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Notizie 1-15 settembre 2015


Comunità Ebraica di Roma: Ruth Dureghello prima donna presidente

Conosciamo meglio la nuova Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, prima donna a ricoprire questo incarico dopo oltre duemila anni di vita della Comunità stessa.

di Francesca Biliotti

E' Presidente della Comunità Ebraica dalla fine di giugno, al posto di Riccardo Pacifici che l'ha guidata negli ultimi sette anni. E' la prima donna in assoluto a ricoprire questo incarico, in oltre duemila anni di vita della Comunità stessa. A lei non piace fare distinzioni di genere, uomini o donne, vecchi o giovani, non importa, perché, dice, "Dedicarsi alla Comunità significa lavorare per il nostro futuro, per i nostri figli e nipoti, e i figli dei nipoti". Eppure qualche brivido in più lo ha provato, confessa, parlando in Sinagoga davanti al Presidente di Israele Reuven Rivlin.
Quarantotto anni, laureata in giurisprudenza, sposata e madre di due figli, Ruth è cresciuta nell'ambiente comunitario ed ha sempre avuto un ruolo attivo nelle istituzioni ebraiche: è in tutto e per tutto una professionista della Comunità, piena di entusiasmo e voglia di fare. Fino a diventare afona, com'è stato evidente alla serata per il Presidente israeliano. Ciò non le ha impedito di tenere un lungo discorso, e di ribadire sostegno a Israele, sempre.
Video

(SMTV San Marino, 15 settembre 2015)


Gli ebrei nemici degli ebrei

L'attività delatoria del triestino Grini, le invettive antisemite di Umberto Saba.

di Paolo Mieli

Per anni nel secondo dopoguerra passò di bocca in bocca la voce che da qualche parte a Trieste fossero nascosti cinque forzieri che contenevano beni sequestrati dai nazisti agli ebrei (gioielli, orologi, persino protesi dentarie in oro) e poi lì abbandonati al momento della disfatta dell'esercito hitleriano. Forse in attesa di tempi migliori nei quali chi sapeva di quel tesoro avrebbe potuto recuperarlo. E di qui che prende le mosse un libro assai avvincente di Roberto Curci, Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista, in procinto di essere pubblicato dal Mulino.
  Nel 1997, racconta Curci, «quasi per incanto si scoprì che in effetti le cinque casse colme di oggetti preziosi e personali... non erano fantasia o leggenda, e non giacevano in qualche segreto rifugio dei numerosi nazisti sfuggiti alla cattura, ma erano a Roma, alla Tesoreria centrale dello Stato». Quei beni furono restituiti all'Unione delle comunità ebraiche dall'allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, che rilevò la pochezza di quel «risarcimento» e, nella cerimonia dedicata alla restituzione, disse che non si trattava di gioielli e altri preziosi, bensì di un «tesoro di memorie e di sofferenze».
  La vita delle comunità israelitiche dell'Italia nordorientale era stata particolarmente drammatica ai tempi dell'occupazione nazista successiva all'armistizio del 1943. Giuseppe Iona, clinico di grande fama nonché presidente della Comunità ebraica di Venezia, il 17 settembre del 1943 si tolse la vita con un'iniezione di morfina, per non essere costretto a consegnare ai nazisti l'elenco aggiornato dei concittadini ebrei. Due mesi dopo, il 10 dicembre, «Il Gazzettino» giustificherà le persecuzioni naziste sostenendo che gli ebrei «nemici occulti o aperti, comunque mai smascherati, non potevano più vivere liberamente fra noi, troppo di questa libertà essi hanno in ogni tempo e in ogni circostanza approfittato». «Isolati nei campi di concentramento», proseguirà il giornale veneziano, «la loro azione sarà stroncata ... e con i loro beni (si provvederà) ai più urgenti bisogni dei nostri fratelli colpiti dal terrorismo aereo». «La congiura giudaica aveva tirato troppo la corda, oggi la corda si è definitivamente rotta ed ha portato ai colpevoli il giusto castigo», concludeva l'articolo. E per gli ebrei fu l'inizio della fine. Una fine che fu resa ancora più atroce da alcuni casi di delazione.
  Il 16 agosto del 1944, due dei cinque figli di Adolfo Luft e Teresa Ribarich si imbatterono alla stazione di Venezia in un loro correligionario «che conoscevano fin troppo bene». E uno dei due, non si sa se Adolfo o Ignazio, gli urlò: «Farabutto! Sappiamo che tu, ebreo, denunci gli ebrei!». Il destinatario di quelle accuse era Mauro Grini. Chi era l'uomo a cui era stato indirizzato quel grido e che «ancor oggi, per la comunità ebraica di Trieste, è «l'innominabile»?
  Su Grini e sulle sue nefaste imprese, osserva Curci, «esiste ben scarna letteratura, cui fa comunque velo una diffusa, prudente reticenza, forse frutto di insondabili meccanismi di rimozione». Per «il delitto plurimo di cui si macchiò - magari lamentandosi della propria malasorte - mancò, e continua a mancare, un davvero plausibile movente». Né vale la pena di ricorrere a «opinabili verdetti psicoanalitici», alla «trita diagnosi dell'odio di sé, ovvero dell'antisemitismo semita ... o a ipotesi di distorsioni dell'Io, di presunte esigenze di riscatto (o ritorsione) personale o sociale, difficilmente però attribuibili al dissipato giovanotto Grini, amante della vita agiata e - così affermava chi lo conobbe - delle belle automobili».
  Su di lui resta una scheda diffusa dal Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia, datata 1o marzo 1945 e destinata all'«attenzione» dei partigiani, che pubblicò Mimmo Franzinelli nel documentatissimo libro Delatori (Mondadori). c'è scritto che Mauro Grini è «specializzato» nella consegna alle SS dei suoi correligionari. Ne ha fatto catturare trecento a Trieste, un centinaio a Venezia e a Milano «continua con una media di due al giorno». «Percepisce settemila lire per ciascun ebreo che fa arrestare». «A Milano è in compagnia di due tedeschi, gira al centro e specie in Galleria».
  Il nostro personaggio non risparmia neanche i suoi parenti più stretti. Sarebbe stato proprio lui, scrive Curci, «per disumano rancore nei confronti della sua medesima famiglia e in particolare del padre, a denunciare e a far rastrellare i Grini, a metà del '44, proprio mentre il capofamiglia Samuele assieme alla moglie e al secondogenito stava meditando la fuga da Trieste e raccogliendo i mezzi necessari a propiziarla». Ma, secondo la testimonianza di Bruno Maestro, era stata una messa in scena: l'intera famiglia Grini si trovava sì nella Risiera di San Sabba, ma godeva di un «trattamento preferenziale». Di più: la madre cieca di Mauro Grini, Cornelia Coen Luzzatto, dotata di un'eccellente memoria, «collaborava ai rastrellamenti degli ebrei operati dal figlio Mauro, perché lo informava di quanti elementi ciascuna famiglia si componesse, così che nessuno potesse sfuggire e salvarsi». I Grini nel campo «godevano di un trattamento di eccezionale favore», testimonierà anche Enrico Breiner al giudice Sergio Serbo nel processo che si terrà nel giugno del 1967. In un successivo dibattimento giudiziario, celebrato nel 1976, il giudice fu costretto a mettere a verbale che nel dopoguerra, a Trieste, tutti i familiari dell'informatore «invero (e ingiustamente) furono considerati, e non solo nell'ambiente ebraico, quali beneficiati dall'opera di delazione e persecuzione svolta dal Mauro Grini». A cominciare dal fratello Carlo e da sua moglie Lidia Frankel.
  Mauro Grini, in ogni caso, non si sarebbe limitato a prendere soldi dai tedeschi. Affiancato da una sua «donna-complice», Maria Collini, aveva offerto talvolta protezione alle sue vittime. Ma «spesso e volentieri incassa e poi tradisce, ossia garantisce di proteggere o salvare e poi non lo fa: chiede diecimila lire per evitare la deportazione del padovano Carlo Sommermann, che invece finisce in qualche campo di sterminio e non ne fa ritorno». Poi «arraffa quanto può nelle case di coloro che fa catturare: denaro, gioielli e capi di vestiario nell'abitazione di Simone Levi; libretti di banca "per l'ammontare di parecchie centinaia di migliaia di lire" in quella della famiglia Trevi», finita poi in Risiera; «centomila lire, gioielli e vestiti nell'appartamento di Paolo Macerata, deportato e scomparso; mentre in quella della maestra Grünwald Levi, appena fatta arrestare, "asportò subito un vestito da uomo e vari capi di biancheria"». Spesso le vittime lamentano di non avere più soldi. La sua minacciosa risposta è sempre la stessa: «Non la ga più schei? Ben, femo finta de crederghe». E - come ricorda lo storico Marcello Pezzetti ne Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto (Einaudi) - molti ricorderanno di avergli sentito pronunciare quelle parole. Alle quali poi seguiva inesorabilmente un destino di deportazione e di morte.
  Su che fine abbia fatto Mauro Grini le voci sono state contraddittorie. Ucciso dai tedeschi al momento della ritirata dalla Risiera perché «sapeva troppo». Ammazzato dai partigiani, come riferì il fratello. Qualcuno riferì di aver visto la moglie vestita a lutto. Altri di averlo intravisto a Milano con i capelli tinti. Incrociando questi elementi, scrive Curci, «è impossibile sottrarsi al sospetto che, ben lungi dall'essere stati uccisi, Mauro e Maria avessero deciso, di comune accordo, di imbastire una lugubre e beffarda commedia». E avessero continuato a vivere lontani da Trieste.
  Un destino per certi versi simile a quello di Celeste Di Porto, la «pantera nera» di Piazza Giudia a Roma (l'attuale Piazza delle Cinque Scole), che aveva svolto un ruolo analogo a quello di Grini a danno degli ebrei della capitale e che, a guerra finita, se l'era cavata con condanne di modesta entità. Ed è su Celeste Di Porto che il Curci opera una congiunzione con la figura di un altro ebreo triestino, il poeta Umberto Saba (al secolo Umberto Poli), che aveva una libreria nella Via San Nicolò di cui al titolo del libro. Libreria per la quale passarono alcuni protagonisti di questa vicenda e che collega il tutto a Grini. La figura della Di Porto - ben raccontata da Giuseppe Pederiali in Stella di Piazza Giudia (Giunti) - intrigò Saba, il quale per lei scrisse che «odio, amore, sangue - nella vita e nella poesia - si mescolano più che non si creda; specialmente in epoche, come la nostra, turbate» .
  Saba (e di questo parla approfonditamente Stelio Mattioni in Storia di Umberto Saba, edito da Camunia) era riuscito a sottrarsi alle leggi razziali grazie a diverse mediazioni e intercessioni - Enrico Falqui, Curzio Malaparte, Giuseppe Ungaretti, Ardengo Soffici, Giuseppe Bottai. In una lettera a Mussolini (del gennaio 1939) il poeta chiedeva di «essere considerato a tutti gli effetti morali e di legge, quello che veramente mi sento di essere: un cittadino e uno scrittore italiano, di razza italiana».
  Dopodiché, come ha scritto Giorgio Voghera - parlando del suo «antisemitismo nevrotico» nel libro Anni di Trieste (Editrice Goriziana) -, «le disumane angosce del periodo razziale crearono in lui una speciale insofferenza per un gruppo umano a cui egli non sentiva e non desiderava di appartenere, e un più accentuato atteggiamento critico, e quasi di repulsione, per gli ebrei, sui difetti dei quali la sua attenzione veniva ... particolarmente attratta, tanto da considerarli almeno in parte responsabili delle sciagure che li avevano colpiti e che avevano indebitamente coinvolto anche lui».
  Questi suoi sentimenti contraddittori affiorano nello scambio di lettere (1946-1949) con lo psicanalista Joachirn Flescher, che per primo ha occasione di constatare l'atteggiamento del letterato ostile al mondo ebraico. Il 14 marzo del 1949, Saba gli scrive: «Gli ebrei in quanto tali, la cui maggiore responsabilità consiste nell'essere stati i maggiori apportatori nel mondo del senso di colpa, cioè della sola effettiva colpa che esisteva, dovrebbero cessare di esistere». Parole che, osserva Curci, «pronunciate all'indomani della Shoah, sia pure nell'ambito di una privata conversazione con uno psicanalista, appaiono sconvolgenti». Tanto più che, in una parte successiva della lettera - pur dopo aver assicurato di non voler «fare del male agli ebrei» e di non volere «colpire gli individui» - l'autore del Canzoniere propone «l'immediata fucilazione alla schiena» per quanti praticano e fanno praticare la circoncisione. E suggerisce la proibizione del culto nelle sinagoghe nonché lo scioglimento delle comunità: «Che si battezzino, se vogliono battezzarsi, e se no rimangano (come ho fatto io) senza nessuna religione».
  Voghera in parte giustifica il grande poeta per il fatto che il suo sistema nervoso era «già tanto logorato»: Saba «riteneva di dovere agli ebrei e all'ambiente ebraico molte delle proprie qualità negative, dei lati del proprio carattere che più lo facevano soffrire». In un'altra lettera privata, stavolta alla figlia Linuccia (del 15 gennaio 1953), Saba scrisse: «Penso che - tranne dal punto di vista pratico: persecuzioni ecc. - do quasi sempre ragione a ... Hitler». E fu proprio Voghera, con una lettera al quotidiano di Trieste «Il Piccolo» del 1966, a stabilire per primo una qualche connessione tra la figura di Grini e quella di Saba. Con parole di discolpa per Grini al cospetto delle quali Curci non può fare a meno di manifestare una qualche «sorpresa».
  Il libro si conclude con una sosta al cimitero ebraico di Trieste, dove i membri di alcune famiglie come i Frankel (due figlie si erano suicidate in via San Nicolò, una figlia, Lidia, aveva sposato Carlo Grini) giacciono in tombe diverse. Umberto Saba, scrive Curci, si avviò alla sua ultima stagione di uomo e di poeta «stordendo il suo madornale dolore (le sue ambivalenze, le sue angosce, forse i suoi rimorsi) con altrettante madornali dosi di morfina, facendosi iniettare più volte al giorno il provvidenziale Pantopon». Scelse anche lui come Grini e a modo suo di scomparire nel nulla.
  Dei circa settecento ebrei triestini deportati ne tornarono, dopo il 1945, appena una ventina. E «preferiscono, quasi tutti, tacere». «Sparizioni di persone che non volevano o non si aspettavano di dover sparire, sparizioni di persone responsabili delle sparizioni precedenti, sparizioni di persone che invece scelsero di sparire, per aver salva la vita o, all'opposto, per rifiutarla e sbarazzarsene». In conclusione quella di cui allo sconvolgente libro di Roberto Curci può essere definita, appunto, una storia di sparizioni. Che fanno parte anch'esse di quel «tesoro di memorie e di sofferenze» di cui nel 1997 parlò Ciampi.

(Corriere della Sera, 15 settembre 2015)


Quando la Puglia accolse gli ebrei

Perché serve ricordare il passato

di Alessandro Leogrande

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, migliaia di ebrei sopravvissuti all'Olocausto furono accolti nei campi profughi salentini di Tricase, Santa Cesarea e Santa Maria di Leuca, Nardò in attesa di imbarcarsi per la Palestina. In quei mesi, nell'ospedale di Leuca, nacquero oltre duecentocinquanta bambini ebrei. La regista israeliana Yael Katzir ha dedicato a questa pagina dimenticata della nostra storia il documentario «Shores of Light. Rinascere in Puglia». Lo si può vedere integralmente sul sito di «Internazionale», presentato dalla giornalista Sivan Kotler. Protagoniste del film sono «le bambine di Santa Maria di Leuca» che, oggi, settantenni, tornano in Salento alla ricerca delle tracce del passaggio delle proprie famiglie, e della terra in cui sono nate. La Puglia fu il primo angolo di vita, dopo anni di distruzione, morte, sterminio. Più che profughi, quegli uomini e quelle donne erano totalmente sradicate, avevano alle spalle il fumo e la cenere dei campi. Non c'era alcun posto in cui poter tornare. Ma in Puglia, come racconta Yael Katzir, rinacque la vita.
   Sono passati settant'anni. La storia del Mediterraneo recente si è riempita di altre stragi, di altre fuga in massa, di altri viaggi. E la Puglia è ancora al centro di tutto questo. Lo è stata nel 1991 quando arrivarono gli albanesi in fuga dalla dissoluzione del regime. Lo è stata in seguito, quando sono arrivati i kosovari e i curdi. Lo è ancora, con l'arrivo e il passaggio degli eritrei, dei siriani, e degli altri profughi raccolti dalle navi impegnate nel pattugliamento del «mare di mezzo». Incrociare il passato con il presente ci permette di capire molte cose, non solo il dovere astratto di rifocillare chi scappa da uno sterminio o dalla distruzione di una guerra totale.
   Se «le bambine di Leuca» sono tornate dopo tanti anni a vedere i posti in cui erano nate ciò è innanzitutto perché in quei paesi le loro famiglie avevano trovato delle relazioni umane, uno scambio reale con la popolazione locale, un momento di ristoro. Non un generico incontro tra «noi» e «loro», ma un concreto conoscersi e riconoscersi.
   Nel film si racconta di una giovane donna salentina che decide di donare il proprio abito da sposa a una coetanea ebrea sopravvissuta al lager. Grazie a loro, i sopravvissuti sono andati avanti. Per questo, corre un brivido lungo la schiena quando oggi, in Ungheria o in Repubblica ceca, si sentono affermazioni «sugli altri» e sulla necessità di erigere muri protettivi che sembrano rievocare i momenti più bui degli anni trenta e quaranta del secolo scorso. Anche perché, a quelle parole simili sono seguiti dei fatti. Come ha detto Junker, la storia dell'Europa nel Novecento è storia di profughi. E la Puglia, terra di transito, è chiamata a ricordare il suo passato per prendere le misure al nostro presente.

(Corriere del Mezzogiorno, 15 settembre 2015)


Israele valuta possibilità di trasporto gas naturale a Gaza

GERUSALEMME - Israele starebbe valutando la possibilità di trasportare il gas naturale a Gaza, dopo la visita avvenuta la scorsa settimana del responsabile del Comitato nazionale del Qatar per la ricostruzione di Gaza, ambasciatore Mohammad al Amadi. Secondo quanto riporta un'analisi del quotidiano israeliano "Jerusalem Post", il Qatar sarebbe infatti disposto ad attivare progetti per la realizzazione di infrastrutture fra cui la costruzione di un gasdotto. Durante una cerimonia con le autorità della Striscia di Gaza, al Amadi ha precisato che Doha sta lavorando alla realizzazione di molti progetti, precisando che è stato avviato un protocollo di intesa con i palestinesi per importare all'interno dell'area gas naturale al fine di alimentare le centrali elettrica. "La palla è ora nel campo di Israele e ho discusso la questione con gli israeliani. Gli israeliani stanno ora studiando il problema e in linea di principio non hanno mostrato alcuna rimostranza", ha detto al Amadi. Ad oggi la principale centrale a ciclo combinato da 140 megawatt gestita dalla Gaza Generating Company, che contiene quattro generatori a turbina a gas e due generatori con turbina a vapore, funziona solamente a gasolio a causa delle difficoltà per alimentare l'impianto con gas naturale. A causa dell'insufficienza di energia la rete elettrica della Striscia è alimentata da linee aggiuntive provenienti dallo Stato di Israele attraverso la Israel Electric Corporation. Il fabbisogno di Gaza è di circa 360 megawatt e attualmente la disponibilità è di circa 200 megawatt.
  La Striscia ha tre principali fonti di energia elettrica: Israele (120 megawatt), Egitto (28 megawatt) e la centrale locale che fornisce fra 40 e i 60 megawatt. Il memorandum d'intesa proposto dal Qatar prevede l'espansione della centrale elettrica fino ad una potenza di 340 megawatt. Per quanto riguarda la possibilità di trasporto del gas naturale per il funzionamento della centrale elettrica di Gaza i funzionari della difesa israeliana hanno confermato nei giorni scorsi che l'opzione è in fase di valutazione, mentre i ministeri dell'Energia e delle Risorse idriche non avrebbero ancora preso una posizione in merito e non è chiaro se accetteranno il progetto di Doha. In una dichiarazione il Coordinamento delle attività del governo nei Territori (Cogat), guidato dal generale Yoav Mordechai, ha confermato di aver attuato un processo di valutazione insieme con i ministeri del governo israeliano al fine di esaminare la proposta e le possibili soluzioni per risolvere i problemi energetici di Gaza, compresa la posa di un gasdotto per il trasporto di gas naturale, la cui realizzazione dovrà essere valutata dal governo.

