, ma se l'Autorità Palestinese a Ramallah avesse collaborato fin dalle prime ore e non solo dopo le pressioni internazionali, e se popolazione avesse collaborato nelle ricerche forse non saremmo arrivati a questo punto».

- Se si dovesse giungere a uno scambio di prigionieri?
  «Non sono le madri a decidere sugli scambi di prigionieri ma il governo che lo fa in base a dinamiche difficili a volte da capire, e anche se fra qualche giorno mi vedrai urlare davanti al parlamento le mie urla non avranno importanza, saranno solo le urla di una madre».

- Rilasciare dei terroristi in cambio dei tre ragazzi, quale sarebbe la sua reazione nel caso si dovesse giungere a tanto?
  «In passato ho parlato molto di questo tema e l'ho fatto quando non ero la mamma di un sequestrato. Ora che sono io al centro della bufera non posso improvvisamente cambiare le carte in tavola e la mia idea rimane la stessa e cioè che alle attuali condizioni rilasciare attentatori non è la via giusta da percorrere. Durante le ricerche dei nostri tre ragazzi oltre ottanta estremisti di Hamas, che erano stati liberati in cambio di Gilad Shalit, sono stati nuovamente arrestati per attività terroristica. Se qualcuno dovesse tornare in libertà in cambio dei nostri figli e poi portasse a termine qualche attentato sentirei su di me responsabilità insopportabili nei confronti di eventuali vittime. Se le stesse persone una volta libere avessero cercato la via del compromesso e della pacifica convivenza le darei in questo momento una risposta completamente diversa e più positiva. Per questo dico che le decisioni le deve prendere il governo».

- Anche se si tratta di suo figlio?
  «Anche se si tratta di mio figlio».

In serata sono state rese note dalle autorità israeliane le generalità di due dei sequestratori che sono Maruan Kawasmeh e Amer Abu Eisheh, membri di Hamas a Hebron.

(Libero, 28 giugno 2014)


.exnovo espone al Design Museum Holon Israel dal 3 luglio al 25 ottobre

 
La lampada Biophilia
La lampada Biophilia di Lanzavecchia + Wai della collezione .exnovo sarà la protagonista di Gathering, la nuova mostra del Design Museum Holon Israel che terrà banco dal 3 luglio al 25 ottobre, a cura di Li Edelkoort. Tra le opere d'arte presenti, molti nomi noti del design mondiale, come Patricia Urquiola, Ronan e Erwan Bouroullec, Issey Miyake. Il Craft è diventato uno dei principali movimenti del nostro tempo, portando con sé un senso di appartenenza e di continuità con un passato comune. Ispirandosi a questi concetti, Edelkoort ha dato vita a un'esposizione che riunisce temi di design contemporaneo che riflettono mestieri tradizionali domestici, nel tentativo di rimanere connessi alla loro autenticità. In Gathering i designer applicano nuove tecnologie e tecniche per trasformare completamente le loro azioni, utilizzando l'artigianato tridimensionale per dare forza al design.
Tra i vari nomi noti del design esposti alla mostra, spiccano Francesca Lanzavecchia e Hunn Wai con Biophilia, uno dei loro ultimi progetti, realizzati per .exnovo - www.exnovo-italia.com. Nato a Trento nel 2010 da HSL, .exnovo vanta oltre 25 anni di esperienza nella produzione additiva e che per la prima volta ha portato la tecnologia in Italia. Produce lampade e complementi d'arredo utilizzando una combinazione eccellente di stampa 3D professionale e artigianato che si applica ai design essenziale ed esclusivo. .exnovo ha fondato il suo sviluppo e il suo successo su una combinazione di innovazione e tradizione, nuove tecnologie e antichi mestieri.

(BtBoresette, 28 giugno 2014)


Brescia: "L'estate al chiostro", yiddish trio in concerto

Presso il Chiostro di San Giovanni

BRESCIA - Lunedì 30 giugno alle ore 21.30, al Chiostro di San Giovanni (contrada San Giovanni), si terrà il concerto Danze e melodie della cultura ebraica. Protagonista il gruppo Yddish Trio, con Enzo Albini (violino), Marco Tiraboschi (chitarra e oud) e Simone Prando (contrabbasso).
L'iniziativa è inserita nel palinsesto di L'Estate al Chiostro, ciclo di appuntamenti culturali organizzati dal centro culturale Il Chiostro in collaborazione con il Comune di Brescia, l'associazione culturale Sr, l'Accademia della Chitarra di Brescia, l'associazione culturale Lelastiko e la parrocchia dei Santi Nazaro e Celso.
L'ingresso al concerto è libero.

(BresciaToday, 27 giugno 2014)


Il ciclone Tenenbom: "La Germania? Birra e antisemitismo"

Il reportage provocatorio e satirico dell'intellettuale di origini ebraiche paragonato a Woody Allen e Sacha Baron Coen.

di Susanna Nirenstein

Tuvia Tenenbom
Tuvia Tenenbom è una forza della natura. Nato nel '57 a Bnei Brak, Tel Aviv, quartiere ultraortodosso come ultraortodossi erano i genitori, nell'81 se ne è volato a New York da liberal e laico convinto per studiare tutto quel che non aveva mai studiato: matematica, scienze informatiche, scrittura drammatica... 15 anni di diplomi e master universitari. Parla l'arabo, il tedesco, oltre all'inglese e l'ebraico.
Ha aperto il Jewish Theatre nella Grande Mela, è diventato uno strano columnist di "sport e spiritualità" sul tedesco Die Zeit, su Forward, sull'israeliano Yedioth Ahronot. Ha cominciato a fare reportage di ogni tipo, sul sesso delle donne chassidiche, sull'Arabia Saudita, la Giordania, i campi di profughi palestinesi, il Festival di Bayreuth. È onnivoro, caustico, sfrontato ma garbato, innocente, qualcuno l'ha paragonato a Sacha Baron Cohen, qualcun altro a Woody Allen.
Nel 2010 una grande casa editrice tedesca gli chiede di scrivere un diario di viaggio in Germania: non una guida, sei mesi di spostamenti e di impressioni e tanti soldi. Ma ecco nascere dai fatti e dai suoi innumerevoli incontri, un resoconto corrosivo e amaro, un libro che l'editore avrebbe voluto purgare. Pubblicato intonso dal berlinese Suhrkamp, per mesi in cima alle classifiche, Ho dormito nella camera di Hitler ( Bollati Boringhieri, trad. Sara Sullam, pagg.293, euro 18,50) mostra che i tedeschi, oltre a bere troppa birra, sono pesantemente antisemiti.
Una recente indagine dell'Anti Diffamation League rivela che sono antisemiti il 50% dei tedeschi, il 40% degli europei, il 25% della popolazione mondiale. Per Tuvia gli antisemiti tedeschi sono 8 su 10, e per dirlo ha parlato con celebrità come l'ex cancelliere Schmidt, giornalisti, manager, massaie, rabbini, professori, suore, studenti, immigrati, radicali di destra e di sinistra.

- Mr Tenenbom, come mai il suo diario di viaggio in Germania è diventato un diario dell'antisemitismo tedesco?
  "Semplice. All'inizio non pensavo affatto all'antisemitismo. La Germania mi piaceva, ma ero stato un turista mordi e fuggi. Viaggiandoci per 6 mesi ho avuto invece tempo di investigare, fermarmi nei posti. Dopo un po' mi è apparso un quadro diverso da quello immaginato. Chiedevo ai tedeflitto, schi cos'era per loro la Germania. Dapprima avevo ignorato l'antisemitismo del club neonazista 88 di Neumünster. Ma poi chiunque tirava fuori gli ebrei, la finanza, e gli israeliani nazisti".

- Cosa l'ha colpita di più?
  "Quando a un gruppo di studenti che accusavano Israele di tutte le nefandezze possibili e non vedevano mai i due lati del con- ho chiesto: "ma non è che odiate Israele perché sono ebrei", loro hanno chinato la testa. Non prendevano di mira un governo, ma il paese intero. Come se io avessi detto che tutti gli italiani erano Berlusconi. Non citavano mai la Russia, la Cecenia... Gli domandavo perché non criticavano i regimi dei paesi musulmani, non rispondevano. Mi hanno scioccato".

- Erano borghesi, poveri, intellettuali?
  "Di ogni fascia. Non importava la ricchezza, la cultura, l'età. Parlano di diritti umani, ma valgono per tutti fuorché per gli ebrei. È una malattia che pervade la società. E fa paura".

- Gli argomenti più diffusi?
  "Gli ebrei fanno e rubano denaro. Dagli uno Stato e guarda cosa fanno, mangiano palestinesi a colazione".

- Che differenza c'è tra una critica legittima alle politiche israeliane e l'antisemitismo?
  "Anch'io a volte sono critico con Israele. Ma in questo caso non c'era razionalità. E la sinistra era in prima linea. Parlavano di violazioni di legge internazionali, di risoluzioni, ma non sapevano nemmeno cosa fosse questa legalità di cui si riempivano la bocca ".

- E nel resto d'Europa?
  "È uguale. E poi in Germania c'è stata la Shoah. La prima generazione si è scusata, ha pagato. Quella successiva è stata a disagio. Settant'anni anni dopo i giovani si rifiutano di credere che i loro nonni siano stati così orribili, cercano i torti degli ebrei e li accusano di essere loro i veri nazisti. L'antisemitismo torna potente in tutta Europa. Sto facendo un altro reportage in Israele. Sette mesi di indagini. Non sa quanti europei delle Ong incontro nelle aree palestinesi che fomentano il conflitto. Gli europei sono peace and love , ma non con gli ebrei. Sono malati di odio per gli ebrei".

- In Germania il suo libro ha avuto molto successo, come lo spiega?
  "Perché è pieno di humour e non di ostilità. Il fatto che fossero pagine divertenti gliel'ha fatte accettare. E sono anche venuti a vedere lo spettacolo teatrale che abbiamo tratto dall'inchiesta. Il mio successo prova che se vogliamo possiamo fare qualcosa".

(la Repubblica, 27 giugno 2014)


Al Museo Interreligioso di Bertinoro la mostra "Il popolo errante"

Esposizione temporanea dell'artista Claudio Scaranari

 
La Rocca di Bertinoro
BERTINORO - Inaugurerà domenica 29 giugno, alle ore 11.00 presso il Museo Interreligioso di Bertinoro, la mostra temporanea "Il popolo errante", con le opere dell'artista Claudio Scaranari. La mostra è organizzata dal Centro di Cultura Ebraica "Ovadyah Yare di Bertinoro", presieduta da rav Luciano Caro, Rabbino Capo di Ferrara e delle Romagne, incollaborazione con il Museo Interreligioso.
Le opere di Claudio Scaranari indagano il testo della Torah, con l'obiettivo di mettere a fuoco il particolare rapporto e la relazione tra Dio e il popolo ebraico. Un rapporto
che a partire dalla Creazione, si caratterizza per un "errare" da parte dell'uomo e del popolo d'Israele che si può prestare a diverse letture. Dall'errare del patriarca Abramo, che uscì da Ur dei Caldei per raggiungere la terra di Canaan, all'errore compiuto dal popolo ebraico che, dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana, si costruì un idolo dorato ai piedi del Sinai, agli errori (e spesso orrori) degli uomini che scatenano l'ira divina con il diluvio universale o portano alla distruzione della Torre di Babele. A questi errori corrisponde sempre un ritorno, una fedeltà ad un rapporto che sarà sancito dall'alleanza, dal Patto Eterno tra Dio e il popolo ebraico.
Lo stile di Scaranari sperimenta le diverse tecniche calcografiche e stilistiche: attraverso un linguaggio onirico, fortemente surreale, Scaranari riesce ad instaurare un rapporto autentico tra la dimensione dell'immagine e l'importanza della parola che, nella tradizione ebraica, rappresenta la presenza dell'assoluto nella storia. L'artista, in modo originale e innovativo, ha saputo dotare una tradizione sostanzialmente aniconica, come quella ebraica, di un universo di immagini fedeli al dettato del testo biblico.
All'inaugurazione sarà presente rav Luciano Caro, che terrà una lezione dal titolo "Ebraismo e Arte".
L'esposizione rimarrà aperta dal 29 giugno al 3 agosto, con iseguenti orari:
dal martedì al venerdì 14.30-18.30,
sabato 15.30-18.30,
domenica 17.00-21.00.

(Forlì24ore.it, 27 giugno 2014)


“La Mogherini abbandoni la politica dell'ostruzionismo nel West Bank”

di Ugo Giano

Federica Mogherini
ROMA, 27 giu - Il Bené Berith Giovani apprende in queste ore l'esortazione del Ministro degli Esteri Federica Mogherini a non impegnarsi in attività finanziarie e a non investire nei Territori del West Bank, amministrati attualmente secondo gli Accordi di Oslo del 1993, accordi firmati anche da Yasser Arafat, l'allora leader dell'Organizzazione di Liberazione della Palestina. La strategia del boicottaggio economico ai danni di Israele è stata percorsa già in passato da diverse associazioni ed ONG che vedono il conflitto israelo-palestinese in modo semplicistico e distorto: i buoni da una parte, i cattivi dall'altra. Come se dietro non ci fossero due popoli ugualmente sofferenti; come se non vi fossero ragioni e torti, diritti negati e perdite da ambo le parti. La geopolitica di quell'area e la millenaria storia di cui i popoli israeliano e palestinese portano il peso non sono uno scherzo e non possono essere affrontati come una partita di Risiko, dove vince la politica dell'ostruzionismo. La linea del muro contro muro è impraticabile e inaccettabile da parte dell'Italia, come da parte di qualsiasi altro Paese che faccia propri i valori della civiltà e della democrazia. Peraltro anche il tempismo nel chiedere l'isolamento di Israele - seppur limitato all'economia e alla zona dei Territori contesi - è assolutamente pericoloso. Lo Stato di Israele si trova in questi giorni ad affrontare situazioni gravi e delicate su numerosi diversi fronti. Tre studenti di 16 anni rapiti dai terroristi palestinesi proprio nel West Bank, in cui vengono ritrovati ogni giorno veri e propri arsenali di armi e laboratori per la fabbricazione di ordigni; i governanti di Gaza, responsabili dei rapimenti e alleati con il partito di Abu Mazen, minacciano una terza intifada (guerra terroristica contro Israele); i cittadini del sud del paese sotto la costante minaccia dei razzi sparati da Gaza (gli ultimi 5 due giorni fa); i colpi di mortaio provenienti dalla vicina Siria martoriata dalla guerra, che proprio questa settimana hanno ucciso un ragazzino arabo-israeliano di 13 anni. Se il Ministro Mogherini volesse contribuire in maniera efficace per avvicinare i due popoli, dovrebbe lavorare sull'educazione e sulla cultura; sullo sport, sull'arte e sullo spettacolo, e perché no, anche sugli scambi economici, per far sì che israeliani e palestinesi possano incontrare ognuno la mano dell'altro. Si ricorda inoltre che gli stessi cittadini palestinesi che abitano la zona del West Bank si sono più volte espressi contro la politica del boicottaggio nei confronti di Israele, nelle cui aziende trovano spesso l'unico spiraglio economico e sociale. Nelle fabbriche e negli impianti israeliani del West Bank non è raro trovare impiegati palestinesi con pari diritti, padri e madri di famiglia che riescono a portare uno stipendio a casa proprio grazie ai vicini. Al contrario, i governi palestinesi - sia nel West Bank che a Gaza - sono caratterizzati dalla forte corruzione e dalla mancata trasparenza nei bilanci pubblici e per questo milioni e milioni di dollari di finanziamenti internazionali (compresi quelli dell'Unione Europea) non sono mai giunti alla popolazione palestinese, abbandonata alla povertà e alla sottocultura. In nome di un dialogo forte e duraturo, in nome di una politica estera degna della nostra Nazione, chiediamo quindi al Ministro Federica Mogherini di abbandonare la strategia sbagliata e semplicistica del boicottaggio e abbracciare invece la strada del dialogo e dei ponti culturali ed economici fra i due popoli. I membri della Sezione Stefano Gaj Tachè del BBG sono pronti - qualora fosse possibile - ad organizzare un incontro con il Ministro per raccontarle la visione della associazione riguardo ai temi trattati pocanzi.

(AgenParl, 27 giugno 2014)


Alla scoperta della sinagoga di Biella

Due appuntamenti alla scoperta dei luoghi di culto che hanno fatto la storia dell'ebraismo piemontese.
La comunità ebraica ha organizzato per domenica l'apertura della Sinagoga di Biella Piazzo, in vicolo del Bellone 3. Sarà possibile effettuare visite guidate dalle 15 alle 17, con cadenza ogni mezzora.
La settimana successiva, domenica 6 luglio, sarà la volta della sinagoga di Vercelli, in via Foa 56. Anche in questa occasione verranno proposte visite guidate dalle 15 alle 18, con cadenza ogni mezzora.

(Provincia di Biella.it, 27 giugno 2014)


Si dimette l'inviato speciale Usa in Medio Oriente

Martin Indyk lascia dopo un anno di incontri senza che si sia giunti ad alcun risultato. Lo aveva nominato il segretario di Stato, John Kerry, nel luglio scorso quando aveva promesso un'intesa in nove mesi.

di Angelo Paura

Crisi nella crisi all'interno dei nogoziati di pace tra Israele e Palestina. Oltre alla situazione di stallo tra le due parti adesso anche l'inviato speciale in Medio Oriente degli Stati Uniti, Martin Indyk, ha lasciato l'incarico dopo un anno di lavoro su un accordo che non ha portato a un'intesa. Il diplomatico tornerà alla sua precedente occupazione, quella di vicepresidente e direttore del think tank di Washington Dc, Brookings Institution.
La notizia - riportata dal quotidiano israeliano Haaretz citando fonti anonime statunitensi - è stata confermata dal segretario di Stato americano, John Kerry che ha sottolineato che Indyk continuerà a lavorare a stretto contatto con lui e con l'amministrazione Obama per risolvere il conflitto tra Palestina e Israele. Kerry ha anche ricordato che gli Stati Uniti continueranno a fare sforzi per arrivare a una soluzione della questione tra le due parti.
Indyk è stato anche ambasciatore americano in Israele tra l'aprile 1995 e il settembre 1997 e poi tra il gennaio 2001 e il luglio 2001. Era stato nominato inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente lo scorso luglio per coordinare i negoziati: il segretario di Stato americano aveva annunciato di voler arrivare a un accordo di pace tra le due parti in nove mesi. "L'ambasciatore Indyk ha dedicato decenni della sua straordinaria carriera alla missione per aiutare Israele e Palestina a raggiungere una pace duratura", ha scritto Kerry in una nota diffusa dal dipartimento di Stato.
Tuttavia i negoziati sono falliti prima ancora della fine dei nove mesi: come ha detto Kerry i problemi sono stati creati sia da Israele che da Palestina. Attualmente le trattative sono state interrotte e non è chiaro se la posizione di Indyk sarà sostituito. Per ora il suo vice, Frank Lowenstein, prenderà il suo ruolo ad interim.
Negli ultimi mesi - continua Haaretz - Indyk stava valutando cosa fare in futuro soprattutto in seguito ai fallimenti dei colloqui di pace. All'inizio aveva considerato la possibilità di restare in carica, ma nelle ultime settimane la Brookings IInstitution lo aveva messo davanti a un bivio annunciandogli che non avrebbe potuto mantenere entrambe le posizioni di inviato speciale e di vicepresidente del think tank.
Già all'inizio di maggio il quotidiano Haaretz aveva scritto che Indyk era sul punto di lasciare, ma sia la Casa Bianca che Kerry gli avevano chiesto di aspettare e vedere cosa sarebbe successo nella regione. Tuttavia dopo la nascita del nuovo governo di unità palestinese (fra Hamas, gruppo definito terrorista da Usa e Ue e che governa la Striscia di Gaza formalmente dal 2007, e al Fatah, il movimento palestinese più moderato che controlla la Cisgiordania) l'inviato aveva capito che i negoziati non sarebbero ripartiti a breve.

(America24, 27 giugno 2014)


Gaza: agguato a soldati israeliani

Esplode un ordigno al passaggio di una pattuglia

Resta alta la tensione lungo la linea di demarcazione fra Israele e la striscia di Gaza dove stamane una pattuglia israeliana è caduta in un agguato. Al suo passaggio, riferisce un portavoce militare, è stata fatta esplodere una potente carica che non ha provocato vittime. I soldati hanno reagito sparando in direzione dei loro presunti assalitori. L'agenzia di stampa palestinese Maan riferisce da Gaza che cinque palestinesi sono rimasti feriti.

(ANSA, 27 giugno 2014)


Israele: "Due militanti di Hamas coinvolti nel rapimento dei tre giovani ebrei"

I servizi segreti israeliani hanno identificato due uomini, entrambi militanti di Hamas, che sarebbero coinvolti nella scomparsa di tre giovani ebrei, due settimane fa.
I tre, secondo il governo israeliano, sarebbero stati rapiti dal gruppo radicale Hamas, che tuttavia nega risolutamente.
I due palestinesi identificati, Marwan al-Qawasmeh e Abu Eisha, sono irreperibili dal giorno della scomparsa dei tre giovani.

(euronews, 27 giugno 2014)


Rivlin pronto a incontrare Abu Mazen per un dialogo diretto

Reven Rivlin, eletto a metà giugno come successore di Shimon Peres alla presidenza di Israele, si è detto favorevole a "un dialogo diretto" con il suo omologo palestinese Mahmoud Abbas. "In passato, ho incontrato Abu Mazen in numerose occasioni e lo incontrerei di nuovo in futuro", ha dichiarato Reuven Rivlin, secondo quanto riferito oggi dal quotidiano israeliano Yediot Ahronot.
"Sappiamo entrambi che il dialogo diretto rappresenta la condizione sine qua non per fare del Medio Oriente un luogo sicuro", ha aggiunto Rivlin parlando con i giornalisti.
Il nuovo presidente fa parte dell'ala più a destra del partito Likud, che promuove il "Grande Israele" ostile alla creazione di uno Stato palestinese. Rivlin assumerà le sue nuove funzioni da presidente il prossimo 28 luglio.

(Milano Finanza, 27 giugno 2014)


L'Italia alza il tiro contro Israele. "Stop agli affari nelle colonie"

Mogherini: entrerà in vigore la decisione presa dalla Ue nel 2012

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Con un formale «avvertimento» l'Italia suggerisce ai connazionali di «non impegnarsi in attività finanziarie e investimenti» negli insediamenti israeliani in Cisgiordania compiendo un passo «in sintonia con altri Paesi europei» a cominciare dalla Francia. A farlo sapere è il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, parlando di «implementazione tecnica di una scelta politica fatta in precedenza» in occasione del Consiglio Europeo del dicembre 2012.
   Allora la misura sanzionatoria nei confronti degli insediamenti dove risiedono 350 mila israeliani venne «decisa ma non comunicata» sottolinea la Mogherini, spiegando che il rinvio de facto si dovette ai «colloqui di pace che John Kerry aveva intrapreso e nei quali non si voleva interferire». Vi è stata dunque una sospensione che ora lascia il posto a una «comunicazione» che, aggiunge la Mogherini, verrà fatta «nelle prossime ore» seguendo l'esempio di Parigi e in coincidenza con analoghe decisioni da parte di altre capitali dell'Ue. Il Quai d'Orsay ha parlato di «atto dovuto» in considerazione del fatto che «le costruzioni in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Golan sono illegali trattandosi di territori occupati».
   Germania, Gran Bretagna e Spagna - secondo fonti francesi - sono in procinto di adottare passi analoghi. In concreto ciò significa che un gruppo di Paesi Ue suggerisce agli investitori di evitare di sostenere progetti per lo sviluppo degli insediamenti, confermando la posizione Ue che li ritiene un «ostacolo» ai negoziati di pace fra Israele e palestinesi. Era stato proprio il Segretario di Stato americano, al termine dell'infruttuosa maratona negoziale, a far sapere a Gerusalemme che il fallimento dei colloqui avrebbe comportato «conseguenze economiche negative». L'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen da tempo premeva su Bruxelles affinché l'intesa del 2012 portasse a conseguenze concrete ai danni di Israele. Resta da vedere quali saranno le ripercussioni di questo passo nei rapporti fra Israele e Ue alla luce del fatto che il premier Benjamin Netanyahu ha più volte sottolineato il ritardo europeo nella condanna del rapimento dei tre ragazzi ebrei in Cisgiordania. La Mogherini è attesa a luglio in Israele e nei Territori palestinesi per una visita che potrebbe svolgersi nel segno del rinnovato impegno Ue contro gli insediamenti ebraici in Cisgiordania.

(La Stampa, 27 giugno 2014)

*

"Non mi sembra un grande tempismo". Tweet di Terzi sul boicottaggio di Israele

L'ex ministro degli Esteri risponde alla posizione del governo sui possibili investimenti italiani negli insediamenti in Cisgiordania.

«Non sembra grande tempismo: contro Israele ora, con possibile III intifada, un Iran dominante in Siria e Iraq, espansionismo sciita».
Con un tweet postato questa mattina, l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi prende posizione sulla questione del formale avvertimento da parte del governo italiano a «non impegnarsi in attività finanziarie e investimenti negli insediamenti israeliani in Cisgiordania per essere «in sintonia con altri Pesi europei come ad esempio la Francia».
Il messaggio di Terzi è giunto a fronte di un articolo di Maurizio Molinari, pubblicato oggi sulla Stampa e nel quale si parla di «implementazione tecnica di una scelta politica fatta in precedenza» ovvero durante il Consiglio d'Europa del 2012.
Germania, Gran Bretagna e Spagna sarebbero in procinto di adottare decisioni analoghe e questo vorrebbe dire che un gruppo di Paesi europei sta suggerendo agli investitori di evitare di sostenere progetti per lo sviluppo degli insediamenti ritenuti un ostacolo ai negoziati di pace fra Israele e Palestina.

(La Stampa, 27 giugno 2014)


Federica Mogherini e quella foto con Arafat

Nel 2009 uno scatto sottobraccio a un deputato di Hezbollah costò a Massimo D'alema il posto da "ministro degli Esteri" della Commissione Ue. Per quel ruolo c'è adesso in lizza la titolare della Farnesina. Che però non sembra penalizzata da un vecchia istantanea che la ritrae accanto allo storico leader dell'Olp.

di Paolo Fantauzzi

Se davvero il ministro Federica Mogherini riuscirà a diventare Alto rappresentante Ue per la Politica estera e la sicurezza, il pensiero non potrà non correre a Massimo D'Alema. Cinque anni fa esatti in lizza per il ruolo di "mr. Pesc" (secondo la semplificazione giornalistica corrente) c'era infatti il lìder Maximo, anche lui
2006: Massimo D'Alema a Beirut con Fawzi Saloukh e un ufficiale di Hezbollah
fresco di una breve esperienza alla Farnesina. Eppure - nel gioco delle nazionalità e dei veti incrociati, all'interno dello stesso Pse - alla fine la spuntò la baronessa inglese Catherine Ashton, benché sostanzialmente digiuna di politica estera.
A pesare, in quelle concitate giornate di novembre 2009, fu anche una foto risalente al Ferragosto di tre anni prima: gli scatti che ritraevano l'allora ministro degli Esteri del secondo governo Prodi sottobraccio al deputato di Hezbollah Hussein Haji Hassan, mentre si aggirava per le strade di Beirut bombardata da Israele. L'European Jewish Congress non si pronunciò sull'eventuale nomina di D'Alema ma diverse comunità ebraiche (a cominciare da quella di Roma) alternarono perplessità a dure critiche. Mentre Yediot Ahronot, il giornale israeliano più diffuso, in un editoriale significativamente intitolato "Il dilemma di D'Alema" - in Italia ribattezzato ironicamente D'Alemmah da alcuni settori pro-Israele - definì come "problematica" per il governo di Tel Aviv una eventuale designazione.
Da una identica sorte cinque anni dopo sembra invece scampare la Mogherini, della quale - poco dopo il varo del governo Renzi - ha iniziato a circolare in rete una foto che la ritrae accanto al leader palestinese Yasser Arafat, risalente probabilmente agli anni della Seconda intifada in cui lavorava al dipartimento
 
Federica Mogherini con Yasser Arafat
Esteri dei Ds (all'epoca settore di stretta osservanza dalemiana per le posizioni filo-arabe e terzomondiste di derivazione Pci).
Un amore di vecchia data, quello per il Medio oriente, che traspare anche nella tesi di laurea del ministro, dedicata al rapporto tra religione e politica nell'Islam e scritta durante l'Erasmus all'Institut de recherches et d'études sur le monde arabe et musulman dell'università di Aix-en-Provence. Proprio come il marito Matteo Rebesani , compagno di militanza politica e poi assistente di Walter Veltroni in Campidoglio, che lo volle a capo dell'Ufficio relazioni internazionali del comune di Roma. E dove - grazie anche alla grandeur dell'allora sindaco - ebbe modo di spaziare dai diritti umani alla cooperazione fino ai summit coi premi Nobel e la visita del Dalai Lama.
- In Europa?
  Resta da vedere se appena pochi mesi dopo essere stata la più giovane ministro degli Esteri della Repubblica italiana (solo Galeazzo Ciano coi suoi 33 anni fece di meglio) la Mogherini, classe 1973, diventerà anche la responsabile della diplomazia europea. Ruolo rivestito, per dieci anni esatti e prima dell'incolore Ashton, da una figura di peso come Javier Solana. Per la sostituzione, secondo l'intenzione del premier di non alterare la rappresentanza di genere nella compagine ministeriale, il nome più gettonato è quello della dalemiana Marta Dassù, sottosegretario con Monti, vice ministro con Letta e di recente nominata dal governo nel cda di Finmeccanica. Incarico in conflitto di interessi per le deleghe detenute alla Farnesina (a norma di legge dovrebbero passare 12 mesi) e che spiega come mai il suo nome circoli tanto insistentemente. In alternativa, ci sarebbe invece l'attuale titolare della Difesa Roberta Pinotti.
Vada come vada, il primo che probabilmente non vedrebbe di buon occhio questa scelta sarebbe Giorgio Napolitano, già poco convinto della decisione di affidarle gli Esteri. Tanto che quando Renzi si presentò con la lista dei ministri al Quirinale, raccontano i rumors di Palazzo, il Capo dello Stato - poco convinto della scarsa esperienze internazionale della deputata Pd - avrebbe cercato senza successo di convincere il premier incaricato a depennare il nome della Mogherini e a confermare la Bonino.
E in effetti quello del ministro è un curriculum tutto interno al partito, che rispecchia il classico cursus honorum dei funzionari di una volta: la Sinistra giovanile negli anni universitari, il lavoro al dipartimento Esteri ai tempi della segreteria Fassino (prima come responsabile del rapporto coi movimenti poi come coordinatrice), l'ingresso nel Consiglio nazionale dei Ds, la direzione. E infine, col Pd, l'approdo in segreteria con Walter Veltroni e Dario Franceschini nel ruolo di responsabile Istituzioni (agli Esteri c'era il suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli). Una carriera culminata nel 2008 con l'elezione a 35 anni a Montecitorio (nel dicembre 2010, tre giorni prima di partorire la seconda figlia, andò a votare la sfiducia al governo Berlusconi) e la presidenza della delegazione italiana all'Assemblea parlamentare della Nato.

- Abbasso Renzi, Viva Renzi
  Anche lei, come Marianna Madia , è stata accusata di aver cambiato praticamente tutte le correnti, abitudine ricorrente nel Partito democratico e non da oggi: dalemiana, veltroniana, franceschiniana (ma dell'area Fassino), sostenitrice di Bersani e adesso di Renzi. Non senza aver sparato sul Rottamatore al tempo in cui appoggiava il segretario emiliano, accusandolo addirittura di una preparazione da terza elementare: «Renzi ha bisogno di studiare un bel po' di politica estera... non arriva alla sufficienza, temo».
Chi invece sembra aver avuto fiducia in lei fin da tempi non sospetti è proprio Renzi, che già nel 2009 - da presidente della Provincia di Firenze - in un colloquio con l'Espresso si augurava che all'interno del Partito democratico emergesse un outsider come «Debora Serracchiani, Maurizio Martina, Federica Mogherini o Giuseppe Civati, che mi piace da morire». E se il giudizio su quest'ultimo ormai è probabilmente ribaltato, almeno su di lei il premier non pare aver cambiato idea. Se poi riuscirà a convincere anche gli altri partner europei resta da vedere.

(Panorama, 27 giugno 2014)


Il futuro del trasporto pubblico: Israele testa le hover car

dii Alessandro Martorana

Non siamo ancora alle macchine volanti, ma ci stiamo avvicinando: la città di Tel Aviv in Israele sta attualmente testando una nuova forma di trasporto con la quale le persone viaggiano su auto che "volano" a mezz'aria ad alte velocità.
Il sistema funziona grazie ad una "rotaia" per la levitazione magnetica (Maglev), realizzata all'avanzata tecnologia dell'azienda californiana skyTran: i veicoli potrebbero potenzialmente raggiungere velocità fino a 240 km/h.
Per il test iniziale skyTran costruirà una rotaia di 500 metri intorno al campus di Israel Aerospace Industries entro il 2015, e se la prova avrà successo la città di Tel Aviv inizierà ad implementare un sistema completo con le hover car entro la fine del 2016.
I passeggeri potranno utilizzare i loro smartphone per richiedere l'arrivo di una vettura, che li raccoglierà ad una specifica stazione di loro scelta, con un servizio disponibile 24 ore al giorno. Le persone che vorranno viaggiare in gruppo potranno ordinare più vetture, che viaggeranno vicine. SkyTran è in fase avanzata di trattativa per portare il sistema anche a Tolosa, San Francisco e Kerala (India).
Uno dei migliori vantaggi è il fatto che le stazioni di skyTran possono essere piazzate ovunque, anche sottoterra o all'interno di un edificio: l'intera infrastruttura è economica da installare, ed il sistema può essere alimentato da fonti energetiche rinnovabili come ad esempio quella solare. I biglietti per il servizio dovrebbero costare intorno ai 5 dollari (meno di 4 euro), con la possibilità di prevedere sconti, abbonamenti e tariffe basate sulla distanza percorsa.
"Tel Aviv è una città globale, una destinazione per persone di tutto il mondo, un centro di commercio", ha spiegato a Reuters il CEO di skyTran, Jerry Sanders. "Gli israeliani amano la tecnologia, e non prevediamo problemi di persone che non vogliano usare il sistema. Israele è un perfetto sito di test".

(International Business Times Italia, 26 giugno 2014)


Super stipendi ai terroristi palestinesi in cella

di Fiamma Nirenstein

I prigionieri nelle carceri israeliane sono per Abu Mazen e per Hamas un fine e un mezzo primario, un faro che orienta la loro politica: più li aiuti, più riesci a tirarli fuori da dietro le sbarre, più mostri di occupartene, più la società palestinese ti ammira, ti attribuisce consenso.
   Anche l'ultimo terribile rapimento di tre ragazzini israeliani che tornavano da scuola è finalizzato a uno scambio tipo quello di Gilad Shalit,1.000 prigionieri fra terroristi con ergastoli multipli, contro quel soldato semplice. Proprio per questo ultimo episodio forse gli israeliani si sono risvegliati a una realtà conturbante, e mercoledì sera Benyamin Netanyahu ha presieduto un Gabinetto in cui è stato presentato un rapporto sui regolari stipendi che l'Autorità Palestinesi paga ai terroristi in carcere, naturalmente chiamati prigionieri politici, mese dopo mese. Questo costume, sia per l'entità sia per i criteri, stupisce e spaventa.
   Il ministero per i Prigionieri fra il 2011 e il 2012 ha trasferito un miliardo di shekel, ovvero 150 milioni di dollari a palestinesi imprigionati e alle loro famiglie. I singoli prigionieri ricevono mensilmente uno stipendio che arriva fino a 3.500 dollari, cifra molto significativa. Secondo i dati presentati dall'ufficio di Netanyahu, il governo di Ramallah codifica lo stipendio secondo gli anni cui un prigioniero è condannato. Bisogna pensare che in maggioranza non si tratta di crimini comuni, ma di attacchi terroristi, tentativi di rapimenti, bombe. Secondo il rapporto chi è condannato da uno a tre anni, riceve 1.500 dollari, e lo stipendio può arrivare a 3.500, e in casi speciali anche di più, se gli anni di condanna sono di più. Se hai preso trent'anni o l'ergastolo non importa se, come successo millevolte nella storia recente, le vittime degli attacchi sono civili, donne e bambini. Lo stipendio cresce con l'entità della condanna.
   Nel momento della liberazione, oltre a un tripudio di gioia che si può vedere in tutte le foto in cui Abu Mazen accoglie i prigionieri liberati sia dopo accordi con lo Stato d'Israele, sia che si tratti del ricatto dei rapimenti, attendono il reduce ingenti somme e alti gradi civili e militari. Chi ha fatto 5 o 6 anni riceve la posizione di ufficiale, chi ha completato trent'anni diventa generale, o ministro nel governo. I prigionieri liberati ricevono anche una liquidazione fino a 60mila dollari, e tutti, se non ci sono posizioni disponibili, vengono sussidiati. Al di là della completa negazione quindi di ogni logica di rispetto per le vittime e per la lotta al terrore, per i giovani palestinesi si crea un incentivo economico a unirsi alle schiere del terrorismo. La soddisfazione sociale è tanta, perché i terroristi sono gli idoli locali, i ritratti degli shahid, i martiri, sono esposti ovunque; e il loro ethos, la loro ideologia, le loro gesta celebrate con canzoni, nomi delle piazze, corsi educativi.
   Fermare questo flusso di denaro è difficile. Intanto, i soldi raggiungono le famiglie tramite inarrestabili banche, e gran parte vengono da aiuti e Ong europee, italiane, regionali, cittadine che sotto l'etichetta umanitaria o del controllo dei diritti dei prigionieri versano fondi anche al ministero per i prigionieri o organizzazioni collaterali. L'Italia in dieci anni ha versato almeno 220 milioni di euro a Ong che finanziano progetti umanitari, alcuni certo utili, ma molti non controllati e trasparenti. Spesso i progetti sono generici. Quanti soldi del contribuente potrebbero essere finiti nel fiume di denaro convogliato verso le carceri?

(il Giornale, 27 giugno 2014)


Da Israele ad Arezzo per omaggiare la famiglia Marconi

Yosef Saghi, 70enne che vive in un kibbutz a 20 chilometri da Tel Aviv, fu nascosto insieme alla sorella nella casa di Anghiari dalla famiglia Marconi a cui nel dicembre scorso è andato il riconoscimento di "Giusti tra le nazioni".

 
Giocondo e Annina Marconi
AREZZO, 26 giu - "Sono molto contento che finalmente Annina e Giocondo Marconi possano essere premiati e ricordati perche' senza di loro la mia famiglia non ci sarebbe piu'". Cosi' Yosef Saghi, 70enne che vive in un kibbutz a 20 chilometri da Tel Aviv che fu nascosto insieme alla sorella nella casa di Anghiari dalla famiglia Marconi a cui nel dicembre scorso e' andato il riconoscimento di "Giusti tra le nazioni" attribuito dallo Yad Vashem, il Sacrario della Memoria di Gerusalemme.
Saghi sara' proprio ad Anghiari il primo luglio per la cerimonia ufficiale. E' stata la sua testimonianza a far decidere per il riconoscimento alla coppia. "Arriveremo il 27 a Roma, io sara' insieme ai miei 4 figli e 9 nipoti. La mia famiglia si ricongiungera' con quella di mia sorella che arriva da Chicago.
Una volta ad Arezzo andremo all'asilo Aliotti che per due anni, gli anni che abbiamo vissuto ad Arezzo, abbiamo frequentato. Poi il 1 luglio saremo ad Anghiari per la cerimonia". Yosef Saghi e' un fiume in piena e racconta dei due anni trascorsi ad Arezzo dove abitava nel centro storico: "Percorrevamo tutta via Cavour per andare a scuola", dice.
Ma anche di quelli passati ad Anghiari nella casa dei Marconi: "due persone splendide a cui devo tutto".
Nella stessa palazzina di Anghiari dove visse nascosto dai nazisti oggi vive la nipote della coppia, Annamaria Francalanci Marconi, alla quale Yad Vashem invio' la lettera di notifica del riconoscimento. "E' una cosa venuta dal cielo", commento' allora la donna pensando agli zii morti negli anni Sessanta.

(La Nazione, 26 giugno 2014)


Così una madre le suona all'Onu

Blitz dei genitori degli studenti israeliani rapiti al Palazzo delle nazioni

Rachel Fraenkel parla davanti alle Nazioni Unite
Non ha ogni ragazzo il diritto di ritornare a casa da scuola sano e salvo?". Rachel Fraenkel, madre di Naftali - uno dei tre ragazzi israeliani rapiti in Cisgiordania - ha avuto il coraggio di porre questo interrogativo davanti alle Nazioni Unite a Ginevra in un accorato appello per la liberazione dei giovani israeliani. Rachel a Ginevra, dove era insieme alle madri di Eyal Yifrach e Gilad Shaar, ha detto che "siamo venute noi tre madri qui per essere sicure che il mondo stia facendo di tutto per portare a casa i nostri figli". Le tre donne hanno accusato la più alta istanza politica per i diritti umani, il Palazzo delle nazioni di Ginevra, da anni teatro delle più incredibili e immorali risoluzioni contro lo stato ebraico e i suoi cittadini. Il Consiglio dei diritti umani è succeduto alla discreditata commissione che nel 2004 accettò l'affiliazione del Sudan, mentre quel paese stava compiendo il genocidio in Darfur. Ha cambiato nome, ma il Consiglio ha sempre la stessa missione: ignorare le violazioni di diritti umani nel mondo e condannare Israele. Ruthie Blum sul giornale israeliano Israel Hayom scriveva ieri che "da quando il 12 giugno i tre studenti sono stati rapiti, l'Onu si è concentrata nel condannare soltanto la risposta israeliana nei Territori", finora infruttuosa nelle ricerche. Ci hanno pensato queste tre donne ebree a riportare l'onore nell'Aula di Ginevra. Ma non è soltanto l'Onu a tacere o a usare una lingua di legno sul rapimento dei tre studenti. Jennifer Rubin sul Washington Post accusa anche la Casa Bianca, rimasta in silenzio sul rapimento. Non ci sono hashtag di Michelle Obama per i tre rapiti.

(Il Foglio, 26 giugno 2014)


Parigi: sì all'estradizione dell'uomo accusato della strage al Museo ebraico

  
ROMA - La giustizia francese ha ordinato l'estradizione in Belgio del cittadino franco-algerino Mehdi Nemmouche, accusato di essere l'autore della strage al Museo ebraico di Bruxelles il 24 maggio scorso. La corte d'appello di Versailles, a ovest di Parigi, ha preso questa decisione ''sulla base di un mandato d'arresto europeo'', ''e le accuse di omicidio in un contesto terroristico'', ha spiegato il presidente. Nemmouche, arrestato a Marsiglia a fine maggio, si oppone alla sua estradizione, sostenendo di temere di essere estradato dal Belgio verso Israele, da dove provengono due delle quattro vittime.

(ASCA, 26 giugno 2014)


Israele - Primo sì alla legge sul suicidio assistito

di Simona Verrazzo

II suicidio assistito divide l'opinione pubblica e trasversalmente gli schieramenti politici in qualsiasi parte del mondo, anche in medio oriente. E il caso di Israele, dove la Commissione ministeriale perl a legislazione, nelle scorse settimane, ha dato parere favorevole a una legge sul suicidio assistito. Il testo prevede che i medici possano prescrivere la dose letale di medicinali a malati con una aspettativa di vita non superiore a sei mesi, per questo da considerarsi terminali ai sensi della legge in vigore in Israele. Il medico che prescriverà le medicine mortali avrà un'immunità e non potrà essere perseguito penalmente. Il disegno di legge prevede che la dose letale debba essere esplicitamente richiesta dal paziente, compilando un apposito modulo ufficiale, alla presenza di due testimoni, in cui va indicato che intende porre fine alla propria vita di sua spontanea volontà. I medici avranno l'obbligo di denunciare ogni prescrizione per il suicidio assistito al ministero della Salute israeliano. Promotore del testo è Ofer Shelah, ex giornalista tv e adesso membro della Knesset (il Parlamento israeliano) tra le fila del partito centrista Yesh Arid. La legge è appoggiata anche dall'altro partito centrista Hatnuah. Ferma l'opposizione dei parlamentari espressione di forze politiche confessionali. Uri Orbach, ministro per gli Anziani e membro del partito religioso Casa Ebraica, ha presentato ricorso. «Questo è falso liberismo, sostenendo che tutto è negoziabile».

(Avvenire, 26 giugno 2014)


Soragna: Recital al Museo Ebraico Fausto Levi z.l

Domenica 29 giugno alle ore 21.00 il Museo Ebraico Fausto Levi z.l. di Soragna presenta Abramo, il recital sulla figura biblica di Abramo, appunto, scritto ed interpretato da Riccardo Joshua Moretti. Il compositore, nonché vicepresidente della Comunità Ebraica di Parma, conclude con questo lavoro la "Trilogia biblica", dopo le rappresentazioni del Mosè e di Giobbe, quest'ultimo presentato in Sinagoga a Parma lo scorso gennaio in occasione della Giornata della Memoria. La vicenda di queste tre grandi figure bibliche ha dato all'autore la possibilità di poter affrontare i vari aspetti della vita umana con tutte le sue difficoltà e contraddizioni. Giobbe simboleggiava la relazione problematica tra l'uomo, D-o, e l'ingiustizia del male; Mosè il rapporto con la Legge, Abramo indaga invece la figura di colui che ha dato inizio al pensiero dell'unicità di D-o per tutti gli uomini.
Lo spettacolo alterna momenti musicali appositamente composti, a parti recitate ispirate dalla grande tradizione dell'esegesi ebraica. Moretti ha guardato ai testi medievali di Maimonide fino a quelli contemporanei di Elie Weisel, premio Nobel per la Pace nel 1986.
In un intenso intreccio di parole e musiche si dipana una trama intensa, che si fa messaggera di una sapienza millenaria, capace di parlare con un linguaggio semplice e diretto al cuore di ogni uomo e di ogni donna.
Il recital è organizzato dalla Comunità Ebraica di Parma in collaborazione con Adei-Wizo, sezione di Parma con il contributo dell'8 per mille.

(Fonte: Jewsh Parma, 26 giugno 2014)


“Tutta la Palestina, dal fiume al mare”

Una netta maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza risulta contraria alla soluzione a due Stati per porre fine al conflitto con Israele. È quanto emerge da un'indagine condotta a metà giugno nei territori palestinesi da una società di sondaggi palestinese per conto del Washington Institute for Near East Policy. Secondo i dati diffusi mercoledì, il 60% dei palestinesi intervistati (il 55% in Cisgiordania, il 68% a Gaza) rifiuta definitivamente di accettare l'esistenza di Israele esortando piuttosto i propri dirigenti "ad adoperarsi per rivendicare tutta la Palestina storica, dal fiume al mare", mentre meno del 30% (31% in Cisgiordania, 22% a Gaza) desidera "porre fine all'occupazione di Cisgiordania e Gaza con una soluzione a due stati". Due terzi degli intervistati afferma che una soluzione a due stati sarebbe "parte di un programma per tappe volto a liberare successivamente tutta la Palestina storica" e che "la resistenza (lotta armata) deve continuare fino a quando tutta la Palestina storica sarà liberata" (con la cancellazione di Israele). Allo stesso tempo, l'80% dei palestinesi si dice "sicuramente" o "probabilmente" a favore di maggiori opportunità di lavoro in Israele per i palestinesi, e la maggioranza vorrebbe che le aziende israeliane offrissero nuovi posti di lavoro per i palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Inoltre, il 70% dei residenti nella striscia di Gaza si dice favorevole a che Hamas "mantenga il cessate il fuoco con l'esercito israeliano". I ricercatori dell'Istituto ne concludono che "la politica Usa dovrebbe considerare seriamente di abbandonare per ora ogni speranza in un accordo di pace permanente israelo-palestinese, concentrandosi piuttosto su misure immediate atte a ridurre le tensioni e migliorare le condizioni sul terreno".

(israele.net, 26 giugno 2014)


Addio a Wallach, il Brutto dei western che incantò Leone

di Maurizio Porro

  
Eli Wallach
Sono rimasti il Buono e il Cattivo, è morto il Brutto, il fuorilegge messicano sadico e pasticcione con cui Eli Wallach nello spaghetti-western di Sergio Leone del '66, che superò allora i 3 miliardi di lire di incasso, divenne popolare raccontando una feroce caccia al tesoro. Pezzo cult de Il buono, il brutto e il cattivo la corsa al cimitero di Wallach inseguito tra le tombe della musica di Morricone, lui che era nato a New York tra i broccolini, il 7 dicembre 1915, unico immigrato ebreo polacco. Eli Wallach è morto martedì a New York come ha comunicato Katherine, una dei suoi tre figli. E' scomparso dopo aver servito per 60 anni, reagendo a un ictus in vecchiaia, il teatro primo amore (il lancio fu a Broadway, sotto le ali del grande Elia Kazan nella Rosa tatuata di Williams), la Tv e il cinema. Se sul palcoscenico era protagonista (I rinoceronti, Luv) al cinema fu un grande caratterista (dando alla qualifica il massimo del suo valore), scolpendo patologie crudeli e grottesche, spesso in gara con Karl Malden. Era specializzato nei ruoli di «vilain», anche se Leone lo vedeva come un comico quasi alla Charlot, ma il destino lo ha fatto delinquere, rubare, tradire, trafficare da quel '56 in cui iniziò insidiando Carroll Baker in Baby doll di Kazan e Williams, i suoi protettori, per passare poi a strusciarsi con Marilyn Monroe in Gli spostati di Huston, nel ruolo di un garagista furbetto. Ma il primo titolo per cui lo spettatore di buona volontà l'odiava fu I magnifici 7 di Sturges, bandito messicano in lotta con Brynner: come sono morto in quel film, mai più, ricordava Wallach. Passò poi a rapinare treni nella Conquista del West. Gli capitò di essere Napoleone e pure Hitler, ma il suo genere di riferimento fu il western, con ospite d'onore il don Altobello del Padrino. Fino a quando ha potuto è stato sul set, negli ultimi anni con l'amico Eastwood, Polanski e Stone.

(Corriere della Sera, 26 giugno 2014)


Naftali Bennet: Abu Mazen è un mega terrorista

Il presidente palestinese Abu Mazen e' stato definito ''un mega terrorista'' dal leader del partito di destra religioso 'Focolare ebraico', Naftali Bennett, che parlava alla Radio militare. Motivo del giudizio il fatto - secondo Bennett - che Abu Mazen faccia trasferire ogni mese fondi ai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Il ministro ha sottolineato che in questo modo l'Autorita' palestinese ''supporta l'uccisione di ebrei''.

(ANSAmed, 25 giugno 2014)


L'israeliano Cohen al materno infantile di Savona

Amnon Cohen
SAVONA - Nuovo direttore per il dipartimento Materno Infantile di Savona: è il dottor Amnon Cohen, israeliano di nascita ma savonese d'adozione, già direttore della S.C. Pediatria e Neonatologia di Savona.
Dal 1992 ad oggi è stato docente universitario presso la facoltà di Medicina a Genova, per il corso di specializzazione in Pediatria e Corsi di post-specializzazione.
Da molti anni, soprattutto grazie alla sua collaborazione con l'Associazione Cresc.i Onlus, è promotore e organizzatore di diverse iniziative dedicate al mondo dell'infanzia, dei giovani e della famiglia.

(Primocanale, 25 giugno 2014)


Incendio alla periferia di Gerusalemme: in fiamme una foresta

GERUSALEMME, 25 giu. - Un vasto incendio scoppiato oggi pomeriggio sta bruciando una foresta alla periferia sudoccidentale di Gerusalemme. Il portavoce della polizia di Israele, Micky Rosenfeld, riferisce che non ci sono feriti né danni agli edifici, ma i residenti della zona sono stati evacuati e sei strade sono state chiuse. Le fiamme non sono ancora sotto controllo e il lavoro dei vigili del fuoco è reso più difficile dai forti venti. Al momento sono impegnati oltre 300 poliziotti, 20 squadre di pompieri e sei elicotteri. Sulle cause del rogo è stata aperta un'indagine. Nelle ultime settimane nelle vicinanze ci sono stati diversi incendi, tutti dolosi.

(LaPresse, 25 giugno 2014)


A Pesaro riapre il percorso di cultura ebraica

Visitabili fino a settembre la sinagoga e il cimitero ebraico

PESARO, 25 giu - Da giugno la sinagoga di via delle Scuole a Pesaro torna a essere visitabile - fino al 12 settembre - ogni giovedì dalle 17 alle 20, grazie anche alla collaborazione della sezione pesarese del Fai. Collocata nel cuore dell'antico quartiere ebraico, la sinagoga sefardita (o di rito spagnolo) è uno degli edifici storici più suggestivi del centro, e risale alla metà del XVI secolo.
   E' questo un periodo d'oro per Pesaro, che vede il suo porto ampliato da Guidubaldo II Della Rovere. In città accorrono molti ebrei portoghesi che hanno l'esigenza di continuare i propri studi mistici. E infatti la struttura in cui è inglobata la sinagoga ospitava anticamente le scuole di studi cabalistici, di musica e materna. All'interno dell'edificio si possono ammirare ancora oggi elementi architettonici legati alle funzioni che il luogo svolgeva per la comunità, come il forno per la cottura del pane azzimo o la vasca per i bagni di purificazione. Anche il cimitero ebraico è visitabile da giugno a settembre sempre il giovedì, dalle 17 alle 19. Ci sono oltre 100 monumenti funerari, realizzati con pietre locali, soprattutto calcare di Piobbico e più raramente arenarie, o marmi.

(ANSA, 25 giugno 2014)


#EyalGiladNaftali - L'appello di Rachel

È volata a Ginevra Rachel Fraenkel. A 12 giorni di distanza dal rapimento del figlio, il sedicenne Naftali, portato via nell'area di Gush Etzion insieme ai coetanei Gilad Shaer e Eyal Yifrah, Rachel ha voluto compiere un nuovo passo per sensibilizzare il mondo rispetto alle sorti dei ragazzi, un intervento davanti al Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite, Accanto a lei le madri di Eyal e Gilad.
Questo il testo dell'intervento, che il quotidiano Repubblica ha scelto di pubblicare oggi per intero.


"Mi chiamo Rachel Fraenkel e vivo in Israele. Sono venuta qui oggi in quanto madre: dodici giorni fa mio figlio Naftali e altri due studenti adolescenti, Eyal Yifrah e Gilad Shaer - le cui madri sono sedute dietro di me - sono stati rapiti mentre tornavano a casa da scuola. Da allora non abbiamo più saputo nulla, non abbiamo avuto né notizie né segni di vita. Con il vostro permesso, vorrei dirvi alcune cose dei nostri ragazzi. Mio figlio Naftali ha 16 anni, adora suonare la chitarra e giocare a basket. È un bravo studente e un bravo ragazzo, serio e allegro al tempo stesso. Eyal ama fare sport e cucinare. Gilad è un pasticciere dilettante ed è appassionato di cinema. Mio figlio mi ha mandato un messaggio col suo telefonino dicendomi che stava rientrando a casa, poi è sparito. L'incubo di ogni madre è aspettare, è che l'attesa che il proprio figlio torni a casa sia infinita. Vogliamo esprimere la nostra profonda gratitudine per le preghiere, il sostegno e tutta l'energia positiva che ci sono arrivati da ogni parte del mondo. In questa assemblea, vorrei ringraziare il Segretario generale delle Nazioni Unite per aver condannato il rapimento dei nostri ragazzi, esprimendo solidarietà alle nostre famiglie, e per aver chiesto il loro rilascio immediato. Ringrazio anche la Croce rossa internazionale per aver affermato chiaramente che le leggi umanitarie internazionali vietano la presa di ostaggi, e per aver preteso il rilascio immediato e incondizionato dei nostri ragazzi. Al tempo stesso, io credo che molti potrebbero e dovrebbero fare molto di più. E per questo motivo che oggi noi tre madri siamo qui, davanti alle Nazioni Unite e davanti al mondo intero, per chiedere a tutti di fare tutto ciò che potranno per riportare a casa i nostri figli. È sbagliato sequestrare i bambini - bambini e bambine innocenti - e usarli come strumenti di qualsiasi lotta. E crudele. Questo consesso ha il compito di tutelare i diritti umani. Vorrei chiedere dunque: ogni bambino non ha il diritto di tornare a casa propria sano e salvo da scuola? Noi vogliamo soltanto che i nostri figli tornino nelle nostre case, nelle loro camerette. Vogliamo riabbracciarli".

(moked, 25 giugno 2014)

*

Riportiamo uno stralcio del filmato presentato a questo proposito da euronews. Come al solito, quello che si sottolinea è la reazione "spropositata" di Israele. Oltre a questo, il traduttore riporta così la frase finale della madre: "Chiediamo solo che dormino nelle loro case e nei loro letti", che ricorda tanto il classico "vadi, vadi" del vigile clemente.



(euronews, 25 giugno 2014)


Liberi a ogni costo, purché il costo lo paghi Hamas, non Israele

Oggi la campagna per Shalit appare come una capitolazione isterica al terrorismo

Diversi giornali israeliani commentano la notizia che Ziad Awad, il terrorista palestinese accusato d'aver ucciso lo scorso 14 aprile a raffiche di mitra Baruch Mizrahi ferendo anche la moglie e un figlio di 9 anni, era stato scarcerato nel 2011 nel quadro del ricatto per la liberazione di Gilad Shalit trattenuto come ostaggio per più di cinque anni nella striscia di Gaza.
Ben Caspit, su Ma'ariv, riepiloga gli eventi della vicenda Shalit e chiede di fermare questo genere di scambi affermando: «Finché Israele accetterà di inginocchiarsi e strisciare davanti alla fotografia di un soldato o di un giovane rapito, tutte le organizzazioni terroristiche continuano a investire ogni loro energia, inventiva, spavalderia e inclinazione omicida nell'obiettivo di rapire qualche israeliano. La cosa cesserà solo quando smetteremo di pagare. Per farlo - conclude l'editorialista - abbiamo bisogno di una leadership con la schiena dritta, forza d'animo, una volontà di ferro e saldissimi principi»....

(israele.net, 25 giugno 2014)



"Segugio elettronico" riconosce piccole tracce di esplosivi. Frutto della ricerca israeliana

Per ciascun tipo fornisce una 'carta d'identità' chimica

Viene dall'università di Tel Aviv il nuovo 'segugio' elettronico in grado di fiutare gli esplosivi più comuni partendo anche da piccolissime tracce. Il dispositivo è dotato di nanosensori capace di riconoscere diversi tipi di esplosivo, riuscendo perfino a dare una descrizione dettagliata della loro natura chimica così da fornire una vera e propria 'carta d'identità' utile per facilitarNe il riconoscimento in occasioni successive. Tutti i dettagli sono pubblicati su Nature Communications dal gruppo di ricerca coordinato dal chimico Fernando Patolsky.
Il fiuto così sensibile di questo segugio elettronico si deve al fatto che ogni sostanza esplosiva va ad interagire con i sensori del dispositivo in una maniera unica e distinta dalle altre. Le informazioni così ottenute possono essere usate dai ricercatori per definire la 'carta d'identità' dell'esplosivo. Grazie a questo documento identificativo, è possibile riconoscere il tritolo e gli altri esplosivi più comuni partendo anche da piccolissime tracce, con concentrazioni pari a poche parti per quadrilione (ovvero milione di miliardi).
I sensori sono in grado di riconoscere anche gli esplosivi a base di perossido 'fatti in casa': questi rappresentano un grande problema per la sicurezza perché, sebbene possano essere preparati da chiunque con materiali facilmente reperibili, attualmente non esistono sistemi capaci di riconoscerli con un'elevata sensibilità. Il segugio elettronico invece è in grado di fiutarli, riuscendo a distinguerli da altri materiali chimicamente simili ma innocui.

(ANSA, 25 giugno 2014)


Michael Douglas: in Israele con la moglie per il figlio

MIchael Douglas con la moglie Catherine Zeta Jones
MIchael Douglas ha riconquistato il cuore della moglie Catherine Zeta Jones, Lo scorso weekend i due sono volati in Israele per il bar mitzvah del figlio Dylan Michael's. In Italia, il 10 luglio esce il suo nuovo film, 'Mai così vicini'. L'attore settantenne è riuscito a riconquistare il cuore di quella che sembrava ormai la sua ex moglie, Catherine Zeta Jones, i due sono più uniti che mai.

FIGLIO - Lo scorso weekend la coppia è volata in Israele per il il bar mitzvah del figlio Dylan Michael's, la festa per i 13 anni che segna la maturità religiosa di un ragazzo. ll bar mitzvah è avvenuta in uno dei tunnel al Muro del Pianto e sembra che il tunnel sia stato aperto appositamente per la cerimonia.

FILM - Il 10 luglio uscirà in Italia il suo nuovo film, "Mai così vicini" che lo vede impegnato per la prima volta con l'attrice Diane Keaton. Un film a basso budget di quelli che, come dichiara lo stesso attore Michael Douglas si vedono sempre di meno al cinema. Una commedia romantica del regista Rob Reiner.

TRAMA - Michael Douglas interpreta Oren Little, un antipatico agente immobiliare rimasto vedovo che si trova costretto a chiedere l'aiuto di una vicina quando il figlio che lo aveva allontanato ritorna a casa a sorpresa con una figlia. Douglas si troverà all'improvviso di nuovo padre, ma anche nonno.

LA MOGLIE - Catherine Zeta Jones è insieme a Michael Douglas dal 2000, la coppia ha avuto due figli e dopo una crisi sembra che l'attore sia riuscito a conquistare nuovamente il cuore della Jones. L'attore ha dichiarato: "È importante superare insieme i momenti difficili, restituisce vigore al rapporto. In tanti si preoccupano di quel che pensano gli altri, ma gli altri sono degli estranei. Quel che conta, è sapere cosa vuole da noi chi amiamo davvero".

(Mauxa, 25 giugno 2014)


IBA chiuderà nel 2015, Israele verso una nuova tv pubblica

 
La sede dell'IBA
Subito dopo la fine dell'ultima edizione dell'Eurovision Song Contest la tv di Israele aveva lasciato trapelare la sua delusione per l'eliminazione in semifinale di Mei Finegold e il pensiero di rinunciare all'edizione dei 60 anni, ma adesso arriva una notizia incredibile. Dopo la tv greca, anche IBA, la Israeli Broadcasting Authority, l'ente della tv pubblica israeliana, chiuderà per decreto. IBA spegnerà i ripetitori nel Marzo 2015. La decisione è stata annunciata dal Governo, nella fattispecie dal ministro delle Comunicazioni Gilad Erdan. Sotto accusa, manco a dirlo, i debiti e la particolare situazione finanziaria, ma anche lavorativa, in cui la tv versa: "I soldi pubblici sono spariti in buco nero di straordinari, contratti di lavoro irrealistici e un archivio disintegrato", ha sottolineato in una conferenza stampa congiunta col ministro delle Finanze Yair Lapid, spiegando poi come la tv sarà rimpiazzata da un nuovo ente pubblico: "più competitivo, con migliore programmazione, meno dipendenti, senza interferenze politiche e senza canone". Una decisione, che ovviamente non ha mancato di sollevare polemiche, anche all'interno dei sindacati israeliani e anche sulla stampa, oltreché nella stessa EBU
  La preoccupazione dell'EBU è che Israele non rimanga un solo giorno senza servizio pubblico, per questo non ha mancato di esprimere la propria contrarietà al fatto che si sia annunciata la chiusura dell'emittente senza che siano ancora stati raggiunti accordi politici circa la nuova struttura, comprese governante, finanziamenti e mandato. "E 'profondamente deplorevole che lo Stato abbia dovuto prendere tali misure drastiche", ha detto Ingrid Deltenre, direttore generale dell'EBU. "Dovremo guardare con attenzione come la situazione si svilupperà in Israele, al fine di garantire che venga onorato l'impegno del servizio pubblico".
  La Deltenre ha inoltre spiegato come i governi siano spesso irrealistici in sede di attuazione delle riforme del settore audiovisivo e che queste debbano tenere sempre conto di condizioni essenziali per i media di servizio pubblico quali una governance efficiente e trasparente; un mandato chiaro, ampio e dinamico; un finanziamento sostenibile a lungo termine e l'indipendenza garantita attraverso leggi che proteggano da interferenze del governo, sottolineando come la "rottamazione del canone sia un passo nella direzione sbagliata" perché far dipendere l'emittente interamente dai soldi del bilancio statale la renderà ancora più vulnerabile alle interferenze dei partiti.
  Il Governo israeliano ha indicato in 10 mesi il tempo per l'avvio della fase di transizione, ma Deltenre ha sottolineato come questa previsione sia del tutto insufficiente anche solo per trasferire la vecchia struttura di trasmissione in quella nuova, come insegna l'esempio delle Grecia. Ciò anche in presenza di nuove leggi sui media redatte da esperti che ne garantiscano l'indipendenza, di cui peraltro Israele è attualmente privo: sarà necessario, secondo l'EBU che Governo e Parlamento concordino prima di partire futuri finanziamenti e competenze, così che il pubblico resti sempre soddisfatto del servizio.
  "E' estremamente ambizioso per realizzare tutto questo entro i prossimi 10 mesi - ha detto Deltenre- E un calendario realistico è importante per soddisfare le aspettative di tutti gli stakeholder (cioè tutti i soggetti interessati al servizio, a qualunque titolo ndr). Qualunque ritardo, imprevisti e controversie si possono mettere in cantiere, la linea di fondo è che gli israeliani non devono restare un solo giorno senza servizio pubblico". In tutto questo, come è evidente, la partecipazione al prossimo ESC è l'ultimo dei pensieri. Resta da capire se l'EBU interverrà come fatto per la Grecia, di fatto agevolando la partecipazione anche di una eventuale tv provvisoria, ammesso che ovviamente riesca a partire in tempo.

(Euromusica, 25 giugno 2014)


Scoppia un razzo lanciato da Gaza: muore una bimba palestinese

Nell'esplosione ferite altre tre persone

Una bambina palestinese è morta e altre tre persone sono rimaste gravemente ferite nell'esplosione di un razzo nel nord della Striscia di Gaza. Lo indicano fonti mediche palestinesi, spiegando che si sarebbe trattato di un razzo lanciato verso Israele e accidentalmente ricaduto sulla Striscia. La bimba, soccorsa in gravissime condizioni, è morta alcune ore dopo l'incidente.

(TGCOM24, 25 giugno 2014)


L'artista israeliana Rutu Modan protagonista di una mostra a Lucca Comics and Games 2014

Rutu Modan
Video
LUCCA - Lucca Comics and Games 2014 ospiterà una grande mostra dedicata a Rutu Modan, autrice israeliana di graphic novel di fama internazionale. Nelle scorse settimane, infatti, un'equipe, guidata dal responsabile dell'area Comics Giovanni Russo e dal responsabile di produzione Luca Bitonte, si è recata in Israele per girare un documentario sull'artista e, da questa produzione, è nato lo spunto per la mostra.
"Il documentario - spiega Giovanni Russo - fa parte di un progetto di ampio respiro incentrato su questa importante autrice, che sarà presentato alla prossima edizione del Festival che si svolgerà dal 30 ottobre al 2 novembre".
Rutu Modan, si unisce quindi alla schiera di artisti internazionali che hanno scelto il Festival per mostrare le proprie opere a riprova di un livello ormai mondiale raggiunto dalla manifestazione.
Nata a Tel Hamshomer in Israele nel 1966, si è imposta sin dal suo esordio nel mondo del fumetto con Unknown,miglior fumetto dell'anno per Entertainment Weekly, ed incluso tra i Best of di Time, The Washington Post, Publisher Weekly, New York Magazine. Nel 2001 ha vinto l'Andersen Award for illustration e nel 2013 il Gran Guinigi di Lucca Comics come miglior autore unico. L'ultima pubblicazione di Rutu Modan -La Proprietà' è stata pubblicata nel luglio 2013 per i tipi della Rizzoli Lizard.
"Sono molto soddisfatto del lavoro svolto dai nostri collaboratori in Israele - ha commentato il direttore di Lucca Comics and Games Renato Genovese -; la mostra di Rutu Modan costituirà uno dei momenti più significativi dell'area espositiva di Lucca Comics & Games 2014. In occasione della conferenza stampa di presentazione della manifestazione, che si terrà ai primi di luglio, entreremo nei dettagli dell'iniziativa".

(loSchermo.it, 24 giugno 2014)



Grasso incontra uno dei tre ragazzi israeliani rapiti [sic!]

ROMA, 24 giu 2014 - ''Naftali, Gilad e Eyal sono tre ragazzi. Sono stati rapiti mentre tornavano a casa per il fine settimana e da giorni non si sa nulla delle loro condizioni. Sono qui in visita ufficiale e ho voluto incontrare la famiglia di Eyal per portare loro la vicinanza mia e del nostro Paese''. E' quanto si legge sulla pagina Facebook del presidente del Senato, Pietro Grasso, in visita ufficiale in Israele e Palestina. ''Questo terribile episodio puo' rappresentare un ostacolo alla pace - continua Grasso -. La tensione di queste settimane rischia di condurre ad una escalation e compromettere l'unica strada percorribile: quella del dialogo e della responsabilita'. Non possiamo perseguire l'obiettivo della pace in medio oriente fin quando non prevarranno la ragione, il rispetto per la vita e i diritti di tutti''. ''Mi auguro con tutto il cuore - conclude - che questi ragazzi possano essere restituiti presto alle loro famiglie, e ho invitato le autorita' che li stanno cercando alla moderazione per non innescare la spirale della violenza. Il nostro comune dovere e' tutelare la vita di tutte le persone innocenti, bambini, ragazzi, donne e uomini che vogliono solo vivere con serenita' le loro vite in Israele e in Palestina. Dobbiamo fare in modo che questa vicenda dolorosa serva ad avvicinare tutte le persone che hanno a cuore il futuro dei propri figli e la pace''.

(ASCA, 24 giugno 2014)


Netanyahu: Abu Mazen rompa con Hamas

Leader di Hamas ha lodato il rapimento dei ragazzi

Benyamin Netanyahu torna ad invocare la fine dell'alleanza fra il presidente dell'Anp Abu Mazen e Hamas. "Abbiamo appena sentito - ha detto il premier israeliano - che il leader di Hamas difende e loda il rapimento di tre giovani israeliani innocenti". Visto che Abu Mazen è di parere opposto, Netanyahu si aspetta che egli ora dissolva il governo palestinese di consenso nazionale. "Non ci può essere infatti alleanza coi rapitori di ragazzi", ha concluso.

(ANSA, 24 giugno 2014)


Haïm Korsia nuovo Gran rabbino di Francia

 
Haïm Korsia
PARIGI, 23. Cinquantuno anni, lionese, sefardita, cappellano generale militare israelita, uomo molto apprezzato negli ambienti culturali francesi, aperto al dialogo con la società, le istituzioni e con le altre religioni: più di quattordici mesi dopo le clamorose dimissioni di Gilles Bernheim, la comunità ebraica di Francia, la più numerosa d'Europa, ha il suo nuovo gran rabbino. E Haim Korsia, eletto domenica a Parigi dall'assemblea generale del Concistoro centrale, composta da rabbini e soprattutto da laici rappresentanti le varie realtà locali e regionali. Per 131 voti contro 97 l'ha spuntata su Olivier Kaufmann, direttore della Scuola rabbinica e fino a ieri gran rabbino di Francia ad interim assieme a Michel Gugenheim, gran rabbino di Parigi.
   Korsia, già rabbino di Reims, eletto per sette anni, dovrà dare nuovo slancio al Concistoro centrale creato da Napoleone nel 1808, unire il più possibile le varie correnti dell' ebraismo - i massorti e i liberali a esempio rimproverano al Concistoro di essersi ripiegato su un' osservanza troppo stretta dell'halakhah, il corpo delle leggi ebraiche - ma soprattutto ridare credibilità a una figura, quella del gran rabbino di Francia appunto, travolta dagli scandali, dopo le dimissioni di Bernheim (accusato di plagio in un suo libro e di usurpazione di un titolo universitario) e dopo che Gugenheim, uno dei due rabbini chiamati a sostituirlo, si sarebbe reso responsabile di un episodio di corruzione nell'ambito di una causa di separazione coniugale. Haïm Korsia, sposato e padre di tre figli, era considerato il rabbino ortodosso più moderno fra i vari candidati alI incarico. Con lui, all'interno della comunità, potrebbero per esempio trovare più spazio le donne. «Il futuro dell' ebraismo in Francia - ha dichiarato dopo la nomina - passa attraverso l'apertura e la coniugazione di tutte le tendenze, di tutte le energie. L'apertura è la base stessa della vita di una sinagoga. Non si possono chiudere le porte, bisogna aprirle», sottolineando l'importanza di «ripristinare la fiducia» reciproca fra ebrei e società. Korsia condividerà il potere con un laico, Jod Mergui, presidente del Concistoro centrale.

(L'Osservatore Romano, 24 giugno 2014)


Le chiese protestanti contro Israele. Ecco "l'Intifada del paradiso"

Dai metodisti agli episcopaliani, i cristiani ricchi e liberal d'America si schierano contro Gerusalemme

di Giulio Meotti

ROMA - Molti presidenti degli Stati Uniti (da Woodrow Wilson in su) sono stati membri della chiesa presbiteriana, una delle più blasonate confessioni protestanti d'America. E poi giudici della Corte suprema, segretari di stato (Condoleezza Rice è figlia di un reverendo presbiteriano), membri del Congresso: i presbiteriani sono una delle grandi potenze d'America. Certamente in declino di fedeli, ma con ancora un carisma politico ed economico di peso. Sono le chiese "mainline" di cui fanno parte poi i Rockefeller, i Vanderbilt e i Carnegie, le grandi aristocrazie capitalistiche. Per questo ha fatto scandalo il voto, 310 a 303, a Detroit con cui la chiesa presbiteriana ha deciso di boicottare lo stato d'Israele. Cristiani contro Israele. Ce n'è abbastanza. Come dice Yitzchok Adlerstein, il direttore degli Affari interreligiosi presso il Simon Wiesenthal Center, "queste chiese hanno molti membri nel Congresso, rappresentano il cuore dell'America e hanno adottato una serie di risoluzioni ostili a Israele".
   Basta investimenti in compagnie come la Caterpillar, la Hewlett-Packard e la Motorola, accusate dalla chiesa presbiteriana di essere "complici dell'occupazione d'Israele". Il valore di questo pacchetto azionario detenuto dalla chiesa americana vale ventuno milioni di dollari. Con il voto anti israeliano di questa settimana, tutte le cinque grandi denominazioni protestanti d'America - metodisti, presbiteriani, episcopaliani, luterani e United Church of Christ - hanno adottato forme più o meno dirette di boicottaggio economico nei confronti dello stato ebraico. Come disse negli anni Settanta Willem van der Hoeven, "è una Intifada dal paradiso". Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha risposto così al boicottaggio: "Organizziamo un tour in autobus per i presbiteriani nella regione, Siria, Libano, Iraq ... Che vengano poi in Israele a vedere come si salvaguardano i diritti delle minoranze". E' fallito il tentativo di alcuni presbiteriani guidati da Gus Niebuhr, nipote del famoso teologo Reinhold Niebuhr, di moderare la risoluzione contro lo stato ebraico.
   E' il voto anti israeliano più drammatico mai approvato da una chiesa protestante. Queste denominazioni fanno parte del Consiglio mondiale delle chiese (World Council of Churches), fondato nel 1948, con sede a Ginevra e che rappresenta 590 milioni di cristiani soprattutto protestanti, sempre più ostile a Israele, in modo particolare durante i conflitti. La scorsa settimana, la United Methodist Church, il più importante gruppo mainline protestante d'America, aveva dichiarato di vendere azioni dell'azienda di sicurezza G4S, che rifornisce di tecnologia l'apparato militare e civile d'Israele. Della denominazione metodista, per dirne alcuni, fanno parte Hillary Clinton e John McCain e ha un valore azionario di venti miliardi di dollari. "L'investimento della chiesa metodista nell'azienda G4S riguarda soltanto 110 mila dollari del valore di partecipazioni azionarie", ha detto David Wildman, direttore per i diritti umani e la giustizia della chiesa metodista. "Ma l'azione è destinata ad avere un impatto simbolico maggiore".
   E, come riporta il Financial Times, un effetto il boicottaggio lo ha subito ottenuto. Per evitare ricadute economiche, la G4S interromperà i rapporti commerciali con Israele, a cui riforniva finora gli apparati di sicurezza per i checkpoint in Cisgiordania e per la prigione di massima sicurezza di Ofer, dove si trovano molti terroristi palestinesi.
   Le relazioni fra Israele e i protestanti presbiteriani erano diventate drammatiche dopo la pubblicazione, da parte dell'Israel-Palestine Mission Network della chiesa presbiteriana, di uno studio intitolato "Zionism unsettled", in cui si demolivano i fondamenti stessi di Israele. In un saggio pubblicato dal Journal of Ecumenical Studies, Adam Gregerman ha scritto che queste chiese "perpetuano le immagini degli ebrei come malevoli, antisociali, ostili ai non ebrei". Infatti la rivista dei presbiteriani, Church and Society, ha pubblicato un saggio del teologo Robert Hamerton-Kelly in cui si definisce il giudaismo come "una religione primitiva e sanguinaria". Uno dei più noti studiosi della Bibbia, Walter Brueggemann, che insegna al Columbia Theological Seminary affiliato alla chiesa presbiteriana, si è invece chiesto se la nozione di "popolo eletto" degli ebrei non porti alla "violenza".
   La deriva antisionista riguarda anche altre denominazioni. Nel 2012 la Friends Fiduciary Corp., che gestisce i beni dei quaccheri, avevano venduto gli asset in tre compagnie che avevano legami con l'esercito israeliano. Nel 2013 il Mennonite Central Committee aveva poi votato per il boicottaggio anti israeliano. Un anno fa la celebre Dumbarton United Methodist Chureh di Washington, dove andava a pregare il presidente Abramo Lincoln, aveva promosso il boicottaggio contro Israele. Poi era stata la volta della Evangelical Lutheran Church in America, che ha approvato la politica "Peace, not walls", per evitare di investire in aziende legate alla sicurezza di Israele. Poi ci sono gli episcopaliani, con due milioni di fedeli, settemila chiese e la comunione con la Church of England. Questa ha abbracciato "l'investimento positivo" anziché il boicottaggio, ma la sostanza non cambia: isolamento economico di Israele. Su posizioni radicalmente anti israeliane è la United Church of Christ, la confessione d'origine del presidente Barack Obama (è la chiesa del pastore Jeremiah Wright, che accusò Israele di "terrorismo"). Lo scorso marzo, anche la United Methodist GeneraI Board of Church & Society ha votato la risoluzione numero 4011 per il boicottaggio della Sodastream, azienda israeliana leader mondiale nei prodotti di trattamento dell'acqua minerale che esiste da 107 anni ma che ha la "colpa" di dare lavoro a molti palestinesi nell'insediamento di Mishor Adumim.