(Agenzia Nova, 15 settembre 2015)


Il vero obbiettivo di "Haaretz" era Netanyahu non la Nirenstein

di Dimitri Buffa

 
In Israele, da quando il paese nacque nel 1948, il patriottismo è sempre rimasto molto distinto dal nazionalismo. Anche perchè le persecuzioni che portarono molti esponenti del sionismo dell'epoca a tentar l'avventura della fondazione di uno stato ebraico, tra tante speranze e mille dubbi dopo la fine della seconda guerra mondiale, erano avvenute tutte nel nome dei nazionalismi fascisti, ma anche socialisti e comunisti, degli anni '30.
   Patriottismo in Israele significa quindi per lo più difendere il territorio dal terrorismo arabo islamico che da circa 70 anni ha come unico obbiettivo quello di cancellare il piccolo stato dalla carta geografica del Medio Oriente. Il quotidiano "Haaretz", che potrebbe essere paragonato, in peggio, alla "Repubblica" super ideologica degli anni '80, quella che lottava contro Craxi e il benessere degli italiani in nome del moralismo giustizialista (e oggi ampiamente soppiantata da "Il fatto quotidiano"), rappresenta in Israele una poco lodevole eccezione.
   Specie quando lo stato ebraico è rappresentato da un governo di centro destra come attualmente accade con l'esecutivo di Benjamin Netanyahu. Solo partendo da questa premessa si può quindi capire lo scoppio del caso della giornalista Fiamma Nirenstein, contro la cui nomina a ambasciatore dello stato di Israele in Italia a partire dal prossimo giugno, è insorta una gran parte della comunità ebraica romana e di quella nazionale, nonchè, inspiegabilmente, lo stesso attuale rabbino capo di Roma.
   La Nirenstein si è in passato attirata critiche (e anche vignette anti semite in cui era rappresentata con il naso adunco, la svastica e la stella di Davide) per il solo fatto di essersi fatta eleggere in Forza Italia. E colpire lei oggi è solo una maniera indiretta di colpire l'esecutivo di Netanyahu. Magari per farsi belli agli occhi di gente come Obama, la Federica Mogherini e in ultima analisi lo stesso Renzi. Non considerando però così di recare un pessimo danno tanto alla causa dell'ebraismo italiano e mondiale quanto a quella di Israele.
   Le voci di corridoio raccontano di rapporti difficili anche all'interno della comunità romana che più guarda con simpatia al centro destra, quella di Pacifici per intendersi, dopo che Fiamma alle ultime elezioni si era candidata, perdendo, contro Ruth Mereghello, creatura dello stesso Pacifici e scelta come ideale prosecutrice del precedente suo doppio mandato come presidente. Inoltre lo stesso Pacifici aveva detto giorni orsono alla Adn Kronos che "Fiamma, che era consigliera della comunità, doveva informare la Dureghello e il Rabbino Capo dell'incarico che le era stato proposto e credo che questo abbia creato un un po' di gelo tra loro..". Spiegando anche così la diffusione della notizia spifferata ad "Haaretz", a sua volta interessato a danneggiare l'esecutivo Netanyahu. Una sorta di strumentalizzazione reciproca e consapevole.
   Naturalmente, sic stantibus rebus, tra gli "ebrei de destra", figuriamoci le cateratte che si sono aperte con quelli "de sinistra" dopo la diffusione, nove mesi prima dell'insediamento, della nuova nomina di ambasciatrice per la Nirenstein, che ha dovuto rinunciare anche alla cittadinanza italiana. Notizia diffusa in realtà con troppo anticipo, sempre secondo le dichiarazioni di Pacifici alla Adn kronos lo scorso 9 settembre, e in modo tale da potere essere interpretata come "non molto ripettosa" nei confronti dell'attuale ambasciatore in Italia Naor Ghilon. Che era stato nominato nel 2012 e che era stato capo gabinetto agli esteri nel 2009 quando era ministro Avigdor Liebermann. Quanto al capo della comunità italiana degli ebrei, Renzo Gattegna, la sua ostilità alla Nirenstein si spiegherebbe da un punto di vista caratteriale, un po' come per il rabbino capo di Roma. Che, essendo anche un ortodosso (qualcuno parla di "clericalismo ebraico"), di certo non poteva vedere di buon grado una donna laica e indipendente come Fiamma, che oltretutto nemmeno lo aveva avvisato prima.
   Viste dall'esterno del micro cosmo delle comunità ebraiche italiane però, ora che le cose sembrano essersi rimesse a posto e che pace è stata fatta tra tutti i contendenti di una batracomiomachia che ha rischiato di nuocere solo a Netanyahu, per la gioia del giornale più anti patriottico, per non dire anti israeliano, di Israele, tutte queste polemiche sulla nomina della Nirenstein appaiono francamente inspiegabili. Con il senno di poi, anche avere parlato del problema della "doppia lealtà" da parte di cittadini italiani che abbiano anche la fede ebraica e siano in stretti contatti con Israele, ha avuto come unico effetto quello di rievocare i terribili fantasmi del passato. E dei pogrom anti semiti ottocenteschi in nome di questa accusa. Riportando alla mente le accuse del processo Dreyfus e i pretesti che si usavano da parte degli anti semiti francesi dopo che sotto Napoleone per la prima volta gli ebrei vennero parificati alle altre fedi.
   E, il pensare che queste stesse argomentazioni dell'anti semitismo riciccino fuori oggi in una battaglia squisitamente politica, sia pure senza esclusione di colpi, tra fazioni politiche dell'ebraismo nazionale e internazionale, è francamente sconfortante. Roba che si può capire quando promana da gente come Moni Ovadia o dagli "ebrei contro l'occupazione". Ma non dai vertici della comunità ebraica di Roma o da quella nazionale.

(L'Opinione, 15 settembre 2015)


Amor di patria
    La possibilità che Fiamma Nirenstein diventi Ambasciatore d'Israele in Italia ha fatto sorgere in qualcuno il timore che gli ebrei italiani si sentano in qualche modo rappresentati da un ambasciatore straniero operante in Italia e finiscano per oscillare paurosamente tra il considerarsi formalmente italiani e il sentirsi intimamente israeliani. Certamente, Fiamma Nirenstein rinuncerà alla cittadinanza italiana, e allora forse qualcuno chiederà di ridiscutere la possibilità per gli ebrei di avere una doppia cittadinanza e magari proporrà di costringerli per legge a scegliere: o italiani o israeliani, un'edizione aggiornata delle leggi razziali. Questo probabilmente non avverrà, ma la vergogna per le leggi razziali del passato dovrebbe spingere gli italiani del presente a riconoscere che adesso gli ebrei hanno più titolo di altri a considerarsi pienamente italiani e nello stesso tempo ad avere un rapporto privilegiato, anche di cittadinanza, con l'unica nazione al mondo che li ritiene suoi potenziali cittadini di diritto.
    La nomina di Fiamma Nirenstein ad Ambasciatore d'Israele in un'Italia in cui è nata e cresciuta ma nella quale i suoi parenti sono stati angariati ed emarginati soltanto perché ebrei, rende questa designazione particolarmente adatta ad esprimere pubblicamente il pieno diritto dei cittadini ebrei della nazione Italia ad essere considerati pienamente italiani e a diventare, se lo vogliono, in quanto ebrei, cittadini della nazione Israele.
    Riportiamo qui di seguito la parte finale di un lungo articolo di Marcello Cicchese apparso su queste pagine nel marzo del 2011, avente come titolo «Oh, mia patria, sì bella e perduta!» e come sottotitolo "Chi ha il diritto morale di celebrare l'unità d'Italia?" NsI
Le leggi razziali italiane, anche se non hanno ordinato l'eliminazione fisica degli ebrei, hanno dichiarato che gli ebrei non hanno diritto di cittadinanza all'interno della nazione. Gli ebrei, che come singoli si sono visti negare il diritto ad esistere come cittadini all'interno della nazione in cui vivevano ed erano cresciuti, adesso che secondo il pensiero mazziniano è nato quel particolare individuo nazionale ebreo che ha nome "Israele", ancora una volta si sentono dire dal mondo: "Ebreo, tu non esisti". Non esiste uno Stato ebraico - dicono molti apertamente, circondati da tanti altri che ascoltano, tacciono, annuiscono e aspettano di vedere come va a finire -, e se esiste, è un difetto della natura, un'anomalia da correggere al più presto.
   Fra pochi giorni la nazione festeggerà l'Unità d'Italia. Festeggeranno anche gli ebrei? E' inopportuna la domanda? Era inopportuna anche al tempo di Garibaldi, Mazzini, Verdi e Cavour. Non sembra infatti che qualcuno allora se la sia posta. E si è visto come è andata a finire. E' andata a finire che nella distrazione generale, mentre gli italiani si gonfiavano al pensiero di appartenere tutti uniti a una patria gloriosa, nel momento del massimo fulgore nazionale, nel 1938, la guida della nazione, il Capo a cui si gridava con entusiasmo: "Duce, sei tutti noi", si è accorto che nel corpo sano della nazione circolavano elementi estranei che ne disturbavano l'unità e ne minacciavano la salute. E ha deciso di espellerli, sradicarli, cioè di tagliare radici che in certi casi affondavano nel terreno di secoli addietro.
   Adesso gli ebrei non corrono più questo rischio, ma se anche loro in questi giorni riporteranno alla memoria gli eventi storici dell'Italia unita, quale posto occuperà nella loro mente il ricordo del tentativo di espellerli senza pietà da quella terra che avevano accettato come loro patria? Già, è vero - penserà forse qualcuno - non ci avevo pensato. Strano.
   Ma è proprio questa generale smemoratezza che può far sentire agli ebrei che la loro cittadinanza nella nazione Italia è sempre in bilico, sempre sotto un eterno punto interrogativo che non trova mai una risposta definitiva. Dichiararsi buoni italiani, riconoscere il valore positivo dell'unità raggiunta con le lotte risorgimentali, ammettere di godere degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini, tutto questo non toglie il velo di perplessità che periodicamente riaffiora e può diventare paura. Se oggi il termine "patriota" è generalmente accettato, certamente anche gli ebrei tra noi sono pronti ad accettarlo e a considerarsi patrioti. Ma basterà? O riaffioreranno in loro i timori che Leon Pinsker aveva così bene espresso nel suo trattato:
    "Siamo scesi così in basso che esultiamo di giubilo quando in Occidente una piccola parte del nostro popolo viene posta allo stesso grado dei non ebrei. Però se qualcuno ha bisogno che altri lo tenga in piedi, vuol dire che la sua posizione è poco solida. Se non si bada alla nostra origine e ci si tratta al pari degli altri abitanti nati nel paese, siamo riconoscenti al punto da rinnegare completamente il nostro essere. Per vivere meglio, per godere in pace un piatto di carne, cerchiamo di far credere a noi e agli altri che non siamo più ebrei, ma figli legittimi ed autentici della patria. Vana illusione! Voi potete dimostrare di essere veri patrioti finché volete; vi ricorderanno ad ogni occasione la vostra origine semitica. Questo fatale memento mori non vi impedirà tuttavia di godere una larga ospitalità, finché un bel giorno non sarete cacciati dal paese e finché la plebe scettica della vostra legittimità non vi ricorderà che voi non siete, dopo tutto, altro che nomadi e parassiti, non protetti da nessuna legge. [...]
    Non vogliamo neppure ricominciare una nuova vita quale nazione a sé, onde vivere come gli altri popoli, perché i patrioti fanatici che sono fra noi credono necessario sacrificare ogni diritto all'esistenza nazionale indipendente, allo scopo di dimostrare una cosa che non ha bisogno di prove, cioè che sono leali cittadini delle terre in cui abitano. Questi patrioti fanatici negano il loro originale carattere etnico per mostrarsi figli di un'altra nazione qualunque essa sia, umile o alta. Ma essi non ingannano nessuno. Non si accorgono quanto impegno mettono gli altri per liberarsi da questa compagnia ebraica."
Oggi la situazione è diversa rispetto al tempo di Pinsker: oggi esiste una nazione ebraica: Israele. La questione allora si pone in questi termini: che cosa bisogna pensare di questa nazione? Ha qualcosa a che vedere con gli ebrei italiani o è una cosa del tutto staccata? Diamo qui la nostra risposta.
   Negare legittimità giuridica a Israele, di fatto se non a parole, cioè dichiarare di essere favorevoli all'esistenza di quella nazione ma negarle praticamente il diritto di difendersi; dire di essere soltanto contrari alla politica di Israele, ma non saper indicare altra politica se non quella che porterebbe alla sparizione di quello Stato; scuotere il capo in forma di disapprovazione davanti alle minacce di distruzione di Israele da parte dei suoi nemici, ma far pensare che si sta solo aspettando il momento in cui queste minacce andranno ad effetto per poi dire: "Io però non ero d'accordo", tutto questo significa fare la celebrazione di un particolare tipo di "risorgimento": il risorgimento del rifiuto degli ebrei. Un rifiuto che si presenta sotto il nome nobilitante di "antisionismo". Se riconosciamo dignità all'amor patrio e vogliamo celebrare in buona coscienza l'unità d'Italia, noi italiani non ebrei, dichiarandoci uniti nella responsabilità anche con gli estensori delle leggi razziali, dobbiamo riconoscere che i nostri connazionali ebrei, per motivi storici lontani (biblici) e per motivi storici vicini (il fascismo), hanno il diritto di restare in Italia come italiani a pieno titolo e a tutti gli effetti, ma hanno anche il diritto, essendo stati traditi dalla nazione che un tempo avevano amato e servito, di mantenere viva nel loro cuore la fiaccola della speranza di un ritorno nella loro storica ed eterna patria: Israele. Ma affinché questo avvenga, è necessario che lo Stato ebraico d'Israele esista. Quindi:

Non ha il diritto morale di celebrare l'Unità d'italia chi oggi si dichiara antisionista


(Notizie su Israele, 15 settembre 2015)


"Il multiculti è la nemesi dell'Europa"

Parla Noah Klieger, che ad Auschwitz sopravvisse con Primo Levi.

di Giulio Meotti

Noah Klieger
ROMA - E' difficile riassumere la vita di Noah Klieger. Il padre, giornalista e scrittore, previde che Hitler avrebbe preso il potere, così decise di portare la famiglia da Strasburgo in Belgio, illudendosi che sarebbe rimasto neutrale. Dopo l'occupazione nazista, Noah entrò nella Resistenza, ma nel 1943 venne catturato e deportato ad Auschwitz. Quel ragazzo ebreo di sedici anni finì a Monowitz a lavorare con Primo Levi alla fabbrica chimica. Scampato alle camere a gas e alle "marce della morte", Klieger venne liberato dall'Armata rossa nel 1945 nel lager di Ravensbrück. Poi entrò nel Mossad Aliya Bet, il precursore del Mossad, il servizio segreto israeliano, dove Klieger era incaricato di far uscire illegalmente dall'Europa gli ebrei e condurli in Israele, che ancora non esisteva. Klieger oggi è uno dei maggiori giornalisti israeliani, icona con il numero di Auschwitz tatuato sul braccio. Alcuni giorni fa, sul maggiore quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth, Klieger ha scritto che l'esodo di migranti, se non controllato, segna la fine dell'Europa così come la conosciamo.
   Non si contano i commentatori che paragonano le sofferenze dei migranti alla Shoah. "Sono paragoni ridicoli", dice Klieger al Foglio. "Noi ebrei siamo stati mandati nei campi di sterminio, mentre i migranti sono accolti dai paesi avanzati e civilizzati".
   E' pessimista sul futuro dell'Europa: "Perché sono convinto che questa immigrazione di massa di milioni di cosiddetti rifugiati', in gran parte musulmani, condurrà alla catastrofe, perché gran parte di loro non vuole integrarsi e la Germania non è in grado di farlo. Masse di persone cercano un luogo pacifico dove vivere, ma migliaia di fanatici stanno entrando nei paesi europei, minacciando il futuro del Vecchio continente. Quando, trentacinque anni fa, la Germania importò decine di migliaia di turchi come forza lavoro, interi quartieri come Kreuzberg e Neukölln a Berlino divennero subito ghetti islamici. Il mio sentimento negativo è sul futuro dell'Europa classica. Perché come sopravvissuto dei campi di sterminio nazisti mi sarei aspettato un'Europa meno naìf".
   Lo stesso è avvenuto in Francia con l'immigrazione dal Maghreb. "A Parigi ci sono quartieri dove persino il Csr, le temute unità di sicurezza, non mette piede", dice al Foglio Noah Klieger. "Forse le autorità europee speravano che semplicemente il problema sarebbe svanito da solo. Ovviamente non è stato così ma è diventato sempre più grande". Come spiegarsi questa cecità europea sull'islamismo? "Perché il suo motto è sempre stato non è un nostro problema' quando si verificavano gli attacchi terroristici. Avrebbero dovuto capirlo quando i palestinesi dirottavano gli aerei di linea. Grazie a quei gesti, tutti i paesi del mondo hanno installato sofisticati sistemi di sicurezza negli aeroporti. Gran parte dei passeggeri ancora oggi non si rende neppure conto perché viene infastidito quando sale in un aereo. Se Europa e Stati Uniti avessero davvero reagito oggi non ci sarebbero Stato islamico, al Qaida, Hezbollah, Hamas. Ma nessuno ha fatto nulla. Quando le potenze mondiali si renderanno conto che l'Isis e gli altri radicali gruppi terroristici islamici non stanno combattendo contro Israele, contro l'occupazione o contro gli insediamenti? Quanto tempo ci vorrà ai leader del mondo libero per rendersi conto che le stragi in Tunisia e Francia sono dirette contro il cristianesimo e le fazioni musulmane che non sono d'accordo con i sostenitori dell'islam radicale? Invece premiano il finanziatore principale del terrorismo islamico, l'Iran. Se in Siria l'occidente avesse spedito grandi contingenti militari avrebbe fermato in tempo tutto questo".
   Intanto, l'antisemitismo rialza la testa come mai prima dal 1945 a oggi. "E' una vecchia tradizione e nessuno è mai riuscito a spiegare da dove nasca. In Europa l'antisemitismo è cresciuto con l'arrivo degli immigrati musulmani. E badi bene, non c'è alcun antisraelismo o antisionismo. E' puro antisemitismo. I fanatici non gridano uccidi gli israeliani', ma itbach al yahud, uccidi l'ebreo"'.
   
(Il Foglio, 15 settembre 2015)


Università di Tel Aviv: alto numero di laureati assunti da Google

La redazione di siliconwadi.it, lo aveva già anticipato sui canali social: l'Università di Tel Aviv si è classificata al 20o posto delle università del mondo per il numero di laureati reclutati da Google, secondo un sondaggio realizzato da Business Insider.
L'Università di Tel Aviv è l'unico ateneo non di lingua inglese che compare nella classifica, nei quali primi posti compaiono: Standford University, con 2275 laureati che lavorano in Google, Berkley (2032) e la Carnagie Mellon University (1180).
Fuori dagli Stati Uniti si sono classificate anche due importanti università inglesi, Cambridge e Oxford. Ma l'Università di Tel Aviv è la terza università, fuori dagli Usa, con 288 laureati impiegati nel colosso di Montain View.
Google compare regolarmente in cima alle liste dei luoghi di lavoro più desiderati all'interno del panorama internazionale. Secondo Business Insider, ogni anno più di 2,3 milioni di persone presentano il proprio curriculum a Google a fronte delle 4.000 poi assunte.
La lista completa:
  1. Stanford University (2,275 ex studenti)
  2. University of California, Berkeley (2,032 ex studenti)
  3. Carnegie Mellon University (1,180 ex studenti)
  4. Massachusetts Institute of Technology (1,011 ex studenti)
  5. University of California, Los Angeles (902 ex studenti)
  6. University of Michigan (773 ex studenti)
  7. Cornell University (747 ex studenti)
  8. University of Illinois, Urbana-Champaign (663 ex studenti)
  9. Harvard University (616 ex studenti)
  10. University of California, San Diego (566 ex studenti)
  11. University of California, Davis (490 ex studenti)
  12. University of Pennsylvania Wharton School of Business (484 ex studenti)
  13. University of Pennsylvania (464 ex studenti)
  14. University of Cambridge (419 ex studenti)
  15. University of California, Santa Barbara (381 ex studenti)
  16. University of Oxford (355 ex studenti)
  17. Harvard Business School (342 ex studenti)
  18. California Polytechnic State University - San Luis Obispo (329 ex studenti)
  19. Purdue University (296 ex studenti)
  20. Tel Aviv University (288 ex studenti)
(SiliconWadi, 15 settembre 2015)


Il pacifismo complottardo delle New Left

Hamas e Hezbollah amici, Israele e America distruttori. Occhio all'Ue.

MILANO - Jeremy Corbyn non aveva ancora finito di formare il suo governo ombra - lavoro difficilissimo, fuggivano in tanti - e già la sua politica estera era diventata occasione di polemica. Si sa che Corbyn ha la passione per il dialogo con i nemici, anzi pensa che questo sia l'unico modo per portare la pace: è in buoni rapporti con Hamas e con Hezbollah, dice che anche con lo Stato islamico in qualche modo bisogna scendere a patti, pensa che l'imperialismo americano sia la causa di tutti i mali del mondo, paragona gli attacchi jihadisti ai bombardamenti occidentali, e naturalmente accusa Israele di ogni male possibile.
   C'è un tasso di antisemitismo così alto nel pensiero e nelle parole di Corbyn e dei suoi alleati che molti in questi giorni si chiedevano ironici: non potevamo tenerci direttamente l'antisemita in chief George Galloway o al limite l'ex sindaco di Londra Ken Livingstone, grande ispiratore di tutto il corbynismo? Nel mondo secondo il nuovo leader britannico è spuntata anche l'ipotesi di un ministero per le Minoranze religiose, subito ribattezzato il "ministero per gli ebrei", un modo goffo per non sembrare antisemita.
   Ma non è che Corbyn voglia nascondersi così tanto, è fiero delle sue idee. Le teorie del complotto hanno preso il potere nel fu Labour blairiano, e così ora non soltanto sarà difficile per il Regno Unito intensificare i bombardamenti in Siria, ma sarà discussione su tutto: Corbyn vorrebbe far uscire il paese dalla Nato e farlo entrare nell'orbita russa. Il rapporto con i media del leader laburista è disastroso, e peggiora a vista d'occhio, ma è significativo che Corbyn abbia detto che piuttosto che seguire la Bbc sarebbe meglio guardare Rt, Russia Today, l'all news russo che fa propaganda per il Cremlino.
   Anche la posizione sulla vicina Europa è causa di polemica: Corbyn nasce come euroscettico e contro la campagna per restare nell'Ue, ma ieri il suo ministro degli Esteri ombra, Hilary Benn, ha detto che la linea è quella classica laburista, si vuole rimanere nell'Ue "a ogni condizione". Si vedrà, ma mentre si discute su cosa ne sarà del sistema di difesa inglese, il Trident messo sotto accusa anche dagli scozzesi, spiccava la cover del Sun: Corbyn vuole abolire l'esercito! Il suo pacifismo dialogante è, in tempi di guerra, parecchio rischioso.

(Il Foglio, 15 settembre 2015)


Israele - Alta tecnologia e moda

I camerini intelligenti non sono una novità. Consentono di provare virtualmente un capo d'abbigliamento, un abito, una giacca, occhiali da sole, collane. Recentementea Tel Aviv, Israele, in occasione del festival Fashion Tech si sono viste le interazioni fra moda e tecnologia.
L'evento ha riunito start up, aziende tecnologiche, l'industria della moda e ha incluso dimostrazioni pratiche. L'organizzatore della Fashion Tech, Said Yael Kochman indica come obiettivo riunire i due diversi mondi della moda e della tecnologia per mostrare come possono cooperare.
L'azienda Infime, ha sviluppato un'applicazione per aiutare le persone a comprare lingerie della giusta taglia. Si misura il corpo in 3D in modo che i clienti possano acquistare lingerie senza doverla provare.
Il futuro della moda potrebbe veramente essere nella stampa 3D. La tecnologia a stampa tridimensionale entra nella moda e cosi' si possono produrre tessuti, scarpe o accessori pensati per noi.

(euronews, 14 settembre 2015)


Nirenstein: Cassuto, decisione presa il per bene di Israele

Esponenti di comunità in Israele e in Italia a favore della nomina

di Massimo Lomonaco.

''Noi dobbiamo prendere le nostre decisioni secondo quello che è il bene di questo stato e di questo popolo''. David Cassuto - architetto di fama, presidente dal 1973 al 2008 della Comunita' ebraica di origine italiana in Israele, vicesindaco di Gerusalemme dal 1993 al 1998 - rivendica con decisione l'indicazione del premier Benyamin Netanyahu di nominare Fiamma Nirenstein prossimo ambasciatore israeliano dal 2016 a Roma.
  Una mossa che invece sembra aver suscitato l'opposizione dei vertici della Comunita' ebraica di Roma (Cer, la più numerosa d'Italia). Secondo il quotidiano Haaretz, il capo della Cer Ruth Dureghello e il rabbino capo della capitale Riccardo Di Segni avrebbero chiesto al presidente di Israele Reuven Rivlin in un recente incontro di intervenire per bloccare la sua nomina. Il fatto - sul quale Nirenstein ha ribadito un ''no comment'' - ha spinto esponenti della comunità ebraica di origine italiana in Israele e dell'ebraismo italiano a scendere in campo a sostegno di Nirenstein.
  ''Prego i miei fratelli in Italia - ha aggiunto con l'ANSA Cassuto, fiorentino trasferitosi giovanissimo in Israele alla fine della guerra - di non immischiarsi nelle decisioni di Israele. Per creare un'informazione migliore nei paesi dove Israele è rappresentato bisogna trovare ambasciatori che capiscano la mentalità delle nazioni dove sono destinati e che conoscano bene la lingua. Chi meglio di lei?''.
  Per Cecilia Nizza, assessore alla cultura della Comunità italiana a Gerusalemme, ''nei confronti di Nirenstein è scattato quel meccanismo di demonizzazione contro chiunque non sia schierato in maniera 'politicamente corretta'. Tirare in ballo la 'doppia fedeltà 'è una scusa risibile. Dal punto di vista di Israele, dove ora vivo, l'aver dato voce, da parte di certa stampa locale, solo a chi contesta questa nomina rientra - ha osservato - nell'opposizione radicale al governo attualmente in carica''.
  Beniamino Lazar, a lungo presidente del 'Comites' di Israele, si e' detto ''stupito da certi commenti, negativi, messi in giro già alcune settimane fa, da alcuni esponenti della comunità ebraica romana e/o italiana. Con tutto il rispetto, hanno preso una sbandata. Personalmente ritengo la scelta di Nirenstein una buona scelta, un bene per Israele''. In Italia i commenti di alcuni esponenti della Comunità sembrano testimoniare che non esista ''linea unica'' né dell'ebraismo romano, né di quello italiano come potrebbero far pensare le dichiarazioni attribuite a Dureghello e Di Segni.
  Il rabbino Giuseppe Laras, nel suo messaggio di fine anno ebraico ha fatto un accenno indiretto ad una parte di critiche rivolte alla nomina di Nirenstein, denunciando che quello della "doppia fedeltà" è un "certificato di moralità" che sarà chiesto ''con sempre maggior odiosa insistenza'' dagli antisemiti agli ebrei europei.
  Mino Bahbout, Rabbino Capo di Venezia, ha detto che ''gli ebrei italiani sono in grande maggioranza felici della nomina. Nirenstein ha dato prova di poter fare un lavoro bipartisan straordinario e di poter portare molto più in alto i rapporti tra Italia e Israele''.
  Mirella Haggiag presidente degli 'Amici della Jerusalem Foundation Italia', Board member della Fondazione Bassani, ha definito ''polemiche inutili e fuorvianti quelle emerse da poche persone''.
  Claudia De Benedetti, Presidente dell'Agenzia Ebraica in Italia si è detta ''entusiasta della nomina di Nirenstein. Una scelta tanto coraggiosa quanto opportuna per migliorare le relazioni tra Italia e Israele e per lo scenario europeo".
  Per Andrea Jarach, ex presidente della Federazione delle Associazioni di amicizia Italia Israele, ''l'esperienza nel campo della informazione corretta su Israele, maturata da Nirenstein in moltissimi anni, la rendono il candidato ideale ad un ruolo che vede nel rapporto con i media il punto vitale per lo smantellamento di pregiudizi anti israeliani e della feroce campagna di boicottaggio cui Israele è sottoposto''.

(ANSA, 14 settembre 2015)


Ebraismo, un gioiello parmigiano

Un prezioso volume a cura dello studioso Ercole Camurani. Riportata l'attenzione su un'importante e coraggiosa iniziativa editoriale. Il periodico «Rivista israelitica» venne pubblicato a Parma, prima città in Italia, dal 1845 al 1847.

di Christian Stocchi

 
 
PARMA - L'educazione, fondamento precipuo della società, si presenta ad ogni istante alla mente del Filosofo, al pensiero dell'uomo, reclama gli umani sforzi al migliorarla, al dilatarla; appoggiata alla morale religiosa diventa base di tutte le istituzioni, un mezzo per istabilire felici le convivenze alla umana famiglia [ ... ]». Così cominciava, nel suo discorso preliminare, Cesare Rovighi, direttore della «Rivista Israelitica. Giornale di morale, culto, letteratura e varietà», che venne pubblicata a Parma (prima dalla Stamperia Carmignani e poi dalla Tipografia Fiaccadori) dal 1845 al 1847. Stimolo alla riflessione, importante punto di riferimento culturale, sede di dibattito elevato, questa rivista viene ora riproposta in una pregevole riedizione (con indici di tutto il pubblicato) a cura dello studioso Ercole Camurani. Questa iniziativa editoriale, realizzata dall'editore Mattioli 1885 e resa in tal modo facilmente fruibile per studiosi e appassionati, è stata realizzata anche grazie alla collaborazione della Biblioteca Palatina (tra le poche realtà istituzionali che conservano in più copie l'intera serie della rivista) e al patrocinio del Museo Ebraico di Bologna. Interessanti innanzitutto appaiono il contesto storico e la condizione di Parma in quel periodo. Nelle note introduttive, Sabina Magrini in effetti sottolinea: «Il fatto che liberamente il pensiero di eminenti figure del mondo culturale ebraico potesse essere pubblicato all'interno di una rivista ben strutturata e stampata da tipografie cittadine di rilievo costituisce una importante testimonianza del clima di apertura e di tolleranza esistente a Parma in quegli anni». Aggiunge, quindi, Vincenza Maugeri, direttrice del Museo Ebraico, come tale rivista presenti, tra i suoi profili d'interesse, anche il fatto che «abbia ospitato il dibattito sulla dimensione religiosa dell'identità nazionale» (da un lato c'erano le istanze del riformismo religioso, dall'altro il polo che si attestava su posizioni conservatrici).
  Oltre ai preziosi riferimenti bibliografici, Camurani segnala, quindi, anche diversi dati utili a inquadrare l'epoca in cui uscì la «Rivista Israelitica»: gli Ebrei trovavano nel Ducato di Parma una significativa tutela dei loro diritti e doveri, nell'ambito di un clima culturale certamente di alto livello. Erano permessi qui, ad esempio, a differenza che in altre realtà del Belpaese, l'ammissione agli impieghi pubblici, il possesso di beni immobili, l'esercizio delle libere professioni di legale, medico e farmacista. Da sottolineare inoltre che, a quel tempo, l'obbligo di dimora nei ghetti era ancora osservato solo nel Regno di Sardegna e nel Ducato di Modena, «con la tolleranza di diversa dimora caso per caso».
  Merita di essere, quindi, ricordata la figura del direttore della rivista. Cesare Rovighi era un giovane medico modenese (fu anche ufficiale), che ebbe l'intuizione e la passione culturale di scommettere sul «primo periodico ebraico italiano - ricorda Maugeri - pubblicato con una certa continuità»: una pubblicazione peraltro aperta a una notevole varietà di temi, come suggerisce il titolo, ma con una particolare attenzione alla cruciale questione dell'educazione. Egli, infatti, «vedeva - continua Maugeri - nell'Emancipazione la grande occasione per gli ebrei di [ ... ] migliorare i propri costumi»; perciò puntava su filantropia, istruzione, avviamento al lavoro dei più poveri. Se l'intenzione iniziale era quella di proporre una cadenza mensile, in realtà uscirono undici numeri, dall'ottobre 1845, con data maggio 1845, fino all'inizio del 1848, con data di ottobre 1847. Due di queste uscite sono doppie, mentre la numerazione (continuativa) raggiunge complessivamente ben 728 pagine (quanto agli atti relativi all'autorizzazione alla pubblicazione, sono andati distrutti).
  Numerosi e d'indubbia urgenza in quel contesto storico-politico i temi al centro della riflessione: ad esempio, le riflessioni sulla morale o il contributo relativo alla «società d'incoraggiamento alle arti e mestieri istituita dagl'Israeliti di Reggio»; senza contare che il periodico è naturalmente molto attento alle questioni religiose (ad esempio, si rilevano, nella sezione culto, i quesiti proposti al rabbino maggiore di Modena, accompagnati dalla soluzione; c'è inoltre un contributo «sulla necessità d'un nuovo metodo d'istruzione religiosa») e alla letteratura, rivolgendo una particolare attenzione al mondo femminile. Così, oltre ad approfondire il profilo di «due poetesse italiane poco note», Debora Ascarelli e Sara Copia, che vissero all'inizio del XVII secolo, emerge una riflessione di tre israeliti italiani «intorno alla donna». Si tratta dell'opera «Donna» (racconti sulla «potenza dell'affetto femminile» ) firmata da Angelo Usiglio; di un discorso pronunciato al Tempio Israelitico di Padova dal Rabbino David Graziadio Viterbi; e di uno scritto del professore Lelio Della Torre, che analizza la concezione della donna nella società israelitica. L'interesse e gli approfondimenti dedicati al popolo di Israele sono di ampio respiro: dalla dimensione locale a quella internazionale, dalla Toscana a Bombay. Un commento sull'elezione al «Soglio di Pietro» del cardinale Mastai-Ferretti, Pio IX, è svolto dallo stesso Cesare Rovighi.
  «Che farà Pio IX?» si chiede il direttore, cercando anche di interpretare il punto di vista degli Israeliti e le loro esigenze. Insomma, dagli interventi pubblicati su questa rivista emerge un dibattito stimolante e articolato, in grado di coinvolgere diversi aspetti culturali e di offrire riflessioni pienamente calate nella complessa temperie culturale dell'epoca. Nella postfazione, intitolata «La ''Rivista Israelitica" di Parma - Primo periodico ebraico italiano», Bruno Di Porto giustamente osserva: «La rivista terminò sul più bello, quando avrebbe dovuto gioire dell'emancipazione e seguire i passi dell'ebraismo italiano nella pienezza del Risorgimento, perché il suo direttore vi si impegnò personalmente, a tempo pieno» e in vari ruoli. Certo la «Rivista Israelitica» si pone oggi come un fertile terreno di ricerca per gli storici, senza dubbio foriero di ulteriori approfondimenti.

(Gazzetta di Parma, 14 settembre 2015)


Campionato di calcio in Israele: le big reggono ma guida il M. Petach Tikva

di Marco Conterio

Tempo di sorprese in Israele, sebbene siano passate solo tre giornate dal via. Quinto nella scorsa stagione, il Maccabi Petach Tikva è l'unica squadra ad aver vinto tutte e tre le partite giocate. I campioni in carica del Maccabi Tel Aviv, sono a quota 7, i secondi della scorsa stagione della Ligat ha'Al, l'Hapoel Beer Sheva, sono a due vittorie ed un ko come l'Hapoel Akko. Sorpresa, in negativo, Maccabi Haifa: due ko ed un pari, fanalino di corda come il Sakhnin.
Classifica dopo 3 giornate: Maccabi Petach Tikva 9; Maccabi Tel Aviv 7; Hapoel Beer Sheva, Hapoel Akko 6; Shmona, Hapoel Raanana, Hapoel Kfar Saba, Hapoel Haifa 4; Beitar Jerusalem, Yehuda 3; Netanya, Hapoel Tel Aviv 2; Sakhnin, Maccabi Haifa 1.

(TUTTOmercatoWEB, 14 settembre 2015)


"Orgoglioso di essere israeliano"

Secondo un sondaggio condotto questa settimana da New Wave Research, il 73% degli israeliani definisce Israele "un buon posto dove vivere" e un numero simile (70%) si dice "orgoglioso di essere israeliano", dando a tale sentimento un voto medio di 8,2 su una scala da 1 a 10. Circa la fiducia nelle istituzioni del paese, il punteggio più alto lo ricevono le Forze di Difesa israeliane, con un voto medio di 8,1. Al secondo posto, la Corte Suprema con un 6,5. Tutte sotto la sufficienza altre istituzioni come la polizia (5,1), la Knesset (4,8), i mass-media (4,7) e i ministri del governo (4,6). Ciononostante, il 56% degli intervistati dice che, potendo scegliere fra vivere in Israele o all'estero, opterebbe per Israele rispetto a qualsiasi altro paese, contro il 28% che preferirebbe vivere all'estero.

(israele.net, 14 settembre 2015)


A Tel Aviv la scuola multifunzionale con facciate 3D

Facciate 3D con i «pixel» di alluminio. Spazi multifunzionali aperti alla città. L'edificio costruito dallo studio italo-israeliano Paritzki-Liani riproduce sulla facciata un quadro di Marc Chagall che dà anche il nome all'istituto. Nell'edificio nessun lato è seriale e ogni parete offre agli alunni una differente esperienza visiva in omaggio alle teorie di van Eyck e Team X.
   

di Monica Zerboni

 
Progettata dallo studio Paritzki-Liani, la nuova scuola francese "Marc Chagall" è situata a Neve Tzedek, quartiere sud ovest di Tel Aviv, stretto tra i grattacieli della città moderna e il lungomare e caratterizzato da un'architettura mediterranea di piccole costruzioni dall'atmosfera bohemienne. Ma il contesto urbano non deve trarre in inganno: dopo anni di abbandono il quartiere, a partire dagli anni ottanta, è stato progressivamente recuperato e appartiene oggi a una delle aree più costose e modaiole della città.
   L'edificio si inserisce accanto al complesso scolastico originario, aperto negli anni sessanta e si presenta con proporzioni contenute e pluralità di ambienti, in una dichiarata citazione delle teorie di Hans Scharoun che considerava gli edifici scolastici come microcittà con spazi polifunzionali collegati fra loro e aperti verso ilmondo esterno.
   L'architettura è costituita da due volumi contigui, articolati fra loro da passaggi, piccole piazze e giardini comuni, in una fedele riproduzione dello schema urbano circostante. Il volume principale si sviluppa su due piani attorno a un patio piantumato, una corte aperta sulla quale si affacciano le aule, progettate come microappartamenti di una cittadella del sapere e della fantasia e collegate fra loro da un sistema di scale. Attorno a questo petit-jardin, perno ideale dei percorsi dell'edificio, si sviluppano le due rampe laterali della scala "a tenaglia", che conduce al livello superiore verso un nuovo spazio all'aperto, punto di incontro e di socializzazione. Presenze caratterizzanti nel progetto, le scale scandiscono il percorso degli alunni in modo duplice ed asimmetrico: dentro la scuola tramite una rampa affacciata verso il patio, oppure all'esterno, dal giardino principale della scuola. Quest'ultimo percorso, che porta direttamente al primo piano orientando lo sguardo verso il cielo, è uno degli elementi principali della facciata rivolta verso l'edificio della vecchia scuola. A fianco del volume principale il secondo volume è invece costituito da un'ampia aula a un solo piano.
   «Le facciate di questa scuola sorridono» commenta Paola Liani, riprendendo l'affermazione di una piccola alunna. L'effetto - spiega la progettista - è stato ottenuto riproducendo sulla facciata est il quadro di Chagall "Sopra la città" con un risultato che, con il mutare dell'angolo visivo, fa mutare anche l'immagine. Questo è stato possibile grazie all'utilizzo di 30 pannelli ottici d'alluminio di diverse misure. Composti per il disegno grazie al sistema 3D pixels, essi trasformano i colori dell'immagine in molteplici piccole ombre che, generate dalla particolare forma della superficie dei pannelli, rendono l'immagine quasi un ologramma.
   «Si tratta di una trama ottica che muta a seconda del punto di vista dell'osservatore o in base alla diversa propagazione della luce artificiale durante la notte." afferma Liani - "Trattando così la facciata abbiamo ripreso l'idea cara a Chagall della città percorsa da figure, animali e oggetti che sfidano il tempo e la legge di gravità».
   Nell'edificio nessun lato è seriale e ogni facciata offre ai bambini una diversa esperienza visiva, ottemperando così ai principi di quell'architettura "partecipativa" che, in omaggio alle teorie dell'architetto olandese Aldo van Eyck e del Team X, sta alla base di questo progetto.
   Sul lato ovest, dove si trovano gli ingressi dal patio verso le aule, sono il profondo taglio delle scale e il nastro ininterrotto delle finestre a movimentare la facciata. Leggeri pannelli di vetro nei colori primari appaiono sospesi come bandiere sulla lunga parete bianca. Li raccordano al terreno sottili cavi d'acciaio che fungono da supporto a piante rampicanti. Queste con il tempo rivestiranno la muratura di un mantello vegetale.
   I medesimi colori ritornano anche nelle pavimentazioni delle aule, le quali sono affacciate sul verde circostante o in direzione del mare. Tutte le aperture sono state infatti pensate in modo da valorizzare le inquadrature più interessanti del profilo di Tel Aviv.
   Grazie ai doppi affacci la scuola ha diversi gradi di luminosità, mentre la presenza del patio interno garantisce anche una piacevole ventilazione naturale.

(Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2015)


Hugo e Juan Lucas Aisemberg protagonisti anche a Berlino

Hugo e Juan Lucas Aisemberg
Hugo e Juan Lucas Aisemberg (nella foto), rispettivamente padre e figlio, si sono esibiti a Berlino nell'ambito delle celebrazioni della "Giornata europea della cultura ebraica". Il pianista e il violinista da Ferrara si sono spostati nella capitale tedesca dove hanno eseguito il Recital "El Tango, una historia con judios" nella stagione "Die Sommermusikreihe 2015" (rassegna musicale ebraica).
«Questo progetto artistico - spiega Hugo - è stato presentato la prima volta a Ferrara in occasione della "Festa del libro ebraico 2013" riscuotendo interesse di pubblico e critica. Il repertorio proposto, che si concentra sul peso della partecipazione degli immigrati ebrei in Argentina a partire dai primi del '900, è stato da noi realizzato già quattro volte in importanti istituzioni culturali berlinesi. La città, dopo avere scritto alcune delle pagine più buie della storia del popolo ebraico, oggi esalta i valori di questa cultura attraverso un'intensa attività, che si sviluppa in diversi ambiti culturali».
Durante il concerto momenti di grande intensità emotiva e il pubblico che riempiva la chiesa ha chiesto numerosi bis, concessi con generosità e gioia dagli artisti. Infine, Kantorin, direttrice artistica di Sinagoga Mimì Sheffer, ha elogiato gli interpreti invitandoli a partecipare alla stagione 2016.

(la Nuova Ferrara, 13 settembre 2015)


Davvero gli insediamenti israeliani sono un ostacolo alla pace?

Davvero la politica israeliana finalizzata alla costruzione di edifici ad uso residenziale in un'area nota come West Bank, è il motivo principale per cui non si raggiunge una pace definitiva fra Gerusalemme e palestinesi? la risposta a questa domanda, nonostante tutto il clamore sollevato a proposito dei cosiddetti "insediamenti" è: NO. Gli insediamenti israeliani nel West Bank non sono il principale ostacolo ad un accordo di pace. Il collocare la questione in un contesto storico lo chiarirà appieno.
Per due decenni prima del giugno 1967, il West Bank - inclusa parte di Gerusalemme - è ricaduto sotto il controllo della Giordania. Durante questo arco di tempo, durante il quale Israele non ha detenuto alcun insediamento, si sono consumati diversi attentati terroristici contro lo stato nazione del popolo ebraico. In altre parole, i palestinesi hanno compiuto attacchi terroristici nei confronti di Israele, quando non esisteva alcun insediamento; e hanno continuato su questa strada, quando ci sono stati gli insediamenti. Se domani Israele si ritirasse da tutti gli insediamenti nel West Bank, è molto improbabile che le cose cambierebbero. Infatti, se la storia è maestra, il terrorismo ai danni di Israele aumenterebbe....

(Il Borghesino, 14 settembre 2015)


Ventuno profughi siriani ospitati nell'ex lager nazista

La decisione presa a gennaio ma la notizia è filtrata solo ieri. Sistemazione «inaccettabile» per gli ebrei tedeschi e per gli israeliani. «È un museo del ricordo».

di Dimitri Buffa

Una delle casette di Schwerte destinate ai profughi
Inno alla gioia e benvenuti a tutti. W la Merkel e cori da stadio. Poi ecco lo scivolone, l'autogol di comunicazione e di immagine che rovina tutto: 21 profughi ospitati a Buchenwald. E la notizia inesorabilmente si spande in una mezza giornata in tutto il mondo. Con tanto di reazione degli ebrei tedeschi e degli israeliani che logicamente hanno sempre preteso di preservare la sacralità dei campi di concentramento.
   Fatto sta che da alcuni giorni, in attesa di sapere se la loro domanda di asilo sarà o meno accettata, 21 profughi siriani sono stati ospitati proprio in quelle casette attigue al famigerato campo di concentra- mento dove negli anni tra il 1938 e il 1945 vennero uccisi non meno di 56 mila persone di cui 11 mila di religione ebraica. La decisione di ospitare i migranti nel campo - dove gli edifici non sono più quelli originali rasi al suolo, ma casette costruite negli anni '50 - era stata presa a suo tempo, a gennaio, dal sindaco di Schwerte, città della Ruhr la cui ferrovia divenne una parte del campo di Buchenwald negli anni '40. Al momento però non se ne era accorto nessuno visto che 56 mila. Le persone assassinate nel campo. Circa 11 mila erano ebrei ancora la cosa non era diventata una emergenza europea né la Merkel aveva preso posizione in controtendenza. Qualcuno ipotizza che la notizia sia stata fatta filtrare ad arte, ieri al Daily mail e oggi era in grande evidenza sul quotidiano Maari'v, uno dei maggiori israeliani, per mettere ostacoli proprio alle decisioni della Merkel: moltissimi non vedrebbero di buon occhio in Germania questa improvvisa virata sui profughi. Sia pure limitata a quelli siriani.
   Molti giornali tedeschi ironizzano su una gestione «all'italiana» di questa emergenza, con troppi annunci e poche soluzioni pratiche. È stata anche organizzata una riunione, dove sono stati convocati tutti i ministeri degli in- terni dei lander oltre quello degli Interni federale, a Berlino. Sarebbe venuto fuori che la Germania in realtà potrebbe non avere le capacità promesse per mettere a punto una reale accoglienza, per non parlare della gestione del coordinamento definita «assai deludente».
   Quanto ai sopravvissuti di Buchenwald quasi tutti i giornali e le agenzie ieri riportavano le parole di Miriam Spitzer, 77 anni, di Tel Aviv: «È una sensazione tremenda e se la Germania ha deciso di accogliere migranti, lo faccia in luoghi più idonei. Quel campo di concentramento va conservato come tale. È un museo per ricordare la tragedia, non può trasformarsi in un luogo di alloggio».
   
(Il Tempo, 14 settembre 2015)


Non è poi tanto strano che in Germania si sia pensato anche a questa soluzione per i profughi. I tedeschi le stanno studiando tutte per trovare posti dove metterli: fabbriche in disuso, chiostri, roulotte, container, hotel a 4 stelle, prigioni. A Erfurt hanno avuto l’idea più originale: un ex bordello tra i più famosi della città: “Arabella”. Stanno cercando di cancellarne le tracce storiche, ma non sembra che ci siano riusciti. E adesso ospita 144 profughi: “Was sich Deutschland einfallen lässt, um Flüchtlinge unterzubringen”.