- Odium fidei
  Le decisioni in America hanno eco nel resto del protestantesimo. Di recente, il Consiglio nazionale delle chiese in Australia ha approvato una risoluzione che esorta i fedeli a boicottare le merci israeliane. In nord Europa il boicottaggio d'Israele è mainstream: in Svezia, con la Church of Sweden e la Lutheran State Church; in Norvegia, con l'International Advice Council della chiesa norvegese; in Olanda, con la Protestante Kerk che ha deciso di riesaminare "la politica di solidarietà con Israele"; in Inghilterra, con la British Methodist Church. Ma soprattutto con la Church ofEngland, che ha rivisto i suoi investimenti nella Veolia, "colpevole" di lavorare alla linea ferroviaria Gerusalemme-Tel Aviv. Da Israele si accusano queste chiese di "odium fidei". Odio religioso. All'inizio dell'evo moderno, i protestanti attaccarono gli ebrei in quanto "serpens antiquus qui vocatur Diabolus et Satana". Oggi è la guerra contro il "piccolo Satana".

(Il Foglio, 24 giugno 2014)


Meshaal si congratula per il sequestro dei ragazzi israeliani

Respingendo accuse lanciategli dalla stampa israeliana, il capo dell'ufficio politico di Hamas Khaled Meshaal ha detto ad al-Jazira di non avere informazioni sui tre ragazzi ebrei rapiti due settimane fa in Cisgiordania.
Ed ha anche aggiunto: ''Se giungera' conferma che una fazione palestinese ha condotto il sequestro, occorrera' applaudire e fare tanto di cappello'' perche', ha spiegato, l'operazione renderebbe possibile la liberazione di prigionieri palestinesi.Meshaal ha poi escluso che la vicenda possa avere ripercussioni negative per il governo di unità nazionale palestinese, messo a punto all'inizio del mese. ''La nostra guerra non e' con al-Fatah - ha rilevato - bensi' con Israele''.
Pur evitando di polemizzare apertamente con il presidente palestinese Abu Mazen, Meshaal ha tuttavia criticato il coordinamento fra i servizi di sicurezza palestinesi e quelli israeliani per rintracciare i ragazzi scomparsi.
Da parte sua il ministro israeliano degli esteri Avigdor Lieberman e' tornato anche oggi, in un'intervista a radio Gerusalemme, ad attribuire a Hamas la responsabilita' del rapimento dei tre ragazzi.

(ANSAmed, 24 giugno 2014)


Portico d'Ottavia, la veglia per i ragazzi israeliani rapiti

Preghiere e solidarietà per i tre ragazzi israeliani: Nessuno sia indifferente»

di Monica Ricci Sargentini

I ragazzi e le ragazze si infilano le magliette in silenzio come per rispetto a quei tre coetanei rapiti giovedì 12 giugno nella Cisgiordania meridionale. Sopra, oltre alla loro foto, c'è una frase di Golda Meir, la prima premier di Israele: «La pace arriverà quando gli arabi ameranno più i loro bambini di quanto odino noi».
   Sui muri i manifesti con i loro volti sorridenti e la scritta «Devono essere liberati». Naftali Frenkel (16 anni), Gilad Shaar (16 anni) e Eyal Yifrach (19 anni) stavano tornando a casa dopo la scuola. Li hanno visti l'ultima volta mentre facevano l'autostop lungo l'arteria 6o che collega Gerusalemme a Hebron.
   «#Bringbackourboys» è l'hashtag lanciato dalle madri dei tre studenti perché il mondo si unisca in una grande preghiera. E qui al Portico d'Ottavia i romani hanno raccolto l'appello. Ieri sera erano in tanti, mille, forse i 500, pronti ad ascoltare il collegamento video con i familiari dei tre giovani dalla scuola rabbinica della colonia di Kfar Etzion, a sud di Betlemme, dove i tre studiavano. Ci sono adolescenti come Rebecca e Ghila, 13 anni, che dicono di essere qui «perché è come se avessero preso i loro fratelli». Gente comune ma anche rappresentanti del mondo politico come il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Mi sembra giusto essere qui - dice - accanto a una comunità che chiede la liberazione degli ostaggi e la fine di un conflitto, di tutti i conflitti».
   La veglia di ieri è stata organizzata in modo spontaneo: «Non è una decisione dei vertici comunitari ma un'iniziativa che nasce dalla voglia di ritrovarsi insieme a pregare come ci hanno chiesto le mamme dei tre giovani» racconta Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica. Per tenere alta l'attenzione sul rapimento è stato aperto un sito www.bringbackourboys.it con un appello «alla società civile italiana perché non resti indifferente di fronte a questa tragedia». Più di mille le adesioni raccolte.
   Di ieri è anche la notizia che il sindaco Marino, ha deciso di affiggere le foto dei tre rapiti in Campidoglio per esprimere la vicinanza della città alla comunità ebraica proprio come accadde per Gilad Shalit. E il presidente del Senato, Pietro Grasso, oggi sarà in Israele dove probabilmente incontrerà una delle mamme dei tre ragazzi.
   Ma il tempo dei discorsi è finito, ora è il momento di pregare. «Non vogliamo esprimere rabbia, il nostro è un messaggio di pace - dice Rafi Sassun presidente del Keren Kayemet di Roma - Non ci muoveremo di qui finché non saranno liberi».

(Corriere della Sera, 24 giugno 2014)



Nuoto, coppa Comen: Francesca Fresia pronta per la manifestazione giovanile in Israele

SAVONA - Si avvicina l'appuntamento con la Coppa COMEN per Francesca Fresia.
La giovane nuotatrice sarà protagonista nel prossimo week end (28 e 29 giugno) alla manifestazione, tra le più importante del nuoto giovanile.
A Netanya, in Israele, gareggeranno le atlete nate 2000-2001 e gli atleti nati 1998-1999.
Diciotto le selezioni nazionali sui blocchi: Albania, Andorra, Francia, Belgio, Slovenia, Turchia, Spagna, San Marino, Portogallo, Bosnia Erzegovina, Cipro, Grecia, Bulgaria, Italia, Macedonia, Serbia, Israele e Polonia.

(IVG.it, 24 giugno 2014)


Ungheria - Il passato ritorna



70 anni fa si consumava un capitolo triste della della storia d'Ungheria. Queste abitazioni di Budapest divennero le cosidette case della stella gialla. 1600 di questi antichi appartamenti esistono ancora custodi di un passato tragico: il 21 giugno 1944 circa 220 mila ebrei inclusi coloro che si erano convertiti al cristianesimo vennero tolti dalle loro case della stella gialla in cui vivevano ammassati gli uni sugli altri e trasferiti in un ghetto ancora piu' angusto per poi essere instradati verso i campi di sterminio. La metà degli ebrei di Budapest non tornarono mai piu'.
Tamàs Màrton visse nelle case della stella gialla. Adesso ha 84 anni e vive ancora nello stesso apparamento. E' straziante il ricordo della madre morta nel lager due giorni prima della liberazione.
Tamàs Màrton, sopravvissuto:
"Non volevamo dire a mia nonna che sua figlia era morta, poi nel 1946 un giorno, a cena improvvisamente fu lei a dire a mio padre: risposati, non puoi vivere con una donna morta".
70 anni dopo la tragedia l' Open Society Archives ha organizzato il progetto Case della stella gialla. Le case sono state individuate su una mappa e con 200 volontari sono state organizzate il 21 giugno di quest'anno delle semplici commemoriazioni in 160 case.

(euronews, 23 giugno 2014)


Punizione collettiva o elementari misure anti-terrorismo?

Secondo certi gruppi per i diritti umani, Israele dovrebbe cercare i ragazzi sequestrati stando attento a non causare disagi a nessuno.

Le operazioni lanciate in Cisgiordania dalle Forze di Difesa israeliane alla ricerca dei tre adolescenti Eyal Yifrach, Gilad Shaar e Naftali Frankel rapiti da Hamas lo scorso 13 giugno, che comportano irruzioni e perquisizioni, arresti, restrizioni dei movimenti e altre misure (e che sfociano in scontri con gruppi di palestinesi quando questi cercano di impedirle o ostacolarle con la violenza), si possono a buon diritto definire "punizione collettiva", come fanno l'Autorità Palestinese e diverse organizzazioni per i diritti umani sia internazionali, come Amnesty International, che israeliane, come B'Tselem?
Secondo l'articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra, nessun civile "può essere punito per un reato che lui o lei non abbia personalmente commesso". Di qui il divieto delle cosiddette "punizioni collettive"....

(israele.net, 24 giugno 2014)


Israele non vuole l'escalation con la Siria

Israele non ha nessun interesse "ad una escalation della situazione nel nord. Gli sforzi militari sono concentrati in Cisgiordania". E' quanto ha dichiarato una fonte militare israeliana, citata dal sito Ynetnews.
Il messaggio diretto al regime siriano appare dunque molto chiaro. Israele ha reagito al lancio di un missile che ha ucciso un tredicenne sulle Alture del Golan e il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha minacciato di reagire duramente ad altre violezioni della sovranità israeliana. Ma allo stesso tempo si vuole far capire a Damasco che se non vi saranno altri attacchi, Israele non intende proseguire con l'escalation nè farsi coinvolgere nel conflitto in Siria. Tanto più che gli sforzi sono ora concentrati nel ritrovare i tre ragazzi israeliani rapiti in Cisgiordania.

(Adnkronos, 23 giugno 2014)


I "campi estivi" di Hamas per educare alla guerra

Più che uno svago per minori sembra di assistere ad una versione povera e islamica dell'inquadramento militare che si realizza nei regimi totalitari.

di Paolo Martone

 
Educazione alla guerra. E' quello che offre Hamas in Palestina, organizzando inquietanti "campi estivi" per bambini.
Di ludico, in questi campi, c'è ben poco. Più che uno svago per minori sembra di assistere ad una versione povera e islamica dell'inquadramento militare che si realizza nei regimi totalitari.
A Gaza le scuole sono chiuse per le vacanze e il governo della Striscia, saldamente in mano agli estremisti, si prodiga per "tenere impegnati" i più piccoli. Dagli otto anni in su possono partecipare. Ovviamente solo se maschietti.
I "giochi" sono tanti e tutti molto impegnativi: si va dal salto nel cerchio infuocato al passaggio sotto il filo spinato, dal tiro a segno con armi vere alle marce forzate. Tutte cose da insegnare ai bambini dagli otto anni in su. Ai piccoli vengono anche fornite uniformi e lezioni di religione.
Si "gioca", ma sarebbe corretto dire ci si addestra, tre ore al giorno per sette giorni alla settimana. A fare da istruttori ci pensano i membri delle brigate Ezzedin Al Qassam, considerate un'organizzazione terroristica da Unione Europea e Stati Uniti, così come la stessa Hamas. Il premier della Striscia, il leader di Hamas Ismail Haniyeh, conta di avere 100 mila bambini iscritti ai campi. L'iniziativa, secondo Haniyeh, è "pensata per insegnare i valori e la forza morale insiti nello spirito della jihad".
Jihad, guerra santa. Facile immaginare contro chi. Ma che la guerra la facciano gli adulti, purtroppo, ce lo si può aspettare. Che si educhi a questo i bambini fa molta tristezza. Gli organizzatori sono orgogliosi della loro iniziativa e hanno invitato ad assistere ai "giochi" giornalisti di tutto il mondo. Una evidente dimostrazione di forza. Hamas a Gaza detta legge, si sente sicura, e vuole mostrare a tutti che può inquadrare nelle sue milizie anche dei bambini.
L'organizzazione è da poco rientrata nel governo dell'intera Palestina, andando a formare un esecutivo di unità nazionale con i moderati di Fatah del presidente Abu Mazen. Israele non ha mancato di manifestare la sua ira per questa alleanza, molto rischiosa per il processo di pace.

(il Giornale, 23 giugno 2014)


Eyal, Gilad, Naftali. I loro nomi per dire: La pace si fa con i fatti

Eyal, Gilad, Naftali. Grida i nomi dei tre adolescenti israeliani rapiti dai terroristi palestinesi il titolo di testa che apre il nuovo numero del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche in distribuzione nei prossimi giorni. L'immagine scelta dalla redazione per simboleggiare queste drammatiche giornate di tensione, ma anche la speranza della loro immediata liberazione, è quella delle tre madri dei ragazzi abbracciate.
   "È una stagione - si legge nel testo d'apertura - quantomai difficile e delicata, ma soprattutto crudele, per la negazione di ogni speranza e di ogni prospettiva di confronto, per la mancanza di rispetto di ogni elementare regola del vivere civile, per l'attacco a freddo a giovani civili, indifesi e disarmati. Una stagione dura per il brusco risveglio dal breve conforto di spiritualità e di comprensione conquistato nel corso della preghiera comune che si era svolta in Vaticano solo pochi giorni prima. Certo, le parole di pace e le dichiarazioni di buone intenzioni non sono mancate. Ma mai come oggi la realtà ci costringe a ricordare che la pace da un punto di vista ebraico non è uno slogan, non è una parola, non è una formale dichiarazione di intenti. È un fatto. È un'azione tangibile e chiara. La pace non è la semplice, empirica constatazione di una temporanea assenza di conflitti, è la concreta volontà di superare i conflitti, di rigettare la violenza e la prevaricazione. A chi ha pronunciato, ieri, sincere parole di pace, si presenta oggi una sfida difficile e si offre un'occasione nuova. Passare dai gesti simbolici ai fatti, compiere ogni sforzo perché la pace diventi realtà e non sia solo vana speranza".
   All'interno, fra le numerose opinioni, anche quella del politologo e demografo Sergio Della Pergola, che sferra un duro attacco alle ambiguità della politica italiana nei confronti del rapporto con il mondo ebraico e con Israele. "Con il rapimento nella zona di Gush Eziòn di tre giovani studenti, pedoni, civili e disarmati - afferma fra l'altro l'illustre studioso puntando il dito sulla pochezza della retorica politica italiana e prendendo spunto da alcune dichiarazioni del sindaco di Napoli Luigi De Magistris - si è creata una nuova opportunità per capire la vera natura" del mondo politico italiano. "Se De Magistris, per esempio, vuole compiere il suo dovere di democratico, e in particolare di primo cittadino di un grande centro della civiltà mediterranea, ci aspettiamo da lui una chiara, inequivocabile e incondizionata dichiarazione di condanna nei confronti dei rapitori dei tre ragazzi israeliani e dell'ideologia fondamentalista che sta a monte di questo gesto di criminalità politica. Chi ha detto che bisogna liberare tutti i prigionieri politici, nomini esplicitamente i nomi dei tre ragazzi. Magari offra alle loro famiglie la cittadinanza onoraria di Napoli. Se invece non fosse in grado o non volesse esprimere una tale presa di posizione, in primo luogo dimostrerebbe di avere un rapporto falso e anche antitetico rispetto alla piattaforma di democrazia, legalità e uguaglianza sulla quale è stato eletto. E, peggio, dimostrerebbe definitivamente di non essere un uomo di giustizia, ma un silenzioso fiancheggiatore degli atti di terrorismo".

(moked, 23 giugno 2014)


I Radicali aderiscono e partecipano alla veglia di solidarietà con i tre ragazzi ebrei rapiti.

Il Comune di Roma esponga, come in altre occasioni, i loro ritratti. Un invito ai consiglieri comunali e regionali e ai parlamentari iscritti al Partito Radicale e/o a Radicali Italiani

Dichiarazione congiunta di Marco Pannella (Partito Radicale), Valter Vecellio, (Direzione nazionale di Radicali italiani), Rita Bernardini (Segretaria di Radicali italiani).

"Una decina di giorni fa tre studenti di una scuola rabbinica d'Israele, Eyal Yifrah di 19 anni, Naftau Yaakov Frenkel e Gil-Ad Shayer, entrambi di 16 anni, venivano rapiti mentre facevano l'autostop vicino all'insediamento di Gush Etzion, presumibilmente da terroristi di Hamas. Quale che sia il giudizio che si da' della politica del governo e dello Stato d'Israele, e sulla situazione in Medio Oriente, è certo che quei tre ragazzi non sono colpevoli di nulla. Il loro rapimento e detenzione, è qualcosa di intollerabile e odioso, che va condannato con forza; alle famiglie dei tre ragazzi va espressa, anche visivamente, la più incondizionata e totale solidarietà e vicinanza". E' quanto dichiarano Marco Pannella, Presidente del Senato del Partito Radicale, Valter Vecellio, della Direzione nazionale di Radicali italiani e Rita Bernardini, Segretaria nazionale di Radicali italiani.
Aderiamo e partecipiamo alla veglia di solidarietà promossa dalla comunità ebraica romana, veglia che si terrà stasera, a partire dalle ore 20.15, al Portico d'Ottavia.
Chiediamo al comune di Roma e al suo sindaco Ignazio Marino di esporre i ritratti dei tre ragazzi rapiti, come già fatto in altre simili occasioni.
Chiediamo ai consiglieri comunali e regionali e ai parlamentari iscritti al Partito Radicale e/o a Radicali italiani di predisporre e presentare atti da sottoporre all'attenzione dei rispettivi organismi istituzionali e a farli votare.
Chiediamo ai direttori dei mezzi di comunicazione, e in particolare ai direttori dei telegiornali di non dimenticare questa vicenda e di ricordare all'opinione pubblica che tre ragazzi sono stati rapiti, colpevoli solo di solo di essere ebrei".

-------------------------
L'appuntamento è in via del Portico d'Ottavia dove dalle 20.15 si raduneranno le persone e indosseranno delle t-shirt con il volto dei tre giovani rapiti.
Alle ore 20.45 ci saranno gli interventi dei rappresentanti del:
- Ambasciata d'Israele in Italia
- Keren Kayemeth LeIsrael
- Keren Hayesod
- Presidente Comunità Ebraica di Roma
Al termine ci sarà un collegamento video con i familiari dei ragazzi rapiti, che avverrà grazie a un proiettore posto nell'area pedonale di via del Portico d'Ottavia (probabilmente un collegamento sarà solo telefonico e non video, con l'audio che sarà diffuso nella piazza).
Finito il collegamento, la piazza si sposterà all'interno del Tempio Maggiore dove il Rabbino Capo, Riccardo Di Segni, condurrà una preghiera speciale.

(Radicali Italiani, 23 giugno 2014)


Budapest ricorda le "case con la stella gialla"

Cerimonie e sito per mappare luoghi del "ghetto diffuso" del '44

di Stefano Giantin

 
TRIESTE - Più di duemila ''case con la stella gialla'' in tutta Budapest, più di duecentomila ebrei ungheresi, inclusi quelli convertiti, costretti a traslocarvi negli ultimi giorni della reggenza di Miklos Horthy dopo che le autorità avevano evacuato i residenti. Una sorta di enorme ''ghetto diffuso'', pensato come tappa prima della deportazione nei campi di sterminio nazisti. Accadeva esattamente 70 anni fa nel cuore dell'Europa martoriata dalla guerra mondiale.
  Giornate di terrore e brutalità, in gran parte rimosse dalla memoria collettiva in Ungheria, che saranno ricordate oggi grazie all'impegno degli Open Society Archives (Osa) della Central European University. Osa che, nei mesi scorsi, ha lanciato un programma di ricerca e sensibilizzazione sulle ''case con la stella gialla'', sostenuto da volontari e storici.
  Il risultato più importante, la mappatura via web (http://www.yellowstarhouses.org/) di tutti gli edifici e condomini marchiati dalla Stella di David settant'anni or sono. Sulla carta geografica di Budapest, si possono così visualizzare gli edifici del ghetto diffuso sopravvissuti fino ai giorni nostri, la maggior parte, e il luogo dove sorgevano quelli distrutti durante la guerra o successivamente demoliti. Oggi, inoltre, l'Osa - in cooperazione con i residenti di Budapest, organizzazioni culturali, teatri e istituzioni pubbliche - organizzerà dalla mattina fino alla tarda serata cerimonie di commemorazione nelle 1.600 case rimaste ancora oggi in piedi e verranno apposte targhe in memoria di quei giorni, un modo per ''ricordare con dignità e onore il settantesimo anniversario'' di quei tristissimi eventi, ''un capitolo negletto del nostro passato'', ricorda il sito ufficiale dell'iniziativa. Iniziativa che ha permesso e consentirà in futuro di raccogliere anche le storie e le testimonianze dei discendenti degli ebrei che furono costretti a vivere nelle case con la Stella gialla e dei sopravvissuti.
  L'Osa ricorda che la decisione di espellere gli ebrei di Budapest dalle loro abitazioni e la loro deportazione negli edifici del ''ghetto diffuso'' entro il 21 giugno 1944 fu presa dopo che era stato raggiunto l'obiettivo della traduzione verso i campi di sterminio di circa 300mila ebrei magiari che vivevano fuori dalla capitale e nelle campagne. ''A causa degli eventi'' bellici e internazionali, si legge nell'introduzione al progetto dell'Osa, a una parte significativa degli ebrei di Budapest venne tuttavia ''risparmiato il tragico destino toccato'' a quelli delle campagne e delle città più piccole. Con l'eccezione delle ''decine di migliaia di vittime delle marce della morte, di quelli uccisi sulle rive del Danubio e di quelli che morirono durante l'assedio di Budapest, gli ebrei'' della capitale ''che si nascosero in città o che finirono'' nei ghetti successivamente creati ''nel dicembre 1944'' ebbero chance maggiori di sopravvivere all'Olocausto''. Secondo gli storici, meno della metà degli ebrei di Budapest erano ancora in vita alla fine del Secondo conflitto mondiale.
  In tutto, dati dello Yad Vashem, 568mila ebrei ungheresi perirono durante la Shoah. Secondo i dati dello United States Holocaust Memorial Museum (Ushmm), dei quasi 825mila ebrei residenti in Ungheria nel 1941, circa 63mila morirono o furono uccisi prima dell'occupazione tedesca del marzo 1944. Sotto il suo giogo, 500mila morirono per maltrattamenti o furono assassinati, mentre 255mila, un terzo di quelli che popolavano l'Ungheria ''allargata'' nel marzo 1944, sopravvissero.

(ANSA, 23 giugno 2014)


Oltremare - Misto israeliano
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”
“London Ministor”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Bisognerebbe avere sempre sotto gli occhi una cartina, possibilmente aggiornata, di Israele, Libano, Siria, Giordania, Egitto. Anche senza andare fino a Turchia, Iraq e Iran, si capirebbe molto di quello che succede qui da noi.
Le distanze sono quello che sono, e nessuno si stupisce più se mentre in Siria ancora ci si ammazza in una guerra civile, da mesi passano in territorio israeliano feriti gravi che non avrebbero nessuna possibilità di cavarsela dall'altra parte del confine. Ma capita anche il contrario: capita che in Golan un ragazzino convinca il padre a portarlo con sé al lavoro nel primo giorno delle vacanze estive, e che il camion su cui viaggiano venga centrato in pieno da un missile sparato dal lato siriano del confine, vicinissimo alla strada. E capita che il tredicenne muoia quasi sul colpo. E che la famiglia sia di arabi israeliani.
Ci si dimentica facilmente, nel turbinio delle notizie e delle tensioni, che questo paese è un paese misto. In questi confini strozzati che tolgono il fiato, ci siamo tutti dentro: israeliani, palestinesi, arabi israeliani, ma anche drusi, circassi, beduini, senza contare le cento nazionalità di partenza dei nuovi immigrati. E in periodi di brutte notizie, con ragazzini che vengono rapiti per il fatto di essere ebrei e di studiare in una zona discussa, e ragazzini che finiscono in mezzo ad uno scenario da guerra, senza che ci sia affatto una guerra in corso, forse fa bene ricordarsi che in Israele ogni ufficio pubblico, ospedale, scuola è un luogo di incontro fra minoranze e maggioranze, e di identità più o meno identificabili al primo sguardo.
L'impiegata alla posta porta il velo, il tassista ha un accento rivelatore, la cassiera del supermercato tiene gli occhi bassi perchè non vuole grane, i suoi fratelli vivono a Hebron. E mantenere in tutto questo un comportamento civile se non perfino amichevole con tutti, come se la pace ci fosse già, è un esercizio quotidiano di controllo dei nervi e insieme di immensa ed imbattibile normalità. È la vera goccia che scava la pietra.

(moked, 23 giugno 2014)


InnovAction Lab 2014, gran finale a Roma: 10 startup, 100 investitori

Un ticket per Tel Aviv

Dopo la finale regionale di Milano del 16 giugno, la squadra delle 10 startup di InnovAction Lab 2014 è pronta a darsi battaglia durante la finalissima all'Auditorium Conciliazione di Roma, in programma dalle 14.30. In palio, un biglietto per il Google Campus di Tel Aviv per due settimane di super accelerazione e per il secondo e terzo posto la possibilità di pitchare a New York di fronte ad una platea di venture capital. QUI il programma della giornata.
  Parte a Talent Garden Pisa il nuovo acceleratore legale dello studio legale internazionale Osborne Clarke per supportare le startup e le early stage companies del settore Digital, IT & Health nei loro programmi di avvio dell'attività e dello sviluppo. Le due sessioni di lavoro si terranno a Pisa, in via Umberto Forti, pressoTalent Garden Pisa, oggi e il 27 giugno dalle 11 alle 17. Per partecipare inviare una mail a pisa@talentgarden.it.
  Come ogni lunedì, alle 19, Working Capital Accelerator Catania in via Novara 59 si apre al territorio con l'Appuntamento delle Idee, un momento di incontro e confronto con chiunque abbia un'idea di impresa e voglia realizzarla, organizzato dall'associazione Youthub Catania. Si parlerà di nuove opportunità per startup: contest, accelerazioni e percorsi di formazione sono fondamentali per aiutare le imprese innovative e giovani a spiccare il volo.
  I primi ospiti, che si collegheranno in skype call da Torino, saranno i referenti dell'incubatore universitario d'impresa I3P. Uno dei maggiori a livello europeo, favorisce la nascita di nuove imprese science-based con validata potenzialità di crescita, fondate sia da ricercatori universitari sia da imprenditori esterni, fornendo loro spazi attrezzati, servizi di consulenza e professionali per avviare la propria attività imprenditoriale e un network di imprenditori, manager e investitori. Fondato nel 1999 l'I3P ha avviato più di 160 startup e nel 2013 ha lanciato Treatabit, percorso di incubazione dedicato ai progetti digitali rivolti al mercato consumer. Con loro parleremo di come le startup siciliane possono accedere ai percorsi di incubazione imprenditoriale.
  Altri ospiti sono i referenti del CAPITT, ente universitario che nell'ultimo anno ha lavorato per supportare progetti innovativi nella trasformarsi in startup. Dopo il termine della Startup Academy, contest per startup dell'Ateneo di Catania, che ha visto la vittoria di Uniflat, progetto della nostra community, una nuova opportunità è all'orizzonte: Start Cup Catania 2014, business plan competition per la selezione di idee imprenditoriali innovative e originali. In palio due premi in denaro, rispettivamente di 8.000 e 4.000 euro. Il primo team classificato parteciperà inoltre sia alla Start Cup Sicilia 2014, sia al "Premio Nazionale per l'Innovazione-PNI 2014".
  Si parlerà anche del programma di accelerazione Start Lab di UniCredit, che scadrà il 30 giugno. Il progetto si rivolge alle startup innovative di tutti i settori con un programma di accelerazione specifico per le startup con focus sul settore Financial Technologies, che si articola in numerose azioni per dare forza alle idee imprenditoriali, tra le quali l'assegnazione di un premio in denaro, attività di mentoring, di sviluppo del network, formazione mirata e servizi bancari ad hoctrad. www.ilvangelo-israele.it
(Startup Italia, 23 giugno 2014)


Finestra sul confine - Samar

di Edna Angelica Calò Livne

 
Edna Angelica Calò Livne
Samar Sahar è nata a Gerusalemme est. Durante il periodo nefasto della seconda intifada, quando avevamo tre attentati al giorno, perpetrati dai terroristi palestinesi, mi chiesero di andare a intervistarla. Ci incontrammo dopo alcune perplessità a casa di sua madre, io andai "scortata" da Yehuda e quasi in incognito ma dopo pochi minuti di conversazione capimmo che era come se ci fossimo conosciute da sempre: due educatrici, due madri, io dei miei quattro figli, lei dei suoi 120 ragazzi orfani di Betania e delle 40 ragazze di Lazarus Home for girls, lei cristiana, io ebrea. La nostra amicizia dette vita a una serie di progetti straordinari in piena guerra: la giornata del pane della pace, dove donne israeliane e palestinesi cuociono i pani tradizionali e li condividono, conferenze in giro per il mondo, premi e riconoscimenti. Tutto questo fino a che il quadro politico di Betania è cambiato. Hamas ha espulso Samar, dopo 35 anni di lavoro e dedizione, cancellando il suo passato e prendendo potere su tutto ciò che aveva creato, compreso un edificio di cinque piani, dove avrebbero dovuto abitare i suoi ragazzi, costruito con i contributi di 120 chiese di tutto il mondo. Da quattro anni Samar se ne gira raminga, da un convento all'altro, i suoi ragazzi sparsi, molti in strada e a lei è proibito vederli ed incontrarli. La nostra bella storia sembrava finita. Un mese fa Brian Norsa, organizzatore del primo Festival Sublimar di letteratura interreligiosa ci chiama e ci invita: "Vorrei che raccontaste la vostra amicizia, un esempio di convivenza, di collaborazione!". Quando lo comunico a Samar la sua gioia è assolutamente incontenibile: "Angelica, inizia una nuova vita, potremo tornare a raccontare insieme l'amicizia possibile tra un'israeliana e una palestinese!". Potremo rinnovare il nostro progetto della condivisione del pane!".
Preparo una presentazione di power point e inserisco anche le foto dell'orfanotrofio affinché Samar possa raccontare la sua esperienza. Nell'auditorium della Societa' Umanitaria lei apre il nostro intervento con emozione, in mano un fagottino dal forte odore di miele: "Prima di partire sono andata al Santo Sepolcro, a Gerusalemme e ho preso queste candele speciali per accenderle qui con voi, per chiedere al Signore che faccia tornare presto a casa i tre ragazzi rapiti a Hevron. Accendo queste candele per tutte le madri di Israele. Con la speranza che non soffrano più. Che altri abbiano la fortuna di avere un'amica israeliana come è capitato a me! Se ogni israeliano e ogni palestinese avessero un amico dall'altra parte, questa sofferenza non ci esisterebbe più!".
Alla fine del nostro intervento alcuni rappresentanti della Comunita' Ebraica di Milano ci chiedono di preparare un progetto: i ragazzi di Beresheet LaShalom devono assolutamente venire con Samar e altre donne a dare un esempio di "nutrimento dell'anima" calando le maschere per cuocere e condividere insieme, serenamente challot, pite e lafot all'Expo 2015. Inshallah Samar!

(moked, 23 giugno 2014)


In nome delle vendite di petrolio, i curdi riscoprono un vecchio alleato

Bagdad si infuria, ma le sue minacce sono armi spuntate perché ha sempre boicottato Israele

Un carico di petrolio curdo che ha navigato per settimane nel Mediterraneo alla ricerca di un acquirente ha infine trovato un paese che lo importerà. Lo ha riferito un reportage della Reuters da Londra. La petroliera Altai battente bandiera liberiana è attraccata venerdì scorso ad Ashkelon (Israele) e prima di sera aveva iniziato a scaricare il milione di barili di petrolio che aveva a bordo, prodotti nelle regioni curde dell'Iraq settentrionale....

(israele.net, 23 giugno 2014)


Israele, raid aereo su obiettivi siriani. I ribelli islamisti sui confini

L'aviazione e l'artiglieria israeliane hanno colpito nove obiettivi temuti dal regime in Siria nell'area di Quneitra

di Guido Olimpio

 
WASHINGTON - L'aviazione e l'artiglieria israeliane hanno colpito nella notte nove obiettivi temuti dal regime in Siria nell'area di Quneitra. L'azione è stata decisa in ritorsione ad un attacco sulle alture del Golan costato la vita ad un ragazzo di 15 anni. Il giovane era su un veicolo insieme al padre, un operaio impegnato in lavori lungo il confine, quando è stato investito da un'esplosione. Non è chiaro se si trattato di un razzo o di un ordigno piazzato lungo la strada. L'esercito ha però accertato che la recinzione era stata manomessa. Sul Golan operano i ribelli siriani, unità filo-Assad e probabilmente nuclei di Hezbollah pro-iraniani alleati del regime. Gli analisti israeliani hanno più volte messo in guardia sui rischi che il conflitto coinvolga anche lo stato ebraico.
  In territorio iracheno, l'Isis e altri gruppi di ribelli sunniti, si sono impossessati di altre quattro località abbandonate dai governativi. Inoltre avrebbero preso il controllo di valichi sia al confine con la Giordania (Turaibil) che con la Siria (Walid). Un doppio successo peraltro non confermato da tutte le fonti. Gli osservatori però ritengono che l'Isis abbia ormai stabilito un corridoio stabile sull'asse Siria-Iraq e questo permette al movimento di spostare mezzi e rinforzi a seconda delle esigenze. Grazie all'avanzata di questi ultimi giorni i ribelli sunniti hanno il controllo su una vasta zona nella parte occidentale dell'Iraq.
  Seguita con grande attenzione anche a Washington l'evoluzione nella regione al confine con la Giordania, paese chiave ed esposto alle infiltrazioni jihadiste. E' possibile che l'Isis voglia allargare la sua presenza in un'area delicata e minacciare, in futuro, anche il regno hashemita. Amman, da tempo, ha aumentato la sorveglianza agendo in stretto contatto con gli Usa. E' stato confermato che ben prima dei successi dell'Isis, il Pentagono ha aumentato i voli di ricognizione per seguire le mosse degli insorti.
  Infine una rivelazione che conferma le difficoltà di Bagdad. Gli americani hanno inviato altri missili Hellfire in Iraq, ordigni sofisticati e costosi che vengono poi utilizzati a bordo di velivoli Cessna modificati. Sembra che gli iracheni avessero esaurito le scorte da una settimana. I velivoli hanno infatti cercato di rallentare la progressione dell'Isis, ma l'esito è stato limitato. I governativi temono ora un'assalto all'importante località di Hadita.

(Corriere della Sera, 23 giugno 2014)


Colpo di mortaio dalla Siria sul Golan: ucciso un quindicenne israeliano

GERUSALEMME, 22 giu. - E' un ragazzo israeliano di appena 15 anni la vittima da un'esplosione, probabilmente un colpo di mortaio sparato dalla Siria sulle alture del Golan, strappate a Damasco da Israele nel 1967 ed annesse nel 1981. Lo rriferisce lo Yedioth Ahronoth secondo il quale il giovane si trovava sull'auto colpita dalla deflagrazione con il padre, rimasto ferito gravemente, ed altre due persone.
Fonti delle forze di sicurezza hanno riferito che il padre della vittima - la prima israeliana da quando da oltre 3 anni e' iniziata la guerra civile in Siria - era un contractor civile che stava rinforzando la barriera che Israele sta erigendo sui rilievi. Il colpo che ha centrato l'auto e' caduto vicino a Tel Hazaka. I carri armati israeliani di stanza sul Golan hanno risposto al fuoco.
A marzo 4 soldati israeliani erano rimasti feriti dall'esplosione di un ordigno sempre sul Golan. E' la prima vittima israeliana sul Golan per un colpo partito dalla Siria, con cui tecnicamente Israele e' sempre in guerra. A marzo 4 soldati israeliani erano rimasti feriti dall'esplosione di un ordigno sempre sul Golan.

(AGI, 22 giugno 2014)


Nel rapimento c'entra Hamas: Israele ha le prove

Israele dispone di "prove inequivocabili" sul ruolo di Hamas nel rapimento di tre ragazzi ebrei avvenuto dieci giorni fa in Cisgiordania. Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu durante il Consiglio dei ministri. Riferendosi alla cautela espressa in merito dal presidente palestinese Abu Mazen, Netanyahu ha aggiunto: "Abbiamo inoltrato le informazioni in nostro possesso ad alcuni Paesi. Presto tutto sarà di dominio pubblico".

(ANSA, 22 giugno 2014)


Amos Gitai: "Israele deve trovare un senso oltre la Shoah"

Il regista e il suo prossimo film: «Tzili», dal racconto di Aharon Appelfeld

di Alain Elkann

Incontro Amos Gitai a Londra insieme alla moglie Rivka: sta per partire per Edimburgo, dove è presidente della giuria del Festival del Cinema. Il suo nuovo film «Tzili», tratto dal racconto di Aharon Appelfeld, è in post produzione.

- È stato difficile trasportare il testo di Appelfeld al cinema?
  «L'adattamento di un testo letterario per il cinema non è una faccenda così ovvia, un buon testo non ha bisogno di un film. Quindi, se si decide di farlo, occorre trovare i parametri che permettano al cinema di dialogare con la letteratura come due mezzi autonomi. Appelfeld, come in tutta la sua opera, qui indaga nella sua memoria. Scrive il testo in ebraico perché, ha spiegato, non poteva scrivere opere letterarie in tedesco, la lingua degli assassini di sua madre».

- Perché allora il film è girato in yiddish e non in ebraico?
  «L'ebraico era la lingua che rimarginava le ferite. Ma quando mi stavo accingendo a girare il film mi sono chiesto quali lingue si parlavano davvero in quella parte della Galizia orientale. Gli ebrei parlavano lo yiddish e non l'ebraico e i non ebrei parlavano le lingue locali come l'ucraino, il polacco, il rumeno, il tedesco. Girando il film mi sono appassionato allo yiddish, a questa specie in via d'estinzione dell'eredità ebraica della Diaspora».

- Lei parla yiddish?
  «Non lo parlo correntemente, ma dirigere il film mi ha riportato dei ricordi».

- Ricordi di che cosa?
  «Conversazioni dei miei genitori con i loro amici nei piccoli caffè di Haifa, la mia città natale. All'epoca la gente si vestiva all'europea, anche nell'estate israeliana. Quella lingua a me, bambino, sembrava piena di brio. E poiché il cinema è un modo di memorizzare, ho voluto riportare in auge lo yiddish».

- Con l'assenso di Appelfeld?
  «Sì, gli ho detto che volevo girare il film in yiddish e lui era curioso».

- Di che parla la storia?
  «È la storia di una giovane donna un po' ritardata che viene lasciata dalla sua famiglia a fare la guardia alla casa mentre tutti i ragazzi intelligenti scappano, ma saranno presi uno dopo l'altro e fucilati. Tzili invece si nasconde nella foresta, sul fronte. E deve procacciarsi il cibo, tutto ciò che può trovare in natura per sopravvivere».

- È una metafora del destino di Appelfeld?
  «Assolutamente sì, Tzili è un'incarnazione femminile dello stesso Appelfeld. Dopo che sua madre fu fucilata e suo padre scomparve, fu salvato da ladri e prostitute fino a che un giorno la guerra finì. E la grandezza dei libri di Appelfeld è che non strumentalizza l'Olocausto come alcuni grandi scrittori, descrive i fatti quotidiani lasciando che il lettore tragga le conclusioni. Questo è particolarmente raro in un momento in cui l'Olocausto è diventato uno strumento politico tanto importante».

- È la prima volta che fa un film sull'Olocausto?
  «In modo indiretto l'Olocausto era presente in molti dei miei film, come "Berlin-Jerusalem", "Kedma", e "Plus Tard", con Jeanne Moreau».

- L'antisemitismo in forme diverse sembra ancora molto vivo nel mondo.
  «Per essere giusto verso Appelfeld e in segno di rispetto per le vittime dell'Olocausto bisogna vedere le cose in prospettiva. Le Pen può sproloquiare finché vuole, ma il Terzo Reich non sta ancora marciando sugli Champs-Élysées. Se banalizziamo la memoria dell'Olocausto, questo perderà il suo terrificante ed eccezionale posto nella storia umana. Recentemente mia moglie Rivka ed io abbiamo lavorato agli archivi di mio padre, un architetto che si era formato nella Bauhaus di Dessau con Mies Van Der Rohe e Kandinsky. Nel settembre 1941, quando era già in Palestina da alcuni anni, un amico di un kibbutz gli chiese di fare i primi disegni di ciò che poi è diventato il memoriale Yad Vashem dell'Olocausto. È sorprendente perché l'Olocausto non era ancora di pubblico dominio né ne era nota l'enormità».

- I sopravvissuti si sentivano straniati anche in Israele?
  «Il fatto che Appelfeld, che è sopravvissuto all'Olocausto, scriva i suoi libri in ebraico significa che ha voluto contribuire al progetto di creazione di questa nuova identità: qualcosa dev'essere dimenticato per generare energia ed entusiasmo, anche per costruire qualcosa di nuovo. Queste persone hanno fatto sforzi eroici per dimenticare e non solo per ricordare, per riuscire ad andare avanti».

- Per andare avanti lei intende lo Stato di Israele. Ma purtroppo Israele è costantemente minacciato e il Medio Oriente continua a essere un bagno di sangue. Che ne pensa?
  «Gli israeliani devono trovare altri significati, l'Olocausto non può essere l'unica "ragione di esistere". Dobbiamo trovare un altro senso anche nella ferocia del Medio Oriente. Dobbiamo cercare di fare la pace e coesistere».

- La ragione però non sembra in grado di risolvere questi conflitti
  «Ecco perché dobbiamo introdurre idee. Anche le idee hanno una loro forza, non solo la cupidigia e le mitragliatrici».

(La Stampa, 22 giugno 2014)


"Israele deve trovare un senso oltre la Shoah". Chi glielo spiega, a Amos Gitai, che storicamente lo Stato d’Israele ha avuto, ed ha ancora oggi, un senso che non ha niente a che fare con la Shoah, se non come qualcosa che altri hanno cercato e voluto per impedire o cancellare il senso che Israele voleva avere di se stesso. Il romanziere Amoz Oz prima, il regista Amos Gitai adesso: esempi di israeliani capaci di produrre forse pregevoli oggetti di cultura, ma anche disastrosi oggetti di disinformazione. M.C.


Brigata Ebraica: la Fase uno e la Fase due

di Daria Gorodisky

  
La Brigata Ebraica
Piccola piccola. Ma quant'è ricca di significato la mostra La Brigata Ebraica in Italia, 19431945, riproposta a Roma dalla Casa della Memoria e della Storia (fino al 25 luglio). Nelle forze alleate della Seconda guerra mondiale, la Jewish Brigade è stata l'unica unità militare ebraica indipendente e con un proprio stemma: stella di Davide d'oro fra due strisce azzurre, in campo bianco. Un primato conquistato con grande fatica. Durante il mandato britannico in Palestina - l'area non ha mai ospitato uno Stato palestinese — la popolazione ebraica aveva proposto di prendere parte alle operazioni militari. Nel 1939 gli inglesi accettano e aprono il reclutamento anche agli abitanti arabi: 30 mila uomini e donne ebrei si arruolano volontari per combattere nazismo e fascismo e vengono associati all'8a Armata britannica, con la scritta Palestine sulla mostrina. Questo «mentre il Mufti di Gerusalemme organizza volontari arabi da mandare nei Balcani a formare divisioni di SS islamiche», ha scritto Luciano Tas, giornalista, scrittore e studioso di quel periodo storico. (Tas, morto il mese scorso, ha lasciato anche un libro per bambini proprio sulle ultime fasi della guerra: Robin Hood sbarca in Italia. Anzio, gennaio 1944, Mondadori). A quel punto il Palestine Regiment è formato, partecipa agli sbarchi alleati nel sud Italia ma non ottiene ancora il riconoscimento della propria identità giudaica. Sulla questione si apre un negoziato, testimoniato anche da un lungo scambio epistolare fra il futuro primo presidente israeliano Haim Weitzmanm e il premier britannico Winston Churchill. E nell'autunno '44 nasce ufficialmente la Jewish Brigade, che risale la Penisola combattendo e organizzando soccorsi ai sopravvissuti dei lager. Sul tema c'è, fra gli altri, il bel libro di Howard Blum La Brigata (Il Saggiatore). Ma la piccola mostra già disegna bene il tema, con manifesti, documenti, quotidiani, manuali di lingua e guide «ad uso dei soldati ebrei in Italia». E rappresenta proprio un opportunità anche per quanti, con spoglie di antifascismo, vanno in piazza il 25 aprile ad aggredire le bandiere della Jewish Brigade: una breve visita potrebbe fruttare un po' di «conoscenza». Quella invocata da Dante per essere uomini.

(Corriere della Sera, 22 giugno 2014)


Ebrea insultata dagli animalisti. E al Pantheon scoppia la rissa

«Sono stata ferita nell'attentato alla Sinagoga dell'82, mia sorella è dovuta emigrare all'estero per le discriminazioni e adesso, dopo più di 30 anni, devo ancora sentire offese contro gli ebrei». A parlare è Laura Piperno, ex commerciante di Campo de' Fiori, finita ieri pomeriggio al Fatebenefratelli dopo un corpo-a-corpo con alcuni animalisti che manifestavano al Pantheon contro i vetturini e le botticelle. Sul caso ora indaga la polizia. La donna è stata ascoltata ieri sera a sommarie informazioni al commissariato Trevi-Campo Marzio e nei prossimi giorni sporgerà denuncia.
   «Uno dei ragazzi al banchetto degli animalisti mi ha chiesto di firmare una petizione contro i vetturini perché, secondo lui, maltrattano i cavalli - racconta ancora Piperno Quando ho espresso qualche perplessità, il giovane mi ha risposto: "Ma lo sa che il 70% dei botticellari appartiene alla lobby ebraica?". A quel punto ho reagito, anch'io sono ebrea e non è possibile subire sempre questi insulti».
   Al Pantheon la tensione è salita in un attimo. «Gli animalisti mi hanno circondata, una di loro mi ha strattonato e un uomo mi ha torto il braccio dietro la schiena, ma io non ho mollato», aggiunge la donna, dimessa dall'ospedale con 20 giorni di prognosi. L'intervento di due agenti della Municipale ha placato gli animi. Solidarietà alla Piperno è arrivata dal presidente del Pd romano Tommaso Giuntella e dal capo del consiglio del XII Municipio, Alessia Salmoni. Secondo l'associazione Animalisti italiani, invece, «improvvisamente una donna ha aggredito i manifestanti con estrema violenza, strappando gli striscioni e insultando i presenti. A nulla sono serviti i tentativi di calmarla: la situazione è degenerata e una volontaria è stata presa a calci e ferita».
   Tensione anche sulla Cristoforo Colombo, all'ex Fiera di Roma, dove si è concluso il corteo dei Movimenti di lotta per la casa partito da piazzale Ostiense: i manifestanti hanno presidiato la carreggiata, scatenando le proteste degli automobilisti costretti a restare incolonnati. Alcuni sono scesi dalle macchine e sono volati insulti. Fra i temi toccati dall'iniziativa di protesta il no al Piano Casa e la solidarietà a Paolo Di Vetta e Luca Fagiano, leader dei movimenti agli arresti domiciliari. Da piazza Risorgimento a Castel Sant'Angelo hanno infine sfilato i movimenti di destra aderenti al corteo 21 Giugno «per la casa, il lavoro e l'amnistia».

(Corriere della Sera, 22 giugno 2014)


I presbiteriani Usa boicottano Israele

di Guido Olimpio

WASHINGTON — Le organizzazioni ebraiche americane le hanno provate tutte. Appelli, una lettera firmata da 1.700 rabbini in rappresentanza di cinquanta Stati, l'offerta di un incontro con il premier israeliano Bibi Netanyahu. Non è servito. La Chiesa presbiteriana Usa ha deciso di disinvestire i propri fondi da tre grandi società Usa che forniscono materiale usato da Israele nei territori occupati. Una mossa forte: sono circa 21 milioni di dollari garantiti a Motorola, Caterpillar, Hewlett-Packard.
   II movimento protestante è arrivato al verdetto dopo discussioni per nulla distese in quanto una parte era contraria. Una spaccatura evidenziata dal voto finale: 310 contro 303. Inevitabile che fosse così, visti la sensibilità del tema e il confronto andato avanti per molto tempo negli Usa ma anche all'estero. In Europa, altre chiese protestanti hanno adottato la stessa iniziativa mentre in America già un paio di anni fa c'era stato un primo tentativo, ma che era poi rientrato.
   I presbiteriani, convinti che debba essere aperta una breccia che porti finalmente ad un negoziato vero, hanno elaborato la loro posizione fissandola in un documento approvato dall'assemblea. Questi i punti: disinvestimento delle risorse dalle compagnie che di fatto aiutano a mantenere l'occupazione; riconoscimento del diritto di esistere per Israele; soluzione dei due Stati, con quello palestinese al fianco dell'israeliano; azione per migliorare la vita dei due popoli; impegno a favorire i viaggi verso la Terra Santa.
   Il voto segue un periodo non facile nelle relazioni con Israele. A parte i tradizionali rapporti tra i protestanti e i palestinesi, ha fatto discutere l'iniziativa dello «Israel/Palestine Mission Network» che ha attaccato i principi del sìonismo innescando reazioni dure da parte di Gerusalemme. Poi, con l'avvicinarsi del voto, le comunità ebraiche sono passate all'offensiva cercando di convincere i presbiteriani a cambiare idea. L'attività di lobby - come ha sottolineato il New York Times - si è rivelata in realtà controproducente. La Chiesa protestante ha considerato le pressioni come un'ingerenza grave. Infine la mancanza di aperture da parte di Gerusalemme sulla questione delle colonie in Cisgiordania — il punto cruciale — ha certamente aiutato i fautori di un segnale deciso.
   «Continuiamo a essere impegnati per Israele e per il suo diritto di esistere, ma siamo preoccupati per l'occupazione e riteniamo che Israele possa fare meglio», ha affermato uno degli esponenti della Chiesa sottolineando l'importanza di una svolta. Che ha mandato su tutte le furie Israele. In un commento affidato a Facebook, l'ambasciata israeliana a Washington è insorta contro il voto dell'assemblea definito «vergognoso».

(Corriere della Sera, 22 giugno 2014)


Poiché il puntello di argomentazioni anti-israeliane di questo tipo continua ad essere un ipocrita moralismo internazionalistico, Israele dovrebbe decidersi a controbattere sullo stesso piano della verità e della moralità, insistendo sul fatto che quei territori non sono stati “occupati” da Israele, ma sottratti in modo fraudolento dalla comunità internazionale alla nazione ebraica, aggiungendo che è immorale e vergognoso l’appoggio dato dall’esterno a chi sostiene l’imbroglio di chi vuole sottrarre quella terra al legittimo proprietario. Si sa bene che molti israeliani, pur di poter continuare a vivere in pace sarebbero disposti a cedere volentieri una parte di quella terra ad altri, ma il calcolo risulta comunque sbagliato: in questo modo, come già si vede, non avranno né la terra né la pace. M.C.


In Indonesia oggi riapre il caffé nazista. Il proprietario si rimangia la parola data

Scoppiano le polemiche per un locale che si ispira al Terzo Reich

Dopo le proteste e le minacce internazionali di un anno fa, in Indonesia oggi nuovamente riapre la caffetteria nazista sotto il segno della svastica hitleriana nonostante l'annuncio del proprietario di rimuovere i simboli che fanno riferimento alle Ss ed al nazismo che si trovano ancora all'interno del locale. I vestiti dei clienti e dei dipendenti del Soldatenkaffee, sono ricchi di simboli della mitologia vichinga. Altri simboli non sono esplicitamente collegati ai nazisti. Aperto dal 2011 a Bandung, capitale della provincia occidentale dell'Indonesia, un imprenditore locale aveva messo su il Soldatenkaffee, un caffè che si ispira ai simboli nazisti e che offre la possibilità ai suoi avventori di diventare "felicemente" nazista per qualche ora. Torte di compleanno a forma di panzer con tanto di effige del Terzo Reich, uomini e donne vestiti con le uniformi delle SS intenti a mescere bottiglie di whisky americano e tanti cimeli del nazismo appesi ai muri del locale, per riprodurre l'atmosfera della Germania di Hitler. Party e incontri tra amanti del genere nazista sono andati avanti indisturbati finché il sindaco di Bandung ha revocato la licenza sospendola per un anno chiudendo un covo nazi in una delle città più in vista dell'Indonesia. Intanto per due anni col suo caffè il proprietario ha fatto affari d'oro con clienti che si divertivano nello scegliere i piatti ordinandoli da un menu hitleriano. Cercando di giustificarsi il proprietario tale Henry Mulyana ha raccontato di non conoscere la storia del nazismo. Intanto sulla pagina Facebook del Soldatenkaffee gli internauti stanno spostando decine di commenti che condannano la riapertura del locale nazista richiedendone l'immediata chiusura. Così come ci sono anche molte persone che fanno il tifo per il caffè e che gli augurano una "lunga vita". A dire del proprietario molti sono stati i clienti provenienti dall'Europa. Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", associazione che da anni si batte anche contro ogni tipo di rievocazione dei due regimi che hanno determinato un passato nefasto per la storia europea e mondiale, evidenzia che nessuno sa se e quando l'attività commerciale verrà chiusa. Intanto ovviamente la comunità ebraica è insorta ma a nulla è servito: il proprietario è irremovibile.

(politicamentecorretto, 22 giugno 2014)


Lieberman minaccia di espellere l'inviato dell'Onu

Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha minacciato oggi di espellere Robert Serry, coordinatore dell'Onu per il processo di pace in Medio Oriente, per aver proposto la sua assistenza per il trasferimento di fondi dal Qatar a Gaza. Lo ha riferito la televisione israeliana. Secondo gli israeliani, i 44 milioni di euro che il Qatar avrebbe messo a disposizione per pagare gli stipendi dei funzionari di Hamas nella Striscia di Gaza non devono arrivare a destinazione dato che Hamas, aveva già detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu, é "responsabile" del rapimento di tre giovani israeliani.

(L'Unione Sarda, 21 giugno 2014)


Attentato contro ebrei a Buenos Aires nel 1994

Maccabi chiede la commemorazione ai Mondiali

Una commemorazione durante i Mondiali in Brasile per ricordare le 85 vittime dell'attentato del 18 luglio 1994 a Buenos Aires contro la comunità ebraica argentina. La richiesta è stata indirizzata da Vittorio Pavoncello, presidente della Federazione Italiana Maccabi al presidente della Fifa Joseph Blatter, ed è stata supportata anche dal presidente della Figc Giancarlo Abate. La Federazione ha chiesto che le vittime e le oltre 200 persone che rimasero ferite nel corso di quello che è stato uno dei più feroci attentati di sempre contro la comunità ebraica venissero ricordate il prossimo 21 giugno, durante la partita Argentina-Iran. Quel giorno di 10 anni fa, un furgone carico di tritolo esplose nel parcheggio seminterrato dell'edificio che ospitava gli uffici dell'Associazione Mutualità Israelita Argentina e della Delegazione delle associazioni israelite argentine, provocando morti e feriti. «Commemorare le vittime di Buenos Aires, per i giovani e per il mondo dello sport, dimostrerebbe che si è tutti contro il terrorismo, consapevoli che questo atto di solidarietà con le vittime innocenti, incoraggerà le popolazioni del mondo a vedere nello Sport e nel Calcio in particolare, nell'immensa vetrina della Coppa del Mondo, un vero campo di rispetto, tolleranza e dialogo, contro il terrorismo ed il razzismo», ha dichiarato Pavoncello.

(Brasile 2014, 21 giugno 2014)


L'Archeoclub chiede al comune di Savoca di acquisire la sinagoga

Interessata la comunità ebraica di Roma

di Giuseppe Puglisi

La Sede Comprensoriale "ARCHEOCLUB AREA IONICA (ME)" di Archeoclub d'Italia, da trent'anni operante nel territorio jonico, ritiene che il rinvenimento del frammento di pietra riportante l'incisione parziale della stella di David rappresenti un importante tassello nella ricostruzione del passato storico delle comunità giudaiche esistenti, non solo a Savoca, ma nel territorio dell'intera Val d'Agrò, dove sia a Limina che a Casalvecchio Siculo sono esistite comunità organizzate fino alla fine del 1492.
Al fine di preservare il rudere della presunta SINAGOGA e di recuperarlo attraverso un apposito intervento di conservazione la nostra ASSOCIAZIONE

CHIEDE
al Comune di Savoca di intervenire al più presto attraverso azioni che vedano:
  1. conclusa la messa in sicurezza dell'immobile, l'intervento di lavori di pulitura della vegetazione spontanea esistente e lo sgombero di materiale di risulta accumulato all'interno finalizzato a riportare alla luce la parte mancante del frammento in pietra riportante l'incisione;
  2. l'applicazione di un apposito vincolo di tutela storica sul fabbricato già ricadente all'interno della Zona "A" del centro storico;
  3. avviare tutte le procedure per acquistare il bene storico al patrimonio immobiliare del Comune;
  4. attivare gli interventi necessari per il restauro dell'immobile al fine della pubblica fruizione.
E' fondamentale che il Comune di Savoca predisponga queste procedure per non disperdere un patrimonio unico nel suo genere capace di polarizzare l'attenzione non solo dei visitatori del borgo storico ma anche quella di studiosi ed esperti del settore, attenti alle tematiche della comunità ebraica mondiale.

ARCHEOCLUB si rende disponibile a collaborare con il Comune di Savoca per tutelare questo inestimabile bene culturale; a tal fine propone l'istituzione di un tavolo tecnico capace di riunire gli esperti contemporanei del settore e trarre le adeguate indicazioni per recuperare il bene, oltre che verificare l'autenticità storica del reperto artistico appena rinvenuto.
L'acquisto del bene da parte del Comune di Savoca è un passaggio fondamentale nella tutela del fabbricato e deve essere sostenuto da tutta la popolazione comprensoriale.
Se per problemi di bilancio o di disponibilità economica il bene non può essere acquistato dal Comune di Savoca, ARCHEOCLUB AREA IONICA si impegna ad avviare tutte le trattative volte ad acquistare il bene monumentale attraverso la raccolta delle somme necessarie e procedere successivamente al restauro dello stesso con lo scopo di destinarlo in futuro a Museo e Centro di documentazione delle comunità giudaiche della Valle d'Agrò, iniziativa unica nel suo genere.

ARCHEOCLUB AREA IONICA fin dalla sua costituzione nel 1984 ha indistintamente operato per la valorizzazione culturale delle nostre risorse con una visione sempre comprensoriale delle risorse stesse, a prescindere dal Comune nel quale si trovavano. Abbiamo sempre operato ed operiamo, seppur in autonomia, nell'ambito della programmazione nazionale di ARCHEOCLUB D'ITALIA, la più grande associazione italiana di volontariato per i beni culturali, fondata nel 1971.

Per concludere, la nostra Associazione predisporrà prossimamente diverse iniziative di carattere culturale atte a richiamare l'attenzione sulla presunta SINAGOGA, oltre a rendersi disponibile, come già manifestato il giorno della scoperta, a qualsiasi forma di collaborazione.

Da Roma la segretaria dell'Archeoclub d'Italia Anna Barra ha scritto al presidente dell'Archeoclub Valdagrò, Domenico Costa:
Penso che sia una cosa molto importante e ho visto questo monumento quando sono andata in visita alla sede di Valle d'Agrò. Sono in partenza, ma tornerò entro il 10 luglio e se posso essere utile per qualcosa non avete che da chiedermelo.
Penso che potremmo informare anche la Comunità ebraica di Roma. Non dovrei avere difficoltà a mettermi in comunicazione con i responsabili delle Comunità.

(Gazzetta Jonica, 21 giugno 2014)


Montefiore, un mulino a vento a Gerusalemme

 
Il mulino a vento a Gerusalemme
Video
Un mulino a vento a Gerusalemme? Si, ed è anche considerato un sito storico. Una delle prime strutture ad essere erette al di fuori dei confini della vecchia Gerusalemme nel 1857, il mulino avrebbe dovuto essere simbolo di progresso e di industria. Avrebbe, perché il mulino smise quasi subito di funzionare fino a quando è stato riportato in vita un secolo più tardi.
Costruito da un filantropo ebreo italiano (di Livorno) naturalizzato poi come inglese, Moses Montefiore, il mulino a vento avrebbe dovuto essere il faro del futuro della nuova Gerusalemme. La torre a quattro pale fu terminata nel 1857, in una zona dove si pensava si sarebbe dovuta sviluppare l'attività industriale della città.
Progettato secondo lo stile dei mulini a vento europei, il mulino era stato costruito per macinare il grano. Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, il vento nella zona non era abbastanza forte per alimentare in modo affidabile il mulino, che di per sé non era in realtà stato progettato per affrontare le coltivazioni più resistenti della zona.
Il mulino rimase in funzione per soli 18 anni, prima che fosse reso obsoleto da altri metodi di produzione della farina. Ma se fallì dal puntò di vista economico, riuscì ad attirare il successivo sviluppo edilizio di Gerusalemme.
Bombardato dai Britannici nel 1948, l'edificio danneggiato rimase vuoto per alcuni decenni, fino al 2012, quando, nell'ambito delle celebrazioni del 60o anniversario della fondazione di Israele, il mulino è stato completamente ristrutturato.
Oggi Montefiore Windmill è un monumento che celebra la nascita del moderno stato di Israele, oltre ad essere utilizzato come museo dedicato alla vita di Moses Montefiore. Ora le pale sue pale girano cinque giorni alla settimana, e il mulino è diventato una delle attrazioni della città.
Vedi anche la cerimonia del fuoco sacro al Santo Sepolcro, Gerusalemme, bellezza e grandezza senza pace e Natale a Gerusalemme, tra misticismo e storia.

(travelblog, 21 giugno 2014)


Hamas lancia "pioggia infernale": altri missili su Israele

"Operazione pioggia infernale", così l'ha chiamata il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, la nuova serie di lanci di missili su Israele da parte del gruppo terrorista che tiene in ostaggio la Striscia di Gaza. L'ultimo, il 16esimo dall'inizio della settimana, è stato lanciato questa mattina ed è caduto nella zona del Consiglio regionale di Hof Ashkelon senza fare danni.
Ma se le parole dette ieri sera da Sami Abu Zuhri corrispondono al vero siamo solo all'inizio di una escalation di violenza. Hamas infatti ha promesso una pioggia di missili su tutta Israele, persino su Tel Aviv e Gerusalemme. Peccato che né la stampa internazionale né la diplomazia faccia menzione di questo, come se fosse una cosa del tutto naturale....

(Right Reporters, 21 giugno 2014)


Ad Amos Gitai l'Ischia Film Award

Amos Gitai
E' il regista israeliano Amos Gitai il vincitore dell'Ischia Film AwardXII edizione dell'Ischia Film Festival, concorso internazionale al dedicato alle location cinematografiche. Autore di un cinema apolide ma con radici profondissime nella storia, nel destino e nella cultura della propria terra. Lo Stato di Israele e il conflitto in Medio Oriente, il tempo della guerra e quello dell'esilio, la religione e l'individuo. Cortometraggi, documentari, opere di finzione per una filmografia lunga, complessa e commuovente che ha raccontato non solo le diverse anime della società israeliana, ma luoghi lontani animati o compromessi dalle contraddizioni del nostro tempo
"Sono molto onorato di ospitare al festival un personaggio di tale fama internazionale. Ho sempre amato il cinema di Gitai e ritengo che avere il suo ultimo film nella selezione ufficiale rappresenti motivo di grande orgoglio per il festival" ha dichiarato il direttore artistico dell'Ischia Film Festival Michelangelo Messina.
All'incontro tra il pubblico del festival e uno dei cineasti più interessanti della scena cinematografica internazionale seguirà la proiezione del suo ultimo film: "Ana Arabia", unico piano sequenza di 81 minuti che racconta, con grande intensità, l'identità culturale di due mondi, due culture e due memorie che si vorrebbero opposte.
L'Ischia Film Award 2014, riconoscimento alla carriera, in passato è stato attribuito a personaggi quali Ken Adam, Mario Monicelli, Abbas Kiarostami, Vittorio Storaro. Il premio sarà consegnato ad Amos Gitai nella suggestiva Cattedrale Barocca del Castello Aragonese di Ischia, location esclusiva del Fest

(cinemaitaliano.info, 20 giugno 2014)


Il senso di Zoabi per la democrazia

La parlamentare arabo-israeliana giustifica i terroristi e vuole "sfruttare la forza della democrazia per minare la legittimità morale e politica d'Israele".

Checché ne dicano i suoi detrattori, Israele deve proprio essere una delle società più liberali e tolleranti del mondo, anche secondo gli standard delle più consolidate democrazie: è difficile infatti immaginare un'analoga situazione in cui una società che si dibatte in una lunga e dolorosa guerra per la propria sopravvivenza tolleri nel proprio stesso parlamento delle voci che con tutta evidenza si schierano dalla parte del nemico. La questione è se questa tolleranza si sia spinta sin troppo avanti, soprattutto quando vengono sfacciatamente giustificate e assolte delle ignobili atrocità a danno di minorenni....

(israele.net, 20 giugno 2014)


Teheran: Obama non ha la seria volontà di combattere il terrorismo

Il Viceministro degli Esteri iraniano replica al presidente Usa

TEHERAN, 20 giu - "Le recenti dichiarazioni di Obama dimostrano che la Casa Bianca non ha la volontà seria di combattere il terrorismo in Iraq e nella regione": lo ha detto il viceministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, replicando al presidente americano, secondo cui l'Iran dovrebbe mandare un messaggio costruttivo in Iraq ed evitare di incoraggiare le divisioni tra le confessioni.
   
(ANSA, 20 giugno 2014)


Palestinesi che muoiono per mano dei palestinesi

Ieri mattina (giovedì) ben cinque palestinesi sono morti, e dieci rimasti feriti - alcuni gravemente - per il collasso di uno dei tanti tunnel clandestini che collegano la Striscia di Gaza all'Egitto. Ciò fa supporre che il lavoro di ripulitura del nuovo governo del Cairo, per quanto intenso, non sia stato definitivo. Il migliaio di tunnel che ancora fino ad un anno fa solcava il sottosuolo dell'enclave palestinese da un lato forniva ricche entrate ad Hamas (che, non a caso, è stata costretta ad accettare la corte dell'ANP, dopo aver constatato il rifiuto degli stati arabi ad appoggiarne la "causa"); dall'altro rappresentava sovente l'unica fonte di entrata per i contrabbandieri che accettano di calarsi nel sottosuolo gazawo....

(Il Borghesino, 20 giugno 2014)


I calici della memoria. Il vino nella tradizione ebraica

Domenica 22 giugno incontro con il Rav Luciano Caro, Rabbino Capo di Ferrara. Ore 11 presso International Cooking & BBQ-Grill Weber in via 4 giugno, 103 Serravalle Repubblica di San Marino. Un incontro con il Rav Luciano Caro, Rabbino Capo di Ferrara, per conoscere il significato del vino nella tradizione ebraica, approfondire i temi legati all'alimentazione ed assaggiare cibi preparati seguendo la tradizione ebraica. Religione, cultura e sapori uniti.
Nella tradizione ebraica il vino (yain) occupa un posto rilevante in molteplici manifestazioni rituali quali, ad esempio, l'inizio del pasto dei gironi festivi (kiddush), la celebrazione del matrimonio e la pratica della circoncisione.
Il vino compare nei primi capitoli della Genesi dedicati ai primordi della presenza umana sulla terra: quando le acque del diluvio si ritirarono, Noè provvide a piantare una vigna e, prodotto il vino, se ne ubriacò.
Secondo la tradizione prima di bere il vino occorre recitare una apposita benedizione "all'Eterno che ha creato il frutto della vite".
Non mancano nella letteratura ebraica moniti contro i pericoli del vino che sollecita l'allegria ma deve essere assunto con moderazione. Così il testo biblico vieta al Sacerdote di bere vino prima di adempiere alle funzioni rituali. All'ebreo è consentito di bere vino solo se certificato kasher (permesso) vale a dire prodotto sotto la sorveglianza di un ebreo osservante. Il controllo ha inizio con la spremitura dell'uva e continua fino all'apertura della bottiglia.
Di tutto ciò e di altro parlerà il dott. Luciano Meir Caro, Rabbino Capo di Ferrara nel corso dell'incontro che avrà luogo domenica 22 giugno alle ore 11 nei locali della ditta International Cooking & BBQ-Grill Weber in via 4 giugno, 103 Serravalle Repubblica di San Marino.
E' prevista la degustazione di cibi preparati nel rispetto della normativa ebraica..

(San Marino Notizie, 20 giugno 2014)


Nella città dei ragazzi rapiti. «Prova terribile, ma sono forti»

A Hebron mille ebrei vivono per scelta in mezzo a 25Omila palestinesi: la ricerca è difficilissima

di Fiamma Nirenstein

 
Le tre mamme dei ragazzi rapiti
DA GERUSALEMME - Hebron anche stavolta eccelle nel dramma, nella difficoltà, nella cupezza. Qui e nei dintorni è l'epicentro della disperata ricerca dei tre ragazzi israliani rapiti. Arriviamo alla Yeshivà, il collegio religioso dove studia Eyal Yfrach, uno dei ragazzi rapiti ormai otto giorni fa. «Eyal ti aspettiamo» è scritto sulla porta della sua stanza. E scritto storto, con inchiostro nero, nello stile incurante delle cose di questo mondo che ha la Yeshiva Beith Romano, un'affermazione di volontà ebraica come tante a Hebron, dopo migliaia di anni di su e giù fra espulsioni e presenza. Qui Abramo comprò la tomba per Sara, qui sono sepolti i Patriarchi nel castello che costruì Erode il Grande, un santuario dove c'è stato un macello continuo e alternato di musulmani e ebrei, sacro a tutte le religioni. Quando hai attraversato le strade semideserte, toccato con mano il fatto che tutti stanno chiusi in casa, palestinesi ed ebrei, mentre si aggirano fra le mura sbrecciate solo alcune pattuglie di soldati, arrivi a Beit Romano, un palazzo che appartenne quasi da due secoli a una famiglia ebraica italiana, e ora ospita in maniera spartana, come tutto qui, 320 ragazzi. Sono parte dei 1000 ebrei che vivono fra 250mila palestinesi. Una scelta estrema. Il compagno di stanza Mild e un altro amico, Or, raccontano con coraggio il carattere di Eyal. Usano l'aggettivo «forte» per descriverlo, e di nuovo, al plurale, per spiegare come saranno loro qualsiasi cosa accada, sono a Hebron, studiano dove studiarono i padri dei loro padri, qui resteranno. «Eyal è qui solo da un mese e mezzo, prima di andare nelll'esercito vuole capire qual è il suo compito nel mondo. Sa benissimo, chissà dove, che lo scopo dei suoi rapitori è una minaccia per tutti gli ebrei: se ne devono andare da Israele. E una prova terribile, ma Eyal è forte». Ogni tanto Miki sbaglia i verbi, parla al passato invece che al presente del suo amico. Ma si corregge: «Lo aspettiamo ogni minuto, entrerà da quella porta». E indica la terrazza dove un gruppetto di soldati sorveglia. Miki e Or con gli altri studenti si aggirano nelle stanze conventuali, il loro fisico e l'atteggiamento è da ragazzini sportivi, glabri, moderni, figli di mamma; per quanto possono mantengono il ritmo, studio con un po' di palestra nel mezzo. Ci volle un anno prima che la famiglia di Gilad Shalit e tutta Israele ricevessero da Hamas la prova che il ragazzo rapito era vivo. Qui, dopo sette giorni, lo spokesman dell'esercito, Peter Lerner, indica i principi generali dell'operazione. L'ipotesi è che siano vivi e nel West Bank, l'epicentro dell'indagine è Hebron con un allargamento alla Samaria, Benyamina, Jenin, dove la reazione dei palestinesi è stata dura. Diecimila soldati che frugano, entrano di notte negli appartamenti delle 7 grandi città del West Bank e nei sui *** 430 villaggi rurali per ora riescono nel secondo scopo che Lerner ci indica. Il primo, è trovare i ragazzi. Il secondo smontare Hamas, uomini, soldi, armi. Hamas non ha rivendicato il rapimento, ma si dice orgogliosa di esserne sospettata e lo esalta. Forse, piccoli pezzi di verità vengono rivelati a porte chiuse ai genitori di Naftali Frenkel, di Gilad Shaare, di Eyal Yfrach. Gli incontri a porte chiuse come quello di ieri con Shimon Peres certo servono anche a comunicare qualche traccia trovata a Hebron, a Hafhoul, a Jenin. Ma qui a Hebron si capisce come un grande esercito possa essere beffato da pochi fanatici: lo si vede nel paesaggio scabro e impietoso, nell'intrico di vicoli e di legami protettivi, i terroristi potrebbero essere insospettabili signori nessuno arruolati in Giordania...! soldati col viso dipinto di nero calcano il terreno coltivato a ulivi e vigna, indossano cappelli mimetici, quelli sui tetti hanno il mitra imbracciato, quelli che si preparano a perquisire le case durante la notte ricevono un briefing dal Capo di Stato Maggiore: «L'operazione è difficile - dice Benny Ganz - piena di pericoli. Coraggio, è come se steste salvando vostro fratello. Ricordatevi quando perquisite le case che molti palestinesi non c'entrano, comportatevi bene». Trecento persone sono state fermate, 52 terroristi liberati nello scambio Shalit. Abu Mazen, con gesto coraggioso, ha detto che i rapitori «ci vogliono distruggere» e che quei ragazzi sono «esseri umani». Ma su facebook si è formato un gruppo «Three shalits» che mostra, e fa mostrare anche ai barnbini, tre dita per la gioia di aver rapito i tre teenagers. Anmi, strumenti di incitamento, computer, transazioni finanziarie... molte cose sono venute alla luce in questa buia notte di Hebron. Sembra non essere rimasto più molto da frugare. Ma dove sono i ragazzi?

(il Giornale, 20 giugno 2014)


Cara Michelle, perché taci sui rapiti israeliani?

Nessuno in piazza per gli ebrei. Alla giusta mobilitazione della Obama per le ragazze rapite in Nigeria non ha fatto seguito quella per i tre ragazzi presi da Hamas. Michelle, ci spieghi: se sono israeliani si possono rapire?

di Maria Giovanna Maglie

Eyal Yifrah, Gil-Ad Shayer e Naftali Frenkel. Com'è che per tre ragazzini israeliani rapiti da terroristi arabi non vedo mobilitazioni speciali, indignazioni planetarie, campagne a colpi di tweet e vip? Non che cambi niente, le ragazze rapite in Nigeria restano in mano ai terroristi, ci vuol altro che un cartellino in mano a Michelle Obama, un bel tweet «Bring back (...) (...) our girls», e via di nuovo a fingere di coltivare pomodorini e zucchine rigorosamente organic nell'orto presidenziale; ci vuol altro che le telefonate propagandistiche di Matteo Renzi e le magliette della nazionale di calcio con i nomi dei due marò, esibite dal ministro Pinotti per far tornare a casa Latorre e Girone; ci vuol altro anche per i tre ragazzini israeliani rapiti da Hamas. Pure, disturba, e anche in questi tempi di disillusione un po' indigna, il double standard, l'abitudine volgare di distinguere tra le cause politically correct sulle quali gettarsi in sfoggio di propaganda senza pudore, dalla first lady dell'ordine mondiale all'ultimo consiglio comunale, e quelle meno per bene, un po' scomode, sulle quali far partire infami distinguo, richiami severi mascherati da solidarietà, richieste alle vittime che alla fine dei conti a dirla tutta assomigliano a quelle dei rapitori terroristi.
   Funziona cosi quando viene intaccato il tabu dell'ipocrisia mondiale pacifista, funziona sempre cosi quando c'è di mezzo Israele. Non è tanto una questione di comune antisemitismo, so di dire una cosa scomoda, sul quale tra brutti libri, pessimi film, pellegrinaggi ai lager che furono, e abbastanza inutili Giornate della Memoria, il senso di colpa cambia forma, si acqueta e vince pure gli Oscar; è che l'antisemitismo quello profondo si è convertito in causa palestinese, ha preso le vesti di critica e pregiudizio verso lo Stato di Israele, comanda le organizzazioni internazionali e le commissioni europee, lambisce e anche penetra tanti ebrei d'occidente, ha caratterizzato la pessima presidenza di Barack Obama in uno strappo terribile con la tradizione degli Stati Uniti. Un alibi stantio, ché io posso anche non poteme più di sentir ricordare retoricamente l'Olocausto, figuriamoci la Resistenza, e vorrei non essere additata per questa saturazione a pubblico scandalo, ma mai dimentico che quello Stato piccolo e guerriero è l'avamposto d'Occidente in territorio nemico, che lo sterminio di ieri si riscatta oggi in Medio Oriente.
   Invece che ci tocca leggere? Che, lancio Ansa del 18 giugno, «Amnesty chiede immediato rilascio 3 ragazzi rapiti», ma subito dopo che «Israele sospenda immediatamente le punizioni collettive». Che sono in realtà due misure indispensabili: la chiusura del distretto di Hebron e del valico di Erez tra Gaza e lo Stato israeliano, che serve a impedire il trasferimento dei tre ragazzi nella Striscia, e la detenzione dei membri dell'organizzazione terroristica Hamas, dai quali si possono ottenere informazioni vitali. Seguono da articoli di quotidiani vari, ma vi raccomando di non perdervi le perle di Avvenire, informazioni che negano qualsiasi coinvolgimento di Abu Mazen e dell'Autorità Palestinese, peccato che il governo da lui messo in piedi di Fatah-Hamas qualche agevolazione di circolazione ai terroristi islamici l'ha certamente fornita; altre che sostengono che il nuovo ostacolo alla pace siano non il terrorismo o i sequestri, ma la costruzione di nuove case a Gerusalemme. Peccato anche che, l'ho visto ricordato solo su Repubblica, a Hebron circoli un manuale di Harnas di 18 pagine, titolo «Guida per il rapitore», con suggerimenti e consigli per rapire israeliani e ottenere in cambio la liberazione di detenuti palestinesi.
   Quanto alla Nigeria, senza un adeguato pagamento o un'azione di forza, le 276 studentesse della scuola di Chi-bok rapite dai Boko Haram il 14 aprile scorso non saranno liberate, e la campagna di buonismo mondiale servirà soltanto ad alzare il prezzo del riscatto e a far diventare più famosi in Africa i talebani neri. Impazzano, va detto, da anni, nell'indifferenza dell'Occidente: hanno massacrato cristiani, bruciato le chiese in cui li hanno sorpresi a pregare, hanno ucciso migliaia di nigeriani, e due italiani, Franco Lamolinara e Silvano Trevisan, sono nelle loro mani Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri,i due preti italiani rapiti il 4 aprile, con la suora canadese Gilberte Bussier. 11 gruppo di fanatici islamici Boko Haram sconfina allegramente dalla Nigeria in Camerun. Sono terroristi in nome e per conto dell'islam, come quelli che hanno rapito i tre ragazzi israeliani, come quelli che Israele non rinuncia a combattere.