Scontri sulla Spianata delle Moschee, 110 intossicati

Nuove tensioni e decine di feriti in seguito a duri scontri avvenuti fra reparti della polizia israeliana e gruppi di dimostranti palestinesi nella Spianata delle Moschee oltre che all'ingresso della Moschea al-Aqsa, uno dei maggiori Luoghi santi dell'Islam. A dover ricorrere alle cure dei sanitari, secondo la Mezzaluna Rossa, 110 palestinesi in gran parte intossicati dai gas lacrimogeni.
  Dure proteste per il comportamento della polizia sono giunte dall'Autorità nazionale palestinese, dalla Giordania e anche dalla Lista araba unita, il partito che alla Knesset (Parlamento) esprime i sentimenti della minoranza araba in Israele. Hamas, da parte sua, alza la voce. Sostiene che Israele si è macchiato di un «crimine di guerra», che la situazione «è esplosiva» e minaccia che «alla escalation israeliana i palestinesi risponderanno con una loro».
   
 Capodanno ebraico
  All'origine degli incidenti, la ricorrenza del Capodanno ebraico iniziata ieri sera. In mattinata erano previste visite di israeliani nella Spianata, sacra anche agli ebrei per i quali rappresenta il Monte del Tempio, il luogo cioè dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme distrutto duemila anni fa dalle legioni romane.
  Già da sabato informazioni di intelligence indicavano la volontà di giovani ultrà palestinesi di impedire con la forza quelle visite. Numerosi si erano barricati all'interno della Moschea al-Aqsa. In nottata poi nella Città Vecchia era stato trovato un ordigno (un tubo riempito di esplosivo) apparentemente pronto per essere usato.
  Di prima mattina la polizia ha avuto quindi l'ordine di rimuovere le barricate erette all'ingresso della Moschea. Dal suo interno sono stati lanciati sugli agenti sassi e pietre, mentre fuochi d'artificio venivano sparati ad altezza d'uomo. La polizia è intervenuta con forza e al termine degli scontri, secondo l'agenzia di stampa palestinese «Maan», tra feriti e intossicati sono stati contati 110 palestinesi. Diverse decine hanno sofferto per i lacrimogeni, 20 feriti sono stati portati in ospedale.
  Una volta ripreso il controllo della situazione, la polizia ha autorizzato le visite sulla Spianata di alcune centinaia di israeliani fa cui il ministro nazionalista Uri Ariel. Poi sono cominciate anche le dichiarazioni, ovviamente di segno opposto da parte israeliana e palestinese.

(La Stampa, 14 settembre 2015)


A Carovigno va di moda l'edificio a forma di svastica?

A Carovigno, nella città del culto mariano della Nzegna, dall'alto si scoprono apparizioni meno spirituali: tante svastiche a comporre un progetto architettonico.

 
Le case a forma di svastica a Carovigno
Il comune è quello di Carovigno, 16mila abitanti in provincia di Brindisi, Salento settentrionale. Carovigno viene chiamato Città della Nzegna per la antichissima tradizione della battitura della Nzegna che sarebbe una festa antichissima in onore della Madonna. Ma non è per questo che ci stiamo interessando a Carovigno, ma per l'architettura presente in una sua frazione sul mare, a pochi chilometri dal comune: Specchiola. Nota per i mare e per lo sviluppo edilizio incontrollato.
Ora sarà interessante capire quanto incontrollato e quanto invece consapevole, visto che la località Specchiola vista dall'alto mostra un inconfondibile tratto che potremmo definire architettonico da Terzo Reich. Infatti utilizzando la visualizzazione satellite di Google maps per osservare dall'alto il territorio di Carovigno, in particolare della frazione marina, si coglie un'edilizia inquietante, in stile nazista, con manufatti che disegnano una serie di svastiche in successione. Un tuffo al cuore.
Come è possibile che un Comune possa aver autorizzato una simile scelta edilizia? Per ora, mettendo a disposizione le immagini di Google Maps, ci poniamo solamente delle domande: sono davvero così disegnate le costruzioni in questione o si tratta di un'azione hacker di qualche burlone che odia Carovigno? Se sono proprio come le vediamo: si tratta di progetti autorizzati dal Comune o costruzioni abusive? In ogni caso la questione è grave davvero. Al Comune la risposta.

(globalist, 13 settembre 2015)


Eurobasket - L'Italia schianta Israele e va ai quarti

L'Italia vola ai quarti di finale di Eurobasket dove affronterà la vincente della sfida tra Lituania e Georgia.
Grande prova quella degli Azzurri che hanno preso subito il vantaggio non permettendo mai a Israele di passare in vantaggio.
Dopo aver chiuso avanti il primo quarto avanti 22-13, l'Italbasket ha raggiunto la doppia cifra di vantaggio ad inizio secondo quarto con lo show di un dominante Alessandro Gentile.
Israele ha avuto un sussulto d'orgoglio arrivando sino al -4 trascinata da Mekel ma ancora Gentile ha ridato l'allungo agli Azzurri il vantaggio ed il +10 alla fine del primo tempo con il canestro sulla sirena di Aradori (40-30). L'unica nota negativa è stata l'infortunio di Andrea Bargnani che è uscito nel secondo quarto e non è più rientrato per un problema alla caviglia.
Nel secondo tempo l'Italia ha preso il largo raggiungendo anche i 30 punti di vantaggio.
Finisce 82-52.

(Sportando.com, 13 settembre 2015)


Capodanno ebraico: gli auguri del sindaco Marino alla comunità romana

ROMA - "Rosh Hashana' che scandisce l'inizio dell'anno, oltre ad essere una delle occasioni piu' liete del calendario ebraico contiene profondi significati. Ai simboli di dolcezza e benedizione e di buon augurio per il futuro, si accompagnano i momenti severi del giudizio e quelli clementi del perdono. Si celebra la creazione del primo uomo, delle sue infinite possibilita' di fare il bene per se e per la comunita' in cui vive, insieme all'amore e alla fiducia verso l'Eterno rappresentate dalla Legatura di Isacco e dal suono dello Shofar che la evoca con vigore in tutte le sinagoghe". Sono gli auguri per il Capodanno ebraico inviati dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, alla comunita' della capitale. "Ricordando i cibi tradizionali delle mele immerse nel miele e il melograno che simbolizza attraverso i suoi chicchi quel caleidoscopio di identita' che convivono una accanto all'altra, da parte mia e della Giunta, voglio augurare a tutta la comunita' un anno pieno di gioia e abbondanza insieme all'auspicio di collaborare per contribuire a costruire una societa' migliore, rispettosa e tollerante. Shana' tova'", conclude Marino.

(AGI, 13 settembre 2015)


La tempesta di sabbia in Medio Oriente

 
Una vasta tempesta di sabbia e polvere ha investito per giorni i Paesi del Medio Oriente. Prima un gigantesco vortice dal diametro di alcune centinaia di chilometri si è creato a nord di Baghdad. Da qui folate di sabbia si sono spostate verso Teheran, attraversando poi l'intero Golfo Persico e risalendo verso Giordania, Israele, Palestina, Libano, Cipro, Egitto e Algeria.

"Originata dallo shamal, vento proveniente da nordovest - scrive Matteo Marini su Repubblica - la tempesta ha presentato caratteristiche 'ibride' di un fenomeno definito haboob (molto potente ma di solito dalla brevissima durata) […] Questo tipo di eventi sono sempre più frequenti nella zona, complice la siccità e la distruzione di vaste aree umide nella regione della Mezzaluna Fertile".

Lo scenario lunare ha avvolto anche il nord della Siria, dove la riduzione della visibilità e l'aria irrespirabile hanno interrotto i combattimenti e gli attacchi aerei. Il Paese che ha subito le conseguenze peggiori è stato il Libano, con quattro morti e circa duemila ricoverati per problemi respiratori. Nel complesso, secondo Al Jazeera, le vittime sono state dodici.

(Lookout, 12 settembre 2015)


Capodanno ebraico, Israele blinda Gerusalemme

GERUSALEMME - Israele ha rafforzato le misure di sicurezza a Gerusalemme e limitera' fino a giovedi' i transiti al valico con la Striscia di Gaza in coincidenza con l'inizio questa sera di Rosh Hashana', il Capodanno ebraico che dura fino a martedi' notte.
A Gerusalemme e dintorni sono state schierate unita' supplementari di polizia nel quadro di un piano per la sicurezza messo a punto in previsione di possibili disordini nelle prossie 48 ore. Il piano prevede inoltre che al valico di Erez che collega Israele con il nord della Striscia di Gaza, fino a giovedi' saranno limitati i transiti di persone in entrambe le direzioni. Resta invece normale il flusso per i valichi di confine con la Cisgiordania. Nella notte ci sono statti scontri fra polizia israeliana e palestinesi davanti alla moschea di Al Aqsa, a Gerusalemme, a poche ore ore dalla celebrazione del Capodanno ebraico. Secondo alcuni testimoni musulmani, gli agenti hanno fatto irruzione nella moschea, il terzo luogo piu' sacro dell'Islam. Un portavoce della polizia ha affermato che gli agenti si sono limitati a chiudere l'ingresso della moschea dopo essere stati bersagliati con sassi e petardi da giovani palestinesi a volto coperto barricatisi all'interno con l'obiettivo di disturbare l'arrivo di visitatori ebrei sulla Spianata, domenica sera. La tensione e' molto alta nella Citta' Santa soprattutto dopo che la settimana scorsa il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, ha messo al bando il movimento Al Mourabitoun che si oppone alla presenza di visitatori ebrei sulla Spianata delle Moschee o Monte del Tempio, luogo sacro sia per l'Islam che per l'ebraismo.

(AGI, 13 settembre 2015)


Migranti ospitati a Buchenwald, critiche in Israele

Ventuno persone in attesa di asilo vivono da gennaio in casette costruite negli anni 50 sul luogo dove sorgevano baracche di temporaneo trasferimento per gli internati destinati al campo. I sopravvissuti alla Shoah: "Quel luogo va preservato per la memoria, non può servire da alloggio".

Una delle case di Schwerte
BERLINO - Polemica e stupore in Israele per il rilancio della notizia che un gruppo di migranti è da mesi alloggiato in Germania, sia pure in via temporanea, in una struttura vicina all'ex campo di concentramento di Buchenwald. Si tratta di 21 migranti in attesa di sapere se la loro domanda di asilo sarà accettata e che ricevono vitto, alloggio e una modesta cifra quotidiana per provvedere alle necessità immediate.
La decisione di ospitare i migranti nel campo - dove gli edifici non sono più quelli originali rasi al suolo, ma casette costruite negli anni '50 - era stata presa a gennaio dal sindaco di Schwerte, la città della Ruhr la cui ferrovia divenne una parte del campo di Buchenwald negli anni '40. Qui finirono 700 prigionieri, ammassati temporaneamente in baracche con letti a castello. Le casette che hanno sostituito le baracche esistono dagli anni '50 - ha dimostrato il sindaco mostrando foto aeree a confronto - e nel corso dei decenni vi hanno trovato rifugio immigrati, artisti, senza casa. Ma già in gennaio la decisione del sindaco aveva destato critiche in patria. La premier del Nord Reno Westfalia, Hannelore Kraft (Spd) aveva chiesto di abbandonare il piano, senza successo. "La decisione è appropriata - si è difeso il sindaco Henry Bockelür (Cdu), citato dallo Spiegel in gennaio - Un edificio con quella storia può ora servire a uno scopo utile".
E tra alcuni sopravvissuti alla Shoah la notizia - rilanciata ieri dal Daily Mail - ha riaperto le vecchie ferite. "E' una sensazione tremenda" ha detto alla stampa Miriam Spitzer, 77 anni, di Tel Aviv. "Se la Germania ha deciso di accogliere migranti, lo faccia in luoghi più idonei. Quel campo di concentramento va conservato come tale. E' un museo per ricordare la tragedia, non può trasformarsi in un luogo di alloggio". Fra il 1937 e il 1945 - nota Maariv - a Buchenwald, complessivamente 250 mila persone furono internate e costrette ai lavori forzati. Al suo interno furono inoltre condotti sadici "esperimenti medici". Nei suoi recinti furono uccisi 56 mila internati, di cui 11 mila ebrei.
I migranti, provenienti dal Nord Africa e dal Bangladesh, sono stati informati della storia del luogo in cui vivono - scrive il Daily Mail che li ha intervistati - ma dicono di non avere problemi: "Qui stiamo bene, è molto più di quanto hanno tanti altri".

(la Repubblica, 13 settembre 2015)


Primo giorno di scuola, assenza giustificata per gli ebrei: è il loro capodanno

BOLOGNA - Assenti e giustificati a esserlo il primo giorno di scuola? Si può. Il direttore dell'Ufficio scolastico regionale di Bologna, Stefano Versari, ha scritto ai presidi per ricordare che il 15 settembre, giorno del ritorno sui banchi in regione, quest'anno coincide con le festività del Capodanno ebraico 'Rosh ha-Shanah'. Pertanto, Versan ricorda che a questa festività si applicano alcune norme di legge, «ovvero nella giornata del 15 settembre, su richiesta motivata dei genitori o degli adulti se maggiorenni, si considerano giustificate le assenze di questi ultimi dalla scuola», si legge nella missiva partita ieri dall'Usr.

(Il Resto del Carlino, 13 settembre 2015)


Ebraismo magico

di Gennaro Sangiuliano

 
Un contributo fondamentale in termini di elaborazione filosofica e morale, è quello che la cultura ebraica ha dato all'Occidente e alla definizione delle sue peculiarità storiche. Ma se sul terreno della filosofia politica sono arcinoti gli apporti che la cui tura ebraica ha dato al marxismo e al socialismo, meno note sono le figure conservatrici del mondo ebraico, che pure hanno elaborato un'antropologia storico- filosofica comunitaria basata su valori tradizionali. Se si pensa a Vladimir Ze'ev Jabotinski, una delle personalità ebraiche più affascinanti, riconosciuto nello Stato di Israele come uno dei padri al pari di Theodor Herzl. Così Abba Gaissinovic, interprete da una prospettiva ebraica del Tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler o Hans-Joachim Schoeps, teorico del pensiero «inattuale» e della «rivoluzione conservatrice».
   In nome della Patria è il saggio di Vincenzo Pinto, storico del nazionalismo ebraico, che disegna il singolare rapporto tra «Ebrei e cultura di destra». Un viaggio fra autori accomunati dalla matrice antilluminista, che al positivismo oppongono un forte richiamo comunitario, consapevoli che «la trasformazione dell'ebreo in semplice homo oeconomicus» è da considerare «uno degli esiti più deleteri del materialismo contemporaneo».
   Lo studioso israeliano Ezra Mendelssohn ha scritto: «La destra ebraica è molto più difficile da definire rispetto alla sinistra. Se, però, la definiamo come conservatrice nella sua idea di come dovrebbe organizzarsi la società ebraica, allora diventa comprensibile una destra ebraica».
   La figura chiave di questa linea di pensiero è quella di Vladimir Ze'ev Jabotinsky, riconosciuto come padre spirituale del movimento liberai-conservatore di Heruth (Libertà) di Begin, riscoperto con vigore dal Likud, come giornalista uomo di lettere ed originale interprete del sionismo. Nel 1964, dopo averne riscoperto il pensiero, vi sarà la monumentale sepoltura, riconoscimento postumo di questo intellettuale, nato ad Odessa, di formazione mitteleuropea, vissuto per tre anni in Italia, morto nel 1940. Jabotinsky è il paladino di un sionismo borghese che afferma la «centralità d'Israele», di fronte ai pogrom, iniziati a partire dal 1871, che avevano posto alla borghesia ebraica interrogativi angosciosi. Alcuni intellettuali ebrei, di cui Jabotinsky si fa interprete di peso, cominciano a ritenere che, forse, ai valori dell'illuminismo e dell'internazionalismo vadano anteposti quelli della salvaguardia dell'identità culturale ebraica e dell'integrità fisica. Nel 1903, attorno al giornale liberalconservatore «Odesskij Listok» si fa strada l'idea dell'autodifesa ebraica, di ispirazione antisocialista e conservatrice. Alla teorizzazione di un nuovo modo di intendere la questione ebraica, Jabotinsky unisce un attivismo concreto, nell'autunno del 1915 rompendo la neutralità affermata dall'Organizzazione sionistica mondiale, di stanza a Berlino, si reca a Londra a perorare la costituzione di una legione ebraica che partecipasse alla liberazione della Palestina dall'occupazione turca. Qui lega con il chimico Chaim Weizmann, leader liberale e futuro primo presidente dello Stato d'Israele.
   Jabotinsky non fu solo un fine polemista e un saggista ma anche un romanziere di successo e sempre nelle sue opere testimonia una concezione politico-filosofica che ruota attorno al problema dello Stato, unica entità capace di proteggere, anche in termini culturali, la propria comunità ma che deve essere libero nei rapporti economici e sociali. «La questione ebraica», scrive Pinto, in lui «è assai più importante dell'identità ebraica in quanto tale: l'ebreo è anzitutto il membro di una comunità di destino».
   Un felice sintesi fra cultura umanistica occidentale e tradizione religiosa ebraica è quella in Joseph Klausner, lituano di origine' vissuto ad Odessa e poi diventato esponente di punta del nazionalismo sionista. Autore della Storia del Secondo Tempio si candidò per Herut alle elezioni per la presidenza dello Stato d'Israele ma fu sconfitto da Weizmann. Al centro dei suoi studi il legame storico e religioso fra ebraismo e cristianesimo e soprattutto il rapporto fra giudaismo ed umanesimo, che significa riconoscimento dell'identità comunitaria forte dei popoli, nel legame fra terra e cultura, in opposizione all'universalismo. Un famoso nipote di Klausner è lo scrittore israeliano Amos Oz che ha rievocato nella sua autobiografia Sippur al ah ava vehoshekn (Storia d'amore e di tenebra) la figura dello zio.
   La riflessione sull'identità occidentale ebraica e il tema forte anche di un altro degli autori scelti da Pinto è Abba Gaissinovic, lettore e interprete di Oswald Spengler, russo di origine, formatosi a Vienna, laureato si proprio con una tesi sull'autore del Tramonto dell'Occidente. Emigrato in Palestina nel 1924 assume il nome di Abba Achimeir e collabora a lungo con il quotidiano Do'ar Hayom (Posta quotidiana). Aderisce alla tesi di Spengler sull'esistenza di «un'anima magica» dei popoli, capace di reinterpretare la tradizione e trasmetterla ai posteri. Ebraismo ed occidente devono individuare costantemente il nucleo della loro civiltà magica in quel processo che si chiama «pseudomorfosi».
   Hans Joachim Schoeps chiude la galleria dei personaggi di questo saggio, tedesco di nascita e di lingua, amava autodefinirsi ebreo-prussiano, importante storico delle religioni, nonché curatore delle opere di Kafka. Durante il nazismo riparò in Svezia mentre perse i genitori nei campi di concentramento dell'Olocausto, tornato in Germania dopo la guerra rifiutò, per motivi politici, la cattedra all'Università Humboldt di Berlino Est ma accettò quella di storia delle religioni all'ateneo di Erlangenin Baviera. Qui elabora la sua teoria dello spirito che ruota attorno al riconoscimento del valore del prussianesimo conservatore antitetico al nazismo che ebbe forti venature di sinistra. Difensore dei diritti e dell'uguaglianza delle minoranze sessuali, si opporrà, però, con vigore al movimento del sessantotto che indica come esempio di auto-disgregazione di una società. Nel 1951 tenne un famoso discorso in occasione dei duecentocinquanta anni del Regno di Prussia, testamento politico contro il nichilismo.


Vincenzo Pinto, In nome della patria, Le Lettere, Firenze, pagg. 202, € 16,50

(Il Sole 24 Ore, 13 settembre 2015)


Apple aggiungerà emoji per musulmani ed ebrei su iOS 9.1

L'universo Emoji continua a diventare aperto a tutte le etnie, razze e religioni. Circa cinque mesi dopo che Apple ha rilasciato iOS 8.3, il quale ha introdotto immagini emoji razzialmente diverse, un altro aggiornamento è in arrivo con l'uscita di Apple iOS 9.1 questo autunno.
Oltre ai nuovi attesissimi emoji come il taco e l'unicorno, i credenti ne avranno anche altri tra cui scegliere. La nuova versione include una sinagoga, una moschea e anche la Kaaba, la struttura cubica nera della Mecca che è la più famosa e significativa casa di Dio per l'Islam.
Ci sarà anche una menorah ebraica (candelabro) con nove braccia, un rosario, e persino un simbolo generico di una persona in ginocchio, a significare un luogo di culto. Ci sono anche diversi emoji per la chiesa cristiana tra cui scegliere.
Quasi ogni altra categoria avrà emoji aggiornati. Altre aggiunte degne di nota sono una faccia da robot, medaglie per i premi, una fetta di formaggio e una bottiglia con un tappo di sughero stappato.
Le nuove emoji nell'aggiornamento iOS 9.1 di Apple si basano su 41 nuovi personaggi approvati nel mese di giugno dal Consorzio Unicode, una organizzazione che definisce lo standard per le opzioni su varie piattaforme.
Il nuovo sistema operativo Apple iOS 9.1 è attualmente in versione beta, ed è accessibile a sviluppatori con account a pagamento. Sarà messo a disposizione del pubblico entro la fine dell'anno. (I nuovi emojis non saranno inclusi nella release iOS 9 del 16 Settembre). Non è chiaro quando anche gli altri sistemi operativi come Android offriranno i nuovi emoji.

(informatblog, 13 settembre 2015)


Eurobasket - Rapida e senza lunghi, Casspi è il profeta: «Nel deserto per quattro anni»

Dopo il disastro del 2011, Israele punta alle prime otto d'Europa Il leader è l'ala di Sacramento: «Siamo tornati al nostro livello»

di Luca Chiabotti

LILLA - L' ultima volta che ho incontrato Israele non andò bene: quella partita è una motivazione in più per tutti noi»: Danilo Gallinari c'era nel 2011 quando l'Italia e Israele si affrontarono, già eliminate, nell'ultima gara di un Europeo disastroso per tutte e due. Il tempo non è passato invano, oggi si giocano un posto tra le prime otto d'Europa e per la speranza di un'Olimpiade. Hanno percorso due strade diverse, l'Italia che risale la china, Israele che, come dice la sua stella, Omri Casspi, "E' stato quattro anni nel deserto» per arrivare fin qui, ventunesimo nell'Europeo del 2013, una sola vittoria nelle sette amichevoli disputate in un precampionato, massacrato dai rimbalzi offensivi della Bosnia che l'ha battuta all'overtime nel girone di Montpellier, ma capace di superare Russia, Finlandia e Polonia per presentarsi a Lilla e tentare contro l'Italia quello che le è riuscito una sola volta dal 1983: entrare nelle prime 8 d'Europa.