(Libero, 20 giugno 2014)


Gli ebrei tra ragione e rivelazione

La via di Maimonide: sposare Aristotele con la Torah. Esce il primo volume della storia del pensiero israelitico scritta dal rabbino Giuseppe Laras.

di Armando Torno

 
       Rav Giuseppe Laras                       Maimonide
Giuseppe Laras, rabbino capo emerito di Milano, è tra gli studiosi più autorevoli del pensiero ebraico medievale. E presidente del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, nonché uno dei massimi specialisti di Mosè Maimonide (Mosheh ben Maimòn). Di questo filosofo ha, tra l'altro, curato dei testi: Gli otto capitoli. La dottrina etica (Giuntina 2001) e Immortalità e resurrezione (Morcelliana 2006). Sta ora uscendo il primo volume — il secondo a fine estate — di un'opera di sintesi che rispecchia i suoi studi, i mille percorsi: «Ricordati dei giorni del mondo». Storia del pensiero ebraico dalle origini all'età moderna (Edb, pp. 272, 16.50). Nel successivo volume verrà esaminato il periodo dall'Illuminismo al mondo contemporaneo. Non si tratta semplicemente di una storia della filosofia ebraica, ma di una sintesi dell'inesausto pensare che testi biblici, talmudici, intuizioni mistiche della Qabbalah e produzioni vastissime della normativa rabbinica, la Halakhah, hanno accumulato accanto alle congetture filosofiche.
   Rav Laras prende il lettore per mano guidandolo dallo shock che il pensiero talmudico sperimentò entrando in contatto con la razionalità greca fino alla grande sintesi scolastica medievale. È un'epoca in cui emergono due figure colossali: Sa'adyah ben Yoséph haGaòn (882-942), primo traduttore della Bibbia in arabo, secondo il quale «per ben credere bisogna ben ragionare»; e Mosè Maimonide (1135-1204), giurista, medico, rabbino, pensatore innamorato di Aristotele, ma che — sottolinea Laras — «sul tema della creazione erige un netto steccato fra la speculazione aristotelica e il dato della Rivelazione». Ecco inoltre l'autore offrire preziose indicazioni sull'epoca successiva all'espulsione degli ebrei dalla Spagna da parte di Isabella e Ferdinando (1492). Da quel momento il loro pensiero anziché interrogarsi su Dio si pose la questione riguardante il popolo dlsraele e il suo destino. Nacque una «identità marranica» che si manifestò attraverso «un'intima e straziante contraddizione all'interno dell'animo e della psiche degli ebrei». È un aspetto della modernità. Lams sintetizza quel che letteratura e filosofia registreranno nei secoli successivi attraverso le opere di eminenti protagonisti: «Essere e non-essere, essere "fuori" ed essere "dentro", volere e rifiutare, a cavallo tra ebraismo e cristianesimo, tra appartenenza al popolo di Israele e formale adesione al cattolicesimo, tra fedeltà sincera e tenace all'ebraismo e paura del peccato di apostasia: queste le caratteristiche di un vero e proprio sdoppiamento della personalità, che talvolta raggiunse una sorta di para-schizofrenia». Si pensi a Spinoza e al suo maestro, il qabbalista Menasheh ben Israel, che ebbe tra l'altro un ruolo rilevante nelle trattative con il governo di Oliver Cromwell per la riammissione nei territori inglesi degli ebrei, espulsi nel 1290.
   In entrambi i volumi (il secondo abbiamo avuto il permesso di vederlo in bozze) si nota il grande contributo dell'ebraismo italiano in seno alla più generale storia del pensiero ebraico e della normativa rabbinica. Lo provano figure quali Elia Delmedigo, maestro di Qabbalah di Pico della Mirandola e prezioso traduttore di Averroè, o Abravanel padre (uomo di Stato e commentatore dei testi biblici) o suo figlio, l'umanista noto come Leone Ebreo, autore dei Dialoghi d'amore (Roma 1535) in cui si fondono in una luce neoplatonica teorie ermetiche, orfismo, mistica ebraica e araba. Per aggiungere un altro protagonista: Leon da Modena, morto a Venezia nel 1648. Anche se fu tormentato dal vizio del gioco d'azzardo, lasciò scritti dottrinali e apologetici di notevole valore, tra i quali Ari Nohèm (II leone ruggente), in cui confutava la Qabbalah e si suoi sostenitori.
   Il secondo volume si occupa della contrastata penetrazione del pensiero illuminista in seno alla tradizione dei figli d'Israele, dello scontro tra l'ortodossia rabbinica e la riforma ebraica (oggi coincidente con la maggioranza dell'ebraismo nord americano) e della nascita del sionismo. Laras sottolinea che il Novecento presenta una «difficile mappatura», giacché resta il secolo dei Protocolli dei savi anziani di Sion, della Shoah, della nascita dello Stato d'Israele (1948) e della «disfatta della filosofia» (così definisce l'adesione di Heidegger al nazismo).
   La prefazione del libro è del cardinale Carlo Maria Martini. Fu scritta a suo tempo per la collana che ospita l'opera, «Cristiani ed ebrei», ma qui assume un particolare significato per l'amicizia che ci fu tra Laras e il porporato. I due, oltre ad avviare il dialogo ebraico-cristiano, si incontrarono poche settimane prima della scomparsa del cardinale. E reciprocamente si benedirono.

(Corriere della Sera, 20 giugno 2014)


Guido Ottolenghi è il nuovo presidente del museo ebraico di Bologna

Succede a Emilio Campos

Guido Ottolenghi
Il museo ebraico di Bologna ha un nuovo presidente. Guido Ottolenghi è stato nominato dal Consiglio di amministrazione nel corso della riunione dell'11 giugno scorso; succede a Emilio Campos, che ha ricoperto questa carica per 12 anni.
Guido Ottolenghi, nato a Bologna nel 1966, è sposato con tre figli. Ha studiato al Liceo Ginnasio Galvani di Bologna, alla Università Bocconi di Milano e alla Columbia University di New York. Ha lavorato in Italia e all'estero ed attualmente è amministratore delegato di una società di logistica portuale, La Petrolifera Italo Rumena SpA, presidente di Confindustria Ravenna e membro del Consiglio Direttivo di Unione Petrolifera. Siede in consigli di amministrazione di banche e società industriali.
Ha ricevuto la sua formazione religiosa presso la Comunità Ebraica di Bologna, la Columbia University di New York e istituzioni religiose Israeliane. Partecipa abitualmente come relatore a incontri con le scuole, a conferenze di tema religioso ed a dibattiti interreligiosi. E' stato consigliere del Museo Ebraico di Bologna dal 1999 ed è stato presidente della Comunità Ebraica di Bologna dal 2005 al 2013, dopo avere ricoperto vari incarichi nel Consiglio della Comunità dal 1995. Ha anche svolto attività in organizzazioni non profit di assistenza agli anziani.

(la Repubblica, 19 giugno 2014)


Il caso Israele. Dieci cose da sapere per capire la Start Up Nation

di Massimo Sideri

L'acceleratore Jvc: «Abbiamo undici società quotate al Nasdaq, non male».Il Paese investe un miliardo di dollari ogni anno sulle aziende innovative.

II primo McDonald's in Israele venne aperto a Tel Aviv nel '93, 21 anni fa. Non c'era nemmeno Internet, figuriamoci le start up. Ma l'«innovazione» scorreva già nelle vene della città. Allora, il brand del panino a un dollaro bruciava i grassi degli hamburger nel fritto, non proprio il massimo per una cultura culinaria basata sulle regole e i requisiti del cibo kosher. II gestore del «Mc» chiese l'autorizzazione per usare la piastra. E quell'innovazione piacque così tanto che ora è lo standard «salutista» anche negli altri Paesi per la catena di fast food. In quel caso, Israele fu il veicolo quasi inconsapevole dell'innovazione e la società Usa l'innovatrice in quanto seppe imparare da un caso locale. Ma l'aneddoto racconta molte cose di come l'innovazione si propaga perché difficilmente attecchisce se non si rispettano le tradizioni pre-esistenti. In altre parole, se gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, gli ecosistemi non possono arrivare dalla Luna. E visto che, soprattutto in Europa, si parla del modello della «Start Up Nation» — com'è stato battezzato Israele in seguito all'omonimo libro di successo di Dan Senor e Saul Singer — ecco dieci cose che ho scoperto incontrando i protagonisti di questa rivoluzione (e che dovremmo tentare di usare adattandole alla situazione italiana).

1 - MODELLI DI BUSINESS. E l'ossessione dei venture capitalist italiani. Nessuno startupper qui può sperare di avere dei finanziamenti senza avere almeno un'idea generica di come vorrà fare i soldi. «Modelli di business? Per adesso pensiamo a crescere» rispondono all'interno del Jvc Accelerator di Gerusalemme, uno dei più importanti del Paese. La parola d'ordine è «scalare». Diventare grandi In una nazione con sette milioni di abitanti può sembrare una contraddizione e, invece, finora è stata la carta vincente. Solo nel 2013 le operazioni di merger & acquisition da parte di soggetti stranieri hanno portato 7,6 miliardi di dollari, comprese le due exit più famose: Waze comprata dall'americana Google e Viber dalla giapponese Rakuten.

2 - METTI I TUOI SOLDI (e non scappare). Il venture capital in Italia investe meno di 80 milioni l'anno. Che sia pragmatismo o meno, si sta diffondendo l'idea che si possa alimentare l'industria delle start up senza soldi. Bene, Israele che tutti additano come esempio, investe circa un miliardo l'anno. «Il mio budget annuale — ha quantificato Avi Hasson, ex venture capitalist e chief scientist del governo israeliano — è di circa 450 milioni. La domanda è cinque volte tanto. Non abbiamo preferenze di settore e non spingo nulla in particolare. Il meccanismo è basato sul matching pubblico-privato». Per ogni dollaro dello Stato deve essere affiancato un impegno del privato. Le start up israeliane possono contare sulla maggiore percentuale di investimenti a livello mondiale in Ricerca e sviluppo: il 4% «al netto della Difesa», specifica Hasson. Sapete quant'è la percentuale in Italia?

3 - LA CONCENTRAZIONE. Tel Aviv è la capitale delle start up: ha 800 mila abitanti ma 4 su 7 milioni di israeliani si concentrano nella sua area metropolitana. E Gerusalemme, altro incredibile centro di voglia di fare, dista solo 40 minuti in automobile (meno di quanto disti la Silicon Valley da San Francisco).

4 - NON È SOLO HI TECH. E' tutto. Tra le maggiori innovazioni israeliane, come ricordato nel libro da Senor e Singer, c'è la «brillante intuizione che ha permesso di utilizzare l'acqua salata del deserto per l'itticoltura e la fertilizzazione».

5 - «ABRACADABRA». La parola più diffusa al mondo tra quelle che non hanno una traduzione, viene dall'ebraico antico e significa «creare con la parola». Fedele a questo insegnamento lsraele sta spingendo il proprio brand con la promozione e il marketing.

6 - LA CURVA DELLA POPOLAZIONE. Sette milioni di abitanti, ma tanti bambini. Non c'è bisogno di spiegazioni.

7 - II PRESIDENTE SHIMON PERES al recente MlXiii, la più importante conferenza sull'innovazione israeliana (toma al numero 5, la promozione del brand) ha spiegato come il governo tenti di mettere insieme le aziende che «cercano l'acqua» con le start up che «cercano il fuoco». In altri termini: «Stay hungry and foolish» come diceva quel tale Steve.

8 - CONDIVIDI IL RISCHIO. Nessuno può sostenere da solo un settore con una mortalità aziendale cosl alta. Ma tutti insieme...

9 - NON TENTARE DI TRATTENERE LE TUE START UP. Jvc accelerator: «Abbiamo 11 società quotate al Nasdaq». Non male. «Non blocchiamo le exit, non è così che lavoriamo» ha. detto Hasson. Ecco svelato il mistero dei 7,6 miliardi di cui sopra al punto 1.

10 - «NON POTETE COPIARCI! Non funziona. Abbiamo costruito un modello di successo, ma è il nostro modello». Parola di Hasson. Abbiamo solo due strade: o perdiamo ogni speranza, oppure, al lavoro.

(Corriere Innovazione, 19 giugno 2014)


Opera di Israele: il fascino di Masada incontra la lirica



Amore e morte: è ''La Traviata'' di Giuseppe Verdi ad animare l'Opera di Israele. I tre atti, tratti dalla ''Signora delle camelie'' di Alexandre Dumas figlio, hanno avuto come scenario la montagna di Masada che si trova su un isolato altopiano del deserto della Giudea, più di 400 metri al di sopra del Mar Morto. Il maestro Daniel Oren è direttore d'orchestra e direttore musicale del Festival: "Attraverso la musica si possono toccare vette molto alte e nel deserto si possono realizzare spettacoli davvero magici. Il mio sogno è che questo festival diventi uno dei più importanti nel mondo, perché il luogo è unico, non ne esiste un altro uguale.''
Il Parco Nazionale di Masada è Patrimonio storico dell'umanità dell'UNESCO dal 2001. La montagna, simbolo della libertà degli ebrei, ospita dal 2010 il Festival che aspira a divulgare la cultura operistica in Israele, come spiega Hana Munnitz, direttore generale del festival: "Non abbiamo una tradizione operistica nel Paese, le persone che vengono qui non hanno familiarità con l'Opera, per molti si tratta della prima volta nella vita, il nostro obiettivo è di renderla accessibile.''
Obiettivo del festival è anche quello di spostarsi in altri luoghi di Israele, per dar vita a un dialogo tra cultura e ambiente all'insegna della musica lirica. Per dare un'immagine positiva di normalità e attrarre molti più turisti nel Paese.

(euronews, 19 giugno 2014)


Pei News / Tel Aviv, grande successo per il Festival Jazz Italia-Israele

Grande successo a Tel Aviv per la musica italiana, dai concerti di musica barocca al festival del jazz. Eventi organizzati nelle scorse settimane dall'Istituto italiano di cultura per "diffondere la cultura italiana, nei suoi vari settori, in modo capillare sul territorio del paese". Tra questi vanno ricordati il concerto del pianista Maurizio Baglini e della violoncellista Silvia Chiesa; lo spettacolo teatrale "Dopo la battaglia" della Compagnia Pippo Delbono; e infine l'atteso concerto di Paolo Fresu che si è esibito con il "Devil Quartet" a Gerusalemme. In particolare, sempre in ambito jazzistico, l'Istituto di cultura ha realizzato il primo Festival Jazz Italia-Israele inaugurato in occasione della Giornata Unesco Internazionale del Jazz. La kermesse - che ha sin da subito entusiasmato il pubblico israeliano - si è conclusa con un nuovo evento musicale, che ha avuto luogo nel viale alberato David Ben Gurion nel cuore della città bianca di Tel Aviv, alla presenza di un eterogeneo e numerosissimo pubblico, che ha accolto molto calorosamente i giovani talenti italiani Enrico Zanisi e Federica Lipuma.

(il Velino, 19 giugno 2014)


Misurata con più precisione l'interazione magnetica

Descritta la misura dell'interazione tra i magneti piu' piccoli possibili - due spin di singolo elettrone - sulla rivista Nature. Utilizzando tecniche originariamente sviluppate per l'elaborazione dell'informazione quantistica, Shlomi Kotler del Weizmann Institute of Science di Rehovot (Israele) e' riuscito ad effettuare il calcolo nonostante il rumore magnetico fosse milioni di volte piu' forte del segnale da rilevare. Gli elettroni hanno un momento di dipolo magnetico, cio' significa che si comportano come sottili barre magnetiche. Nonostante il campo magnetico di un singolo elettrone sia stato misurato con estrema accuratezza, identificare l'interazione magnetica tra due elettroni non e' stato molto semplice sinora. Il nuovo studio israeliano e' riuscito nell'impresa. Gli elettroni analizzati sono stati legati a due ioni di stronzio contenuti in una trappola elettrica: gli spin sono stati posti in uno stato "intrappolato" non influenzabile dal fastidioso rumore magnetico. Variando la distanza tra i due ioni, i ricercatori sono stati in grado di misurare la forza dell'interazione magnetica in funzione della distanza.

(AGI, 19 giugno 2014)


Tra le strade di Hebron la città sotto assedio in cerca dei ragazzi rapiti

Shock nel Paese che teme un nuovo caso Shalit. I giovani postano l'hashtag "bring back our boys". Il colpo sarebbe stato compiuto da un piccolo gruppo salafita: molto difficile individuarlo distruggerci"

di Fabio Scuto
.
 
Un sole impietoso flagella la strada, una luce accecante rimbalza dai palazzi di pietra bianca. Auto ferme e strade deserte, i caffè, i negozi, le fabbriche di ceramica e di vetro famose in tutto il Medio Oriente, sono sbarrati. Due cani randagi frugano fra i mucchi di immondizie abbandonate sulla strada. Benvenuti a Hebron, la città sotto assedio da sei giorni. Più di metà degli oltre 250 uomini di Hamas arrestati in risposta al rapimento di Eyal, Gilad e Naftali — i tre seminaristi ebrei scomparsi giovedì scorso in un incrocio alle porte della città—sono stati prelevati dalle case qui attorno. Uomini del Sayeret Matkal, i reparti speciali dell'Esercito, frugano in ogni casa sospetta, magazzino, cantina, negozio, pollaio, dell'abitato.
   Nelle colline circostanti si vedono i mezzi militari muoversi nelle campagne. L'Unità 669, specializzata nelle ricerche, e una brigata di paracadutisti stanno cercando in fattorie, grotte, pozzi, granai, mulini e cisterne dell' acqua, la possibile prigione. Perché i generali che comandano le operazioni sono convinti che i tre studenti israeliani siano ancora tenuti prigioneri nell'area urbana o nelle vicinanze, da sempre un caposaldo di Harnas. Soltanto qualche mese fa qui circolava un manuale di Hamas — che considera il sequestro di israeliani l'arma migliore per ottenere il rilascio dei palestinesi detenuti in Israele — di 18 pagine a circolazione interna dal titolo "Guida per il rapitore", con suggerimenti e consigli ben dettagliati.
   Al sesto giorno Israele si consuma nell'ansia di quest'attesa, di un segnale, un indizio, una rivendicazione. I rapimenti degli islamisti non sono una novità, ma il fatto che questa volta riguardi tre giovani seminaristi, usciti dalla yeshiva quasi inconsapevoli dei rischi legati al fatto di attraversare a tarda sera un territorio ostile, pieno di minacce, ha colpito l'immaginario collettivo. Soprattutto i giovani, i ragazzi israeliani hanno reagito con forte emozione. In migliaia stanno postando il loro sostegno all'hashtag 'Bring back our boys-, lo hanno fatto anche due giovani arabi-israeliani che abitano a Nazareth e che per questo hanno ricevuto minacce di morte.
   L'esercito non si fermerà finché «non avrà messo le mani sui rapitori e non avremo riportato a casa i ragazzi , ha promesso ieri il ministro della Difesa Moshe Yaalon, che ha incontrato alcuni parenti dei giovani scornparsi che hanno potuto ascoltare la registrazione della telefonata che uno di loro ha fatto giovedi notte al centralino della Polizia, sussurrando: «Siamo stati rapiti.. La Polizia spera che le famiglie, ascoltandola, si rendano conto quanto fosse difficile capire dalla telefonata che si trattava di una richiesta di soccorso realee non di uno scherzo, come è spesso accaduto in passato e accade in questi giorni.
   Negli istituti religiosi, fra gli amici, i parenti, si susseguono le preghiere collettive per un loro rapido ritorno a casa. Tutti si sono stretti a fianco delle famiglie. Ieri i compagni di studi di Eyal, il più grande dei tre, hanno portato ai suoi genitori un filmato girato le scorso Purim (il carnevale ebraico), in cui si vede Eyal che nella tradizionale recita della festa, che interpreta la parte di un soldato che libera ostaggi rapiti. Certamente non ha mai pensato che un giorno, non lontano, si sarebbe trovato in un contesto simile ma nella parte della vittima.
   Il presidente palestinese Abu Mazen, si sente pugnalato alla schiena dal coinvolgimento di Hamas nel rapimento ad appena due mesi dalla "riconciliazione. «Chi lo ha compiuto vuole distruggerci ha detto ieri mattina al vert ice arabo di Jedda, ricevendo in cambio da Gaza l'accusa di tradimento dal portavoce degli integralisti. Perché anche gli uomini del generale Adnan Al Damiri, il capo dei servizi segreti palestinesi, stanno collaborando alla ricerche dei rapiti e sono stati discretamente sguinzagliati per la città. All'appello degli arrestati in città mancano due boss delle Brigate Ezzedin Al Qassam — il braccio armato di Hamas — che da giovedi, il giorno del rapimento, sono scomparsi nel nulla e potrebbero essere coinvolti.
   Ma il "colpo' sarebbe stato fatto da un piccolo gruppo criminale attivo nel furto di auto legato ad ambient integralisti e salafiti. In città due anni fa è stata sgominata una cellula composta da sei persone, uccisi in due scontri a fuoco. Mohammed Nairuk, il loro leader, era stato espulso due anni prima da Hamas per il suo «estremismo religioso•. Questi gruppi di solito operano in cellule molto piccole, non predicano il loro messaggio e non raccolgono fondi dalla gente. Per questo rintracciarli è un compito particolarmente difficile.
   «Arriveremo ai rapitori, è solo questione di tempo, promette anche l'ufficiale che comanda il plotone schierato all'ombra del complesso della Tomba dei Patriarchi. Ma di tempo non ne resta molto, fra meno di dieci giorni inizia il Ramadan — mese sacro per i musulmani e sempre già gravido di tensioni — e non sarà possibile fare operazioni militari di questa ampiezza in Cisgiordania senza suscitare la reazione della popolazione palestinese. E anche Israele ha fretta di risolvere il "caso", nessuno dei suoi politici vuole trovarsi di fronte ad un nuovo caso Shalit, il soldato rapito a Gaza e liberato dopo cinque anni di prigionia in cambio della liberazione di più di mille detenuti palestinesi, buona parte dei quali in questi giorni è tornata in cella.

(la Repubblica, 19 giugno 2014)


Clamoroso! La linea Sykes-Picot fu uno scoop di Trotzky. E anche un falso storico

di Carlo Panella

La distribuzione del Medio Oriente secondo l'accordo Sykes-Picot
Non si sa se ridere o se piangere di fronte all'hashtag di Isis: #SykesPicotOver. Il suo significato è chiaro: imponiamo il Califfato islamico in Iraq e nel Levante polverizzando le inique frontiere di Siria e Iraq, tracciate nel 1916 dal baronetto inglese Mark Sykes e dal diplomatico francese François Georges Picot — esempio esecrato delle malefatte del colonialismo francese e inglese che si spartirono l'Impero ottomano. Il sorriso è chiamato da un dato di fatto: quell'accordo non si concretizzò mai, rimase sulla carta, le frontiere e la spartizione coloniale concordate nel 1916 da Sykes e Picot non furono mai realizzate. Di più, la frontiera e i confini della Siria e dell'Iraq furono in realtà definiti — in termini del tutto diversi — da una donna, Gertrude Bell, quattro anni dopo, nella Conferenza del Cairo. Ma viene anche da piangere al pensiero che è proprio la storiografia europea, con il suo politically correct, ad avere inculcato nelle menti degli sprovveduti jihadisti l'idea che tutti i mali del medio oriente abbiano origine in quella arbitraria violenza spartitoria dell'imperialismo franco-britannico.
   Torna però il sorriso se si pensa che questo tragicomico fraintendimento è opera di un colpo di genio giornalistico di Lev Davidovià Bronstejn, cioè di Trotzky, autore di uno scoop eccezionale che ha deviato non già il corso della storia, ma semmai il corso degli storici, spingendoli a costruire una bufala madornale. I fatti: nel novembre del 1917, nominato commissario del Popolo per gli Affari esteri del primo governo bolscevico, Trotsky apre le casseforti del ministero e vi trova il voluminoso dossier dell'accordo Sykes-Picot comunicato da Londra e Parigi all'alleato zar Nicola II. Bottino eccellente, che gli è molto utile nel momento in cui tratta con il Reich germanico la fine delle ostilità. Gli fa buon gioco presentarsi al tavolo delle trattative per l'armistizio di Brest Litowsk con un cadeau d'immagine molto gradito ai generali prussiani. L'accordo è retto da un'esplicita cupidigia coloniale, che vanifica l'immagine di una lotta delle democratiche Francia e Inghilterra contro gli assolutismi austro-tedeschi, essenza della propaganda della Triplice intesa. Con eccellente sapienza mediatica il 27 novembre 1917 Trotsky riempie a titoli cubitali la prima pagina dell'Izvestia con la cartina e le specifiche dell'accordo Sykes-Picot. L'effetto sull'opinione pubblica mondiale è enorme. E' come se Parigi e Londra fossero fotografate in mutande davanti all'opinione pubblica planetaria. Le alte ragioni ideali della loro guerra sono sbriciolate. I loro bassi interessi coloniali sono sotto gli occhi di tutti.
   Poi continua il massacro in Europa e il medio oriente torna per decenni sullo sfondo. Argomento da specialisti e avventurieri del petrolio. Non da storici, per una ragione semplice: negli anni Venti del Novecento e in quelli successivi, non esistono storici del Medio Oriente moderno. Nel mondo islamico, la Storia è sostituita dalla meta-storia del racconto coranico. Le fondamenta della storia del medio oriente contemporaneo sono così poste essenzialmente dai media: in questo contesto, è ovvio che lo scoop di Trotsky ha avuto tanta presa, ed è luogo comune ormai sostenere che "la colpa fu di Sykes e Picot". Accusa che attribuisce all'imperialismo occidentale la responsabilità unica degli innumerevoli disastri mediorientali, alimentando il senso di colpa delle anime belle del politically correct. Accusa che copre l'evidenza di una crisi permanente di tutti i governi del medio oriente da un secolo in qua, da addebitare alla immaturità politica delle varie classi dirigenti arabe.
   Pure, basta dare un rapido colpo d'occhio alla cartina allegata al dossier pubblicato da Trotsky sulla Izvestia e alla carta mediorientale definita da Winston Churchill nella Conferenza del Cairo del 1920 e poi dalla Società delle Nazioni — quella odierna — per capire che non vi hanno nulla a che fare. Sykes e Picot assegnano al "controllo diretto della Francia" una "zona blu" che si completa con una "zona azzurra" la cui ratio è il controllo coloniale di Parigi sul sud-est dell'Anatolia turca, compreso il quadrante settentrionale del Tigri e dell'Eufrate. La "zona azzurra" francese comprende così larga parte del corso inferiore dei due fiumi. Il baricentro geopolitico dell'accordo è l'acquisizione coloniale francese di una enorme regione vitale della Turchia. Seconda differenza fondamentale dall'assetto stabilito al Cairo: la Francia acquisisce il controllo coloniale della regione petrolifera di Mosul, vedendo riconosciuto il dominio imperiale sul "Croissant fértile" e su le ricchezze petrolifere dell'Iraq (per un capriccio della storia la "zona azzurra" di Sykes e Picot è straordinariamente coincidente con la zona sotto controllo oggi di Isis). La terza differenza riguarda la Palestina, che secondo lo schema di Sykes-Picot avrebbe dovuto essere "sottoposta a un governo la cui forma dovrà essere decisa con consultazioni con la Russia e con gli altri alleati, inclusi i rappresentanti dello sceriffo della Mecca Hussein al Hashemi". Soluzione diversa — come impostazione — dal Mandato assegnato invece dalla Società delle Nazioni alla sola Gran Bretagna. Ma è la sostituzione della logica coloniale dell'acquisizione diretta e delle zone di influenza con la politica dei "mandati" temporanei la differenza tra l'accordo Sykes-Picot e la realtà dal 1920 in poi.
   Tra l'una e l'altra vi è il blocco a nuove acquisizioni coloniali e il riconoscimento del principio della "autodeterminazione dei popoli" imposti a Parigi e Londra dagli Stati Uniti del presidente Woodrow Wilson quali condizioni per l'intervento nella guerra europea del 1917. L'accordo Sykes e Picot non si concretizza confligge nella sua stessa struttura portante con l'impostazione dei "14 punti" di Wilson. Cioè la realtà è opposta alla vulgata storiografica europea e ha un segno concettuale marcatamente anti imperialista.

(Il Foglio, 19 giugno 2014)


Cinque compositori per la musica ebraica

 
Charles Valentin Alkan
CASALE MONFERRATO — Arrivata al quinto appuntamento la rassegna il Suono e il Segno prosegue domenica 22 giugno alle 21 in Sinagoga con un concerto più orientato verso la musica del '900. Questa volta le note sono affidate al pianista Andrea Stefenell che il pubblico casalese conosce bene in quanto accompagnatore ufficiale di Casale Coro.
  Il programma prevede musiche di quattro autori, tutti di origine ebraica: il pianista e compositore Charles Valentin Alkan l'unico ad appartenere ancora al XIX secolo in quanto vive a Parigi tra il 1813 e il 1888, Darius Milhaud (Marsiglia 1892, Ginevra 1974) esponente del gruppo dei sei capace di giocare con leggerezza con le note, Ernest Bloch, svizzero (Ginevra 1880, Portland 1959) compositore e violinista che ha la cui musica è costantemente intrisa di temi ebraici e infine l'italiano Mario Castelnuovo Tedesco (Firenze 1895 - Beverly Hills 1968). Il programma prevede due pezzi di grande virtuosismo di Alkan, tutti improntati a un certo gusto per il pittoresco in voga nell''800: Le chemin de fer, op.27 la Variations quasi fantasie sur une barcarolle napolitaine op.16 n.6; di Milhaud (1892-1974) una divertente Sonatine nei tempi Décidé - Modéré - Alerte di Castelnuovo - Tedesco "Le danze del re David" e i curiosi "film" studies deliziosi portraits dedicati agli eroi del cinema, in questo caso "Charlie" e "Mickey Mouse" e infine "Nirvana" di Bloch.
  Scopriremo le particolarità di ognuno non solo grazie alla musica ma anche attraverso Il racconto di un altro compositore: il direttore artistico della rassegna Giulio Castagnoli. Insegnante al conservatorio di Torino e anche lui di ascendenza ebraica. Castagnoli ha un legame diretto con i nomi più in vista della musica contemporanea ed è stato allievo dello stesso Castelnuovo Tedesco. L'ingresso a tutte le manifestazioni è libero, per informazioni 0142 71807. Andrea Stefenell ottiene il diploma in pianoforte presso il Conservatorio Ghedini di Cuneo sotto la guida del Mo Maurizio Barboro, e la laurea di II livello ad indirizzo concertistico presso il Conservatorio Verdi di Torino nella classe del Mo Claudio Voghera. Partecipa inoltre a Master Class con Lya de Barberiis, Filippo Gamba, Dmitri Bashkirov, Lylia Zilberstein, Dominique Merlet, Francesco Cipolletta. Attivo come solista, ha suonato con l'orchestra i concerti di Rachmaninoff, Saint-Saens, Haydn, Mozart. Si è esibito in Italia e di recente in Francia (Parigi, GMEM di Marsiglia, Avignone) e Regno Unito (Wigan, Manchester). Attivo come camerista e accompagnatore, anche nell'ambito di master class (Settimane musicali di Cortanze, Europa Cantat-Torino 2012). Per le edizioni Peacock Classic ha inciso il Verdi-Opera Prières con il il soprano Mara Bezzi e il basso Roberto Scandiuzzi. Collabora come sostituto del Mo Castagnoli all'interno del "CasaleCoro". Svolge attività didattica presso la Fondazione Fossano Musica da oltre dieci anni.

(Il Monferrato, 18 giugno 2014)


Frisbee: arrivano i mondiali. e anche l'antiterrorismo per una squadra di Israele

LECCO - Fra poco più di un mese arrivano i mondiali di frisbee a Lecco e la città si sta preparando. Non solo con appuntamenti ed eventi, ma anche con un maggior numero di agenti di polizia nel circondario. Perchè tra le rappresentative che parteciperanno alla manifestazione sportiva ci sarà anche una squadra proveniente da Israele e in casi del genere la sorveglianza da parte delle forze dell'ordine aumenta sempre.
"Per il momento non abbiamo ancora considerato la cosa - afferma il questore Alberto Francini -, ne parlemo fra qualche giorno con il Ministero dell'Interno. In ogni caso metteremo a disposizione gli uomini della Digos che pattuglieranno in borghese, ma non ci sarà una Lecco militarizzata".
Per una manifestazione del genere il questore assicura che "in ogni caso ci sarà una maggiore sorveglienza, dato l'alto numero di persone che arriveranno".
I campionati mondiali Junior (Wjuc) ed i campionati mondiali per Club (Wucc) di frisbee si disputeranno la prossima estate in Italia sui campi de "La Nuova Poncia" di Annone Brianza, al centro sportivo Bione di Lecco e allo stadio comunale Rigamonti-Ceppi, sempre nel capoluogo. Le manifestazioni si svolgeranno tra il 20 e il 26 luglio, lo junior, e tra il 2 e il 9 agosto, per club. La combinazione dei due campionati mondiali trasformerà Lecco ed Annone di Brianza in capitali mondiali del frisbee, con oltre 200 squadre totali e circa 5.500 giocatori, provenienti da più di 50 nazioni.

(Lecco News, 18 giugno 2014)


Cosa serve per fare dell'Italia la nuova Israele del software

Su "VentureBeat" un dibattito tra italiani. Che concordano su una cosa: serve Silicon Valley per fare il salto di qualità

di Mauro Battocchi

Nelle scorse settimane ho scritto che dagli italiani di Silicon Valley arriva un messaggio: l'Italia può diventare la nuova Israele del software. L'Italia ha talento da vendere anche in campo informatico. Se le aziende italiane scelgono Silicon Valley per crescere, l'Italia ha la forza per essere un grande laboratorio di ricerca e sviluppo avanzata: con il cosiddetto modello Capobianco . Tutti d'accordo? In apparenza, no. Sulla rivista Venture Beat infuria il dibattito . Ad animarlo, ovviamente, due italiani: il venture-capitalist Massimiliano Magrini di United Ventures e lo startupparo investitore Armando Biondi di ADEspresso .
Vi dico la mia: partendo da presupposti diversi, tutti e due confermano che le premesse per arrivarci ci sono. L'Italia del software non è ancora Israele, ma se in Italia soggetti imprenditoriali e istituzionali scommettono insieme, l'obiettivo è raggiungibile. Ce la si può fare: ma bisogna crederci e, soprattutto, guai a ignorare il ruolo di trampolino di Silicon Valley.
Massimiliano Magrini è l'uomo che ha messo in cantiere una pipeline di finanziamenti per nuove aziende italiane di successo in Italia, tipo Cloud4Wi, per portarle a crescere a San Francisco. Il bicchiere mezzo pieno che Magrini illustra su VentureBeat vede un'Italia con 1800 startup attive nel nostro Paese, a fronte dei quali ci sono relativamente pochi investitori istituzionali (33, di cui 22 sono fondi di venture capital). La legislazione italiana sulle startup è cambiata in meglio. Ci sono incentivi fiscali, vari casi di startup ben decollate, personale qualificato, leggi del lavoro piu' flessibili. Attenzione, dice il nostro ai venture capitalist stranieri: qui si muove qualcosa e fareste bene a tenerci d'occhio.
Armando Biondi, anche lui con un piede in Italia e uno in California, sembra rassicurare i pessimisti. La qualità delle startup italiane non è pari al numero elevato. I casi di successo sono ancora relativamente pochi. I fondatori di nuove aziende hanno buone idee di prodotto ma raramente hanno dimostrato di sapere costruire organizzazioni capaci di generare flussi crescenti di profitto. Pochi hanno fatto la "exit", cioè hanno venduto il loro giocattolo. Inoltre, dice, gli investitori italiani sono lenti nel decidere e non hanno reti internazionali. Tutto da buttar via, dunque? No. Biondi riconosce che gli ingegneri italiani hanno talento, sono pagati (purtroppo) poco, hanno una capacità superiore di design e sono sempre più connessi con reti di italiani e italofili all'estero. Gratta gratta, anche Biondi concorda sul fatto che buone premesse ci sono.
Il punto è che il software italiano non può decollare globalmente se pensa di poterlo fare senza un aggancio forte con Silicon Valley. Qui ci sono tutte quelle competenze e quegli asset che servono ad una buona idea italiana di prodotto per diventare macchine di profitto - in modo che poi i laboratori di R&D possano scalare. Ripetendo quanto è avvenuto a Tel Aviv o Haifa nei decenni passati. Biondi lo dimostra: la sua startup ADEspresso cresce a San Francisco con radici a Milano. In Silicon Valley l'azienda si propone ai grandi protagonisti del mercato; ma metà dei dipendenti dell'azienda vivono e lavorano in Italia.

(Panorama.it, 18 giugno 2014)


Hamas: Abu Mazen non cooperi con Israele

Un portavoce lo attacca: non aiuta la riconciliazione fra palestinesi

GAZA, 18 giu - Hamas ha attaccato il presidente palestinese Abu Mazen per le sue affermazioni dall'Arabia Saudita, in particolare sul coordinamento di sicurezza con Israele, che ''arrecano danno al morale dei prigionieri e non sono utili agli sforzi di riconciliazione''. Intervenendo da Gaza, un portavoce della fazione islamica, Sami Abu Zouhri, ha detto che quelle parole ''non si conciliano con gli Accordi del Cairo tra le due fazione e con il consenso dei palestinesi''.

(ANSA, 18 giugno 2014)


Mohammad Zoabi: un arabo israeliano come vorremmo ce ne fossero tanti

di Deborah Fait

- Mohammad Zoabi
  
  
  Ormai tutta Israele ne parla con ammirazione e anche una sorta di gratitudine quasi che questo ragazzino arabo israeliano, sedici anni, come sedicenni sono i tre ragazzini rapiti dai terroristi palestinisti, possa esorcizzare la paura di Israele, il terrore che Eyal, Gilad e Naftali possano vivere lo stesso destino di Gilad Shalit, sepolti vivi in qualche buco sotterraneo per anni. O peggio.
Mohammad Zoabi, musulmano, vive a Nazareth che è anche la città, quartier generale della più tristemente famosa cugina, grande odiatrice di Israele, Haneen Zoabi, la filoterrorista della Mavi Marmara, che ha avuto parole di fuoco per il cuginetto definendolo "Piccolo idiota".
Ma vediamo cosa ha detto Mohammad, si è dichiarato sionista, ha parlato del suo amore per Israele, stato ebraico e democratico, dove spera di vivere per sempre, ha accusato l'ANP di essere "il primo terrorista", ha ordinato ai rapitori di restituire subito i "nostri ragazzi". "Vi conviene rimandarli a casa subito", ha detto, con un espressione talmente severa e minacciosa su quel volto da adolescente che mi è venuta voglia di abbracciarlo.
Nel video che ha mandato su Youtube si intravede alle sue spalle una bandiera di Israele a conferma dei suoi sentimenti verso questo Paese, il mio Paese, il suo Paese.
"In Israele viviamo la libertà, la libertà è la nostra vita, nessuno ce la può togliere" e ancora "Israele è la speranza in questa Regione"
La Speranza, Hatikva. La speranza che questo giovane uomo sia da esempio ad altri ragazzi arabi che ancora non si sono fatti lavare il cervello dalla propaganda palestinista. Nel suo ambiente, anche nella sua stessa famiglia, gli danno del traditore, lo chiamano "L'ebreo" per insultarlo e lui non capisce come si possa insultare un Popolo che dalla tragedia della Shoah "ha creato una delle Nazioni più intelligenti e più forti del mondo".
Adesso Mohammad se la vede brutta, la sua vita è in pericolo, riceve minacce di morte e tre membri della sua famiglia, già arrestati dalla Polizia, hanno tentato di rapirlo per farlo probabilmente scomparire nel modo usuale tra gli arabi: è un traditore e i traditori devono morire.

- Haneen Zoabi
  Haneen Zoabi, la cugina, nel frattempo, per ripristinare l'onore della famiglia, del suo partito antisemita Balad, ha dichiarato che i rapitori dei nostri tre ragazzi non sono terroristi e che il responsabile è solo Israele, Stato sionista e il suo premier Bibi Netanyahu. Un cittadino israeliano l'ha denunciata per le sue dichiarazioni, spero vada sotto processo e che finalmente qualcuno riesca a buttarla fuori dalla Knesset come tutta Israele aveva sperato dopo l'episodio della Mavi Marmara, la nave carica di armi, terroristi e loro simpatizzanti bloccata dalla Marina israeliana, nel 2010 , mentre stava navigando verso Gaza. All'epoca, grazie alla grande democrazia di questo Paese, è riuscita a cavarsela, speriamo che questa volta anche la Corte Suprema la consideri persona non grata, indegna di far parte del Parlamento dello Stato di Israele.
Non posso nascondere la soddisfazione al pensiero della rabbia che prova questa fanatica odiatrice di ebrei dopo le dichiarazioni del cugino e, se il buongiorno si vede dal mattino, questo ragazzo farà strada perchè ne ha la personalità e, se non si farà scoraggiare, se qualcuno non lo metterà a tacere, diventerà una guida importante e carismatica per altri giovani intelligenti e coraggiosi come lui.
Spero proprio che Mohammad Zoabi, possa, una volta cresciuto, diventare un leader di giustizia, coraggio e fedeltà a Israele per buona parte della comunità araba del Paese e che sia da esempio (a loro vergogna) per i "pacifisti" israeliani che, fuori dalla realtà, anzichè gridare Viva Israele, come fa lui, danno il loro spudorato sostegno al nemico.

(Inviato dall'autrice, 18 giugno 2014)


L'Autorità Palestinese lancia una campagna per ostacolare le ricerche dei tre ostaggi ebrei

I partigiani del Fatah di Mahmoud Abbas invitano i commercianti a «distruggere le registrazioni delle telecamere di sorveglianza per impedire all'esercito israeliano di utilizzare questi elementi per ritrovare i tre studenti ebrei trattenuti come ostaggi.»
Si tratta di un'ordinanza posta sulla pagina ufficiale Facebook del Fatah che è sotto il diretto controllo del presidente palestinese.
"Bruciate, distruggete tutto ciò che potrebbe essere utilizzato come prova, tutto ciò che potrebbe permettere ad Israele di braccare i rapitori e di ritrovare i ragazzi", spiega Fatah.
D'altronde alcune ore dopo il rapimento i terroristi di Fatah (sì, perché non dobbiamo dimenticare che anche Fatah è un'organizzazione terroristica) hanno confiscato le telecamere degli abitanti di Hebron prima che l'esercito potesse sequestrare queste registrazioni.

(The Jewish Press - JSSNews, 15 giugno 2014 - trad. Emanuel Segre Amar)


I Supino. Una "dinastia" di ebrei pisani fra mercatura, arte, politica e diritto

Un convegno di studi all'auditorium di Palazzo Blu a Pisa.

Il convegno ha avuto l'obiettivo sia di ricostruire una storia o "saga" di famiglia che di proporre, da un angolo di visuale poco frequentato, uno spaccato di storia pisana.
I Supino sono un ramo di una famiglia ebraica nota fin dal Medioevo con il cognome "Min-ha-Ne'arim" ("Adolescenti" o "Fanciulli").
Come indica il nome, essi sono di origine laziale (Supino è nelle vicinanze di Frosinone) e si spostarono, verso la fine del XV secolo, in Umbria e di qui in Toscana, a Empoli dove sono attestati alla metà del Cinquecento. Attivi anche sulle piazze di Pontedera e di Pisa, dopo il 1571 furono rinchiusi per un ventennio nel ghetto di Firenze.
Prima della fine del secolo riuscirono però a insediarsi a Pisa e poi a Livorno, città entrambe dove, grazie agli interventi granducali, non era previsto il ghetto. Impegnati nel commercio mediterraneo ed europeo, furono fra i promotori del rientro degli ebrei in Inghilterra nella seconda metà del Seicento.

La famiglia fu rilevante in campo culturale, religioso e mercantile anche nel corso del Settecento. Ma è soprattutto a partire dalla metà dell'Ottocento che i Supino divennero protagonisti nella società pisana, a partire da Moisé Supino, mercante, patriota e grande collezionista.
Fra i figli di Moisé il più noto fu Igino Benvenuto (1858-1940), fondatore del Museo Civico di Pisa e riorganizzatore del Bargello di Firenze, professore di storia dell'arte a Bologna e grandissimo conoscitore dell'arte medievale italiana e pisana.
Ma non furono da meno gli altri figli di Mosé, a cominciare da Davide, ordinario di diritto commerciale, rettore dell'Università di Pisa dal 1898 al 1920 e senatore.
Vittorio (1852-1923) fu presidente della Camera di Commercio di Pisa dal 1905 al 1922; Camillo (1860-1932) fu professore ordinario di economia politica all'Università di Pavia; Raffaello (1867-1907) fu primario medico e padre del generale Paolo Supino; infine Felice Buonanno (1870-1946), fu ordinario di zoologia presso l'Università di Milano.
Con le successive generazioni ci sono state da un lato una rilevante presenza politica a Pisa fino agli anni '70 del Novecento e dall'altro una "emigrazione" di grande rilievo, in campo universitario, militare e artistico (ad esempio il monumento nel cortile della Sapienza di Pisa per i caduti di Curtatone e Montanara è opera di Gigi Supino, figlio di un altro figlio di Moisé, Emilio).

Si tratta dunque di una storia a tutto campo, in chiave di trasversalità, di interdisciplinarità e di varietà di intrecci (storia medievale, moderna e contemporanea; storia dell'arte, storia politica, storia economica e sociale; storia dell'Università; storia dell'ebraismo; storia religiosa a tutto campo, perché uscì dalla famiglia Supino anche una suora, amica in gioventù di Enrico Fermi). In più, si è data rilevanza a un ambito di studi ancora poco frequentato: la storia della "diaspora" pisana, della "nostalgia" per Pisa: ad esempio Igino Benvenuto Supino venne a morte nel 1940 a Bologna, ma chiese e ottenne di essere sepolto a Pisa; un suo figlio, Giulio, protagonista della Resistenza, morì a Firenze nel 1978, ma si fece seppellire anche lui a Pisa.
È infine da sottolineare che, partendo dalla figura di Igino Benvenuto Supino, abbiamo avuto l'opportunità di contribuire a diffondere l'immagine del Museo pisano di San Matteo.

Interventi di Franco Angiolini, Monica Baldassarri, Silvio Balloni, Michele Battini, Maria Giulia Burresi, Patrizia Castelli, Marco Collareta, Claudio Di Polo Saibanti, Bruno Di Porto, Massimo Ferretti, Lucia Frattarelli Fischer, Antonella Gioli, Donata Levi, Michele Luzzati, Dario Matteoni, Emanuele Pellegrini, Stefano Renzoni, Michele Sarfatti, Mirella Scardozzi, Rosanna Supino, Valentina Supino, Raffaello Teti e Stefano Villani.

(Ogni Sette, 18 giugno 2014)


Israele ripiomba nell'incubo del sequestro. Ecco cosa c'è dietro

Il Mossad aveva previsto il rapimento dei tre studenti. Hamas vuole fermare la legge sulla liberazione di detenuti.

di Giulio Meotti

ROMA - Il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, Benny Gantz, annuncia un'operazione estesa per trovare la cellula e i mandanti del rapimento di tre ragazzi scomparsi da giovedì sera, Gilad Shaer, Naftali Frenkel ed Eyal Yifrach. Nella più imponente operazione militare israeliana condotta nei Territori da molti anni, Tsahal ha arrestato ottanta operativi e dirigenti di Hamas, accusata dal premier Benjamin Netanyahu di aver orchestrato il rapimento. Da quando sono scomparsi i tre studenti, Hamas aveva ordinato il silenzio radio. Il movimento islamico, da pochi giorni parte del governo di unità palestinese di Abu Mazen, respinge le accuse, ma intanto da Gaza lancia due missili sul sud d'Israele, dove è stato dislocato il sistema antimissili Iron Dome. A rivendicare il rapimento ci sono però anche lo Stato islamico di Iraq e Siria e le Brigate dei martiri di al Aqsa, i paramilitari del gruppo governativo al Fatah, ma intelligence e analisti israeliani concordano sulle responsabilità del movimento che governa Gaza dal 2007.
   Israele ha arrestato Aziz Duwaik, speaker del Parlamento palestinese, e il capo di Hamas in Cisgiordania, lo sceicco Hassan Yousef, che è stato fra i fondatori del movimento islamista. In pratica tutta la dirigenza di Hamas nei Territori è adesso in carcere. Gerusalemme sta usando le detenzioni amministrative per intimidire Hamas e costringerla a rilasciare i tre studenti. Non deve ripetersi il caso Gilad Shalit, quando Hamas ottenne mille terroristi per la sua liberazione.
   Intanto i riservisti dell'esercito israeliano, i "miluim", sono stati richiamati in servizio e la città di Hebron, la più grande dei Territori, è già circondata dall'esercito israeliano e sotto il coprifuoco. Gerusalemme sta collaborando con il generale egiziano Abdel Fattah al Sisi, per impedire che i tre ragazzi israeliani vengano fatti entrare in territorio di Gaza o peggio nel Sinai, e lì usati come merce di scambio per il rilascio di altri terroristi palestinesi. Israele sta valutando la deportazione di dirigenti islamisti a Gaza e il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, annuncia la possibile ripresa dei "targeted killings" contro i capi del terrore. Yaalon ha anche rivelato che i servizi segreti israeliani hanno sventato "una dozzina" di tentativi di rapimento soltanto nel 2014. Altri membri del governo israeliano chiedono di arrestare di nuovo i terroristi liberati.
   Dieci giorni fa, in una riunione di gabinetto sulla sicurezza, il capo del Mossad Tamir Pardo aveva previsto il tentativo di sequestro dei tre studenti israeliani. "Cosa fareste se in una settimana tre ragazze di quattordici anni fossero rapite da uno degli insediamenti?", ha chiesto Pardo ai ministri presenti. "Volete dire che c'è una legge, e noi non rilasciamo i terroristi?". Al centro dello scontro la legge, osteggiata dal Mossad e voluta dalla destra di Naftali Bennett, che renderebbe impraticabile la futura liberazione dei terroristi.

- "Devono morire in carcere, non a casa"
  Il governo israeliano si è appena pronunciato a favore di un emendamento che legherà le mani del presidente israeliano nella sua funzione di impartire la grazia a detenuti condannati per atti di terrorismo. Secondo la bozza, che verrà presentata alla Knesset per il voto finale all'inizio dell'estate, i giudici potranno condannare i detenuti a ergastoli esclusi da ogni possibile amnistia presidenziale, privando così il governo di uno strumento che in passato è servito per gli scambi di prigionieri e per gli accordi con la controparte palestinese. "E' giunto il momento di cambiare l'orientamento generale", ha detto Netanyahu al governo, che aveva infatti bloccato la quarta ondata di scarcerazioni nell'ambito dei colloqui con Ramallah. Secondo statistiche israeliane, dal 1982 Israele ha rimesso in libertà 17 mila terroristi in cambio di diciassette soldati israeliani. Lo scambio è stato strategico in numerosi colloqui con i palestinesi. Ma l'opinione pubblica è diventata sempre più ostile.
   Secondo i due autori dell'emendamento - Ayelet Shaked (Focolare ebraico) e Yariv Levin (Likud) - non potranno beneficiare della grazia presidenziale "quanti si siano macchiati dell'uccisione di bambini o di famiglie". Analisti israeliani ipotizzano che il rapimento dei tre studenti potrebbe essere una risposta alla legge anti terrorismo. Gli islamisti di Hamas, infatti, puntano su questi scambi dal 1985, quando Israele liberò 1.150 uomini per tre soldati, fra cui i responsabili del massacro di ventisette cittadini all'aeroporto Ben Gurion. Ottocento di quei terroristi tornano nei Territori formando la dirigenza della prima Intifada. "Lo stato di Israele - ha dichiarato Naftali Bennett, ministro dell'Economia - ha aperto una nuova pagina nella sua guerra al terrorismo e nel suo obbligo morale alle famiglie delle vittime. Gli assassini dovrebbero morire in prigione, non essere celebrati a casa".
   I tre studenti rapiti studiano alla scuola del famoso talmudista Adin Steinsaltz nella yeshiva di Kfar Etzion, il più strategico insediamento del Gush Etzion verso Gerusalemme, a trenta chilometri dalla capitale per una strada dove è meglio viaggiare con l'auto blindata e vi sono stati centinaia di agguati mortali. Decine di migliaia di ebrei si sono radunati intanto da giorni al Muro del pianto a Gerusalemme per pregare per la liberazione dei tre studenti. Sullo stile delle ragazze nigeriane rapite da Boko Haram è stata lanciata anche la campagna mediatica "Bring Back Our Boys". E mentre la moglie del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Amina Abbas, veniva curata nell'ospedale israeliano Assuta di Tel Aviv, la pagina Facebook di Fatah inneggiava al rapimento dei tre studenti israeliani. Tre topolini con la stella di David pescati da un palestinese. Studenti all'Università palestinese Birzeit distribuivano invece dolci ai passanti.
   Ogni ora che passa rende sempre più difficile ritrovare i tre studenti, o per dirla con il ministro della Difesa Yaalon, "che siano ancora in vita". Le prime ore furono fatali per far scomparire Shalit in un buco sotto terra a Gaza.

*

Il mondo applaude al sequestro degli israeliani

di Giulio Meotti

Sembra la soluzione perfetta al problema dei "coloni ebrei". Tre ragazzi rapiti e scomparsi nel bel mezzo della notte. Nessuno sa dove sono. Sono stati cancellati dall'album dei viventi. Rubati alle loro famiglie da una banda di terroristi e tagliagole. Washington, l'Europa, le Nazioni Unite, le ong, i media, saranno tutti molti soddisfatti per quello che sta succedendo.
Sono gli stessi che non vedono problemi nel costruire uno "stato palestinese" con i terroristi e che sarebbe il primo a vietare ufficialmente gli ebrei dai tempi della Germania nazista. Nessuno, non certo Michelle Obama, userà i penosi selfie per chiedere la liberazione dei tre studenti del Talmud, come era successo nel caso, anche quello ipocrita, delle ragazze nigeriane nelle mani dei barbari di Boko Haram (per non parlare del marito, Barack Hussein, che non ha ancora condannato il rapimento). Quei tre ragazzi israeliani rappresentani un affronto intollerabile che deve essere sradicato e rimosso se si vuole che ci sia "la pace in Medio Oriente". Essi non sono i figli nativi della Giudea, ma "occupanti". Quei tre ragazzi sono gli ebrei che legioni di occidentali amano odiare. Gli stessi occidentali che da sempre giustificano qualsiasi tipo di attacco contro di loro, fucilate, kamikaze, sgozzamenti. Questo è vero anche per le centinaia di docenti universitari e giornalisti che in Israele non aspettano altro che il momento in cui il governo israeliano sradicherà centinaia di migliaia di loro. Preghiamo per il ritorno di quei tre ebrei coraggiosi e innocenti. Ma il mondo, intimamente, sta applaudendo al loro sequestro. E tace.

(Il Foglio, 18 giugno 2014)


Rafforzate le ricerche per trovare i tre israeliani rapiti

L'esercito israeliano batte la zona della Cisgiordania



ROMA - E' caccia all'uomo per ritrovare i tre giovani rapiti in Cisgiordania. Rafforzate le ricerche e centinaia i militari dell'esercito israeliano impiegati nelle operazioni in tutta l'area mediorientale. L'esercito ha arrestato negli ultimi cinque giorni circa 200 palestinesi, molti dei quali appartenenti ad Hamas."Finchè i nostri ragazzi saranno nelle loro mani, Hamas sentirà che siamo sulle tracce. Siamo determinati a sconfiggere il gruppo terroristico, a smantellare l'organizzazione", ha affermato un portavoce dei militari israeliani.Secondo la radio militare, l'esercito sta battendo anche il territorio di Ramallah, dove ha sede l'Autorità nazionale palestinese, Betlemme e, al nord, Jenine e Tulkarem.Il premier Benjamin Netanyahu ha imputato il rapimento ad Hamas, che tuttavia non l'ha ancora rivendicato.

(TMNews, 18 giugno 2014)


Firenze - Balagan Cafè: Amanda Sandrelli l'ospite d'eccezione

Prosegue l'evento estivo della Comunità ebraica di Firenze
Sarà l'attrice e regista Amanda Sandrelli l'ospite d'eccezione del Balagan Cafè di giovedì 19 giugno che prenderà avvio nello splendido giardino della Sinagoga in Via Farini, 6, come tutti i giovedì dell'estate dalle ore 19:00.
L'appuntamento clou è alle 21:15, quando Amanda Sandrelli interpreterà le tre voci del testo "CredoinunsolODIO" di Stefano Massini - tre personaggi, una professoressa israeliana, una ragazza palestinese, una soldatessa americana, le cui vicende si intrecciano nella Israele di oggi, tutte affidate alla voce di Amanda e alla musica, altra coprotagonista, con l'Orchestra Multietnica di Arezzo che esegue musiche di Enrico Fink.
Amanda Sandrelli incontrerà il pubblico alle 19:00, e sarà un'occasione per conoscerla da vicino e chiederle del suo lavoro e dell'impegno nell'affrontare questo difficile testo.
Alle ore 20 sarà allestito il buffet tipico di sapori ebraici firmato dallo chef Jean Michel Carasso e preparato dal ristorante Kosher Ruth's: il tema di questa sera è un esotico incontro fra cucina ebraica indiana, dedicato alla comunità Bené Israel di Bombay e alle sue tradizioni culinarie. L'apericena può essere acquistata anticipatamente presso la biglietteria del Museo (tel 055 2346654 - mailsinagoga.firenze@coopculture.it) o in apertura di serata al bookshop CoopCulture nel giardino della Sinagoga, dove sarà possibile trovare anche libri, musica e gadget "balaganici".
Appuntamento in giardino anche al Balagan Bistrot, dove il classico cocktail Balagan Bittersweet sarà accompagnato da altre bevande e stuzzichini.
Anche questo giovedì sarà attivo uno spazio per i bambini, dove divertirsi e giocare in sicurezza.
Da non mancare alle 20.45 e 22.15 alle visite accompagnate in Sinagoga al prezzo ridotto di 3.50 euro, per scoprire in orari fuori dal consueto uno dei monumenti più suggestivi della città e la comunità che lo anima.

(nove da Firenze, 17 giugno 2014)


Turismo enogastronomico: eductour e workshop con otto tour operator di Israele

RIMINI - Otto tour operator israeliani saranno in Emilia Romagna, dal 18 al 23 giugno, per un educational tour alla scoperta della ricca offerta del suo turismo enogastronomico e per partecipare, il 20 giugno al Castello Estense di Ferrara, a un workshop alla presenza di 14 operatori turistici regionali.
  L'iniziativa - promossa da Apt Servizi in collaborazione con la Camera di Commercio italiana a Tel-Aviv e la compagnia aerea Turkish Airlines - fa parte degli interventi del progetto sperimentale dedicato alla "food experience" (realizzato in collaborazione con Unioncamere e l'assessorato all'Agricoltura dell'Emilia Romagna) in vista dell'Expo 2015 di Milano, importante opportunità per incrementare in regione l'internazionalizzazione delle presenze turistiche. Analoghi workshop - con la partecipazione della stessa "squadra" regionale di operatori economici - si sono svolti il 16 aprile a San Paolo del Brasile all'interno di WTM Latin America, il 30 aprile a Bologna in collaborazione con il Buy Emilia RomagnaRomagna, il 31 maggio a Bologna in collaborazione con le 100 Città d'Arte dell'Emilia Romagna e lo scorso 4 giugno a Londra. In particolare l'intervento della compagnia aerea Turkish Airlines - che garantisce dall'aeroporto di Bologna due voli giornalieri da e per Istanbul - fa parte di un accordo di collaborazione con Apt Servizi che riguarda la promozione dell'Emilia Romagna nei mercati asiatici a medio e lungo raggio.
  Il programma dell'eductour inizierà nel pomeriggio di mercoledì 18 giugno a Bologna con l'arrivo all'aeroporto "Marconi" dei tour operator israeliani e la cena sarà preceduta da una breve passeggiata guidata nel centro storico. Il giorno dopo il programma prevede la visita al Museo Ferrari di Maranello, ad un'Acetaia di Produzione dell'Aceto Balsamico di Modena (a Formigine), al caseificio di produzione di Parmigiano Reggiano "Hombre" (a Modena). Il gruppo si trasferirà poi nel centro di Modena per il pranzo preceduto dalla visita dei Patrimoni Unesco: Piazza Grande, Duomo e Ghirlandina. Raggiunta Ferrara - altra città d'arte dell'Emilia Romagna con monumenti tutelati dall'Unesco e dove sorgerà il Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS) - i tour operator israeliani saranno accompagnati in un breve tour del centro storico prima della presentazione, presso l'hotel "Ferrara", della destinazione Emilia RomagnaRomagna e della compagnia Turkish Airlines. La mattinata del 20 giugno sarà dedicata, presso il Castello Estense di Ferrara, al workshop sul turismo enogastronomico di esperienza in Emilia RomagnaRomagna, mentre nel pomeriggio il gruppo raggiungerà Ravenna - altra città d'arte regionale con Patrimoni Unesco - per una visita guidata al centro storico e ai mosaici della Basilica di San Vitale e del Mausoleo di Galla Placidia.
  Il giorno successivo i tour operator israeliani visiteranno, a Bertinoro, una cantina vitivinicola prima di trasferirsi al Grand Hotel Terme della Fratta per il pranzo e un momento di relax nella SPA del centro termale. Nel tardo pomeriggio è previsto il trasferimento a Casa Artusi di Forlimpopoli dove gli ospiti assisteranno ad una lezione di cucina sulla preparazione della pasta fatta a mano e della piadina romagnola. Dopo la cena a Casa Artusi il gruppo parteciperà alla serata inaugurale della Festa Artusiana di Forlimpopoli.
  Domenica 22 giugno i tour operator si trasferiranno a Rimini dove prenderanno parte ad un evento della rassegna enogastronomica "Al Mèni": la colazione-pic nic "Déjeuner sur l'herbe" nei giardini del Grand Hotel preparata dallo chef dell'albergo Claudio di Bernardo in collaborazione con Massimo Bottura e gli chef di "Al Mèni".
  Dopo il pranzo presso un agriturismo di Montegridolfo, nelle colline Riminesi, sono previste tappe a Mondaino (dove figuranti in costumi d'epoca accompagneranno gli ospiti alla scoperta del borgo e dove degusteranno il locale Formaggio di Fossa) e a Verucchio.
  Lunedì 23 giugno i tour operator visiteranno, in Valmarecchia, il borgo medievale di San Leo con la sua Rocca e concluderanno il tour - prima del rientro in Israele dall'aeroporto di Bologna - in un agriturismo di Santarcangelo di RomagnaRomagna dove assisteranno ad un mini cooking show dedicato ad un dolce tipico romagnolo.
  Questi sono gli operatori emiliano romagnoli che prenderanno parte al workshop del 20 giugno presso il Castello Estense di Ferrara: Argante Viaggi di Antea (Parma), Bologna Welcome (Bologna), Club di Prodotto Reggio Tricolore (Reggio Emilia), Costa Food Hotels (Riccione), Emiltur Blu (Modena), Food Valley Travel & Leisure (Parma), Larus Viaggi (Lido degli Scacchi-Ferrara), Modenatur (Modena), Ospitalità a Bologna (Bologna), Parma Incoming (Parma), Ravenna Incoming (Ravenna), Romagna Fulltime (Forlì), Tourinbo (Bologna), Trekkingitaly.net by Promoappennino (Zocca-Modena).
Ufficio Stampa Apt Servizi - Tel. 0541-430.190 - www.aptservizi.com

(informazione.it, 17 giugno 2014)


Libro anti-Israele presentato nella sala comunale di Milano

Sinistra per Pisapia organizza la presentazione di un libro schierato a favore della Palestina: durissima replica di alcuni consiglieri del Partito democratico

di Massimiliano Melley

 
Esplode la polemica nella maggioranza di centrosinistra, a Milano, su Israele e Palestina. Da una parte un convegno di presentazione di un libro, dall'altra alcuni consiglieri del Partito democratico e anche il vicesindaco Lucia De Cesaris.
Il 20 giugno si terrà (in una sala dell'Arena, che è un edificio comunale) la presentazione di "Vivere con la spada - il terrorismo sacro d'Israele", di Livia Rokach. L'incontro è organizzato dal gruppo consiliare Sinistra per Pisapia e vede tra gli altri la partecipazione di Anita Sonego, consigliera comunale. Dell'autrice il volantino dice tra l'altro che "nessuno volle pubblicare il suo libro in Italia. I sionisti fecero di tutto per ostacolarla".
"Non è accettabile che questa presentazione abbia luogo in una sala del comune di Milano", replicano i consiglieri del Pd Ruggero Gabbai, David Gentili, Anna Scavuzzo e Rosaria Iardino, insieme con la De Cesaris: "Questo libro e il volantino allegato usano termini falsi ed iniqui (sionismo mondiale, crimini e pulizia etnica dei sionisti) che tendono a stigmatizzare il conflitto mediorientale come una realtà dove Israele è il carnefice e i palestinesi le vittime innocenti".
"Milano in vista di Expo - continuano - vuole essere città del dialogo e del confronto sincero tra israeliani e palestinesi come più volte auspicato dal sindaco dopo il suo viaggio in Medio oriente".

(MilanoToday, 17 giugno 2014)


Aaron Fait e il progetto Irrigate: come irrigare le vigne nel deserto

La collega blogger di Tipi Tosti Cinzia Ficco ha incontrato Aaron Fait, che ha ideato e realizzato il progetto Irrigate, per irrigare i vigneti nel deserto

Il tipo tosto questa volta è Aaron Fait, ricercatore, nato a Bolzano quarantuno anni fa da madre ebrea, che oggi vive e lavora nel deserto del Negev in Israele. È lui che ha ideato e realizzato il progetto Irrigate. Ed è per merito della sua attività che alcuni scienziati italiani stanno collaborando con quelli israeliani. Alcuni anni fa Aaron ha avuto la possibilità di lavorare per un Istituto di ricerche di Berlino. Ha preferito trasferirsi nel deserto del Negev, a 600 metri sul mare e fare i suoi studi al Campus di Sde Boqer dell'Università Ben Gurion. In quella zona è vissuto ed è sepolto David Ben Gurion (politico israeliano, fondatore di Israele e prima persona a ricoprire l'incarico di Primo Ministro di quel Paese). Lì Aaron studia come trasformare un terreno arido in uno fertile. Per questo parla di rapporto "erotico" con il deserto, il luogo - dice - "che da arido può diventare creativo e in cui, se taci, parla il vento con le sue carezze"....

(Ambient&Ambientim 17 giugno 2014)


Deputata araba della Knesset difende i sequestratori

Hanin Zuabi sui rapitori dei tre ragazzi: «Non sono terroristi».

Hanin Zuabi
Polemica in Israele per la vicende dei tre ragazzi ebrei prelevati giovedì, 12 giugno, in Cisgiordania. Nell'occhio del ciclone è finita la parlamentare araba israeliana Hanin Zuabi accusata di aver mostrato comprensione verso i sequestratori. Gli autori del sequestro «non sono terroristi», ha detto alla radio, «bensì persone che non vedono alcuna apertura per cambiare la loro situazione e che sono costrette a ricorrere a quei metodi fintanto che Israele tornerà in sé e avvertirà la sofferenza altrui».

CRITICA DI PARLAMENTARI ISRAELIANI - La Zuabi era già stata al centro di polemiche per aver partecipato alla missione della Marmara, la nave passeggeri turca che nel maggio 2010 cercò di spezzare il blocco israeliano a Gaza e che fu fermata con un cruento raid di una unità speciale della marina israeliana.
La nuova presa di posizione della Zuabi (eletta alla Knesset nelle fila della lista nazionalista araba Balad) ha destato la immediata riprovazione di parlamentari israeliani di destra. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha subito definito la parlamentare «una terrorista».

MINACCE DI MORTE DI PALESTINESI - Dopo il sequestro, un giovane parente della Zuabi, Muhammad Zuabi, aveva pubblicato su Facebook un messaggio di solidarietà con i tre ragazzi rapiti che aveva destato grande interesse in Israele. Ma da allora il giovane è sottoposto a minacce anonime di morte. Secondo la radio militare, la polizia ha dunque deciso di garantirgli protezione sia a casa sia nella scuola da lui frequentata.

(Lettera43, 17 giugno 2014)


Si noti la differenza: critiche da parte israeliana, minacce di morte da parte palestinese.


Pavia - I Tesori di Orfeo, musica rara stasera al Fraschini

Canti e danze di compositori di cultura ebraica dal Rinascimento al XX secolo. Ingresso
libero, ore 21.


S'intitola "Adio querida" il concerto di canti e danze di compositori ebrei e sefarditi dal Rinascimento al XX secolo che l'ottava stagione di musica antica "I Tesori di Orfeo", organizzata dall'Istituto Vittadini con il Comune, propone per questa sera alle 21 nel Ridotto del Teatro Fraschini. Ad eseguire il programma - adattato per due voci, quattro flauti dolci, liuto, tiorba e due chitarre - sarà l'ensemble che dà il nome alla rassegna "I Tesori di Orfeo", diretto dal flautista dolce Simone Erre, che così commenta la nuova proposta musicale: «Il programma di questa sera si presenta davvero molto interessante, per la straordinaria bellezza del repertorio, di rara esecuzione, che siamo riusciti a recuperare. Vi si ritrovano composizioni che appartengono al genere della musica che, per semplificare, definiamo "colta", e che vanno ad affiancare e completare una selezione di brani tratti dal patrimonio, altrettanto prolifico e prezioso, della musica popolare. Il filo rosso che unisce questi due repertori paralleli è rappresentato dal fatto che i compositori presenti sono tutti di religione ebraica e, in particolare le composizioni popolari, appartengono al repertorio spagnolo sefardita. Per meglio differenziare i repertori, poi, ho scelto organici fra lo loro contrastanti: i flauti dolci, il liuto e la tiorba da una parte, a rappresentare il mondo del Rinascimento, e le voci e le chitarre dall'altra, a rivelare il mondo popolare. Naturalmente la strumentazione non è così schematica, e stupiremo il pubblico con alcune sorprese». Quanto all'ensemble, che dirige ormai da quattro anni, Erre afferma: «Sono molto contento di poter dire che la formazione "I Tesori di Orfeo" è molto cresciuta in questi anni: l'anno scorso l' ensemble si è esibito in diretta a Radio Rai 3 e, sempre su Radio Rai 3, il nostro cd "Air sur les Folies d'Espagne" prodotto dal Vittadini è stato presentato come novità discografica e ha incontrato grande successo di pubblico e di critica - dice il direttore e flautista - A questo si aggiunge il fatto che il 7 e 8 giugno scorsi siamo stati ospiti del Festival Fimu di Belfort, in Francia, dopo essere stati selezionati tra 560 ensemble provenienti da tutto il mondo».

(la Provincia pavese, 17 giugno 2014)


Il terrorismo colpisce ancora in Cisgiordania

di Cristofaro Sola

 
I tre ragazzi spariti in Cisgiordania: Naftali Frankel, Gil-ad Sha'er e Eyal Yifrach
Lo scorso giovedì tre adoloscenti di nazionalità israeliana sono stati rapiti nella zona di Gush Etzion, a sud-ovest di Gerusalemme, nel territorio della Cisgiordania. Gilad Sha'er, Naftali Frankel e Eyal Yifrah, questi i loro nomi. Il rapimento sarebbe stato rivendicato dal movimento salafita semisconosciuto "Dawlat al -Islam". Il gruppo criminale dichiara di riconoscersi nell'Isis, l'autoproclamato stato islamico di Iraq e Siria, dove, in queste ore, scorrono fiumi di sangue a causa di una nuova "guerra santa". Tuttavia il governo di Gerusalemme non crede alla estraneità di Hamas dalla vicenda. Ne ha buoni motivi.
   Le fonti di intelligence, impegnate nella ricerca, riferiscono di un'accertata responsabilità diretta del gruppo terroristico che controlla la Striscia di Gaza. Non sono soltanto gli israeliani a pensarla così. Un autorevole conferma è giunta dal segretario di Stato Usa. John Kerry, parlando con la stampa, ha detto che si stanno "ancora cercando dettagli, anche se molti indizi indicano un coinvolgimento di Hamas". Ma il timbro definitivo sul certificato di paternità del rapimento lo ha messo la stessa organizzazione terroristica, quando un suo esponente di primo piano, Osama Hamdan, ha candidamente dichiarato che i palestinesi dovrebbero approfittare di questo orrendo crimine per farne "un tema nazionale in modo da ottenere il miglior risultato e non lasciare una piccola fazione a negoziare il rilascio dei prigionieri palestinesi".
   Il sequestro avrebbe dunque una finalità estorsiva, magari da far pesare al tavolo delle trattative per la pace. Sulla pagina Facebook di Fatah è apparsa una vignetta che mostra una mano palestinese che tiene una canna da pesca da cui pendono tre topi marcati sul dorso con la Stella di David. Sotto, una didascalia che dice: "Un colpo da maestri". In realtà, a noi sembrerebbe più un colpo da vigliacchi che sanno prendersela solo con donne, vecchi e ragazzini indifesi. E, per quanto i membri più rappresentativi e colti della comunità palestinese facciano continue professioni di fede nei supremi ideali di libertà e di grandezza del loro popolo, resta il fatto che anche costoro restano travolti dal disonore per l'agire dei soliti "galantuomini". Loro li chiamano "eroi", invece sono nient'altro che spregevoli criminali.
   Questa dolorosa vicenda ha messo in evidenza, ancora una volta, la sostanziale doppiezza morale dell'Autorità Nazionale Palestinese che, se da una parte si dichiara estranea all'azione terroristica, dall'altra non fa nulla per recidere di netto ogni legame con coloro i quali, attraverso l'annientamento dei civili, intendono portare alle estreme conseguenze il conflitto con Israele. Ma tale responsabilità non è soltanto palestinese. Essa deve essere condivisa con i Paesi del blocco occidentale, nessuno dei quali ha fatto sentire la propria voce per stigmatizzare la decisione di Abu Mazen di stringere un patto di governo con i terroristi di Hamas.
   L'amministrazione Obama e l'Unione Europea di Martin Schulz e Catherine Ashton, che tanto hanno coccolato i dirigenti dell'Anp, anche contro le legittime preoccupazioni espresse dal governo di Benjamin Netanyahu, avrebbero dovuto fare ferro e fuoco per impedire che l'Autorità Palestinese facesse quell'insensato balzo indietro nelle tenebre. Tutti hanno taciuto lasciando sola Israele a fronteggiare la nuova minaccia.
   Ora, però, non è il tempo di polemiche. Gli sforzi devono essere concentrati a ritrovare, possibilmente vivi, i tre adolescenti rapiti. L'apparato di difesa interna dello Stato ebraico è stato allertato. Gli israeliani hanno un senso molto radicato della propria difesa. Per loro fortuna non sono stati contaminati dalle celestiali visioni del "buonismo" all'italiana. Le forze di sicurezza di Gerusalemme, com'è prassi in simili circostanze, useranno il pugno di ferro per stanare i colpevoli. Noi occidentali dovremmo quantomeno avere il buon gusto di dire chiaramente che il nostro cuore è con quei tre ragazzi, con le loro famiglie, che stanno soffrendo il dolore più grande e con Israele, che è in pena per la sorte di tre suoi figli ancora troppo giovani per meritare di conoscere il male tanto da vicino.
   Riusciranno i nostri rappresentanti politici a biascicare qualcosa che sia un po' più sentita dell'esangue dichiarazione di solidarietà rilasciata ieri l'altro dal nostro ministro degli Esteri, o la paura di scontentare qualcuno li farà tenere con le bocche ben cucite?

(L'Opinione, 17 giugno 2014)


Ferrara 'capitale' italiana della cultura ebraica

Scelta quale capofila per la Giornata europea 2014

di Pierfrancesco Giannangeli

FERRARA, 17 giugno 2014 - Ferrara sarà la città capofila della XV Giornata della cultura ebraica, in programma il prossimo 14 settembre. A confermare la notizia è Emanuele Ascarelli, direttore del dipartimento Relazioni esterne dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Per la città estense - sede di uno dei più antichi insediamenti italiani, del Meis (il Museo dell'Ebraismo e della Shoah) e della Festa del libro ebraico - si tratta di un riconoscimento di altissimo profilo, che tra l'altro arriva in un momento difficile, con la sinagoga ancora chiusa dopo il terremoto.
Per dare la misura di cosa sia la Giornata della cultura ebraica, basti pensare che all'apertura dell'edizione dell'anno scorso, a Napoli, era presente anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.Ogni anno, per ospitare la manifestazione, si candidano diverse città e stavolta la giunta dell'Ucei ha scelto Ferrara per la storia della presenza ebraica in città, una storia che viene da lontano e che risale ai tempi delle corti Estensi. Oggi è una piccola comunità, ma, come spesso ripete il rabbino Luciano Meir Caro, è vivace e vuole a tutti i costi sopravvivere.Alla Giornata della cultura ebraica partecipano ogni anno, ufficialmente, una settantina di località. Ufficialmente, perché poi magari ce ne sono ancora delle altre che sfuggono alla mappatura. Il tema del 2014 sarà "La donna nella cultura ebraica", un argomento legato al concetto di "donna sapiens".
L'organizzazione nazionale sta muovendo i primi passi e, come è facile capire, è molto complessa. Tutte le città partecipanti sono libere nel decidere cosa fare relativamente al tema, mentre a Ferrara sono previste mostre, conferenze, spettacoli, presentazione di libri, viaggi nella gastronomia, spazi aperti per confronti e dibattiti, e anche attività per bambini. Insomma, ci sarà tutto ciò che è utile agli «assaggi di cultura ebraica» come li definisce Emanuele Ascarelli. Da segnalare che quest'anno la Giornata della cultura ebraica sarà intersecata, nella sue attività, dalla manifestazione "Jewish and the City" a Milano e dal Festival della letteratura ebraica a Roma.
«Esprimo compiacimento per la scelta - commenta il rabbino Luciano Meir Caro -. Ferrara lo merita per l'importanza che ha avuto dal punto di vista culturale e per la vivacità che oggi la nostra pur piccola comunità dimostra. La designazione arriva in un momento critico, molti locali sono inagibili. Avere allora una maggiore visibilità a livello nazionale potrebbe stimolare, forse, un'accelerazione dei lavori. E' questo il momento giusto e testimonia la nostra volontà di sopravvivere». Sullo stesso tono Riccardo Calimani, presidente della Fondazione Meis. «E' una scelta molto opportuna, che getta un fascio di luce anche sul Meis e su quanto sia fondamentale la nascita di un museo nazionale che racconti ventidue secoli di storia. Conferma inoltre l'importanza della storia degli ebrei di Ferrara nella più generale storia degli ebrei italiani».

(Il Resto del Carlino, 17 giugno 2014)


Per Hamas il rapimento dei giovani israeliti è un onore

Il rapimento dei tre giovani israeliani avvenuto giovedi' scorso in Cisgiordania e' "un onore che non possiamo attribuirci". Lo ha affermato il parlamentare di Hamas nel consiglio legislativo palestinese, Mushir al-Masri, in una dichiarazione riportata sul sito del movimento in risposta alle accuse del premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
L'esponente del movimento radicale che sostiene la tattica del rapimento di soldati israeliani come mezzo di scambio per ottenere la liberazione dei palestinesi detenuti nello Stato ebraico, ha ribadito che "le fazioni devono competere tra di loro per la liberazione dei prigionieri" ed il loro rilascio deve essere "un motivo di onore per noi".
Al-Masri, tuttavia non ha solo smentito il coinvolgimento di Hamas, ma ha definito rapimento come "un romanzo sionista per eccellenza", sottolineando che "finora nessuna fazione palestinese ha rivendicato il presunto rapimento".

(Adnkronos, 16 giugno 2014)


In Israele i robot subacquei della flotta Tifone alla caccia di tesori

 
 
 
Scandaglieranno i fondali davanti alle coste tra Caesarea e Akko, per un'indagine archeologica, alla ricerca di tesori sommersi. Protagonisti della missione sono i robot subacquei della flotta Tifone, ideati dai ricercatori dell'Università di Firenze, che dal 17 giugno al 1o luglio saranno impegnati in una missione in collaborazione con l'Israel Antiquities Authority.
  Nei fondali antistanti le coste israeliane si trovano relitti di tutte le epoche e i resti un villaggio neolitico (Atlit Yam) sommerso in seguito alla fine delle glaciazioni. La missione archeologica israeliano-americana che si occupa delle indagini ha chiesto la collaborazione del team di ricercatori fiorentini, coordinato da Benedetto Allotta, con la sua flotta di veicoli sottomarini: TifOne e TifTu, due robot subacquei autonomi, progettati dal Dipartimento di Ingegneria industriale con la collaborazione del Centro "Enrico Piaggio" dell'Università di Pisa e Nemo, un robot filoguidato, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Scienza della Terra dell'Ateneo fiorentino e con la Protezione Civile per l'emergenza Costa Concordia. I Tifoni e Nemo aiuteranno gli archeologi nel lavoro di scoperta di nuovi relitti e reperti sommersi, di documentazione dei siti scoperti e pianificazione dei nuovi lavori da effettuare.
  I due Tifoni - realizzati nell'ambito del progetto regionale "Thesaurus", attivo da marzo 2011 ad agosto 2013 - hanno una lunghezza di 3,7 metri, un peso di 170 chilogrammi, e possono superare i 5 nodi di velocità con un'autonomia di 8 ore. TifTu navigherà in superficie con l'antenna emersa, sarà localizzabile grazie al segnale GPS e potrà localizzare a sua volta TifOne, che navigherà in immersione.
  "I due veicoli potranno scambiare informazioni tramite strumenti di comunicazione chiamati modem acustici - spiega Benedetto Allotta, ordinario di Meccanica applicata alle macchine - TifOne ha a bordo i sensori che acquisiscono i dati di interesse archeologico, ovvero due telecamere e un sonar a scansione laterale (SSS = Side-Scan Sonar). Ha inoltre un sistema di navigazione accurato che consente di "sbagliare poco" nella propria localizzazione anche se non riemerge da molto tempo e non riceve i dati di localizzazione forniti da TifTu. Le immagini georeferenziate - prosegue il docente - serviranno a effettuare una ricostruzione tridimensionale dei siti, in cui si potrà navigare virtualmente come in un videogioco.
  "Della flotta fa parte anche Nemo - spiega ancora Allotta - per il quale sono in fase di valutazione due richieste di brevetto internazionale. Il robot sarà collegato alla superficie con un cavo di comunicazione ad alta velocità e consentirà agli archeologi di essere "presenti" sulla scena, guidando il robot con un joystick
Video

(diregiovani.it, 16 giugno 2014)


Conferenza (i cibi kasher) e musica - Per i tre studenti rapiti in Israele

CASALE-SINAGOGA — Ci sono religioni dove il vino è proibito, altre dove è visto con sospetto, e ce ne una dove è praticamente obbligatorio. Lo ha spiegato molto bene domenica pomeriggio Roberta Cerruto, esperta in tradizioni ebraiche, in un nuovo appuntamento dedicato al cibo kasher organizzato alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato. Il tema, appunto, il vino, e dopo che negli incontri precedenti si è parlato di Krumiri e salame d'oca anche qui le tradizioni ebraiche si sposano perfettamente con i prodotti locali, anzi è l'occasione per presentare e assaggiare la prima Barbera del Monferrato kasher (per la cronaca prodotta da Angelino di Ottiglio). Roberta Cerruto rivela con competenza e ricchezza di aneddoti le regole del kasherut che rendono il vino adatto al consumo per gli ebrei (e se vogliamo anche più genuino e controllato) e le tantissime volte in cui la bevanda è menzionata nella Torah. Ma è soprattutto parlando delle feste che si scopre che il vino è un elemento imprescindibile della ritualità. Quattro bicchieri sono da bere durante la cena di Pasqua e non c'è altra ricorrenza che non richieda un brindisi a parte quelle dove è imposto il digiuno e il lutto. Senza contare che un leggero stato di ebrezza (la moderazioni è comunque consigliata) facilita discussione e ragionamento. Se proprio si è astemi c'è il succo d'uva.
La serata di domenica è stata invece dedicata alla musica con un nuovo appuntamento della rassegna musicale "Suono e Segno" curata da Giulio Castagnoli. Ma la Sinagoga di Casale non era l'unica aperta Italia. Tutte le comunità infatti ospitavano veglie di preghiera per ricordare i tre ragazzi, studenti di una scuola rabbinica, rapiti in Israele e anche il concerto casalese ha voluto esprimere attraverso le parole del vicepresidente Elio Carmi l'auspicio che i giovani possano tornare presto alle loro famiglie.
Davanti all'Aron si è poi esibito il duo formato da Marco Demaria al violoncello e Nicola Davico al pianoforte. Un programma tutto dedicato alla musica romantica per uno strumento che di trova molto a suo agio nell'ebraismo. Demaria ha affrontato con competenza e entusiasmo alcuni dei più bei capolavori scritti per il suo violoncello nel XIX secolo: la Sonata in fa maggiore op. 5 n. 1 (Adagio sostenuto, Allegro, Rondò, Allegro vivace) di Beethoven, la Sonata in re maggiore per violoncello e pianoforte op. 58 (Allegro assai vivace, Allegretto scherzando, Adagio, Molto Allegro e vivace) di Mendelssohn e infine il Lieder "ohne Worte" di Brahms.
La rassegna prosegue domenica 22 giugno con una puntata orientata al '900. Alle 21 in Sinagoga si esibisce Andrea Stefenell al pianoforte: in un programma musiche di Alkan, Milhaud, Bloch, Castelnuovo Tedesco.
L'ingresso a tutte le manifestazioni è libero, per informazioni 0142 71807.

(Il Monferrato, 16 giugno 2014)


Cori, il convegno sulla comunità ebraica

CORI - La comunità ebraica a Cori, il suo passato ed il suo ruolo. Se ne è parlato sabato pomeriggio presso la Sala conferenze del Museo della Città e del Territorio di Cori, nel corso della presentazione del volume "Gli Ebrei nello Stato della Chiesa. Insediamenti e mobilità (secoli XIV - XVII)" a cura di Marina Caffiero, professore ordinario di Storia moderna, ed Anna Esposito, professore associato di Storia medievale, entrambe docenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma La Sapienza. Era il penultimo appuntamento del ciclo "Tra antichità ed età moderna. Studi e ricerche" organizzato dalla Direzione Scientifica del Museo, dall'Associazione Culturale Arcadia e dall'Amministrazione Comunale di Cori, che si concluderà sabato 12 luglio col convegno "Tra Velitra e e Cora: luoghi minori della biografia di Augusto" curato dal prof. Domenico Palombi, in occasione dei festeggiamenti per il Bimillenario Augusteo. Dalla prima metà del '500 almeno fino alla metà del XVI secolo, la comunità ebraica corese visse certamente un periodo florido: gli ebrei svolgevano attività creditizia, esercitavano la professione medica, operavano nel settore del commercio di tessuti, derrate alimentari e bestiame, nell'agricoltura e nell'artigianato. Nel 1536 la sinagoga del paese venne venduta, forse per acquistare un edificio più ampio, a fronte del crescente numero di membri della comunità. Fu solo dopo il 1555 invece, che si assistette ad un aumento delle tensioni e ad un generale impoverimento della comunità su cui gravarono diverse restrizioni, processo che con la bolla papale del 1593, e l'istituzione dei ghetti di Roma, Ancona ed Avignone, determinerà la definitiva scomparsa delle comunità ebraiche. Alla presentazione, affidata alla dott.ssa Micaela Procaccia (MIBACT - Direzione Generale degli Archivi) e Giovanni Pesiri (già Istituto Storico Italiano per il Medioevo), con il coordinamento di Rita Padovano (Presidente dell'Ass. Cult. Progetto Arkés), sono intervenuti Pier Luigi De Rossi (già Archivio Storico Comunale di Cori) e l'autrice Anna Esposito che ha cercato di dare una risposta alla domanda se esista davvero una filosofia ebraica.

(Latina Oggi, 16 giugno 2014)


A Canicattì si è svolto l'evento "Not only Klezmer"

 
Conclamato successo per l'evento "Not only Klezmer, svoltosi al Teatro sociale di Canicattì, Venerdì 13 giugno e compreso nel ricco cartellone della rassegna "Primavera delle Arti 2014?,organizzata dall'Associazione Culturale "G. Lo Nigro", in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Canicattì.
   Nella prima parte del concerto sono state eseguiti brani del repertorio classico, swing e contemporaneo, con protagonisti: Luigi Cuva (clarinetto basso), Giuseppe Aquilotti (clarinetto) ed Elisa Vita (clarinetto) in duo con Giuseppe Aquilotti e Diego Mantione (pianoforte).Il pubblico ha applaudito con vivo entusiasmo le pregevoli esecuzioni dei musicisti. La voce di Andrea Di Pasquali (artista) ha inframmezzato le esecuzioni, presentando generi musicali ed artisti e fornendo una preziosa guida all'ascolto.
   La seconda parte, introdotta dalla "Preghiera per clarinetto solo" (Luigi Cuva) è stata dedicata al Klezmer . Tale genere musicale, nato nei ghetti ebraici dell'est europa, è una naturale evoluzione della musica sacra giudaica, contaminata dalla musica popolare turca e greca e venuta a contatto persino con il jazz delle origini. I brani sono stati eseguiti dal "Klezmer Quartet", composto da: Luigi Cuva (clarinetto), Davide Mazzamuto (violino), Giuseppe Castellano (contrabbasso) e Diego Mantione (pianoforte). La formazione si è recentemente costuita, con l'intento di portare avanti un progetto finalizzato alla diffusione del genere popolare ebraico, ed in particolare del Klezmer, nel nostro territorio. Il pubblico, in ovazione , divertito e stupito dalle sonorità gioiose e accattivanti dei generi proposti e dalla varietà melodica e ritmica, ha richiesto il bis. Per l'occasione, sono rientrati sul palco tutti gli artisti, eseguendo il celeberrimo Valzer dalla Jazz Suite n.2 di Shostakovich.
Nel ridotto del teatro, il pubblico ha potuto ammirare la mostra degli artisti: Gioachino Gruttadauria (fotografia) e Gisella Giardina (pittura).
   Il prossimo evento (l'ultimo della rassegna "Primavera delle Arti 2014?), denominato "Festa della Musica - La magia delle quattro corde" è previsto per sabato 21 giugno, alle ore 19:15. I protagonisti saranno: Francesco Biscari (violoncello) e Salvatore Piediscalzi (violino). Incontri artistici: Giuseppe Rizzo "Crizzo", Manuela Giglia,Rosa Maria Lodato e Luisa Lo Verme (pittura).

(CanicattiWeb, 16 giugno 2014)


A Roma 'I love Libia', storia di un ebreo sefardita

Fuggito nel 1967 dal Paese maghrebino.

ROMA - In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato e del 47esimo anniversario della cacciata degli ebrei dalla Libia, la Comunità Ebraica di Roma presenta I Love Libya, lo spettacolo scritto e interpretato da David Gerbi, che sarà al Teatro Sala Umberto dal 22 al 25 giugno. Per la prima volta a Roma, tratto da una storia vera e interpretato dal protagonista stesso, lo spettacolo è un 'one man show' che racconta la vicenda di David, ebreo libico italiano sefardita rifugiato a Roma dal 1967. Dopo essere stato cacciato all'età di dodici anni dalla sua terra natale, la Libia, partecipa nel 2011 alla ''primavera araba in Libia'' per contribuire alla democrazia, alla liberta di religione, alla lotta contro il razzismo e all'antisemitismo e alla difesa del rispetto dei diritti umani. ''Uno spettacolo - spiega Gerbi - che racconta la storia di sofferenza, ingiustizia e persecuzione individuale e collettiva trasformata con il tempo, l'impegno e la fede in una storia di guarigione, liberazione e successo individuale e collettivo. E' la storia di una rinascita di una comunità scomparsa dalla Libia ma risorta in Italia'' .

(ANSAmed, 16 giugno 2014)


Israele bombarda obiettivi islamisti a nord e sud Gaza

GAZA, 16 giu. - L'aviazione israeliana ha bombardato due campi di addestramento militare di islamisti nella zona sud e nord-ovest di Gaza, senza causare vittime, come rappresaglia al lancio di quattro razzi palestinesi. Lo rendono noto fonti nella striscia. In un comunicato, l'esercito israeliano si e' limitato a precisare che sono stati colpiti tre magazzini di armi e un'installazione militare. Precedentemente erano stati lanciati quattro razzi da una localita' della striscia, due dei quali erano stati intercettati dallo scudo antimissile 'Iron Dome'; mentre gli altri due erano caduti in territorio israeliano senza fare vittime o danni.

(AGI, 16 giugno 2014)


La disperazione
"Disperazione" non è un termine adatto per un paese il cui inno nazionale ha come titolo “HaTikva”, la speranza. I titoli di solito non sono scelti dall’autore, ma dal direttore del giornale.
di Israele: «I tre ragazzi rapiti da Hamas»


Corsa contro il tempo per trovarli. Arresti nelle notte, tv e radio scatenati. Netanyahu accusa i palestinesi. E la folla va in piazza a piangere e pregare. Dopo il patto tra Abu Mazen e l'ala dura la violenza è in aumento.

di Fiamma Nirenstein

Parla la madre di uno dei ragazzi rapiti
Rachel Frenkel esce dalla porta di casa nel villaggio di Nof Ayalon. Suo figlio Naftali, 16 anni, uno studente della scuola religiosa MachorChaim, è stato rapito mentre tornava a casa. Sono tre giorni che non se ne sa più niente, né di lui né del suo coinpagno di scuola Gilad Sha'ar, anche lui un sedicenne dalle guance lisce, né di Eyal Yfrach, di 19 anni. Sono saliti su un'auto per avere un passaggio, nella notte. La polizia ha ricevuto una chiamata forse da uno di loro, ma imperdonabilmente, si direbbe, ha avvertito l'esercito solo di mattina.
   Rachel cerca di nascondere con un pò di make up i segni di pianto sulla faccia, e parla per la prima volta ai giornalisti piantando in faccia a tutti un sorriso invincibile, come sanno fare le persone che credono in una giustizia superiore: «Noi speriamo - ripete - vi inviteremo a gioire con noi per il ritorno di Naftali, noi e i suoi sei fratelli lo amiamo tanto, Naftali, ci senti? Le preghiere ci aiuteranno, pregate, e grazie ai giornalisti che ci aspettate sotto il sole, grazie, soldati che muovete ogni pietra, a tutta Israele si stringe intorno ... », Rachel sorride ancora, poi lei come le madri degli altri due ragazzi ripone dentro casa l'ansia infinita.
   Vengono tutti i politici, a turno, Netanyhau aggiorna al telefono le famiglie: «Ora siamo sicuri che si tratta di Hamas». Sì, ma in che stato sono i ragazzi, dopo tre giorni? Sul vortice di un Israele nel caos si leva l'enorme senso di solidarietà che stringe il piccolo Paese insieme nei momenti di difficoltà. Una gran folla mista, sia a Tel Aviv in piazza Rabin che al Muro del pianto a Gerusalemme, decine di migliaia di persone solidarizzano, pregano.
   Nei territori palestinesi, durante la notte, sono state fermate circa 100 persone, tutte di Hamas, anche notabili famosi come Hassan Yussuf. Abu Mazen ha appena stretto il suo patto per un governo con l' organizzazione terrorista ed è in difficoltà:
   Israele ripete che la vera responsabile è l'Autorità Palestinese, che non ha mai condannato la violenza e i rapimenti per liberare i prigionieri, anzi, si è congratulata' e ha accolto con feste i palestinesi scambiati. Hamas, da parte sua, cerca il consenso sulla linea dura. Soliti paradossi: la moglie di Abu Mazen è ricoverata per cure a un ginocchio all'ospedale israeliano Assuta, e suo marito non condanna il rapimento. In più, il capo di Hamas, Ismail Hanije, non può dirgli niente perché anche sua figlia poco fa è stata curata in Israele.
   Verso Hebron, fra pietre e ulivi forse da qualche parte sono prigionieri i ragazzini. Alla loro scuola non si studia, si piange, si parla, i maestri supplicano i ragazzi di non fare l'autostop. Ma alle «trampìade», i punti di raccolta dove i ragazzi cercano passaggi, sono sempre affollati: una macchina si accosta, il ragazzo butta un'occhiata dentro, magari i rapitori sono travestiti da ebrei religiosi, parlano ebraico. Monti, ti ritrovi una pistola puntata.
   Lo Shin Beth fruga in ogni informazione: qualche personaggio non si vede da un paio di giorni, ha comprato cibo o oggetti inconsueti ... Nel Gush Etzion, in gruppi sotto il sole i soldati calpestano sentieri di polvere nelle vallate, cercano nelle grotte, frugano Hevron, Dura, Yatta ... Le radio e le tv restano in diretta, i commentatori impazzano, i cronisti fanno a gara. Ma i ragazzini non si trovano.
   L'accordo Abu Mazen-Hamas ha portato subito a una crescita del terrorismo: Hamas cerca il consenso che hai quando sai tirare fuori dalle carceri i prigionieri, la violenza e l'omicidio sono mezzi consueti. Negli ultimi 18 mesi più di 30 tentativi di rapimento sono stati bloccati. Ma tanti sono riusciti. Oltre ai più famosi(Shalit, Regeve Goldwasser, Nachshon Wachsmann), ricordiamo solo Tamar Hazan, 20 anni, un soldato attirato in un villaggio eucciso, e Elyahu Osri, di sedici anni, rapito alla «trarnpiada» e ucciso. L'orologio ticchetta, arriva un'altra notte.

(il Giornale, 16 giugno 2014)


La moglie di Abu Mazen ricoverata in ospedale a Tel Aviv

TEL AVIV, 15 giu. - Amina Abbas, moglie di Abu Mazen, e' stata ricoverata e sottoposta a un intervento chirurgico in una clinica privata di Tel Aviv. Lo afferma la stampa israeliana, rivelando che la donna e' stata operata alle gambe e si trova nel centro medico Assuta, nella localita' israeliana di Ramat Hajayal. Il ricovero arriva in un momento delicato dei rapporti tra Israele e l'Autorita' Palestinese, impegnate entrambe nella ricerca dei tre teenager israeliani rapiti da un'organizzazione terroristica.

(AGI, 15 giugno 2014)


Tre ragazzi ebrei rapiti in Cisgiordania: una storia da capire

di Emanuele Rossi

    
Una storia poco chiara, di sicuro complessa, di sicuro a breve ne vedremo sviluppi. Quello che si sa, per il momento, è che giovedì tre ragazzi ebrei sono stati rapiti nei pressi di Gush Eztion - insediamento ebraico tra Gerusalemme e Hebron - mentre tornavano dalle lezioni serali della loro scuola rabbinica; Naftali Frenkel, Gilad Shaar (entrambi 16 anni) e Eyal Yifrach (19). Facevano autostop - pratica molto diffusa fra i ragazzi israeliani, "trampim" li chiamano. Sono saliti sull'auto sbagliata. Era già successo in passato, tanto che l'esercito è arrivato a vietarlo ai propri uomini, sia in divisa che in borghese. Per i civili, per i ragazzi, decidono le famiglie: allerta, o libertà; molti scelgono la seconda, per evitare di far crescere i propri figli in un persistente clima di paura.
   Netanyahu ha convocato immediatamente il gabinetto di emergenza e dopo le prime ore di ricerca, sabato ha parlato alla nazione. "i nostri figli sono stati presi da un gruppo terroristico". Il riferimento è ad Hamas, che tuttavia ha definito "stupide" le accuse. Non ha dubbi, però, il primo ministro israeliano: deve essersi mosso il Mossad. I servizi sono arrivati a conoscenza di dettagli più precisi di quelli che passano sui media? Al punto che il premier non ha esitato a lanciare un monito contro l'Anp, ritenendola responsabile del destino dei tre ragazzi. Dall'Autorità palestinese rispondono invece, che la vicenda è avvenuta in un'area a completo controllo israeliano, dunque loro non hanno responsabilità dirette.
   Ci saranno risvolti - e "gravi conseguenze", assicura il gabinetto dell'esecutivo israeliano. C'è preoccupazione, una nazione che si sente padre e madre dei tre giovani scomparsi: centinaia di persone si sono ritrovata a pregare fino oltre la mezzanotte di ieri, giorno dello Shabbat, davanti al Muro Occidentale, la parte considerata più sacra dal giudaismo.
   Bibi ha garantito che il suo paese utilizzerà ogni mezzo per riportarli a casa sani e salvi. E ha sottolineato "gratis", con il pensiero che correva ai molti rapimenti studiati da Hamas per chiedere come riscatto la liberazione dei compagni finiti nelle carceri israeliane. Per esempio il caso del sergente Gilad Shalit, rapito nel 2006: per riavere il proprio soldato, Israele fu costretta a liberare un migliaio di detenuti palestinesi - un prezzo enorme pagato anni più tardi, nel 2011. Preoccupazioni che aumentano, inoltre, a sentire le parole di Khaled al-Batash, alto esponente del mondo jihadista palestinese, che in un sermone di venerdì ha detto che l'unico modo per riavere indietro i prigionieri detenuti in Israele, è rapire soldati.
   Le forze di sicurezza israeliane stanno già utilizzando il pieno mandato ricevuto dal primo ministro: la paura è che i tre studenti yeshivah possano essere spostati a Gaza, dove rintracciarli sarebbe più complicato; la speranza è che il trasferimento non sia ancora avvenuto. Rastrellamenti casa per casa, attività d'intelligence, contatti, in tutta la Cisgiordania - si parla già di un'ottantina di arresti. Tutto ruota, per il momento, intorno ad una macchina ritrovata bruciata a poca distanza dal luogo in cui i ragazzi sarebbero scomparsi.
   I servizi palestinesi, sembra che stiano collaborando alle ricerche. Capiscono che non si tratta di un semplice sequestro di persona: c'è il retroscena politico. Fatah ha da poco ristretto i rapporti con Hamas, e il nuovo governo di unità nazionale costituito dieci giorni fa, sebbene sia privo di esponenti del gruppo islamista nell'esecutivo, è sostenuto dal suo braccio politico. Circostanza che ha portato Israele a bloccare i colloqui di pace con l'Anp, rimproverando il presidente Abu Mazen di aver accettato l'appoggio dei "terroristi" - polemica che è arrivata fino agli Stati Uniti, accusati di non condannare le scelte dell'Anp e di aver avuto addirittura colloqui con esponenti di Hamas per definire il futuro del governo palestinese.
   L'IDF non esclude nessuna pista, ma ufficialmente restano ancora molte domande: chi c'è dietro al rapimento? Dove sono detenuti? Sono ancora vivi?
   Secondo indiscrezioni l'ordine di prendere i tre giovani, non arriverebbe dall'organizzazione centrale di Hamas. Potrebbe aver agito qualche gruppo isolato, svincolato anche. Magari, ma per il momento sono rumors non confermati ufficialmente, si tratta di qualche cellula legata all'Isis, il gruppo sunnita che sta cavalcando in Iraq alla conquista di Baghdad in queste ore. Non ci sono state in passato manifestazioni di interesse da parte dei jihadisti palestinesi, nei confronti dei gruppi filo-qaedisti, anzi Hamas si è sempre ritenuta svincolata dalla "Base". Ma adesso lo Stato Islamico è un'entità indipendente, slegata da al-Qaeda. Entità che con il suo grosso potere evocativo, potrebbe facilmente sollevare proseliti e attività di altri gruppi in giro per il mondo.

(formiche, 15 giugno 2014)


Ridateci i nostri ragazzi

di Deborah Fait

Tre ragazzi israeliani, tre adolescenti, Eyal Yifrach, Naftali Frenkel and Gilad Shaar, sono scomparsi da 4 giorni, mentre facevano autostop per tornare a casa dalla Yeshiva' in cui studiavano. Sulle colline di Hebron è stata trovata una macchina bruciata che probabilmente è servita ai rapitori. Sono stati fermati alcuni arabi sospettati di essere coinvolti nel rapimento e l'Anp ha dichiarato di non saperne niente, noi naturalmente crediamo sulla parola!!!
   Altro , per il momento, non si sa, le famiglie disperate chiedono a Israele di pregare, Israele prega ma Tzahal lavora e li cerca metro per metro per riportarli a casa vivi, nel frattempo le fazioni dei terroristi litigano e Hamas minaccia Fatah affinchè non collabori con Tzahal. Ridicolo solo pensarlo, da quando collaborano con Israele? Da quando gli arabi appropriatisi del termine "palestinesi", si sono riunificati e le due organizzazioni terroristiche, Fatah e Hamas, si sono unite in un unico governo, le minacce, le aggressioni contro Israele non si contano. Missili sparati quotidianamente, un paio di giorni fa uno scud è precipitato vicino a una superstrada che attraversa Israele, proclami all'intifada da parte di Hamas, lanci quotidiani di pietre e bombe Molotov sul Monte del Tempio dove noi non possiamo salire per pregare, loro invece si per fare guerriglia e lasciare la Spianata lurida di immondizie (meno male che lo considerano luogo sacro, figurarsi se non fosse così).
   Continue minacce di rapimenti, ed ecco che ci siamo arrivati, hanno mantenuto la promessa, ne hanno presi tre in un colpo solo, tre ragazzi come era ragazzo Gilad Shalit che, dopo una segregazione di più di 5 anni, è stato uno dei pochi ad essere rilasciato vivo in cambio della liberazione di 1027 terroristi palestinesi.
   Fiamma Nirenstein su Facebook scrive: "Voglio vedere ora, subito, Ban Ki Moon, la Ashton, Obama, chiedere ai criminali che hanno rapito tre ragazzi israeliani colpevoli di aspettare un passaggio per andare a casa di restituirli immediatamente, voglio che protestino, voglio che telefonino a Abu Mazen perché imponga ai suoi nuovi grandi alleati di Hamas di rinunciare a questa mostruosità, voglio che Abu Mazen la condanni, voglio che i grandi della terra si dichiarino "very concerned", voglio che Kerry prometta un intenso impegno americano.... ma il loro silenzio mi assorda, come mai?"
   Si, tutti vogliamo vedere cosa faranno i "Tre dell'Apocalisse", i tre che hanno accolto con entusiamo la riunificazione dei due gruppi terroristi e che hanno chiesto a Israele di riconoscerne il governo come legittimo. I tre che trattano Israele con freddezza, specialmente un Barak Obama rabbioso, perchè Israele rifiuta di trattare con un governo di terroristi.
Ditemi, come si può chiedere a un Paese martoriato come Israele di accettare un governo composto da due fazioni di tagliagole con a capo un dittatore abusivo, Mahmud Abbas (Abu Mazen), al cui fianco ora sta il capo dei tagliagole di Hamas, Haniyèh.
   Come si può chiedere a Israele di riconoscere un governo che chiede, pretende, ne auspica la distruzione. Come si può chiedere a Israele di fare la pace ritirandosi entro i confini del 1949, abbandonando territori mai stati degli arabi, ebraici per tradizione millenaria, culla del nostro Popolo, mettendo a rischio la sua stessa esistenza. E' criminale!
Come può l'Occidente appoggiare, aiutare, mantenere, viziare, coccolare un gruppo di arabi dediti al terrorismno e alla violenza sulla base delle loro invenzioni. Un popolo mai esistito che pretende di essere il legittimo proprietario di una nazione mai esistita! E' criminale!
   Il risultato delle mascalzonate dell'Occidente sono i nostri morti, è la nostra vita sempre in pericolo eppure continuano imperterriti a sostenerli, a chiamarli palestinesi, a parlare di "Palestina" come se esistesse per davvero, a definire "coloni" gli israeliani che vivono in Giudea e Samaria. Quanti giorni sono passati dal teatrino in Vaticano e dagli abbracci a Mahmud Abbas del Papa, Peres, Napolitano? Vi ricordate i commenti commossi dei media? Tutta la retorica sdolcinata di quei giorni? Spero che quelli che hanno abbracciato Abu Mazen capiscano di essere stati dei burattini nelle sue mani e che se ne vergognino ma dubito ne siano capaci.
   Oggi Haaretz scrive che esiste il sospetto che quell'organizzazione di jihadisti che risponde al nome di Stato Islamico del'Iraq e del Levante (Isis), la stessa che sta facendo stragi in Iraq, sia penetrata nei territori contesi andando ad aggiungersi a tutte le altre organizzazioni sorelle di Hamas e Fatah, tra cui Al Qaeda, Jihad islamica e una miriade di altre piccole cellule del terrore pronte a offrire i loro servigi di morte al miglior offerente.
   Non si sa cosa accadrà adesso, una cosa è certa, è un incubo da cui Israele deve uscire in un modo o nell'altro, uscirne facendo il proprio interesse, annettere tutta l'area C di Giudea e Samaria, i maggiori insediamenti, disegnare i propri confini senza aspettare l'OK dei nostri nemici occidentali e poi costruire una bella barriera inviolabile ai cani rabbiosi.
   Ridateci i nostri ragazzi!

(Inviato dall'autrice, 15 giugno 2014)


Un libro nuovo che solleva una polemica mai dimenticata

La reazione critica al testo di Meotti che racconta i 'diversamente sionisti' del popolo ebraico.

di Ugo Volli

ed. Belforte Salomone
L'episodio ha fatto rumore nel piccolo mondo ebraico italiano. Giulio Meotti, giornalista che da anni si occupa di Israele e di ebraismo pubblicando i suoi articoli anche su giornali e siti israeliani, ha osato scrivere un libro sugli ebrei antisraeliani. Non è un tema originale in assoluto, saggi molto ponderosi su questo tema sono stati pubblicati all'estero, innanzitutto l'importante "The Osio Syndrome" di Kenneth Levine. Ne ha scritto spesso Meotti stesso e altri fra cui anch'io, pure su questa rivista. Ma un libro è diverso, più difficile da ignorare. E più impegnativo è anche il fatto che non si parli solo di Chomskv, del giudice Goldstone o di quel meschino Otto Weininger, il solo ebreo che sia piaciuto a Hitler per il merito di essersi suicidato nel 1903 dopo aver scritto un libro in cui se la prendeva con le donne e con la "femminea" "razza" ebraica. Sono tutti personaggi per un verso o per l'altro lontani; ma Meotti accosta loro e a molti altri ebrei affetti da "odio di sé" le loro controparti italiane, con nome e cognome e citazioni. Il risultato è stato che alcuni di coloro affetti da tale sìndrome, ospitati sistematicamente e in regime di monopolio culturale dai media dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (il che è già un fatto su cui vale la pena di riflettere attentamente) hanno preso cappello e con molta arroganza hanno stroncato il libro, dichiarando addirittura di non averlo letto prima di qualificarne l'autore come nemico del popolo ebraico, essere inferiore e lepidezze del genere. Naturalmente salendo sulla cattedra dei recensori o meglio degli entomologi che giudicano un insetto sgradevole, non prendendo atto di essere essi stessi coinvolti in una questione che ne chiamava in causa la legittimità. E ancora, secondo un costume consolidato, approfittando di una stabile e non minacciata superiorità numerica, di fatto una quasi unanimità su quei media, ma lamentandosi come fossero oggetto di un tentativo di repressione, di una lista nera. Attribuendo insomma a Meotti quel che loro stavano facendo a lui.
  Tutta questa è una polemica calda mentre scrivo queste righe, ma che si sarà probabilmente acquietata quando questo articolo sarà pubblicato. Eppure vale la pena di provare a prendere sul serio la questione uscendo dalla cronaca e dalle sue miserie e cercando di capire perché effettivamente, come ha scritto una delle critiche di Meotti credendo con ciò di confutarlo, buona parte dell'intellighenzia ebraica si sia schìerata più o meno sistematicamente contro Israele e l'ebraìsmo (o almeno contro la determinazione del popolo ebraico di sopravvivere, di non lasciarsi distruggere o eliminare e di costituirsi per questa ragione in Stato). E' vero che contro il giornalista (un mestiere accademicamente e sociahnente allora non troppo qualificato) Theodor Herzl si schierarono i più illustri intellettuali ebrei del tempo, dai rabbini delle più illustri dinastie hassidiche ai grandi cattedratici come Hermann Cohen (il quale continuò a sostenere, fino alla morte nel 1918, che la Germania era la nuova Gerusalemme, la nuova patria degli ebrei). E' vero che i congressi sionisti a partire dal primo si tennero a Basilea perché le persone più influenti della comunità ebraica tedesca, in quel momento la più importante d'Europa, non lo vollero in Germania. E' vero che in ltalia fino alla fine del fascismo la posizione sionista rimase minoritaIia e piuttosto isolata. E' vero che il movimento riformato, maggioritario allora nell'Europa del Nord e negli Stati Uniti si oppose al sionismo teorizzando che gli ebrei non erano un popolo ma una religione e che dovevano essere cittadini solo del loro paese, rinunciando a ogni legame con Eretz Israel che non fosse puramente storico e ideale. E' vero che la grande maggioranza dei rabbini tradizionalisti dell'Europa Orientale, di tutte le correnti hassidiche e anti-hassidiche, vide il sionismo come un pericolo grave di distruzione dell'ebraismo tradizionale e l'immigrazione in Israele come una violazione del giudizio divino che aveva dato luogo all'esilio; questa posizione è ancora largamente presente non solo negli "estremisti" Naturei Karta, ma in maniera acuta nella grande famiglia hassidica di Satrnar e in maniera appena più velata nella maggior pane degli charedirn.
  Anche dentro il movimento sionista, l'obiettivo della costituzione urgente dello stato ebraico in Eretz Israel a molti (e soprattutto ad alcuni dei più illustri intellettuali) non piaceva. Achad Haam fu il leader di un sionismo "culturale" che rimandava lo stato a un futuro lontano, dopo che si fosse riedificata la cultura ebraica; Martin Buber pur fra molte oscillazioni era contrario allo stato, voleva soprattutto il consenso degli arabi, proprio mentre questi massacravano gli ebrei di Hebron, Safed e Gerusalemme; voleva che gli ebrei si impegnassero formalmente a non diventare mai maggioranza in Eretz Israel e per questo arrivò al punto
 
Achad Haam
di richiedere il blocco dell'immigrazione ebraica fra gli anni Trenta e i Quaranta, proprio quando già stava iniziando la Shoà - appoggiando in questo la più odiosa complicità britannica col genocidio. In seguito il suo partito si schìerò contro la dichiarazione di indipendenza, come fece il fondatore dell'Università ebraica Magnus, che nel '47 andò negli Stati Uniti per promuovere un movimento ebraico contro il riconoscimento americano di Israele, appoggiato in questo da Hanna Arendt. La quale, è bene ricordarlo, dopo un breve periodo di collaborazione con le organizzazioni sionistiche in Germania e in Francia, approdata alla sicurezza americana non perse un'occasione di polemica antisionista, a partire da vent'anni prima della sua sciagurata posìzìone sul processo Eichmann.
  La polemica di buona pane del mondo intellettuale ebraico con "le politiche" o "il governo" di Israele (più o meno tutte le politiche, più o meno tutti i governi) non inizia insomma dalla vittoria elettorale del Likud (che pure fu un trauma non ancora superato per la sinistra), ma risale ai tempi di Ben Gurion, di Herzl e per certi versi all'emancipazione ottocentesca, quando la tentazione di distaccarsi da un popolo "superato", dai suoi costumi "medievali", dalla sua religione "formalista" si tradusse non solo in ondate paurose di conversioni soprattutto da parte delle élites, ma anche in una polemica interna contro la tradizione e l'identità ebraica, che si tradusse in proposte che a noi oggi appaiono assai bizzarre (celebrare lo Shabbat di domenica, sostenere che l'ebraismo non fosse altro che la cornice mitica dell'etica kantiana, ecc.). Naturalmente questo discorso non riguarda tutti. Vi furono grandi rabbini, come Rav Kook, e grandi intellettuali e scienziati, come Einstein e Weizmann, che appoggiarono l'impresa sìonìsta. Una volta la polemica andava contro l'immigrazione in Eretz Israel, la costituzione dello Stato, la conduzione della guerra di indipendenza, trasformata dai nuovi storici e dai post-sìonìstì da straordinaria impresa che consenti a un piccolo popolo in armi di sconfiggere cinque eserciti ben armati in "peccato originale" di Israele. Negli ultimi decenni questa contrapposizione riguarda piuttosto il rapporto con gli arabi, le cui politiche di distruzione di Israele per molti progressisti andrebbero accolte e non contrastate, e soprattutto l'insediamento in Giudea e Samaria che andrebbe abbandonato a rischio della sicurezza e in dispregio della storia. Questi atteggiamenti coinvolgono, in nome di una "pace" astratta perché non tiene conto dei rapporti di forza e degli obiettivi dichiarati dei nemici di lsraele, buona parte delle élites letterarie, artistiche e giornalistiche di Israele.
  Non è certo possibile qui discutere le singole posizioni cui ho solo potuto fare qualche accenno, tralasciando le molte altre; ma in linea di massima è vero che la rinascita di Israele fu fatta a dispetto delle élites. Lo seppe bene Eliezer Ben Jehudà, che per il suo tentativo di far rinascere l'ebraico come lingua nazionale fu scomunicato e denunciato dai charedim ai turchi (e passò un anno in prigione), ma anche licenziato dai laici Rotschild, che aiutarono l'insediamento ebraico per sensibilità sociale e religiosa, ma erano contrari all'idea di un movimento nazionale. Due domande sono urgenti rispetto a queste constatazioni. La prima è la ragione di tali posizioni delle élites intellettuali e in parte economiche, in grande maggioranza impegnate a frenare il movimento sìonìsta in tutte le sue fasi. La seconda è il perché non hanno avuto successo.
  Spesso, a proposito delle motivazioni di questi strati "post-slonìstì", antìsìonìstì o peggio si è parlato di "odio di sé". Si tratta di un'etichetta riassuntiva che solo raramente è vera alla lettera. Più spesso vi è la percezione e l'adesione di una sensazione che uno dei più illustri fra questi intellettuali ebrei antisionisti, George Steiner ha definito così, secondo quanto riporta Meotti "il mondo è Judenmüde", stanco di ebrei: "noi ebrei siamo vissuti troppo a lungo" - il che non significa naturalmente cercare la morte, ma essere disposti a rinunciare a rivendicare la propria identità in cambio dell'accettazione generale. E' un'illusione, come capirono purtroppo a loro spese molti ebrei che la pensavano così all'inizio del Novecento. Ma è un'illusione che ha preso di nuovo forza, soprattutto trasformandosi e fondendosi con un'altra tentazione diffusa nella storia ebraica, quella dell'universalismo. Che dice: "solo rinunciando all'identificazione col piccolo gruppo, al 'tribalismo' ebraico, identificandoci con l'intera umanità, possìamo compiere la vera etica ebraica. Dobbiamo distaccarci da noi stessi per realizzarci. E' la tentazione che portò venti secoli fa al distacco del Cristianesimo, e centocinquanta anni fa al marxismo - che, per quanto ci riguarda si riassume nella frase per cui la "soluzìone della questione ebraica", cioè dell'antisemitismo, consiste nell'abolizione dell'ebraismo, nell'abbandono dell'identità ebraica, conforme alle idee di tutta la cultura antisemita e della Chiesa. L'intensità con cui si assume il punto di vista degli antisemiti, la vergogna o il disprezzo per l'ebraismo non sono determinanti e anch'essi oggi sono abbastanza rari. Il punto è il distacco, la pretesa di essere giudici su di esso, e dunque di essergli superiori, magari convocando contro di lui la sua stessa moralità, o una più generica filantropia. Questo atteggiamento si esprime per esempio nella celebre frase di Arendt, riportata anche nel brutto e ideologico film della Von Trotta: "perché dovrei amare il popolo ebraico? lo non amo nessun popolo in particolare, solo l'umanità e i miei amici" . L'universalismo ha soprattutto il vantaggio di porsi come giustizia e permette di denunciare "crimini" ed "errori" di Israele: un passo necessario per farsi accettare come veramente emancipati dalla particolarità ebraica, o illudersi di questo. E' noto che il Pci usò i suoi ebrei per denunciare Israele, per esempio nel '67. E' un'illusione, lo ripeto ancora. Ma un'illusione che oggi ha maggior forza nel clima di erosione delle identità nazionali europee e che paradossalmente prende forza da un ricordo deviato della Shoà, vista come frutto del nazionalismo e non come riaffermazione di un antisemitismo antico. E' noto che Israele ha tratto dalla Shoà la lezione della necessità di difendere la propria nazione, mentre l'Europa "progressìsta" quella opposta dell'abolizione della nazioni, inclusa quella ebraica. E' in nome del progresso, dell'umanità che
Amos Oz
deve uscire dai particolarismi, della giustizia, che i "diversamente sionisti" condannano Israele (o almeno "le politiche" e i governi), e non hanno vergogna di applicare un doppio standard, di trovare "progressivo" il nazionalismo arabo e "fascista" quello ebraico, "comprensibile" la violenza dei "palestinesi oppressi" e ributtante o almeno problematica l'autodifesa israeliana, molto più gravi i vandalismi dei "price tag" che il terrorismo quotidiano a bassa intensità dei palestinesi.
  Resta da capire perché non solo i Pappe e gli Sand, i Chomsky e le Butìer, ma anche i Grossman, gli Oz e gli Yehoshua non hanno successo nelle loro indicazioni morali, come non l'hanno avuto i Buber e gli Achad Haam. II fatto è che il popolo ebraico ha fatto una scelta storica collettiva, ha capito che per sopravvivere ai pericoli paralleli dell'antisemitismo industriale e dell'assimilazione nella società contemporanea Israele era la sola chance a lungo termine. E ne ha assunto i rischi, che certamente non mancano, e ha votato con i piedi della migrazione, con l'urna elettorale, con i corpi di coloro che sono caduti nelle guerre e nel terrorismo. E' una scelta storica decisiva che impegna tutto il popolo, anche quelli che per un motivo o per l'altro non l'hanno fatta di persona. Ed è in rapporto a questa decisione, sulla capacità di agevolarla o di contrastarla che di fatto, concretamente viene misurata anche in termini elettorali ogni posizione individuale. E' certamente possibile che un giudizio morale equanime e spassionato su questa o quella azione dello stato israeliano la trovi ingiusta o perfino colpevole e che dunque qualche volta (raramente) i "diversamente sìonìstì" possano avere ragione; ma non è questo che conta, perché il problema è oggi altro e cioè se la politica che la motiva serva o meno alla vita del popolo di Israele, se correggerla o rifiutarla sia o meno pericoloso, se il meglio non sia nemico del bene. E la risposta collettiva, nei centoventi anni dell'impresa sìonìsta è stata chiarissima: non è accettabile essere "ebrei contro Israele". non si può essere ebrei facendo come le spie di Mosè che prendevano i nemici per giganti e se stessi come insetti.

(Shalom, giugno 2014)


Equivalenza metapolitica: Israele sta al Messia come il mondo sta a Israele



 

Marc Chagall e la sua poetica

Chagall è un poeta, ha avuto il dono di riuscire a dare il predominio alla fantasia, pur mantenendo un profondo studio del colore e delle tecniche.

di Paolo Vegas

Marc Chagall, Palazzo Reale Milano dal 17 settembre 2014 al 18 gennaio 2015
Milano rende omaggio all'artista russo, primo di nove figli di una famiglia ebrea, naturalizzato francese, con un importante retrospettiva che porterà nel capoluogo Milanese circa 200 dipinti provenienti dai maggiori musei di tutto il pianeta e da importanti collezioni private ma anche, ed è una rarità per Chagall, dalle collezioni private dei suoi eredi le quali sono ancora inedite per lo più.
La scuola di Parigi non è una tendenza ma un'atmosfera che si vive in questa grande città, tutti gli artisti si recano per respirare un'aria nuova, proprio a Parigi erano nate le prime rivoluzioni dell'Arte (l'Impressionismo). Si viene in questa città per osservare le opere dei grandi, si è liberi di creare qualcosa di nuovo, passati alcuni anni si verrà per sfuggire alla rivoluzione in Russia.
Chagall è un ebreo russo, nasce da una modestissima famiglia, la sua infanzia è vissuta in un ambiente piccolo, in una dimensione tragica di vita che trova sbocco solo nelle feste paesane. Dopo i primi studi va a Pietroburgo e si iscrive alla scuola delle Belle Arti, qui viene a contatto con il Simbolismo e la forza ad essere indipendente come artista, libero di esprimere se stesso come vuole.
Arriva finalmente a Parigi dove viene a contatto con tutte le tendenze, rientra in patria nel 1914 e, nella sua città, apre una scuola d'Arte e accarezza il sogno che tutti gli artisti di diverse correnti vengano nella sua scuola, ci sono però subito problemi poiché Chagall è un puro e Artisti con diverse personalità non possono andare d'accordo.
Torna a Parigi, è il suo grande momento e inizia la strada che lo porta in vetta, è un poeta con una spiccata fantasia, mantiene però vivo uno studio approfondito del colore e delle tecniche, nel colore potrebbe sembrare che abbia una forza espressionistica ma non è vero, lui ragiona molto, ha uno spirito profondamente religioso, è un Ebreo e della religione ha fatto la sua forza, non segue la sua religiosità alla regola ma nel profondo.
Ci dice - Io sono un mistico, la mia religione è lavorare. Il fiume dell'amore divino è su tutta la terra e una scintilla d'amore è in ogni essere, nell'uomo, nell'anima e negli esseri inanimati.
Non ci resta che aspettare l'autunno e fare una visita a Palazzo Reale.

(Artradio, 14 giugno 2014)


Libertà per Eyal, Naftali e Gilad

"I responsabili del rapimento dei nostri ragazzi sono membri di Hamas", lo ha dichiarato il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu questa mattina, indicando l'organizzazione terroristica che controlla la Striscia di Gaza come responsabile del rapimento giovedì scorso, nei pressi di Betlemme, di tre ragazzi israeliani. Esercito e intelligence israeliani hanno avviato un'ampia operazione nell'area della Cisgiordania per riuscire a localizzare e liberare Eyal Yifrach, 19 anni, Naftali Frenkel, 16, and Gilad Shaar, 16. Le autorità sarebbero sulle tracce di due sospetti, entrambi miliziani di Hamas, al momento irrintracciabili mentre altri ottanta palestinesi sono stati arrestati, incluso uno dei leader del gruppo terroristico che governa Gaza, Hassan Youssef. Il cuore dell'operazione si sta svolgendo nella città di Hebron, nella West Bank, considerato il luogo cabina di regia del rapimento. "Riporteremo i nostri ragazzi a casa" ha affermato Netanyahu mentre Israele si stringe attorno alle famiglie dei tre giovani. "Siamo ottimisti - ha dichiarato con grande forza d'animo Racheli, la madre di Naftali Frenkel - con l'aiuto di Dio riabbracceremo Naftali, Eyal e Gilad".
E mentre i timori di un nuovo caso Shalit, tenuto prigioniero da Hamas per quasi duemila giorni e liberato in uno scambio che ha coinvolto 1027 detenuti palestinesi, il premier Netanyahu imputa ad Abu Mazen molte responsabilità di quanto accaduto ai tre giovani studenti. In particolare la decisione del leader dell'Anp di creare un governo di unità nazionale con Hamas è stata per l'autorità israeliane una mossa tanto incomprensibile quanto pericolosa. "Coloro che nella comunità internazionale hanno detto che l'accordo dei palestinesi con Hamas avrebbe aiutato la pace adesso vedono i veri risultati di quell'accordo", ha affermato Netanyahu, sottolineando l'evidente incompatibilità tra una soluzione pacifica e la presenza di Hamas al potere.

*

BringBackOur Boys

"Aiutaci a liberare i tre ragazzi rapiti in Israele. #BringBackOur Boys". Questo il testo dello striscione esposto stamane in piazza San Pietro in occasione dell'Angelus domenicale. A dare vita all'iniziativa un gruppo di ebrei romani costituitosi in modo spontaneo nelle scorse ore. Tra i partecipanti i consiglieri UCEI Noemi Di Segni e Silvia Mosseri.

(moked, 15 giugno 2014)


Roma - In sinagoga veglia di preghiera per gli israeliani rapiti

ROMA, 15 giu. - Questa sera alla sinagoga maggiore di Roma ci sarà una veglia di preghiera per la liberazione di Eyal, Naftali e Gil-Ad - gli studenti israeliani scomparsi in Cisgiordania - promossa insieme con il Rabbino Capo Riccardo Di Segni.
Lo annuncia in una nota il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.
Il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici ha rivolto un appello al premier Matteo Renzi «affinchè la voce dell'Italia possa pesare nello sforzo internazionale e i tre giovani ragazzi israeliani vengano liberati». A papa Francesco, Pacifici ha chiesto di pronunciarsi «con la stessa determinazione con cui si è adoperato per ogni violenza e per i rapimenti di cui ancora oggi sono protagonisti uomini di fede come, ad esempio, Padre Dall'Oglio».
«È sotto gli occhi di tutti che ad ogni sforzo di riconciliazione che possa portare ad una pace stabile fra israeliani e tutti i suoi vicini in Medio Oriente la risposta degli spacciatori di odio - ha aggiunto Pacifici - è il sabotaggio di ogni sforzo e mediazione politica. La partecipazione della nostra Comunità all'incontro di preghiera promosso da Papa Francesco avrebbe dovuto aprire il cuore e la speranza, in particolare ai giovani israeliani e palestinesi, anche se non ci è sfuggito come nelle stesse ore c'era chi, dai territori dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) e da Gaza, inneggiava alla guerra santa e all'odio».
Pacifici, a nome degli ebrei romani, ha anche chiesto al sindaco Marino «di sensibilizzare l'opinione pubblica della Capitale mettendo la foto dei tre giovani in piazza del Campidoglio, così come fece il suo predecessore quando con un voto unanime in Consiglio Comunale conferì al soldato Gilad Shalit la cittadinanza onoraria di Roma Capitale». Ad Abu Mazen - ha continuato - chiediamo «coerenza con lo spirito dell'iniziativa di preghiera sancita dall'abbraccio con Shimon Peres domenica scorsa.

(Il Messaggero, 15 giugno 2014)


Netanyahu accusa Hamas e l'Autorità palestinese del rapimento dei tre israeliani



(ANSA, 15 giugno 2014)


Vittoria islamica in Vaticano: il papa è caduto in una trappola nella sua preghiera inter-religiosa

Il jihad declamato nei giardini del Vaticano

Invitato in Vaticano a pregare per la pace, il rappresentante musulmano non ha potuto fare a meno di aggiungere un versetto che invita alla guerra. Letto sul blog d'Yves Daoudal:
"Bernard Antony è stato il primo francofono a notarlo e a commentarlo, ed è ancora l'unico nel momento in cui lo scrivo. Era stato messo in guardia da una musulmana convertita, stupefatta di sentire il rappresentante musulmano, nei giardini del Vaticano, durante la preghiera per la pace, recitare (ovviamente in arabo) le ultime parole della seconda sura: "Tu sei la nostra guida, concedici la vittoria sui popoli infedeli".
La seconda sura, la più lunga, è una specie di riassunto pot pourri del Corano e della sharia. È molto condiscendente verso il jihad, ma è soprattutto antiebraica e anti cristiana. È in questa sura che si trova scritto (versetto 191): "ed uccideteli ovunque li incontriate (...) l'associazione è più grave dell'omicidio (...) e combatteteli finché non ci sia più associazione e la religione sia solo per Allah. (L'associazione è la Trinità).
Uno scrittore egiziano - tedesco, Hamed Abdel-Samad, anch'egli stupefatto di ascoltare queste parole, ha scritto sulla sua pagina Facebook: "Nei giardini del Vaticano il chierico musulmano conclude la sua preghiera col versetto: "Che Allah ci aiuti a riportare la vittoria sugli infedeli. Io chiamo questa una preghiera per la pace!"
(...) È inutile chiedersi chi ha lasciato passare questo appello alla vittoria sui popoli kafir (o kufar). Il testo delle preghiere era stato pubblicato in molte lingue, e naturalmente questo versetto non c'era. È il rappresentante musulmano che, all'ultimo momento, ha aggiunto ciò che doveva aggiungere per essere un buon musulmano..."

(Observatoire de l'islamation, 13 giugno 2014 . trad. Emanuel Segre Amar)


Daniel Landau e il cervello modificato

Information & Mind è una società indipendente di Tel Aviv che studia lo sviluppo dell' ecosistema uomo-macchina. Il suo fondatore, Daniel Landau, è a Trieste per parlare degli effetti della iper connettività.

di Celia Guimaraes

  
Daniel Landau
TRIESTE - Daniel Landau è un artista, educatore e ricercatore dei media, a capo del gruppo di Media & Art Studies alla facoltà Midrasha dell'istituto accademico Beit Berel, a Tel Aviv. E' anche il co-fondatore del programma Information & Media che studia gli effetti sociali e psico-cognitivi della iper connettività e della sovrabbondanza di informazioni. Per la prima volta a State of the Net, è venuto per parlare del processo di crescita umana nell'era dell'informazione.
Una ricerca che riserva particolare attenzione ai bambini, i cosiddetti 'nativi digitali, basicamente "una generazione che esplora la vita sociale attraverso i social network", ci ha detto Landau in un'intervista che anticipa i contenuti del suo intervento a Trieste.
"Stiamo cercano di comprendere l'impatto della vita sociale nel mondo reale, per esempio sul linguaggio del corpo, che aiuta molto a sviluppare l'empatia. La vita sociale viene molto limitata dai social network e i bambini non stanno sperimentando l'empatia: ecco perché la nostra ricerca cerca di capire queste nuove modalità di interazione con il mondo".
Landau studia anche gli effetti della sovrabbondanza di informazioni sul cervello umano e, per quanto riguarda i bambini, è stato rilevato un aumento del fenomeno del deficit di attenzione. Non si tratta di una questione di per sé negativa,osserva Landau, ma di un dato, che dovrà essere tenuto in considerazione per le sue ricadute a livello scolastico, familiare e sociale

(Rai News, 14 giugno 2014)


Messe in allarme tutte le forze armate: si cercano i tre ragazzi rapiti dai palestinesi

Tutte le forze armate di Israele sono in stato di allerta e pronte ad intervenire se la situazione, di per se già estremamente drammatica, dovesse precipitare. Uno scenario che in brevissimo tempo potrebbe trasformare il Medio Oriente in una polveriera.
Tre adolescenti israeliani sono attualmente dispersi. Presumibilmente sono stati rapiti da alcuni terroristi palestinesi.
I tre adolescenti, Eyal Yifrah di 19 anni, ed i sedicenni Gilad Shaar e Naftali Frenkel 16, sono stati visti l'ultima volta giovedì notte, nella zona di Gush Etzion.
L'esercito israeliano è in allerta massima, con preavviso di richiamo già emanato per tutte le riserve. Tutte le forze schierate lungo i confini sono pronte a qualsiasi scenario. I terroristi palestinesi non sono nuovi a questi rapimenti che utilizzano come merce di scambio per ottenere il rilascio dei prigionieri custoditi dentro le prigioni israeliane. Ogni reparto dei servizi segreti israeliani è stato praticamente schierato per un dispiegamento che viene definito senza precedenti. Le ricerche si stanno concentrando in Giudea e Samaria.
L'intera nazione resta con il fiato sospeso e l'opinione pubblica preme per una liberazione immediata dei tre ragazzi ecco perché la tensione potrebbe precipitare in brevissimo tempo. Lo scopo di questi rapimenti è prettamente interno, ma ci potrebbe essere sempre la possibilità che l'azione sia stata premeditata con qualche altro paese che ha giurato la cancellazione di Israele dalla cartina geografica.
Quello che più preoccupa, al di là della tragedia del rapimento è la risposta armata di Israele, paese abituato ad agire in un modo che farebbe storcere il naso qui in Italia. Preoccupazioni anche da parte americana. Proprio la gli agenti della Cia di stanza in Israele avrebbero dato massima disponibilità per trovare i ragazzi secondo precise direttive da Washington. La Casa Bianca segue con estrema prudenza l'evolversi della situazione e predica "in ogni caso" estrema lucidità. L'Occidente teme i sottomarini israeliani classe Dolphin I/II e la loro capacità di imbarcare testate nucleari. Almeno due di loro sono sempre in pattugliamento a scopo deterrente. La classe "Dolphin" infatti, ha conferito ad Israele capacità di "First strike" (attacco nucleare preventivo) e "Second strike" (capacità di risposta nucleare ad un attacco preventivo del nemico). Uno dei motti dei sommergibilisti è proprio "Ovunque ed in ogni momento ci potrebbe essere un nostro sottomarino pronto a far fuoco". E proprio questi due sottomarini sono stati messi in preallarme.

(teleradiosciacca.it, 14 giugno 2014)


Da Gaza lanciato un razzo verso Israele

Un razzo è stato lanciato questa mattina da Gaza verso il sud di Israele. Lo ha reso noto il portavoce militare. Non sono segnalati al momento né vittime né danni. Dall'inizio dell'anno, ha detto il portavoce, sono stati finora circa 200 i razzi arrivati dalla Striscia. Il fatto avviene nel momento in cui vi è grande tensione in Israele e Cisgiordania per la scomparsa dei tre ragazzi israeliani vicino Hebron.

(TGCOM24, 14 giugno 2014)


Spariti nel nulla tre ragazzi israeliani. «Sono stati rapiti»

Li hanno visti l'ultima volta giovedì sera, che facevano l'autostop lungo l'arteria 60 che collega Gerusalemme alla città di Hebron nella Cisgiordania meridionale. Tre coloni ebrei adolescenti spariti in una delle zone più calde dei Territori occupati, in un momento di rinnovata tensione dopo la recente formazione del governo d'unità palestinese che Israele rifiuta per la partecipazione degli islamici di Hamas. Ai tre ragazzi di ritorno dalla loro scuola rabbinica nella colonia di Kfar Etzion era certo capitato qualcosa, hanno lanciato l'allarme a notte fonda le famiglie non vedendoli ancora arrivare, quasi di certo un rapimento. Uno di loro era riuscito a chiamare il centralino della polizia, ma dopo poche parole concitate la comunicazione era stata interrotta. Poi i cellulari avevano squillato a vuoto. E le ricerche erano scattate immediatamente: esercito, polizia, Shin Bet ovvero l'intelligence interna. Venivano messi in azione perfino i droni.
   Per molte ore i media ieri non avevano diffuso la notizia del rapimento, termine che ancora ieri notte l'esercito non usava ufficialmente «per non generare inquietudini», come ha spiegato un portavoce militare alla France Presse . Ma poi i dettagli erano iniziati a trapelare, seppure a volte confusi, confermando l'ipotesi del sequestro dei tre studenti, tra i 16 e i 19 anni, di cui si conoscono i nomi propri: Yakoov, Ghilad e Eyal. La rivendicazione dell'azione arrivata in serata da parte di un gruppo salafita poco noto, Dawlat Al Islam (Stato dell'Islam), non veniva ritenuta credibile ma le autorità continuavano a cercare i responsabili nelle file palestinesi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, riunito a Tel Aviv un consiglio d'emergenza con il ministro della Difesa Moshe Yaalon, il capo di Stato maggiore generale Benny Gantz e i responsabili dello Shin Bet, ha perfino dichiarato di «ritenere l'Autorità nazionale palestinese responsabile della sorte» dei tre coloni. Un'accusa che il capo dei servizi di sicurezza dell'Anp, il generale Adnan Dmeiri, ha definito «folle», replicando che la scomparsa dei tre adolescenti era avvenuta in una zona dei Territori sotto totale controllo militare israeliano.
   Secondo le informazioni circolate, Yakoov, Ghilad e Eyal avevano lasciato la yeshiva , o scuola talmudica, della colonia vicina a Betlemme, per dirigersi a Nord verso Gerusalemme o forse, secondo altre versioni, verso Sud. Ma comunque proprio a Sud sarebbero stati portati, nell'area di Hebron, la più grande e turbolenta città palestinese in Cisgiordania, dove vive asserragliata una piccola comunità di coloni ebrei oltranzisti. Qui, e più precisamente nel quartiere di Dura, non solo sarebbero stati tracciati i segnali dei cellulari dei tre scomparsi, ma è stata trovata un'auto carbonizzata con targa israeliana mostrata anche in tv. Il sospetto è che sia stato l'automezzo usato per il rapimento. L'area è stata così chiusa ermeticamente per impedire un trasferimento dei tre in Giordania, o forse a Gaza, con rastrellamenti casa per casa e rafforzamento dei posti di blocco. Intanto, veniva informato l'ambasciatore Usa in Israele, Dan Shapira, che uno dei dispersi ha passaporto americano, come molti coloni ebrei soprattutto più giovani.
   Se ufficialmente non si parla di «rapimento», è chiaro che tutti in Israele ne sono però convinti e ricordano il passato: dal più celebre caso Shalit, il soldato sequestrato da Hamas nel 2006 e liberato nel 2011, a quello del militare israeliano ucciso l'anno scorso in un villaggio della Cisgiordania da un palestinese che ne voleva scambiare il corpo con il fratello in carcere.

(Corriere della Sera, 14 giugno 2014)

*

Rapiti tre ragazzi. La responsabilità morale di Obama

Quello che era un timore è ormai diventata certezza: tre ragazzi israeliani sono stati rapiti in West Bank, probabilmente con una azione studiata a tavolino e pianificata nei minimi dettagli. Anche se le rivendicazioni si sono susseguite da parte di vari gruppi, secondo lo Shin Bet dietro c'è la longa mano di Hamas. A conferma di questa ipotesi l'annuncio fatto ieri sera dai terroristi alla popolazione palestinese di ostacolare con tutti i mezzi l'esercito israeliano nella ricerca dei tre ragazzi, anche con azioni violente....

(Right Reporters, 14 giugno 2014)


Israele, il cuore inquieto del Mediterraneo

Simonetta Mingazzini: "Un Paese che unisce storia, politica, archeologia e religioni"

di Lidia Golinelli

 
Simonetta Mingazzini
IMOLA - «Sono partita leggera di bagaglio e di pensieri, solo la voglia di scoprire e capire (per quanto poco possibile) quel groviglio di conflitti al centro del mondo». Destinazione Israele per Simonetta Mingazzini, dozzese, a lungo impegnata in politica in veste civica: da Tel Aviv a nord fino al confine con il Libano, la Galilea e le sue città di minareti e campanili, la Cisgiordania dei Territori occupati, la «straordinaria Gerusalemme» e giù fino al deserto del Negev. Un assaggio di contrastato Medio Oriente che la viaggiatrice ha affrontato così: «Non mi sono sentita obbligata a schierarmi da una parte o dall'altra, non era la mia intenzione». Un po' come nella preghiera che, accanto a papa Francesco, ha unito l'israeliano Peres e il palestinese Abu Mazen.
   Sul campo è un'altra storia. Ci sono i muri ('di protezione', secondo gli israeliani) ma basta una strada a separare due mondi in contrasto. «Spesso è la strada a fare da confine: da una parte gli israeliani, dall'altra i palestinesi; da una parte case e campi coltivati, dall'altra case non finite, disordine, abbandono», fotografa Simonetta nel suo incontro con i Territori palestinesi fra Jenin, Nablus, Betlemme.
E' tutto un avanti e indietro fra check point e divise: «Il primo impatto, il più impressionante è quello con gli interrogatori e le perquisizioni a cui sono stata sottoposta a partire da Istanbul (dove il mio volo ha fatto scalo), fino ai controlli in Israele per entrare nei centri commerciali, al mercato e anche in una scuola». Ed è tutto blindato: «Nei condomini e nelle villette private ti mostrano i bunker sempre pronti e attrezzati per la sopravvivenza, ogni tanto scattano gli allarmi. Nel piazzale dell'ospedale Sheba di Tel Aviv ci sono docce e lettini per la decontaminazione dopo gli attacchi con armi chimiche. E le madri dei ragazzi impegnati nel servizio militare sono sotto psicofarmaci».
   Eppure a Tel Aviv c'è vita: «L'ordine è: tenere la mente sveglia». Simonetta è volata in Israele su invito di una coppia di amici ebrei. «Non sono religiosi ma sentono l'appartenenza a un popolo — dice —. Ho vissuto assieme a ebrei e ho ascoltato storie di scampati e sopravvissuti a tribù siriane, a campi di concentramento e, più di recente, ad attentati nel cuore di Tel Aviv». Nella città «frenetica, colta, poliglotta, creativa, originale» che si affaccia sul Mediterraneo, Simonetta si è persa nella «babele di mostre, musei, concerti».
   Poi arriva il sabato, e si riposa. Lo ha fatto anche la curiosa romagnola: «Gli ebrei religiosi sono una minoranza, eppure Shabbat è sacro per tutti; dal tramonto del venerdì si sta in famiglia e si cucinano i piatti tradizionali. La frenesia scompare, quasi tutto si ferma, nei quartieri più osservanti vengono addirittura chiuse le strade. In quell'atmosfera quasi sospesa ho accantonato la mia curiosità e ho cucinato per i miei ospiti e i loro amici tagliatelle al ragù e piadina».
   Simonetta è entusiasta: «Il viaggio in Israele è tutto e più di quello che un viaggiatore possa immaginare: storia, politica, archeologia, religioni, tradizioni, ma anche paesaggi diversi e bellissimi: dal mar di Galilea alle lussureggianti sponde del fiume Giordano, dalle grotte di Qumran (dove furono ritrovati i famosi manoscritti) alla fortezza impressionante di Masada, dalla depressione del Mar Morto (in quelle acque salatissime ho piacevolmente galleggiato), alle spiagge di Herzliya che sembrano quelle della California».

(il Resto del Carlino, 14 giugno 2014)


Grillo è «oltre Hitler». Anche sugli ebrei

Finanza, politica estera, attacchi personali. Il comico non nasconde la sua avversione a Israele

di Luca Rocca

Maurizio Blondet e Beppe Grillo
Si insinua, di nuovo, in ogni angolo d'Europa, manifestandosi con boicottaggi e successo nelle urne dei partiti che lo incarnano; cresce nelle università occidentali, Stati Uniti compresi, e alza la voce nella Francia del caso Dreyfus; si camuffa dietro l'ostilità verso i governi israeliani e tenta di legittimarsi richiamando la giustezza dell'antisionismo; infine «esplode» con il più becero paragone tra la Stella di David e la croce uncinata nazista. È l'antisemitismo «moderno», quello più subdolo e ammantato di presunte buone intenzioni, coltivato con crudele passione da intellettuali, professori e molti politici.
E l'Italia? C'è nel nostro Paese qualcuno che incarna «sentimenti» antisemiti e che ha dato prova di ostilità verso gli ebrei? Parlano i fatti. È Beppe Grillo, leader del M5S, che utilizza l'Olocausto in campagna elettorale, pubblicando sul suo blog un fotomontaggio del cancello di Auschwitz e sostituendo le parole «Arbeit macht frei», il lavoro rende liberi, con «P2 macht frei», P2 rende liberi. Ed è lo stesso Grillo a parodiare la poesia con la quale Primo Levi apre Se questo è un uomo, con un parallelo tra la Shoah e la situazione politica italiana.
   Andando indietro nel tempo non mancano testimonianze del Grillo antiebraico. Come quando, nel 1996, durante un suo show che la Rai non ha mai trasmesso, l'allora comico compara i gas di scarico delle automobili a quelli usati nel genocidio degli ebrei. Nello stesso spettacolo Grillo paragona l'«architetto dell'Olocausto», Adolf Eichmann, al presidente della Fiat, Cesare Romiti, affermando che il primo «ha gasato tre milioni di persone per un ideale distorto», il secondo «per un conto corrente». Tre milioni di ebrei morti, afferma Grillo, e non sei, come ci racconta la storia. Il leader del M5S definisce Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, «stupido, ignorante e non molto intelligente». A chi pretende le scuse, risponde a tono: «Quando si tocca il potente, queste lobby, lobby del business, sono loro che si nascondono dietro certe tragedie».
   L'istinto antisemita di Grillo macina altre «vittime», come quando si chiede: «Chi c'è dietro De Benedetti (l'editore di Repubblica è ebreo, ndr)? Chi c'è dietro le banche, dietro la finanza?». È il potere finanziario, secondo Grillo, che «provoca olocausti una volta l'anno, una volta al mese, una volta al giorno. Ruanda, il gas in Siria, i sistemi finanziari e bancari causano migliaia di morti ogni anno». Sul suo blog compaiono frasi di questo tipo: «Fosse per me prenderei a cannonate Israele da mattina a sera e gli farei rimpiangere i metodi usati dallo zio Adolf»; o ancora: «Hitler era sicuramente un pazzo malato, ma la sua idea di eliminare gli ebrei era per eliminare la loro dittatura finanziaria».
   Grillo ha anche una spiccata simpatia per Maurizio Blondet, editore del sito «effedieffe.com», simbolo antisemita della rete. Intervistato dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, il comico prestato alla politica afferma che «tutto quel che in Europa sappiamo su Israele e Palestina è filtrato da un'agenzia internazionale che si chiama Memri. E dietro Memri c'è un ex agente del Mossad che manipola e deforma l'arabo a favore della propaganda israeliana».
   Grillo ha anche difeso l'attore e regista Mel Gibson, che non ha mai disdegnato pronunciamenti antisemiti. È convinto, Beppe, che «i produttori di origine ebraica» vogliano fargliela pagare. Dell'Iran di Ahmadinejad diceva: «Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna in Iran è al centro della famiglia», e aggiungeva: «Del resto anche quando uscivano i discorsi di Bin Laden, mio suocero iraniano m'ha spiegato che le traduzioni non erano esatte». Poi l'assurdo paragone: «Un giorno in Iran ho visto una persona impiccata in una piazza. Ero lì e ho chiesto: che cosa è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Stati Uniti. Anche loro hanno la pena di morte. Mettono uno a dieta, prima di ucciderlo, perché la testa non si stacchi. Cos'è più crudele?».
   E che dire di come prende di mira Gad Lerner, giornalista di origine ebraiche: «Non mi fido di qualcuno con un tale naso», scrive sul suo blog. Esibendosi ancora in uno dei suoi spettacoli, afferma: «C'è un detto che dice "dove Attila è passato, nessuna erba crescerà". Possiamo dire "dove gli israeliani sono passati, nessun palestinese crescerà"...».
   Quando Israele dà il via a Gaza all'operazione militare «Piombo Fuso» contro Hamas, Grillo scrive: «L'assassino di bambini deve essere messo sotto processo per crimini contro l'umanità». E infine: «Israele è spaventosa. Il suo comportamento è irresponsabile. È così, l'ho detto, e non sono neppure ubriaco». D'altronde, lo ha confessato da un palco, lui non è Hitler, lui è «oltre Hitler».

(Il Tempo, 14 giugno 2014)


Finestra sul confine - A Beit Sahur

di Angelica Edna Calo Livne

 
Beit Sahur
Questa volta l'incontro della Commissione culturale europea per la pace è a Beit Sahur, vicino a Betlemme. Non posso negare che ogni volta che devo partire mi viene un forte mal di testa dalla sera precedente. Non so mai cosa mi aspetta e quali sono le reazioni dopo gli ultimi eventi. Arrivo a Gerusalemme in treno dopo un viaggio mozzafiato in un wadi tra colline coperte di ulivi. Issa l'autista che viene a prelevarmi parla perfettamente l'ebraico, ha studiato all'università di Gerusalemme.
Tiene molto a mostrarmi il "muro", le terre che sono rimaste dall'altra parte. Passiamo attraverso vie strette ed affollate davanti a grandi alberghi, a ristoranti , negozi. Le strade sono colme di turisti. Issa e poi Fatima e gli altri palestinesi che partecipano al Meeting ammettono che la seconda intifada sia il peggior evento che sia capitato ai palestinesi. Sono orgogliosi di Abu Mazen : "È lui che ha fermato gli atti terroristici - asseriscono - Non la barriera di difesa". Una volontaria polacca che opera a Gaza dice ai rappresentanti dell'U.E.: "Ci chiedete di proporre nuove idee per risolvere il conflitto ma prima di tutto noi dobbiamo occuparci delle lotte interne tra le diverse fazioni nei luoghi nei quali operiamo!". Si parla di riconciliazione, comprensione, avvicinamento, accoglienza. Comincio a rilassarmi.
I rappresentanti palestinesi parlano del problema della "normalizzazione" cioè l'inizio di una cooperazione prima che finisca l'occupazione. Questo è uno dei grandi ostacoli delle ONG che operano per il dialogo con ottimi progetti di peace building attraverso l'arte, l'ambiente o l'educazione che però mettono in pericolo i palestinesi che spesso sono minacciati da chi non accetta di cooperare prima della fine dell'occupazione e questo è uno degli argomenti che sollevano interrogativi… ai quali purtroppo per ora è difficile rispondere.
L'atmosfera è tesa ma i rappresentanti dell'Unione europea vegliano dando una botta all'incudine e una al martello ascoltando le sofferenze ancora e sempre vivide di entrambi le parti.
Con tutto ciò ho sentito affermazioni che non avrei potuto sentire fino a qualche anno fa. Quando Shireen mi dice dopo un po' di critiche pesanti: "Mio marito è di Ramallah e io Sachnin. Io vivo là e qua perché lì non ricevo nessun contributo, né assistenza medica" le domando con orgoglio "Allora non è tanto male vivere in Israele?" "In questo caso no. Da questo punto di vista Israele non si può comparare a nessuno dei Paesi arabi che la circonda!"

(moked, 13 giugno 2014)


Le nuove paure degli ebrei in fuga dalla Francia

di Luis Rivas

In Francia, la più grande comunità ebraica d'Europa sta emigrando in Israele con dati senza precedenti. Le ragioni: la crescita della nuova destra, la violenza di frange islamiche, la sinistra estrema filopalestinese. E rinascono fantasmi antichi.