 Come l'Islanda
  Israele è una Islanda 2.0, intensa, rapida, dal gioco atipico, con 5 giocatori in movimento e back door da vecchia scuola. Un'avversaria capace di toglierei il sonno anche se gioca in sette e, storicamente, è poco potente in area, dove oggi, archiviata la parentesi Alex Tyus, c'è il mestierante D'or Fischer. "Siamo migliorati indivualmente e come squadra, siamo pronti per questo Europeo,tornati allivello che meritiamo. Ognuno segue i compagni e tutti seguono il coach e ne sono felice» dice Casspi, evidenziando i problemi che in passato hanno attanagliato il gruppo. Da Gallinari lo dividono 47 giorni di vita in più, 4 centimetri in meno ma carriere e aspettative simili, prima in Europa da giovanissimi già in Eurolega a Milano e al Maccabi, poi nella Nba con un intero Paese orgoglioso di loro alle spalle, anche se poi Danilo è diventato una star e Omri, dopo un inizio molto promettente ai Kings, è finito nel tritacarne, a Cleveland prima che tornasse LeBron, Houston fino al ritorno ai Kings fortemente voluto. "Ci affrontiamo e conosciamo da quando siamo ragazzini, parliamo ogni volta che le nostre squadre si incontrano in America» dice Danilo ricordando che già lO anni fa fossero uno contro l'altro nell'Under 18 (con Datome, Eliyahu, Ohayon, Kadir).

 Che sfida
  Omri s'è preparato a questa manifestazione lavorando con un guru del perfezionamento dei giocatori, David Thorpe, di cui è adepto anche Gal Mekel, il motore del gioco israeliano: "Con lui sono tornato alle origini, ai fondamentali» dice Casspi. "Israele è un'ottima squadra, la chiave per noi è giocare 40' senza alti e bassi mentali» dice Gallo ("Come mi sento dopo aver giocato 5 partite in 6 giorni? Bene, ma stavo meglio meglio prima di giocarle ... » ammette), "La nostra difesa sarà la chiave contro un attacco ad alto numero di possessi che coinvolge tutti i giocatori» dice Casspi. Un'altra grade sfida.

(La Gazzetta dello Sport, 13 settembre 2015)


Tumori cerebrali, nuove applicazioni per la cura

Zvi Ram, capo del Dipartimento di Neurochirurgia del Sourasky Medical Center di Tel Aviv, durante il Congresso Mondiale di Neurochirurgia, ha rilasciato alcune dichiarazioni sulle nuove applicazioni per la cura dei tumori cerebrali.

Il prof. Zvi Ram
ROMA - Secondo l'esperto si sta tentando di trovare terapie mirate verso le aberrazioni molecolari che portano alla cancerogenesi. "Fino ad ora afferma l'esperto - i risultati non sono stati soddisfacenti, quindi aspettiamo il momento in cui queste modalità terapeutiche faranno la differenza. Altre novità - illustra Zvi Ram - provengono dal campo dell'immunoterapia: stiamo cercando di creare dei vaccini contro i tumori. I risultati sono promettenti ma sono ancora preliminari e sarà necessario del tempo per sperimentare questi farmaci in studi clinici di fase 3 per determinare il loro impatto terapeutico. Altre modalità - aggiunge - provengono dall'applicazione della tecnologia alla chirurgia, nel tentativo di aumentare la sopravvivenza dei pazienti attraverso una chirurgia più radicale possibile, conservando l'integrità del paziente e preservando le sue funzioni cognitive superiori. Tra queste tecniche vi sono la craniotomia a paziente sveglio e il mapping delle aree eloquenti dell'encefalo che aiutano a capire l'organizzazione dei network cerebrali".
   "Di recente - ricorda lo studioso israeliano - un avanzamento pioneristico nel trattamento dei tumori cerebrali è stato iniziato dalla Novocure. È stato accolto con sorpresa dalla maggior parte delle comunità scientifiche del mondo, perché si tratta di un terreno ancora sconosciuto. È una modalità completamente innovativa non solo nel trattamento dei tumori cerebrali, ma anche di altre neoplasie. Come medici, siamo abituati a trattare i pazienti con chemioterapia, radioterapia e chirurgia. Rispetto a questa nuova tecnologia, questi rappresentano degli strumenti primitivi con cui interveniamo in modo invasivo sull'encefalo del paziente, danneggiandone il funzionamento in modo disastroso e con conseguenze anche a livello sistemico. La Novocure - sottolinea Zvi Ram - ha sviluppato questa modalità di trattamento dei tumori in modo non invasivo e con effetti collaterali quasi assenti. È stato condotto uno studio di fase 3 su larga scala in cui si sono dimostrate proprietà curative che non si erano osservate con nessuna modalità terapeutica negli ultimi 30 anni".
   Per il neurochirurgo israeliano, l'unica innovazione negli ultimi 10 anni riguarda l'introduzione di un farmaco, Temozolamide, che permise di aumentare la sopravvivenza dei pazienti di due mesi. "In questo caso - precisa Zvi Ram - si è notato un aumento della sopravvivenza di quattro mesi e anche oltre in determinati pazienti".
   Secondo lo studioso è giusto che i medici siano molto conservativi e aggiunge: "Dovremmo fare riferimento alla medicina basata sull'evidenza. È necessario del tempo perché il mondo conosca queste nuove tecnologie eliminando quello scetticismo che naturalmente accompagna le nuove scoperte".
   Il neurochirurgo del Sourasky Medical Center di Tel Aviv precisa che "queste terapie non hanno effetto curativo, ma si tratta di un approccio per fasi, per migliorare la prognosi dei pazienti. Dieci anni fa, la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumori maligni dell'encefalo era di un anno scarso, mentre ora questa è raddoppiata. Può non sembrare molto ma nell'ultimo decennio la sopravvivenza è arrivata a due anni, che sembrano un lasso di tempo troppo piccolo ai nostri occhi, ma che sono tutto per un paziente cui stiamo offrendo un aumento della sopravvivenza, conservando una buona qualità della vita. I dati degli studi mostrano l'efficacia della terapia con TTF, afferma Zvi Ram, e ricorda che in uno studio condotto su casi di Glioblastoma Multiforme ricorrente, i risultati hanno mostrato uguale efficacia della chemioterapia e dei TTF utilizzati come terapie individuali. Quando la terapia con TTF è stata approvata dalla FDA nel 2011, molti pazienti sono stati trattati con questa modalità in tutto il mondo, con varie combinazioni terapeutiche. E nei pazienti, trattati al di fuori di quello studio, si è notato un miglioramento della sopravvivenza ancora maggiore con una terapia di combinazione, piuttosto che con la sola terapia con TTF.
   Lo schema di combinazione ottimale non è conosciuto e sono presenti numerose modalità in studio. "Sono speranzoso - conclude lo scienziato - che questa modalità di trattamento diventi ubiquitaria, nell'ottica di trattare le patologie tumorali con un approccio minimamente invasivo".

(In salute news, 11 settembre 2015)



Giunte le prime truppe di terra iraniane in Siria. Circa mille uomini

Secondo fonti vicine ai servizi di sicurezza israeliani, l'Iran ha appena inviato le sue prime truppe di terra in Siria. Si tratterebbe di circa mille marines e truppe speciali della Guardia Rivoluzionaria iraniana.
La fonte israeliana indica in Ghorin, una piccola base aerea a sud della città portuale di Latakia, il luogo di loro immediata dislocazione. Si tratta della terra di origine della famiglia Assad e dei principali maggiorenti della comunità Alawita che governa la Siria.
E' la stessa zona in cui si trovano anche gran parte dei consiglieri militari e delle truppe russe di terra che, però, stando alle dichiarazioni della diplomazia moscovita non sono direttamente impegnati negli scontri armati, ma solamente adibiti alla gestione del sempre più sofisticato armamento fornito da tempo dalla Russia a Bashar al-Assad.
Più a sud si trova la grande base navale russa di Tartus che costituisce l'unica presenza stabile delle navi militari di Mosca nel Mediterraneo.

(Ultima Edizione.eu, 12 settembre 2015)


L'ayatollah e quelle "cene antisemite". Ora Khamenei getta ponti pure in Europa

Parlamentari inglesi che parlano di "razza ebraica", merci e professori israeliani boicottati. Storie dalla settimana dell'odio. "In 25 anni Israele sparirà".

di Giulio Meotti

 
Ali Khamenei: "Annientare, dissolvere, cancellare: in 25 anni Israele sparirà"
ROMA - L'ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell'Iran, usa tre parole in farsi per spiegare cosa vorrebbe fare di Israele: nabudi (annientare), imha (dissolvere) e zaval (cancellare). Sono impresse in un libro, "Palestine", in cui Khamenei espone il suo piano per cancellare dalla mappa geografica quel "tumore canceroso", lo stato ebraico. Ieri, Khamenei è tornato a scandirlo: "Se Allah vuole, entro i prossimi 25 anni non ci sarà più nessun regime sionista". Non è stata certo mitigata dai negoziati nucleari con gli Stati Uniti la furia antisemita dell'Iran.
   Londra è distante da Teheran. Ma qualche giorno fa Sajid Javid, ministro inglese delle Attività produttive, ha tenuto un discorso drammatico durante la serata di raccolta fondi per l'educazione sulla Shoah. Javid ha attaccato "le cene antisemite", un fenomeno tipico delle "chattering classes" inglesi che durante le cene sedute, i "dinner parties" nei quartieri benestanti della capitale inglese, "persone rispettabili della classe media che avrebbero un sussulto di orrore se fossero accusate di razzismo sono molto felici di ripetere calunnie sugli ebrei". Gli ayatollah hanno saputo costruire ponti in questa fragile psiche europea, che come ha spiegato il rabbino Giuseppe Laras in un discorso pubblicato in esclusiva dal Foglio online, era già gravemente malata di antisemitismo.
   E questa è stata una settimana proficua per la raccolta dell'odio antiebraico. A Londra, l'arrivo del premier israeliano Benjamin Netanyahu è stato accolto da petizioni per il suo arresto (oltre 110 mila le firme) e da manifestazioni antisemite. In un video virale, un'attivista, Pamela Hardyment, dichiara senza inibizioni che sei milioni di ebrei israeliani "devono andare in mare". A firmare la petizione contro Netanyahu anche dei parlamentari inglesi, come Tommy Sheppard, e i principali capi dei sindacati inglesi con una lettera sul quotidiano Guardian. Un parlamentare dello Scottish National Party, Paul Monaghan, ha parlato di "orgogliosa razza ebraica" che "perseguita il popolo di Gaza". In Lussemburgo, la più grande catena di supermercati, Cactus, ha sospeso la vendita di prodotti israeliani dalla Cisgiordania. Una decisione che ieri Netanyahu ha paragonato al boicottaggio antiebraico negli anni Trenta. Il premier stava commentando il voto del Parlamento europeo (525 a favore, 70 contrari) che chiede la marcatura dei prodotti ebraici provenienti dai territori contesi, ricalcando perfettamente la linea del movimento Bds per il boicottaggio di Israele.
   Ad Aachen, in Germania, la banca Sparkasse ha ospitato nei suoi uffici un dibattito in cui hanno preso parte attivisti che hanno firmato un manifesto per "il completo smantellamento del regime israeliano dalla Palestina storica, dal mare al fiume". Ovvero la cancellazione dello stato ebraico. In Francia, la richiesta di due scienziati israeliani di ottenere un campione di antisiero è stata respinta da un professore di Biologia presso l'Università di Bordeaux, a causa della loro nazionalità. Nella sua risposta alla richiesta, l'accademico ha scritto: "Finché non vedo un serio sforzo fatto dal vostro paese per raggiungere la pace con coloro che vivevano in Palestina prima dell'attuale popolazione non manderò alcun antisiero". In Olanda, l'editore Thieme Meulenhoff ha difeso la pubblicazione di un libro di testo per le scuole superiori in cui, a pagina 23, si legge: "Il governo britannico aveva urgente bisogno di denaro durante la Prima guerra mondiale. Banchieri ebrei erano pronti a offrire quel prestito se il governo avesse fatto un gesto verso il popolo ebraico". Inoltre, si legge che Israele è "basato sull'ingiustizia" .
   Il supremo turbante iraniano non avrebbe saputo dirlo meglio. Con posto a tavola.

(Il Foglio, 12 settembre 2015)


Mosca segue "il modello Taiwan" e crea un suo mini-stato siriano

di Carlo Panella

ROMA - Vladimir Putin e Bashar el Assad si muovono oggi nel solco degli accordi America-Iran sul nucleare, ne sfruttano la logica politica e preparano uno "scenario Taiwan", se l'imminente battaglia per Damasco obbligherà il dittatore alla fuga dalla capitale, muovendosi sulla base di un progetto definito a luglio nella visita a Mosca del generale dei pasdaran Qassem Suleimaini. La base politica su cui si regge l'accordo Usa-Iran è quella enunciata da Barack Obama al Cairo il 6 giugno 2009: una mediazione tra Washington e Teheran per la stabilizzazione del medio oriente. In nome di questo obiettivo, Obama ha ignorato i "ragazzi dell'Onda verde" e ora consegna agli ayatollah - e ai pasdaran -150 miliardi di dollari congelati e la fine delle sanzioni. L'Iran incassa la fiducia, registra il non interventismo americano, sfrutta la copertura dell'aviazione americana nella sua guerra allo Stato islamico in Iraq (che continua a perdere, vedi Ramadi) e soprattutto spende il jolly che Obama gli ha regalato: piena libertà di difendere un Assad che gli è indispensabile per mille motivi geopolitici (e religiosi, in funzione anti sunnita). Ma ora Assad sta perdendo la guerra, e nella logica politica del deal, l'Iran concorda con Putin un "arrocco", la messa in sicurezza del re in un angolo della scacchiera, difeso dalla torre russa. Da parte sua, l'Iran si prende carico della difesa di Damasco attaccata dallo Stato islamico e da al Nusra, battaglia che sarà terribile e sanguinosa e sul cui esito né Mosca né Teheran (né Assad) sono pronti a scommettere.
   Putin non ha la minima intenzione di impegnare i suoi "omini verdi" né a Damasco, né su altri fronti che non siano quelli della esclusiva difesa della "Taiwan" alawita di Latakia e Tartous. La "lotta contro lo Stato islamico" sarà solo uno specchietto propagandistico per le allodole (lo spiega lo schieramento militare russo sul terreno) e sarà rigidamente limitata alla difesa degli interessi strategici russi nel Mediterraneo. Se Damasco sarà persa, si aprirà infatti lo "scenario Taiwan": lo spostamento del governo siriano nella regione alawita compresa tra Tartous e Latakia. Si formerà così un mini-stato siriano - legittimo sul piano formale - difeso e garantito dalle armi e dalla flotta russa di stanza nel porto militare di Tartous. Uno stato satellite di Mosca, che coronerà il secolare sogno della Grande Russia, dell'Urss e ora della Federazione russa: disporre di un forte presidio territoriale e militare nel Mediterraneo, in raccordo con la Crimea. L'Asse militare-navale tra Sebastopoli e Tartous (e Latakia) permetterà alla flotta russa un protagonismo nel Mediterraneo mai raggiunto sinora. Il tutto avviene - ha ragione Sergei Lavrov - nella continuità, sin dalla sua indipendenza, della integrazione politica e militare della Siria nel blocco sovietico e poi russo.
   Il russo è la prima lingua straniera parlata in Siria per lontane ragioni storiche: nel 1944 fu Andrey Gromiko a imporre l'indipendenza immediata della Siria, annullando il progetto della Francia di prorogare il suo protettorato su Damasco. Da allora, tutti i quattro governi golpisti e infine - dal 1970 in poi - il putchista Hafez al Assad, hanno speso miliardi (poi abbonati da Putin nel 2005) in armamenti sovietico-russi. Assad padre inviò nelle università sovietiche e poi russe i quadri dirigenti dello stato e dell'economia e soprattutto offri Damasco (e la colonizzata Beirut) come base d'appoggio per il Kgb e la Stasi in medio oriente, incluso il network palestinese terrorista organizzato da Wadi Haddad, agli ordini del generale Markus Wolf della Stasi, di cui facevano parte molti responsabili di tanti attentati palestinesi. Ora Damasco, da capitale del terrorismo gestito da Kgb e Stasi, rischia di diventare capitale del terrorismo jihadista.
   
(Libero, 12 settembre 2015)


Il leader di Hamas Meshaal ricevuto da Erdogan a Ankara

ANKARA - Il presidente dell'ufficio politico del gruppo palestinese di Hamas, Khaled Meshaal, si trova in questi giorni in Turchia per una visita ufficiale. Nella giornata di ieri Meshaal è giunto ad Ankara dove è stato accolto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Nei prossimi giorni il leader del gruppo islamico palestinese incontrerà altre personalità del governo turco accompagnato da altri membri dell'ufficio politico come Mousa Abu Marzuk. Quest'ultimo non ha negato, parlando alla stampa araba, di voler organizzare a breve una visita in Russia e in Iran per rafforzare le relazioni con questi due paesi.

(Agenzia Nova, 12 settembre 2015)


La bandiera simbolo del terrorismo sventolerà a New York davanti al 'Palazzo della Vergogna'

di Deborah Fait

Il simbolo del terrorismo palestinese
E' difficile da credere, ma proprio l'11 settembre, 14 anni dall'attentato alle Torri gemelle che fece 3000 morti, l'ONU ha pensato di far uscire la notizia che la bandiera palestinista sventolerà come stato non membro, accanto a quelle dei 193 stati membri.
Lo avranno fratto apposta? Niente di più facile se pensiamo che il 70% degli stati membri sono arabi e musulmani e che magari, nell'intimità delle loro case, avranno brindato alla salute di quei 3000 morti.
Ne abbiamo viste di tutti i colori, da quel Palazzo sono uscite negli anni le decisioni più becere. Che l'Agenzia internazionale delle Nazioni Unite, nata nel 1945, per difendere i Valori Universali e i Diritti Umani e come risposta alla guerra che aveva insanguinato l'Europa fino alla Shoah, commemori la tragedia che cambiò la storia del mondo, onorando un' organizzazione di terroristi è davvero troppo.
  E che terroristi, se pensiamo ai festeggiamenti fatti in ogni città e villaggio abitati dai palestinisti quando Al Queda mando' i suoi assassini suicidi a colpire il cuore dell'America.
  E' in questo modo scellerato che l'ONU commemora tutti quei morti, il dolore di New York, il dolore e il terrore di tutto il mondo libero, facendo sventolare davanti al Palazzo di Vetro la bandiera di un non-stato i cui abitanti, gli arabi-palestinisti, alla notizia dell'attentato e alla vista delle Torri che implodevano in un inferno di fuoco, di fumo e di esseri umani carbonizzati, si misero a ballare per le strade, urlando di gioia, distribuendo caramelle e bakhlavà, facendo con le auto gimkane da vittoria dei mondiali di calcio.
  "Io mi vergogno" diceva Oriana Fallaci, mi par di sentire la sua voce profonda e roca per le tante sigarette, che recitava la sua vergogna per l'antisemitismo che stava di nuovo sconvolgendo il mondo e per l'asservimento dell'Occidente all'Islam che lo stava conquistando. Fosse qui oggi, avrebbe un lungo elenco di infamità da aggiungere a quel grido di dolorosa e indignata ribellione.
  L'Onu è diventata, ormai da moltissimi anni, e a nostra vergogna perché lo abbiamo permesso, un'organizzazione antisemita che nulla ha da spartire con i valori proclamati dalle Nazioni Unite nel lontano 1945. Senza contare le innumerevoli risoluzioni contro Israele proclamate nello stesso momento in cui gli arabi palestinisti commettevano stragi spaventose di ebrei, senza contare la presenza settimanale permanente dell'argomento Israele, sempre in odore di condanna, nell'agenda delle assemblee ONU, nella sua storia vi sono state alcune svolte di assoluto razzismo antisemita.
  Nel 1975 con la risoluzione 3379 l'Assemblea Generale decretò che "Il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale" e questo accadde esattamente un anno dopo aver garantito all'OLP, organizzazione terrorista di Arafat che insanguinava Israele e l'Europa, lo status di "osservatore". Questo schifo passò col supporto del blocco sovietico e di tutti i paesi arabi e fu revocato soltanto 16 anni dopo, nel 1991.
  Nel 2001, la conferenza mondiale ONU contro il razzismo, a Durban, vide l'apoteosi dell'odio antisemita, vi fu una vera e propria caccia all'ebreo che si concluse con l'approvazione, PER ACCLAMAZIONE, di un documento che accusava Israele di essere "uno Stato razzista e colpevole di crimini di guerra, atti di genocidio e di pulizia etnica". Ricordo quei giorni come un incubo, le scene di nugoli di fanatici sbavanti odio che correvano urlando per le strade, inseguendo gli ebrei. Ricordo che gli inviati presenti a quello scandalo, a meno che non fossero simpatizzanti di tutto quel livore, ne tornarono sconvolti. Le parole più gentili rivolte a Israele erano "A morte... Israele nazista..." .
  Come scrisse all'epoca Fiamma Nirenstein: ".... la famigerata Carta uscita da Durban 1, sulla base di una delle peggiori iniziative che l'Onu abbia mai intrapreso, iniziativa caratterizzata soprattutto dalla presenza di Fidel Castro, Arafat e Mugabe, che tennero banco alla conferenza del 2001 con i loro discorsi di odio."
  Nel 2001 infatti, pochissimi giorni prima degli attentati dell'11 settembre, a Durban si svolse un festival di odio antisemita e antioccidentale, con manifestazioni inneggianti a Bin Laden e dimostranti che inseguivano gli ebrei per le strade.
  Oggi, 2015, L'Assemblea Generale mette il cappello su un'altra decisione che disonora i paesi membri e il mondo intero, consentendo, unico caso nel pur indegno curriculum dell'ONU, a un non-stato, per di più terrorista, di esporre la propria bandiera al Palazzo di Vetro. E' davvero incredibile, non è mai accaduto al mondo che un popolo inventato fosse tanto amato, onorato, temuto e rispettato come quello palestinista.
  A questo proposito lasciatemi di ricordare le dichiarazioni di un dirigente dell'OLP, Zahir Muhsein, rilasciate a un giornale olandese molti anni fa:
  "il popolo palestinese non esiste, il popolo palestinese è stato creato per ragioni strategiche in funzione antisionista, ma non appena avremo conseguito la distruzione di Israele non aspetteremo un solo momento ad unirci al popolo arabo di cui facciamo parte."
  Parole che l'Occidente ha volutamente ignorato per adottare in toto le menzogne della propaganda di Arafat che, con la sua malefica fantasia e il suo cinismo, ha completamente cambiato la storia del Medio Oriente delegittimando Israele per dare ai palestinisti la primogenitura di popolo cui spetta la Terra e agli ebrei l'appellativo di invasori.
  Questa grande menzogna non avrebbe mai potuto attecchire nelle menti umane se non fosse che questi arabi hanno Israele come antagonista, quindi gli ebrei, quindi... a morte. Nel mondo vi sono un'infinità di territori definitivamente occupati e di popoli veri e reali che se li contendono nell'indifferenza generale. Avete mai sentito una qualsiasi assemblea ONU discutere dei Kurdi, un popolo antico che viveva in un grande paese di nome Kurdistan poi spezzettato tra Iraq, Siria, Turchia e Iran? E quando Saddam Hussein li ha gasati, avete per caso visto qualche marcia di protesta in giro per il mondo dei pacifisti o avete sentito una qualche condanna delle Nazioni Unite?
  E il Tibet, diventato una provincia cinese, che ha completamente distrutto quella cultura? Due esempi, i soliti esempi (ma ne avremmo un'infinità di altri, anche in Europa.... Istria... per esempio) , il solito insulto alla giustizia, la solita infamante politica occidentale che santifica, difende, onora un paese inesistente e un popolo inventato soltanto, come dichiarato da Muhsein, in funzione antisionista quindi antisemita.
  Alla base di tutto, amici, la parola è una sola, anzi quattro: odio per gli ebrei!
  Nel giugno del 2015 il comitato delle Nazioni Unite ha rifiutato, per la terza volta, la richiesta di Zaka di far parte delle ONG non governative.
  Tutti saprete chi è Zaka e cosa fa, a chi non lo sa lo dico io. Zaka è un'organizzazione di volontari israeliani che corre come servizio medico di emergenza ovunque avvengano attentati terroristici in Israele, ovunque vi siano disastri naturali o incidenti in Israele e nel mondo intero. Zaka è andata a Haiti per il terremoto, in Turchia, in Cina, a Cuba, in Pakistan, in Iran (travestiti da non israeliani), in Venezuela, dovunque vi sia bisogno di veri e propri santi là c'è Zaka.
  Si, sono dei santi, cui non interessa nessuna etnia o nessuno che li odi a morte, loro sono dovunque serva per portare conforto e salvare vite. Angeli in motorino, li chiamo, perchè si spostano su grandi motociclette per arrivare subito sui luoghi del disastro..
   Ebbene, l'ONU li ha bocciati, niente da fare, non son degni di far parte delle ONG accreditate, per accettare al loro posto un'altra organizzazione. Sapete quale? Indovinate! Perbacco, lo avrete capito subito! Hanno scelto il PRC. E chi è il PRC? Palestinian Return service, affiliato a Hamas, i terroristi che proclamano la distruzione di Israele, con il terrorismo, la guerra o, dal nome della suddetta ONG, attraverso il "ritorno " dei palestinisti in Israele. Fulgido esempio dell'aberrazione dell'ONU. Quasi quasi mi vien da pensare che sia stato un onore per Zaka non essere accettati in quel carrozzone razzista.
  Quale è dunque la morale? La morale, amici cari, è l'amoralità dell'organizzazione internazionale che risponde al nome di ONU e che ha decretato che ballare e offrire dolcetti a chi festeggiava la morte di 3000 innocenti in America fosse degno di un premio. E la bandiera simbolo del terrorismo sventolerà a New York davanti al Palazzo della Vergogna.