Roger Cukierman, presidente del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia
PARIGI - La diaspora degli ebrei francesi verso Israele è aumentata in modo spettacolare negli ultimi mesi. Se nel 2012 sono state 1907 le persone che hanno deciso di fare la aliyah, il pellegrinaggio a Gerusalemme, l'anno successivo in 3.280 si sono avvalsi delle facilitazioni offerte dall'Agenzia Ebraica per trasferirsi in Israele.
   Solo nel primo trimestre del 2014, il numero è già cresciuto del 70 per cento. Sono cifre che ormai superano quelle registrate negli Stati Uniti, dichiara Natan Sharansky, a suo tempo un refuznik (un cittadino dell'Unione Sovietica che non aveva permesso di espatrio) figura di spicco della dissidenza in Urss, e oggi presidente dell'Agenzia ebraica per Israele. Vittime della violenza di strada in aumento, detestati in certi ambienti giornalistici e intellettuali... Mentre si assiste alla banalizzazione della Shoah e a un antisemitismo antisistema. La situazione degli ebrei francesi sta peggiorando negli ultimi tempi, come denunciano i responsabili di una comunità ebraica che conta mezzo milione di persone ed è la più numerosa d'Europa.
   «Non è molto piacevole essere ebreo in Francia, oggi». Questa frase, pronunciata in inglese nel consolato francese di New York due settimane fa, è valsa al suo autore, Roger Cukierman, aspre critiche nel suo Paese, sia da destra che da sinistra. Cukierman è, dal 2013, presidente del Crif, il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia nonché vicepresidente del Congresso ebraico mondiale.
   In una conversazione telefonica, ribadisce le tre principali minacce che la comunità ebraica francese si trova davanti: «La popolarità crescente del Front National, la radicalizzazione dei musulmani francesi e l'ostilità dell'estrema sinistra antisemita». II presidente del Crif sottolinea che il 40 per cento dei «reati di violenza per motivi di odio» ha per oggetto dei cittadini soprattutto ebrei. «Oggi è impensabile» dice per fare un esempio «che una persona possa viaggiare in metro con la kippah». Sacha Reingerwirtz, avvocato di 27 anni, presidente dell'Unione degli studenti ebrei di Francia (Uejf), conferma il fenomeno crescente dell'antisemitismo, anche se specifica che il timore di violenze varia da città a città, da un quartiere all'altro, a seconda delle università. Triste consolazione.
   Ricerca di un futuro migliore e fuga da una situazione di insicurezza. I motivi per spiegare il ritorno in Israele sono anche quelli esposti dal direttore dell'Agenzia ebraica in Francia. Anche Ariel Kandel, tuttavia, insiste sul «clima» di antisemitismo che si respira oggi in Francia. «Sottolineo questo fatto del clima» dice «perché la Francia ha vissuto episodi gravi di antisemitismo, come gli attentati di Rue des Rosiers (1982) e di Rue Copernic (1980), a Parigi, o gli omicidi di Tolosa, nel 2012. Quello che voglio descrivere è il clima di un antisemitismo che va di moda; un antisemitismo antisistema che si allarga, stimolato, tra gli altri, dagli spettacoli e dalle dichiarazioni di comici come Dieudonné M'bala».
   Ariel Kandel, in quanto responsabile dell'Agenzia ebraica in Francia, non può nascondere una certa soddisfazione rispetto alle cifre della alyah durante la sua gestione e segnala che un quarto dei francesi che si sono trasferiti in Israele di recente sono giovani tra i 17 e i 30 anni. II governo di Benjamin Netanyahu avrebbe un particolare interesse ad attirare il maggior numero di ebrei francesi e per questo l'Agenzia starebbe lavorando per la convalida degli esami universitari e di alcune professioni. Nel periodo 2014-2017, dice Kandel, Israele prevede di attirare dalla Francia tra le tremila e le quattromila persone l'anno.
   La presidenza di François Hollande fa il possibile per frenare il sentimento di ostilità verso i cittadini appartenenti alla comunità ebraica. Cukierman ha apprezzato l'assimilazione tra antisemitismo e antisionismo che Hollande ha fatto in pubblico recentemente. Mentre il premier Manuel Valls non ha avuto dubbi (e non solo perché sua moglie è ebrea) nel condannare l'antisemitismo. Questo gli è valso l'accusa di essere «il primo sionista di Francia» da certi settori dell'ultradestra vicini al solito Dieudonné M'bala e ad Main Soral, blogger e saggista «antitutto» (semitismo, femminismo, omosessuali...).
   In Francia, si cerca di rassicurare, non esisterebbe dunque un antisemitismo istituzionalizzato come negli anni Trenta e Quaranta, ma i rappresentanti della comunità ebraica esprimono un certo stupore per l'indifferenza della gente di fronte agli attacchi e alle minacce subite dai connazionali ebrei. Ariel Kandel insiste su questa differenza tra il positivo interesse delle istituzioni e la scarsa risposta della società civile.
   Che gli spettacoli di un presunto comico antiebreo riempiano i teatri, che nella capitale francese migliaia di persone gridino in una manifestazione slogan e minacce contro gli ebrei, che la figura dell'ebreo continui a essere associata al cliché della ricchezza, che l'ebreo, insomma, torni ad essere il capro espiatorio della crisi economica, sono sintomi che non preoccupano la maggioranza della popolazione francese.
   Per un osservatore straniero, è quanto meno scioccante che l'omicidio di bambini ebrei da parte di Mohamed Merah a Tolosa, abbia ricevuto il plauso di certi settori che continuano a giustificare il terrorismo in nome del jihad o della lotta per i diritti dei palestinesi.
   Né suscitarono molta solidarietà pubblica il sequestro, la tortura e ebreo ucciso l'omicidio del giovane ebreo Ilam perché, Halimi, nel 2006, vittima di una banda di banlieue, guidata dal figlio di una coppia di emigrati africani, il quale scelse la sua vittima con l'intelligente ragionamento che Halimi doveva essere ricco perché era ebreo. Un film uscito da poco su questo caso (24 jours, di Alexandre Arcady) ha sollevato molte polemiche grazie a un famoso ospite di talk-show televisivi, facente parte di certo giornalismo di sinistra impantanato in cliché antiebraici.
   In questo clima di antisemitismo a bassa intensità si inserisce anche un altro film, l'opportunista Welcome to New York, dello statunitense Abel Ferrara, ispirato alle traversie sessuali di Dominique Strauss-Kahn. Il film, presentato al Festival di Cannes, è stato accusato di antisemitismo da una parte della critica. In sostanza, Ferrara cadrebbe nell'antisemitismo più volgare quando fa comparire sullo schermo l'ex-moglie di DSK, la giornalista Anne Sinclair, facendo riferimento alla figura del padre di lei, Paul Rosemberg, mercante d'arte di Picasso, Braque e Matisse.
   Anne Sinclair, che oggi dirige l'Huffington Post francese, ha dichiarato che dover parlare di suo padre, depredato dai nazisti, privato della nazionalità, esponente della resistenza francese, per difenderlo dalle insinuazioni del film, è una cosa che non avrebbe mai pensato di dover fare nel 2014.
   Ma secondo altre 8 opinioni, la giudeofobia in Francia è nutrita anche dall'associazione ricorrente tra comunità ebraica e governo di Israele. Che le intifade trasmesse in televisione abbiano creato un ambiente ostile nei confronti di Israele è un fatto. Che la stampa francese, in generale, si possa considerare pro-palestinese è evidente a chiunque abbia vissuto in questo Paese senza coprirsi gli occhi e le orecchie negli ultimi anni. Gli ebrei, e non solo loro, chiamano l'agenzia di stampa statale France Press (Afp) Agence France Palestina.
   Esprimere in pubblico un'opinione favorevole a Israele, pur essendo critici con il suo governo, è dar prova di notevole coraggio. Il filosofo Alain Finkielkraut lo può testimoniare. Candidato con successo all'Académie française, Finkielkraut ha dovuto subire l'opposizione di alcuni accademici o accademiche pro-palestinesi, come la scrittrice Danièle Sallenave, che non poteva accettare che un difensore dello Stato di Israele entrasse a far parte dell'istituzione fondata da Richelieu nel 1635.
   Finkielkraut, francese figlio di ebrei polacchi, denuncia da tempo a modo suo questo atteggiamento esistente in Francia: «Si sta creando contro Israele e contro chi è legato a questo Paese un antisemitismo temibile, perché usa il linguaggio dell'antirazzismo». L'accademico e altri intellettuali considerati neo-reazionari denunciano l'antirazzismo come una nuova religione usata per screditare qualsiasi atteggiamento politicamente «non corretto».
   Ne sono un esempio la denuncia e il processo che pesano su Arno Klarsfeld, figlio di Serge e Beate Klarsfeld, i più noti cacciatori di nazisti di Francia e d'Europa. La sua colpa? Arno ha dichiarato alla rete televisiva I-Télé che «la Francia non è un Paese antisemita; c'è un nucleo duro di estrema destra che lo è chiaramente; e anche una parte dell'estrema sinistra; gli estremisti islamici, ovviamente; e una parte dei giovani delle banlieue». Parlare dell'estremismo islamico rampante nei quartieri abitati da cittadini arabi, da francesi di origine araba o da cittadini di religione musulmana continua a essere un tabù per cui si può finire sotto processo. In ogni caso, il francese Mehdi Nemmouche, autore dell'attentato al Museo ebraico di Bruxelles è un perfetto esempio del contagio antiebraico nelle banlieue francesi.
   La Francia è un Paese antisemita? Nessuno osa affermarlo categoricamente. Ma altre voci mettono in allarme sulla liberazione del discorso giudeofobo, che ha attivato nel subconscio nazionale sentimenti che si ritenevano sepolti per sempre.

(Il Venerdì di Repubblica, 13 giugno 2014)


Intervista a Giulio Meotti, autore di un pamphlet molto discusso

Il libro elenca gli ebrei "illustri", critici nei confronti di Israele

a cura di Giacomo Kahn
ha collaborato Jacqueline Sermoneta

- Prima con il libro 'Non smetteremo di danzare', storie di famiglie israeliane colpite dal terrorismo, poi con l'ultimo 'Ebrei contro Israele', dimostri una particolare attenzione verso lo Stato ebraico. Perché?
  E' un interesse nato per ragioni di lavoro. In termini giornalistici Israele è una delle storie più importanti perché, ad esempio, è l'unica democrazia costretta da 70 anni ad una guerra e tutti i giorni ha a che fare con un'offesa terroristica Obiettivamente è una storia straordinaria. Poi personalmente ci sono stati sempre legami d'amicizia profonda col popolo ebraico o con ebrei, o con ebrei che vivono in Israele, ebrei italiani, ebrei americani, quindi è un po' un misto di entrambe le cose.

- Però questo ultimo libro è un vero j'accuse verso molti ebrei, che accusi di non sostenere Israele.
  Mi sono chiesto: come è possibile che i principali capi di accusa nei confronti d'Israele e del sionismo siano prodotti negli ultimi 40 anni, specie dopo il 1967, da intellettuali ebrei? Mi riferisco al paragone fra Israele e l'Apartheid, pubblicato da Maxim Rodinson, figlio di ebrei francesi, comunisti, bundisti, che scrive il testo base su cui si allenano generazioni di politici e di intellettuali arabi, arabo-islarnici. Mi riferisco ai testi di Natalia Ginzburg, con i paragoni fatali con il nazismo. Com'è possibile che il grande armamentario ideologico oggi della sfida contro Israele sia prodotto spesso da ebrei? In Inghilterra il boicottaggio accademico delle Università israeliane è stato lanciato da due intellettuali ebrei, Hilary e Steven Rose. Il boicottaggio d'Israele negli Stati Uniti l'ha lanciato un'ebrea, Judith Butler, teorica di studi di genere, femminista, personaggio molto interessante ma ebrea antìsraelìana. Mi riferisco poi a Noam Chornski che è il grande darling di Hamas e Hezbollah e addirittura li va a visitare nei loro quartieri. Mi riferisco ai grandi premi Nobel tipo Harold Pinter, che nel giorno del 60mo anniversario dello Stato d'Israele firma addirittura un articolo sul giornale inglese Guardian dicendo noi non festeggiamo l'anniversario d'Israele e lo fa insieme ad altri 50-60 ebrei inglesi. Quindi Israele non solo deve combattere una guerra contro il terrorismo, contro l'isolamento, ma deve anche combattere una guerra leggera sui giornali, sui libri, nelle università e questa guerra, secondo me, spesso è sostenuta da ebrei.

- Ebrei contro Israele cbe sono prevalentemente anglosassoni, ma nel libro citi anche alcuni intellettuali ebrei italiani.
  Ho cercato di enucleare alcuni grandi personaggi: Primo Levi, su cui è veramente un tabù mettere le mani in Italia, in pane per ragioni comprensibili, il dramma dell'Olocausto, il suicidio, e poi perché è un personaggio difficile, complesso e allo stesso tempo straordinario. Si deve però poter anche dire che Primo Levi è partito da posizioni di fìlo-sìonìsmo o di sionismo fino alla guerra del '67, si fa fotografare ad esempio sulla prima pagina della Stampa mentre raccoglie il sangue per gli ebrei nel '67, ma arriva però alla fine a pubblicare uno dietro l'altro su Repubblica, sulla Stampa, sui grandi giornali una serie di accuse contro Israele anche sofisticate, intelligenti, parecchio difficili da decifrare; fino secondo me alla cosa più grave che è in assoluto il suo appello "noi democratici ed ebrei contro la guerra in Libano". e non perché criticasse la guerra in Libano che è stata una disgrazia, ma perché divise profondamente l'ebraismo italiano e fece esplodere una contraddizione che era obiettivamente insopportabile. Poi c'è Natalia Ginzburg, grande scrittrice, storica firma dell'Einaudi, che ha scritto delle cose sciagurate contro Israele parlando di genocidio dei palestinesi, con un'introiezione psicoanalitica dell'Olocausto. Ginzburg ha scritto che il famoso bambino ebreo del ghetto di Varsavia con le mani alzate è oggi il bambino palestinese, con un'orrenda inversione di ruoli, la vittima che diventa carnefice. Ci sono poi Cesare Cases, Franco Fortini, e alcuni grandi intellettuali attuali come Gad Lerner che sicuramente me ne vorrà.

- Tra i personaggi che citi vi è persino Hannah Arendt.
  Qualcuno si è mai chiesto perché Hannah Arendt non viene pubblicata fino alla fine degli anni '90 in Israele in lingua ebraica? In un paese in cui si pubblica una qualsiasi immondizia intellettuale perché non si è pubblicata Hannah Arendt? Perché la Arendt è un problema per Israele, innanzi tutto con il suo libro sostanzialmente crea il mito dell'Olocausto non antisemita, quindi l'Olocausto come paradigma assoluto del totalitarismo che sembra non aver a che fare con gli ebrei. Per 20 anni è stata boicottata da qualsiasi organizzazione ebraica e dagli israeliani Arendt rappresenta l'emblema dell'intellettuale apolide di lingua germanica, arnica e amante di Martin Heidegger, emigrata in America.

- Non è un caso che molti degli intellettuali che porti ad esempio come impegno anti israeliano, siano però degli ebrei assimilati.
  L'ultimo capitolo del libro riguarda proprio l'assimilazione, a sottolineare che il destino d'Israele coincide con il popolo ebraico, ma questo non piace a questi personaggi. A loro piace pensare che l'ebreo della Diaspora sia addirittura antropologicamente diverso dall'ebreo israeliano: sia un ebreo mite, tollerante, pensoso, moralmente superiore. Si sono inventati uno stereotìpo, questo sì antisemita, perché nega veramente l'identità degli ebrei. Gran parte di questo loro antisionismo finisce con coincidere con il culto dell'assimilazione che è la vecchia tesi di CarI Marx, cioè per risolvere l'antisemitismo, sostanzialmente bisogna diluire l'entità ebraica nel mondo, si deve perdere nella storia, deve essere una roba che non esiste più, come i Maya E loro lo teorìzzano, un ebraismo che ha a che fare esclusivamente con la tolleranza, con la mescolanza delle fedi. Di alcuni di questi intellettuali 'ebrei', potremmo addirittura dire che non sono nemmeno ebrei. La Ginzburg è stata sepolta con rito cristiano. Franco Fortini, il cui nome originale era Lattes, si è convertito per scappare alle leggi razziali.

- Ma il libro cita come antisionisti anche intellettuali israeliani che vivono in Israele.
  E' vero. Stanno dentro, hanno dei figli uccisi in guerra, pagano le tasse in Israele. E' vero anche che un personaggio come Avraham Burg, ex presidente della Knesset, ex presidente dell'Agenzia ebraica, quindi dell'organizzazione che deve prendere gli ebrei di tutto il mondo e portarlì nella terra promessa, teorìzza il doppio passaporto e dice ai giovani israeliani, fate come me che ho il passaporto francese, preparatevi che il sionismo è spacciato. Quando Amos Oz dice che certi coloni oltranzisti sono neonazisti, forse non sa che cos'è stato il nazismo. Quando Yehoshua dice che il silenzio degli israeliani sull'occupazione è paragonabile al silenzio dei tedeschi sull'Olocausto; quando Grossman riceve un premio dal Primo Ministro Olmert, ora caduto in disgrazia, e non gli stringe la mano criticandolo; quando Grossman dice sulle prime pagine dei giornali che l'embargo è uno scempio, embargo voluto addirittura dalla comunità internazionale, diventano prima di tutto arma dell'intellighenzia antisionista che sta all'estero; vengono sempre usati; diventano intoccabili. C'è uno scollamento totale tra questi scrittori e l'opinione pubblica israeliana. Il sentire d'Israele è tutta un'altra cosa: Shai Agnon è un'altra cosa, Appelfeld è un'altra cosa, ed anche Kaniuk che è un po' più schierato, non parlano mai di cose politiche. Perché? Perché non sono ideologizzati. Per Oz e Grossman essere la coscienza critica d'Israele consente di prendere più premi letterari, di avere più visibilità sui giornali. E' una distorsione: critichi Israele, ti diamo pubblicità, denaro, articoli sui giornali, grandi case editrici. Quando Grossman va alla televisione tedesca e dice "sto pensando di lasciare Israele", con aria pensosa, obiettivamente è un vulnus, un problema, è una ferita nell'anima israeliana. il fatto che uno abbia perso un figlio in una guerra non lo rende intoccabile. Conosco decine di farniglie che stanno di fronte alla Corte Suprema tutti i giorni a protestare contro il rilascio dei terroristi palestinesi, così come conosco famiglie meravigliose che sono a favore del rilascio di quei terroristi in nome del negoziato, del pragmatismo.

- Una parte del mondo ebraico italiano, quello per intendersi liberal e di sinistra, ha avuto reazioni molto critiche verso il libro, bollato negativamente senza neanche averlo letto.
  Mi aspettavo una reazione che però rispondesse alle cose contenute nel libro. La reazione è stata invece quella dell'alzata di spalle, oppure di denigrare il libro, di demonizzarlo, dicendo che contiene soltanto delle ingiurie oppure che è una cosa pericolosa per gli ebrei che devono prendere le distanze.

(Shalom, giugno 2014)


I nuovi A330 Alitalia sulla rotta Roma-Tel Aviv

Da luglio a ottobre prossimi

I nuovi Airbus A330 dell'Alitalia voleranno tre volte a settimana sulla rotta Roma-Tel Aviv e viceversa nel periodo compreso tra il 4 luglio e il 25 ottobre. Lo annuncia l'azienda sottolineando che questo ''e' un altro passo per aumentare le attivita' della compagnia aerea in Israele e che mostra ancora di piu' l'impegno importante di Alitalia e la sua attenzione alle potenzialita' del mercato israeliano''. Per la prima volta - ha aggiunto l'azienda - la compagnia aerea offrira' ''un servizio simile a quello usato per il lungo raggio anche ai clienti in volo tra l'Italia e Israele''. Il servizio a bordo degli A330 prevede infatti un totale di 250 posti divisi tra Magnifica, Business Class, Classica Plus e Classica. Tra i primi, sedili reclinabili di 180 gradi che diventano lettini.
''Con i nuovi A330 Alitalia - ha sostenuto l'azienda - offre al mercato israeliano comfort, stile e attenzione ai dettagli''.

(ANSAmed, 13 giugno 2014)


Un gioiello a Berlino da non perdere: lo Jùdisches Museum di Libeskind

di Rossana Calistri

  
Se durante questa estate si scegliesse di vedere la bella Berlino vogliamo segnalare un gioiello architettonico poco noto ma certamente sorprendente. Il Museo ebraico racconta un pezzo importante di storia mondiale del Novecento e nonostante sia una storia dolorosa vale la pena di conoscerlo.
Il museo ebraico di Berlino, ad opera di Daniel Libeskind, rappresenta un capolavoro architettonico da molti punti di vista, sconcertante, poco famoso ma un vero gioiello dell'architettura.
Sembra che quest'opera voglia rappresentare lo specchio della situazione spesso tragica e comunque anomala del popolo ebraico, da una parte celebrarne la civiltà, dall'altro commemorare l'enorme tragedia della Shoah e delle persecuzione dell'epoca nazista.
Lo Judisches Museum risale, come periodo di costruzione, al 2001, dopo un concorso architettonico bandito dalla Municipalità di Berlino e vinto da un architetto polacco. E' nata una costruzione insolita, quasi addirittura respingente per il pubblico.
La pianta dell'edificio è costruita a zigzag, formando un asimmetria e creando un dislivello continuo, con un sali e scendi, che dà la sensazione, a chi attraversa le stanze, di una forte precarietà. Le stesse finestre sono feritoie che creano un sottilissimo filtro per la luce lasciando, allo stesso tempo, aree in ombra e poca luce nei vani.
In questo modo non è certo possibile vedere l'esterno. Buio e poca luce danno la sensazione che non si può comunicare con il mondo esterno. I lunghi corridoi che si intersecano tra di loro sembrano dare una via di speranza, di fuga dai lager nazisti.
E' difficile capire fino a che punto questo edificio è un solenne ricordo di un'epoca drammatica. Certamente sia l'architettura del Museo sia la presenza di forme scultore come la stella di David, proposta in una forma totalmente distorta, o resti di oggetti delle persone internate, tutto concorre a creare un'atmosfera di un rituale durato per tutto il periodo della vita nei campi.
E' un Museo molto speciale anche perché ha in sé elementi importanti da non sottovalutare, è costruito nel cuore dell'ex terzo Reich, da un architetto polacco, perché vuole rappresentare la civiltà ebraica ma anche commemorare lo sterminio indimenticabile.

(Pensieri.it, 13 giugno 2014)


Bug in Gmail scoperto da un ricercatore israeliano

Esposti gli indirizzi degli utenti

di Mauro Notarianni

Un bug in Gmail ha potenzialmente permesso fino a qualche giorno addietro di avere accesso a milioni d'indirizzi di posta elettronica del servizio. Bastava, almeno stando a quanto racconta un ricercatore di Tel Aviv, eseguire la modifica di una serie di caratteri (token) in un indirizzo e avere un po' di tempo a disposizione. In un video è stato mostrato come ottenere 37.000 indirizzi in meno di due ore sfruttando un semplice metodo di forza bruta.
Oren Hafif, ricercatore di Trustwave, ha iniziato a lavorare sul bug a novembre e rivelando pubblicamente i dettagli di quanto aveva individuato la scorsa settimana con un post sul suo blog. Hafif, sfruttando un software denominato DirBuster e un dizionario creato ad hoc con dei token, ha mostrato la possibilità di eseguire attacchi su larga scala, collezionando con questo sistema migliaia di indirizzi validi; con settimane di tempo a disposizione, gli indirizzi che era possibile recuperare potevano essere milioni, sfruttandoli potenzialmente per generare email di spam, phishing e attacchi mirati a rubare le credenziali di accesso degli utenti.
La soluzione è arrivata un mese dopo aver segnalato il problema a Google. Inizialmente questi ultimi si erano rifiutati di pagare i premi in denaro riservati a chi individua bug in alcuni servizi, ma alla fine l'ha premiato con 500$.
Video

(macitynet.it, 13 giugno 2014)


Israele al top dei biglietti venduti per la Coppa del Mondo

In proporzione all'estensione del territorio

Pazzi per i Mondiali: Israele e' infatti la nazione - rispetto alla grandezza dei suoi abitanti - ad aver acquistato il maggior numero di biglietti per la fase finale della Coppa del mondo in Brasile. In 11.222 li hanno comprati sul sito della Fifa, non facendosi scoraggiare né della distanza, né dal prezzo alto di viaggio e alberghi, né dalle notizie di disordini sociali, né - hanno spiegato i media - dalla ''discutibile sicurezza'' in Brasile.
Se si prende il numero complessivo dei biglietti venduti dal sito web della Fifa (se ne possono acquistare 17 a testa) in base alla nazionalita', gli israeliani sono in 17/a posizione.
Avanti, pero', ad esempio alla stessa Italia che ha vinto per ben quattro volte la Coppa. E al secondo posto dei paesi che non hanno rappresentative nazionali in campo in Brasile. Nel tifo - secondo informazioni del 'Live Ticket Company', citate dai media - gli israeliani sembrano avere un debole per la Spagna con le sue stelle del Real Madrid e del Barcellona, molto popolari da queste parti. Ma amate sono anche l'Argentina (con l'astro Lionel Messi), il Brasile, il Portogallo e la Gran Bretagna. Le partite che attirano di piu' gli israeliani sono quella di venerdi' notte tra Spagna e Olanda (riedizione della finale del 2010 vinta 1-0 dagli iberici) ma anche tra Spagna e Cile e tra Argentina e Bosnia. Naturalmente ad essere al top dei biglietti acquistati sono i quarti di finale, le semifinali e la finale. Nel match di apertura tra Brasile e Croazia saranno in 2500 gli israeliani che si sono prenotati.

(ANSAmed, 12 giugno 2014)


Gerusalemme e il Festival delle luci

Arte e monumenti rendono spettacolare la Città vecchia

Gerusalemme - Festa delle Luci 2014
Passeggiare per i pittoreschi vicoli della Città Vecchia di Gerusalemme è ogni volta un'esperienza coinvolgente. Lo è ancora di più quando, durante il Festival delle Luci. Durante l'evento le vie, i muri e le finestre vengono arricchiti da una serie d'installazioni luminose.
Nell'edizione del 2014, saranno montate installazioni tridimesionali, saranno proiettati video sulle iconiche mura della Città Vecchia, saranno presentati spettacoli di luci e suono.
Il festival è inziato il 11 e terminerà il 19 di Giugno, i visitatori saranno invitati a scegliere uno dei diversi percorsi, ognuno dei quali è contraddistinto da un colore, che li porterà da un'installazione all'altra. Il Festival si svolge dentro e intorno alla Città Vecchia, inserendo così nell'atmosfera incantata del centro storico innovative e coinvolgenti opere d'arte provenienti da Israele e dall'estero.

(Il Messaggero, 12 giugno 2014)


Inaugurata a Parigi la mostra sul legame tra popolo ebraico e Terra d'Israele

Con sei mesi di ritardo. L'Unesco l'aveva cancellata a gennaio su pressione dei paesi arabi

L'UNESCO ha inaugurato mercoledì, nella sua sede di Parigi, una mostra sui legami storici fra ebraismo e Terra Santa, dopo le polemiche suscitate dell'improvvisa cancellazione della originaria data d'inizio, lo scorso gennaio.
Centinaia di persone, attivisti della comunità ebraica, diplomatici e leader religiosi hanno affollato l'inaugurazione presieduta da Irina Bokova, direttrice generale dell'UNESCO, affiancata dai co-sponsor ufficiali: Israele, Canada e Montenegro ai quali si sono aggiunti gli Stati Uniti....

(israele.net, 13 giugno 2014)


"Il passato, il presente e il futuro'' del terrorismo islamico

Mossad: 15.000 europei jihadisti sono pronti ad agire

di Michael Sfaradi

GERUSALEMME - Negli ultimi anni i segnali di un malessere diffuso in tutta Europa si sono fatti sempre più forti nella loro intensità e sono sempre più frequenti. Si tratta di piccoli e grandi fatti che si susseguono e si rincorrono, eventi che una quindicina di anni fa avrebbero fatto gridare allo scandalo con conseguente levata di scudi da parte di tutte le forze democratiche del vecchio continente, fatti che oggi trovano poco spazio sulle pagine dei giornali fra le pubblicità e i necrologi, eventi ai quali l'opinione pubblica europea si sta tragicamente abituando e per mero spirito di sopravvivenza sta sdoganando come un destino al quale è impossibile sottrarsi. Possiamo citare alcuni esempi:
   Dal 6 all'8 marzo 2009 si svolse a Malmoe, in Svezia, un incontro di tennis valido per la coppa Davis fra la nazionale svedese e quella israeliana, e il Baltic Hall, un impianto che può ospitare migliaia di spettatori e che fu teatro degli incontri, rimase miseramente deserto perché le autorità svedesi si piegarono all'ultimatum degli organizzatori di manifestazioni anti-israeliane. Israele vinse l'incontro di tennis e la Svezia oltre ad uscire dal torneo perse anche la faccia nel mettere allo scoperto la debolezza di una nazione che si piega davanti a chi minaccia disordini in strada.
   Rimanendo nell'ambito sportivo non c'è volta che una squadra israeliana impegnata in qualche torneo internazionale non debba sopportare contestazioni di tipo politico che nulla c'entrano con la situazione mediorientale, questo sia nel calcio Champion League e Uefa Europa Legue che in tutti gli altri sport. Chi in qualche modo riesce a salvarsi è il Maccabi Tel Aviv di pallacanestro che ha uno zoccolo duro di tifoseria che la segue in quasi tutte le trasferte, zoccolo duro che non si fa intimorire.
Il malessere di cui scrivevo prima purtroppo non è solo nello sport e non è confinato al conflitto arabo israeliano, che per quanto grave potrebbe essere considerato un evento a se stante, ma è vivo su mille fronti e si manifesta violentemente con varie motivazioni che solo agli occhi dei disattenti sono lontane fra loro. Per quello che scrivo potrei essere accusato di ogni cosa, anche la più squallida o grave, ma mi prendo il rischio e la responsabilità, per cui senza falso buonismo o ipocrisia metto insieme notizie e fatti che a molti non farà piacere ricordare.
   L'11 marzo 2004 ci furono una serie di attacchi terroristici coordinati con metodo qaedista al sistema di treni locali a Madrid (Spagna) che uccisero 191 persone (177 delle quali morte immediatamente negli attentati) e provocarono 2.057 feriti. Vista la gravità dell'attentato lo stesso diveniva il primo per numero di feriti e secondo per vittime mortali, nella lista dei peggior attacchi sofferti in Europa in tempi di pace dopo l'attentato di Lockerbie, che causò la perdita di un aereo della Pan Am e la morte di tutti i passeggeri e membri dell'equipaggio il 21 dicembre 1988. Oltre alla morte e alle ferite gli attentatori riuscirono anche a influenzare pesantemente il voto politico spagnolo che si sarebbe poi svolto a distanza di tre giorni dall'attentato. Anche se il governo spagnolo fece di tutto pur di addossare la responsabilità all'ETA basca fin da subito fu chiaro, sia per la dinamica che per i metodi, che a manovrare l'attentato non poteva che essere stata la mano del terrorismo arabo.
   Il 7 luglio del 2005 Londra fu squarciata da diversi attentati di chiara matrice qaedista, tre treni della Metropolitana furono colpiti quasi contemporaneamente e dopo poco meno di un'ora esplose un autobus. Gli attacchi causarono 55 morti, inclusi gli attentatori, e circa 700 feriti. Da questa tragedia la cosa che doveva lasciare sconcertati, e che invece passò quasi in sordina, fu che gli attentatori pur avendo origini mediorientali erano nati e cresciuti nel Regno Unito e che proprio lì si erano formati. Chi fece saltare Londra in quel maledetto 7 Luglio 2005 erano inglesi di seconda e terza generazione e non poveri disgraziati senza speranza nel futuro, non che a quest'ultimi, vista la loro situazione, sia permesso di uccidere.
   Sempre nel 2005 le banlieue francesi furono messe a ferro e fuoco da contestazioni che iniziarono a Clichy-sous-Bois e che poi si estesero Montfermeil e ad altri centri del dipartimento di Senna-Saint-Denis. Le autorità francesi furono prese in contropiede e dal 1o novembre il fenomeno si diffuse anche ad altre città:
   Rennes, Évreux, Rouen, Lilla,Valenciennes, Amiens, Digione, Tolosa, Pau, Marsiglia e Nizza, al punto che l'8 novembre il governo francese fu costretto a dichiarare lo stato d'emergenza riprendendo la legge del 3 aprile 1955 promulgata durante la guerra d'Algeria. Le violente contestazioni si animavano durante le notti per fermarsi alle prime luci dell'alba quando si contavano centinaia di auto bruciate con negozi e supermercati saccheggiati e dati alle fiamme. Già da allora era chiaro che dietro tutto questo ci fosse una mente organizzativa, tante città che scoppiavano improvvisamente una dietro l'altra con contestatori che apparivano e sparivano come seguissero ordini che arrivavano dall'alto.
   Anche se era chiaro e a microfoni spenti i dirigenti delle varie gendarmerie lo confermavano, nessuno ebbe mai il coraggio di ammettere apertamente la gravità di quello che stava accadendo, e alla fine, quando le cose si calmarono, il passaggio del furore fu giustificato dalla difficile situazione sociale che anche se era vera fu ben cavalcata da chi allora fece delle prove di rivolta.
   Fra questi tragici eventi siamo stati anche testimoni di uccisioni barbare e immotivate, come ad esempio quella del soldato inglese in servizio nella caserma di Woolwich a Londra, che è stato decapitato a colpi di machete in un'aggressione in Artillery Place o di due padri che in Italia hanno ucciso le loro figlie perché stavano assumendo atteggiamenti occidentali contrari all'Islam, le due ragazze vivevano in Italia, quali atteggiamenti dovevano assumere? È accettabile tutto questo nella società civile e democratica? È giusto piegarsi e cambiare? Di aggressioni di gruppo e stupri a opera di immigrati se ne registrano in continuazione e purtroppo quasi non fanno più notizia.
   Mi si potrebbe contestare il fatto che omicidi e stupri ci sono sempre stati, e questo io non lo nego, ma la mia riflessione è: era necessario far arrivare in Europa una massa incontrollata di persone che non ha alcuna intenzione di integrarsi al sistema di vita occidentale? L'Europa non era pronta a questo esodo biblico soprattutto perché le mentalità e le religioni, presenti e di importazione, non sono compatibili e prima o poi si scontreranno. Se quello che abbiamo visto fino ad ora sono i primi fuochi, cosa accadrà nel prossimo futuro?
   Sempre in Francia due anni fa Mohammed Merah ha assassinato 7 persone tra cui tre bambini ebrei a Tolosa e Montauban e pochi giorni fa Mehdi Nemmouche ha portato a termine un attentato al museo ebraico di Bruxelles, tutti e due gli attentatori erano persone conosciute ai servizi segreti francesi, perché non sono stati fermati? Spesso seguendo il politicamente corretto
 
ci si autocensura a priori pur di non offendere il sentimento dei musulmani, ma loro fanno altrettanto? Non sarebbe politicamente corretto pretendere ciò che si da? Non è irrispettoso organizzare una preghiera islamica proprio davanti al sagrato del Duomo di Milano con centinaia di persone inchinate che si erano portate il tappeto da casa? Cosa sarebbe successo se un numero uguale di cristiani avesse organizzato una messa all'aperto davanti alle porte di una qualsiasi moschea mediorientale?
   La Francia sta perdendo tutti i suoi ebrei, le comunità ebraiche transalpine hanno praticamente dato il rompete le righe e decine di famiglie si trasferiscono ogni giorno in Israele, la stessa cosa, anche se con ritmi minori, sta accadendo nel Regno Unito, in Belgio, in Olanda e anche in Italia, cosa deve accadere perché i governi aprano gli occhi davanti alla cronaca del disastro annunciato?
   Ma c'è di più, e se vogliamo anche di più grave. Secondo un rapporto del MOSSAD, il servizio segreto israeliano, fra i quindici e i ventimila giovani europei convertiti all'Islam sono arrivati in Siria e si sono arruolati nelle fila dei rivoltosi dove hanno avuto addestramento militare e indottrinamento politico e religioso. Queste persone potrebbero rientrare in Europa nei prossimi mesi e diventare cellule dormienti o attive sul territorio, l'allarme vale per tutto il continente europeo visto che con gli accordi il passaggio alle frontiere è senza controllo, ma Francia, Germania e Regno Unito sono le nazioni oggettivamente più a rischio perché di queste tre nazionalità sono i soggetti in questione.
   Loic Garnier, coordinatore della lotta antiterrorismo in Francia, in un'intervista a 'Le Figaro' a confermato la notizia e ha aggiunto altri particolari che gli israeliani non avevano fatto trapelare, e cioè che questa nuova generazione di terroristi è selezionata in base a criteri linguistici e alla possibilità che hanno di confondersi con gli occidentali.
   Sono stati addestrati a colpire al momento opportuno con tutta la determinazione necessaria ed hanno appreso le tecniche di fabbricazione di bombe artigianali, l'arte della dissimulazione e ad avere il sangue freddo necessario a compiere un attentato suicida e questo perché sono stati oggetto di un vero e proprio "lavaggio" del cervello ispirandosi alla dialettica di base di Al Qaeda che li esorta, laddove ci si trova, a colpire il miscredente, l'apostata.
   Che cosa accadrà quando queste persone, una volta rientrate, si metteranno all'opera? Possibile che chi di dovere in tutta Europa e nel mondo occidentale non ha ancora capito che la situazione potrebbe diventare improvvisamente incandescente e che la libertà e la democrazia potrebbero diventare beni rari da difendere con le unghie e con i denti? Lo scenario fa paura, me ne rendo conto, e ho fatto tante domande alle quali, purtroppo, non ho risposte.
   L'unica cosa che mi viene in mente, l'unica via d'uscita possibile è nella buona volontà di quelle persone oneste che si sono spostate in occidente per avere una speranza di futuro migliore, sono queste persone che debbono uscire allo scoperto e far sentire la loro voce e aiutare in questa situazione che come una bomba a orologeria rischia di scoppiare in faccia a tutti quegli incompetenti che fino a oggi hanno gestito nel peggiore dei modi la più grande crisi umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale.
   Queste persone devono essere protette e quando si sentiranno al sicuro saranno proprio loro a indicare chi è arrivato con l'intento di sovvertire la democrazia a la libertà, ne va anche del loro destino e delle loro speranze.

(Il Nord Quotidiano, 12 giugno 2014)


Erekat: Netanyahu non vale il prezzo di una pallottola

Uno scontro durissimo all'interno della leadership palestinese sulla strategia da adottare nei confronti di Israele. Accuse di despotismo nei confronti del presidente Anp Mahmoud Abbas, parole violente per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che "non vale il prezzo di una pallottola". C'è tutto questo in una registrazione audio 'rubata' del capo negoziatore palestinese Saeb Erekat, postata su YouTube dall'agenzia Awraq e rilanciata dal Times of Israel.
Nell'assemblaggio di tre minuti di vari spezzoni di conversazione, Erekat accusa Abbas di agire contro la volontà della maggioranza della leadership palestinese, favorevole ad un atteggiamento più duro nei confronti di Israele. In particolare, nel riferire di una sua conversazione con Abbas, Erekat spiega a degli interlocutori non identificati che il presidente palestinese, per mantenere la parola data al segretario di Stato Usa John Kerry, non intende presentare le domande di adesione della Palestina ad una serie di organismi internazionali.
"Se vuoi smuovere Netanyahu, lavora ai documenti per le adesioni alle istituzioni internazionali", incalza Erekat. "Ho preso un impegno", è la risposta di Abbas. "Che impegno hai preso?! Questa non è la fattoria di tuo padre! Questa è una nazione, è la Palestina. E' una cosa più grande delle questioni individuali", incalza Erekat, per poi spiegare ai suoi interlocutori che Abbas "non mi ha dato retta. Lo giuro, gli ho presentato due volte le mie dimissioni".

(Adnkronos, 12 giugno 2014)


Peres non ha regalato a Israele la pace, ma qualcosa di meglio: l'atomica

di Giulio Meotti

 
Shimon Peres e Ariel Sharon - Egitto 1975
ROMA - Con l'elezione del nuovo presidente d'Israele si chiude l'èra di Shimon Peres. E' stato definito "l'ultimo dei padri fondatori" dello stato ebraico. Un paradosso vivente. Amato da Washington, dall'Europa, da re Hussein, dai sultani e dagli sceicchi, Peres è stato poco amato in patria. "The loser", il perdente, era il suo soprannome prima che assumesse una presidenza di grande successo. Uno degli uomini che ha dominato la vita d'Israele per sessant'anni non ha mai vinto una elezione. Yitzhak Rabin disse che riteneva Peres capace di ogni "dirty trick", di qualsiasi brutto scherzo. Dunque un avventuriero del potere politico. Che ha spesso votato contro gli interessi di Israele in momenti strategici per la sua sicurezza, dal bombardamento del reattore nucleare iracheno di Osirak fino alla campagna militare di Ariel Sharon per disarmare i terroristi palestinesi durante la Seconda Intifada.
   Ma la vera grande eredità di Peres è nel deserto del Negev, nel luogo più protetto di Israele, il bunker di Dimona circondato da muri e sensori, per raggiungerlo occorre superare controlli severissimi e un numero infinito di posti di blocco. Si tratta, infatti, del luogo che custodisce la bomba atomica israeliana. A differenza di quasi tutta la leadership di Gerusalemme, Peres non ha medaglie, non ha mai combattuto, né ha mai indossato la divisa. Eppure, fu David Ben-Gurion ad affidargli l'incarico di dotare gli ebrei dell'arma nucleare. Peres è stato infatti il padre dell'infrastruttura civile militare israeliana. Fu Peres a costruire i jet dell'aeronautica militare. Fu questo ebreo polacco, con l'aiuto della Francia di De Gaulle, a dotare Israele della bomba atomica, di cui gli israeliani non hanno mai ammesso apertamente l'esistenza. A voler armare Israele con un arsenale atomico non furono i militari, convinti della superiorità morale e professionale dei loro soldati, e che temevano che l'atomica sarebbe poi stata costruita anche dagli arabi. "Che cosa è Israele? - chiedeva invece Ben-Gurion - E' soltanto un piccolo punto. Sì, un punto. Come può sopravvivere in mezzo al mondo arabo?".
   La fede di Ben-Gurion nella deterrenza atomica era legata al sogno del completo rovesciamento di ruolo dell'ebreo perseguitato che vuole diventare padrone del proprio destino anche tramite l'azione della scienza e la forza delle scelte tecnologiche. Peres realizzò quel sogno. Fu Peres, "il dottor Sottile", il wunderkind, il bambino prodigio dell'establishment militare, a trattare con gli scienziati e i francesi per ottenere il materiale e la conoscenza scientifica per realizzare la bomba. Peres controllava tutti gli aspetti del programma nucleare dal suo ufficio al ministero della Difesa. Fu Shimon Peres a creare il Lakam, il bureau scientifico. Fu Peres a portare in Israele Edward Teller, il grande fisico nucleare, icona della Guerra fredda, padre della bomba all'idrogeno, e il gentiluomo direttore del Progetto Manhattan, Robert Oppenheimer. Fu Peres a presentarsi a Parigi dal ministro della Difesa, Pierre Koenig, con una lista della spesa. Fu sempre Peres a stringere una amicizia strategica con Guy Mollet, un uomo che la Gestapo aveva torturato e che sarebbe diventato primo ministro francese.
   Peres non ha mai parlato pubblicamente di questo suo ruolo strategico. Gli israeliani la chiamano "opacità": non si ammette né si nega. Nessuno conosce le dimensioni dell'arsenale atomico israeliano. Haaretz, il giornale della sinistra che più ha battagliato a favore della trasparenza atomica, parla di una quantità di plutonio "di qualità militare" sufficiente a produrre da 165 a 250 ordigni nucleari. Secondo la Carnegie Endowment for International Peace, Israele ha da 100 a 180 ordigni atomici.
   Merito del piccolo ebreo polacco che avrà anche fallito nel suo disegno utopistico di pace con i palestinesi, ma che ha dato a Israele qualcosa di meglio e di più tangibile per la propria sopravvivenza: la bomba atomica.

(Il Foglio, 12 giugno 2014)


Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica

In mostra fino al 5 ottobre alla Galleria d'Arte moderna di Roma

di Cristina Pantaleoni

ROMA - Nell'anno in cui la Giornata Europee della Cultura Ebraica che ha come tema "La donna dell'ebraismo" la Galleria d'Arte moderna offre al pubblico un percorso espositivo di circa 150 opere di artiste ebree italiane che è una riflessione sull'identità di genere, sullo spazio e sul ruolo della donna.
"Artiste del novecento tra visione e identità ebraica" è la mostra a cura di Marina Bakos, Olga Melasecchi e Federica Pirani, promossa da Roma Capitale, assessorato alla cultura, la sovraintendenza ai beni culturali, dalla fondazione per i beni culturali ebraici in Italia Onlus e dal museo ebraico, dal 12 giugno al 5 ottobre 2014 alla Gnam di Roma.
L'esposizione vuole favorire ed ampliare la conoscenza di una realtà come quella ebraica e dare il giusto risalto a quelle esperienze femminili che sono state in grado di trasformare una condizione di minorità sociale in una ragione di affermazione e di indipendenza creativa, contribuendo al valorizzare, insieme alla loro dimensione privata, anche la vita culturale del nostro paese.
La risonanza della voce femminile, nella prima metà del '900, è in generale molto limitata, e ciò vale ancora più per le donne ebree. Penalizzate dall'appartenenza ad una minoranza che si per sé ne condiziona l'emergere sulla scena culturale, esse si vedono accomunate alle sorti delle loto contemporanee non ebree dal pregiudizio, tanto infondato quando radicato, che l'uomo debba essere il solo depositario della vera professionalità.
Mediando continuamente tra la vita pubblica e quella privata, tra l'identità religiosa e quella nazionale, le donne ebree realizzarono un operato sostanzialmente legato e concorde a quello che andava consolidandosi sulla scena della cultura europea contemporanea.

(Meridiana Notizie, 12 giugno 2014)


Moshe' Yaalon: inseguiremo chiunque ci minacci

Dopo il razzo lanciato su Israele dalla striscia di Gaza

''Inseguiremo e metteremo le nostre mani su chiunque ci minacci''. Lo ha detto il ministro della difesa Moshe' Yaalon dopo che stanotte l'aviazione israeliana ha colpito obiettivi ''del terrore'' nel nord della Striscia uccidendo un palestinese sospettato da Israele di essere affiliato ''alla Jihad internazionale''. L'azione - nel corso della quale sono state ferite altre due persone - e' avvenuta in risposta da un razzo lanciato ieri mattina da Gaza nel sud di Israele. ''Non ignoreremo - ha spiegato Yaalon - il fuoco o i tentativi di attacco di coloro che cercano di spezzare la vita dei nostri cittadini che vivono nel sud del paese o di colpire le nostre forze''. ''Sappiamo come muoverci - ha aggiunto il ministro della difesa - quando e dove sia necessario per impedire ogni tentativo dei terroristi a Gaza di colpire cittadini israeliani, cosi' come è successo la scorsa notte''.

(ANSA, 12 giugno 2014)


Avital Kotzer Adari è la nuova direttrice dell'ente del turismo israeliano

Tzvi Lotan e Avital Kotzer Adari
Avital
Passaggio di testimone all'ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia: Avital Kotzer Adari a partire dal 1o agosto 2014 sarà ufficialmente la nuova direttrice dell'ente prendendo il posto di Tzvi Lotan. «Ho vissuto sei anni in Italia, lavorando per quattro anni nell'ufficio dell'ente a Milano e ora sono molto emozionata di tornare in questo bellissimo Paese, che per me è come una seconda casa - dichiara la nuova direttrice -. Sarò in Italia dieci giorni e tornerò ad agosto per iniziare il mio studio del mercato. Il primo obiettivo sarà organizzare numerosi incontri con gli operatori di settore per capirne i bisogni; il mio sogno è trovare nuovi mercati ed opportunità di sviluppo. Il lavoro fatto da Tzvi Lotan è stato veramente eccezionale negli ultimi anni e lo dimostra il numero di arrivi turistici italiani che nell'ultimo anno sono stati 175 mila. Contiamo di crescere del 5% agendo soprattutto sul potenziamento della comunicazione online e dei social network. Tra i mercati che abbiamo intenzione di sviluppare ci sarà certamente quello dei giovani, anche grazie alle connessioni aeree sempre più favorevoli». Avital Kotzer Adari si è presentata ieri a Roma ad operatori e media di settore, che oggi riceverà a Milano. Tzvi Lotan ha ringraziato e salutato affettuosamente gli invitati ricordando quanto sia cresciuta la destinazione durante il suo mandato. «Nei miei cinque anni di mandato ho trovato nel settore dei veri amici; sono stati anni molto difficili nei quali però abbiamo prodotto la più grande crescita turistica di Israele. Quello trascorso è stato infatti il miglior anno turistico di sempre. Il vero cambiamento ci sarà nel 2015 con l'Expo: vorrei vedere 200 mila italiani in Israele». La neo direttrice è stata nominata dopo aver concluso il corso di formazione per i Cadetti organizzato dal ministero del Turismo, avendo lavorato per due anni come diretta assistente del direttore generale del ministero del Turismo di Israele. All'interno del dipartimento di marketing del ministero del Turismo, divisione esteri, è stata anche responsabile del desk Europa-Occidentale, acquisendo così una competenza globale in tutti i differenti settori della promozione turistica.

(Travel Quotidiano, 12 giugno 2014)


Un antisemitismo molto sociale

Sondaggi allarmanti sull'odio per gli ebrei. Stereotipi trasversali ai partiti, dai neonazi ai grillini.

di Roberto Della Seta

La maggioranza degli europei detesta i musulmani e disprezza i rom, in parecchi hanno una pessima opinione anche sugli ebrei. Lo dice una ricerca del Pew Research Institute ripresa recentemente dal Washington Post, e a prima vista non sembra uno scoop. Che nell'Europa in crisi economica e in crisi di identità cresca l'ostilità verso le minoranze più riconoscibili nella loro diversità — culturale, religiosa, etnica — è un dato di banale evidenza sia induttiva (la xenofobia come reazione canonica di comunità che si sentono "insicure") che deduttiva (l'avanzata elettorale delle forze nazionaliste e "anti immigrati", il ripetersi di attentati contro immigrati islamici e comunità ebraiche).
   Però i numeri messi in fila dal Pew Research Institute colpiscono ugualmente. Colpisce intanto che il risentimento verso islamici e rom in quanto gruppi non assimilati sia più diffusa dove essi sono meno numerosi (per decenni si è teorizzato il contrario: per esempio che un paese come l'Italia era meno razzista perché meno toccato dai fenomeni di immigrazione). Così, in Francia, Germania e Gran Bretagna, cioè nei paesi europei a più elevata presenza islamica, meno di una persona su tre si mostra ostile ai musulmani, mentre in Italia e in Grecia, dove i musulmani sono assai di meno, la percentuale degli islamofobi sale sopra il 50 per cento. Quanto ai rom, la Spagna è il paese europeo dove ne vivono di più (650 mila) e quello dove l'ostilità nei loro confronti è meno diffusa (riguarda solo il 40 per cento degli spagnoli, contro l'85 per cento dell'Italia e il 66 per cento della Francia).
   Ancora di più colpisce il dato sull'antisemitismo, soprattutto il dato italiano: da noi il 24 per cento delle persone manifesta pregiudizi antiebraici, meno che in Grecia (47 per cento) ma più che in Germania (5 per cento) e in Francia (10 per cento). Dunque nell'Italia in crisi non soltanto c'è diffidenza o aperta ostilità verso musulmani e rom, ma nemmeno gli ebrei sono visti benissimo. E questo 24 per cento di italiani potenziali antisemiti, come in generale la persistenza tra molti europei di un sotterraneo sentimento antisemita (26 per cento in Spagna, 18 per cento in Polonia, 7 per cento in Gran Bretagna) stupisce persino di più delle altissime percentuali di islamofobi e di anti rom: perché mentre i rom per un verso e i musulmani per un altro evocano problemi con una loro dimensione oggettiva — la presenza nelle nostre città di campi nomadi percepiti come un fattore di insicurezza per tutti, l'islamismo come antagonista radicale e irrevocabile dell'occidente — nel caso degli ebrei l'ostilità ha radici assai meno immediate e tangibili.
   Verrebbe da dire, parafrasando Benedetto Croce: perché non possiamo non dirci antisemiti. In effetti se si guardano le tradizioni, le riflessioni, i processi storici costitutivi dell'identità europea — dall'antichità classica al cristianesimo, dalla riforma protestante alla controriforma, dall'illuminismo al romanticismo, dal nazionalismo al socialismo —, tutti i grandi filoni della storia e della cultura europee recano tracce vistose di ostilità contro i "giudei". Sì, socialismo compreso, sebbene uno stereotipo non meno frequentato dei pregiudizi razzisti abbia sempre descritto l'antisemitismo come una categoria politica nata e germogliata solo a destra.
   Questo semplicemente non è vero, come non è vero che l'emergere a sinistra, soprattutto nella sinistra più radicale, di linguaggi e atteggiamenti antiebraici sia un effetto collaterale e relativamente recente del conflitto che oppone da decenni Israele ai paesi arabi. Insomma: l'antisemitismo di sinistra non nasce con la polemica della sinistra contro Israele per i suoi comportamenti verso arabi e palestinesi in medio oriente (che naturalmente ha molto contribuito ad alimentarlo); non nasce con Israele e nemmeno con il sionismo. Nasce molto prima, nasce ancora prima della stessa parola "antisemitismo" coniata nel 1879 da un nazionalista tedesco di nome Wilhelm Marr.
   Nel corso dell'Ottocento, quello che Simon Levis Sullam ha chiamato "L'archivio antiebraico" (Laterza, 2008), cioè il repertorio di concetti e simboli su cui si è andato costruendo e rinnovando nei secoli il discorso antisemita, si è popolato di una nuova generazione di immagini e stereotipi catalogabile come antisemitismo sociale; immagini e stereotipi distinti da quelli molto più antichi che connotano da sempre l'antigiudaismo di impronta cristiana — l'ebraismo deicida — e che identificano nell'ebreo la personificazione "razziale" dell'idolatria del denaro. L'antisemitismo sociale reca dall'inizio un segno ideologicamente ambiguo: caratterizza le correnti più risolutamente antiliberali e anticapitalistiche sia della destra che della sinistra, da una parte il nazionalismo populista e dall'altra il socialismo rivoluzionario. Il suo esordio politico avviene in Francia con il movimento boulangista (dal nome del suo leader, il generale Georges Boulanger), che sul finire degli anni Ottanta dell'Ottocento riscosse un larghissimo seguito popolare e sembrò sul punto di rovesciare la Terza Repubblica. Nel boulangismo e nelle sue parole d'ordine — revanscismo antitedesco, radicalismo sociale, attacco al parlamentarismo della "Terza Repubblica" — si riconobbero sia nazionalisti di destra come Maurice Barrès e Paul Déroulède, sia molti socialisti rivoluzionari da Henri Rochefort, "eroe" della Comune di Parigi, a Benoît Malon, fondatore e primo direttore della Revue socialiste. L'antisemitismo sociale fu tra i collanti principali di questo inedito incontro: nei suoi editoriali quotidiani sul giornale L'Intransigeant, Rochefort usava spesso la parola "juif' come epiteto spregiativo, e nell'ottobre 1889 titolava "Le Triomphe de la Juiverie" l'editoriale di commento alla sconfitta subita dai boulangisti nelle elezioni politiche. Quanto a Malon, sulla Revue socialiste ospitò numerosi articoli di autori furiosamente antisemiti (Auguste Chirac, Albert Regnard) e scrisse anche lui sul tema parole inequivocabili: "Sì, la nobile razza ariana ha tradito il suo passato, le sue tradizioni, le sue ammirevoli conquiste in campo religioso, filosofico e morale, quando ha venduto l'anima al dio semita, all'ottuso e implacabile lehovah"(1886).
   Del resto, l'album di famiglia dell'antisemitismo sociale riguarda la sinistra e il movimento socialista almeno quanto la destra nazionalista. Proudhon, tra i padri del socialismo utopistico, nel 1847 annotava nei suoi diari (pubblicati postumi): "L'ebreo è il nemico del genere umano. Bisogna che questa razza sia ricacciata in Asia o sterminata. Heine, Weil e altri sono solo delle spie segrete; Rothschild, Crémieux, Marx, Fould, esseri malvagi, biliosi, invidiosi, acrimoniosi, ecc., che ci detestano. L'ebreo deve sparire. Col ferro, con la fusione, o con l'espulsione". Ancora prima, nel 1806, l'altro socialista utopista Charles Fourier qualificava gli ebrei come "il vero popolo dell'inferno, una vile canaglia dei cui luridi crimini abbondano gli annali". Proprio a un discepolo di Fourier, Alphonse Tousse-nel, si deve il primo e uno dei più fortunati libri-manifesto dell'antisemitismo sociale: "Les Juifs, rois de l'époque", saggio del 1845 che sistematizza lo stereotipo degli ebrei come personificazione della grande finanza e del capitalismo; così comincia il libro di Toussenel: "Al pari del popolo io chiamo con questo nome spregevole di Ebreo ogni trafficante di denaro, ogni parassita improduttivo che vive dei beni e del lavoro di altri. Ebreo, usuraio, trafficante sono per me sinonimi". Toussenel è stato indiscutibilmente uno dei grandi precursori e dei padri riconosciuti dell'antisemiti-smo sociale: "Le Juifs, rois de l'époque" verrà ripubblicato più volte, e nella Francia collaborazionista e accesamente antisemita di Pétain e Laval molti ex socialisti convertitisi all'alleanza con Hitler richiameranno in varie occasioni pubbliche il proprio debito culturale verso l'antisemitismo sociale e socialista di Toussenel.
  
   Questa vulgata dell'ebreo quintessenza dello spirito rapace del capitalismo troverà paradossali risonanze nello stesso Marx. Nel suo saggio del 1844 "Sulla questione ebraica", l'autore del "Capitale" — nipote di un rabbino, figlio di un avvocato ebreo battezzatosi nel 1817 per sfuggire al divieto che in Prussia impediva agli ebrei di esercitare l'avvocatura — afferma che gli ebrei "non potranno emanciparsi se non si distaccheranno completamente e definitivamente dal giudaismo", e aggiunge: "Il denaro è il geloso Dio di Israele, di fronte al quale non può esistere nessun altro Dio".
   A fine Ottocento, il caso Dreyfus rappresentò una decisiva cesura nel rapporto tra movimento socialista e questione ebraica. In realtà, quando il capitano ebreo alsaziano Alfred Dreyfus venne arrestato nel 1897 con l'accusa di spionaggio a favore dei tedeschi durante la guerra franco-prussiana, la prima reazione dei socialisti francesi fu quanto mai incerta, dominata da un sentimento di estraneità rispetto a uno scontro percepito come tutto interno allo stato borghese; ancora nel gennaio 1898, di fronte al grande clamore sollevato dal "J'accuse" di Zola che perorava l'innocenza di Dreyfus, 32 deputati socialisti firmarono una dichiarazione pubblica sostenendo che non era compito né interesse dei socialisti difendere Dreyfus che apparteneva "alla classe capitalista, alla classe nemica". Ma in pochi mesi la gran parte dei socialisti francesi, ed europei, si unì al movimento "dreyfusard", contro la destra nazionalista per la quale Dreyfus con le sue colpe e soprattutto con il suo "sangue" — ebreo, alsaziano di cittadinanza francese ma di lingua tedesca — incarnava lo spirito irrevocabilmente antipatriottico della "juiverie" e dei suoi alleati. Con il caso Dreyfus il socialismo europeo, almeno nelle sue espressioni ufficiali, mise all'indice una volta per tutte l'antisemitismo, ma la storia delle "relazioni pericolose" tra sinistra e pregiudizio antiebraico non s'interruppe affatto. In particolare, l'antisemitismo ritorna come percepibilissimo rumore di fondo in molti esponenti del sindacalismo rivoluzionario, a cominciare da Georges Sorel che rinnegando la propria precedente militanza "dreyfusarde" e attestandosi sulle posizioni dei nazionalisti della "Action Française" di Maurras nel 1909 pubblicò un saggio, "La Révolution dreyfusienne", nel quale la riabilitazione giudiziaria di Dreyfus viene letta come vittoria del "partito filoebraico", incarnazione di un modernismo cosmopolita che nega tradizione e nazione, sulla legge e sulle tradizioni e gli interessi nazionali della Francia.
   Secondo lo storico israeliano Zeev Sternhell, nel sindacalismo rivoluzionario è chiaramente visibile l'impasto di sinistra rivoluzionaria e destra nazionalista da cui scaturirà il fascismo e che ispirerà, tra le due guerre mondiali, innumerevoli passaggi individuali "dal rosso al nero". Di questo impasto l'antisemitismo sociale è un ingrediente non secondario. Lo si ritrova nello stesso Mussolini, che a Sorel e al sindacalismo rivoluzionario era stato vicino e che in più di un'occasione, prima da socialista e poi da fascista, dimostra di attingere dall'archivio" antiebraico" più gli attrezzi dell'antisemitismo sociale che non quelli dell'antigiudaismo cristiano. Come ha ricostruito Giorgio Fabre nel suo saggio "Mussolini razzista" (Garzanti, 2005), il Mussolini antisemita in effetti ha radici molto più antiche e anche più sorprendenti di quanto non dica la datazione —1938 —delle prime leggi razziali. In un articolo del 1919 sul Popolo d'Italia, intitolato "I complici", il futuro Duce accusava l'ebraismo di una duplice, e apparentemente contraddittoria, colpa: al tempo stesso padroni della finanza mondiale e ispiratori del bolscevismo, gli ebrei — così scriveva Mussolini — "si prendono una rivincita sulla razza ariana che li ha condannati alla dispersione per tanti secoli".
   Del resto, anche tra i socialisti italiani come tra quelli francesi l'antisemitismo sociale vantava una solida tradizione: nel 1897, all'esplodere del caso Dreyfus e prima che il "J'accuse" di Zola convertisse i socialisti europei alla causa "dreyfusarde", il giornale socialista Avanti! si era schierato risolutamente contro il capitano ebreo espressione della "bancocrazia giudaica". L'antisemitismo sociale era di casa anche negli ambienti del sindacalismo rivoluzionario italiano. Paolo Orano — iscritto al Partito socialista fino al 1906, poi sindacalista rivoluzionario — nel 1910 fondò la rivista antisemita La lupa; nel 1937, divenuto sotto il fascismo rettore dell'Università di Perugia, pubblicò su incarico diretto di Mussolini il pamphlet "Gli ebrei in Italia", teorizzazione della necessità delle imminenti leggi razziali: "Gli ebrei ebraizzanti d'Italia — scriveva Orano — non si sono spiegati ancora. Ma l'ora è venuta. Essi hanno lo strettissimo urgente dovere di dichiararsi nemici dell'ebraismo internazionale, della internazionale ebraica". Un altro sindacalista rivoluzionario divenuto fascista, Agostino Lanzillo, era stato il tramite per la diffusione in Italia, intorno al 1910, delle tesi antisemite di Sorel.
   L'antisemitismo sociale è dunque una malattia antica della sinistra, a sua volta originata da un altro morbo che è la diffidenza verso il denaro. E' l'idea vecchia come l'Europa medievale del denaro "sterco del diavolo" — Jacques Le Goff ha dedicato al tema un bellissimo saggio —, ed è la tentazione palingenetica di condannare l'homo oeconomicus", per sua natura asociale e amorale, e di contrapporre una dimensione "buona" dei bisogni sociali a una "cattiva" degli interessi economici. Oggi, di fronte alla crisi più lunga e socialmente più costosa degli ultimi settant'anni, questa tendenza carsica della cultura europea sembra riemergere: d'altra parte quale contesto migliore del tunnel socioeconomico che dura per l'Europa da quasi un decennio e che in tanti addebitano al potere eccessivo della finanza per riproporre la visione del denaro, del profitto, dell'interesse privato come "sterco del diavolo", per gridare al complotto di banchieri e plutocrati?
   Dare un volto giudaico a questi banchieri e plutocrati richiede un passo in più: finora in Europa si sono decisi a compierlo solo alcuni partiti di estrema destra — Alba dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, Npd in Germania —, ma accenti analoghi si trovano in mondi assai diversi da questi e ideologicamente più ambigui, in particolare nel neocomunitarismo che unisce la sinistra antiglobalizzazione, l'ecologia profonda, in Francia e in Inghilterra i nazionalisti del Front National e dell'Ukip, in Italia il leghismo e i grillini. Del resto lo stereotipo antigiudaico si nutre da secoli dell'immagine dell'ebreo come cosmopolita irriducibile ad appartenenze territoriali o anche nazionali. Per ora i neocomunitari di tutta Europa, di destra e di sinistra o magari per loro vocazione "oltre" la destra e la sinistra, se la prendono più che altro con il complotto pluto-massonico di banchieri e speculatori di Borsa, ma qualcuno con evidenza già si morde le labbra per tacere che i banchieri sono "cattivi" perché non hanno patria, e non hanno patria perché alla fine sono quasi tutti ebrei.

(Il Foglio, 12 giugno 2014)


Sinagoga: vino e musica a Casale Monferrato

CASALE MONFERRATO — Anche questa settimana la Comunità Ebraica di Casale Monferrato si prepara a un doppio appuntamento con la cultura, previsto un incontro pomeridiano e un concerto serale tra le mura di vicolo Salomone Olper.
   Domenica 15 giungo alle 16,30 nel Cortile delle Api si svolge un nuovo incontro dedicato alle tradizioni alimentari ebraico-monferrini, dopo aver parlato di Krumiri e di Salame d'Oca nelle "puntate precedenti"
L’albero del melograno nel cortile delle Api della Sinagoga di Casale Monferrato
Altra foto dell'albero
questa volta è protagonista un alimento che è ben presente sia nella Torah che nel Monferrato: il vino. La Bibbia fa infatti risalire a Noè l'idea di questo utilizzo dell'uva (e anche del suo abuso) e il vino è presente in tutta la ritualità ebraica, a cominciare dalla Pesach (Pasqua). Una funzione che del resto si è trasmessa anche nel cristianesimo. Ne parlerà l'esperta di tradizioni ebraiche Roberta Cerruto, ma non ci si limiterà alle parole e sono previste diverse degustazioni di vino kasher, vale a dire realizzato secondo procedure consone alla legge ebraica.
   Sempre domenica alle 21 la Sinagoga ospita un nuovo appuntamento della rassegna musicale "Suono e Segno" curata da Giulio Castagnoli, noto compositore, casalese d'adozione. Davanti all'Aron si esibisce il duo formato da Marco Demaria al violoncello e Nicola Davico al Pianoforte. In programma la Sonata in fa maggiore op. 5 n. 1 (Adagio sostenuto, Allegro, Rondò, Allegro vivace) di Beethoven, Lieder "ohne Worte" e la Sonata in re maggiore per violoncello e pianoforte op. 58 (Allegro assai vivace, Allegretto scherzando, Adagio, Molto Allegro e vivace) di Mendelssohn
   Marco Demaria, nato ad Asti nel 1984, ha studiato presso il Conservatorio Statale "G. Verdi" di Torino sotto la guida del Mo Marco Ferrari, con cui si è brillantemente diplomato nel 2005. Nello stesso anno si è perfezionato presso la Internationale Sommer Akademie dell'Universitat Mozarteum di Salisburgo (Austria) in un MasterClass tenuto dal Mo Julius Berger. Dal 2006 ha proseguito il suo perfezionamento (Fortbildungsklasse) presso la Hochschule fuer Musik di Wuerzburg (Germania), nella classe di violoncello del Mo Niklas Eppinger, con cui ha ottenuto il Diploma Superiore Tedesco Konzertdiplom (2008). Ha studiato presso l'Accademia di Musica di Portogruaro (VE) sotto la guida del Mo Enrico Bronzi. Dal 1996 partecipa regolarmente a concorsi nazionali ed internazionali di interpretazione musicale, classificandosi sempre ai primi posti. Svolge un'intensa attività concertistica con varie formazioni cameristiche, dal duo all'ottetto.
    Fa parte della direzione artistica dell'"Armoniosa" - Italian Baroque Ensemble, con cui svolge intensa attività concertistica e di ricerca filologica in Italia e all'estero. Collabora stabilmente con l'Orchestra Sinfonica della Valle d'Aosta e ha fatto parte dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, l'Orchestra Sinfonica del Gran Teatro "La Fenice" di Venezia, l'Orchestra Sinfonica "Verdi" di Milano, l'Orchestra "Archi" - De Sono di Torino, l'Orchestra "Camerata Wuerzburg" di Wuerzburg (Germania), l'Orchestra 1813 del Teatro Sociale di Como, l'Orchestra "Camerata Ducale". Ha inoltre partecipato a incisioni per la DECCA, sotto la direzione del MoRichard Bonynge. E' docente presso la Scuola "Suzuki" di Asti e presso l'Istituto "G. Verdi"di Asti e la Scuola Civica APM di Saluzzo.
   Nicola Davico si diploma in Pianoforte (1996) con il Mo Valter Protto presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino e si laurea con lode in Letteratura tedesca all'Università della stessa città (2004). Sempre nel 2004 segue il corso annuale di direzione d'orchestra E nel 2005 si diploma in Composizione sotto la guida del Mo Giulio Castagnoli per proseguire gli studi all'Universität der Künste (Università delle arti) di Berlino. Nel 2009 consegue con lode la Laurea di II livello in Composizione con il Mo Giuseppe Elos. Vincitore di concorsi pianistici nazionali ed internazionali, ha all'attivo concerti solistici in Italia e all'estero, collaborazioni con solisti prestigiosi, numerosi articoli e conferenze Alcune sue composizioni per orchestra da camera e sinfonica sono state eseguite in importanti sedi (Accademia di Belle Arti di Torino, Palazzo Promotrice delle Belle Arti di Torino, Salone del Conservatorio di Torino, Teatro Sociale di Alba). Tra i suoi ultimi lavori, il Diptych - Homage to F.K. gli è valso il I premio all'VIII Concorso Internazionale di Alice Bel Colle 2009. È autore del saggio monografico Oltre - Robert Schneider e l'esplorazione dell'incomprensibile (2005, Firenze Libri - Maremmi Editori), dedicato al famoso scrittore austriaco. Ha tradotto dal tedesco i libri Arvo Pärt allo specchio (2004, Il Saggiatore), il primo studio di vaste proporzioni sul celebre compositore estone, Musiche della Corea (2007, BMG Ricordi), contenente articoli sulla civiltà e sulla cultura musicale coreana, e parte del volume Lachenmann - Rihm: conversazioni e scritti (2010, BMG Ricordi). Ha curato inoltre la traduzione dei testi aggiuntivi per l'allestimento speciale de La Vedova Allegra di F. Lehàr (settembre 2005) presso il Teatro Regio di Torino. Insegna "Pianoforte" e "Esercitazioni Orchestrali" presso l'Istituto Musicale di Canale e del Roero e "Armonia" e "Storia della musica" presso il Civico Istituto Musicale "Lodovico Rocca" di Alba.
   L'ingresso a tutte le manifestazioni è libero, per informazioni 0142 71807.

(Il Monferrato, 11 giugno 2014)


Delegazione Anmig in visita a Yad Vashem

Una delegazione della Associazione fra Mutilati ed Invalidi di Guerra e Fondazione (Anmig) e' in questi giorni in Israele ed ha reso onore alle vittime della Shoah visitando il Memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme. La Delegazione Anmig piemontese - e i 19 rappresentanti delle Associazioni d'Arma e Combattentistiche della Regione Piemonte -e' stata accompagnata dall'ambasciatore Onu Siro Polo Padolecchia. La cerimonia ha avuto inizio nella Sala della Rimembranza a Yad Vashem di Gerusalemme con Simonetta Della Seta, Esperto Consigliere all'ambasciata d'Italia in Israele, in rappresentanza dell'ambasciatore Francesco Maria Talo', del Colonnello Luca Cappelli, addetto militare dell'Aeronautica e di Angela Polacco Lazar in rappresentanza dello Yad Vashem. Nel corso della cerimonia Padolecchia ha ravvivato la fiamma perpetua in memoria dei sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti. A rendere onore le bandiere delle sezioni di Torino, Alessandria, Cuneo, Parma, Pinerolo e quella della Sezione dei Granatieri di Sardegna di Pinerolo. La corona di fiori e' stata deposta dal presidente regionale A.N.M.I.G. del Piemonte Vittorio Robusto ed dal presidente della Sezione di Pinerolo, Stefano Drago. Al termine della visita del Museo di Yad Vashem e del Memoriale ai bambini uccisi nella Shoah, e' stato presentato il progetto 'Mai Più Guerre' che verrà edificato nella città di Torino nell'area centrale denominata 'Piazza d'Armi', messa a disposizione dal comune. Della Seta ha definito l'iniziativa ''portatrice di messaggi di pace da parte di una delegazione che ha conosciuto da vicino gli orrori della guerra''.

(ANSAmed, 11 giugno 2014)


Balagan Cafè, musica e incontri nel cortile della Sinagoga di Firenze

Amanda Sandrelli nello spettacolo di Stefano Massini "Credoinunsolodio", e poi concerti e aperitivi: per la seconda estate consecutiva il tempio apre le porte alla città. L'assessore della comunità ebraica Enrico Fink: "Un'occasione per riflettere su accoglienza e inclusione".

di Gaia Rau

Un appuntamento estivo che ritorna, ma soprattutto un messaggio, ribadito, di apertura e ottimismo. Per il secondo anno consecutivo, il giardino della sinagoga in via Farini ospita tutti i giovedì sera, a partire dal 12 giugno, gli incontri del "Balagan Cafè": la rassegna, organizzata dalla comunità ebraica fiorentina, che spalanca, metaforicamente ma non solo, le porte del tempio alla città, offrendo un ricco cartellone di eventi che spaziano dal teatro alla musica, dalla letteratura al sociale.
Fra gli ospiti, Amanda Sandrelli e l'Orchestra Multietnica di Arezzo nello spettacolo di Stefano Massini Credoinunsolodio (19/6), il concerto dell'ensemble "La Goulette" con Ziad Trabelsi dell'Orchestra di Piazza Vittorio, Lee Colbert, Paolo Rocca, Fabrizio Cardosa e Fiore Benigni (3/7), il duo americano di klezmer Warschawer & Strauss (10/7), il live di Shel Shapiro (24/7) e una serata dedicata allo scrittore ungherese George Tabori, con Giorgio Pressburger (31/7). L'ingresso sarà sempre gratuito, con un incontro alle 19, uno spettacolo alle 21 e possibilità di apericena a 10 euro.
Emblematico il titolo del ciclo: "Firenze, dalla cultura ebraica al mondo. Una città che cambia, mille colori per una nuova idea di cittadinanza". Una vera e propria dichiarazione di intenti, il cui senso è spiegato dal musicista Enrico Fink, assessore alla cultura della comunità ebraica fiorentina: «Il nostro obiettivo non è tanto quello di raccontare l'ebraismo nelle sue tante sfaccettature, ma l'incontro tra una città e una cultura di minoranza. Stimolare, soprattutto, una riflessione sui concetti di inclusività e accoglienza». «Particolarmente interessante — prosegue Fink — sarà a questo proposito l'incontro del 26 giugno tra comunità ebraica e islamica: vogliamo coinvolgere tutte le varie associazioni e realtà che vivono a Firenze, per capire se la nostra è una città inclusiva o meno».
L'idea, è quella di replicare un format che, lo scorso anno, ha avuto un grandissimo successo di pubblico, con punte di 800 presenze a serata: «E quest'anno vogliamo fare il bis. Abbiamo scelto di mantenere l'ingresso gratuito per annullare tutte quelle barriere, anche soltanto di immagine, che allontanano la comunità dai cittadini, nonostante tutti i problemi di sicurezza che continuano a esserci». «Firenze — conclude il musicista — ha dimostrato di essere una città curiosa. Si dice che i fiorentini sono chiusi, ma io credo che siano molto cambiati negli ultimi anni, e continuino a farlo. In meglio».

(la Repubblica, 11 giugno 2014)



Reuven, un nuovo volto per Israele

di Rossella Tercatin

  
Il giorno dopo l'elezione di Reuven "Ruby" Rivlin come decimo presidente di Israele, il paese e il mondo guardano al nuovo leader per capire con quale ricetta il successore di Shimon Peres rappresenterà lo Stato ebraico quando assumerà la carica a fine luglio.
La certezza è che Rivlin, parlamentare del Likud, si è posto come candidato trasversale, che ha saputo guadagnarsi non soltanto i voti della maggioranza dei deputati, ma anche quella del pubblico, se è vero che diversi sondaggi realizzati durante la campagna verso l'appuntamento elettorale, lo davano come il favorito dalla gente.
Come già durante i suoi due mandati da speaker della Knesset (2003-2006 e 2009-2013), Rivlin ha sottolineato il proprio approccio di uomo delle istituzioni al di là della sua appartenenza partitica, promettendo, nel discorso tenuto appena ricevuta la nomina, di porsi come presidente della nazione, spogliandosi della politica. Così, i commentatori fanno notare come il nuovo presidente, da una parte abbia più volte esplicitato la sua contrarietà rispetto alla soluzione di due Stati per due popoli per il conflitto israelo-palestinese, dall'altra mettono in evidenza come da speaker abbia opposto strenua resistenza a possibili proposte di legge che non tutelavano a sufficienza i cittadini arabo-israeliani, ricordando comunque la determinazione di Rivlin nel promettere assoluta non ingerenza con i lavori di governo e parlamento.
Altro elemento importante, il rapporto burrascoso con il premier e capo del Likud Benjamin Netanyahu, secondo alcuni originato proprio dall'inflessibilità di Ruby nel suo ruolo di speaker, secondo altri da attriti con la moglie di Netanyahu Sara, famosa per la sua forte influenza sul marito. E tuttavia, da registrare è la volontà manifestata dai due di gettarsi il passato alle spalle (nell'immagine l'abbraccio dopo le elezioni). "Ci aspetta un grande lavoro comune in rappresentanza di tutti gli israeliani - ha dichiarato Bibi - Abbiamo attraversato molto insieme e sono certo che ora sapremo mettere gli aspetti meno buoni da parte e lavorare responsabilmente per il futuro di Israele".
"Il primo ministro e io siamo completamente impegnati per una piena e fruttuosa cooperazione per il bene dello Stato e del popolo di Israele" gli ha fatto eco il nuovo presidente.
Certo, in capo a Rivlin, è l'arduo compito di non far rimpiangere l'ultranovantenne Peres, amato in patria e ancora più amato nel mondo, una vita da protagonista in tutta la storia del paese dalla lotta per la sua nascita a oggi. Peres che nel salutare il suo mandato presidenziale, promette di rimanere impegnato nelle battaglie in cui crede, dallo sviluppo della tecnologia alla lotta alla povertà.
"La più importante caratteristica di un presidente è la fiducia della sua gente - ha dichiarato consegnando la medaglia presidenziale all'amico e collega Giorgio Napolitano nelle sue ore a Roma, che hanno rappresentato uno dei suoi ultimi viaggi ufficiali - I presidenti non comandano, servono".

(moked, 11 giugno 2014)


Alla prosecco Cycling di Valdobbiadene arrivano gli israeliani

Si allarga il numero delle nazioni al via dell'evento di Valdobbiadene che guarda sempre più ai grandi palcoscenici internazionali.

Prosecco Cycling
VALDOBBIADENE - Arriveranno in venti e, per le colline del Prosecco, rappresenteranno una novità assoluta. Da sempre, la Prosecco Cycling si caratterizza per una forte connotazione internazionale. Sono oltre 40 le nazioni che hanno fatto passerella nei primi dieci anni dell'evento di Valdobbiadene. Alla Prosecco Cycling non era però mai capitato di avere al via degli appassionati provenienti da Israele.
La novità si realizzerà il prossimo 28 settembre, perché tra i tanti stranieri che si sono già iscritti all'edizione 2014 della Prosecco Cycling figurano anche venti israeliani. Un plotone di ciclisti che approfitterà dell'evento di Valdobbiadene per un soggiorno a scopo turistico tra Venezia e le Dolomiti. In Israele il ciclismo sta conoscendo un vero e proprio boom di praticanti ed eventi. D'altro canto, per la Prosecco Cycling la partecipazione del nutrito gruppo di atleti israeliani conferma l'efficacia dell'intensa attività promozionale svolta, lungo l'intero arco dell'anno, in tutto il mondo.
Poche settimane fa, l'evento di Valdobbiadene è stato ospite, insieme ad altri brand italiani, tra i quali De Rosa, della Campagnolo Gran Fondo New York. Insieme al Consorzio di Promozione Turistica Marca Treviso, Prosecco Cycling è inoltre partner di Gran Fondo Italia, il circuito internazionale di maratone ciclistiche per amatori che quest'anno farà tappa ad Aspen (10 agosto), Atlanta (10 ottobre), Miami (9 novembre) e Rio de Janeiro (16 novembre). Da qui, non solo la presenza degli israeliani alla Prosecco Cycling, ma anche una continua crescita di partecipanti provenienti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

(TrevisoToday, 11 giugno 2014)


Da Israele lo scanner tascabile che misura le calorie

L'idea è di una startup fondata nel 2011 e ha raccolto quasi 2,5 milioni di dollari su Kickstarter. Permetterà di conoscere in tempo reale la composizone di alimenti e piatti.