(Inviato dall’autrice, 12 settembre 2015)


Parigi cerca talenti in Israele. Soprattutto fra i giovani ebrei che hanno lasciato la Francia

Ma si è sentita rispondere: a Tel Aviv si lavora meglio

di Ettore Bianchi

 
La sede di Technion, l'istituto israeliano di tecnologia a Haifa
La Francia sta cercando di attirare talenti hi-tech da Israele. Sono i famosi cervelli in fuga, che evidentemente non esistono solo in Italia: ebrei, avevano lasciato il loro paese in cerca di fortuna. Ora Parigi vuole riprenderseli, ma l'operazione non sta avendo granché successo, perché in molti hanno risposto che si lavora meglio dalle parti di Tel Aviv.
   Non è certo un'esperienza incoraggiante quella vissuta in prima persona dal ministro francese dell'economia Emmanuel Macron, che ha visitato la sede di Technion, l'istituto israeliano di tecnologia. Uno degli studenti si è addirittura permesso di replicare con una battuta: sì, per le vacanze. Qualcun altro ha domandato se la Francia si sta impegnando a sufficienza per far fronte all'ondata di attacchi antisemiti che si è verificata ultimamente. Se oltralpe mancano imprenditori specializzati nell'alta tecnologia, gli ebrei francesi si stanno ricollocando proprio nella nazione ebraica. E questo non soltanto per il clima di paura vissuto in Francia, ma anche per l'abilità israeliana nel coltivare le start up innovative. Così, una volta raggiunta un'ottima preparazione in questa università di alto livello, i neo imprenditori, che non rimpiangono certo la rigidità del sistema educativo e professionale francese, rimangono nella nazione mediorientale dove avviano nuove imprese che danno lavoro ad addetti sul posto. Suscitando l'invidia del governo francese, che però sembra avere attualmente le armi spuntate per far tornare a casa i talenti.
   Il forte incremento di partenze alla volta di Israele sta preoccupando non poco il presidente François Hollande e i suo collaboratori. La comunità ebraica in Francia, composta da quasi 500 mila persone, è in costante diminuzione e questo contribuisce a impoverire il tessuto economico. Il ministro dell'economia ha detto che molte di queste persone, emigrate in Israele, possiedono molta energia e vitalità e vogliono innovare e creare lavoro in loco, mentre potrebbero farlo altrettanto bene in Francia. Per avvalorare questa tesi, Macron ha fatto riferimento a misure governative come gli incentivi fiscali e l'accorciamento dei tempi per i contenziosi giudiziari. Ma ha anche aggiunto che il clima culturale è diverso: c'è meno predisposizione al rischio e, una volta raggiunta una posizione, si tende a conservarla.
   Comunque Parigi ha accantonato 200 milioni di euro per finanziare start up e incubatori, esentando dal pagamento delle tasse i nuovi imprenditori e i loro investitori fino all'85% del guadagno nel caso in cui rimangano proprietari dell'azienda per almeno otto anni Ma chi si è stabilito in territorio israeliano ribatte che in Francia manca il valore aggiunto della tranquillità. L'anno scorso, in seguito al riacutizzarsi del conflitto fra Israele e palestinesi nella striscia di Gaza, diverse imprese detenute da ebrei in Francia furono prese di mira con atti di vandalismo. Un giovane imprenditore attivo in Israele ha spiegato, senza troppi giri di parole, che essere ebrei in Francia è come far parte di una squadra di calcio nella quale nessuno ti passa la palla. Davvero poco incoraggiante.
   
(Italia Oggi, 12 settembre 2015)


Expo, il padiglione di Israele chiude due giorni per il Capodanno ebraico

Per Israele è l'anno 5776, e per questo il padiglione ha diffuso una nota per augurare "buon 5.776 a tutti"

In occasione del Capodanno ebraico, 'Rosh Hashana', il padiglione Israele a Expo resta chiuso al pubblico. La chiusura dalla sera di domenica 13 settembre fino alla mattina di mercoledì 16 settembre. Per Israele è l'anno 5776, e per questo il padiglione ha diffuso una nota per augurare "buon 5.776 a tutti". Secondo la tradizione ebraica, 'Rosh Hashana' celebra il momento culminante della creazione dell'Universo e l'accettazione della sovranità di Dio sopra tutte le cose. Da questo giorno Dio giudica le azioni di tutti gli uomini nel corso dell'anno, e decide del loro futuro per l'anno successivo.
Diversamente dalle altre ricorrenze che coincidono con un giorno di festa e di pausa dalle attività lavorative, Rosh Hashana dura due giorni. Padiglione Israele sarà inoltre chiuso dalla sera del 22 a tutto il 23 settembre per lo Yom Kippur, il giorno dell'Espisazione, la festività più sacra e importante del calendario ebraico. Secondo la tradizione, lo Yom Kippur è un giorno di digiuno e preghiera in cui Dio concede all'uomo l'ultima opportunità di ottenere il perdono e l'assoluzione dai propri peccati per l'anno appena giunto al termine.

(la Repubblica, 12 settembre 2015)


Eurobasket - «Attenzione a Israele, ti fa diventare matto»

Pianigiani presenta l'avversaria dell'Italia agli ottavi: «Gioca un basket inusuale, senza punti di riferimento».

di Luca Chiabotti

LILLA - La faccenda sta diventando enorme. Le tribune da 27 mila spettatori del Pierre Maury Stadium vuote fanno ancora più impressione. Dove si allenano i giocatori ancora assonnati dalla notte in bianco per il trasferimento a Lilla, di solito c'è l'erba. Hanno fatto sparire metà campo di calcio per dare una cornice straordinaria e sontuosa all'atteso trionfo della Francia di Tony Parker, nato e cresciuto a 80 km da qui, a Bruges, in Belgio. Enorme può diventare quello che gli azzurri hanno a portata di mano: tra loro e il Preolimpico c'è un muro da abbattere, Israele, che non ha il cemento armato di Spagna e Germania, della Serbia e della Turchia. Quello che può accadere dopo fa girare la testa: siamo in una parte di tabellone dove nessuno è più forte di chi abbiamo già battuto, neppure la Lituania, così diversa da quella che 2 anni fa ci lasciò fuori dalle prime quattro d'Europa. Pensieri impuri alla vigilia di una sfida che spesso è andata storta, nonostante Israele sia corta, giochi in 7 e non abbia tradizione ad alto livello (negli ultimi 30 anni è entrata solo una volta nelle prime 8, nel 2003).

- Pianigiani ci racconti Israele
  "Gioca un basket particolare, energico, inusuale, che fa abbastanza impazzire. Apre il campo, fa pick and roll tra i piccoli, finti blocchi: è una pallacanestro poco congeniale per noi, danno pochi punti di riferimento mentre noi giochiamo meglio quando le situazioni sono più evidenti. Aprono l'area così tanto che non hanno bisogno di tirare molto da tre, anche se sono primi per percentuale all'Europeo, perché prediligono conclusioni più comode da due. Abbiamo le qualità per metterli in difficoltà, ma sono una squadra di talento, come noi con giocatori Nba o molto esperti di Eurolega. So che storicamente è una avversaria che ci ha messo sempre in difficoltà».

- Cosa la preoccupa?
  "Il fatto che la squadra si possa disunire in certi momenti della gara. So già che ci sarà qualche azione in cui sembreremo al minibasket, con un israeliano che tira da solo in mezzo all'area mentre la difesa è tutta da un'altra parte ... L'importante, oltre a limitare questi incidenti, è non farsi prendere dall'angoscia e continuare a esprimere un basket senza pause. L'aspetto tecnico e mentale di questa sfida coincidono».

- Danilo Gallinari aveva promesso che ci sarebbe stato sempre, nonostante nell'ultimo anno a Denver non gli facessero fare la seconda gara in due giorni. Qui ne ha giocate 5 in 6.
  "Gallo si conosce molto bene, diciamo che con l'Islanda s'è risparmiato un po' e con la Serbia ha giocato solo 23' senza prendere rischi in attacco e in difesa: era quello che gli avevamo chiesto, se fosse contata di più avrebbe fatto a botte e a testate ... Nell'unico vero back to back, quello con la Spagna e la Germania, è stato decisivo e ci ha confortato. La notte prima della gara con la Serbia, il dottore mi ha chiesto se fosse possibile non far giocare oltre a Beli, anche Gallo e Gentile. Era un po' troppo. Ma, beata gioventù, AIe ha risposto con una gara di grande impegno fisico.

- Bargnani è in crescita anche atletica.
  «Sta prendendo il ritmo della partita, per uno che ha giocato poco negli ultimi anni è la cosa più importante da riacquistare. Anche lui con la Serbia aveva i polpacci duri, ma sta crescendo».

- I registi stanno soffrendo a trovare i loro punti.
  «Non è così semplice per loro, la pallacanestro dell'Europeo è la ricerca di vantaggi anche se comportano estremi tattici, come quando la Germania ha marcato Cinciarini con Nowitzki. In campionato, questo carico, ogni tanto viene sciolto da qualche penetrazione, qui è molto più difficile».

- In difficoltà nei possessi decisivi con Turchia, killer con Spagna e Germania. Cosa è cambiato?
  «Quando parlo di vissuto che ci manca mi riferisco proprio a questo. Dei dettagli hanno vanificato la rimonta contro i turchi, certi errori non li abbiamo più fatti poi perché sono diventati più chiari i nostri obbiettivi e come raggiungerli. Sono le cose che diventano naturali solo quando un gruppo gioca tante partite come quelle con Spagna e Germania assieme».

- Si sono aperti scenari per noi molto positivi.
  «Ammetto, è un mio limite: non riesco mai a guardare oltre la prossima partita. Ma fatico a immaginare una squadra debole che entra tra le prime 8».

- L'ultima volta europea che ha giocato contro Israele, un suo timeout nel quale, sotto di 19 nell'ultimo quarto di un campionato disastroso, chiedeva agli azzurri di cosa fossero fatti è diventato un successo virale sul web. Le cose sono cambiate…
  «Lasciamo perdere quella volta... E' cambiato tutto ma non alcune caratteristiche di Israele che ci mettono in difficoltà».

(La Gazzetta dello Sport, 12 settembre 2015)


Russia-Usa, alta tensione sulla Siria

Washington e Israele contro gli aiuti militari a Damasco. Nuove prove dell'utilizzo di sostanze chimiche nella guerra Mosca: in quell'area mandiamo istruttori, non combattono tra regime, ribelli e jihadisti. Netanyahu: «L'Iran è come l'Isis». Dopo quattro anni e mezzo di conflitto i morti sono quasi 250 mila oltre 4 milioni.

di Roberto Romagnoli

ROMA - Quattro anni e mezzo di guerra, quasi 250 mila morti, decine di migliaia di feriti e di profughi, il dilagare dello Stato islamico, anche nel vicino Iraq. Tutto intorno un mondo che non riesce a trovare una soluzione, che, anzi, sembra allontanarsi sempre di più dal traguardo della pacificazione. Sulla pelle lacerata della Siria, si gioca una partita geostrategica mondiale dai risvolti ancora indecifrabili. Lo si era capito da tempo e ora, dopo le ultime recenti mosse della Russia, è ancora più evidente.

 Armi chimiche
  E nel giorno in cui si ha l'ennesima conferma che la guerra in Siria viene condotta anche, e ancora, con armi chimiche, a tenere banco è lo scontro - per ora dialettico ma sempre più teso - tra Stati Uniti e Israele da un lato e Russia dall'altro. Wasghington e Tel Aviv per tutto il giorno ieri hanno battuto sul tasto dell'invio in Siria di truppe e armi dalla Russia. Sulle armi Mosca non smentisce mentre sulle truppe nega affermando che in Siria ci sono solamente, e da tempo, consiglieri militari. «Gli specialisti militari russi si trovano in Siria per addestrare i soldati di Damasco nell'uso delle attrezzature belliche arrivate dalla Russia e non partecipano al conflitto» ha chiarito il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Il fatto è che la crisi siriana è come un cane che si morde la coda. Da un lato c'è il regime di Assad, sostenuto dalla Russia -con potere di veto all'Onu - e dall'Iran. Dall'altro c'è lo Stato islamico. Sul terreno, l'esercito siriano è l'unica forza militare che si sobbarca il compito di combattere i jihadisti ma, allo stesso tempo, continua a essere impegnato anche sul fronte dei ribelli anti-Assad. I raid aerei della coalizione a guida Usa non sono sufficienti per sradicare dalla Siria, e dall'Iraq, la minaccia del Califfato. E allora Mosca ha deciso di offrire un contributo in armi e mezzi militari ancora più robusto all'esercito di Assad in chiave, ufficialmente, antiterrorista. «La minaccia proveniente dallo Stato islamico è evidente, l'unica forza in grado di contrastarla è quella delle forze armate siriane» ha dichiarato ancora Dmitry Peskov, anticipando che la Siria e l'Isis saranno inclusi nel discorso che il presidente Putin terrà questo mese di fronte all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 La minaccia per Israele
  Ma Stati Uniti e Israele non si fidano e soffiano sul fuoco della polemica sospettando che dietro le mosse di Mosca ci sia anche, o forse soprattutto, l'intenzione di piantare bene i piedi in Siria, l'unico Paese che si affaccia sul Mediterraneo su cui il Cremlino può contare. A giudicare le dichiarazioni di Ism-ele appare evidente come la minaccia più grande venga giudicata Assad e non lo Stato islamico. Il ministro della Difesa Moshe Yaalon ha detto infatti che «truppe russe sono già in Siria per aiutare il regime di Assad a combattere l'Isis». In particolare Yaalon ha parlato di «preparazione di una base aerea», vicino alla base siriana di Latakia, che potrebbe essere usata - ha spiegato il ministro - «per dispiegare jet da combattimento ed elicotteri in raid contro i militanti dell'Isis». Nel frattempo a Londra, il premier israeliano Netanyahu calcava ulteriormente la mano affermando davanti al premier Cameron che «il Medio Oriente si sta disintegrando sotto la pressione di due forze gemelle di militanti islamici: i sunniti dell'Isis e gli sciiti guidati dall'Iran». Parole su cui Cameron, che avrebbe anche lui voglia di sbarazzarsi di Assad, fors'anche militarmente, ha glissato, limitandosi ad assicurare che il Regno Unito «resta determinato nella difesa del diritto d'Israele a esistere e a difendersi». Così come il mondo resta determinato sul non sapere, o non volere, come fare per porre fine alla guerra in Siria e alla minaccia del Califfato.

(Il Messaggero, 11 settembre 2015)


Polemica politica e considerazioni storico-religiose

L’amico Guastalla, nostro lettore da lungo tempo, ci ha scritto un’interessante lettera che ha provocato un breve scambio di riflessioni.

Caro Marcello,
credo che mi permetta di chiamarla così, bene ha fatto a riproporre la sua lettera a Netanyahu e la sua risposta. Bene ha fatto in un momento in cui siamo profondamente rattristati nel leggere sul Corriere della sera l'articolo sulle indiscrezioni sulle pressioni che gli ebrei romani (non la base ma il suo presidente, il suo rabbino capo, il presidente dell'UCEI) avrebbero fatto nei confronti del Presidente dello Stato di Israele Rivlin perché si faccia parte diligente al fine di impedire la nomina di Fiamma Nirenstein ad Ambasciatore di Israele in Italia. Per il momento la tristezza per un atto del genere mi impedisce di analizzare e commentare ulteriormente un comportamento del genere. Ma credo che, poiché molti ebrei italiani la pensano in modo assai diverso per non dire diametralmente opposto la cosa non finisce qui, sia sul piano del metodo che del merito.
Cordialmente
Guido Guastalla

Ps: non c'è niente di più pubblico degli incontri privati. Chi pensava di gettare il sasso e ritirare la mano ha avuto indietro quello che si meritava. Dice il proverbio: Male non fare paura non avere. Sembra che potrebbe essere stato l'entourage dello stesso Rivlin, per ragioni interne di contrasto con Netanyahu sul problema iraniano, a far filtrare queste voci.



Caro Guido,
la ringrazio di avermi chiamato per nome e anch’io mi prendo la fiduciosa libertà di chiamarla in questo modo. Non entro nel merito della specifica polemica su Fiamma Nirenstein che certamente in questi giorni agiterà l’ambiente ebraico italiano e non solo, ma il suo riferimento alla lettera aperta che scrissi più di due anni fa a Netanyahu, ricevendone inaspettatamente una risposta personale, mi spinge ad esprimere pubblicamente e brevemente alcune riflessioni maturate negli ultimi anni.
Oggi è abbastanza usuale presentare in forma ironica o scandalizzata gli atteggiamenti “strani” degli ebrei, diciamo così, superortodossi. Non approvo questo modo di fare per due motivi:
  1. a differenza dei sionisti laici, che sono interessati in primo luogo al popolo d’Israle, gli ortodossi si dimostrano interessati - a modo loro, si capisce - al Dio d’Israele, e a me, credente in Dio, questo ispira rispetto e riflessione;
  2. l’elemento che nei secoli ha tenuto insieme il popolo ebraico è indubbiamente il riferimento alla Torah e a tutto quello che si muove intorno ad essa. Il rabbinismo, non la filosofia o la scienza, è stato l’elemento attorno a cui si è sviluppata la società ebraica, e anche quando molti se ne sono allontanati, chi lo faceva continuava a misurare di quanto se ne fosse allontanato. Il che significa che il punto di riferimento rimaneva quello.
Ritengo che dietro tutto questo ci sia stata la mano provvidenziale e autorevole del Signore, e questo mi trattiene dal fare spietate critiche o schernitrici ironie su ciò che Dio stesso ha permesso per il mantenimento nei secoli del suo popolo.
Ma il piano di Dio per la redenzione definitiva del suo popolo, che fin dall'inizio è stato collegato ad una terra in cui Dio potesse esprimere la sua autorità di governo, è andato avanti. La nascita prodigiosa dello Stato ebraico d'Israele sulla terra destinata da Dio al suo popolo non è l'arrivo finale di questo piano, ma ne è una tappa importante e significativa che in nessun modo è possibile trascurare o anche sottovalutare. Oggi il confronto fondamentale fra popolo ebraico e resto del mondo non si gioca più sul tema dell'ebraismo rabbinico, ma su quello dello Stato ebraico d'Israele. Dico allora, attirandomi probabilmente le antipatie di molti, che in questo momento della storia del popolo ebraico è più importante, nel bene e nel male, quello che dice e fa un'autorità politica come il Primo Ministro dello Stato d'Israele, di quello che dicono o fanno le autorità religiose del rabbinato. E dico questo per convinzioni bibliche, non per valutazioni politiche.
Cordialmente,
Marcello Cicchese



Caro Marcello,
Sono del tutto d'accordo con la sua riflessione. Stranamente la dimensione escatologica è proprio nella dimensione politica della gestione dello Stato di Israele come tappa fondamentale sul piano della realizzazione dell'era messianica. La convergenza oggi fra le posizioni di Mons. Negri e di Rav Laras riprese da Il Foglio, è sorprendente, ma indica anche come le Fedi avvertono il pericolo di un pensiero debole o di un non pensiero che annulla l'identità dell'Europa. Le identità dei popoli e delle civiltà spesso sono il risultato di sedimentazioni millenarie. Il tentativo di sostituirle con ideologie create a tavolino spesso provoca disastri incalcolabili come hanno dimostrato il giacobinismo francese e il bolscevismo russo.
D'altra parte anche la sociologia laicista degli ultimi decenni ha dovuto misurare il suo fallimento con la fallace profezia sulla scomparsa delle Fedi.
Ebraismo e cristianesimo si trovano oggi di fronte a problemi decisivi non solo per la loro sopravvivenza ma anche per quella della nostra comune civiltà.
Con amicizia
Guido Guastalla



Caro Guido,
sono contento che questo scambio, partito da un fatto politico come l’annuncio della nomina di un ambasciatore, abbia portato a considerazioni sull’azione di Dio nella storia e sulla fede o non fede degli uomini in essa. Su questo piano storico-religioso il discorso naturalmente dovrebbe continuare, ma spero che questo in seguito possa essere fatto, su questa o in altre sedi. Per il momento la ringrazo dello spunto di riflessione che ha offerto con il suo intervento.
Con gratitudine,
Marcello Cicchese

(Notizie su Israele, 11 settembre 2015)


La Polizia di Israele volerà con gli elicotteri H125 e H145

Elicottero H125
Raggiunto uno storico accordo con Airbus Helicopters e Elbit Systems per il rinnovo della flotta dei servizi di sicurezza locali: in arrivo sei aeromobili
Israele sceglie Airbus Helicopters per i suoi servizi di sorveglianza aerea. L'accordo, rivelato nelle ultime ore, riguarda la fornitura di sei elicotteri per il rinnovo della flotta della Polizia di Israele: l'intesa è stata siglata alla sezione statunitense del costruttore, dai vertici delle forze di sicurezza e dall'azienda locale Elbit Systems.
Airbus Helicopters fornirà quattro monomotore H125 AStars e due bimotore di nuova generazione H145, oltre a garantire l'addestramento dei piloti e dei tecnici della manutenzione. L'ordine è stato piazzato da Elbit Systems per conto della Polizia di Israele: l'azienda locale si occuperà quindi della manutenzione e delle parti di ricambio.
Le consegne scatteranno entro la fine del 2016.
Oltre agli allestimenti base disponibili per gli elicotteri H125 e H145, gli aeromobili destinati alla Polizia di Israele saranno equipaggiati con telecamere termiche, luci di ricerca, sistema di mappe in movimento e dotazioni per i servizi antincendio.
Oltre a rappresentare il debutto ufficiale degli H125 (già leader di mercato per i servizi law enforcement negli Stati Uniti) e degli H145 in Israele, l'affare è anche la prima consegna straniera per un monomotore assemblato nello stabilimento Airbus Helicopters di Columbus, Mississippi.

(Helipress, 10 settembre 2015)


74 anni fa l'editto antisemita dello Stato slovacco di Jozef Tiso

Il 9 settembre cadeva il 74esimo anniversario dell'enunciazione del regolamento emesso dal governo del primo Stato slovacco con le norme sullo stato giuridico degli ebrei (Nariadenie o pràvnom postavení ?idov), un atto che, conosciuto anche come "Codice ebraico" (Židovský kódex), privava le persone di etnia e religione ebraica dei propri diritti civili. Emesso il 9 settembre 1941, l'editto che conteneva circa 300 norme in buona parte ricopiava le leggi antiebraiche della Germania nazista. La qualifica di "ebreo" era definita in base a principi etnici, ma anche religiosi, e comportava la deprivazione di numerosi diritti fondamentali, oltre che delle loro proprietà mobili e immobili. Un decreto di pochi giorni dopo, il 18 settembre 1941, stabiliva l'obbligo per ogni ebreo sopra i sei anni di indossare sui propri abiti una stella gialla a sei punte, obbligo che poteva essere evitato soltanto con l'intervento del presidente della Repubblica. La normativa, che incontrò la disapprovazione del Vaticano, vietava agli ebrei di intraprendere diverse attività, proibiva i matrimoni tra ebrei e non ebrei ed escludeva i giovani ebrei, anche se battezzati, dall'istruzione di ogni ordine e grado. E istituiva i campi di lavoro. Agli ebrei venne imposto inoltre di registrare tutti i beni immobili, che furono in seguito confiscati. Nell'ottobre 1941, inoltre, 10.000 dei 15.000 ebrei di Bratislava furono espulsi dalla capitale e trasferiti in provincia in appositi campi di lavoro .
Un evento commemorativo si è svolto ieri su piazza Rybné namestie, nel centro di Bratislava, dove un tempo sorgeva una sinagoga, abbattuta poi dai comunisti per far posto al Ponte Nuovo, e dove oggi è sito il Memoriale dell'Olocausto. Tra i presenti, il presidente del Parlamento slovacco Peter Pellegrini, il primo ministro Robert Fico e diversi ministri e rappresentanti delle istituzioni.
Il giorno 8 settembre una cerimonia di commemorazione si era tenuta presso il campo di prigionia di Sered, nella regione di Trnava, dove tra il 1942 e il 1945 transitarono almeno 10mila ebrei.
In occasione della ricorrenza, ieri l'Ufficio del plenipotenziario del governo per le minoranze ha scritto in una dichiarazione che «Questo giorno è allo stesso tempo un richiamo al graduale processo di degradazione della popolazione ebraica e alle dure misure anti-ebraiche culminate con la deportazione dei cittadini ebrei nei campi di sterminio».
Nel contempo, il Ministero degli Affari esteri ed Europei scriveva una sua nota: «Ricordare questo tragico capitolo della storia dell'umanità è essenziale, come un avvertimento contro i pregiudizi, l'intolleranza e il razzismo che degradano i principi di umanità e di rispetto dei diritti umani in patria e all'estero».

(Buongiorno Slovacchia, 10 settembre 2015)


"Con Marino è crisi, la giunta non mantiene alcuna promessa"

di Anna Rita Cillis

 
L'amministrazione Marino non ha mantenuto le promesse non solo con gli urtisti ma anche con il rabbino e con me». Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica romana, usa un tono pacato ma è evidente che tutta la vicenda l'amareggia. E non poco.

- Presidente lei in piazza del Campidoglio affianco agli urtisti che manifestavano ha parlato di crisi con il Campidoglio, è così?
  «Prima di tutto devo fare una precisazione: una cosa sono gli unisti, storici commercianti per lo più ebrei, un'altra è la comunità ebraica di Roma».

- E la crisi chi coinvolgerebbe?
  «La categoria, ovviamente, poi anche noi come rappresentanti spirituali e morali della nostra comunità. Ma su livelli differenti: per ora è venuta meno la fiducia che io stessa ho dato al sindaco. II Comune del resto ci aveva promesso, anzi garantito un percorso differente e da parte nostra c'era fiducia»

- Che tipo di impegni?
  «Ad esempio che entro la fine di luglio parte delle 43 licenze spostate dal Colosseo sarebbero state reinserite in quel perimetro, ovviamente in luoghi diversi. Penso sia giusto dare decoro a un sito di alto valore storico come quello ma per ora lì ci sono solo degli abusivi e mi fa tristezza pensare che gli urtisti siano, invece, altrove.

- Per la prima volta lei entra in una vicenda di questo tipo, però.
  «La questione è diversa, il rabbino e io ci abbiamo fatto da ponte con il Comune che ci ha chiesto di essere garanti della trattativa con gli urtisti. Del resto la nostra la cornunità è sempre stata a disposizione di questa città, e fino a oggi non c'erano stati problemi con il Comune»

- La situazione quindi è cambiata?
  «Sinceramente mi auguro che già domani qualcuno dal Comune si faccia vivo e si risolva la questione»

(la Repubblica, 10 settembre 2015)

*

In Campidoglio la rivolta dei commercianti ebre. "Il Comune ci ha tradito"

Anche il rabbino Di Segni con gli urtisti venditori di souvenir. "Dopo il trasloco dal Colosseo non sappiamo più dove andare".

Di Segni in piazza con gli urtisti
ROMA - «Per colpa tua sono senza giocattoli.. II cartello sorretto da un bambino in piazza del Campidoglio è rivolto al sindaco Marino. È solo uno delle decine di messaggi indirizzati all'amministrazione comunale dagli urtisti della citta, che ieri pomeriggio si sono riuniti in una protesta ai piedi dell'ufficio del sindaco. «Hanno lasciato duecento famiglie romane senza stipendio per due mesi, ora siamo sul lastrico» spiega Fabio Gigli, rappresentante degli storici venditori di souvenir in strada, «al 99 per cento ebrei», precisa la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, che ha preso parte alla manifestazione mettendo in discussione il rapporto con l'amministrazione.
   L'oggetto del contendere sono 43 delle oltre ottanta postazioni riservate agli artisti, che a inizio estate sono state spostate da punti strategici, vicini al Colosseo, all'adiacente via di San Gregorio. «Qui si guadagna zero, gli incassi sono calati del 90 per cento», spiegano gli operatori, che lamentano il posizionamento dal lato peggiore della strada (l'ingresso all'area archeologica è dall'altra parte ), la dimensione degli stalli («un metro per 80 centimetri, spazio che non sarebbe sufficiente nemmeno per un cane, commenta Gigli ) e la concentrazione in pochi metri. «Vendiamo tutti gli stessi articoli — argomenta Renato Sed, 55 anni, urtista da una vita — e così ravvicinati, senza passaggio di turisti, è inutile andare a lavorare».
   In piazza, al fianco degli urtisti, anche il Rabbino capo, Riccardo Di Segni, a cui l'amministrazione aveva promesso di ricollocare gli urtisti entro il 25 luglio scorso, in posizioni più remunerative, seppur diverse da quelle precedenti. «Siamo qui per un problema di dignità del lavoro — ha dichiarato Di Segni — per dare appoggio sociale a una categoria in questo momento a rischio, a cui sono stati privati i mezzi di sussistenza». Si perché le duecento famiglie che vivono grazie alla vendita di souvenir «stanno arrivando in massa agli enti di sussistenza della Comunità ebraica, racconta Dureghello, confermando le testimonianze esasperate dei tanti che ieri affollavano la piazza.
   «Hanno fatto fuori oltre cent'anni della storia di Roma — commenta Celeste Astrologo, operatrice del settore fin da bambina — dopo aver prosciugato i pochi risparmi di quarant'anni di lavoro.. Così nella protesta si intrecciano orgoglio ebraico («è la nostra professione da secoli, istituita da bolla papale», gridano in piazza), la disperazione nel non arrivare a fine mese e la delusione per le promesse non mantenute dal Campidoglio, ma anche la rabbia verso i venditori abusivi, secondo gli urtisti lasciati liberi di operare indisturbati anche a due passi dal Colosseo.
   Dal Comune, durante la manifestazione, non è arrivata nessuna risposta, se non l'ascolto del consigliere comunale Orlando Corsetti, presidente della commissione Commercio, che commenta: «Se dovessero essere confermate le mancate promesse del Campidoglio alla Comunità ebraica, prenderò le distanze da questo atteggiamento gravissimo con puntuali iniziative in consiglio comunale». Nel mentre, gli urtisti non sembrano intenzionati ad arrendersi, e «subito dopo il Capodanno ebraico — annuncia il portavoce Gigli —torneremo a protestare a oltranza, in ogni forma e contesto».
   
(la Repubblica, 10 settembre 2015)


Gli ultimi ebrei di Leopoli testimoni silenziosi di centomila fantasmi

Lviv è una città a dieci ore da Kiev ora un bastione del nazionalismo. Fino al 1941 era un'enclave israelitica.

di Tino Mantarro

LVIV (Ucraina) - Lviv è una città piena di vuoti. Sulle prime sembrano giardinetti, spazi verdi sottratti al denso tessuto urbano della città ottocentesca. Se rifletti un attimo ti rendi conto che no, non possono essere giardini: all'epoca o facevano immensi parchi oppure costruivano palazzi. Giardinetti per far scorrazzare i bambini proprio no.
  Doveva esserci qualcos'altro. «Vede lì, dove ci sono i tavolini e gli ombrelloni? Ecco, lì c'era la grande sinagoga, la Golden Rose, costruita in stile rinascimentale da un italiano. E lì, dove c'è quel buco con le erbacce? Lì c'era un'altra sinagoga, piccola, del XIII secolo. Mentre sotto gli alberi, accanto allo steccato, c'era la scala con cui si accedeva alla scuola della Torah».
  Serve un poco di immaginazione per ricostruire la topografia della Lviv ebraica.
  «Serve immaginazione, è vero. Però se pensa che qui, nel centro storico, dove ora c'è un buco c'era qualcosa di ebraico è più semplice», spiega Olga Kushnir, guida turistica. Onesta, mette le mani avanti: «In questa mattinata non vedrete molti». Il tour si chiama «La storia invisibile degli ebrei»: «Invisibile perché non ci sono segni e non ci sono gli ebrei: non è rimasto nulla, solo storie del passato e queste fotografie». Quel passato quando Lviv, o Leopoli come si è sempre detto in italiano, era capitale della Galizia, la regione più grande e settentrionale dell'Impero austro-ungarico. Ottocentomila abitanti, oggi si trova in Ucraina, a dieci ore di treno da Kiev, ed è considerata un bastione del nazionalismo. Eppure, fino alla Seconda guerra mondiale, la Galizia era a maggioranza polacca, da secoli abitata da popolazioni di religione ebraica che si affollavano nei villaggi di campagna, gli shtetls , dove prosperava l'ortodossia. Nella cosmopolita Lviv gli ebrei erano più laici, partecipavano alla vita politica e sociale e si dedicavano al commercio e alle professioni liberali. «Nel 1941, quando arrivarono i nazisti trovarono una grande comunità ebraica. Questa non era una città ucraina: su 250mila abitanti, 125mila erano polacchi, 115mila ebrei e gli altri, i più poveri, ucraini, ma c'erano anche greci e armeni», spiega Ihor Lylo, docente di storia all'Università di Lviv.
  Nel centro città, di ebraico è rimasta solo la sede di una comunità ortodossa, un pannello che illustra un progetto di costruzione per un memoriale finanziato dalla cooperazione tedesca e un ristorante, "At the golden rose". «Non andate, è per turisti. Non c'entra nulla con la tradizione yiddish di Lviv città e il cibo non è buono», dice Meylakh Sheykhet, leader della piccola comunità ortodossa che si ritrova in un palazzo mal in arnese al 7 di Federova ulica. Seduto al tavolo della stanza che funge anche da spazio per le preghiere, sembra uscito da un quadro di Chagall. La barba bianca, quasi a punta, lo zucchetto poggiato sul capo, il pesante tabarro nero da cui ogni tanto estrae dei foglietti; le mani grandi con cui gesticola mentre racconta di quel che resta della comunità. «Siamo pochi oramai, un migliaio più o meno: anziani, vecchi, stanchi, gente che non ha potuto o non se ne è voluta andare», racconta in un ottimo inglese. «La metà della popolazione era ebrea, adesso tutto è finito. Se vuoi davvero conoscere gli ebrei di Lviv, se vuoi assaggiare il loro cibo, devi andare a New York. Lì rivive la nostra comunità», spiega Sheykhet.
  Durante il periodo nazista, 420mila ebrei vennero uccisi tra il centro e le campagne, nei campi di concentramento di Yanivsky. Centomila erano ebrei polacchi in fuga, altri centomila bambini. I sopravvissuti furono pochissimi. «La maggioranza della comunità non è originaria di qui, viene dalla Russia. È arrivata dopo la guerra, quando la città è stata svuotata dagli abitanti polacchi spostati a Breslavia ed è stata ripopolata dagli ucraini e da questi ebrei sovietici», spiega Ihor. Durante il regime sovietico c'era una comunità di 30mila ebrei, ma ben presto l'insegnamento dell'ebraico fu proibito e le due sinagoghe (su 50) sopravvissute, trasformate in un magazzino e una palestra. «Caduto il comunismo tutti se ne sono andati», racconta Olga. «Israele, Stati Uniti, sono partiti tutti», rammenta Sheykhet. Qualcuno torna? «E perché dovrebbe? La vita è dura in Ucraina, che tu sia ebreo o no è difficile vivere decentemente. È una città dove è un problema investire, è corrotta. Noi avremmo anche i soldi per restaurare la sinagoga distrutta nel 1942, ma è difficile avere i permessi», racconta sconsolato. Sheykhet ha sempre vissuto a Lviv, negli anni sovietici era attivo nei movimenti sotterranei, ora fa tutto alla luce del sole, ma sembra lo stesso un carbonaro. E anche gli ebrei di Lviv sembrano considerarlo un po' un cospiratore.
  «Chi le ha detto che siamo un migliaio, Meylakh? Siamo molti, molti di più: sei, settemila. Quello è un vecchio testone, conta solo i suoi», dice Ada Dianova, energica signora dall'ariosa e cotonata capigliatura sovietica e un passato da attrice di teatro. Dianova è a capo di Hesed Arieh, associazione che riceve fondi dagli Stati Uniti per mandare avanti un centro culturale ebraico. All'interno i bambini dell'annesso asilo giocano in cortile, nelle stanze c'è un viavai di gente. «Forniamo assistenza alla comunità: insegniamo l'ebraico ai giovani, diamo un aiuto economico agli anziani. Ma siamo anche un luogo dove incontrarsi e socializzare nello spirito dell'ebraismo», spiega. Dentro la sede c'è un piccolo museo: una stanzetta senza finestre dove sono raccolte immagini e oggetti della vita ebraica cittadina. Vita che oggi si concentra qui e intorno alla sinagoga Tsori Gilod, l'unica attiva. Riaperta nel 2003 è gestita da Mordechai Shlomo Bald, rabbino capo di Lviv, nato a Brooklyn da una famiglia originaria della Galizia. «Mi sono trasferito a Leopoli nel 1993, quando c'erano persone che a 50 anni avevano dimenticato di essere ebree perché non erano autorizzate a pregare il nostro Dio. Parlo yiddish perché a casa mi hanno cresciuto parlando yiddish, ma qui, dove quella lingua è nata, non c'è più nessuno che lo sa. Giusto qualche vecchio che si ricorda qualche parola quando sta per morire». In questi anni ha cercato di tenere le fila di una comunità in disfacimento, ma se gli chiedi qualcosa di concreto, fatti, numeri, storie dice di cercare tutto su Google che di certo ne sa più di lui. «Ti dico solo una cosa: sai che hanno imparato gli ebrei dalla storia? Hanno imparato a voler essere lasciati in pace. A noi le cose buone di norma non ci accadono, quelle cattive sì».
  E di cose cattive agli ebrei di Lviv ne sono capitate tante. Qui ben più che nella vicina Cracovia, che pur ha condiviso la stessa sorte, sembra essere stato bandito anche il ricordo. «La memoria è importante come la vita, ma nessuno se ne cura», filosofeggia Meylakh Sheykhet. Basta continuare la passeggiata con Olga per rendersi conto che monumenti ce ne sono ben pochi. «Nel quartiere Cracovia vivevano i poveri, quelli che cercavano di integrarsi più degli altri», spiega. Gli è servito ben poco: finirono uccisi come gli altri centomila. «Li portarono in questa zona, oltre la ferrovia, una specie di ghetto costruito nel 1942 da dove partivano per i campi di concentramento». Accanto al traffico di una grande via di scorrimento, a un passo dal ponte della ferrovia, si trova l'unico vero memoriale per gli ebrei di Lviv. È una statua di ferro costruita negli anni Ottanta: rappresenta una donna e ha un pugno chiuso in segno di resistenza e una mano aperta con cui chiede aiuto a Dio. Di qui passò anche Simon Wiesenthal, il cacciatore di criminali nazisti. A conclusione di ogni tour Olga racconta un aneddoto che lo riguarda. «Quasi in punto di morte i giornalisti gli chiesero: cosa hai fatto nella vita Simon? Nulla. Io sono quello che non ha dimenticato». Come chi viene a Lviv in cerca della memoria ebraica.

(il Giornale, 10 settembre 2015)