  
Dimenticate i complicati calcoli manuali sulle calorie del vostro pranzo e anche quelle diete "a occhiometro" che alla fine si rivelano più disordinate che altro. Dalla ricerca tecnologica pare sia in arrivo uno strumento destinato a mandare definitivamente in pensione qualsiasi pratica precedente. Si chiama SCiO ed è nient'altro che un piccolo scanner, o meglio un sensore molecolare tascabile, che contiene al suo interno un piccolo spettrometro che può rilevare e far visualizzare sullo schermo del proprio smartphone, grazia a un'app, le principali informazioni su oggetti e sostanze. Ad esempio sarà possibile conoscere il numero di calorie dei cibi che abbiamo di fronte, ricavandone il contenuto di grassi o zuccheri, o analizzare gli ingredienti che si usano in cucina per stabilire se siano avariati o meno. Ma SCiO potrà essere usato addirittura su liquidi, farmaci e piante.
Il piccolo (ha le dimensioni di una chiavetta usb) macchinario è opera di una start up israeliana (Consumer Physics) che, dopo aver finalizzato il prototipo, ha avviato una raccolta di fondi online, secondo la tecnica del crowdfunding sul portale Kickstarter. La campagna è andata particolarmente bene, se è vero che a fronte di un obbiettivo di 200mila dollari, le offerte pervenute hanno già superato quota 2,5 milioni.
Fra i possibili utilizzi anche quelli a beneficio di chi soffre di allergie o intolleranze alimentari, che sarà messo in grado immediatamente di conoscere quello che c'è nel piatto che gli viene proposto, ma anche quello contro eventuali tentativi di frode alimentare. Diventerà difficile sostenere la genuinità di alimenti adulterati se con un semplice clic l'utente può sbugiardare il venditore/ristoratore. Lo SCiO dovrebbe essere pronto per la fine del 2014 e avere un costo di circa 200 dollari, al cambio circa 150 euro.

(il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2014)


Quattro passi nella città della Maddalena com'era ai tempi di Gesù

Nel parco archeologico di Migdal appena inaugurato scoperta una delle sette sinagoghe più antiche risalente al primo secolo. Gli archeologici hanno definito gli scavi «la Pompei israeliana».

di Andrea Tornielli

Il parco archeologico di Magdala
Gli archeologi l'hanno definita «la Pompei israeliana» e anche se qui non ci sono costruzioni rimaste intatte come nella città cristallizzata dalla lava alle pendici del Vesuvio qualche evento naturale deve essere accaduto perché la vita in questo centro sulle rive del lago di Tiberiade si fermasse al primo secolo dell'era cristiana. Qui è appena venuta alla luce una delle sette sinagoghe più antiche del mondo, la più antica della Galilea, dove si conservano degli affreschi e parti di pavimento in mosaico, un pavimento che, vista la vicinanza della città con il Cafarnao, potrebbe essere stato calpestato da Gesù.
   Stiamo parlando di Migdal (in aramaico Magdala), città citata nel Talmud come «Magdala dei pesci», menzionata da Flavio Giuseppe per la sua posizione strategica sulla via maris che congiungeva l'Egitto a Damasco, e luogo natale di Maria Maddalena, la donna seguace di Gesù, tra le prime testimoni della sua resurrezione citate nei Vangeli. Qui è appena stato inaugurato un parco archeologico dov'è possibile visitare rovine e reperti di straordinario valore. La storia del ritrovamento ha inizio nel 2004, quando padre Juan Solana, direttore del centro Notre Dame di Gerusalemme, albergo per pellegrini della Santa, compra dei terreni sulla riva del lago per realizzare uno simile sulle rive del lago. I lavori iniziano nel 2009. Vengono abbattute le capanne di Hawaii Beach, villaggio turistico costruito nel 1960, per erigere al loro posto un albergo capace di ospitare 300 persone, un ristorante e un centro di spiritualità che favorisca la preghiera e la contemplazione sulle rive del lago dove sono ambientati gli episodi più importanti della vita e della predicazione di Gesù.
   Nella parte dove si realizza il centro di accoglienza nulla viene ritrovato. Ma i sondaggi nel terreno vicino, che nel progetto doveva essere destinato a una cappella ecumenica e a un vasto giardino, rivelano invece qualcosa di imprevisto: c'è un'intera città da portare alla luce. A differenza dell'area vicina, di proprietà della Custodia di Terra Santa, dove si trovano i resti di Magdala che arrivano fino all'epoca crociata, nella parte rimasta sepolta quasi duemila anni tutto sembra essersi fermato al primo secolo.
   «Si è ipotizzata un'alluvione - spiega padre Solana a Vatican Insider - dato che abbiamo alle spalle il monte Arbel che è abbastanza inclinato nella nostra direzione. Un'alluvione che ha colpito la nostra parte della città e non quella che è stata riportata alla luce dalla Custodia di Terra Santa. Così qui tutto è rimasto com'era, mentre dall'altra parte la vita è continuata».
   «Nel pavimento della sinagoga - aggiunge il sacerdote messicano - abbiamo trovato una moneta databile all'anno 29, mentre è di pochi giorni fa, sulla stradina che porta all'antico luogo di preghiera ebraico, il ritrovamento di un'altra bellissima moneta databile all'anno 33». Il gioiello del parco archeologico è proprio la sinagoga, che sorge nell'angolo nord-ovest della città ed è completa di sala principale, della sala dedicata alla scuola e della più piccola stanza dove veniva conservata la Torah, insieme alle stanze destinate ad abitazione del rabbino di turno.
   «Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno...». Questo si legge in Matteo 4,23. E per questo, vista la vicinanza dello scavo con Cafarnao, dove vivevano Pietro e Andrea e dove ha abitato lo stesso Gesù, la sinagoga di Magdala appena scoperta è stata con ogni probabilità teatro dell'insegnamento del Nazareno.
   «Anche la sinagoga è stata travolta dall'alluvione o è stata sepolta e abbandonata nel 66-67 dopo Cristo - afferma padre Solana - quando gli abitanti di Magdala e i ribelli che si si erano riversati sono stati massacrati dai romani». I lavori di scavo sono stati portati avanti da archeologi dell'Israel Antiquities Authority, coordinati da Dina Avshalom-Giorni e Arfan Najar. Il ritrovamento più importante è la grande pietra scolpita a mo' di edificio, che serviva da altare, dove veniva appoggiata la Torah per essere letta e commentata. Quella pietra sembra rappresentare il secondo Tempio di Gerusalemme ed è qualcosa che non si era mai vista. Tra l'altro vi è raffigurata una Menorah diversa da quella scolpita nell'Arco di Tito a Roma, sempre riferibile al Tempio».
   In effetti l'archeologa israeliana Rina Talgam, esperta di arte ebraica antica, ritiene che questa rappresentazione miniaturizzata del Tempio, inedita per il giudaismo antico, possa aver subito l'influenza della primissima comunità cristiana. Nella pietra, oltre alla menorah a sette braccia e dei vasi per il vino e l'olio ad ogni lato, sono scolpiti un rosone composto da dodici foglie e dei carri di fuoco.
   «La sinagoga, dove sono rimasti in piedi tratti di muro dell'altezza di 80 centimetri, è stata affrescata attorno all'anno 40 - aggiunge padre Solana - e lo sappiamo dalle monete trovate sotto l'intonaco». Affreschi e mosaici sembrano indicare una tendenza occidentalizzante, che poco si adatta, spiega il sacerdote messicano, «con le caratteristiche della popolazione di Magdala, così come si viene descritta dalle cronache, composta da zeloti e ribelli che cercavano di contrastare la dominazione romana».
   Un intero isolato della città di Magdala appena tornata alla luce era abitato dalle famiglie di pescatori. Gli scavi hanno rivelato molti attrezzi tipici della pesca e della lavorazione del pesce, che qui veniva trattato e venduto nei mercati di Roma. Il nome greco di Magdala, «Tarichea», significa «stabilimento per l'essiccazione». «Abbiamo trovato la zona dove avveniva la salatura», dice Solana. Inoltre è stato scoperto un edificio pubblico con pavimenti lastricati e due bagni rituali con un mosaico.
   Così quello che doveva essere soltanto un grande centro di accoglienza, di spiritualità e di ristoro per i pellegrini in Galilea, con annessa chiesa dedicata a Maria Maddalena, si è trasformata anche in luogo di forte attrazione archeologica. E anche se non è stata ritrovata una casa dove si possano vedere segni di un particolare culto, a motivo dell'evento che ha fermato l'orologio della storia di questa parte di Magdala, il fatto che da qui provenisse la più famosa delle donne benestanti che seguivano Gesù e lo aiutavano, rende anche questo un luogo in qualche modo «santo».

(Vatican Insider, 11 giugno 2014)


Netanyahu accusa Abu Mazen di essere il responsabile del razzo lanciato oggi su Israele

A meno di 24 ore dall'elezione del neo presidente Rivlin, che a luglio sostituirà l'uscente Peres, operata dalla Knesset ieri pomeriggio, Israele torna a tremare a causa di un razzo che in mattinata ha colpito il sud del Paese.
Il razzo, secondo quanto riportato dai media locali e che trova conferma nella comunicazione rilasciata da un portavoce dell'esercito israeliano, sarebbe stato lanciato da Gaza. Non si registrano, comunque, né morti né feriti nonostante l'ordigno sia caduto nei pressi di una strada trafficata.
Circostanza di cui si ringrazia il Signore ma che non costituisce un'attenuante per i lanciatori di razzi palestinesi

La notizia è stata subito commentata dal premier Benjamin Netanyahu, che accusa il presidente della Palestina, Abu Mazen (Mahmud Abbas), di essere il responsabile dell'accaduto. Il premier israeliano ritiene che Abu Mazen sia colpevole perché, come scrive su Twitter, «ha costituito un governo unitario con Hamas» e quindi è responsabile di tutto quello che avviene sotto il suo governo.

(Fonte: The Blazoned Press, 11 giugno 2014)


Reuven Rivlin eletto Presidente di Israele

GERUSALEMME - Reuven Rivlin (Likud,destra) e' il nuovo presidente di Israele. Ha avuto 63 voti nel ballottaggio. Succede a Shimon Peres. L'ex ministro centrista Meir Shitrit, suo rivale al ballottaggio, ha avuto invece 53 preferenze. A votare, in una Knesset (parlamento) che si é di fatto spaccata quasi a metà, sono stati in 119 deputati con 3 schede bianche. Rivlin, 74 anni, sarà il decimo capo dello Stato israeliano. Già presidente della Knesset, è un esponente storico della destra, ma ha avuto il rispettato anche di settori politici avversi in parlamento per il suo approccio legalitario e l'equanimità alla guida dell'assemìblea. ''Una vittoria del Likud, del campo nazionale'': cosi' il premier Benyamin Netanyahu ha commentato a caldo l'elezione di Rivlin a decimo presidente di Israele. ''Mi attendo - ha aggiunto - una cooperazione con il presidente eletto per l'unita' del popolo di Israele e dei cittadini di Israele''.



(ANSAmed, 10 giugno 2014)


All'italianissima Ermanno Tedeschi gallery di Tel Aviv l'eden della pittrice Barbara Nahmad

L'italianissima Ermanno Tedeschi Gallery a Tel Aviv - sue sedi a Torino, Roma e Milano - apre oggi "eden", nuovo progetto della pittrice Barbara Nahmad (Milano 1967): una serie di opere esposta nella sua integrita' e per la prima volta in una personale - fino al 2 agosto 2014.
Da sempre attiva in Italia come all'estero Barbara Nahmad ha deciso di presentare queste opere a Tel Aviv proprio per ricollegarle al Paese che piu' di tutti le ha ispirate: "eden" nasce infatti dalla riflessioni su immagini dell'Israele degli anni '50, un periodo in cui i sogni e gli ideali erano tanto forti da poter gettare le basi di un nuovo Stato.
Barbara stessa spiega che solamente "lo scorrere dei pennelli sulla tela" puo' raccontare la connessione tra la sua esperienza e le immagini che ha deciso di trasfigurare. Nata da una famiglia ebraica egiziana emigrata in Italia in quel decennio, Barbara e' stata educata ed è cresciuta all'interno di organizzazioni ebraiche. Ha conosciuto Israele in principio attraverso un Kibbutz.
I nuovi quadri "chiedevano" a gran voce pure un nuovo stile. Barbara Nahmad ha così abbandonato lo smalto che aveva ben caratterizzato le sue precedenti creazioni e ha eliminato tutto cio' che riteneva "ridondante" sulla tela arrivando a composizioni strutturate che paiono "isolare" il passato dal "rumoroso presente", ma senza nostalgia. L'effetto -quasi onirico- è quello di una sospensione del tempo.
"eden" dice tuttavia qualcosa pure sull'attualità: e' pur sempre una serie di quadri dipinta durante un periodo difficile, di estesa crisi economica, per l'Italia e per parte dell'Europa. Non si tratta forse, oggi, di rifondare un sistema occidentale troppo ingessato, se non addirittura abbrutito da una pervicace " mancanza di sogni"?
Forse è arrivato il momento di un diverso gioco delle parti e che Israele doni all'Europa tutte le suggestioni, se non gli esempi, possibili.
In occasione di questa mostra, la Ermanno Tedeschi Gallery presentera' anche una pubblicazione dedicata. Il catalogo conterra' un testo critico di Martina Corgnati, e di Avi Pazner, diplomatico israeliano ed ex ambasciatore in Italia e Francia.

(Italian Network, 10 giugno 2014)


Il polpo ispira i robot del futuro

È uno studio che può trovare applicazioni interessanti nel settore della biorobotica. Come fanno i tentacoli del polpo a muoversi in maniera indipendente, senza aggrovigliarsi? Come funziona il cervello di questo mollusco?
Un team di neuroscienziati dell'Università Ebraica di Gerusalemme sta studiando i recettori sensoriali presenti sulle ventose dei tentacoli, che ne controllano la capacità prensile.
Sono stati sottoposti a test in acqua alcuni arti mozzati che, una volta recisi, possono ancora muoversi per un'oretta. Si è visto che le ventose non si attaccano ad altri tentacoli dello stesso esemplare, a meno che la pelle non sia stata rimossa.
"Abbiamo visto che il tentacolo amputato afferra la carne, l'arto senza pelle, come qualsiasi altro elemento, ma quando abbiamo ricoperto di pelle dei dischi di plastica, questi non sono stati afferrati. La ventosa non risponde", spiega il neuroscienziato Guy Levy.
Tuttavia diventa attiva se, invece, viene a contatto con la pelle di un altro polpo, rendendo possibili gli episodi di cannibalismo nella specie. Una prova del fatto che il cervello di questo animale è in grado di riconoscere e controllare gli elementi che appartengono al proprio corpo.
"Il polpo vuole avere la possibiltà di agguantare un suo simile per mangiarlo, ma non che i suoi tentacoli si afferrino gli uni con gli altri. Ed ecco la magnifica e intelligente soluzione che la natura ha dato ad un problema potenzialmente molto complicato. Il polpo, invece di dover calcolare quando e fino a dove i suoi arti possono interagire, semplicemente evita che vengano a contatto, anticipando i tempi"
I ricercatori ritengono che questo meccanismo di auto-riconoscimento possa ispirare robot utilizzati in medicina o nelle operazioni di salvataggio, che richiedono macchine dai movimenti flessibili e che distinguano diverse superfici.

(euronews, 10 giugno 2014)


Venti startup volano a Tel Aviv

A settembre al Bootcamp. Candidature entro il 30 giugno

NAPOLI - Prende il via la terza edizione di Startup Tel Aviv Bootcamp, la gara internazionale per startup creative e innovative organizzato dal Ministero degli Affari Esteri israeliano, la città di Tel Aviv e Google Israel.
L'edizione italiana è promossa dall'Ambasciata di Israele e da Luiss EnLabs. A partecipare founder e ceo di startup di età compresa tra 25 e 35 anni, attivi nei settori Ict, web, mobile, security e già in possesso di un finanziamento seed.
I founder delle 20 startup vincitrici, provenienti da tutti i Paesi interessati tra cui l'Italia, andranno a Tel Aviv e parteciperanno a Startup Tel Aviv Bootcamp (alla lettera campo di addestramento) dove si svolgeranno conferenze, seminari e workshop. Un'occasione, spiegano i promotori, che offre la possibilità di incontro e networking con imprenditori, professionisti ed investitori israeliani leader dell'ecosistema startup locale.
Startup Tel Aviv Bootcamp si svolgerà dal 14 al 19 settembre 2014 all'interno del Festival del Digital Life Design. Per candidarsi c'è tempo fino al 30 giugno 2014. La start up vincitrice della selezione italiana sarà resa nota il 16 luglio: potrà, insieme ai 20 founder, partecipare al Bootcamp in Israele.

(ANSA, 10 giugno 2014)


Il papa ha difeso Israele?

"Il Papa non ha fatto magie ma ha difeso Israele", è questo il titolo di un articolo di Fiamma Nirenstein, comparso oggi sul quotidiano Il Giornale. Ne riportiamo uno stralcio:
      
    "L'onda mediatica è stata enorme e priva di minacce, aggressioni, critiche. Netanyahu ha taciuto dimostrandosi diplomatico: Abu Mazen ha appena stretto un'alleanza con Hamas, che solo ieri notte ha di nuovo sparato un missile da Gaza. Israele è scioccata dalla sua mossa, ed egli ha avuto fortuna a legittimarsi nell'evento Papale. Non si può tuttavia dire che Francesco abbia voluto favorirlo. E evidente il suo interesse ad apparire giusto con i contendenti, perché questo è ciò che garantisce il buon mediatore. Ma considerare che la fermata davanti al muro di Betfemme che impedisce ai terroristi l'ingresso ma che i palestinesi vogliono rendere simbolo di apartheid, abbia segnalato una preferenza verso i palestinesi, non funziona. Il Papa ha deciso, primo nella storia, di visitare la tomba di Theodor Herzl, fondatore del sionismo, attribuendogli un significato spirituale alla presenza del popolo ebraico qui, riconoscendo che Israele è la sua patria. Del resto aveva nella sua prima enciclica riconfermato che «il patto degli ebrei (sulla terra) con Dio non è mai stato revocato» e ha dedicato parole fortissime all'antisemitismo. Francesco parla volentieri delle comuni origini di ebraismo e cristianesimo. Il Papa ha anche mostrato il suo apprezzamento per il fatto che in Israele «lavora e vive una varietà di comunità cristiane», sa che è l'unico Paese mediorientale in cui i suoi da 34mila nel '49 sono diventati 161mila nel 2013, mentre intorno emigrano o sono perseguitati. Per la Chiesa l'incontro è stato un'occasione di mostrare vitalità, universalismo, con una evidente tendenza a fare da arbitro, vedremo il seguito."
Il papa ha difeso Israele? Sì, certo, ma ha difeso anche Abu Mazen. Ha difeso et Israele et Abu Mazen. Ha difeso Israele, perché ha visitato la tomba di un ebreo morto: Theodor Herzl. E ha difeso Abu Mazen, perché ha visitato il muro che i palestinesi vorrebbero vedere abbattuto per poter fare qualche morto ebreo in più. Non è significativa questa predilezione per gli ebrei morti? Il papa ha attribuito alla visita alla tomba di Herzl un significato spirituale? Quale? L'ha detto esplicitamente Bergoglio? O ha lasciato che alcuni lo interpretassero a loro modo, senza impedire che altri lo interpretassero in modo diametralmente opposto? E' così che si pronuncia la CCR (Chiesa Cattolica Romana), questo è lo stile che si addice al suo universalismo: includere la totalità delle interpretazioni possibili e riservarsi di precisarle a sua discrezione a seconda delle occasioni.
Bisogna dirlo: quando noi cristiani ci avventuriamo in considerazioni e valutazioni sommarie su quello che si pensa e si fa nel mondo ebraico, spesso diciamo un cumulo di sciocchezze, ed è raro purtroppo che ce ne rendiamo conto. Bisogna dire però che avviene anche l'inverso: ci sono ebrei che ogni tanto si avventurano in considerazioni e valutazioni su quello che avviene nel mondo cristiano e spesso, anche se riescono a percepire e comprendere molte cose interessanti, non si accorgono di non aver capito o di aver frainteso quello che è veramente essenziale. In entrambi i casi le conseguenze di questo tipo di incomprensione possono essere drammatiche. M.C.

(Notizie su Israele, 10 giugno 2014)


Forze dell'Autorità Palestinese disperdono una manifestazione di Hamas a Ramallah

Nonostante la riconciliazione fra Fatah e Hamas, forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese hanno disperso ieri sera un corteo di automobili organizzato da Hamas a Ramallah, in Cisgiordania. Lo riporta la stampa palestinese secondo cui l'evento era stato indetto da Hamas in solidarieta' con lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi in carcere in Israele contro la 'detenzione amministrativa'. Durante i fatti - hanno denunciato partecipanti, citati dalla stampa palestinese - le forze di sicurezza dell'AP avrebbero picchiato alcuni dei manifestanti e avrebbero proceduto ad alcuni arresti.

(ANSAmed, 10 giugno 2014)


Savoca. Quale soluzione per la sinagoga?

Confronto Comune-proprietari per la messa in sicurezza dell'edificio

di Andrea Rifatto

  
Tornata alla ribalta dopo il ritrovamento di una stele lapidea raffigurante la stella di David, la sinagoga di Savoca è oggetto, in questi giorni, di particolari attenzioni. I resti della struttura, sita nel centro storico, sono esposti da molti anni alle intemperie, e ciò non ha certamente giovato a mantenerli in buono stato di conservazione. Stamane, alla presenza dei proprietari del bene e di tecnici ed amministratori comunali, si è tenuto un sopralluogo per verificare le condizioni del manufatto ed accertare se vi sono parti che necessitano di interventi urgenti utili a scongiurare eventuali crolli, che potrebbero minare l'incolumità di quanti transitano quotidianamente sulla via San Michele. Il Comune di Savoca, rappresentato dall'assessore Giuseppe Meesa, dal capogruppo di minoranza Massimo Stracuzzi e dal resposabile dell'area tecnica, geom. Santino Scarcella, ha studiato con i proprietari della sinagoga quali potrebbero essere le modalità di messa in sicurezza del rudere: al termine dell'incontro è stato deciso di concedere ai privati la possibilità di verificare attentamente lo stato dei luoghi tramite un tecnico di fiducia, e di comunicare all'ente savocese, entro quindici giorni, come si intende intervenire per eliminare le porzioni instabili del fabbricato. Una soluzione accettata di buon grado da entrambe le parti, che si spera possa alimentare nuovamente l'interesse a valorizzare un pezzo di storia non solo di Savoca ma di tutta la Sicilia.
Già nel 1997, dopo la visita alla sinagoga del prof. Nicolò Bucaria, ricercatore all'Albright Institute of Archaeology di Gerusalemme, e di padre Benedetto Rocco, docente di Sacra Scrittura e Patristica alla facoltà teologica "S.Giovanni Evangelista" di Palermo, sembrava si fosse sulla strada giusta per approfondire gli studi sui quei resti segnati dal tempo: la Soprintendenza di Messina dichiarò di essere disponibile a proporre l'apposizione del vincolo storico-artistico, chiedendo al Comune di Savoca di fornire gli identificativi catastali dell'immobile e i dati dei proprietari. Ma l'Amministrazione comunale dell'epoca non comunicò mai le informazioni richieste, forse perché ritenne non ci fosse la certezza assoluta che tra quelle mura ci fosse stato un luogo di culto dell'ebraismo, e tutto cadde nell'oblio. La scoperta, nei giorni scorsi, dell'importante reperto, ad opera di uno zelante cittadino appassionato di storia locale, ha fatto tornare le attenzioni su questo capitolo di storia. Nonostante i resti della sinagoga non siano valorizzati e non esista alcuna indicazione esplicativa, l'esistenza del luogo sacro viene segnalata dalle guide turistiche che accompagnano i numerosi visitatori che solcano quotidianamente le vie di Savoca. Quel che è certo è che sarebbe bene programmare un intervento di ripulitura del fabbricato, provando successivamente ad approfondire gli studi sulla sua conformazione architettonica, in particolare sulla cisterna sotterranea, rimasta finora inesplorata. Il reperto con incisa la stella di David, invece, in attesa magari di essere analizzato più a fondo, rimane conservato nel Museo storico etnoantropologico di Savoca, gelosamente custodito in un cassetto dal responsabile Santo Lombardo. Sarà la volta buona che un bene così prezioso riesca finalmente a vedere la luce? Sarebbe bene che il Comune di Savoca, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina e l'Archeoclub Val d'Agrò scendano decisi in campo per mostrare le reali intenzioni, perchè non ci si può defilare dinanzi alla storia.

(SikilyNews, 10 giugno 2014)


Israele: i piani della difesa nel 2014

di Franco Iac

Con una tempistica a dir poco perfetta, Israele risponde al governo russo illustrando i piani della propria Difesa per l'anno in corso.
Secondo il capo dell'Israel Air Force, le capacità offensive dell'esercito israeliano si quadruplicheranno nell'anno in corso. In un solo giorno - ha detto il Maggiore Generale Amir Eshel - saremo in grado di colpire migliaia di obiettivi, migliorando enormemente le già superbe capacità dell'IDF. I piani sono stati resi noti durante la decima conferenza annuale per la sicurezza nazionale e sul contributo della potenza aerea nelle capacità strategiche di Israele. Secondo Tel Aviv, le capacità offensive e difensive dell'IDF sono seconde soltanto a quelle degli Stati Uniti, considerando la tecnologia a disposizione.
L'Israel Air Force raggiungerà la capacità di colpire con armi di precisione circa mille bersagli diversi in una sola giornata. La capacità d'attacco è stata raddoppiata negli ultimi due anni. Entro il 2014 Israele migliorerà del 400% le proprie capacità offensive.
L'aeronautica militare israeliana, alla fine del 2014, in meno di 24 ore, potrebbe colpire gli stessi obiettivi raggiunti in tre giorni durante la Seconda Guerra del Libano o distruggere in 12 ore i target eliminati in una settimana durante l'operazione Pilastro di Difesa. Israele (la storia insegna), non potrebbe sostenere una guerra di logoramento ecco perché tutte le risorse sono impiegate per avere una forza che gli possa consentire di vincere in fretta con il massimo dell'efficacia e con una precisione assoluta.
Il Capo di Stato Maggiore dell'esercito Israeliano, il tenente generale Benny Gantz, ha poi descritto le minacce che Israele dovrà affrontare nel prossimo futuro. Secondo Gantz, l'esercito israeliano potrebbe essere costretto a lottare contro qualsiasi cosa: dagli attacchi missilistici a quelli informatici che potrebbero paralizzare le infrastrutture di Israele.
Ma dopo aver esaminato una serie di scenari apocalittici, il generale Gantz ha concluso il suo discorso con un messaggio di speranza e di ottimismo:
"Siamo abbastanza forti da affrontare ogni sfida, immaginabile ed inimmaginabile".
Ma quali sarebbero le attuali tecnologie in possesso agli israeliani? E' proprio l'IDF che risponde alla nostra domanda con cinque delle migliori tecnologie al momento impiegate.
  1. Il Super Simulator
    Il nuovo simulatore dell'Israel Air Force ricrea missioni di volo con una precisione senza precedenti. Ad oggi, è il miglior simulatore del mondo, in grado di generare immagini realistiche delle capacità nemiche.
    Il simulatore inoltre, può gestire fino ad otto piloti da caccia, consentendo diverse tipologie di combattimenti. Il nuovo simulatore consente a piloti e navigatori di svolgere più missioni, aumentando la loro forza operativa.
  2. Mid -Flight Refueling
    Lo scorso mese di ottobre, in una missione a lungo raggio, squadriglie di caccia dalla Israel Air Force sono state rifornite in volo. La manovra tecnologica consente loro di volare per un tempo indefinito. In ogni momento, l'IDF ha la resistenza per effettuare qualsiasi operazione necessaria.
  3. Il Sistema Trophy
    Nonostante la loro corazza, i carri armati tradizionali sono vulnerabili ai missili anticarro guidati, come le granate con propulsione a razzo. Questi missili guidati possono penetrare anche la corazza più spessa, mettendo in pericolo i membri dell'equipaggio. Per difendere i veicoli blindati dalle minacce anti-carro, il Ministero della Difesa israeliano e la Rafael Defense Systems hanno sviluppato il sistema Trophy.
    Il sistema Trophy crea una cupola protettiva. E' formato da un sistema ADS, un computer in grado di tracciare la rotta del missile anticarro ed un cannoncino automatizzato. L'intero sistema protegge il veicolo dagli attacchi multipli. Il missile è intercettato propagando l'esplosione verso l'esterno, riducendo al minimo i danni collaterali per l'equipaggio del carro armato.
  4. Cyber Warfare e Realtà Virtuale
    I dispositivi per la "realtà aumentata" forniscono informazioni sulle caratteristiche fisiche degli oggetti sul campo. Il reparto "Lotem", divisione dell'IDF, garantisce ad Israele un vantaggio tecnologico costante rispetto ai nemici. L'unità sta espandendo le capacità di difesa informatica di Israele, proteggendo dagli hacker nemici gli apparati di comunicazione, gestione e controllo. Pochi mesi fa, l'IDF ha creato una divisione dedicata esclusivamente alla Cyber Defense.
  5. Lo Skylark
    Il drone Skylark è piccolo, leggero e praticamente impercettibile al radar. E' abbastanza leggero da essere trasportato da una sola persona e può essere pronto al volare in meno di otto minuti. Ha un'autonomia di tre ore e può volare con ogni condizione atmosferica.
(teleradiosciacca.it, 9 giugno 2014)


Con "L'amore di Ago e Spilla" la Shoah diventa fiaba

Dal racconto di Paolo Valentini anche un testo teatrale per il Giorno della Memoria

Graphic Novel "L'amore di Ago e Spilla" di Paolo Valentini
 
Paolo Valentini
Può un tema difficile come quello della Shoah essere spiegato ai più giovani per mezzo di una fiaba? È la sfida lanciata da Paolo Valentini, giornalista e scrittore romano autore di "L'amore di Ago e Spilla", un testo illustrato destinato a commuovere e far riflettere grandi e piccini.
Metafora dei tragici avvenimenti che sconvolsero l'Europa sotto la dittatura di Hitler, la fiaba narra le avventure di un giovane Ago e di una bellissima Spilla, che si scoprono innamorati nel bel mezzo del dramma collettivo che li ha colpiti insieme a milioni di loro simili. Rinchiusi nella più buia delle prigioni - che presto si rivelerà l'anticamera di un fato assai peggiore - ai due piccoli "cuori in petti d'acciaio" spetterà il compito di tessere il destino di tutti i loro amici e di guidarli nel lungo e tortuoso cammino verso una "terra promessa".
Pubblicata proprio in questi giorni da Matisklo Edizioni, la giovane casa editrice fondata da Francesco Vico e Cesare Oddera - quest'ultimo firma anche la nota introduttiva - "L'amore di Ago e Spilla" è già diventata un testo teatrale, al centro di un progetto che, dopo l'esordio al Teatro Arcobaleno di Roma con uno spettacolo realizzato da PAASC in collaborazione con NITAM, vedrà il copione - sempre di Paolo Valentini - andare in scena in numerose sale italiane in occasione della Giornata della Memoria.
A realizzare la copertina e le illustrazioni ben sedici artisti, che usando stili e tecniche differenti - dall'acquerello alla computer grafica - hanno dato un volto ai piccoli eroi della fiaba e alla memoria dell'Olocausto: Matteo Anselmo, Sara Bergomi, Valeria Bianchi Mian, Francesco Capello, Giada Cattaneo, Pietro Dichiara, E1kel, Chiara Foresti, Francesca Leoncini, Mauro Martin, Gianluca Mattossovich, Liliana Paganini, Stella Passi, Daniela Spoto, Emanuele Tomasi e Silvana Verduci.

(Matisklo Edizioni, 10 giugno 2014)


Horizon 2020: Ue associa Israele al programma di ricerca e innovazione

ROMA - Il presidente della Commissione europea Jose' Manuel Barroso e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno presenziato oggi alla firma dell'associazione di Israele ad Horizon 2020, il nuovo programma di ricerca e innovazione dell'Ue. Horizon 2020, sottolinea la Commissione, ''offre una grande opportunita' per rafforzare la cooperazione tradizionalmente attiva tra ricercatori e innovatori israeliani e dell'Ue''. Secondo i termini dell'accordo, Israele avra' lo stesso accesso al programma degli Stati membri dell'Unione e di altri paesi associati. In cambio, contribuira' al bilancio di Horizon 2020. ''Israele e' un player forte in ricerca e innovazione - ha detto Barroso - e per questo motivo e' un partner importante per l'Unione europea nell'affrontare sfide sociali di interesse comune, come l'invecchiamento, la sicurezza alimentare, la tutela dell'ambiente o l'energia pulita, e per rafforzare la competitivita' delle nostre industrie. Sono lieto della firma dell'accordo di oggi, perche' riflette l'importanza che reciprocamente attribuiamo alla cooperazione ed al partenariato nella ricerca e nell'innovazione''. Israele ha la piu' alta percentuale nel mondo di ricercatori nel settore industriale e uno dei piu' alti investimenti in ricerca e svilppo civile, oltre il 4% del proprio pil. La cooperazione in Horizon 2020 ''prevede un meccanismo importante anche per contribuire a rafforzare la comprensione reciproca con i partner regionali''. L'accordo e' stato firmato dal capo della delegazione Ue in Israele, l'ambasciatore Lars Faaborg-Andersen, e dal ministro della Scienza, Tecnologia e Spazio Yaakov Perry.

(ASCA, 9 giugno 2014)


Eva Fischer alla Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale

Eva Fischer, "Barche ad Amalfi", 1963
Nell'anno in cui la Giornata Europea della Cultura Ebraica (14 settembre 2014) ha come tema "La donna nell'ebraismo" la Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale di via Crispi offre al pubblico un percorso espositivo con opere di artiste ebree italiane che è una riflessione sull'identità di genere, sullo spazio e sul ruolo della donna.
Marina Bakos, una delle curatrici della mostra, scrive: "Un raffinato quanto sapiente sfruttamento del colore sono la forza della personalità artistica di Eva Fischer che tesse architetture d'incanto, siano esse ricche di figure, case, barche, biciclette. Nei bozzetti per le vetrate del Tempio Maggiore di Roma l'eleganza del segno, lieve e calibrato, contorna forme fantastiche dense di luce: Roma e le Quattro Città Sante, Gerusalemme, Hebron, Safed e Tiberiade, sono rette da linee impercettibili e da colori che si sommano gli uni sugli altri, dilagano in liquide trasparenze, accese da lampi improvvisi, a volte caldi spesso cristallini. La materia è trasfigurata: è luce che da fisica si fa spirituale e attende solo che la fragilità del vetro la renda metafora visiva della trascendenza: " realtà mistica che attraversa la finestra".
Salvatore Fornari, allora direttore del Museo Ebraico, chiese in un primo momento a Chagall di eseguire i bozzetti ma il maestro rispose: "Io sono vecchio e poi voi avete la Fischer!". Nel 1962 nelle vetrate della sinagoga di Hadassah egli si era affidato al tema delle dodici tribù di Israele per sviluppare magistralmente quell'individualità così consona ad un sentire ebraico: al colore, ispirato alle pietre preziose del pettorale del sommo Sacerdote, lasciò il compito di un irradiare misterioso, una forza evocatrice, una ricchezza simbolica. Anche Eva ancora saldamente le sue architetture alla storia e alla spiritualità del suo popolo attraverso una metafora collettiva e allo stesso tempo individuale: ciascuna delle città, emblema di una sacralità corale, sono identificate dai quattro elementi (acqua, fuoco, terra, aria) che caratterizzano l'anima di quell'equilibrio di tinte, di sfumature, di abbagli cromatici dai quali emerge il sublimare delle forme. Il quinto bozzetto, Roma, ha la consistenza del sogno, la brillantezza della speranza, la solidità fragile della rinascita: omaggio ad una città che da secoli riconosce nell'ebraicità un nucleo portante e insostituibile per la vita e la cultura cittadina."
Nata nel 1920 nella ex-Jugoslavia da famiglia ungherese, dall'immediato dopoguerra Eva sale alla ribalta della cultura mitteleuropea ma allo stesso tempo italiana. Colorista ed oggi ultima rappresentante la scuola romana del dopoguerra, fra le sue tematiche restano celebri le personalizzazioni delle biciclette, i paesaggi mediterranei, i mercati rionali romani, ma anche quel diario tenuto segreto anche ai suoi familiari per quasi 40 anni, con tutta la drammaticità del periodo delle deportazioni, che non l'ha mai abbandonata. La crudeltà nazista strappò ad Eva oltre trenta parenti tra i quali il padre Leopold, rabbino capo e grande talmudista.
Eva Fischer, che con la sua fertilissima attività esposta in ogni angolo del mondo - non ultimo lo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme - funge appunto da trait d'union tra alcune antiche nazioni europee, attraverso la storia e la cultura dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

(L'Impronta, 9 giugno 2014)


Faccia da funerale

Commentando, sul sito dove di solito scrive, il recente incontro organizzato dal Vaticano, il prof. Ugo Volli inserisce un'osservazione degna di nota:
      
    "Mi sono guardato sul web la riunione organizzata da Papa Francesco, con qualche pausa, lo ammetto; ho ascoltato le preghiere pronunciate con professionalità un po' scolastica da cardinali, rabbini ed imam, ho visto le facce dei leader composte di noia paziente, salvo quella di Abbas che mi è sembrato torvissimo, come se meditasse su un chiodo che gli avevano messo sulla sedia, o si chiedesse quanti giubbotti esplosivi potessero far tacere quello sgradevole vicinato.
    Ho letto anche il suo discorso, nella versione ufficiale distribuita dal Vaticano: tutta una rivendicazione di Gerusalemme araba, col viaggio notturno di Maometto in testa e l'idea che la pace andasse garantita sì, ma al popolo palestinese, composto secondo lui da musulmani, cristiani e... samaritani (sapete, quella setta staccatasi dall'ebraismo 25 secoli fa, che conta un migliaio di fedeli in tutto).
    Non manca qualcuno, mi sono chiesto? Non è lì per dire che vuol fare la pace con Israele? Gli ebrei poi li ha aggiunti in fondo, a braccio, indicando anche quelli con cui era obbligato a fare la pace, ma con una faccia da funerale che lo iettatore del paese è molto più allegro..."
Faccia da funerale, appunto, ma perché? Non può essere stato il calcolo del numero di giubbotti esplosivi necessari per far sparire qualcuno del suo sgradevole vicinato, perché questo non sarebbe stato per lui un motivo di tristezza. Il funerale a cui forse ha pensato potrebbe essere invece il suo. "Che mi succederà quando ritorno in sede dopo tutti quei baci e abbracci con il presidente sionista, e tutte quelle invocazioni alla pace con un'entità che invece si ha il dovere di odiare a vita? Arafat, quando era costretto a parlar di pace con gli ebrei, era molto bravo a far capire ai suoi che era tutta una messa in scena, che non dovevano assolutamente pensare che lui stesse facendo sul serio, ma io - avrà sempre pensato Abu Mazen - sarò stato altrettanto bravo a farmi capire?" Ci ha provato, a dire il vero: ha fatto di tutto per trasformare la sua preghiera in una litania contro Israele, ma qualche dubbio forse gli sarà rimasto. Lui li conosce, i suoi, e sa che per chi sgarra la possibilità del funerale si avvicina. Di qui la faccia. M.C.

(Notizie su Israele, 9 giugno 2014)


Mostra "La Brigata Ebraica in Italia"

Uomini e donne che contribuirono alla lotta per la Liberazione.

In occasione del 70o anniversario della liberazione di Roma dall'occupazione nazista, in programma alla Casa della Memoria e della Storia dal 12 giugno al 25 luglio 2014, una mostra che ricostruisce, attraverso pannelli illustrativi nei quali sono riprodotti documenti, fotografie e manifesti degli anni '40 tratti dalla collezione del grafico americano Micha Riss, la storia di uomini e donne appartenenti alla collettività ebraica della Palestina sotto mandato britannico, che contribuirono a fianco delle forze alleate alla lotta di liberazione dell'Europa dall'occupazione nazista.
Il giorno dell'inaugurazione, l'11 giugno alle 17.00, indirizzi di saluto di Alberto Tancredi, Presidente Associazione Romana Amici d'Israele, Riccardo Pacifici, Presidente Comunità Ebraica di Roma ed Ernesto Nassi, Presidente ANPI di Roma e Lazio. Introduce la mostra la curatrice Bice Migliau con testimonianze di Silvana Cagli Ajò e Luciana Ascarelli.
Furono oltre 30.000 gli ebrei che si arruolarono volontariamente, entrando cosi a far parte delle varie Compagnie ebraiche nell'esercito britannico. Le prime Compagnie sbarcarono in Sicilia nell'agosto del '43 poi a partire da a Salerno, Napoli, Bari e Taranto svolsero azioni di soccorso della popolazione provata dalla guerra. Alcune collaborarono allo sbarco ad Anzio nel febbraio del '44 e alla liberazione di Roma nel giugno dello stesso anno.
A Roma i soldati delle Compagnie si prodigarono in aiuto degli ebrei, riaprirono il Tempio Maggiore e le scuole ebraiche, dedicandosi all'insegnamento dell'ebraico e all'organizzazione di attività per rendere partecipe di una realtà ebraica positiva e dinamica una gioventù che aveva sofferto le ferite della persecuzione e della guerra. Seguendo il percorso della liberazione dell' Italia questi soldati svolsero azioni di soccorso anche al Nord.
Nel settembre del 1944, in seguito allo sforzo diplomatico dell' Agenzia Ebraica, il governo britannico istituì la Brigata Ebraica Combattente, un'unità militare indipendente dell'esercito britannico con una propria bandiera e un proprio emblema. Nella Brigata furono arruolati 5.000 volontari che dopo un periodo di addestramento a Fiuggi, furono trasferiti sul Senio (Ravenna) dove, nell'aprile del 1945 combatterono contro i nazisti guadagnando il passaggio del fiume. Con la fine della guerra, le Compagnie vennero smobilitate e i soldati rimpatriati. Alcuni decisero di restare come civili per proseguire il lavoro di sostegno e di soccorso ai superstiti della Shoah insieme ai primi volontari civili giunti dalla Palestina contribuendo al "ritorno alla vita"delle principali comunità ebraiche italiane. Nel cimitero inglese di Piangipane (RA) sono ricordati ogni anno circa 50 caduti, altri riposano a Faenza, Coriano e Udine. Vi furono anche 150 feriti e 21 decorati sul campo.
La mostra, a cura di Bice Migliau, è promossa dall'Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica, Dipartimento Cultura - Servizio Spazi Culturali di Roma Capitale e dall'Associazione Romana Amici d'Israele, in collaborazione con la Comunità Ebraica di Roma, il Centro di Cultura Ebraica della Comunità Ebraica di Roma e ANPI di Roma e Lazio.

(RomaReport.it, 9 giugno 2014)


Oltremare - London Ministor
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”
“Mikveh Israel”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Chi ha costruito il "London Ministor" aveva un progetto molto chiaro. Voleva compattare in un unico fabbricato un palazzo di uffici, un centro commerciale con supermercato e ristorantini, e uno spazio per teatro, cinema e sala concerti. Una specie di isola completamente autosufficiente, che se non fosse in pieno centro a Tel Aviv avrebbe molto senso. Invece è immerso nel traffico di Shaul Hamelech e Ivn Gvirol, e nessuno ne comprende la pienezza di significati, sociologici se non architettonici. Perché per brutto, è brutto. D'altra parte non c'è molto di bello che sia stato costruito come lui nel 1972 e stia ancora in piedi. A me il London Ministor ha fatto sempre tenerezza, a partire da quel nome pseudoinglese ma declinato all'israeliana, e cioè come capita, di cui non so l'origine - credevo avesse a che fare con un comando inglese dei tempi del Mandato ma non trovo conferme. E poi per essere stato surclassato dal gigante Dizengoff Center poco lontano, ma aver mantenuto un distacco vagamente nobiliare, soprattutto grazie al Zavta, il complesso sotterraneo in cui ogni giorno si rincorrono sui tre palchi comici di stand-up, concerti di artisti famosi o di avangarde postmoderna (quanto, per me, irrilevante), e pièce di teatro di buon livello. Va bene, non è l'HaBima e non è il Teatro Gesher, ma proprio per questo al Zavta si va con attese intermedie e si finisce per esser spesso soddisfatti ben oltre le aspettative. Un bel sotterraneo pieno di vita in aria gelidamente condizionata è quello che manca al Dizengoff, i cui sotterranei sono antri immensi, covi di pipistrelli giganti. Sono visitabili una volta l'anno intorno a metà maggio, e chi volesse sapere da dove vengono le moltitudini di pipistrelli telavivesi, padroni di quelle poche ore della notte in cui la città dorme, può vedere coi propri occhi le colonie svolazzanti e stridenti. Proprio sotto il centro commerciale più "in" della città. Io ai pipistrelli preferisco ancora gli spettacoli, sempre notturni ma il più delle volte un filo meno inquietanti.

(moked, 9 giugno 2014)


Hillary Clinton: "Fu un errore pretendere il congelamento degli insediamenti israeliani"

La linea dell'amministrazione Obama non fece che irrigidire la posizione di Abu Mazen, scrive l'allora segretario di Stato nel suo nuovo libro di memorie.

La linea dura dell'amministrazione Obama sulle attività edilizie ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania durante il primo mandato dell'attuale presidente americano fu un errore tattico. Lo scrive l'allora Segretario di stato di Obama, Hillary Rodham Clinton, nel suo nuovo libro di memorie Hard Choices (Scelte difficili). "Col senno di poi - scrive Hillary Clinton - la nostra precoce linea dura sugli insediamenti non ha funzionato", e spiega che fare pressione per un congelamento della costruzione di nuove case israeliane nei territori contesi non fece che irrigidire la posizione del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che infatti si rifiutò di negoziare direttamente con Israele per quasi tutti i dieci mesi di moratoria decretati dal governo Netanyahu fra il novembre 2009 e il settembre 2010, con il pretesto che la moratoria non includeva i quartieri orientali di Gerusalemme. E quando il congelamento giunse a scadenza senza alcun passo avanti diplomatico, i negoziati di pace naufragarono. Abu Mazen, sottolinea Hillary Clinton, minimizzava e derideva la concessione israeliana, che lei invece definisce "senza precedenti", e poi ne chiese la proroga in cambio del proseguimento dei negoziati. L'ex Segretario di stato non accenna ad alcuna animosità fra sé e il primo ministro israeliano; riferisce invece dei rapporti tesi tra Netanyahu e Obama, ricordando come quest'ultimo si fosse "infuriato" per l'annuncio di nuove costruzioni a Gerusalemme durante una visita del vice presidente Usa Joe Biden in Israele, nel marzo 2010....

(israele.net, 9 giugno 2014)


Ferrara - Rivive al parco Pareschi il Giardino dei Finzi Contini

Alla scoperta della Ferrara ebraica con il libero adattamento del più famoso libro bassaniano

di Anja Rossi

 
Si è conclusa nel pomeriggio di ieri al parco Pareschi l'iniziativa "Com'è dolce il ricordar a Ferrara", promossa dalla Pro Loco di Ferrara con il sostegno del Comune di Ferrara e il patrocinio della fondazione Bassani. Un giardino ritrovato è stato infatti quello che ha visto il parco Pareschi trasformarsi nel set di una rappresentazione teatrale de "Il giardino dei Finzi Contini" di Giorgio Bassani e che ha coinvolto alcuni ragazzi delle classi dell'istituto tecnico Bachelet.
La manifestazione, pensata per promuovere e divulgare la storia della presenza ebraica a Ferrara, è stata concepita come un lungo percorso tra storie ed aneddoti, curiosità e canti. Nella mattinata, alcuni volontari della Pro Loco di Ferrara hanno infatti curato alcune passeggiate e visite guidate nei luoghi più caratteristici della città ebraica, alcune abitazioni del ghetto e il cimitero ebraico, riscuotendo un elevato numero di interessati. "Inoltre - ha spiegato la presidente della Pro Loco, Enrica Ambretta Balboni - molto successo hanno riscosso la Corale Veneziani, che ha eseguito alcuni canti ebraici, e le curiosità culinarie tratte dal libro di Jenni Bassani Liscia, sorella del noto autore del Giardino dei Finzi Contini".
Proprio un giardino come quello che ci si immagina dalle parole di Bassani è quello che è stato allestito ieri pomeriggio al parco Pareschi di corso Giovecca, che è diventato il palcoscenico dei ragazzi dell'istituto Bachelet. Gli studenti che hanno partecipato al progetto, provenienti dalle prime alle quarte classi, sono stati coordinati dal professore Dario Poppi, che da anni sperava nella realizzazione di un lavoro teatrale sugli scritti del Bassani.
Le vicende interpretate dai ragazzi prendono avvio dal momento in cui i protagonisti vengono cacciati dal circolo Eleonora d'Este poiché ebrei. L'unico modo per alleviare questa loro sofferenza sarà il passare i pomeriggi tutti assieme in questo enorme e lieto giardino. "La manifestazione - ha spiegato Poppi - intende ricordare la forte presenza ebraica in Italia e soprattutto a Ferrara. Molti ferraresi infatti amano i luoghi immaginati da Giorgio Bassani e ammirano le sue opere, vogliamo con questo evento ricreare la stessa situazione e le stesse immagini che i ferraresi tanto amano".

(estense.com, 9 giugno 2014)


La freddezza di Netanyahu: non commenta

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accompagnato ieri sera con un silenzio gelido la missione di pace di Shimon Peres in Vaticano. Di fronte al Consiglio dei ministri Netanyahu è tornato ieri a biasimare Abu Mazen per il suo recente accordo di riconciliazione con una fazione, quella islamica di Ha-mas, «che invoca la distruzione di Israele». Ha poi avvertito che Hamas potrebbe gradualmente assumere il controllo dell'Anp e ha inoltre intimato al presidente palestinese di provvedere alla smilitarizzazione della striscia di Gaza (roccaforte degli islamici).

(La Stampa, 9 giugno 2014)


Santa Marta, porta del mondo. Ma il rabbino di Roma non c'è

Dubbi nella comunità ebraica. Assente Di Segni: altri impegni. Non si tratta di un incontro di Stato ma di una preghiera interreligiosa: lo sottolinea l’assoluta assenza di bandiere.

di Paolo Conti


ROMA — Santa Marta centro del mondo. Ancora una volta. Addirittura per la scommessa della pace in Medio Oriente. Ore 16 di ieri, domenica 8 giugno. La piccola via della Stazione Vaticana, isola di tranquillità nel caos della zona romana di porta Cavalleggeri fino all'elezione di papa Francesco, è presidiata dal mattino presto: una trentina tra poliziotti e carabinieri e da una quindicina di auto di servizio. L'intera area (dove, fino agli anni Cinquanta, funzionava un pittoresco mercato di quartiere all'aperto come a Campo de Fiori) recintata dai bandoni gialli dei Vigili Urbani per vietare la sosta privata, pena la rimozione.
   E' qui la via di accesso più diretta proprio al palazzo di Santa Marta, scelto come residenza ormai anche ufficiale da papa Francesco dopo il definitivo abbandono dell'Appartamento Papale del Palazzo Apostolico, usato solo per le visite di Stato e per il discorso e la benedizione all'Angelus domenicale delle ore 12. Stavolta non si tratta di un incontro di Stato ma di una preghiera interreligiosa, come sottolinea l'assoluta assenza di qualsiasi bandiera e di ogni segnale di riconoscimento sulle auto e sui furgoni delle diverse delegazioni. Solo i due elicotteri della polizia che sorvolano l'area per motivi di sicurezza segnalano a una Roma assolatissima l'eccezionalità di quegli ospiti chiusi in quelle vetture blu e nere.
   A metà di via della Stazione Vaticana, ad un angolo delle Mura Leonine, si apre l'ingresso del Perugino che collega la Repubblica italiana con lo Stato Vaticano proprio a fianco di Santa Marta. Ed è li che entrano gli invitati sulle auto blu blindate e con i vetri oscurati, tra le 17.15 e le 18, accompagnate da scorte, carabinieri motociclisti, sirene. E' lo stesso ingresso usato da Matteo Renzi il 4 aprile per la sua visita privata in compagnia della moglie e di uno dei loro tre figli. Questa domenica di preghiera voluta da papa Francesco con il presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, sottolinea ancora una volta la centralità internazionale di Santa Marta come luogo dei «veri» incontri di papa Francesco: non l'ufñcialità delle visite di Stato regolate da un rigido protocollo e dai discorsi formali ma i colloqui che davvero premono a Bergoglio che esce dalla «sua» stanza 201, ormai famosa in mezzo mondo, e incontra subito «sotto casa» l'interlocutore di turno. Capitò anche il 17 marzo scorso alla presidente dell'Argentina, Cristina Kirchner, che così conobbe anche la cucina di Santa Marta, universalmente riconosciuta non tra le migliori del mondo.
   Ma l'incontro voluto da papa Francesco ha anche un risvolto negli equilibri interni all'ebraismo italiano. C'è una chiara differenza di valutazioni tra l'Unione nazionale delle comunità ebraiche, guidata da Renzo Gattegna, e la comunità romana, la più popolosa e forte, condotta da Riccardo Pacifici e spiritualmente affidata al rabbino Riccardo Di Segni. Gattegna, appena finito l'incontro, esprime chiare parole di sincera gratitudine al Pontefice: «Una cerimonia significativa, un momento di raccoglimento al quale ho aderito affinché pace e comprensione reciproca possano sempre trionfare oltre ogni divisione politica, culturale e religiosa Esprimo quindi profonda gratitudine per l'iniziativa di papa Bergoglio». L'assenza del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (dovuta ad «altri impegni») arriva dopo la sua netta critica apparsa su «Pagine ebraiche» di giugno: «Trattandosi di un incontro religioso sfugge il significato della presenza di una figura chiaramente laica come quella di Peres, che non mi sembra un assiduo frequentatore di luoghi di preghiera e che mi sorprenderebbe iniziasse a esserlo a casa del papa. E un'impostazione alla quale guardo non soltanto con per-plessita ma che trovo anche pericolosa». E anche Pacifici, appena finita la cerimonia, protesta per l'assenza di riferimenti chiari al mondo ebraico nel discorso di Abu Mazen. Un equivoco poi chiarito e dovuto probabilmente a una differenza nei testi distribuiti alle delegazioni e poi battuti dalle agenzie. Comunque Pacifici sottolinea «come alla base di ogni trattativa politica debbano esserci i valori condivisi e il rispetto nei confronti del prossimo. L'iniziativa di papa Francesco dovrà però essere solo il primo tassello di un lungo percorso». Differenze che arrivano dopo l'uscita dei rappresentanti romani vicini a Pacifici dal Consiglio dell'unione delle comunità ebraiche italiane, guidato appunto da Gattegna.

(Corriere della Sera, 9 giugno 2014)


"Santa Marta, porta del mondo". "Santa Marta, centro del mondo". Nell’autocoscienza della CCR (Chiesa Cattolica Romana), espressa in modo pieno dal suo papa, non esiste l'aut ... aut, ma soltanto l'et ... et. E tra i due et c'è lei, la CCR eterna, porta del mondo, centro del mondo con sede in Roma, Città del Vaticano. Tutto il resto è contorno. Il mondo si adatta di buon grado a far da contorno, chi con certe motivazioni, chi con altre, chi vistosamente entusiasta, chi lievemente dubbioso, chi timorosamente critico. La CCR ascolta e mostra a tutti benevolenza e comprensione. Non contraddice, non riprende, non puntualizza. Se nei fatti le restano tutti intorno, perché mai dovrebbe contrastare le parole? M.C.


Il Midburn festival, il deserto diventa "creativo"

Nel deserto nel Negev vicino al Kibbutz Sde Boker sono arrivati oltre 3mila visitatori da tutto Israele per la prima edizione del Midburn festival, manifestazione artistica che prende spunto dal Burning Man, il celebre happening che si svolge ogni anno negli Stati Uniti nel deserto del Nevada. La manifestazione di quattro giorni è una celebrazione della condivisione e della creatività. Immancabile, come nella serata finale del Burning Man, il falò delle sculture lignee che hanno illuminato il paesaggio lunare del deserto del Negev.

(la Repubblica, 9 giugno 2014)


Bruno Carmi - casalese - alla presidenza della comunità ebraica veronese

VERONA — Bruno Carmi è stato nominato presidente della Comunità ebraica di Verona. Nel corso della prima riunione del nuovo Consiglio comunitario (dove Carmi è stato eletto) è stata infatti decretata la sua nomina alla massima carica; subentra nell'incarico a Carlo Rimini che era alla guida degli ebrei veronesi per oltre 40 anni.
Al suo fianco Carmi avrà Ariè Tieger in qualità di vicepresidente, Natan Gantz in qualità di tesoriere e i consiglieri Roberto Israel e Roberto Israel Foroni. Tra le sfide che attendono il nuovo Consiglio, anticipa Carmi, il miglioramento della comunicazione e la massima trasparenza nelle decisioni e nell'organizzazione interna. Si cercherà inoltre di accrescere le occasioni di incontro sia con gli iscritti che con la città. "Pensiamo infatti che la conoscenza della cultura, della storia e delle tradizioni ebraiche - rileva Carmi - siano un mezzo pacifico ed efficace per combattere ogni forma di pregiudizio antiebraico, antisionista, etnico e razziale".
Bruno Carmi è di antica famiglia casalese, figlio del prof. Dario e fratello di Elio, vice presidente della Comunità ebraica di vicolo Olper. Da tempo si era trasferito a Verona, ma spesso era a Casale "di rinforzo" alla piccola comunità monferrina specie nelle visite domenicalI.
Ricordiamo ancora con piacere che Bruno Carmi aveva nel novembre 2007 organizzato il ricevimento dei duecento crocieristi monferrini alla Sinagoga di Venezia, questo l'inizio del suo discorso: «Venezia... Casale Monferrato Provo una grande emozione a trovarmi qui oggi insieme ai miei conterranei monferrini. Venezia, come Casale sono due comunità ebraiche ricche di storia, di tradizioni, di cultura, di arte, che da secoli vivono e convivono ben radicate nel proprio territorio, che hanno sempre ricevuto molto ma hanno anche sempre saputo dare molto... Mi fa piacere in questo momento pensare che queste città siano unite da un arcobaleno, di colori e di speranza....".

(Il Monferrato, 9 giugno 2014)


Violetta e Alfredo a Masada in Israele

La Traviata 'spettacolare' di Daniel Oren al via il 12 giugno

Il palco misura 60 metri per 66: un proscenio gigantesco ai piedi della Rocca di Masada di fronte al Mar Morto, uno dei siti archeologici più visitati d'Israele. Lì il 12 giugno debutterà la Traviata diretta da Daniel Oren. Il dramma di Verdi è il gioiello della stagione della Israeli Opera Festival: con la regia di Michal Znaniecki conta su un cast di 700 persone. Nel ruolo di Violetta Elena Mosuc e Aurelia Florian; Giorgio Berruggi, Jean-Franois Borras e Ho-Yoon Chung interpreteranno Alfredo.

(ANSA, 8 giugno 2014)


Peres: il governo di unità palestinese è una contraddizione

Poche ore prima dell'invocazione di pace in Vaticano, alla quale e' stato invitato dal Pontefice con il presidente dell'Autorita' Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, il presidente israeliano Shimon Peres esprime dubbi sul governo di unita' palestinese sostenuto da Hamas e da Fatah, definendolo una "contraddizione che non durera'". "Uno e' a favore e uno e' contrario al terrorismo. Non funzionera'", ha dichiarato Peres, citato da The Times of Israel. "Non si possono avere acqua e fuoco nello stesso bicchiere".

(Adnkronos, 8 giugno 2014)


Europa, sveglia!

di David Harris, Direttore Esecutivo dell'American Jewish Committee

 
David Harris
L'Europa deve rendersi conto della minaccia rappresentata dall'antisemitismo.
Pensa di essersene accorta, ma in realtà, lo ha fatto solo parzialmente.
Il problema è più grande e più profondo di quanto si pensi. E la posta in gioco non potrebbe essere più alta, non solo per gli ebrei, ma per i valori fondamentali dell'Europa, a cominciare dalla tutela della dignità umana.
In quanto filo-europeo, con una moglie e tre figli cittadini dell'Unione Europea, questo tema mi è molto familiare.
Vivevamo in Europa nel 2000-2001, quando il genietto antisemita fece capolino dalla lampada in diverse nazioni dell'Europa occidentale.
Era chiaro, ed era molto vicino.
Durante una manifestazione nel centro di Londra, l'oratore raccontò alla folla l'ultima "barzelletta" sugli ebrei: "Che differenza c'è tra gli ebrei e la pizza? Entrambi vanno ai forni, ma almeno la pizza non fa rumore".
La folla urlò di gioia. E quando mia moglie si lamentò, un signore inglese ben vestito la guardò dritta negli occhi e disse: "Vaffan… agli ebrei!" Nessuno spese una parola di protesta.
Poi ci furono degli episodi alla scuola internazionale dei nostri figli, fuori Ginevra.
Un giorno, uno studente più grande, figlio di un ambasciatore presso le Nazioni Unite di una nazione del Golfo, mise alle strette nostro figlio minore. Gli disse di aver sentito in giro che eravamo ebrei e sperava che non fosse vero, in quanto non gli piacevano gli ebrei. Nostro figlio era spaventato, ma ammise che, sì, era ebreo, prima di scappare per il campus in cerca della protezione di suo fratello maggiore.
Quando ci lamentammo dell'evento, i funzionari della scuola non batterono ciglio. Non gliene importava niente. Forse non volevano correre il rischio di offendere i loro clienti arabi.
Poi ci fu il caso della studentessa israeliana. In occasione della Giornata Internazionale, quando i bambini vengono invitati a indossare qualcosa dei loro Paesi di origine, si avvolse in una bandiera israeliana.
Un gruppo di studenti le si avvicinò con fare ostile, sfottendola ed umiliandola versandole il contenuto di una lattina in testa.
Sfuggì dal gruppo e si precipitò in cerca di un professore. Trovandone uno, cercò il fiato per raccontare ciò che era appena accaduto. Il professore rispose impassibile: noi non ci immischiamo nelle questioni politiche all'interno della scuola. Dovete sbrigarvela da soli.
Nel frattempo, mentre Arafat rifiutava la proposta di Clinton e Barak per un accordo a due stati e scatenava la seconda intifada, la necessità di Israele di difendersi diventava il bersaglio degli attacchi di molti tra i media europei.
Ho una consistente collezione di ritagli di notizie a senso unico, incluse le vignette scioccanti e i titoli dei giornali spagnoli tradizionali che invertivano l'Olocausto, dando a intendere che gli israeliani erano i nuovi nazisti e i palestinesi erano i nuovi ebrei.
Poi è arrivato l'11 settembre, assieme a delle domande allarmate dai nostri amici in Grecia. Alcuni giornali greci si stavano bevendo la balla che si trattasse di un "complotto sionista", e che migliaia di ebrei erano stati avvertiti in anticipo di non andare al World Trade Center quel fatidico giorno. "Potrebbe per cortesia l'AJC inviarci una lista delle vittime ebree degli attentati terroristici in modo da poter smentire queste macabri dicerie che circolano ad Atene?".
E ricordo vivamente l'incontro nervoso del novembre 2001 con Hubert Védrine, allora Ministro degli esteri francese, durante l'apertura posticipata della sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Io espressi la nostra preoccupazione per le crescenti minacce agli ebrei francesi, che osservavo da Ginevra, appena oltre il confine, e che avevo discusso con i vari rappresentanti della Comunità ebraica di Francia in varie occasioni.
La sua risposta fu repentina e categorica: "Non c'è nessun problema di antisemitismo in Francia. Il problema è il 'teppismo'".
E infatti, lui e i suoi colleghi francesi si sarebbero poi attenuti a quella linea, fin quando Nicolas Sarkozy divenne Ministro dell'Interno prima, e successivamente Presidente, e cominciò ad affrontare le cose a testa alta, seguito poi dal team dell'attuale leadership del presidente Francois Hollande e del Primo ministro Manuel Valls.
Di tanto in tanto, in Francia ci dicevano in quei primi anni che l'antisemitismo era, in realtà, "violenza inter-comunitaria." Che gli ebrei fossero immancabilmente quelli che venivano attaccati non sembrava avere importanza per coloro che spacciavano questa formula "imparziale".
Oppure che il pericolo era il risultato, deplorevole ma inevitabile, del conflitto israelo-palestinese, il che significava che il targeting degli ebrei francesi potesse in qualche modo essere contestualizzato e reso ostaggio di un conflitto in un altro continente fin quando il desiderio di pace di Israele restasse incompiuto.
Potrei raccontare di centinaia di incontri con i funzionari europei, oltre a decine di editoriali, discorsi e conferenze attraverso i quali l'AJC ha cercato di far alzare la guardia.
Molto spesso, ci hanno risposto con dubbio e scetticismo. Era come se facendo finta di niente - ancora la tentazione perenne di negazione - il problema potesse magicamente scomparire da solo.
Passò il tempo, e fortunatamente alcuni leader europei, divennero più assertivi e sensibili alla questione, ma si era perso del tempo prezioso ed il pericolo si era radicato in profondità.
Non aver chiamato l'antisemitismo con il suo vero nome per anni ci è costato caro.
Per anni i mezzi di informazione hanno demonizzato Israele - chiamando Gaza 'il nuovo ghetto di Varsavia', accusando Israele di assassinare 'il secondo Gesù', il palestinese; raccontando che Israele traffica in organi dei palestinesi e che i primi ministri israeliani divorano bambini palestinesi - tutto questo ha avuto il suo effetto.
Per anni hanno scelto di guardare dall'altro lato, di chiudere gli occhi, di razionalizzare comportamenti odiosi, rilasciando dichiarazioni a cui non sono seguite azioni adeguate, e sottovalutando la minaccia crescente.
Quando un'indagine dell'UE tra gli ebrei europei lo scorso anno ha rivelato risultati scioccanti, compreso il fatto che oltre il 40 per cento degli ebrei in Belgio, Francia e Ungheria hanno considerato l'emigrazione, e che oltre il 20 per cento degli ebrei europei evita di frequentare siti o eventi ebraici per paura, sarebbero dovuti suonare campanelli d'allarme e si sarebbero dovuti moltiplicare gli sforzi di affrontare questo assalto ai valori europei.
Quando i partiti neo-nazisti ed apertamente antisemiti hanno ottenuto deputati nei parlamenti nazionali e nei consigli regionali, sino ad arrivare adesso al Parlamento Europeo, l'allarme sarebbe dovuto risuonare ancora più forte.
E dopo gli attacchi che hanno ucciso tre bambini e un adulto in una scuola ebraica di Tolosa, che hanno fatto quattro vittime presso il Museo Ebraico di Bruxelles, e che hanno causato la morte di due fratelli con la kippah fuori Parigi, l'allarme dovrebbe farsi assordante.
E' giunto il momento per l'Europa di affrontare la dura realtà che l'antisemitismo è vivo e vegeto, e che c'è bisogno di azioni forti, concrete e immediate.
A partire da una migliore intelligence per una maggiore sicurezza a condanne esemplari nei tribunali, dal migliorare l'educazione civica alla responsabilizzazione dei media, dalla solidarietà pubblica all'affrontare l'antisemitismo in occasione degli eventi sportivi, sino al monitorare i social network, la lotta va combattuta con urgenza su molti fronti.
La minaccia proviene da una estrema destra alla quale è stata data nuova vita grazie alla rabbia populista contro la crisi economica e l'immigrazione apparentemente incontrollata.
Proviene da una estrema sinistra che attacca in continuazione il diritto di esistere di una sola nazione, Israele, e che vilipende lo Stato ebraico a ogni opportunità.
E proviene dalla crescente popolazione di musulmani in Europa, alcuni dei quali hanno abbracciato il virus mortale dell'antisemitismo che si trova nelle moschee, nelle madrasse, nei media.
Se c'è una buona notizia, questa è che a parte alcune questioni aperte a proposito dell'Ungheria, nessun governo europeo oggi giustifica l'antisemitismo, né tanto meno lo incoraggia, e che le comunità ebraiche sono determinate ad ergersi con fierezza in quanto cittadini europei, ed ebrei.
Il futuro degli ebrei in Europa dipende dal risolvere questa questione. Anzi, forse è a rischio il futuro dell'Europa stessa.

(moked, 8 giugno 2014)


Disgelo tra Egitto e Israele

Colloquio tra il premier Netanyahu e il presidente El Sissi

El Sissi e Netanyahu
Riprendono quota i rapporti diplomatici tra Egitto e Israele dopo le recenti tensioni. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avuto ieri un colloquio telefonico con il neo presidente egiziano Abdel Fattah El Sissi, con il quale si è congratulato per la recente vittoria elettorale. Secondo quanto riportato dall'ufficio del premier, Netanyahu ha sottolineato «l'importanza strategica» dei rapporti tra i due Paesi e la necessità di mantenere gli accordi di Camp David. Anche il presidente israeliano, Shimon Peres, ha avuto un colloquio telefonico con El Sissi congratulandosi per la sua elezione.
   L'Egitto è l'unico Paese arabo, insieme alla Giordania, a intrattenere normali relazioni diplomatiche con Israele. Tuttavia Israele è tra i Paesi che non sono stati invitati alla cerimonia di insediamento del presidente eletto, in programma domenica al Cairo. Tra gli esclusi anche la Turchia e il Qatar, critici della deposizione di Mohammed Mursi. Esclusa anche la Siria, ma non l'Iran: il presidente Hassan Rohani è stato invitato, ma non è ancora chiaro se andrà personalmente al Cairo o invierà un suo rappresentante.
   L'iniziativa di Netanyahu giunge dopo le recenti critiche mosse dalla comunità internazionale, e da Washington in primis, sui progetti di nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme est. L'Esecutivo israeliano ha deciso di lanciare tali progetti in reazione alla formazione del Governo di unità nazionale palestinese basato sull'intesa tra Al Fatah e Hamas.
   Ma, secondo gli osservatori, non è solo nell'ottica del contenzioso israelo-palestinese che va letta l'apertura di Netanyahu: i rapporti tra Israele ed Egitto rappresentano un nodo centrale negli assetti diplomatici in Vicino oriente.
   Gli accordi di Camp David sono stati portati avanti e conclusi nel 1978 dal presidente egiziano Anwar Al Sadat e dal primo ministro israeliano, Menachem Begin, leader del Likud. Essi condussero, dopo dodici giorni di intensi negoziati sotto l'egida della presidenza Carter, al trattato di pace israelo-egiziano nel 1979. L'Egitto fu così il primo Paese arabo a firmare un accordo di pace e a riconoscere formalmente Israele. La Giordania fece altrettanto nel 1994 col trattato israelo-giordano.
   Il trattato tra Egitto e Israele fu firmato 16 mesi dopo la visita del presidente Sadat in Israele del 1977, e al termine di intensi negoziati. Anche dopo il conseguimento degli accordi di Camp David — dicono diverse fonti storiche — non vi era alcuna certezza che un trattato sarebbe stato firmato.
   Tra gli elementi principali del trattato, il riconoscimento reciproco dei due Paesi, la fine dello stato di guerra che esisteva fin dal 1948, il ritiro militare israeliano e la conseguente restituzione degli impianti civili (specialmente quelli di Yamit e Taba) nella penisola del Sinai, controllata da Israele fin dalla guerra del 1967.

(L'Osservatore Romano, 8 giugno 2014)


Reggio Calabria - Presentato il libro "La presenza ebraica nella storia reggina"

 
 
Il dr Felice Delfino presenta il suo libro nella sede del Planetarium Provinciale "Pythagoras" di Reggio Calabria
Si è svolta venerdì 6 giugno, presso il Planetarium Provinciale "Pythagoras" di Reggio Calabria, all'interno del ciclo "Astronomia… non solo Astronomia 2014", la presentazione del libro "La presenza ebraica nella storia reggina" di Felice Delfino (Disoblio Edizioni). Nel corso della presentazione sono intervenuti Angela Misiano Martino (Direttrice Planetarium Pythagoras), Natale Zappalà (Ricercatore e Scrittore), Saverio Verduci (Storico e Giornalista), Salvatore Bellantone (Editore), Felice Delfino (Autore del Libro).
   Dopo i saluti iniziali di Angela Misiano Martino che ha ringraziato i presenti, giovani che investono nella propria terra puntando sulla conoscenza, Natale Zappalà ha sottolineato come l'opera di Felice Delfino sia l'ulteriore testimonianza dell'eccezionale cosmopolitismo che ha caratterizzato la città di Reggio Calabria nel corso della sua storia. Chiarendo come Reggio sia stata al centro del Mediterraneo e delle rotte di navigazione, Natale Zappalà ha chiarito come gli ebrei non potevano passare oltre ma hanno dimorato per lunghi secoli nella città, contribuendo alla sua fortuna e alla sua ricchezza economica, testimoniata dai numerosi reperti che ci sono pervenuti.
   Saverio Verduci ha ricalcato l'importanza di cominciare a leggere a scuola e a studiare, tra gli altri, anche il testo La presenza ebraica nella storia reggina, per avere coscienza della bellissima storia della nostra città e concepirla, anche, come un vettore di rilancio turistico-economico della provincia reggina. Dopodiché ha passato in rassegna i principali reperti pervenutici, testimonianti la presenza ebraica nella storia della città, puntualmente elencati, commentati e spiegati da Felice Delfino nel corso della sua trattazione.
   Salvatore Bellantone ha chiarito come il lavoro di ricerca di Felice Delfino sia unico nel suo genere perché ricco di numerose indagini svolte sul campo in decine e decine di città e paesi aventi ancora tracce della presenza ebraica nella nostra terra. Un lavoro dunque attestante la grande passione dello studioso per la storia della nostra terra, passione che dovrebbe essere trasmessa in tutti i modi ai giovani e agli studenti, per rendersi conto delle fortune storico-archeologiche e dei beni culturali presenti ancora nel nostro territorio.
   Felice Delfino ha tracciato in sintesi la storia dei fuochi ebraici nel territorio reggino, mostrando i principali documenti e reperti su cui si è basata la sua ricerca, spiegando come la Calabria potrebbe godere di tantissimi benefici riappropriandosi responsabilmente di queste pagine di storia e concependo queste ultime in ottica turistica, economica e occupazionale.
   Accesa la luce della conoscenza della Disoblio, ci si è lasciati chiedendosi per quanto tempo ancora lo studio della nostra storia debba essere inteso soltanto come un diletto e per quanto tempo ancora i giovani studiosi presenti nella nostra terra continueranno a restarvi, in attesa di un meritato riconoscimento che consenta loro di mettere a disposizione della comunità la competenza maturata con anni di studio e di sacrifici, prima di esodare altrove come tanti altri giovani hanno fatto prima di loro

(Strill.it, 8 giugno 2014)


Sapere di Dio

Condannato all'ergastolo: deteneva Bibbie.

di Marco Ventura

Senza processo, il regime di Pyongyang ha condannato all'ergastolo e ai lavori forzati il missionario battista Kim Jong-uk. II quarantacinquenne sudcoieano era stato arrestato in Corea del Nord un anno e mezzo fa. Fondava chiese, predicava il Vangelo, soccorreva cristiani perseguitati. Deteneva «materiale pericoloso». Cioè Bibbie: per le dittature, il materiale più pericoloso che ci sia.

(Corriere della Sera, 8 giugno 2014)


Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica

Con Adriana Pincherle, Eva Fischer e le sorelle Nathan ecco le prime tracce di emancipazione negli anni Cinquanta.

di Sara Grattoggi

Artiste, viaggiatrici, protagoniste dell'emancipazione femminile e della scena culturale romana. Ma soprattutto donne che nel tessuto culturale dell'Italia del Novecento seppero affermare la propria piena indipendenza creativa e intellettuale. È un'avanguardia forse poco valorizzata dalla storiografia, ma straordinariamente feconda quella raccontata nella mostra "Artiste del Novecento tra visione e identità ebraica", dal 12 giugno al 5 ottobre alla Galleria comunale d'Arte moderna. In mostra, oltre cento opere di artiste di spicco come Antonietta Raphaèl, fondatrice col marito Mario Mafai della "Scuola romana", Paola Consolo, Eva Fischer, Gabriella Oreffice, Adriana Pincherle, Silvana Weiller, ma anche di Corinna e Olga Modigliani, Annie e Lilly Nathan, figlie di Ernesto, Pierina Levi, Amalia Gold¬mann Besso, Amelia Ambron e Wanda Coen Biagini.
  Promossa dalla sovrintendenza capitolina e dall'assessorato alla Cultura, dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia e dal Museo Ebraico di Roma e curata da Federica Pirani, Marina Bakos e Olga Melasecchi, la mostra ha le sue premesse nella precedente edizione organizzata a Padova ("Ebraicità al femminile"). Ma valorizza, a fianco delle artiste più note, anche figure meno conosciute ma altrettanto importanti nella scena romana dell'epoca. Le opere selezionate, fra sculture, dipinti e ceramiche, permettono di apprezzare la qualità dei linguaggi artistici individuali e di evidenziare quel nesso inestricabile fra impegno artistico e identità ebraica, vita pubblica e vita privata, che contraddistingue la produzione di ognuna.
  Particolarmente interessanti alcuni inediti provenienti da collezioni private, raramente (o mai) esposti prima al pubblico. Fra questi, il ritratto di Amelia Almagià Ambron, allieva di Antonio Mancini, firmato dall'amico Giacomo Balla, esposto insieme al celebre "Ritratto del sindaco Nathan". Ma anche ceramiche di Olga e dipinti di Corinna Modigliani, cugine di Amedeo. O la stupenda scultura in palissandro "Missione segreta" di Antonietta Raphaèl, esposta nella sala monografica dedicata all'artista insieme a una ventina di opere, fra cui il bronzo "La lavandaia". Suggestiva anche la sala dedicata a Adriana Pincherle, sorella di Alberto Moravia, con opere provenienti proprio dalla romana Casa Museo Alberto Moravia e da collezioni private. Mentre una vera sorpresa è la selezione di opere di Paola Levi Montalcini, sorella di Rita, in cui si fondono caratteri ebraici e formule matematiche.
  Una galleria, insomma, di opere e figure sfaccettate e poco convenzionali, accomunate dalla curiosità e dall'amore per il viaggio (Amalia Goldmann Besso, ad esempio, partì per il Giappone per studiare l'arte della calligrafia e la pittura su stoffa), ma anche dall'impegno per la filantropia e l'emancipazione femminile. Un'avanguardia, quindi, non solo artistica, ma anche sociale. Alla mostra sarà associato un fitto programma di spettacoli, concerti e conferenze, che partirà il 18 giugno.

(la Repubblica - Roma, 8 giugno 2014)


Israele: nelle scuole verrà insegnata la teoria dell'evoluzione

di Paolo Centofanti

Dal prossimo anno scolastico 2014-2015, nella scuole israeliane verrà insegnata la teoria dell'evoluzione. Il ministro dell'educazione, colmando una riconosciuta lacuna nei programmi di insegnamento, ha infatti approvato il progetto che prevede che le teorie evolutive siano inserite nel programma didattico scientifico e nei testi scolastici delle scuole medie, e nelle scuole superiori diventino obbligatorie, mentre fino a ieri erano solo facoltative.
Gli studenti conosceranno quindi la teoria formulata da Charles Darwin e i successivi sviluppi moderni, temi che saranno parte integrante dei corsi di scienze naturali. La notizia è stata pubblicata il 1 giugno dal quotidiano Haaretz, e il giorno dopo dal sito ufficiale del National Center for Science Education - NCSE.
Un portavoce del ministero dell'educazione ha dichiarato: "finora l'evoluzione veniva insegnata nelle scuole superiori, e solo come una parte opzionale del curriculum di biologia. Conseguentemente, la maggior parte degli studenti si diplomavano senza aver conoscenza di tali teorie". Il referente ha anche spiegato come nel dicastero si fosse consapevoli "di non aver dato una appropriata espressione ad una teoria scientifica accettata in tutto il mondo, e che offre una spiegazione per gli sviluppi e i processi del nostro mondo. É impossibile - ha continuato - insegnare [la biologia] senza le basi scientifiche teoriche che spiegano tali sviluppi. ... Da oggi, saranno nel corso di studi e anche sui libri di testo."
Come sottolineato anche sul Times of Israel il professor Hagai Netzer, docente dell'Università di Tel Aviv e membro del comitato che ha definito questa innovazione didattica, c'è la consapevolezza che tali argomenti siano "particolarmente sensibili al'interno dello stato di Israele", e potenzialmente suscettibili di "critiche da parte dei cittadini e degli esponenti religiosi ortodossi o ultraortodossi", per cui a quanto pare "non si parlerà di evoluzione umana".
La nota del National Center for Science Education spiega infatti che da un sondaggio effettuato tra i cittadini israeliani nel 2006 è emerso che "solo una minoranza del 28% accetta la teoria scientifica dell'evoluzione, mentre la maggioranza, ovvero il 59%, pensa che l'uomo sia stato creato da Dio" direttamente, e non si sia quindi evoluto da altre specie più primitive. Riscontri differenti sono però emersi dall'International Social Survey Programme dell'anno 2000, che mostrava come il 54% degli israeliani, una percentuale superiore al 46% negli Stati Uniti, considerassero molto probabile, se non certo, che l'uomo si sia evoluto da altre specie.

(SRM - Science and Religion in Media, 8 giugno 2014)


Si crede che il racconto biblico della creazione del mondo sia una favola, ma si crede alla favola del mondo che si crea da solo e si evolve per conto proprio. Non si crede alla risurrezione di Gesù dai morti, ma si crede a innumerevoli reincarnazioni dell'anima dopo altrettante morti.
"Verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole." (2 Timoteo 4:3-4).
"Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà." (2 Pietro 1:16)


Torino - Mostra 6-8 giugno 2014. "Lo spazio tra l'arte e il design"

Il padiglione israeliano presenta un allestimento votato alla metafora politica e simbolica.

di Luca Molinari

 
TORINO - All'interno del padiglione israeliano, e dislocate in ambiti differenti, quattro macchine continuano a lavorare ossessivamente tracciando linee, punti, forme geometriche sulla sabbia fine del deserto. Il movimento è ipnotico, come mandala contemporanei destinati a essere cancellati nell'arco di un attimo, ma capaci di significare un processo inarrestabile.
Queste macchine ci raccontano della crescita sterminata dell'Uburb una nuova condizione a cavallo tra urbano e suburbano che ha prodotto negli ultimi decenni centinaia di migliaia di alloggi che hanno colonizzato le lande più periferiche e deserte del territorio israeliano.
Curata da Ori Shalom, Roy Brand e Keren Yeala-Golan, la mostra del padiglione israeliano mantiene, come nelle precedenti edizioni, una forte componente politica e simbolica tenendo alto il livello di riflessione critica su una delle aree geografiche in cui la relazione tra modernità e culture locali ha vissuto le esperienze più estreme e radicali.
Il catalogo integra intelligentemente un allestimento votato alla metafora politica e simbolica in cui il vuoto gioca un ruolo centrale.

(Abitare, 7 giugno 2014)


Peres partecipa alla preghiera in Vaticano con il via libera del governo

GERUSALEMME - Il governo israeliano di Benyamin Netanyahu ha dato luce verde alla partecipazione del presidente Shimon Peres alla preghiera in Vaticano
... che s’ha da fa’ pe’ campa’!
. L'esecutivo ha capito "l'importanza storica" di questo appuntamento, scrive il Jerusalem Post, secondo il quale fino a giovedì pomeriggio non era certo che Peres avrebbe ricevuto l'approvazione governativa ad una preghiera assieme al presidente palestinese Mahmoud Abbas dopo le obiezioni israeliane contro il nuovo governo palestinese di unità nazionale.
Peres aveva immediatamente accettato l'invito del Papa, esteso durante la visita del Pontefice a fine maggio in Terrasanta, ma aveva tuttavia bisogno dell'approvazione del governo. Per la preghiera di domani guiderà una delegazione interconfessionale di cui faranno parte il rabbino Rasson Arussi del Consiglio del rabbinato, il rabbino Daniel Sperber, il rabbino David Rosen, il leader spirituale dei drusi, sceicco Moafaq Tarif, e il presidente della comunità musulmana d'Israele, sceicco Mohammad Kiwan.
Il rabbino Rosen, direttore per le questioni interreligiose dell'American Jewish Committee di Gerusalemme, è ben conosciuto in Vaticano, dove si reca spesso. E' il primo cittadino israeliano e il primo rabbino ortodosso ad essere stato nominato Cavaliere dell'ordine pontificio, nel 2005, per il suo contributo al dialogo fra cattolici ed ebrei.

(Adnkronos, 7 giugno 2014)


Il senso di Dana per le molte identità

Sono quelle che una ragazza (padre ambo musulmano, madre italiana cattolica) incontra in un kibbutz. E che racconta in un selfie video.

di Stefano Jesurum

Dana Saady
La storia di Dana Saady è in realtà di una semplicità complicatissima. Una graziosa ragazza con la passione per la danza, nata in Israele da padre arabo-israeliano musuìmano e madre italiana cattolica, cresce in Veneto, doppio passaporto quindi, e decide di fare il servizio civile di un anno al klbbutz Sasa. È Il kìbbutz del progetto Beresheet LaShalom di Angelica Edna Calo Livne che per questo è stata candidata al Nobel per la pace e il cui strumento principale, il Rainbow theatre, dal 2001 vede recitare insieme, con grande libertà creativa, giovani ebrei e arabi, cristiani, drusi e cìrcassì, religiosi e laici. Dal kìbbulz al confine con il Libano la piccola danzatrice torna anche nei luoghi, nei sapori, negli odori dell'infanzia e negli affetti di papà. Alla fine Dana rientra a casa, e comincia a chiedersi "quale casa?". Insomma, fa ogni giorno i conti con una forte identità multipla, e questi conti cerca di spiegarii ai suoi coetanei, al mondo. Ma non è facile. Così racconta la propria storia in un selfie video, successivamente curato e montato a docufilm dal regista Gualtiero Pelrce. Il passo di Dana, prodotto dall'associazione Dialogue (evaruthpp@ libero.it) dovrebbe davvero girare nelle scuole di questa Italia in corsa verso il melting pot.
Oltre a tutto - per una volta - nel vissuto/narrazione di Dana la visione del conflitto israelo-palestinese è assente e, come dice Eva Ruth Palmierl, pilastro di Dialogue nonché consigliera dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, in quel vissuto/narrazione non trovano spazio le barriere che ci portiamo dentro quando si parla di Medio Oriente.

(Corriere della Sera, 6 giugno 2014)


Peres e Netanyahu si congratulano con al-Sisi per la vittoria alle elezioni

Il presidente israeliano, Shimon Peres, e il primo ministro, Benjamin Netanyahu, si sono congratulati con il neo eletto presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, per la vittoria alle elezioni che si sono tenute la scorsa settimana. Lo ha riferito una nota diffusa dallo staff che ha organizzato la campagna elettorale dell'ex capo delle forze armate. Secondo il comunicato, al-Sisi, nel corso del colloquio telefonico avuto con i vertici dello Stato ebraico, ha assicurato che "l'Egitto rispettera' i suoi impegni internazionali e il trattato di pace con Israele". Nel 1979 l'Egitto e' stato il primo Paese arabo a siglare un accordo di pace con Israele.

(Adnkronos, 7 giugno 2014)


Spunta una stella di David: la sinagoga di Savoca è certezza

Dopo anni di dubbi, incredibile scoperta nel rudere situato nel centro storico.

di Andrea Rifatto

  
Una stele lapidea con incisa una stella di David, simbolo universalmente riconosciuto del popolo ebraico. È l'incredibile reperto ritrovato a Savoca, nei ruderi di quella che da anni si ritiene sia stata una sinagoga ebrea ma sulla cui esistenza non si è però mai avuta l'assoluta certezza. La scoperta di questi giorni potrebbe però fugare i dubbi residui, confermando finalmente che quell'edificio dall'architettura insolita, sito accanto alla scalinata che conduce alla chiesa di San Michele, sia stato un luogo di culto dell'ebraismo prima della cacciata degli ebrei dalla Sicilia, sancita con l'editto emanato da Ferdinando d'Aragona nel 1492.
  A far riaccendere i riflettori sulla sinagoga di Savoca, di proprietà della famiglia Smiroldo di S. Teresa di Riva, è stata la curiosità di un abitante del borgo collinare, che trovandosi a passare dinanzi al rudere, ha notato pericolosi segni di cedimento di un muro, scorgendo che dal crollo di una parete interna era venuta fuori una pietra con scolpito un ben preciso disegno geometrico, identificato in seguito come la stella di David. Il reperto è stato immediatamente consegnato in custodia al Comune di Savoca, che pochi giorni fa ha informato del ritrovamento i proprietari della struttura, stabilendo di effettuare un sopralluogo lunedì prossimo, anche per verificare l'eventuale necessità di interventi di messa in sicurezza del sito.

- La scoperta del documento del 1470
  A parlare dell'esistenza di una sinagoga a Savoca fu per primo Santo Lombardo, responsabile del Museo storico etnoantropologico e studioso di storia locale, che circa 15 anni fa trovò un importante documento in latino, datato 20 agosto 1470 e firmato dal vicerè Lop Ximen Durrea, che ordinava che venisse fabbricata altrove la sinagoga esistente della terra di Savoca, individuata come "situata nel centro, e nel miglior luogo, vicino alla piazza nella quale si trova il palazzo della Curia […] e inoltre nelle vicinanze di detta mischita (sinagoga) vi sono molte case di cristiani, di quelli più osservanti della predetta terra, e altre chiese, nelle quali per mezzo di sacerdoti viene celebrata la divina liturgia e l'ufficio divino". Il viceré dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo poiché i giudei savocesi, nell'officiare i loro riti, intonavano inni a voce alta disturbando le attività dei cristiani. L'edificio venne così venduto ad un privato cittadino, tale Filippo Sturiale. Elementi che fecero ipotizzare che la struttura ormai in rovina esistente accanto alla chiesa di San Michele, nel centro storico savocese, fosse proprio il luogo di culto ebraico decritto nel documento del XV secolo. Da lì si avvio poi un percorso di studi e ricerche che portarono alla visita a Savoca del prof. Nicolò Bucaria, ricercatore all'Albright Institute of Archaeology di Gerusalemme e autore di testi e articoli sul patrimonio ebraico siciliano, e di padre Benedetto Rocco, docente di Sacra Scrittura e Patristica alla facoltà teologica "S.Giovanni Evangelista" di Palermo, studioso di lingue antiche tra cui l'ebraico, l'aramaico ed il fenicio. Da quel sopralluogo, a cui parteciparono anche la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina, l'Archeoclub Val d'Agrò, guidato allora da Santino Mastroeni, e l'Amministrazione comunale di Savoca, venne fuori come l'edificio presentasse degli elementi architettonici che potevano far pensare ad una sinagoga, in particolare la presenza di una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana e l'orientazione nel senso est-ovest, verso Gerusalamme. Ma gli studiosi che visitarono allora il sito non poterono dare la certezza che quelle mura avessero ospitato un luogo di preghiera ebraico: si decise allora di porre in essere degli interventi di pulizia del bene, che furono eseguiti dal Comune di Savoca in collaborazione con l'Archeoclub, per cercare nuovi elementi a supporto della tesi ipotizzata in partenza. Nel contempo la Soprintendenza di Messina dichiarò di essere disponibile a proporre l'apposizione del vincolo storico-artistico, chiedendo al Comune di Savoca di fornire gli identificativi catastali dell'immobile e i dati dei proprietari. Ma dal novembre 1997 non si ebbero più notizie da parte della Soprintendenza, e la sinagoga di Savoca tornò nel dimenticatoio.

- Un'occasione per valorizzare il bene
  L'edificio, il cui prospetto principale è caratterizzato da tre archi lapidei, si distingue per i blocchi in pietra angolare che collegano il prospetto prospiciente la strada con la parete ovest, dove si trova una pregevole finestra in pietra arenaria. All'interno del rudere esiste una profonda cisterna, che si estende per tutta l'area della struttura, come fosse un piano interrato. É interessante segnalare come la stele raffigurante la stella di David si sia staccata dal muro di spina, che va a chiudere dall'interno, con un andamento a coda di rondine, la porta centrale di accesso alla sinagoga, di dimensioni minori rispetto ai due ingressi posti ai lati: ingresso che conduce direttamente alla cisterna sotterranea e che probabilmente veniva utilizzato dalle donne ebraiche, che simboleggiavano l'impurità umana, per purificarsi con le abluzioni rituali prima di prendere parte agli atti liturgici.
Vedremo se questa scoperta farà da volano per far sì che la sinagoga di Savoca venga finalmente valorizzata sotto l'aspetto storico-culturale ma anche turistico, perché un bene di tale importanza non merita di rimanere sepolto tra l'indifferenza generale.

(SikilyNews, 7 giugno 2014)


Gerusalemme Est, per l'Australia non è più territorio "occupato"

È il primo Paese occidentale a compiere questo passo, suscitando le ire dei palestinesi. Il premier Abbott: «La definizione non giova al processo di pace».

di Maurizio Molinari

Tony Abbott
L'Australia è il primo Paese occidentale che cessa di definire "occupata" Gerusalemme Est compiendo un passo che suscita le ire del governo palestinese. Il premier di Canberra, Tony Abbott, ha deciso in particolare di rinunciare al termine "occupati" per far riferimento ai quartieri ebraici costruiti a Gerusalemme Est dall'indomani del giugno 1967, quando la città venne riunificata da Israele al termine della Guerra dei Sei Giorni. La tesi espressa dai portavoce del governo australiano è che la definizione di "occupati" «non giova in un momento in cui il processo di pace può ancora svolgersi».
   Il passo arriva al termine di un teso dibattito nel Parlamento di Canberra sul tema della legalità degli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est e in Cisgiordania che ha visto il ministro della Giustizia, George Brandis, affermare: «La descrizione di Gerusalemme Est come "occupata" ha implicazioni peggiorative che non sono né appropriate né utili» e dunque «il governo australiano non deve usare tale linguaggio per riferirsi ad aree oggetto di negoziato». Numerosi senatori dell'opposizione hanno contestato tale approccio ricordando che l'Australia ha approvato in passato risoluzioni dell'Onu in cui si definisce "occupata" Gerusalemme Est e che dunque cambiare posizione implica una "svolta massiccia" nella politica estera nazionale. Ma Brandis ha ribadito la tesi del governo, già emersa in coincidenza con la decisione del ministro degli Esteri, Julie Bishop, di autorizzare il proprio ambasciatore in Israele, Dave Sharma, ad incontrare il ministro israeliano dell'Edilizia, Uri Ariel, in un edificio governativo proprio a Gerusalemme Est. In quell'occasione proprio Bishop aveva fatto riferimento alla Cisgiordania come a territori "contesi" in considerazione delle perduranti trattative fra israeliani e palestinesi sul loro status finale, sottolineando che non avrebbe più definito "illegali" gli insediamenti ebraici.
   La svolta australiana sugli insediamenti è iniziata in settembre, dopo la vittoria della coalizione liberal-nazionale di Tony Abbott sul partito laburista di Kevin Rudd, portando in novembre a due astensioni su altrettante risoluzioni Onu che condannavano gli insediamenti. La reazione del governo dell'Autorità palestinese al nuovo approccio di Canberra è arrivata con una lettera di Saeb Erakat, capo negoziatore, a Bishop nella quale di attribuisce all'Australia una "possibile complicità con Israele nelle perduranti violazioni della legge internazionale compiute nei Territori" di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza che l'Assemblea Generale dell'Onu ha riconosciuto parte integrante del territorio dello Stato di Palestina. «Ci rivolgeremo alla Lega Araba ed all'Organizzazione della Conferenza Islamica - conclude Erakat - per chiedere che rivedano le loro relazioni con l'Australia alla luce delle decisioni prese dal vostro governo». Un portavoce del ministero degli Esteri di Canberra ha ribattuto affermando che "lo status di Gerusalemme Est deve essere risolto attraverso negoziati diretti fra le parti". Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha parlato da parte sua di "serio approccio" dell'Australia alla questione territoriale, sottolineando come Canberra «non intenda accattivarsi gli integralisti islamici che minacciano chiunque osi dire la verità sul conflitto israelo-palestinese». «Mi auguro che altre nazioni abbiamo il coraggio di seguire l'Australia» ha aggiunto Lieberman. Tanto gli Stati Uniti che i Paesi dell'Ue e la Nuova Zelanda ricorrono al termine "occupato" per definire Gerusalemme Est, considerando gli insediamenti israeliani in Cisgiordania "illegali".

(La Stampa, 7 giugno 2014)


Striscia di Gaza, "Cisgiordania" e Gerusalemme Est sono stati territori occupati da Egitto e Giordania negli anni 1948-1967, cosa che in quel periodo non scandalizzava nessuno, meno che mai gli stati arabi. Dal 1967 essi sono territori "liberati" da Israele e, se così si vuol dire, "contesi". Sono contesi, certamente, perché intorno a loro si litiga, ma per diritto essi appartengono a Israele. Qualcuno lo gridi, per favore. M.C.


Per 48 ore Napoli è provincia di Israele

di Natascia Festa

Succede qualche volta, per lo più per caso, che Napoli multietnica diventi ombelico di un colore più che di un altro. Questo weekend succede con Israele. Per pura coincidenza - ma sappiamo che le coincidenze possono non esistere - assistiamo a una forte compresenza di talenti artistici israeliani.
Da una parte la compagnia Vertigo Dance con i suoi strepitosi danzatori ad inaugurare, non senza polemiche filopalestinesi, il Napoli Teatro Festival a Pietrarsa, dall'altra il più importante cantautore ebreo, Sagi Rei, protagonista, domenica 8 giugno, del Nisida Live Festival.
Per 48 ore, per linguaggi d'arte, Napoli è in provincia di Israele.

(Corriere del Mezzogiorno, 6 giugno 2014)


Omosessualità in Israele

Il mondo trova in Israele tutti i difetti possibili e immaginabili ma, stranamente, c'è almeno una cosa in cui l'ammira: il suo atteggiamento verso l'omosessualità. Il mondo indica Tel Aviv come capitale d'Israele, invece di Gerusalemme, e considera Tel Aviv capitale dei gay: è una cosa che fa riflettere. Sono questi i "costumi delle nazioni" di cui Israele si vanta? Riportiamo un articolo comparso nel 2013 sulla rivista evangelica "Chiamata di Mezzanotte".

di Norbert Lleth

Nell'estate 2012 l'Ambasciata israeliana [in Germania] ha informato nel suo bollettino di quanto Israele sia fiero della sua tolleranza nei confronti degli omosessuali. Tel Aviv è stata definita la città più attraente per il turismo gay e riconosciuta come la più ospitale nei confronti degli omosessuali in tutto il Medio Oriente, Il bollettino d'informazione ha elencato alcune «pietre miliari» sul percorso che ha condotto alla situazione attuale:

1975: fondazione della prima organizzazione gay israeliana, la "Società per la protezione dei diritti personali", chiamata oggi "Società israeliana per gay, lesbiche, bisessuali e transgenden. In genere è conosciuta come "Ha-Aguda".
1993: la deputata alla Knesset Yael Dayan (Ha-Avoda) fonda la commissione parlamentare per i temi relativi a lesbiche, gay e bisessuali.
Gennaio 2007: al Ministero degli Interni a Gerusalemme viene registrato il matrimonio contratto all'estero della prima coppia gay, Avi und Binyamin Rose.
Marzo 2012: in una verdetto senza precedenti, il Tribunale familiare di Ramat Gan concede a due donne lesbiche di lasciarsi registrare come madri di un figlio comune.

È davvero un fatto di cui andare fieri? Nella Torà Dio ha vietato chiaramente le unioni omosessuali
Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole. Non ti accoppierai con nessuna bestia per contaminarti con essa; la donna non si prostituirà a una bestia: è una mostruosità. Non vi contaminate con nessuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; per questo io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti. Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni, e non commetterete nessuna di queste cose abominevoli: né colui che è nativo del paese, né lo straniero che abita in mezzo a voi. Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato. Badate che, se contaminate il paese, esso non vi vomiti come ha vomitato le nazioni che vi stavano prima di voi. Poiché tutti quelli che commetteranno qualcuna di queste cose abominevoli saranno tolti via dal mezzo del loro popolo. Osserverete dunque i miei ordini e non seguirete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati seguiti prima di voi, e non vi contaminerete con essi. Io sono l'Eterno vostro Dio. (Levitico 18:22-30)
.
In Romani 1:18 Paolo avverte del giudizio futuro che colpirà ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l'ingiustizia. Nei versetti successivi spiega come si arriverà all'ira apocalittica di Dio. Il triste culmine di questa spirale discendente è rappresentato dai rapporti omosessuali contro natura (Romani 1:26-27
Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l'uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente (Romani 1:26-27).
).
Nel tempo della fine, Israele svolgerà un ruolo importante (Zaccaria 12-15). Il libro dell'Apocalisse non lascia spazio a equivoci. Se Israele oggi si presenta in modo tanto tollerante e favorisce l'omosessualità (l'ultimo passo verso l'ira divina in Romani 1), è chiaro che il tempo della fine sta raggiungendo il suo culmine. Ciò è illustrato anche da una relazione della ICE] (International Christian Embassy Jerusalem), pubblicata l'anno scorso in settembre:
    «La settimana scorsa, lo Yad Hashmonah, un moshav ebreo-messianico nelle vicinanze di Gerusalemme, ha perso una causa contro una coppia di lesbiche ed è stato condannato a pagare 60.000 Sheqel (quasi 12.000 Euro) di risarcimento più le spese giudiziarie. Le due donne Tal ]a'akovovich e ]ael Biran avevano contratto matrimonio civile in Gran Bretagna nel 2008 e riservato la sala del centro Yad Hashmonah per festeggiare le nozze, senza informare l'amministrazione che si trattava di un evento di omosessuali. Ouando i responsabili ne sono venuti a conoscenza, hanno disdetto la prenotazione.
    Il giudice ha spiegato che il verdetto "insegnerà all'opinione pubblica il valore dell'uguaglianza e della tolleranza". Dopo l'emissione del verdetto, lo Yad Hashmonah ha ricevuto numerose richieste di coppie omosessuali che volevano prenotare la sala del moshav per un evento.»
(Chiamata di Mezzanotte, marzo/aprile 2013)


Etichettare sbrigativamente come “omofobia” ogni rifiuto di riconoscere i rapporti omosessuali non solo come fatto privato di cui gli interessati coinvolti portano la personale responsabilità, ma come istituto giuridico che la società organizzata è tenuta a riconoscere e a dare ad esso piena dignità civile, manifesta da una parte insicurezza e dall’altra inaccettabile aggressività. M.C.


Haniyeh: un esercito per Gerusalemme in ogni paese islamico

"Un esercito per Gerusalemme in tutti i paesi arabi e islamici", finalizzato a "liberare" la citta' e "l'intera Palestina". E' l'appello rivolto da Ismail Haniyeh, ex premier di Hamas a Gaza, nonche' numero due dell'ufficio politico della fazione palestinese. "La Brigata al-Qassam (braccio armato di Hamas, ndr) e' parte di questo esercito", ha aggiunto Haniyeh, in un discorso pronunciato a Gaza, nel quale ha rimarcato "l'importanza di una posizione arabo-islamica rispetto alla questione di Gerusalemme".
Commentando la nascita del governo di unita' nazionale concordato con la fazione rivale Fatah, Haniyeh ha preciato che Hamas, che ha sciolto il suo esecutivo proprio per permettere l'insediamento del nuovo governo, "non si e' dimesso anche dalla Palestina e della sua responsabilita' nazionale". "Si e' aperta - ha concluso - una fase che richiede pazienza, collaborazione e volonta' di erigere ponti di fiducia tra palestinesi".

(Adnkronos, 6 giugno 2014)


Reshimo della Vertigo Dance Company in scena per il Napoli Teatro Festival

Nella suggestiva Arena di Pietrarsa la Vertigo Dance Company indaga la dicotomia tra finito ed infinito attraverso i passi di otto danzatori.

di Valentina D'Andrea

Se fino ad un paio di anni fa le esibizioni della Vertigo Dance Company rappresentavano la sperimentazione nella nostra città che riusciva a trovare spazio all'interno del Napoli Teatro Festival, si può dire che ad oggi gli spettacoli della compagnia di danza israeliana guidata dalla coreografa Noa Wertheim sono diventati un appuntamento fisso nella kermesse teatrale partenopea. Tanto da avere il privilegio, in questa settima edizione, di inaugurare il festival, di registrare il tutto esaurito per due serate, e di consentire ad un ormai appassionato pubblico di assistere alle prove generali di Reshimo, la loro nuova coreografia.
Ieri sera, dalle ore 22:30, l'Arena costruita sotto le stelle, nella suggestiva location del Museo Ferroviario di Pietrarsa, si è riempita per dare il benvenuto ai danzatori della Vertigo Dance Company, che hanno scelto Napoli ed il suo festival dal respiro internazionale per presentare la prima mondiale di Reshimo.
Otto danzatori, quattro donne e quattro uomini, creano in scena con i movimenti dei loro corpi spazi senza schemi e campi magnetici in grado di sprigionare forza, passione, sensualità, energia, precisione, fluidità, nel tentativo di esplorare il limite tra finito ed infinito. I loro gesti evocano la danza tribale e sono ispirati alla Cabala, attraverso un linguaggio misterioso fatto di codici fisici e corporei che comunicano con gli spettatori grazie all'espressività di gesti iterativi che si ripetono nel tempo e nello spazio alternando sincronia ed asincronia. In un processo rituale dal sapore ancestrale ma sempre attuale, in grado di comporre l'essenza della scena tra plasticità e suggestione visiva che lasciano lo spettatore incantato, trasportandolo in un magico viaggio dentro sé stesso grazie al potere della danza.
Davanti agli occhi del pubblico prende vita un collage di situazioni soltanto evocate, una serie di momenti che trasmettono ora pathos, ora spensieratezza, ora preoccupazione, ora gioia, in un alternarsi di emozioni che non hanno bisogno di parole o descrizioni, ma soltanto del linguaggio primitivo del gesto, dello sguardo e del movimento nello spazio dei corpi.
Come sempre, a dar forma e vita alla performance che ha luogo in scena, le note delle composizioni di Ran Bagno, storico musicista della Vertigo Dance Company, che non rappresentano un mero sottofondo sonoro, ma che scrivono la scena e ne dettano l'essenza e l'espressività.
Ma la magia di Reshimo non è stata trasmessa esclusivamente dalla coreografia della Vertigo e dai gesti evocativi dei suoi danzatori. A coinvolgere ed emozionare il pubblico è stata anche l'incredibile e sorprendente "cornice" scelta ad hoc dalla compagnia e dal Napoli Teatro Festival per accogliere lo spettacolo. Un'arena realizzata nell'area più suggestiva del Museo di Pietrarsa, l'antica stazione ferroviaria. Quella che consente di ammirare, per tutta la durata della performance, lo "sfondo" del golfo di Napoli quasi come se fosse una cartolina vivente, in una splendida serata che preannuncia l'estate.
Appena si sono spente le luci per dare inizio alla performance, prima dell'ingresso dei danzatori, su di un palcoscenico vuoto che lasciava ammirare la costa che si distende sul mare da San Giovanni a Teduccio a Posillipo, la sensazione è stata proprio questa. Il Golfo di Napoli, e l'intera città, sono il vero spettacolo del Napoli Teatro Festival.
Reshimo è ancora in scena stasera e domani (6 e 7 giugno).

(Napolike, 6 giugno 2014)


La ribellione di Israele

Israele si ribella alla cecità della Comunità Internazionale che con l'appoggio al nuovo Governo di Unità palestinese ha deciso di schierarsi con chiarezza dalla parte del terrorismo invece che da quella della democrazia. Lo fa con almeno tre mosse destinate, come sempre, a far discutere...

(Right Reporters, 7 giugno 2014)


Ultimissime dal Vaticano

Riportiamo queste informazioni per dovere di cronaca, ma è chiaro che consideriamo questi fatti totalmente negativi sotto tutti i punti di vista, religiosi e politici. NsI

  
  
  
  
09:48 - ABU MAZEN E PERES IN VATICANO: PRESENTE RICCARDO PACIFICI, COMUNITÀ EBRAICA ROMA
La Comunità ebraica di Roma è stata invitata a partecipare all'Invocazione per la pace, l'incontro di preghiera, che si terrà domenica 8 giugno in Vaticano alla presenza del presidente israeliano Shimon Peres e di quello palestinese Abu Mazen. Lo fa sapere questa mattina al Sir il portavoce della comunità di Roma. La comunità ebraica della capitale è stata invitata dal Papa a partecipare alla preghiera attraverso i suoi due massimi rappresentanti il rabbino capo Riccardo di Segni e il presidente Riccardo Pacifici. Per impegni precedentemente presi da parte del rabbino Di Segni, potrà partecipare il presidente Pacifici. Il Papa dunque invita all'incontro di preghiera per la pace "la comunità ebraica vicina di casa". Una comunità con la quale Papa Francesco è entrato immediatamente in contatto: subito dopo la sua elezione a "vescovo di Roma", il Pontefice inviò un messaggio al rabbino di Segni il quale partecipò anche alla Messa d'inizio pontificato. Seguirono altri incontri e altri messaggi. L'ultimo risale ad aprile scorso quando il Papa inviò al rabbino un telegramma di augurio in occasione di Pesach, la Pasqua ebraica. "Volgendo il pensiero a Gerusalemme, che avrò la gioia di visitare prossimamente - scriveva Francesco -, chiedo di accompagnarmi con preghiere, mentre assicuro il mio ricordo, invocando dall'altissimo copiose benedizioni".

10:16 - ABU MAZEN E PERES IN VATICANO: PRESENTE ANCHE RENZO GATTEGNA DELL'UCEI
Si allarga la presenza degli ebrei italiani all'Invocazione alla pace che il Papa ha promosso domenica 8 giugno in Vaticano. A fianco del presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, ci sarà anche Renzo Gattegna come presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei). A confermarlo al Sir è l'Ucei. In un lungo editoriale che appare sul numero di "Pagine ebraiche" in uscita questo mese, dal titolo "Dialogo, un valore nonostante i problemi", Renzo Gattegna si sofferma ad analizzare il recente viaggio di Papa Bergoglio in Terra Santa. "Il suo gesto - scrive - di pregare ai piedi della barriera di difesa che protegge alcuni tratti di confine con i Territori dell'Autorità palestinese, che si è dimostrata indispensabile per prevenire molte sanguinose incursioni terroristiche, non potrà essere compreso fino a quando la natura dello Stato ebraico non avrà ottenuto un pieno riconoscimento da parte dei popoli vicini e non cesseranno quelle minacce che gravano sulla popolazione civile e che hanno reso tale barriera necessaria". Ma subito dopo Gattegna aggiunge: "Tuttavia sarebbe un grave errore non vedere come negli ultimi 50 anni i progressi nelle relazioni ebraico-cristiane siano stati enormi". Dal Pontificato di Giovanni XXIII al "percorso proseguito da Giovanni Paolo II fino alle visite di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia e a quella di Roma".
"A conclusione della recente missione in Israele di Papa Bergoglio - osserva Gattegna - ritengo che il percorso di avvicinamento, di dialogo costruttivo, di comprensione reciproca tra ebrei e cattolici, possa proseguire nel tempo e penso che sia nostro dovere non minimizzare, ma valorizzare tutto ciò che accade e accadrà, purché sia sempre improntato alla pari dignità e al reciproco rispetto. Non dobbiamo permettere che la svolta epocale ed eccezionale, se paragonata alle problematiche relazioni e ai conflitti dei secoli precedenti, iniziata 50 anni fa, perda il suo carattere e il suo valore. Pur nella consapevolezza che il percorso da compiere è ancora lungo e complesso, vorrei ricordare che Papa Bergoglio ha già pronunciato e scritto parole molto chiare per esprimere le sue intenzioni e i suoi sentimenti verso gli ebrei".

(SIR - Servizio Informazione Religiosa, 6 giugno 2014)


Gerusalemme scelta come capitale del turismo islamico per il 2016

Da un sito pro Hamas che se deve indicare Israele il più delle volte dice “L’occupazione”. NsI

RAMALLAH-MA'AN - Funzionari del governo palestinese hanno comunicato giovedì 5 giugno che l'Organizzazione di Cooperazione Islamica ha scelto Gerusalemme come capitale del turismo islamico per il 2016.
Mahmoud Habash, ministro dell'Autorità Palestinese per gli Affari Religiosi, ha affermato che la decisione costituisce un passo avanti verso la rottura dell'assedio di Israele ai luoghi della città sacri per l'Islam e la Cristianità.
"Il fatto che Israele cerchi di nascondere l'identità araba e islamica della città e costruisca insediamenti - ha aggiunto - non cambierà il fatto che Gerusalemme costituisce la capitale religiosa e politica della Palestina".
Habbash ha affermato di confidare nella visita delegati arabi e islamici a Gerusalemme e ai suoi luoghi sacri.
Il primo OIC - Forum Internazionale sul Turismo Islamico si è tenuto in Indonesia, quest'anno.
Gerusalemme Est è stata occupata nel 1967 dalle forze militari israeliane e successivamente annessa con modalità mai riconosciute dalla comunità interazionale.

(Infopal, 6 giugno 2014 - trad. Luca Fortunato)


La Parola è stata fatta carne ed ha abitato in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, piena di grazia e di verità. Giovanni gli ha reso testimonianza, esclamando: «Era di lui che io dicevo: "Colui che viene dopo di me mi ha preceduto, perché era prima di me. Infatti, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia"».
Dal Vangelo di Giovanni, cap. 1







 

Scienza e fede: matematica e religione tra ebraismo e cristianesimo

Si è parlato del rapporto tra matematica e fede nella religione cristiana e in quella ebraica in un incontro organizzato nella città di Venezia giovedì 5 giugno 2014 da Studium Cattolico Veneziano, dal titolo Codici trascendentali. Matematica e religione tra ebraismo e cristianesimo.
Presentato da Daniele Spero e introdotto da Francesco Berengo, l'evento si è svolto nell'Antica Scuola dei Laneri; due le relazioni programmate: il semiologo e studioso di iconografia ebraica Tobia Ravà è intervenuto su Elementi di calcolo trascendentale nel pensiero mistico ebraico; Aldo Natale Terrin, Professore di Fenomenologia e scienze della religione al Pontificio Istituto di Liturgia Pastorale Santa Giustina di Padova, ha invece parlato di La matematica tra religione, filosofia e scienza.

(SRM - Science and Religion in Media, 6 giugno 2014)


Sito Usa: negli ultimi sei mesi la Casa Bianca ha trattato con Hamas

ROMA - Negli ultimi sei mesi Washington ha avuto colloqui segreti con l'organizzazione palestinese di Hamas. E' quanto scrive oggi il sito americano BuzzFeed, citando fonti diplomatiche. L'amministrazione Usa ha subito smentito la notizia.
Stando alla ricostrizione fatta dal sito, gli incontri tra i mediatori americani e la leadership di Hamas si sono tenuti fuori dalla Striscia di Gaza - in Egitto, Qatar e Giordania - e si sono concentrati sull'accordo di cessate il fuoco con Israele e sulla formazione di un governo di unità palestinese. Secondo BuzzFeed, Hamas avrebbe offerto garanzie tali da ottenere il sostegno americano all'accordo raggiunto con Fatah per dare vita a un governo di unità, annunciato alla fine di aprile. Secondo le fonti diplomatiche, una palestinese e una americana, tra le assicurazioni offerte figurava anche l'impegno a mantenere de-facto il cessate il fuoco con Israele.
"La nostra amministrazione aveva bisogno di sapere da loro che questo governo di unità punterà a elezioni democratiche e a una soluzione pacifica nell'intera regione - ha detto la fonte Usa - è stato importante avere quella linea di comunicazione".

(TMNews, 5 giugno 2014)


"Hebraica Parmensia. Da molti luoghi e tempi: frammenti di memoria ritrovata"

Convegno internazionale a Parma in memoria di Giuseppe Baruch Sermoneta e inaugurazione di una mostra di frammenti di antichi manoscritti ebraici.



Programma della giornata

(Notizie su Israele, giugno 2014)


Morsi: ho sbagliato ma non sono un traditore

IL CAIRO - Mentre il suo successore Abdel Fatah al-Sisi ancora e' impegnato a celebrare la recentissima vittoria elettorale, il deposto presidente egiziano Mohammed Morsi avrebbe ammesso di 'aver sbagliato' durante il proprio controverso mandato, interrotto il 3 luglio dell'anno scorso dal colpo di stato militare guidato proprio dal generale Sisi, affermando pero' di 'non essere un traditore'. In un messaggio diffuso su Facebook, Morsi chiede a coloro che definisce i 'rivoluzionari' di 'non dividersi', e di 'proseguire con la Rivoluzione pacifica'.

(la Repubblica, 5 giugno 2014)


Fresu dice sì al concerto in Israele

 
Paolo Fresu
Paolo Fresu non cancella il concerto in Israele, ma per eventuali inviti futuri avverte che dipenderà dall'impegno di Israele "a riconoscere lo Stato Palestinese e a rispettare e garantire i suoi diritti". Le polemiche dei giorni scorsi, alimentate dagli appelli che lo invitavano da una parte a dare forfait e dall'altra a ignorare l'invito a disertare l'appuntamento, non hanno condizionato la scelta del musicista. Il 13 giugno il jazzista di Berchidda salirà sul palcoscenico dell'Israel festival di Gerusalemme. "Andrò in Israele (non a Tel Aviv o Haifa, ma a Gerusalemme) il 13 giugno a portare la mia musica come ho fatto in passato per i palestinesi - conferma il jazzista di Berchidda in una nota postata su Facebook -.
Fresu al telefono con l'Ansa si dice dispiaciuto da tutto il rumore provocato da una lettera che gli era stata inviata dall'Associazione Sardegna Palestina, dove veniva invitato a non suonare in un paese che secondo gli autori della missiva pratica l'apartheid, e a non condonare le ripetute violazioni dei diritti umani contro il popolo palestinese.
Ad aggiungersi alle centinaia di post e mail è arrivata una lettera del presidente dell'Associazione di amicizia Sardegna Israele, Mario Carboni, che lo sollecita a non prestare ascolto a quanti lo invitavano a disdire il concerto e "a recarsi in Israele, unico stato democratico nel Vicino Oriente come messaggero di cultura e di pace resistendo ad argomentazioni false, propagandistiche e antisemite travestite da antisionismo". Lettera a cui Fresu ha risposto: "Ho deciso di andare comunque a Gerusalemme. E non senza una attenta e profonda riflessione sui temi che ci stanno a cuore".

(Fonte: L'Unione Sarda, 5 giugno 2014)


Rolling Stones in Israele, il boicottaggio non funziona per il rock

La campagna di boicottaggio d'Israele non sembra funzionare per il rock e il pop. Ieri sera i Rolling Stones si sono esibiti a Tel Aviv, ignorando i pubblici appelli di Roger Waters e Nick Mason dei Pink Floyd a cancellare il loro primo concerto della storia in Israele per solidarietà con i palestinesi. E hanno anche accettato di ritardare di 45 minuti l'avvio del concerto per aspettare gli ebrei più religiosi che non potevano spostarsi fino alla fine delle festività di Shavuot. L'atteso concerto degli Stones evidenzia come il mondo della musica rock e pop abbia finora in gran parte ignorato, senza risentirne in termini di popolarità, la campagna Bds (boicotta, disinvesti e sanziona). Iniziata nel 2005 la campagna ha ottenuto visibilità in diversi campus universitari americani ed europei, e ha ricentemente spinto il fondo pensioni olandese PGGM a disinvestire da cinque banche israeliane attive in Cisgiordania. Si è anche molto parlato della decisione della ong Oxfam di rompere con una delle sue ambasciatrici, l'attrice Scarlett Johansson, a causa del suo spot per Soda Stream, un prodotto israeliano realizzato in Cigiordania. La campagna non ha invece attecchito per quanto riguarda i grandi concerti, senza che questo abbia mobilitato in senso negativo i fan sui social network. Il mese scorso è stato Justin Timberlake a suonare a Tel Aviv, mentre ad ottobre era stato il turno di Rihanna, che si è anche fatta fotografare in bikini sul Mar Morto. Interessata al misticismo della Cabala, Madonna è venuta varie volte in israele e nel 2012 ha cantato a Tel Aviv avvolta nella bandiera dello stato ebraico. Alicia Keys degli R&B ha ignorato nel luglio dell'anno scorso l'appello della scrittrice Alice Walker a cancellare il concerto in Israele. Mentre The Pixies, la band che nel 2010 annullò un concerto in Israele per l'incidente con la nave turca Mavi Marmara, tornerà questa estate a suonare nello stato ebraico. Nel 2012 hanno tenuto concerti in Israele artisti del calibro di Bob Dylan, Jethro Tull e i Red Hot Chili Pepper, mentre Leonard Cohen vi ha suonato nel 2009.

(Online News, 5 giugno 2014)


Tel Aviv - In quarantamila per il concerto dei Rolling Stones

Almeno quarantamila fan hanno assistito ieri sera al trionfale concerto dei Rolling Stones a Tel Aviv. Dopo lo stop dovuto alla morte della compagna di Mick Jagger, gli Stones hanno ripreso il tour mondiale che il 22 giugno li porterà in Italia, al Circo Massimo di Roma.
Video

(la Repubblica, 5 giugno 2014)


Nasce il Giardino dei Giusti di tutto il mondo a Varsavia

Il primo in Polonia, in collaborazione con Gariwo in occasione della Giornata europea dei Giusti del 6 marzo

du Silvia Costantini

Gabriele Nissim
Il 5 giugno viene inaugurato a Varsavia il primo Giardino dei Giusti della Polonia, dove vengono piantati alberi per onorare gli uomini e le donne che hanno aiutato le vittime delle persecuzioni o difeso i diritti umani ovunque fossero calpestati, rischiando frequentemente la vita.
Il giardino, situato nel quartiere di Wola, vicino al luogo in cui sorgeva il Ghetto, nasce dalla collaborazione tra l'associazione Gariwo e il Comitato per il Giardino dei Giusti di Varsavia, costituito su impulso del compianto Tadeusz Mazowiecki - già Primo Ministro polacco e tra i fondatori di Solidarnosc - durante le celebrazioni della prima Giornata europea dei Giusti, il 6 marzo 2013.
Questa Giornata è stata istituita, su proposta di Gariwo, grazie alla sinergia tra gli europarlamentari italiani e polacchi che hanno coinvolto l'intero Parlamento europeo.
Come ha spiegato ad Aleteia Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, "questo giardino vuole essere un monito all'Europa affinché combatta ogni forma di razzismo, ogni ideologia totalitaria. Nel giardino di Varsavia saranno onorati prima di tutto coloro che si sono impegnati per salvare gli ebrei durante la Shoah, nel Paese in cui sono stati costruiti i campi e sterminata l'intera comunità ebraica. E accanto a loro saranno ricordati tutti quelli che lottano contro i totalitarismi e per la prevenzione dei genocidi".
Durante la cerimonia saranno piantati gli alberi con i cippi dedicati a: Marek Edelman, vicecomandante dell'insurrezione nel Ghetto di Varsavia, che ha dedicato la vita all'impegno civile in favore dei più deboli e in difesa della libertà; Jan Karski, emissario dello Stato clandestino polacco che ha tentato invano di far conoscere al mondo lo sterminio degli ebrei; Magdalena Grodzka-Guzkowska, soldato dell'esercito clandestino polacco che ha salvato molti ebrei del Ghetto; Tadeusz Mazowiecki, politico che per protesta contro la passività del mondo ha rimesso il suo incarico ONU in Bosnia-Erzegovina; Antonia Locatelli, missionaria italiana che ha perso la vita per denunciare il genocidio dei Tutsi in Rwanda; Anna Politkovskaja, giornalista russa uccisa per le sue inchieste sugli orrori della guerra in Cecenia.
La cerimonia, che verrà aperta dai saluti di Zbigniew Gluza, presidente del Comitato per il Giardino dei Giusti di Varsavia, Hanna Gronkiewicz- Waltz, sindaco di Varsavia e Gabriele Nissim si svolgerà alla presenza dei familiari dei Giusti onorati, dei rappresentanti delle istituzioni e di numerose associazioni internazionali - International Raoul Wallenberg Foundation, l'associazione AnnaViva e Gariwo-Repubblica Ceca tra le altre.
"Piantare un albero per questi uomini significa dire un grazie e assumersi un impegno personale per non dimenticarli e farli conoscere alle prossime generazioni come esempio di vita", spiega Nissim.
"Il segno morale che hanno lasciato nella loro esistenza, quando in solitudine si sono comportati come Antigone e hanno sfidato le leggi ingiuste degli uomini, non si esaurisce nel loro tempo, ma può essere raccolto in una staffetta infinita, a cui tutti noi possiamo partecipare - aggiunge -. Essi, infatti, continuano a vivere, quando in circostanze diverse, di fronte alle nuove sfide della vita, i contemporanei replicano in modo sempre nuovo e inaspettato i loro insegnamenti".
"La gratitudine nei loro confronti si manifesta in modo completo quando gli uomini delle generazioni successive sono capaci di emulare le loro azioni - sottolinea il presidente di Gariwo -. Ogni uomo ha, infatti, la possibilità di piantare un albero per ricordarli non solo nel giardino della sua città, ma attraverso i suoi comportamenti nel corso della vita. L'albero più resistente è infatti quello che vive nelle idee e nelle azioni di altri uomini".
"Ogni essere umano può quindi innaffiare l'albero di un uomo giusto, quando riempie la sua vita con atti di generosità, con il piacere di dire la verità, con la forza del perdono, con il gusto di fare del bene agli altri e ai più sofferenti".
Secondo Nissim, "il segreto dell'uomo giusto è per certi versi molto semplice: è la gioia di sentirsi uomo e di sentire che la sua sovranità si esplica non nel chiuso del proprio ego, o nell'ambito di una sola nazione, ma quando si sente parte di tutta l'umanità".
"Un giudice italiano, Giovanni Falcone, che pagò con la vita la sua battaglia contro la mafia, spiegava così il senso della staffetta morale che si trasmette di generazione in generazione: 'Gli uomini passano e le idee restano, restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini'. Con queste parole, che pronunciò pochi giorni prima del suo assassinio, egli voleva spiegare che se non fosse riuscito nel suo intento, altri avrebbero raccolto il suo testimone. Il suo impegno contro il male avrebbe lasciato delle tracce nella vita di altri uomini".

(aleteia, 5 giugno 2014)


Francia, "allarme jihadismo".

Ecco le «quattro verità» sull'islam «introvabili a causa del terrorismo intellettuale».

Mehdi Nemmouche, 29 anni, musulmano francese fermato a Marsiglia venerdì e sospettato di essere l'attentatore che ha sparato al museo ebraico di Bruxelles lo scorso 24 maggio, uccidendo quattro persone, ha fatto scoppiare a Parigi "l'allarme jihadismo". Si ritiene, infatti, che nel 2013 Mehdi sia andato a combattere in Siria e sia tornato per ripetere in Europa le stesse azioni.
  
«Noi li combatteremo, noi li combatteremo, noi li combatteremo», ha tuonato il presidente francese François Hollande, ma per «combatterli davvero e fino alla fine, bisogna osare dire alla società francese queste quattro verità».

«PRIMA VERITÀ» - Scrive così sul Figaro Gilles-William Goldnadel, segretario nazionale del partito di centrodestra Ump con l'incarico di seguire la comunicazione e presidente dell'associazione Francia-Israele. «La prima verità - scrive - è che questa società democratica ha il dovere di difendersi. Anche con mezzi eccezionali quando viene attaccata in modo eccezionale. Gli individui trasformati in jihadisti devono essere rintracciati nella comunità nazionale».

«JIHADISMO VERSIONE DELL'ISLAMISMO» - La seconda verità è che «il jihadismo non è che una versione dell'islamismo. Non esiste islamismo senza jihad o sharia. L'islamismo ha dichiarato una guerra di conquista e di civilizzazione al mondo occidentale giudeo-cristiano. Non sono concesse accondiscendenze con alcun tipo di islamismo: né il wahabismo degli emiri, né il preteso islamismo moderato della Turchia o dell'Iran, né quello dei Fratelli Musulmani in Egitto, nel Maghreb o in Palestina (Hamas)».

COME COMBATTERE IL TERRORISMO - Questa seconda «verità» ha implicazioni ancora più politicamente scorrette: «Di conseguenza, ripetere tre volte o mille volte che si combatte il terrorismo islamista e continuare a tollerare allo stesso tempo che certe televisioni come Al Jazeera diffondano le preghiere antiebraiche o anticristiane condotte da predicatori di odio, significa mentire tre volte o mille volte».

«TERZA VERITÀ» - La terza «verità» è che «fino ad oggi, per debolezza, la comunità musulmana organizzata si è dimostrata troppo silenziosa. Solo una grande e vera manifestazione di massa metterebbe a tacere l'ambiguità che incoraggia gli estremisti», cioè quella di «una minoranza non trascurabile della comunità musulmana» che è d'accordo con i jihadisti.

«POLIZIA INTELLETTUALE» - Infine, «quarta verità», «la pressione dei clandestini alle frontiere non è mai stata così forte. Chi ha l'ingenuità di pensare che tra loro non si ci siano i futuri jihadisti?». Queste considerazioni, conclude Goldnadel, fanno parte «del dibattito più ingrato e difficile da affrontare [che ci sia]. Solo a evocarlo, si rischia di essere demonizzati dalla polizia intellettuale». Ma queste «quattro verità, dure da scrivere, dure da leggere, introvabili a causa del terrorismo intellettuale, sono dure tanto quanto i tempi del terrore che ci attendono».

(Tempi, 4 giugno 2014)


Micha Bar-Am, le fotografie di un testimone del Medio Oriente

di Maurizio G. De Bonis

Micha Bar-Am
ROMA - Ha documentato tutti i conflitti arabo-israeliani; ha effettuato un lungo e dettagliato affresco della società israeliana praticamente dalla fondazione dello Stato fino ai giorni nostri; ha fotografato il processo Eichmann; è stato corrispondente del New York Times per il Medio Oriente dal 1968 al 1992; è stato tra i fondatori, nel 1974, dell'International Center of Photography di New York.
   Sto parlando di Micha Bar-Am, autore di assoluta importanza nel campo del fotogiornalismo internazionale, fotografo che con il proprio incessante lavoro ha fermato, nella forza dei suoi scatti, eventi che hanno contraddistinto la storia del Novecento e di questa prima parte di terzo millennio.
   Oggi Micha Bar-Am ha ottantaquattro anni. È in piena attività ed ha ancora lo sguardo attento e determinato di chi ha dovuto guardare il mondo nelle condizioni più difficili, complesse, senza mai dover perdere la lucidità necessaria per portare avanti il suo arduo e fondamentale lavoro.
   Bar-Am è membro dell'Agenzia Magnum dal 1968, quando Cornell Capa lo introdusse nella celebre organizzazione, ma la sua attività si è sviluppata anche in ambito curatoriale come dimostra la sua lunga esperienza come Direttore del Dipartimento di Fotografia del Tel Aviv Musem of Art.
   La sua arte e la sua capacità di inquadrare la realtà sono riscontrabili nelle importanti pubblicazioni editoriali che hanno contraddistinto la sua lunghissima carriera. Tre queste voglio segnalarvi: Israel - A Photobiografphy (Simon & Schuster, 1998), grande e articolato affresco di Israele realizzato attraverso immagini che mostrano l'evoluzione di un Paese, la sua storia e ciò che altri fotogiornalisti e autori di reportage non sono mai riusciti a fermare nei loro scatti, The Last War (Keter Publishing House, 1996), volume che racchiude in decine di immagini un arco di tempo che va dal 1950 al 1995 e che mostra fatti storici, passaggi bellici e situazioni sociali molto diverse tra loro, e Insight - Micha Bar-Am's Israel (Koenig Books Ltd., 2011), libro pubblicato in occasione dell'imponente retrospettiva che gli è stata dedicata al Freundeskreis Willy-Brandt-Haus di Berlino.
   Micha Bar-Am, che lasciò la Germania nazista all'età dei sei anni (nel 1936) per approdare nell'allora Palestina (all'epoca del Mandato Britannico, prima della nascita dello Stato di Israele avvenuta nel 1948), è custode di un patrimonio storico di immagini (e di esperienze sul campo), realizzate in un territorio frequentato da decenni da fotogiornalisti, reporter e video operatori che però, per ovvi motivi non hanno potuto conoscere la situazione di quell'area del pianeta così come l'ha conosciuta e vissuta (da dentro) Bar-Am.
   Le sue opere sono contraddistinte da una chiarezza di composizione e da una limpidezza creativa molto evidenti. Ma il suo sguardo non ha raffigurato solo la "scena della guerra" o la società israeliana. L'approccio di Bar-Am è ancora più complesso e vasto. L'autore israeliano ha, infatti, lavorato anche sul territorio, sugli ambienti e sui luoghi, anche attraverso visioni paesaggistiche che risultano ancora oggi caratterizzate da un potente (e in qualche caso enigmatico) respiro espressivo. La sua ricerca creativa si è spinta anche nel privato, nella rappresentazione della vita familiare, di un mondo nascosto che però si manifesta come lo spazio esistenziale dal quale riesce a trarre l'energia per portare avanti il suo lavoro.
   Nella fotografia di Micha Bar-Am sono però contenute anche molte domande, molti aspetti legati a fattori filosofici, comunicativi e teorici che hanno rappresentato nel corso della sua carriera dei punti di costanti riflessioni.
   Un'occasione per cogliere dalla sua viva voce la sostanza del suo lavoro sarà quella del 12 giugno 2014, giorno in cui Micha Bar-Am sarà ospite, in occasione di un incontro con fotografi e appassionati, a Roma nell'ambito delle Giornate di Studio sull'Immagine Documentaria, organizzate da Officine Fotografiche Roma e curate da Punto di Svista, nell'ambito del Festival Fotoleggendo.

(L'Huffington Post, 4 giugno 2014)


L'Europa del populismo fa rima con l'antisemitismo

La crescita dei movimenti estremisti è la conseguenza di anni di politiche irresponsabili.

di Giorgio Israel

  
Giorgio Israel
Cresce in Europa un'ondata di movimenti di vario orientamento - che si tende a identificare tutti con l'etichetta di "populismo" - che hanno, tra le varie caratteristiche, quella di alimentare un crescente sentimento antisemita. Molti di questi sono di estrema destra. In Ungheria il partito Jobbik, che si proclama esplicitamente antisemita ha ottenuto il consenso di un quinto dei votanti. È pure di estrema destra la matrice del movimento greco Alba Dorata. E, sebbene Marine Le Pen si sforzi di cancellare l'immagine negazionista che suo padre ha impresso al Front National francese, i legami con l'ispirazione originaria sono difficili da cancellare. Il movimento italiano Cinque Stelle si tiene lontano dalle etichette di destra e di sinistra e respinge l'accusa di alimentare sentimenti antisemiti: sta di fatto che dalle dichiarazioni dei suoi esponenti, da quello che circola nei siti web del movimento, fino alle strumentalizzazioni della Shoah da parte di Beppe Grillo, è di là che, in Italia, è venuto il peggio in materia negli ultimi tempi. Ma vi sono vecchie e collaudate pulsioni antisioniste con connotati a dir poco ambigui in movimenti di ben altra natura, di sinistra o di estrema sinistra, che è discutibile mettere nello stesso mazzo con gli altri, a riprova che l'etichetta di "populismo" è quanto mai inappropriata e serve solo a indicare tutto ciò che "non piace" agli europeisti ortodossi. Occorre chiedersi se per contrastare la deriva antisemita che contagia l'Europa la scelta giusta sia sedersi su uno dei due lati di questa faglia artificiosa e credere che serva a qualcosa alzare la bandiera dell'europeismo ortodosso contro i "populismi", presentandola come lo stendardo della democrazia che resiste contro il riemergere dei fantasmi del passato.
   Che i movimenti che abbiamo appena citato siano qualcosa di detestabile cui opporsi a tutti i costi è ovvio, talmente ovvio che non vi dovrebbe essere bisogno di sprecare parole in merito. Il vero problema è se per prosciugare il terreno che alimenta le male piante la strada giusta sia allinearsi acriticamente con certa Europa ufficiale, con l'eurocrazia che ci ha condotto in questa situazione, e ignorarne le responsabilità. Schierarsi in quel modo sulla faglia è come chiudere gli occhi di fronte al fatto che da anni politiche irresponsabili hanno alimentato gli esiti che stiamo scontando. Dobbiamo dimenticare in che modo la politica estera europea ha coltivato, e coltiva, un atteggiamento talora apertamente ostile nei confronti di Israele, dando spazio all'antisionismo? L'antisemitismo ha raggiunto in paesi come la Francia livelli di allarme rosso senza che questo venga considerato come un problema di tutto il continente. Vi sono università parigine dove i rettori sopprimono i corsi di ebraico. Vi sono zone della Svezia e dell'Olanda dove si consiglia agli ebrei di andarsene: abbiamo mai sentito parlare di questo da parte dell'eurocrazia o nel Parlamento europeo? In generale, si diffonde una generale acquiescenza nei confronti dell'integralismo islamico: l'ultimo episodio clamoroso in ordine di tempo è stata la nomina di Tariq Ramadan a consigliere religioso del premier britannico.
   La storia europea ci ha insegnato a diffidare dei giustificazionismi "oggettivi", ovvero a dire che certe reazioni sono giustificate da condizioni di sofferenza materiale o morale: le responsabilità sono sempre soggettive e non esistono deroghe ai principi morali. È però indubbio che, se è inammissibile giustificare chi aderisca consapevolmente a un movimento estremista, occorre capire che cosa può alimentare certe reazioni per evitare che questo accada. Per esempio, se lo stato lascia che la criminalità organizzata faccia il bello e il cattivo tempo in un territorio, è difficile immaginare che questo possa alimentare comportamenti corretti da parte della popolazione.
   Alla fine della Prima guerra mondiale, il trattato di Versailles impose alla Germania pesanti limitazioni sugli armamenti nonché pesantissime imposizioni economiche e di risarcimenti. La storiografia è unanime nel riconoscere che questo secondo aspetto, con la conseguente drammatica crisi economica, fu benzina per il movimento hitleriano. Alla fine della Seconda Guerra mondiale certe restrizioni furono ancor più pesanti, fino alla spartizione in due della Germania e della sua capitale, ma il secondo errore non fu commesso: il Piano Marshall fu una risposta intelligente al rischio che paesi come la Germania e l'Italia piombassero in una crisi economica capace di alimentare risentimenti e mantenere in piedi i movimenti di estrema destra. Dobbiamo chiederci se oggi il paese leader dell'Europa, la Germania, con la sua insistenza monomaniaca sulle politiche di austerità e di bilancio non sia praticando una sorta di Versailles a rovescio. Non c'è dubbio che molti paesi europei - a cominciare dall'Italia - si sono comportati per anni come cicale e debbono cambiare registro. Ma i problemi si risolvono mobilitando risorse e intelligenza, non picchiando duro e alla cieca. Dalle punizioni collettive di intere popolazioni non esce nulla di buono, se non forme di ribellismo esasperate e irrazionali. E, purtroppo, la storia insegna con monotona ripetitività, che queste rivolte si incanalano nella direzione più collaudata e facile di tutte: l'antisemitismo.

(Shalom, maggio 2014)


Il vicesindaco di Gerusalemme a Lugano

Ofer Berkovitz sarà ricevuto domenica dal Municipio

GERUSALEMME - Domani, giovedì 5 giugno, Ofer Berkovitz , il vicesindaco di Gerusalemme, sarà in visita a Lugano, dove verrà ricevuto dall'Esecutivo cittadino. Questa visita, come riferisce in una nota il Municipio, "si inserisce nel quadro delle buone relazioni che la nostra città intrattiene da lungo tempo con la città di Gerusalemme".
Berkovitz sarà inoltre presente alla serata inaugurale del Festival Poestate nel corso della quale verrà omaggiata la poesia israeliana.

(TicinOnline.ch, 4 giugno 2014)


I Rolling Stones in Israele

Alla vigilia del loro primo concerto in Israele, i Rolling Stones hanno visitato i luoghi sacri di Gerusalemme. Nelle immagini la visita di due dei componenti della band, Ronnie Wood e Charlie Watts, al muro del pianto.



(la Repubblica, 4 giugno 2014)


Selbsthass, ovvero vergognarsi d'essere ebrei. Tre appunti sul libro di Meotti

di Dan Vittorio Segre

Da quell'insegnante pensionato che sono, ho l'abitudine di leggere i libri che voglio commentare. Ho così ritardato la recensione del libro di Giulio Meotti, "Ebrei contro Israele" (Belforte, 2014) che ha suscitato forti reazioni di intellettuali ebrei in Italia. Il ritardo ha avuto il vantaggio di permettermi di vedere la meditazione di Papa Francesco sulla lapide che ricorda i nomi degli israeliani - sono circa 2500 - vittime del terrorismo arabo. La frase "Martiri Israeliani del Terrorismo" è anche il titolo di un precedente libro di Meotti. Che io sappia è l'unico scritto da un giornalista non ebreo che abbia ricevuto un premio in Israele, tradotto in tre lingue e che non sembra aver suscitato particolare interesse in Italia, confermando che i silenzi sono alle volte più significativi delle critiche strillate sulle pagine dei giornali.
Ritengo che Meotti, con questo appassionato libro sulle sorti di Israele abbia raccontato delle scomode ma giustificate verità ma commesso tre errori.
Il primo è di aver affastellato personaggi che dal punto di vista del risentimento verso Israele - stato, popolo o governo - non è giustificabile. Il cancelliere austriaco Bruno Kreisky che odiava Israele tanto da creare la "sindrome Kreisky", così forte da lasciare il fratello girare accattone per Gerusalemme e lo scrittore Amos Oz, ferito di guerra e scrittore nella tradizione letteraria ebraica sionista degli "Amanti di Israele", non hanno nulla in comune.
Il secondo errore dell'autore è di lasciare l'impressione che gli ebrei contro Israele siano qualcosa di moderno, parte di un neo antisemitismo in casa di sinistra. Non spiega al lettore il fenomeno curioso dell'odio ebraico di sé (si è mai sentito un antigollista francese odiare se stesso e la sua stirpe come un ebreo di nome Marx nipote di un rabbino, autore di un classico testo in cui sostiene il bisogno di ripulire la società dagli ebrei adoratori del dio denaro ("La questione ebraica"). Un francese sa di poter cessare di essere francese a tutti gli effetti diventando tibetano; un ebreo non può cambiare il fatto di essere nato da una ebrea. Fatto che fa imbestialire chi si vergogna di essere ebreo e se ne vendica dal tempo dell'Inquisizione a quello del comunismo, specie in Urss, diventando attivo nemico degli ebrei e dell'ebraismo (si legga lo splendido libro di Yuri Slezkine, "Il Secolo Ebraico"). Il fenomeno è così unico che il sociologo Theodor Lessing inventò un termine scientifico per il lessico tedesco, Selbsthass, odio di sé. Era così irritante per Hitler che voleva che l'odio per l'ebreo fosse al cento per cento ariano, da farlo assassinare.
Il terzo errore di Meotti è quello di non ricordare la denuncia storica dei Saggi del Talmud per la responsabilità dell'odio ebraico per sé e per i propri confratelli nella doppia distruzione del Tempio di Gerusalemme (per mano assira e romana) e della sovranità ebraica. A chi ne fosse interessato consiglierei di leggere il testo della quarta lezione tenuta da Elie Wiesel alla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, "Sei Riflessioni sul Talmud" (Bompiani, 2000).
Da dove viene l'attrazione ebraica per l'auto odio e l'auto suicidio collettivo? Per quale motivo "l'industria della Shoah" è così poco interessata a questo odio quando in termini di proiezione statistica e di fertilità, la presenza potenziale ebraica attuale negli Stati Uniti potrebbe essere attorno a 40 milioni mentre è ridotta a 5 con una perdita annuale percentuale elevata? In America, dove gli ebrei godono di pieni diritti e non ci sono state persecuzioni, aumenta la passione per la propria cancellazione identitaria attraverso l'assimilazione, confermando l'idea di Sartre che a dare all'ebreo il senso - positivo o negativo - dell’lasciare l'impressione che gli ebrei contro Israele siano qualcosa di moderno propria identità siano gli altri.
Penso che il rifiuto ebraico di sé sia legato alla "scelta" divina di Israele e all'obbligo di essere "un popolo di sacerdoti e una nazione santa" (Esodo, 18,6-7). In altre parole una nobiltà. Louis Finkelstein, grande studioso moderno dell'ebraismo, dice: "Noi ebrei non abbiamo un'aristocrazia. Il nostro aristocratico è lo studioso". Il che potrebbe forse spiegare l'elevata percentuale ebraica fra i premi Nobel (che con qualche eccezione sono degli analfabeti in fatto di ebraismo) e poco curanti del loro ruolo di portatori di nobiltà.
Gli ebrei della diaspora ma anche in Israele preferiscono essere amati piuttosto che rispettati, perché "noblesse oblige", la nobiltà obbliga. Una nobiltà che la Rivoluzione francese ha messo sullo sstesso piano con libertà, uguaglianza e fraternità. Un falso storico che rende difficile l'espansione della democrazia e il radicamento dei diritti umani in quanto i due primi concetti (libertà e uguaglianza) sono diritti sacrosanti mentre la fraternità è un dovere, patrimonio specifico della nobiltà.
La nobiltà è un valore che non sente il bisogno di riconoscimenti. Ha solo bisogno di dare. Il che è, fra l'altro l'essenza della Scienza della Kabalah. Suscita invidia (bisogno di abbassare chi sta più in alto) e gelosia (desiderio di prendere il posto altrui).
Non per nulla l'antisemitismo, erroneamente attribuito alla chiesa quando come termine e ideologia politica non esisteva ancora (nacque a Vienna nel 1876), viene spesso confuso con la giudeofobia cristiana e islamica, proprio a causa della difficoltà della chiesa di trasformarsi in "Verus Israel" e della moschea in portatrice unica e definitiva della parola divina.

(Il Foglio, 3 giugno 2014)


Valutazioni critiche come quella qui fatta sono sempre possibili e da considerarsi del tutto lecite e normali. Non è accettabile invece il tentativo, fatto subito dopo l'uscita del libro, di liquidarlo in modo sbrigativo e snobbistico invece di accettarlo come spunto di riflessione e serio dibattito. Comunque, dei tre errori sopra citati forse soltanto il primo si può considerare tale, se con questo si vuole sottolineare che non tutti agli atteggiamenti contro Israele hanno le stesse identiche motivazioni, e che per esempio la posizione di Amos Oz è diversa da quella di Bruno Kreisky, cosa che probabilmente anche Meotti in qualche misura accetterebbe. Ma dire che le due cose “non hanno nulla in comune” è a sua volta un errore: qualcosa in comune c’è! E come! L’autore propone implicitamente di cercarla.
Gli altri due “errori” non sembrano veramente tali. E’ fuori luogo rimproverare all’autore di non aver fatto quello che evidentemente non si era proposto di fare. Diciamolo pure: il libro è un pamphlet, ma i pamphlet hanno pieno diritto di cittadinanza letteraria, e in quanto tali devono essere giudicati per quello che dicono, non per quello che non dicono. Invece di stroncare a priori, o finemente puntualizzare a posteriori, sarebbe stato meglio prendere in seria considerazione il materiale del testo, elaborare ed eventualmente criticare e correggere nel merito l’enorme quantità di citazioni riportate. Perché se anche soltanto la metà di quelle citazioni corrispondesse ai fatti, questo dovrebbe essere motivo più che sufficiente per far preoccupare chi ha a cuore le sorti del popolo ebraico. M.C.


Casale Monferrato - Doppio appuntamento domenica 8 giugno in Sinagoga

Doppio appuntamento domenica 8 giugno alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato che ospita nel pomeriggio una presentazione letteraria e la sera il terzo appuntamento della rassegna musicale Suono e Segno diretta da Giulio Castagnoli.

La Sinagoga di Casale Monferrato
Si comincia alle 16,30 nel Cortile delle Api con un libro dal titolo curioso: "bele sì (proprio qui) - ebrei ad Asti". Ne parlano le autrici Maria Luisa Giribaldi e Rose Marie Sardi con due illustri commentatori: il senatore Franco Debenedetti, vicepresidente dell'Olivetti e il teologo Paolo De Benedetti. Il titolo spiega in modo molto poetico le finalità dell'opera: leggendo nel rotolo della Legge durante il suo barmitzwah, un ragazzino perde il segno; "bele si",gli suggerisce sottovoce il rabbino. Ovvero "proprio qui". Ed è come se l'autrice dicesse qui in questo luogo, in questa comunità di Asti. Ne nasce un libro che raccoglie dati e date, narra di persone e di fatti, descrive la vita della comunità israelitica che in Asti si insediò e visse per secoli, crebbe, fiorì e poi si estinse. I suoi membri se ne allontanarono fisicamente, andando a vivere in città più grandi, e culturalmente, andando a far parte di più ampie comunità. C'è un periodo chiave in questa storia, tra l'ultimo decennio dell'800 e il primo del '900 che anche per la comunità di Asti fu di eccezionale apertura e visibilità nel contesto cittadino: ma fu anche l'inizio della diaspora della comunità, e con essa dell'accelerazione del processo di assimilazione. La Shoah cambia tutto e il dopoguerra porta ampie riflessioni sul ruolo degli ebrei e su come la comunità astigiana sia ancora il punto di riferimento per alcuni di essi come lo stesso Franco Debenedetti che firma l'introduzione. Maria Luisa Giribaldi Docente di lettere classiche, ha pubblicato Scuola e vita nella comunità ebraica di Asti.1800 - 1930 (Rosenberg & Sellier, Torino 1993) e Asti. Guida alla sinagoga, al museo e al cimitero (Marsilio, Venezia 1999). Studiosa di ebraismo locale, ha scritto numerosi saggi per la rivista culturale astigiana Il platano e collaborato con l'Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea Rose Marie Sardi Insegna nella scuola pubblica e ha svolto ricerche sull'ebraismo astigiano.

Alle ore 2 la Sinagoga ospita la musica e un eccezionale trio cameristico formato da Giuseppe Locatto (violino), Amedeo Fenoglio (violoncello), Giorgia Delorenzi (pianoforte) Protagonisti di un concerto che, grazie all'Introduzione di Nicola Davico, esplora quel legame che esiste tra l'ebraismo e la musica dei grandi compositori.
In questo nuovo capitolo apprezzeremo i tre notturni di Ernest Bloch, (I Andante - II Andante quieto - III Tempestoso), il Trio in Re minore Op. 49 di Felix Mendelssohn (I Molto allegro agitato - II Andante con moto tranquillo - III Scherzo: Leggiero e vivace) e infine di Franz Schubert, il Trio in Si bemolle MaggioreOp. 99 - D. 898 (I Allegro moderato - II Andante un poco mosso - III Scherzo: Allegro - Trio -IV Rondò: Allegro vivace)
Giorgia Delorenzi, torinese, ha intrapreso gli studi pianistici all'età di sette anni, proseguendoli presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino con Carla Papini e poi con Claudio Voghera. Dal febbraio 2009 è pianista accompagnatrice presso il Conservatorio di Torino e per i corsi diviolino. Ha suonato per i concerti ed i seminari del Conservatorio di Torino, per il Festival della Via Francigena, per l'Associazione Concertante, l'Unione Musicale di Torino ed ha collaborato con Xenia Ensemble e l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai come solista e camerista in varie formazioni. Amedeo Fenoglio, nato nel 1989, si è diplomato in Violoncello e in Composizione col massimo dei voti sotto la guida dei Maestri Massimo Macrì e Giulio Castagnoli al Conservatorio G. Verdi di Torino. Ha collaborato con varie orchestre quali l'Orchestra Filarmonica di Torino, l'Orchestra della Fondazione CRT, l'Orchestra Nazionane della RAI, la Filarmonica 900 del Teatro Regio di Torino e l'orchestra "Archi" dell'Associazione per la Musica De Sono, presso la quale segue l'accademia di perfezionamento per strumentisti ad arco. Giuseppe Locatto, nato nel 1989, ha studiato presso il Conservatorio di Torino sotto la guida di Christine Anderson, conseguendo il diploma. Nel 2012 ha frequentato, in trio con Amedeo Fenoglio e Giorgia Delorenzi, il corso di musica da camera tenuto da Alexander Lonquich presso l'Accademia. Chigiana di Siena. Con la stessa formazione nello stesso anno è stato vincitore, nelle sezioni dedicate alla musica da camera, del primo premio al XX International Music Competition "Premio Vittoria Caffa" di Cortemilia e al XXIV European Music Competition "Città di Moncalieri", Attivo come solista, orchestrale e in varie formazioni strumentali in occasione di varie manifestazioni culturali organizzate anche dall'Università, dal teatro Regio, dal festival MITO - Settembre musica, ha collaborato con diverse orchestre.

Tutte le manifestazioni sono ad ingresso libero.
Per informazioni: 0142 71807

(Il Monferrato, 4 giugno 2014)


Perché i matrimoni misti sono un male per gli ebrei

La provocazione giunge da Seth Farber, storico e rabbino ortodosso moderno, un movimento nato all'interno del giudaismo ortodosso che tenta di unire i valori ebraici e l'osservanza della legge ebraica con il mondo moderno laico: i matrimoni misti sono un male per gli ebrei.

di Gabriella Tesoro

  
Seth Farber
A detta di Farber con i tassi impressionanti di matrimoni che coinvolgono ebrei e non ebrei, soprattutto all'estero, è fondamentale capire perché "il matrimonio misto è un male" per la comunità ebraica. Sono tre gli argomenti di base che, in genere, confermano questa teoria. Il primo si basa sull'identità: questo tipo di matrimoni sono innaturali e sostanzialmente portano al tradimento del proprio io. Secondo Farber queste argomentazioni non hanno basi solide. Innanzitutto perché sono presuntuose e, dato che esistono numerosissime definizioni di identità e non ne specificano alcuna, risultano antiquate in epoca post-moderna. Il secondo argomento è quello religioso. La Bibbia riferisce che il matrimonio misto è un tradimento nei confronti di Dio, in quanto i figli nati dall'unione potrebbero non essere ebrei. Anche in questo caso, Farber giudica la visione piuttosto datata. Il problema principale di queste due opinioni è che parlano delle implicazioni personali che i matrimoni misti possono portare all'individuo e negano i valori dominanti del multiculturalismo e del pluralismo che, al contrario, prevalgono nelle democrazie occidentali. Farber ritiene che sebbene sposare un non ebreo potrebbe portare vantaggi all'individuo, potrebbe non avere gli stessi effetti per la collettività, in quanto i matrimoni misti sono una minaccia per il bene comune. Sarebbe dunque compito della comunità, e non della singola persona, scoraggiarli. In sostanza, Farber consiglia la creazione di un dialogo significativo sul perché il popolo ebraico debba sopravvivere e prosperare; e tale dialogo deve essere messo al primo posto tra gli obiettivi da raggiungere, coinvolgendo i giovani senza puntare sulla paura o spaventandoli, ma incoraggiandoli, tramite il dialogo, a sposare ebrei.

(International Business Times, 4 giugno 2014)


La legge del Sinai: istruzione o patto?

di Marcello Cicchese

La comprensione popolare "cristiana" della legge divina è più o meno questa: Dio fa conoscere agli uomini quali sono le norme morali che il singolo individuo deve osservare per avere l'approvazione divina mentre è vivo, e andare poi in Paradiso dopo morto. I dieci comandamenti sono la sintesi di questa elevata legge morale affidata inizialmente agli ebrei e poi passata nelle mani dei cristiani.
I laici illuminati invece possono considerarli utili stimoli per favorire la pacifica convivenza tra gli uomini (a parte il comandamento del sabato che comunque lo si rigiri non si sa che cosa farne).
Naturalmente, come spesso avviene in questi casi, nella Bibbia non si trova niente di tutto questo. Limitandosi a leggere i capitoli da 19 a 31 del libro dell'Esodo, dove si trovano per la prima volta le "dieci parole" rivolte da Dio al popolo ebraico, si possono trarre queste prime, sintetiche conclusioni.

Negative
1 - Non sono parole rivolte al singolo individuo universale appartenente al mondo.
2 - Non intendono istruire il singolo individuo universale su quello che deve fare o non fare per passare un
     giorno dalla terra al cielo.
3 - Non intendono istruire il singolo individuo universale su quello che deve fare o non fare per contribuire
     ad ottimizzare la convivenza umana (la famosa "pace").

Positive
1 - Sono parole rivolte ad un preciso popolo al fine di caratterizzarlo tra tutti gli altri popoli della terra.
2 - Sono clausole di un patto tra Dio e quel particolare popolo.
3 - Il patto contiene le condizioni affinché Dio possa scendere dal cielo sulla terra per venire ad abitare in
     mezzo al particolare popolo che Egli si è scelto per i suoi precisi scopi.
4 - Il patto è bilaterale, cioè richiede l'esplicita accettazione da entrambe le parti.
5 - Il patto è un "patto di sangue", cioè chi non lo mantiene muore, pagando con il suo sangue la       violazione del patto.

Alcune citazioni come semplice illustrazione di quanto detto.
    Mosè salì verso Dio; e l'Eterno lo chiamò dal monte, dicendo: 'Di' così alla casa di Giacobbe, e annunzia questo ai figli d'Israele: Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani, e come io v'ho portato sopra ali d'aquila e v'ho condotti a me. Or dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d'Israele'. E Mosè venne, chiamò gli anziani del popolo, ed espose loro tutte queste parole che l'Eterno gli aveva ordinato di dire. E tutto il popolo rispose concordemente e disse: 'Noi faremo tutto quello che l'Eterno ha detto'. E Mosè riferì all'Eterno le parole del popolo. (Esodo 19:3-9)
    Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. (Esodo 25:8)
    Abiterò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Essi conosceranno che io sono l'Eterno, il loro Dio; li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro. Io sono l'Eterno, il loro Dio. (Esodo 29:45-46)
    Mosè allora venne e riferì al popolo tutte le parole dell'Eterno e tutte le leggi. E tutto il popolo rispose a una sola voce e disse: «Noi faremo tutte le cose che l'Eterno ha detto». Mosè scrisse tutte le parole dell'Eterno; poi si alzò al mattino presto ed eresse ai piedi del monte un altare e dodici colonne per le dodici tribù d'Israele. Mandò quindi dei giovani tra i figli d'Israele a offrire olocausti e a immolare torelli come sacrifici di ringraziamento all'Eterno. Mosè prese la metà del sangue e lo mise in catini; e l'altra metà del sangue la sparse sull'altare. Poi prese il libro del patto e lo lesse al popolo, il quale disse: «Noi faremo tutto ciò che l'Eterno ha detto, e ubbidiremo». Mosè prese quindi il sangue, ne asperse il popolo e disse: «Ecco il sangue del patto che l'Eterno ha fatto con voi secondo tutte queste parole». (Esodo 24:3-8).
Com'è finita la cosa? E' stato mantenuto il patto? E' stato violato? Che decisione ha preso Dio? E' sceso alla fine sulla terra per abitare in mezzo al suo popolo, o no? Di questo parla la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento. Ma a noi interessa la cosa?
Il Patto del Sinai

(Notizie su Israele, 4 giugno 2014)


Aron, il soldato ebreo che ruppe i sigilli al Tempio Maggiore

Ricordata la riapertura della Sinagoga. Dalla Comunità ebraica riconoscimento alla memoria del 12enne ucciso dai tedeschi in ritirata il giorno dopo la Liberazione.

di Paolo Brogi

ROMA - Con un giorno di anticipo sulla ricorrenza del 70o della Liberazione di Roma, il 4 giugno del 1944, ieri la Comunità ebraica ha voluto ricordare l'evento alla presenza degli ambasciatori di Stati Uniti, Inghilterra, Canada, Francia e Israele. Al centro della cerimonia - anticipata per la concomitanza con la festa ebraica dello Shavuot - la riapertura della Sinagoga, che era stata sigillata dai tedeschi, effettuata il 6 giugno di allora dai soldati americani. L'evento sul sagrato esterno del Tempio ebraico, dove sventolavano al vento le bandiere dei paesi «liberatori» insieme a quella italiana.

- Conservati nella Sinagoga
  A rompere i sigilli che sono ancora conservati al Tempio e che ieri sono stati mostrati all'ambasciatore americano John R. Philips fu il soldato Aron Colub, un giovane militare ebreo. Ieri le porte sono state «riaperte» dal rabbino capo Riccardo Di Segni, affiancato dal presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici, con l'aiuto dell'ambasciatore americano. Un lungo applauso ha salutato il gesto che ha riproposto il peso di quella barbarie nazifascista, non interamente realizzata però perché fu proprio grazie al giovane rabbino ebreo David Panzieri che il culto fu mantenuto in vita in un tempietto sull'Isola Tiberina.

- Il ricordo del piccolo Ugo Forno
  Prima la banda dell'esercito aveva suonato gli inni dei paesi alleati coinvolti nella riapertura della Sinagoga. E con l'occasione la Comunità Ebraica ha voluto assegnare un riconoscimento a Ugo Forno, il ragazzo dodicenne ultima vittima della difesa di Roma, morto il 5 giugno del '44 mentre cercava di impedire il sabotaggio tedesco del ponte ferroviario sull'Aniene, azione che riuscì a interrompere a costo però della sua vita. A ricevere l'attestato il fratello del caduto, Franco, che ha poi rivolto un ringraziamento ai presenti. Con lui un altro testimone di allora, Cesare Articoli, «partigiano» a Rocca di Cave quando era appena quindicenne.

- Il contributo degli eroi
  Il contributo degli «eroi» che come il piccolo Ughetto sono caduti per la libertà, è stato ricordato dall'assessore Ruben della Rocca, che introduceva i saluti, e poi richiamato anche da altri interventi e in particolare dal sindaco Ignazio Marino che, rivolto ai ragazzi presenti alla cerimonia, ha voluto sottolineare che la libertà di cui godiamo oggi è frutto del sacrificio di «persone come Ughetto». «Era un bambino di 12 anni - ha ricordato Marino -. Un essere umano con i suoi pensieri. A spingerlo è stata l'emulazione, se Ughetto sentì la necessità di comportarsi in quel modo fu perché nella sua famiglia erano stati coltivati sentimenti di libertà».

- Pacifici e il Ghetto liberato da Napoleone
  Il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici ha colto l'occasione per ricordare la breve stagione di libertà di cui godettero gli ebrei romani all'inizio dell'800, quando grazie ai soldati di Napoleone il Ghetto fu liberato, anche se per pochi anni, e ha rivolto un invito al presidente francese François Hollande perché venga al Tempio di Roma magari riportando con sé il plastico del Ghetto fatto allora dai soldati francesi. Poi rivolto agli ambasciatori presenti ha voluto ricordare: «Noi non saremmo mai nati senza il vostro contributo». Il rabbino capo Di Segni, così come il presidente della Regione Nicola Zingaretti, hanno sottolineato l'importanza dell'apporto dato alla Liberazione da parte della Brigata Ebraica. Un forte richiamo contro l'indifferenza è risuonato in vari interventi, anche in quello del sindaco Marino, e infine la cerimonia si è conclusa all'interno del luogo di culto addobbato di fiori per lo Shavuot.

(Corriere della Sera, 4 giugno 2014)


Reggio Calabria - Presentazione del libro "La presenza ebraica nella storia reggina"

Si svolgerà venerdì 6 giugno, alle ore 21:00, presso il Planetarium Provinciale "Pythagoras" di Reggio Calabria, all'interno del ciclo "Astronomia… non solo Astronomia 2014", la presentazione del libro "La presenza ebraica nella storia reggina" di Felice Delfino (Disoblio Edizioni). Nel corso della presentazione, moderata da Maria Francesca Fassari (Redattrice), interverranno: Angela Misiano Martino (Direttrice Planetarium Pythagoras), Natale Zappalà (Ricercatore e Scrittore), Saverio Verduci (Storico e Giornalista), Salvatore Bellantone (Editore). Sarà presente l'autore.
La presenza ebraica nella storia reggina ripercorre la storia del popolo ebraico nel territorio della provincia di Reggio Calabria, dalla diaspora (VIII-VI sec.) alla cacciata del 1541. Analizzando i rapporti degli ebrei con i vari dominatori (Romani, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi), l'opera mette a fuoco le principali tracce ebraiche antiche rimaste in terra reggina e le principali località reggine in cui le comunità ebraiche hanno trovato dimora. Evidenziando le influenze ebraiche nell'onomastica e nella lingua locale, l'opera traccia poi un excursus delle condizioni economiche della società calabrese dall'età tardo-antica al periodo borbonico, ricalcando l'incisività delle comunità ebraiche sull'economia calabrese, per mezzo delle arti, dei mestieri e delle attività nelle quali gli ebrei si sono dimostrati dei maestri.
Felice Francesco Delfino è nato nel 1979 a Oppido Mamertina (RC). Nel 2009 ha conseguito il Magistero presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "Mons. Zoccali" di Reggio Calabria e per due anni ha insegnato religione e cultura storico-sociale presso la Do.Mi. di Villa San Giovanni. Da anni collabora con alcune riviste di storia locale, religiosa ed ebraica, per le quali pubblica alcuni articoli e saggi. Attualmente vive a Catona (RC).

(Stretto web, 4 giugno 2014)


Abu Mazen sarà responsabile dell'attività terroristica palestinese. Compresi i razzi

Il gabinetto di sicurezza israeliano, convocato lunedì dopo la formazione del governo di unità palestinese, ha deciso all'unanimità di ribadire la politica contraria a negoziare con un governo che includa Hamas. Il governo ha inoltre autorizzato il primo ministro Benjamin Netanyahu a disporre contro l'Autorità Palestinese eventuali sanzioni, che per ora non vengono specificate. "Abu Mazen ha detto sì al terrorismo e no alla pace, in diretta continuazione con la sua politica di rifiuto delle offerte di pace - ha detto Netanyahu - Noi rimaniamo impegnati nel processo di pace, mentre Abu Mazen incita contro Israele e si allea con Hamas, che è un'organizzazione terroristica. L'accordo con Hamas - ha aggiunto il primo ministro israeliano - rende Abu Mazen direttamente responsabile per qualsiasi attività terroristica che origini da Gaza, compresi i razzi Qassam".

(israele.net, 3 giugno 2014)


'Com'è dolce il ricordar a Ferrara', nove secoli di presenza ebraica

Domenica 8 giugno itinerari storici e memorie bassaniane

  
Ha per titolo 'Com'è dolce il ricordar a Ferrara' la manifestazione che si terrà in città domenica 8 giugno per testimoniare la fattiva e significativa presenza degli ebrei a Ferrara nel corso di nove secoli. L'evento è organizzato dalla Pro Loco Ferrara, con il patrocinio del Comune e della Fondazione Giorgio Bassani, che ha prestato anche la propria consulenza, e con la collaborazione dell'Istituto Tecnico Commerciale 'V.Bachelet'.

Il programma della giornata prevede:
- alle 10,30: ritrovo in via Contrari 41 per una passeggiata nel ghetto, percorrendo via Mazzini, via Vittoria, via Vignatagliata. In vicolo Mozzo Torcicoda, una rappresentanza della corale Vittore Veneziani eseguirà alcuni canti ebraici, mentre in piazzetta Lampronti un 'oste' spiegherà ai presenti alcune ricette tipiche della cucina ebraica.
- alle 15,30: ritrovo in piazza Cattedrale, di fianco alla colonna che regge la statua del duca Borso (colonna costituita da lapidi provenienti da cimiteri ebraici) per una passeggiata che avrà per meta il cimitero ebraico di via delle Vigne, che fu definito 'l'orto degli ebrei'. Al termine della visita, l'itinerario proseguirà in direzione del Parco Pareschi, dove alcuni studenti dell'Istituto tecnico commerciale 'V.Bachelet' si cimenteranno nella rappresentazione di un libero adattamento del 'Giardino dei Finzi Contini' di Giorgio Bassani.
"Molti turisti - spiegano gli organizzatori - quando giungono a Ferrara, chiedono informazioni su come raggiungere il giardino dei Finzi Contini, non sapendo che si tratta di una creazione romanzesca, anche se Ferrara è ricca di spazi verdi sia pubblici che privati. L'autore ha descritto un'atmosfera che ha permeato la città estense in un periodo passato, ma a cui Ferrara ed i ferraresi sono legati, così come i visitatori che conoscono il romanzo. La breve rappresentazione avrà per oggetto alcuni pomeriggi trascorsi da Giorgio, Bruno Lattes e compagni nel campo da tennis di Micol e Alberto Finzi Contini, per tentare di ricreare anche solo per pochi istanti, il clima descritto dal romanzo".

(CronacaComune, 3 giugno 2014)


Ebrei di Roma invitano Hollande: uniti contro antisemitismo

ROMA, 3 giu. - "Invitiamo qui nel museo ebraico e nella sinagoga di Roma il presidente Hollande", perche' "vogliamo ribadire con orgoglio una memoria condivisa con la Francia che provvisoriamente ha dato questo risultato elettorale, e perche' sappiamo che i corsi e i ricorsi della storia si possono rovesciare". Lo ha detto il presidente della comunita' ebraica della capitale, Riccardo Pacifici, rivolgendosi all'ambasciatore francese durante le cerimonia in ricordo della riapertura del Tempio Maggiore dopo la liberazione di Roma di 70 anni fa. "Il risultato elettorale dell'Europa ha dimostrato che oggi ci sono due paesi, l'Italia e la Germania, che hanno la responsabilita' di arginare le forze xenofobe, antisemite, fasciste e naziste", ha aggiunto Pacifici, e anche se "le nazioni non sono colpevoli dobbiamo lavorare per riportare saggezza". Il rappresentante degli ebrei romani ha ricordato che "negli anni 1809-1810 i soldati francesi portarono il loro contributo, quello dell'illuminismo, e sono venuti a liberare il ghetto dandoci un momento di liberta'", e per questo "vogliamo riportare a Roma il plastico che nel 1809 realizzarono i soldati francesi, unica testimonianza delle case del ghetto: vogliamo esporlo - ha concluso - contro le tentazioni negazioniste e per l'Europa dei popoli".

(AGI, 3 giugno 2014)


Obama complice di Hamas e dei terroristi

Potremmo dire che lo avevamo detto, potremmo dire che già da tempo Obama sta tenendo smaccatamente una linea anti-israeliana e filo-terrorista, potremmo anche ricordare che avevamo previsto che la "nuova linea" politica americana prevede non più di combattere il terrorismo ma di collaborarci, e se non bastasse potremmo anche dire di aver anticipato che Obama sapeva da tempo dei colloqui tra Hamas e Fatah anche se poi, come sempre, ha fatto l'ipocrita fingendosi sorpreso, ma francamente un così aperto appoggio al nuovo Governo di Unità Palestinese da parte di Obama ha sorpreso anche noi....

(Right Reporters, 3 giugno 2014)


Oltremare - Mikveh Israel
Della stessa serie:

“Primo: non paragonare”
“Secondo: resettare il calendario”
“Terzo: porzioni da dopoguerra”
“Quarto: l'ombra del semaforo”
“Quinto: l'upupa è tridimensionale”
“Sesto: da quattro a due stagioni”
“Settimo: nessuna Babele che tenga”
“Ottavo: Tzàbar si diventa”
“Nono: tutti in prima linea”
“Decimo: un castello sulla sabbia”
“Sei quel che mangi”
“Avventure templari”
“Il tempo a Tel Aviv”
“Il centro del mondo”
“Kaveret, significa alveare ma è una band”
“Shabbat & The City”
“Tempo di Festival”
“Rosh haShanah e i venti di guerra”
“Tashlich”
“Yom Kippur su due o più ruote”
“Benedetto autunno”
“Politiche del guardaroba”
“Suoni italiani”
“Autunno”
“Niente applausi per Bethlehem”
“La terra trema”
“Cartina in mano”
“Ode al navigatore”
“La bolla”
“Il verde”
“Il rosa”
“Il bianco”
“Il blu”
“Il rosso”
“L'arancione”
“Il nero”
“L'azzurro”
“Il giallo”
“Il grigio”
“Reality”
“Ivn Gviròl”
“Sheinkin”
“HaPalmach”
“Herbert Samuel”
“Derech Bethlechem”
“L'Herzelone”
“Tel Aviv prima di Tel Aviv”
“Tel Hai”
“Rehov Ben Yehuda”
“Da Pertini a Ben Gurion”
“Kikar Rabin”
“Sde Dov”
“Rehov HaArbaa”
“Hatikva”



di Daniela Fubini, Tel Aviv

Mikveh Israel non è una destinazione turistica di primo piano. È a Holon, che fra le cittadine aggregate a Tel Aviv fino a formare il monoblocco abitato noto come il Gush Dan è fra le meno fortunate: Holon non ha sbocco al mare, e non è sulla direttrice che arriva a Gerusalemme, un cul-de-sac insomma, fra Bat Yam sulla costa e Rishon Le-Zion a sud.
Meriterebbe più attenzione, specie per quanti in Israele hanno già visto tutta l'archeologia possibile. Mikveh Israel è stata costruita nel 1870 su terreni concessi dal Sultano (l'Impero Ottomano era ancora il padrone di tutta l'area), per essere sede di una scuola di agricoltura, come Ben Shemen ed altre. Negli anni, scuole come queste che funzionavano come collegi essendo immerse nella sabbiosa o rocciosa campagna non ancora verde, hanno perso un po' la centralità che hanno avuto prima della Guerra d'Indipendenza. Ma sono spesso servite anche come basi clandestine dell'Hagana, in anni in cui ancora la fine del Mandato Britannico pareva un miraggio.
I suoi 15 minuti di celebrità, Mikveh Israel li ha avuti ben prima di allora, comunque: e precisamente quando nientemeno che Theodor Herzl, durante il suo unico viaggio in Palestina, scelse i cancelli della scuola come luogo per incontrare il Kaiser, Guglielmo II, in visita ufficiale. Era il 29 ottobre del 1898, faceva caldo per gli standard europei, e l'incontro fu breve e fotografato. Il Kaiser, un uomo minuto a cavallo che si china a parlare con Herzl, alto e lungobarbuto in piedi con in mano quello che sembra un immenso Kova Tembel (il cappello bianco e piuttosto rustico dei pionieri). Un'immagine che è valsa anni di lobbying. Un dialogo breve, e l'imperatore che ripete due volte "questa terra ha un futuro".
Nel presente, Mikveh Israel è uno di quei progetti di restauro conservativo che si stanno moltiplicando (finalmente) in Israele. La sinagoga è una bellezza turchese ed inebriante, la antica cantina e le altre basse costruzioni hanno atmosfere familiari per noi europei: una armonia architettonica non comune un questo paese costruito in fretta, senza guardar troppo i dettagli.

(moked, 2 giugno 2014)


La propaganda palestinese ha perso il suo tocco magico?

Soltanto dieci anni fa la propaganda palestinese architettò una delle più grandi truffe dell'era moderna: convinsero persone altrimenti ragionevoli che la colpa della "seconda intifada" era da far ricadere su Israele, e che l'antisemitismo palestinese era una conseguenza - e non una causa - delle loro sofferenze.
In parte questo raggiro fu architettato trasmettendo le immagini di Mohammad Al Durah, un ragazzo palestinese che si disse fosse stato ucciso nel 2000 dagli israeliani nell'ambito di un conflitto a fuoco con i palestinesi. Il video diffuso lasciava intendere che Al Dura fosse morto, e che fosse colpa dell'IDF: ciò consegnò all'opinione pubblica - e agli europei, in particolare - il pretesto occorrente per credere che gli israeliani non fossero diversi dai nazisti che ammazzavano i bambini, e che pertanto non erano più meritevoli delle simpatie beneficiate a causa dell'Olocausto (non è un caso che in Francia, dove fu montato il video della presunta uccisione di Al Dura, oggi sperimenta un esodo senza precedenti di ebrei, in fuga dall'odio antisemita che sta attraversando tutto il paese)....

(Il Borghesino, 2 giugno 2014)


Palestinese apre il fuoco contro un posto di controllo e ferisce un agente. Ucciso

GERUSALEMME - La polizia di frontiera israeliana ha ucciso nella notte un palestinese che aveva aperto il fuoco contro un posto di controllo a Tapuach e ferito un agente. Lo ha reso noto l'esercito. L'agente e' rimasto ferito ad una gamba ed e' stato trasferito all'ospedale di Petah Tivka.
L'incidente e' accaduto poche ore dopo il giuramento del governo di unita' palestinese Fatah-Hamas; ed e' avvenuto vicino alla citta' di Nablus, allo stesso checkpoint di Tapuach dove quattro giorni prima gli israeliani sono riusciti a sventare quello che avrebbero potuto essere il primo attentato-kamikaze dal 2008. Venerdi' i soldati israeliani hanno infatti fermato a un palestinese 19enne che destava sospetti perche', nonostante il caldo, indossava un giobbotto; ma sotto nascondeva una cintura esplosiva.
All posto di controllo di Tapuach si e' recato intanto il comandante in capo dell'esercito israeliano, generale Benny Gantz, che era in una zona vicina per "una missione operativa".

(AGI, 3 giugno 2014)


Aperta la Startup Tel Aviv Bootcamp: formazione ad altissimo livello

  
È ufficialmente aperta la terza edizione di Startup Tel Aviv Bootcamp, contest internazionale organizzato dal Ministero degli Affari Esteri israeliano, la città di Tel Aviv e Google Israel.
Il contest, promosso in Italia dall'Ambasciata d'Israele e da LUISS ENLABS - la fabbrica delle startup, porterà in Israele alcuni dei migliori stratupper di 20 paesi nel mondo, tra cui l'Italia. Il vincitore del contest paretciperà al bootcamp che si terrà in Israele dal 14 al 19 settembre 2014, nella settimana in cui la città di Tel Aviv ospita l'annuale edizione del Digital Life Design Conference.
Startup Nation: primo paese OCSE per investimenti in R&D (4,5% PIL), oltre 11mila tra start up, incubatori, fondi di private equity e venture capital (anche esteri), business angel. Oltre 5mila startup attive. Con circa 8 milioni di abitanti, Israele ha il più altro numero di startup pro-capite. 400 mila dollari di finanziamenti pubblici all'anno destinati alle startup. Capitale economica d'Israele, Tel Aviv è il cuore pulsante dell'economia dell'innovazione del Paese.
Il Wall Street Journal l'ha definita il "tech hub" leader d'Europa e secondo Startup Genome è il secondo posto al mondo, dopo la Sylicon Valley, dove aprire una startup. La città ha sviluppato un vero e proprio ecosistema al quale concorrono il forte attivismo del venture capital - Israele attrae annualmente una quota di investimenti notevolmente superiore rispetto agli U.S. e a tutti i Paesi europei-, i centri R&D dei leader mondiali dell'innovazione tecnologica (Google, Microsoft, Intel) e una forte cultura del risk-taking.
La città di Tel Aviv dopo l'estate ospiterà inoltre una serie di eventi dedicati all'innovazione: la grande cornice è costituita dall'edizione 2014 del Festival DLD Tel Aviv (Digital Life Design), a lato del quale si terrà una serie di eventi, tra cui Codemotion Tel Aviv. Il viaggio in Israele e la partecipazione al Tel Aviv bootcamp: i founder delle 20startup vincitori provenienti da tutto il mondo avranno la possibilità di intervenire ad un intenso programma di conferenze, workshop, e incontri con imprenditori, professionisti e investitori israeliani leader nel settore.
"Startup boot-camp Tel Aviv 2014" si terrà durante la settimana del DLD Festival (Digital Life Design), e costituisce un'importante opportunità di formazione e networking all'interno dell'ecosistema startup di Tel Aviv. Possono candidarsi i founder/Ceo delle startup che rispondono a questi requisiti: Età compresa tra i 23 e i 35 anni Startup attiva nei settori ICT, web, mobile o security Avere già ricevuto un finanziamento (seed stage).
Entro le ore 24 del 30 giugno 2014 i founder delle startup che rispondono ai requisiti possono inviare una email all'indirizzo startelaviv@roma.mfa.gov.il: il link ad un video pitch in lingua inglese di presentazione del progetto, della durata massima di 5 minuti un executive summary di 500 parole (max 1 pagina), in lingua inglese un CV del founder in lingua inglese il link ad una demo del prodotto (opzionale) I materiali pervenuti entro la scadenza verranno esaminati da una giuria. La comunicazione della startup vincitrice verrà data nel corso di un evento di chiusura del concorso, il 16 luglio alle ore 18.00.

(BuongiornoAlghero.it, 3 giugno 2014)


Colpo dei servizi segreti israeliani: preso un componente della leadership di Hamas

Le rivelazioni di un alto membro di Hamas, arrestato dai servizi segreti di Israele, hanno rivelato diversi aspetti dell'organizzazione e fatto luce sui vari metodi utilizzati per finanziare il terrorismo. Oltre che con le armi, tra Israele ed i paesi che hanno giurato la sua eliminazione dalla cartina geografica, si combatte da anni una guerra a furia di pubblicazioni ed approfondimenti, secondo precise direttive dei servizi segreti. L'ultima è stata pubblicata poche ore fa. Spiccano nomi, transizioni ed enti fittizi utilizzati da Hamas per raccogliere denaro nel mondo.
Alcune settimane fa, gli agenti della Israel Security Agency (ISA), hanno arrestato Mahmoud Mohammad Issa Tuama. L'uomo è stato arrestato mentre si trovava sulla propria auto nei pressi ponte Allenby, al confine israeliano con la Giordania. I dettagli del blitz non sono stati resi noti, ma è certamente stato eseguito da una delle innumerevoli squadre speciali a disposizione di Israele.
Durante un successivo interrogatorio, Tuama ha ammesso di essere un membro del Consiglio Generale della Shura di Hamas, al momento guidata da Khaled Meshal. Nel consiglio siede soltanto la leadership di Hamas. Compiti del Consiglio Generale della Shura di Hamas sono quelli di dettare la politica generale dell'organizzazione, compresi tutte le attività militari (sarebbe meglio chiamarli attentati).
Secondo Tuama, il consiglio di Hamas è composto da otto rappresentanti della Fratellanza Musulmana che tracciano la politica interna ed estera e che prendono tutte le decisioni fondamentali per l'organizzazione. Tuama ha affermato di avere avuto un ruolo chiave nel "processo decisionale finanziario" dell'organizzazione terroristica.
L'organizzazione, fino a poco tempo fa, riceveva la maggior parte del suo finanziamento dal governo iraniano, che è noto per sovvenzionare attività terroristiche in tutto il mondo. Lo scorso anno, però, l'Iran ha deciso di congelare i fondi verso Hamas, creando difficoltà economiche all'interno dell'organizzazione terroristica.
Durante l'interrogatorio, Tuama ha fornito ad Israele alcune informazioni su una serie di organismi internazionali che fanno parte di Hamas, compresi alcuni enti fittizi in Arabia Saudita che ricevono le donazioni provenienti da tutto il mondo.
Tauma ha poi chiarito il suo coinvolgimento, confessando di aver consigliato di riciclare le somme illecitamente percepite da Hamas, acquistando e vendendo beni immobiliari. Con questo stratagemma, alcuni anni fa, trasferì circa 750.000 Rial ufficialmente investiti per la costruzione di una moschea a Tul Karem.
Tuama ha rivelato che Hamas è dietro a tutti progetti del Movimento islamico Institution ed Union Of God.

(teleradiosciacca.it, 3 giugno 2014)


"Nascosto in convento a piazza di Spagna vidi i tedeschi scappare"

Giacomo Limentani racconta: "In quelle stanze con me Gattegna e i figli di Rossellini"

di Gabriele Isman

Il testimone, Giacomo Limentani, 78 anni, vide i tedeschi scappare dal centro il 4 giugno '44: era nascosto in un convento
"Non avevo ancora compiuto 9 anni, ma avevo gli occhi aperti: noi ebrei avevamo già vissuto le leggi razziali, l'esclusione dalle scuole, il rastrellamento del 16 ottobre". Giacomo Limentani ad agosto ne compirà 79. Il 4 giugno 1944 era ospite a pagamento in un conventopensionato delle suore di Ravasco alla salita di San Sebastianello, dietro piazza di Spagna. "Quel giorno lo ricordo bene - racconta nel salotto di casa a Trastevere, seduto accanto alla moglie Tina - ma per capirlo bisogna partire dal 25 luglio precedente, quando cadde il fascismo. A Porta Portese c'erano le casermette del battaglione M: doveva essere il baluardo del regime ma furono i primi a scappare. I gerarchi li vedemmo allontanarsi sulle 1100 Fiat lungo viale Trastevere, allora viale del Re. Pochi giorni prima era stata bombardata San Lorenzo: le fortezze volanti argentee sembravano pescetti nel cielo".
  Giacomo Limentani ricorda tutto: dal 16 ottobre si chiamava Giacomo Marchi per nascondere il cognome ebraico. "I documenti falsi ce li aveva dati un sacerdote, don Barbieri, che aiutò tonnellate di persone. Andai a ritirare io vicino via Goito la carta d'identità di mia madre: la aprii, ed era quella di un amico di famiglia. Così sapemmo che era vivo". Poi l'8 settembre: "Le cannonate in via Dandolo, con i proiettili esplodenti dei tedeschi. Raccoglievamo le schegge in viale Glorioso". Limentani, che lavora ancora nel settore tessile, racconta la sua nascita a Testaccio "in via Gustavo Bianchi, testaccino e romanista" e la scuola: "Fino alla seconda elementare alla Polacco, che era dove ora si trova la John Cabot. Poi, giustamente, fu chiusa". Venne il 16 ottobre: "Una zia di mia madre ci buttò fuori di casa per proteggerci. I tedeschi avevano gli elenchi di tutti gli ebrei di Roma: il rastrellamento non fu solo nel ghetto. Ci nascondemmo per 10 giorni nell'ufficio di mio padre in via in Lucina: vivemmo come Anna Frank, mia madre faceva la minestrina sul ferro da stiro. Una notte venne a dormire da noi un medico amico: eravamo cianotici. Non prendevamo aria da un mese e la notte uscimmo in terrazza. Temevamo che il portiere potesse denunciarci, così scappammo e finimmo in via Salaria, a casa di amici per 10 giorni: davanti c'era una sede delle Ss. Poi io e i miei familiari ci dividemmo nei vari conventi: Papa Pacelli aveva permesso che gli ebrei romani fossero ospitati in strutture cattoliche purché pagassero. Dalle suore di Ravasco c'erano altri ebrei, come l'attuale presidente dell'Ucei Renzo Gattegna con la madre, ma anche gentili, come la moglie di Roberto Rossellini con i figli Romano e Renzino che erano miei compagni di giochi. L'idea di "Roma città aperta" è nata in quei mesi".
  Da quella stanza all'ultimo piano nel pensionato Limentani vedeva tante cose. "Roma era oscurata: le finestre erano sigillate, i pali delle luci spente. Nelle strade gli agenti dell'Umpa avevano i caschi della guerra '1518. Sulla terrazza del Pincio c'era invece la Pai, la polizia dell'Africa italiana con le divise estive anche quell'inverno". Le truppe angloamericane intanto si avvicinavano a Roma: "Il colonnello Dollmann, vero capo dei tedeschi, viveva in una pensione a 5 stelle nella stessa strada del mio convento. Il pomeriggio del 3 giugno vedemmo una Mercedes decappottabile che veniva riempita di corsa con i suoi bagagli, e poi la sua fuga. Capimmo che qualcosa stava per accadere. La notte davanti a palazzo Koch vi fu uno scontro tra un carroarmato degli Alleati e truppe tedesche". Poi arrivò il 4 giugno. "Sentii gridare "ci sono gli alleati". Mi affacciai dalla solita finestra e sulla passeggiata del Pincio vidi delle divise grigioverdi come quelle tedesche. Erano soldati brasiliani che le avevano uguali a quelle del Fuhrer. Ricordo i battimani, i mezzi alleati che sfilavano in via del Corso, ma anche le botte per accaparrarsi i primi chewing gum, le caramelle col buco, la cioccolata, le sigarette diverse da quelle che fumavano gli italiani sotto il regime. Tanti si sentirono male. E poi le truppe inglesi e sui loro camion i soldati indiani, con le barbe e i turbanti. Gli americani di colore: non avevo mai visto un nero prima. Gli ufficiali però erano sempre bianchi". Infine il ritorno in via Dandolo: "Ci vollero 20 giorni. La casa era stata occupata degli sfollati. Nel nostro bagno c'era una gallina. Però eravamo felici di essere vivi, tutti assieme, e liberi".

(la Repubblica, 3 giugno 2014)


New York - Parata a sostegno di Israele

C'erano circa 35mila persone a sfilare lungo la Fifth avenue a New York nella tradizionale 'Celebrate Israel Parade', una parata a sostegno di Israele che dal 1964 si tiene ogni anno. Quest'annno fra i partecipanti, oltre a membri della comunità Lgbt e deputati membri della Knesset, c'erano il sindaco della Grande mela Bill de Blasio e il governatore democratico dello Stato di New York, Andrew Cuomo.

              lightbox gallery carousel by VisualLightBox.com v5.9m

(LaPresse, 3 giugno 2014)


"L'Autorità Palestinese sarà responsabile di ogni razzo da Gaza"

Israele riterrà responsabile l'Autorità Palestinese per "ogni razzo sparato da Gaza". Questa - secondo i media - una delle prime decisioni prese dal Gabinetto di Sicurezza, convocato oggi a Gerusalemme dal premier Benyanim Netanyahu a seguito del varo del governo di unità palestinese. Israele ha anche deciso di astenersi da "ogni negoziato con il nuovo governo palestinese".
Il gabinetto di sicurezza ha anche deciso di dare al premier Netanyahu ampia delega "per approntare ulteriori sanzioni" nei confronti dell'Autorità Palestinese, ribadendo che considererà questa responsabile per ogni violazione della sicurezza sia dalla Cisgiordania sia da Gaza.

(Corriere del Ticino, 2 giugno 2014)


Expo 2015 - Netanyahu: "Israele vuole esserci e ci sarà"

"Auguro all'Esposizione Universale di Milano un grande successo. Israele vuole esserci e ci sarà". Sono queste le parole con cui il Primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu ha salutato la delegazione di Expo Milano 2015, guidata dall'Ambasciatore Francesco Talò con il Commissario Unico Giuseppe Sala, che oggi a Tel Aviv ha partecipato alle celebrazioni per la Festa della Repubblica Italiana. "Mi congratulo con voi in questo giorno di festa nazionale - ha aggiunto Netanyahu, al termine dell'incontro tecnico con i vertici di Expo 2015 S.p.A. - e vi auguro il meglio". Tel Aviv è una delle 180 sedi diplomatiche - tra Ambasciate e Consolati - che oggi celebra il 2 giugno all'insegna del tema, delle sfide e delle opportunità aperte da Expo Milano 2015.
Si tratta di un'iniziativa globale che ha visto impegnati la rete diplomatica e le Istituzioni per promuovere a livello internazionale l'Esposizione Universale e l'Italia, terra di eccellenze agroalimentari, culturali, artistiche e paesaggistiche. Sedici sedi, in particolare, hanno organizzato appuntamenti dedicati, cui hanno preso parte rappresentanti del Governo, delle Istituzioni e del mondo della cultura e delle comunità di italiani residenti all'estero: da Abu Dhabi a Berlino, da Brasilia a San Paolo e Buenos Aires, passando per Los Angeles e San Francisco, Londra, Madrid, New York, Parigi, Vienna, Seoul, Tel Aviv, Tokyo e Washington. Alle cerimonie hanno partecipato il Ministro delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina a Berlino, il Ministro degli Affari Esteri Federica Mogherini a Vienna, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin a Washington e il Viceministro degli Affari Esteri Lapo Pistelli a Londra. Il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto Della Vedova è stato presente all'iniziativa organizzata a Seoul e il Segretario Generale del MAE Michele Valensise è intervenuto all'incontro di New York. Il Sindaco di Miano Giuliano Pisapia ha parlato dell'Esposizione Universale ad Abu Dhabi; il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ha partecipato alle celebrazioni a Berna; mentre il Commissario Generale del Padiglione Italia Diana Bracco ha preso parte alla cerimonia di Madrid.

(la Repubblica, 2 giugno 2014)


Alghero - Concerto di viola e pianoforte al Palazzo di Città

 
Il violista israeliano Yuval Gotlibovich
Continuano con successo I concerti di Primavera dell'Associazione Ellipsis che proporrà il prossimo mercoledì 4 giugno a Palazzo di Città ore 21 la performance del duo formato viola-pianoforte Gotlibovich- Rucli.
Si tratta di un duo formato dall'Israeliano Yuval Gotlibovich, uno dei violisti più richiesti della sua generazione, e dall'affermato pianista Andra Rucli.
L'impegnativo programma che il duo Gotlibovich - Rucli presenta al pubblico di Sassari spazierà dalla Fantasiestücke, op. 73 di R. Schumann, alla Sonata op. 120 n. 1 in fa minore di J.Brahms, per chiudere con la Sonata per viola e pianoforte op. 147 di Dmitri Shostakovich scritta dall'autore nel 1975.
Yuval Gotlibovich, vincitore di numerosi concorsi internazionali, svolge un'intensa attività concertistica in Europa, negli USA, in Canada e Israele. Come solista ha suonato con l'Orchestra Sinfonica di Gerusalemme, I Solisti di Tel Aviv, l'Orchestra da Camera Ostrobothnian e la Texas Festival Orchestra.
Come camerista collabora con rinomati artisti tra cui: Menachem Pressler, Marc André Haemlin, George Pludmahcer, Nobuko Imai e Janos Starker. Ha registrato per radio e televisioni quali BBC - Regno Unito, CBC - Canada, IBA - Israele, FRA - Francia, Deutschlandfunk - Germania e NPR - E.E.U.U.
E' regolarmente invitato in importanti festival cameristici tra cui Kuhmo in Finlandia, Round Top in Texas, Giverny e Vilefavard in Francia e nei congressi mondiali di viola. Andrea Rucli, pianista, è vincitore in numerose competizioni pianistiche e suona da più di venticinque anni sia come solista che in svariate formazioni cameristiche, collaborando con figure di primo piano del concertismo.
Ha partecipato a prestigiosi festival di musica da camera, ( Portogruaro, Settimana Musicale al Teatro Olimpico di Vicenza, di Kuhmo in Finlandia, della Società della Musica da Camera al Teatro dell'Ermitage di San Pietroburgo, del Sound Jerusalem in Israele, ecc.).
Ha registrato in cd brani cameristici di E. Chausson con i Cameristi di Verona, opere di Dvorak a 4 mani assieme al Mo Bogino, in prima assoluta un quartetto di Daniele Zanettovich, le due sonate di Robert Schumann e le romanze di Clara Wieck, assieme al violinista Lucio Degani. In prima mondiale ha registrato opere per pianoforte solo e di musica da camera della compositrice russa Ella Adaiewsky.

(Buongiorno Alghero, 2 giugno 2014)


In ricordo dei fatti di Bruxelles - "Suono e Segno" dedicato alla musica ebraica

CASALE-SINAGOGA — Cinque candele accese: la domenica alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato è cominciata così, con il gesto con cui nell'ebraismo si ricordano i defunti.
Ogni lume commemorava una vittima dell'attentato al museo ebraico di Bruxelles della scorsa settimana, più una luce a simboleggiare la vita. Una piccola, intima cerimonia a cui hanno partecipato rappresentanti delle forze dell'ordine che collaborano alla sicurezza della Comunità, istituzioni e rappresentanti politici. C'erano il colonnello Alessandro della Nebbia, Comandante provinciale dei Carabinieri che ha acceso la lampada insieme al figlio Leonardo, il sostituto commissario di Pubblica Sicurezza Angelo Mello, il vicesindaco Emanuele Capra che ha acceso la lampada insieme al candidato sindaco Titti Palazzetti. La fiamma dell'ultimo lume è stata per Giorgio Ottolenghi, Presidente della Comunità casalese e testimone diretto delle persecuzioni del nazismo. "Siamo qui per commemorare l'ennesimo episodio di violenza - ha spiegato - non solo contro di noi ma contro l'uomo. Sembra impossibile che si possano ancora ripetere cose simili dopo tutto quello che è successo, ma dice una storiella ebraica: siamo creati l'ultimo giorno, si vede che Dio aveva la mano stanca". Con Ottolenghi il vice presidente Elio Carmi.
Fatti come quello di Bruxelles non fermano l'attività delle Comunità Ebraiche in giro per il mondo e anche la Sinagoga di Casale è rimasta aperta, per i tantissimi turisti di questa domenica e per un atteso incontro culturale.

SUONO E SEGNO - Era infatti programmato il secondo appuntamento del ciclo "Suono e Segno" dedicato alla musica ebraica. Questa volta si è parlato soprattutto di Rossini, merito dell'ospite della giornata: il francese Pierre Levy che ha dedicato al maestro Pesare un libro su alcuni aspetti biografici inediti del compositore. Domenica ha rivelato come durante il periodo parigino di Rossini diversi brani delle sue opere divennero, con il suo placet e con parole cambiate, brani di musica ebraica regolarmente eseguiti nelle Sinagoghe. Una pratica che era piuttosto usuale nell'800. Levy non si è limitato a parlarne e con la bella voce e con il compositore, nonché direttore artistico dei questa rassegna, Giulio Castagnoli al pianoforte ha intonato diversi esempi.
Domenica 8 giugno pomeriggio la musica condivide la giornata con una presentazione letteraria. Alle ore 16,30 nel cortile delle Api si tratta di "Bele si ('Proprio qui') ebrei ad Asti" il libro di Maria Luisa Giribaldo e Rose Marie Sardi. Ne parleranno le autrici insieme al Senatore Franco Debenedetti che ne firma l'introduzione.
Le note ritornano la sera, alle 21 con il 3 appuntamento della rassegna: un concerto dedicato alle musiche di Schubert, Mendelssohn, Bloch con il trio formato da Giuseppe Locatto (violino), Amedeo Fenoglio (violoncello) e Giorgia Delorenzi (pianoforte). Introduzione di Nicola Davico.

L'ingresso a tutte le manifestazioni è libero.
Per informazioni: 0142 71807.

(Il Monferrato, 2 giugno 2014)


La Comunità ebraica di Trieste ha scelto: da Lisbona il nuovo rabbino

Eliezer Shai di Martino, 36 anni, sposato e padre di tre figlie, arriva a Trieste dopo otto anni di permanenza in Portogallo. Riferimento per tutto il Fvg.

di Claudio Ernè

Rav Eliezer Shai di Martino
La Comunità ebraica di Trieste si è data un nuovo rabbino. Si chiama Eliezer Shai di Martino, ha 36 anni, è sposato e ha tre figlie di 6, 7 e 8 anni di età. Il primo luglio si siederà alla scrivania dello studio posto al primo piano del Tempio di piazza Giotti. Dallo scorso novembre quello studio era desolatamente vuoto perché la stessa comunità aveva licenziato Itzhak David Malgarit, 64 anni, rabbino capo di Trieste dal 2007. «La nostra decisione è stata molto meditata e sofferta. Non siamo soddisfatti del suo operato. Nei rapporti tra comunità e rabbino c'è una necessità di interlocuzione diversa da quella che è stata fornita», aveva affermato pubblicamente il presidente della Comunità Alessandro Salonicchio. Nei sei mesi intercorsi dal licenziamento di Malgarit alla nomina di Eliezer Shai di Martino si è sviluppata su più versanti una intensa attività di ricerca, sondaggio e verifica, sfociata all'inizio dello scorso aprile in una visita conoscitiva "informale" del nuovo rabbino a Trieste.
Fino a qualche mese fa era infatti impegnato nello stesso ruolo a Lisbona, una comunità in cui, esattamente come nel capoluogo giuliano, convivono le due anime dell'ebraismo, la saferdita e quella askenazita.
Eliezer Shai di Martino due mesi fa si era incontrato con il Consiglio direttivo e aveva esposto le proprie idee e i propri propositi: poi era stata organizzata un'assemblea con gli iscritti alla Comunità. Esito positivo per entrambe le riunioni. Nei giorni scorsi l'ultimo atto, il vaglio del Consiglio rabbinico dell'Ucei. Ieri la nomina è diventata ufficiale. Di Martino, rabbino capo di Trieste opererà anche a Gorizia, Udine e Pordenone. In sintesi in tutto il Friuli Venezia Giulia. Va aggiunto che in più interviste non ha mai fatto mistero delle proprie idee. In primo luogo della sua adesione all'ebraismo ortodosso, maggioritario, se non egemone nel nostro Paese.
«Quando sono arrivato a Lisbona, la sinagoga era vuota. Negli ultimi cinque anni sono riuscito a portare un po' di pace alla comunità». E' orgoglioso dei risultati ottenuti negli otto anni di lavoro in Portogallo. «Dei trecento ebrei presenti nella capitale la maggior parte viveva lontana dal tempio».
Secondo Eliezer Shai di Martino, l'ebraismo «è un' identità nazionale religiosa e uno dei suoi componenti essenziali è rappresentato dalla lingua che ci ha tenuti assieme nei duemila anni di esilio. Oggi ogni ebreo proveniente da qualsiasi parte del mondo, può andare in qualsiasi sinagoga e seguire e partecipare alla preghiera.
Alla domanda sull'eguaglianza tra uomo e donna il nuovo rabbino di Trieste ha idee molto precise. «Se l'uomo e la donna sono uguali? Se così è non sarebbero marito e moglie.. in ogni caso la risposta è si, la donna nel giudaismo può studiare, pregare, insegnare, anche se le separazioni in certi momenti della vita ebraica implicano un certo livello di pudore e modestia».

(Il Piccolo, 2 giugno 2014)


Ebrei: 70o anniversario della riapertura del Tempio Maggiore di Roma

ROMA, 2 giu. - Il sindaco di Roma Ignazio Marino, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni prenderanno parte domani, alle 9.30, alla cerimonia che commemora il 70o anniversario della Riapertura del Tempio Maggiore di Roma dopo l'occupazione nazi-fascista. Lo fa sapere la comunità ebraica, spiegando che alla cerimonia interverranno, tra gli altri, Cesare Anticoli e Franco Forso, testimoni degli eventi della Liberazione.
Presenti il commissario straordinario della Provincia di Roma Riccardo Carpino, l'ambasciatore di Israele Naor Gilon, l'ambasciatore degli Stati Uniti d'America John R. Phillips, l'ambasciatore di Francia Alain Le Roy, l'ambasciatore della Gran Bretagna Christopher Prentice, l'ambasciatore del Marocco Hassan Abouyoub, l'ambasciatore della Polonia Wojciech Ponikiewski, il consigliere dell'ambasciata del Canada Marc Antonie Dumas e il ministro del Sud Africa Delina De Villiers-Steenkamp.

(Adnkronos, 2 giugno 2014)


Sale tensione sul Golan e a Gaza

Sale la tensione sulle alture del Golan dopo che la scorsa notte tre colpi di mortaio sono stati indirizzati dal territorio siriano verso fortini israeliani sul Monte Hermon. In reazione Israele ha fatto ricorso all'artiglieria. A Gaza l'aviazione israeliana ha compiuto un raid notturno dopo che dalla Striscia erano stati sparati colpi di mortaio verso un villaggio israeliano. Finora non si ha notizia di vittime. Secondo quanto riferisce la radio militare i colpi di mortaio che hanno raggiunto il monte Hermon sono stati sparati intenzionalmente da un'area siriana presidiata dalle forze di Bashar Assad rafforzate da Hezbollah libanesi. Ancora non e' noto se il fuoco dell'artiglieria israeliana abbia causato vittime fra di loro.
L'emittente ha anche rilevato che l'incidente avvenuto ai margini della striscia di Gaza coincide con la presentazione del nuovo governo di 'consenso nazionale' palestinese, fissata per oggi a Ramallah.

(ANSAmed, 2 giugno 2014)


Nuovo governo palestinese, Netanyahu convoca i ministri

"Abu Mazen si allea con assassini"

In seguito al giuramento del nuovo governo palestinese di 'consenso nazionale' il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha convocato per oggi il consiglio di sicurezza del proprio governo: lo anticipa Haaretz. Un ministro nazionalista (Uri Ariel, del partito 'Focolare ebraico') ha intanto pubblicato un duro comunicato in cui accusa il presidente palestinese Abu Mazen di aver oggi costituito "un governo terroristico assieme con assassini", ossia Hamas.

(ANSAmed, 2 giugno 2014)


Una "linea rossa" Mosca-Gerusalemme. E la relazione diventa speciale

Annunciata dal Cremlino una corsia preferenziale che eleva di rango i rapporti con Israele: l'atto formale arriva nel mezzo della crisi ucraina e anticipa di qualche settimana la prevista conclusione delle trattative del Gruppo 5+1 con Teheran sul nucleare.

di Maurizio Molinari

Il Cremlino annuncia la creazione di una "linea speciale di comunicazione" con il capo del governo di Israele con un atto formale che eleva di rango le relazioni fra i due Stati e, prima ancora, fra Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu.
La scelta di Mosca di rendere pubblico il debutto di una "linea diretta" fra i due capi di governo è accompagnata dalla precisazione che sarà "criptata", per sottolineare l'esistenza di informazioni bilaterali destinate ad essere protette anzitutto dalle intrusioni della "National Security Agency", la più importante agenzia d'intelligence degli Stati Uniti.
La "linea rossa" Mosca-Gerusalemme arriva nel bel mezzo della crisi ucraina, che ha visto il governo israeliano scegliere una posizione di neutralità rigettando le pressioni di Washington per un netto sostegno ai nazionalisti di Kiev, e anticipa di qualche settimana la prevista conclusione delle trattative del Gruppo 5+1 con Teheran sul nucleare. Putin è stato finora l'interlocutore più aperto alle posizioni di Teheran, in netto conflitto con le obiezioni di Gerusalemme, e la "linea rossa" potrebbe servire nel breve tempo ad armonizzare le differenze in coincidenza con la fase finale del negoziato.
Da qui l'ipotesi che Putin abbia intenzione di guidare il 5+1 all'intesa con l'Iran ma consultandosi con Netanyahu, nell'evidente intenzione di avvalorare l'accresciuto ruolo strategico in Medio Oriente. A ciò bisogna aggiungere che Mosca e Gerusalemme stanno negoziando, da dicembre 2013, accordi commerciali tesi a triplicare l'attuale interscambio di 2 miliardi di dollari l'anno grazie ad uno scambio fra alta tecnologia israeliana ed energia russa. Più in generale, la "linea rossa" nasce dall'intento di Israele di rafforzare i legami con Mosca - ed anche con Pechino- per bilanciare un indebolimento del ruolo degli Stati Uniti come garanti della stabilità in Medio Oriente. Si spiegano così anche le persistenti indiscrezioni sull'intenzione del presidente Abu Mazen di sondare il Cremlino come possibile interlocutore di nuove formule di negoziato con Israele.

(La Stampa, 2 giugno 2014)


Attentato al museo ebraico di Bruxelles. Trovato un filmato dell’attentatore



"Al Museo ebraico ho sparato io" Arrestato a Marsiglia il presunto autore dell'attentato al museo ebraico di Bruxelles di una settimana fa. L'arrestato, Mehdi Nemmouche, un francese di 29 anni originario di Roubaix, è stato fermato venerdì a Marsiglia e in un video si attribuisce la strage. Il Belgio ne ha già chiesto l'estradizione. Da Parigi il corrispondente Antonio Di Bella.

(Rai News, 2 giugno 2014)

*

Attentato al museo ebraico di Bruxelles. Quattro arresti a Parigi

La polizia fracese ha arrestato stamattina quattro persone, nella regione di Parigi e nel Sud dela Paese, per legami con "una filiera jihadista". Lo ha annunciato il ministro dell'Interno, Beranrd Cazeneuve. "Ci sono persone che reclutano degli jihadisti", ha spiegato il ministro ai microfoni di Europe 1, aggiungendo che "al momento in cui vi parlo, sono in corso degli arresti". Cazeneuve ha parlato di 4 fermati, ma non ha fornito alcun altro dettaglio.
   Intanto Mehdi Nemmouche, il francese armato di kalashnikov e di pistola arrestato a Marsiglia per la strage del museo ebraico di Bruxelles, si è attribuito la strage. In un video di 40 secondi sequestrato a Nemmouche, il sospetto inquadra le armi in suo possesso e si sente la sua voce che dice: "Al museo ebraico la telecamera non ha funzionato". Ma lui, però, continua a mantenere il silenzio, ha riferito il procuratore di Parigi, Francois Molins. L'uomo era stato condannato a sette riprese in Francia, e messo in carcere per cinque volte, in particolare a Lille (nel nord) e Tolone (nel sud). Fra le iscrizioni trovate sul telo che avvolgeva il kalashnikov sequestrato a Nemmouche, quella di "Stato islamico in Iraq e nel Levante", un gruppo jihadista attivo soprattutto in Siria, dove il sospetto ha soggiornato presso gruppi combattenti dalla fine del 2012 per oltre un anno "prima di far perdere le tracce".
   Nemmouche sarebbe stato in Siria nel 2013 con dei jihadisti. L'uomo ha 29 anni ed è originario di Roubaix, nel nord. Sarebbe stato schedato come seguace della jihad islamica in Siria dai servizi interni francesi (DGSI). Venerdi', si apprende, è stato posto in stato di fermo per omicidio plurimo in collegamento con un'impresa terroristica. Nemmouche, secondo fonti degli inquirenti, è il sospetto della strage del 24 maggio, quando quattro persone furono uccise nel Museo ebraico di Bruxelles. Sarebbe stato schedato come seguace della jihad islamica in Siria dai servizi interni francesi (DGSI). E' stato arrestato alla stazione ferroviaria marsigliese di Saint-Charles dai servizi doganali, che l'hanno trovato su un pullman proveniente da Amsterdam e Bruxelles. Aveva un fucile kalashnikov e una pistola con munizioni dello stesso tipo di quelli usati nella strage e una telecamera.
   I testimoni della strage, secondo la stampa belga, avevano riferito di un uomo con una macchina fotografica appesa alla tracolla di una delle sue borse. Molti avevano ravvisato un parallelo con Mohamed Merah, il killer di Tolosa, che nel marzo 2012 uccise tre paracadutisti poi tre bambini ebrei con il loro insegnante filmando le sue azioni con una telecamera. Altro indizio, un cappellino con visiera che il sospetto indossava al momento dell'arresto e che sembra simile a quello visibile sul capo dell'assassino nelle immagini della videosorveglianza diffuse dopo la strage.
   Il fermo di Nemmouche può durare fino a 96 ore, quindi fino a martedì ma può essere prolungato a 144 ore nel caso che gli inquirenti affermino che se il fermato venisse rilasciato si sarebbe in presenza di un'imminente minaccia terroristica.
   In vista dell'estradizione, la giustizia belga ha emesso un mandato d'arresto europeo, ha assicurato il portavoce del Tribunale federale belga Eric Van der Sypt, precisando che non si conoscono ancora i tempi dell'esecuzione dell'estradizione.

- Resta massimo il livello di allerta in Belgio
  "Il livello di allerta" terroristica in Belgio "resta immutato rispetto a una settimana fa", quando l'Ocam, che valuta il rischio alla sicurezza, lo ha aumentato al massimo livello, il 4. Lo ha affermato il procuratore federale del Belgio Frederic Van Leeuw dopo il fermo a Marsiglia del sospetto autore della strage del Museo ebraico a Bruxelles.

- Hollande, li combatteremo
  "Li combatteremo, li combatteremo, li combatteremo": lo ha detto il presidente francese, Francois Hollande, in una prima reazione all'arresto del presunto autore della strage di Bruxelles, un francese jihadista di 29 anni. "Voglio rendere omaggio ai doganieri - ha detto Hollande - ai poliziotti, per aver consentito questo arresto. Abbiamo la volontà di perseguire questi jihadisti e di evitare che possano nuocere e di evitare un loro ritorno a una guerra che non è la loro e non è la nostra. Li combatteremo, li combatteremo e li combatteremo".

(ANSA, 2 giugno 2014)


"Halla" il pane del sabato che ti regala amore e fantasia

Halla, il pane intrecciato dedicato allo Shabat che simboleggia la corona nuziale: in tutta la simbologia ebraica il sabato è paragonato alla sposa.

di Maureen Salmona

 
Si usa dire "buono come il pane", "guadagnarsi il pane quotidiano" … ebbene il pane è considerato il cibo per antonomasia. Ma il pane vuole dire anche gioia, condivisione e religiosità. Ci sono pani speciali che si preparano tradizionalmente per le festività e per le ricorrenze religiose: la "Halla" è uno di questi.
"Halla" è stato il protagonista della serata all'Hotel Melia di Milano organizzata da Wow Women of the World intitolata Halla Amore e Fantasia: 350 donne si sono riunite per realizzare questo tradizionale pane ebraico con lo spirito di mettere a confronto le varie modalità di esecuzione. Una ricetta antica che di generazione in generazione viene insegnata alle proprie figlie dalle mamme e un pane che viene sfornato per accogliere lo Shabat, il sabato ebraico, una delle ricorrenze più importanti dell'ebraismo. La "Halla" è un pane molto simile al pan brioche ma è meno dolce e più compatto ed adatto ad ogni occasione, sia ai pasti sia per colazione o merenda. È intrecciato perché simboleggia la corona nuziale: in tutta la simbologia ebraica, infatti, il sabato è paragonato alla sposa.
Le ricette sono spesso legate alle tradizioni famigliari, ma nota importantissima nella preparazione originale è non mescolare derivati del latte con la carne. Questa la ricetta base:
Ingredienti:
  1 cubetto di lievito
  1 1/3 bicchiere di acqua tiepida
  1/3 bicchiere di zucchero
  2 cucchiai di sale
  1 uovo
  4 bicchieri di farina
In una ciotola sciogliere il lievito nell'acqua tiepida. Aggiungere lo zucchero e attendere qualche minuto finchè inizia a fare le bolle.
Aggiungere il sale,l'olio e l'uovo. Mescolare. Gradatamente aggiungere la farina, un bicchiere alla volta mescolando dopo ogni aggiunta. Quando il composto inizia a prendere consistenza, iniziare a lavorare l'impasto fino ad ottenere un impasto elastico e non appiccicoso. Infornare nel forno preriscaldato a 180 gradi per circa 30 minuti.

(Corriere della Sera, 2 giugno 2014)


Ebrei, si festeggia Shavuot

Dal 3 al 5 giugno, cinquanta giorni dopo Pesach, le comunità ebraiche di tutto il mondo festeggeranno Pentecoste, la festa delle Settimane: nota anche come festa delle primizie o della mietitura, la celebrazione comprende letture bibliche e festeggiamenti comunitari.

a cura di Ambra Marchese

La parola ebraica che identifica la festa di Pentecoste è Shavuot, che significa "settimane". Questa festività cade cinquanta giorni dopo Pesach, la Pasqua ebraica, precisamente dopo sette settimane. In seguito all'offerta prescritta per Pesach, dopo il sabato, si dovevano contare altri sette sabati interi, giungendo così alla celebrazione di Shavuot. Per questo motivo, infatti, essa viene anche chiamata festa delle Settimane, includendo il periodo di tempo che porta da Pasqua a Pentecoste (dal greco pentekosté, cinquantesima). Inoltre, essa viene definita anche Festa delle primizie (Hag Abicurìm) o della mietitura (Hag Hakazìr) ed è ampiamente descritta in Levitico 23:9-14.
  Ai tempi della Bibbia la festa di Pentecoste veniva fissata anno dopo anno, calcolando i giorni che seguivano la Pasqua; oggi, in base al sistema scientifico di calcolo stabilito da Hillel II, Shavuot cade sempre tra il 6 ed il 7 del mese di Sivan (maggio-giugno) e dura due giorni. È una delle tre feste di pellegrinaggio prescritte dalla Bibbia, insieme a Pasqua e alla festa dei Tabernacoli (Esodo 23:14-17).
  Oltre al collegamento alla mietitura e al raccolto agricolo, secondo la Torah orale ebraica Pentecoste è connessa al dono dei Dieci Comandamenti dati da Dio a Mosè sul Monte Sinai/Horeb, e per tale ragione rappresenta un giorno particolarmente gioioso. Per i cristiani Pentecoste è connessa anche al dono dello Spirito sui primi discepoli di Gesù, che portò alla formazione della prima chiesa. È interessante notare come Dio scelga dei giorni particolari per agire nelle vite degli uomini e del suo popolo.
  Nel 2014 Shavuot cade dal 3 al 5 giugno. Durante la festa gli ebrei si astengono dal lavoro, proprio come avviene durante lo Shabbat. Il 3 giugno (il giorno 5 del mese di Sivan) si celebrerà la vigilia di Pentecoste, durante la quale gli ebrei si adoperano nel decorare con fiori e rami le sinagoghe e le proprie abitazioni, ricordando il profumo diffusosi attorno al Sinai durante il dono dei Comandamenti; le donne, inoltre, accendono le candele per dare il via alla festa. Dopo le preghiere della sera, le famiglie gioiscono insieme con un pasto festivo, introdotto dalla recitazione del Kiddush (una particolare benedizione su vino e cibo).
  Durante la notte della vigilia è usanza tra gli ebrei rimanere svegli fino all'alba dedicandosi allo studio della Torah (Antico Testamento), in particolare del libro dei Salmi e del Cantico dei Cantici. Il primo giorno di Pentecoste (6 di Sivan) il popolo si reca alla sinagoga per ascoltare la lettura dei Dieci Comandamenti, in ricordo del dono della Legge che Dio fece a Mosè e a tutto il popolo. Proprio come il giorno precedente, si effettua il Kiddush seguito dal pasto festivo.
  Il 5 giugno (7 di Sivan), secondo giorno di Pentecoste, si leggeranno passaggi biblici da Deuteronomio 15-16 e Numeri 28. Inoltre nella ricorrenza vengono ricordati i defunti cari a ogni famiglia e ci si impegna a praticare la carità. Come di consueto viene recitato il Kiddush seguito dal pasto festivo, e alcune comunità in questo giorno si dedicano anche alla lettura del libro di Ruth. Allo spuntare delle stelle, la festività termina.
  Per Shavuot vengono consumati pane e molti latticini, in accordo con la tradizione secondo la quale «la Torah ha il sapore di latte e miele». Tra i cibi consumati vi sono i latkes (pancakes) al formaggio, la crostata alla crema di latte e quella di ricotta, la cheesecake, il malabi (budino di latte di origine turca), le blintzes di tradizione ashkenazita (crêpes ripiene di ricotta) ed il labna (formaggio acido a base di yogurt).
  La tradizione degli ebrei italiani prevede inoltre la preparazione di un dolce chiamato Monte Sinai, che consiste in una pasta di marzapane preparata con delle uova filate e cedri canditi, caratterizzato da un particolare profumo di fiori d'arancio.

(Evangelici.net, 2 giugno 2014)


Muro antiterrorismo con filo spinato proteggerà il traffico nel Canale di Suez

Negli ultimi mesi sono state colpite tre navi in transito. L'opera costerà 200 milioni di dollari.

II CAIRO - L'Egitto ha avviato la costruzione di un doppio muro di protezione anti-terrorismo lungo gran parte del Canale di Suez. Lo si è appreso da fonti nel Sinai che hanno ricordato come negli ultimi mesi siano stati compiuti tre attacchi a navi in transito, a dimostrazione di una situazione di crescente pericolo in un'area strategica per il trasporto internazionale delle merci e del petrolio.
Secondo queste fonti, la barriera sarà lunga 320 km e verrà costruita in otto mesi sui due lati di un tratto di 160 chilometri del canale. La costruzione del muro, alto fra i quattro e i sei metri, costerà circa 200 milioni di dollari.
Lo strategico canale artificiale navigabile scavato nella seconda metà del XIX secolo ad ovest della penisola del Sinai collega il Mediterraneo col Mar Rosso e, in seguito ai lavori di allargamento eseguiti nel 2010, misura attualmente 193 km di lunghezza e 205/225 metri di larghezza.
Il muro sarà munito alla sommità di due metri abbondanti di filo spinato e, ogni chilometro, di una torretta di controllo dotata di visori notturni, precisano fonti della società incaricata di costruire l'opera. Le torrette saranno concentrate soprattutto sulla riva est.
Fonti della sicurezza, senza precisare date, hanno segnalato che il primo dei tre attacchi che hanno spinto a lanciare la costruzione dell'opera è stato portato da cecchini appostati nell'area di Ismailia. Un secondo attacco, doppio, era stato compiuto l'estate scorsa e rivendicato da un gruppo jihadista: secondo le fonti, che forniscono dettagli su un episodio reso noto a fine agosto, era stato bersagliato un cargo indiano e uno cinese era stato colpito da lanciarazzi.
«Di recente», hanno precisato le fonti, sono state prese di mira alcune imbarcazioni tra Ismailia e Port Said e un cargo è stato nuovamente colpito da granate lanciate con razzi.

(il Giornale, 1 giugno 2014)


Europa, se ritorna l'antisemitismo

Come 70 anni fa, si riaffaccia l'odio verso gli ebrei. Una riflessione tenuta nel Teatro Olandese di Amsterdam dove Etty Hillesum assisteva agli spettacoli e che divenne il luogo di raccolta verso la deportazione.

di Klass A.D. Smelik*

Klass A.D. Smelik
Il 25 giugno 1942, un giovedì, Etty Hillesum venne in questo teatro e assistette a uno spettacolo di rivista della compagnia di Willy Rosen e, in quanto buona amica di Werner Levie, il direttore commerciale del teatro, ebbe la possibilità di incontrare alcuni celebri artisti che vi si esibivano. Quegli artisti avevano una caratteristica in comune: erano ebrei. E lo erano anche gli spettatori. All'Hollandse Schouwburg, che vuol dire "Teatro Olandese", in quei giorni fu imposto un altro nome: si chiamò da allora in poi "Teatro Ebraico".
   Fu una misura decisa dall'occupante tedesco. Agli ebrei non era più consentito di entrare nei teatri frequentati da non-ebrei, come agli artisti ebrei non era più consentito di esibirsi davanti ai non-ebrei. Avrebbero potuto mostrare il loro talento, al cospetto di un pubblico formato esclusivamente da ebrei, solo nel Teatro Ebraico. Il provvedimento andava a inserirsi nella strategia nazista volta a isolare gli ebrei e, in quanto tale, costituì la fase iniziale del percorso che li avrebbe condotti alla deportazione e allo sterminio. Poco tempo dopo il teatro venne utilizzato in un'altra maniera, radicalmente diversa: diventò il luogo di raccolta degli ebrei di Amsterdam che erano in attesa della deportazione verso i campi di Westerbork e Vught. I bei tempi del "Teatro del Sorriso", come fu denominato il genere delle riviste presenti nel suo cartellone, erano finiti per sempre. [...]
   Durante gli anni dell'occupazione nazista persero la vita oltre centomila ebrei olandesi, che furono in gran parte uccisi nei campi di sterminio polacchi. Qui, nel Teatro Olandese, lo stesso luogo dove molte migliaia di ebrei restarono qualche tempo in attesa della deportazione, desideriamo ricordare insieme quelle vittime e, insieme a loro, ricordiamo anche tutte le altre vittime dell'aggressione che subirono dal regime tedesco e da quello giapponese. Ora vorrei procedere utilizzando tre spunti che ci vengono forniti dalla tradizione ebraica.
   In primo luogo, ci si chiede sovente perché commemorare eventi che la maggior parte di noi non ha vissuto - nemmeno io. Non sarebbe meglio dimenticare un passato del genere? Il passato non è una faccenda chiusa, ma continua a vivere in noi. Anche quel che è successo durante la seconda guerra mondiale non è qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle, fa invece parte della nostra interiorità. Ciò vale in modo particolare per la persecuzione degli ebrei d'Europa alla quale abbiamo dato il nome Shoah, che in ebraico significa "distruzione". La Shoah, a differenza di quanto i nazisti speravano sarebbe successo allorché, alla fine della guerra, cercarono di far sparire ogni traccia dei campi di sterminio, non è caduta nell'oblio; viene anzi commemorata in moltissimi modi. Oggi si cerca di porre al centro dell'attenzione la vittima in quanto individuo. Sei milioni di morti costituiscono qualcosa di inimmaginabile, mentre commemorare l'assassinio di persone delle quali conosciamo il nome e le vicende costituisce un atto molto concreto che evoca non di rado un'istintiva reazione di tristezza, rabbia, incredulità e dolore. [...]
   In secondo luogo si tratta di effettuare una distinzione, alla quale la tradizione ebraica tiene in modo particolare. Ogni settimana, alla fine dello Shabbat, ha luogo una cerimonia in cui tale distinzione occupa un posto di rilievo e si distingue tra lo Shabbat e gli altri giorni della settimana, tra sacro e profano, tra luce e tenebre. La cerimonia si chiama Havdala, un termine derivante da una radice ebraica che significa appunto "distinguere". Un nome assai appropriato. Che cosa ci insegna il rituale dell'Havdala ? Tra quali cose occorre distinguere? Negli ultimi anni si è sentito dire che la Commemorazione nazionale dei Defunti deve essere estesa ai soldati tedeschi seppelliti in Olanda, i quali dovrebbero essere ricordati in quanto tali. Questo il parere di alcuni, che hanno fatto seguire alle parole i fatti. Non si tratta certamente di un'opinione condivisibile. Distinguere le vittime dai loro assassini è essenziale per commemorare davvero i crimini che sono stati commessi. Chi vuole ricordare tutti, di fatto non ricorda nessuno.
   Ci poniamo in terzo luogo questa domanda: che cosa significa commemorare? La tradizione ebraica ci propone una chiara indicazione anche riguardo a questo tema. Commemorare è fare, ecco il suo insegnamento. Ricordarsi di qualcuno non equivale a commemorarlo. La commemorazione dei morti costituisce la base dell'agire. Il ricordare è importante, ma non sufficiente.
   Ci si chiede quale fosse il senso di quello che è successo durante la Seconda guerra mondiale. La Shoah ebbe un senso? [...] La questione è stata importante anche per Etty Hillesum, che intendeva essere la cronista del suo tempo e, in due lettere, ha descritto le vicende del campo di Westerbork in maniera così penetrante da imprimere indelebilmente nella memoria dei lettori il passo in cui descrive la partenza per Auschwitz di un convoglio, lo stesso convoglio che due settimane più tardi deporterà in quel campo di sterminio anche lei e la sua famiglia.
   Ma c'è di più. Emerge, dal diario, quanto Etty Hillesum avesse a cuore le generazioni future che, nel costruire il proprio avvenire, avrebbero dovuto trarre profitto dalle sue esperienze e da quelle degli altri ebrei perseguitati in maniera da non dover ricominciare da zero. Sarebbe stato perciò necessario sviluppare un pensiero nuovo, sostenne la Hillesum. Noi che ci troviamo qui apparteniamo in gran parte a una generazione successiva e dobbiamo chiederci se quelle nuove concezioni siano state elaborate. O non c'è purtroppo dell'altro, per esempio il ritorno di qualche vecchia idea, quando notiamo che gli ebrei tornano a essere vittime dell'antisemitismo?
   La commemorazione dei morti racchiude in sé l'agire. Ciò significa che dobbiamo stare in guardia e osservare quel che succede nel mondo. Ci sono luoghi nei quali alcuni gruppi di persone vengono emarginati? Luoghi nei quali si predica l'odio? Quale alternativa è possibile contrapporre al pensiero schematico che intende dividere il mondo tra amici e nemici? E qui, nel Teatro Olandese, ci sentiamo incalzati in particolare da una domanda: come possiamo combattere in modo efficace il recrudescente antisemitismo? La risposta sta nell'atto stesso del commemorare, ed è per questo che siamo venuti qui. Il nostro ricordare i morti implica che stiamo facendo quanto è necessario per onorare la loro memoria. E implica inoltre che dobbiamo continuare a lottare contro il male che ne ha provocato la distruzione. La loro memoria diventerà così, per noi, una benedizione.


* Docente di Ebraico antico e di Cultura e tradizione dell'ebraismo all'Università di Gand, Klaas A.D. Smelik è il direttore del Centro studi "Etty Hillesum" (Ehoc) attivo nello stesso ateneo. In questa veste è curatore dell'edizione critica olandese delle opere della stessa Hillesum, tra cui le Lettere (1941-1943) apparse lo scorso anno da Adelphi. Smelik è inoltre autore del saggio II concetto di Dio in Etty Hillesum in uscita presso Apeiron (pagine 64, euro 6,90). In questa pagina proponiamo il testo della conferenza tenuta da Smelik nel cortile della Hollandse Schouwburg ("Teatro Olandese") di Amsterdam il 4 maggio scorso, in occasione della Commemorazione nazionale dei Defunti, durante la quale si ricordano tutte le vittime della guerra: gli ebrei, i sinti e rom assassinati, i partigiani e i militari morti in combattimento.

(Avvenire, 1 giugno 2014 - trad. Gerrit Van Oord)


Luciano Tas, l'idea laica dell'ebraismo

Luciano Tas
L'«Officina»di questa settimana non parlerà di un libro di un saggio, ma è dedicata al ricordo di Luciano Tas, una straordinaria figura di intellettuale e uomo d'azione. Tas ha dedicato l'intera vita - una vita avventurosa, scandita da atti di coraggio - alla difesa della causa laica dell'ebraismo, opponendo i valori civili della tolleranza e della democrazia liberale alla deriva dell'intolleranza e al pregiudizio in cui troppo spesso affioravano gli stereotipi antisemiti. Allora come oggi. La comunità ebraica italiana deve tanto alla passione di Luciano Tas e a quel gioiello che è stato negli anni più difficili la rivista «Shalom», diretta dalla moglie Lia Levi, a sua volta apprezzata scrittrice e saggista. Le battaglie di «Shalom» hanno difeso e salvaguardato alcuni principi di fondo che rischiavano di essere spazzati via nel fuoco di polemiche che hanno investito, come sappiamo, il diritto alla vita di Israele dalla guerra dei Sei Giorni nel'67 in poi. C'era stata in precedenza la guerra d'indipendenza del '48, ma era un altro scenario internazionale. Nel '67 e negli anni successivi si vive un dramma coincidente con la frattura fra Israele e la sinistra europea e italiana, quest'ultima sensibile - tranne rilevanti eccezioni - alle ragioni della politica di potenza sovietica. Per tanti ebrei è un trauma, una ferita che è destinata a non rimarginarsi facilmente. Negli anni della Seconda guerra mondiale l'Urss era vista come l'antemurale contro il nazismo, in seguito Mosca era stata la prima capitale a riconoscere il governo di Israele. Tas già non aveva più illusioni, aveva abbandonato il Pci nei primi anni Cinquanta ma il divorzio fra Israele e la sinistra di derivazione marxista fu un evento sconvolgente. Ecco allora la lunga battaglia in difesa degli ebrei russi e del dissenso democratico in Urss, spesso due volti della stessa medaglia. Come era ben testimoniato in quegli anni anche da un'altra voce che merita il ricordo, quella di Lia Wainstein. Tas si mosse sempre, con la forza delle sue opinionie senza paura di restare in minoranza, nel solco di una sinistra laica e riformatrice, in quell'ambiente intellettuale che si era riconosciuto nelle pagine del «Mondo» e che aveva poi trovato un'altra casa nella «Voce Repubblicana» di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini.

(Il Sole 24 Ore, 1 giugno 2014)


Gates «cede» alle pressioni per boicottare gli israeliani

di Davide Frattini

Le telecamere della G4S sorvegliano i palestinesi fuori e dentro le prigioni. Li seguono quando passano attraverso i controlli di un posto di blocco israeliano, li ispezionano a distanza dalle torri militari di cemento grigio. La multinazionale britannica conta 620 mila dipendenti globali (6 mila nello Stato ebraico) e investitori da tutto il mondo: fino a pochi giorni fa anche Bill Gates che nel 2013 aveva comprato azioni per 135 milioni di euro, poco più del 3 per cento. Le ha vendute tutte o in gran parte e la decisione sarebbe arrivata sotto la pressione del movimento per il boicottaggio. O almeno è quello che proclamano gli attivisti: avevano raccolto 14 mila firme per provare a convincere il fondatore della Microsoft. L'uomo più ricco del pianeta non ha spiegato le ragioni del disinvestimento, era stato criticato anche perché aveva acquistato le azioni della società di sicurezza attraverso il suo fondo privato Cascade Investment e soprattutto la Bill e Melinda Gates Foundation, che dovrebbe occuparsi di iniziative benefiche. La campagna è la stessa che ha bersagliato Scarlett Johansson per aver accettato di pubblicizzare gli elettrodomestici della SodaStream, la cui fabbrica sta a Mishor Adumim, una zona industriale collegata a uno dei più grandi insediamenti israeliani in Cisgiordania. L'attrice non ha ceduto e ha rinunciato al ruolo di ambasciatrice per Oxfam, l'organizzazione umanitaria britannica. Gates avrebbe invece dato ascolto all'appello dei gruppi che spingono per interrompere le relazioni — non solo economiche, sotto attacco sono anche le università — con Israele. Un anno fa l'Unione Europea ha pubblicato le nuove linee guida da seguire nei rapporti economici con lo Stato ebraico. Fissano le regole per prestiti o finanziamenti da parte della Commissione e per la prima volta prescrivono che ogni intesa venga accompagnata da una clausola: quei soldi non possono finire ad atenei, società, istituzioni al di là della Linea Verde, perché — precisa il documento — gli insediamenti in Cisgiordania o a Gerusalemme Est non fanno parte dello Stato d'Israele. La stessa G4S ha annunciato di non voler rinnovare i contratti per la prigione di Ofer e le caserme di polizia nei territori occupati. I diplomatici europei non parlano di embargo o sanzioni, ma il rischio di ritorsioni comincia a preoccupare il governo di Benjamin Netanyahu: il premier sa di non aver più la copertura delle trattative con i palestinesi, bloccate alla fine di aprile.

(Corriere della Sera, 1 giugno 2014)


Notizie archiviate



Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.