Start-Up Israele

di Barbara Carfagna

 
"La scienza è diventata più importante della politica. Cercate di essere avanti, non al top". Shimon Peres, 92 anni, con la schiettezza che possono permettersi solo gli anziani che non rischiano di perdere il posto e che hanno già dimostrato tutto, pronuncia la frase più moderna che un politico possa pronunciare. Presidente dal 2007 al 2014, Peres parla all'inizio della prima World Science Conference di Israele.
  15 premi Nobel; fondatori di start-up israeliane che stanno cambiando il nostro modo di vivere; 400 giovanissimi scienziati arrivati da tutto il mondo nella «Start-up nation», che d'ora in poi si incontreranno una volta l'anno a Gerusalemme. Il messaggio è chiaro: la scienza e la tecnologia avanti a tutto. Il nome di Israele deve diventare un brand per la ricerca scientifica, ora che perfino gli ultra ortodossi, fino a pochi mesi fa contrari a lavorare nel settore tecnologico, hanno il loro acceleratore, a Bnei Brak. Aziende globali nate in un contesto culturale sociale e religioso denso di peso e storia. A pochi passi dal Muro del pianto, dal Santo Sepolcro e dalla moschea Al-Aqsa.
  In una nazione che è nata come una grande start-up con gente arrivata da tutto il mondo che doveva costruire tutto da capo in un ambiente geograficamente e politicamente ostile. Per noi europei, che facciamo una gran fatica a lasciare lo zaino del passato ogni volta che varchiamo le porte della Silicon Valley in California, quartier generale del mondo che verrà, è più facile affrontare il bagno di futuro qui, dove invece la storia viene trasformata in calce utile a pianificare le strutture del mondo tech. «La battaglia è evidente. Tra il sapere che si sviluppa a un ritmo forsennato producendo tecnologie e un medievalismo di ritorno che sta circondando alcune aree del mondo» spiega Benjamin Netanyahu, presidente di Israele ai premi Nobel intervenuti «è la modernità a portare la vittoria, ma a volte costa cara».
  A chi chiede come si possa conciliare una simile passione collettiva per la scienza con la fede secolare, Aaron Ciechanover, Nobel per la chimica e membro della Pontificia accademia delle scienze, che tra poche settimane sarà in Vaticano da Papa Francesco, risponde: «Le due cose non sono affatto in contraddizione. Basta accettare il fatto che non si possono usare gli stessi termini e lo stesso metodo per indagare l'esistente, la realtà, e la fede».
  In Israele qualsiasi sforzo nel passaggio all'era tecnologica di intemet si vede meglio che altrove. Perché tutto avviene a 40 gradi all'ombra. I quartieri tech non sono concentrati in una valle, come avviene in Silicon Valley, circondata da vigne sole e mare della California, ma distribuiti; perfino nel bel mezzo del deserto, dove chi ce la fa mette alla prova se stesso e le tecnologie del settore idrico e agroalimentare costruendo da zero università, quartieri e fattorie nel nulla di pietra. Come Yair Zarmi, fisico, che ha lottato una vita per fondare un quartiere attorno all'Institute of desert research dell'università Ben Gurion, nel deserto del Negev. Anche ora che è in pensione, Zarmi continua a insegnare come volontario e vive nel villaggio, dove vige il «solar right», il diritto solare: costruire senza togliere risorse energetiche e solari al vicino. Qui avanzano gli umani, sorgono vigne e il deserto si arrende. Basta essere tenaci e sperimentare in prima persona le nuove tecnologie.
  Gadi e Leah Nahimov hanno chiuso due ristoranti di lusso a Tel Aviv per costruire la loro fattoria nella pietraia. Partiti sette anni fa con cinque figli, senza elettricità né acqua. Oggi, una sesta figlia in più, accettano ospiti disposti a pagare per trascorrere una settimana nella loro rilassante fattoria mangiando formaggi dal sapore inedito. A poche ore di distanza Noa Gershon, manager di Aqwise, ci mostra una tecnologia di depurazione dell'acqua venduta nei quattro continenti (anche a Coca-Cola, per dire) ma controllata via intemet da qui. Entriamo nella sala dei bottoni da cui, a partire dal prossimo ottobre, verrà monitorata anche la depurazione dell'acqua dell'Acea di Roma, e quella destinata a uso agricolo di Milano. La deformazione professionale porta a interrogarsi sulle conseguenze per i romani e i lombardi del possibile hackeraggio di queste reti.
  L'autoconsolazione passa per una visita alle avanzatissime società di cybersecurity intorno a Ber Sheva. Il cuore della tecnologia militare e civile destinata alla sicurezza, che qui in Israele riesce ad attirare un decimo degli investimenti globali. Oggi chi possiede la tecnologia più avanzata è in grado di attaccare e difendersi anche dal Paese più potente del mondo. Un po' come Pirro quando vinse inaspettatamente contro i romani grazie all'introduzione della nuova arma: l'elefante. Qui però si studiano gli insetti, per sperimentare dispositivi e droni sempre più piccoli. Qui vengono creati software e dispositivi tra i migliori e più avanzati; venduti in tutto il mondo. «Oggi cambiare il messaggio di un telefonino in tempo reale mandando le persone a un appuntamento sbagliato, facendole litigare o innamorare può costare solo 29 dollari. Non strutturare una difesa cyber personale, aziendale e nazionale può costare una vita, un'azienda, un Paese» spiega il chief security officer di Coronet, introducendoci nel settore in cui gli israeliani sono all'avanguardia mondiale.
  Si studia come mettere in sicurezza persone, smartphone, computer, ma anche infrastrutture elettriche, acquedotti, aeroporti. Qui si stanno concentrando capitali e sforzi massicci. Perché questa è la nuova geopolitca e la nuova guerra, che passa per il controllo dei dati finanziari, personali, e di intelligence del concorrente e del nemico. Israele, solo sette milioni di abitanti, produce il maggior numero di start-up quotate al Nasdaq dopo gli Stati Uniti. «Gli edifici della città di Ber Sheva, dove hanno sede anche le americane Cisco e Loockhed Maneen sono laboratori per il mondo intero», ci mostra Arieh Warshel, professore di remote sensing, per lo studio dei segnali che arrivano dallo spazio. Da queste parti, anche se non le vediamo, vengono studiate le armi autonome di ultima generazione, non ancora in commercio: droni o virus in grado di vagare per ore o per anni fino all'individuazione dell'obiettivo per cui erano stati programmati, e quindi colpire senza un preciso imput umano. La formazione militare è fondamentale per il successo dei giovani startupper.
  Militare e civile, come in tutto il mondo cyber, si fondono. La gerarchia è stata resa dal cyber più orizzontale, incentivando l'autonomia del futuro soldato e del futuro imprenditore fin dalla nascita. «A partire dai due anni di età cresciamo i nostri figli mettendo nei campi da gioco oggetti inutilizzati invece che giocattoli già pronti. Si sforzeranno di trovare da soli il modo di utilizzarli, sviluppando la creatività». A parlare è Inbal Arieti, tre figli, ex militare nella Unit 8200, quella dei soldati tecnologici che inventano virus e cyberarmi sofisticatissime. «Da adolescenti i ragazzi trascorrono settimane in campi appositi dove da soli costruiscono pedane, altalene, giostre, mote. Li abituiamo a prendere rischi, cadere, rialzarsi; così cominciano ad apprezzare il valore del rischio e del fallimento, necessari a un imprenditore. Poi, durante il servizio militare, vengono formati all'utilizzo delle nuove tecnologie. Tutti. I più dotati, grazie alla base di conoscenze acquisite durante il militare, diventeranno start-upper e faranno esperienze all'estero. Come Noam Bardin, ex generale, fondatore di Waze: l'app che serve ad avere informazioni in tempo reale sul traffico delle strade in tutto il mondo».
  Nella Hebrew University intanto i premi Nobel in chimica, fisica, biologia, siedono faccia a faccia con i leader delle start-up, in uno scattante confronto. Insieme cercano di definire differenze, affinità di metodo nella scienza e nella tecnologia; e confrontano i sistemi in un costruttivo ping pong senza esclusione di colpi. Dror Sharon, l'inventore di Scio, un dispositivo grande come una saponetta che, per un costo di soli 150 euro, avvicinato a un melone ci dice se è maturo e va raccolto, e anche quali sostanze e quante calorie contiene (appoggiato a una nostra coscia ci fa inorridire sul rapporto tra massa grassa e massa magra) si trova di fronte il Nobel Robert Aumann che, accarezzandosi la lunghissima barba sbotta: «Insomma con questi Big Data tutto quello che ho studiato finora (e come l'ho studiato) non conta più niente?». Ride il serissimo Steven Chu, a sua volta premio Nobel ed ex segretario americano all'Energia. Insieme ascoltano la spiegazione di un dispositivo biomedicale che consente, tramite una pratica cuffia di elettrodi, diagnosi e cura di mal di testa, depressione e altri disturbi originati nel cranio.
  Il dibattito è su quanto le università debbano essere indirizzate alla ricerca applicata e quanto a quella pura. «Un'istituzione accademica non deve necessariamente essere utile nell'immediato». Daniel Zajfman è presidente del Weizmann Institute of Science, un centro al nord del Paese che ha generato con le sue ricerche valore per 30 miliardi di dollari. «Noi offriamo gratis le nostre conoscenze alle aziende. Solo quando, utilizzandole, ne traggono profitto chiediamo indietro una percentuale». Barak Dayan, fisico, ci intrattiene nel laboratorio dove si stanno studiando le basi del quantum computing, che potenzierà fino a dieci volte il computer e stravolgerà il mondo dei dati in modo imprevedibile. E uno dei tre laboratori di quantistica più avanzati al mondo. In questo mese sulla rivista Science. Prima di uscire, Zajfman ci avvicina: «Il giornalismo con questa mole immensa di infomazioni in circolo sta diventando astrologia. Emotivo e privo di verifiche. Nessuno nella fretta capisce né spiega più le cose in modo scientifico, con i dati alla mano. Ma la democrazia oggi non è più mettere tutti un bigliettino in una scatola per votare. È sapere che cosa stai facendo e perché. Se non abbiamo la conoscenza e la coscienza qualcun altro deciderà presto al posto nostro a nostra insaputa». E con questa politica invisibile il potere, globale e non più nazionale, sarà di chi gestisce e orienta scienza e tecnologia.

(Panorama, 10 settembre 2015)


Perché è giusto che Nirenstein rappresenti Israele in Italia

Lettera al direttore di La Stampa

di Riccardo Pacifici*

Caro direttore,
 
Fiamma Nirenstein
Il dibattito che si è aperto nelle comunità ebraiche in merito alla designazione di Fiamma Nirenstein ad ambasciatore in Italia da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ci offre lo spunto per comprendere e chiarire, una volta per tutte, il tema e, aggiungo io, l'infame pregiudizio che coinvolge ogni ebreo della Diaspora, sulla «doppia lealtà».
Mentre negli Stati Uniti, dove l'ostentazione in ogni Sinagoga delle bandiere americane e israeliane non hai mai sollevato alcun dubbio sul senso di appartenenza e fedeltà agli Stati Uniti d'America, in Italia ancora oggi dobbiamo giustificarci o chiarire quale è il nostro legame con Israele.
Spesso nell'esercizio delle mie attività istituzionali mi è capitato, e non ero il solo, di sentirmi dire (nella più totale buona fede da parte dell'interlocutore) che aveva incontrato il «vostro primo ministro» alludendo a un premier israeliano. La mia e nostra replica è stata sempre il «nostro primo ministro è lei», riferendoci a quello italiano di turno.
Capisco quindi le perplessità e in alcuni casi le paure che la designazione di Fiamma Nirenstein possa creare nell'attuale dirigenza ebraica in Italia, a cominciare da quella del nostro rabbino capo, Riccardo Di Segni. Sono certo che nessuno possa aver posto «veti», anche perché sarebbe grave se dall'Italia un leader comunitario fosse in grado di determinare l'annullamento - o l'approvazione - di una decisone del governo israeliano. Sarebbe un fatto senza precedenti.
Fiamma Nirenstein ama il nostro Paese e l'ha servito con tutto il cuore fino a divenire parlamentare di prestigio. Oggi da cittadina israeliana ha diritto come ogni nuovo immigrato di contribuire alla vita dello Stato e di fare ciò in cui può esprimersi al meglio, al pari di un medico e di un ricercatore. Oppure, come avviene con i giovani immigrati per i quali non vi è esonero, di fare il servizio militare.
Sono certo che Nirenstein saprà rafforzare le relazioni di amicizia fra i nostri Paesi, proprio perché meglio di chiunque altro in Israele lo conosce. In bocca al lupo Fiamma. Fino al tuo arrivo lavoreremo insieme all'attuale ambasciatore Naor Gilon per unire e rafforzare l'amicizia fra Italia e Israele.


* Ex presidente della Comunità ebraica di Roma

(La Stampa, 10 settembre 2015)


Bell'accordo! Dopo la firma "nucleare", l'Iran promette: "Estinzione di Israele entro 25 anni"

di Glauco Maggi

L'ultimo sondaggio del Pew Research, pubblicato oggi, mostra che solo un americano su 5, il 21%, appoggia l'accordo nucleare voluto da Obama con l'Iran, con il 49% che e' contrario e il resto che non ne sa abbastanza. In luglio i favorevoli erano uno su 3, il 33%, e gli oppositori il 45%. Una caduta di 12 punti in 60 giorni. La diffidenza aumenta via via che si avvicina il confronto in Congresso, dove un voto e' previsto in settimana. Ma se domani si dovesse aggiornare la rilevazione della Pew e' certo che gli oppositori nel paese sarebbero ancora di piu': oggi, infatti, sono uscite le dichiarazioni dell'ayatollah Khamenei, che ha previsto l'estinzione di Israele entro 25 anni.
   "Dopo le negoziazioni, nel regime sionista dicono che non hanno piu' preoccupazioni circa l'Iran per i prossimi 25 anni: innanzitutto io direi che tu, Israele, non arriverai a 25 anni. Dio volendo, non ci sara' qualcosa come un regime sionista entro 25 anni. Secondariamente, fino ad allora, il morale eroico della jihad non lascera' un attimo di serenita' per i sionisti", ha scritto il Supremo Leader nel suo inglese zoppicante, ma chiarissimo nel messaggio.
   Quanto all'accordo con gli Usa, Khamenei ha detto che "noi approviamo i colloqui con gli Stati Uniti sulla questione nucleare specificamente. Non abbiamo autorizzato discorsi con gli USA in altri campi e noi non negoziamo con loro, perche' qualsiasi altro tema sarebbe uno strumento per la penetrazione e l'imposizione delle loro pretese e volontà'". Citando il fondatore della Repubblica Islamica e suo predecessore Ruhollah Khomeini, Khamenei ha anche twittato: "@IRKhomeini disse 'gli USA sono il Grande Satana', alcuni insistono nel dipingere questo Grande Satana come un angelo", alludendo pesantemente alle fazioni meno estremiste della gerarchia al potere a Teheran e ribadendo la linea dura.
   Questo e' il nemico con cui Obama vuole fare la pace, e il paradosso e' che, calpestando la Costituzione, Obama non ha presentato il patto per quello che e', cioe' un accordo internazionale, perche' cio' avrebbe richiesto i due terzi dei voti favorevoli, ossia 67 senatori su 100. Ha deciso invece di trattare l'intesa come una legge, accettando soltanto che il Congresso presentasse una risoluzione di "disapprovazione" dei termini dell'accordo, dei quali i parlamentari sanno pochissimo, e quel poco che conoscono e' inquietante.
   Con questa procedura, e' bastata una minoranza dei senatori democratici, a loro volta in minoranza in senato, 46 su 100 contro 54 del GOP. In una prima fase Obama ha raccolto l'impegno di 34 senatori DEM contro la mozione di disapprovazione, di fatto garantendosi che in caso di suo veto presidenziale non si potesse formare una maggioranza bipartisan di 67 senatori che avrebbe annullato il veto. Poi e' andato oltre, e ha messo insieme 42 senatori, sempre tutti DEM, che potranno impedire che il Senato approvi la mozione di disapprovazione con la prevista supermaggioranza di 60 voti. Con tanti alleati, sia pure di minoranza in Congresso per non dire nella nazione, il presidente non avra' neppure da usare il proprio veto, giacche' la legge di bocciatura non gli arrivera' mai sul tavolo per la firma: infatti, servono 60 voti per impedire l'ostruzionismo procedurale, e se 42 senatori DEM sono d'accordo con Obama la maggioranza dei senatori del GOP, 54, non puo' neppure portare al voto in aula in Senato la mozione di rigetto che la Camera invece approvera' di sicuro.
   Il passaggio del patto con l'Iran e' quindi un fatto compiuto in Congresso, ma e' anche l'avvio di una battaglia politica che entrera' di peso nella campagna presidenziale. Oggi Donald Trump e il senatore Ted Cruz hanno guidato una manifestazione a Washington condannando l'intesa, mentre da parte sua la Clinton ha tenuto un comizio da colomba e falco allo stesso tempo. Si e' detta a favore dell'accordo per schierarsi con Obama e con il partito democratico nel tentativo di recuperare le posizioni e di respingere l'assalto interno di Sanders e Biden. Ma ha anche aggiunto che, da presidente, usera' la forza per impedire che l'Iran si faccia la bomba: questo per tenere buoni gli ebrei e in generale l'opinione pubblica che e' contraria all'intesa. Meta' Obama e meta' Dick Cheney, Hillary e' disposta a dire tutto e il contrario di tutto, pur di risalire nei sondaggi.

(Libero - Blog, 9 settembre 2015)


Eurobasket 2015 - Israele doma anche la Polonia dopo un finale punto a punto

Match tiratissimo e deciso solamente nel finale dopo una serie infinita di falli sistematici.

Israele sconfigge la Polonia per 73-75 e mantiene il second posto nel proprio girone in questo Eurobasket 2015. Partita tiratissima quella che ha visto fronteggiarsi Polonia ed Israele. Le due squadre non sono mai riuscite ad operare un break sostanzioso.
Gortat e compagni hanno condotto il gioco per i primi 15 minuti di partita riuscendo a toccare il +5 solo mel primo quarto. Dal canto suo, Israele, non ha mai mollato raggiungendo nell'ultima frazione il +4 prontamente ricucito dai polacchi.
Dopo una lunghissima serie di falli sistematici per mandare in lunetta gli avversari, Gal Mekel ha firmato il 71-75 con 7" da giocare. Il canestro di Ponitka sulla sirena ha delineato il 73-75 finale.
Per Israele gran partita di Mekel autore di 18 punti, poi Fisher con 15 punti + 8 rimbalzi e Casspi con 14 punti e 7 rimbalzi.
Per la Polonia due soli giocatori in doppia cifra, Kulig 13+6, e Gortat 11+8.

(NanoPress, 9 settembre 2015)


Agira - Presentato un progetto di ricostruzione dell' ex sinagoga e di restauro dell' aron

On. Greco: "Per rendere il nostro patrimonio culturale fruibile e creare risvolti economici e turistici".

L'Aron di Agira
Si è svolta ad Agira domenica scorsa la giornata europea della cultura ebraica. Il programma della giornata, celebrata in numerose città d'Europa e organizzata a livello locale dal comune in collaborazione con la Pro-loco, alla quale ha partecipato una delegazione ebraica, ha previsto in mattinata un incontro istituzionale presso l'aula consiliare, successivamente si è svolta la tradizionale visita dell'Aròn e dei resti dell'ex Sinagoga, mentre invece presso la Chiesa S.S Salvatore si è svolto un momento dedicato alla musica grazie al concerto dell'orchestra da camera "Eco" di Enna.
La giornata si è conclusa con una tavola rotonda presso la struttura turistica "Case al Borgo" durante la quale è stato presentato dagli architetti Alfio Musumeci e Giuseppe Caramanna il progetto di restauro dell'Aron e della Sinagoga di Agira . In sindaco di Agira l'On. Maria Greco durante il suo intervento ha ringraziato tutti coloro i quali hanno contribuito alla realizzazione dell'importante iniziativa culturale.
"Il tema della Giornata di quest'anno - ha detto l'On. Maria Greco - mira a creare collegamenti con le altre culture e fedi religiose, durante i secoli gli ebrei hanno vissuto nei Paesi europei, talvolta in piena integrazione, più spesso vittime di discriminazioni o di vere e proprie persecuzioni, ma sempre vivendo la propria identità pienamente, mai rinunciandovi, una presenza costante, che ha influenzato la cultura dei tanti Paesi europei, e da cui gli ebrei sono stati a loro volta influenzati."
Il sindaco durante il suo intervento ha comunicato ai presenti anche interessanti iniziative culturali.
"A livello locale sul versante culturale - ha detto l'On Maria Greco - è mia intenzione sostenere nelle sedi competenti il titolo di ?città" per Agira come riconoscimento dell'importanza storica e culturale, inoltre come previsto nel programma elettorale in collaborazione con le autorità istituzionalmente preposte, è importante promuovere il progetto di restauro dell'Aron e di ricostruzione della Sinagoga, tutto questo per rendere il nostro patrimonio culturale fruibile e creare risvolti economici e turistici in tal senso nei prossimi mesi è prevista la presenza ad Agira di un gruppo di tour operator specializzati nel settore per verificare iniziative di sviluppo turistico".
L'Aron in pietra di Agira è uno dei più antichi d'Europa, solitamente gli Aron venivano costruiti in legno; questo invece, rarissima eccezione, è stato costruito in pietra e ritrovato intatto tra i ruderi dell'ex sinagoga. E' questa una delle ragioni per cui esso è attualmente al centro di una grande attenzione di studiosi ed esperti.
Alla tavola rotonda sono intervenuti l'Avv. Baruch Triolo presidente de "La Charta de la Judeche" e Attilio Funaro presidente dell'Istituto Internazionale di Cultura Ebraica, Massimo Melle autore del libro "Il Talmud di Scicli".
L'incontro ha previsto la presentazione da parte dell'Arch. Alfio Musumeci coadiuvato dall'Arch. Giuseppe Caramanna del progetto del restauro dell'Aron e della ricostruzione della sinagoga.
"Dopo la giornata che abbiamo vissuto, occorre sostenere in tutte le sedi il progetto - ha detto l'Arch. Alfio Musumeci - un progetto da promuovere non semplicemente perchè rappresenta il recupero di un prezioso bene culturale, ma soprattutto per riconsegnare alla storia un simbolo particolarmente caro di una presenza cancellata."
L'evento si è concluso da parte della pro-loco di Agira, con l'omaggio al sindaco e alla delegazione ebraica di una riproduzione in ceramica dell'antico Aron.
Il progetto di ricostruzione della sinagoga prevede anche la creazione di un centro culturale in collaborazione con le istituzioni culturali ebraiche. P.M.

(StartNews.it, 9 settembre 2015)


Notizie su Israele, maggio 2011


Le bombe di Hollande fanno ridere l'Isis

Raid occidentali inutili: da quando sono iniziati, Califfato e al Qaeda hanno raddoppiato il loro territorio. Intanto Putin lavora a sostenere Assad per creare uno staterello sul Mediterraneo dove tenere la sua flotta. Mosca ha trionfato in Crimea, sta vincendo in Ucraina e ora è pronta a creare un Paese satellite in Medioriente. Mentre Obama dorme.

di Carlo Panella

Ieri ricognitori francesi si sono levati in volo sulla Siria per rilevare gli obiettivi dei bombardamenti aerei decisi da François Hollande. Decisione priva di senso, priva di strategia (a ragione Matteo Renzi l'ha criticate e non si è accodato) solo utile - forse - a fare aumentare di qualche punto la popolarità di un presidente francese ansioso di cavalcare l'onda di popolarità di Angela Merkel, facendo finta di vendicare la morte sulla spiaggia di Kos del piccolo Aylan Kurdi, bombardando i miliziani dell'Isis della sua Kobane, in cui è ritornato in una bara. Decisione però perfettamente in sintonia con l'ignavia dell'Occidente che non ascolta le sagge parole dell'adolescente in fuga in Germania: «Volete far cessare l'arrivo di noi profughi? Semplice: fate finire la guerra in Siria!».
   Ma con i bombardamenti aerei di Obama e ora di Hollande non solo la guerra in Siria non finisce, ma si incancrenisce. La prova è sotto gli occhi di tutti: da quando sono iniziati i bombardamenti aerei Usa sulla Siria (e sull'Iraq), il Califfato e i suoi concorrenti di al Nusra (al Qaeda siriana) hanno raddoppiato i territori da loro controllati.
   Il dramma è che Obama sulla Siria che si sta scomponendo, in cui la guerra civile voluta da Assad per restare al potere ha fatto 250.000 morti e manda centinaia di migliaia di profughi in Europa, ha solo una idea: non dare fastidio, non irritare l'Iran che considera Assad un suo alleato indispensabile, tanto che lo difende con migliaia di Pasdaran e Hezbollah. Per questo si limita a bombardamenti aerei inefficaci e non prende di fatto posizione né pro, né contro Assad (che attacca solo a parole).
   Ma Obama e Hollande devono ora prendere atto di una conseguenza drammatica di questa scelta. L'inerzia degli Usa e dell'Europa ha regalato alla Russia di Putin una clamorosa possibilità di diventare determinante in Siria e quindi in Medioriente. L'invio in Siria di migliaia di soldati e ufficiali russi, di sei Mig e della flotta russa attraccata a Tartous ha infatti un fine evidente. Assad ha ormai perso il 70% del territorio siriano, controlla solo il corpo centrale di Damasco (ma è assediato dalle periferie) e la striscia di territorio che la collega a Latalda e a Tartous, nel nord ovest. Qui, Putin, sta impiantando un forte sistema di difesa (incluse profonde trincee) che gli permetta di garantire ad Assad, anche se Damasco cadrà (e può avvenire) un formidabile «ridotto», un mini Stato governato da Assad e satellite politico e militare di una Russia che così presidia le sue uniche basi navali nel Mediterraneo (Tartous e Latakia, appunto). È questo uno sviluppo prevedibile e da molti previsto e ora Obama e l'Europa si trovano di fronte un Putin che non solo ha trionfato in Crimea e in Ucraina, ma che impianta addirittura un suo nuovo Stato satellite sulle sponde del Mediterraneo, peraltro presidio perla lotta all'Isis.
   Per questo il Washington Post (democratico) e il Wall Street Journal (repubblicano) ormai dileggiano la politica «non interventista» di Obama che porta a questi risultati disastrosi: non contrasta un'Isis sempre più forte, lascia che muoiano centinaia di migliaia di siriani, permette che si crei una biblica ondata di profughi siriani che invadono l'Europa e infine permette a Putin di impiantare la potenza militare della Russia sulle sponde del Mediterraneo. Mai l'Occidente ha dato prova di un tale, abissale, vuoto strategico, le cui conseguenze diventeranno epocali quando divamperà la battaglia per Damasco e la Siria, come nazione, scomparirà dalla faccia della terra.
   
(Libero, 9 settembre 2015)


Rinviata riunione del 'Consiglio Nazionale Palestinese'

RAMALLAH - E' stata rinviata sine die la convocazione del Consiglio Nazionale Palestinese, il 'Parlamento' dell'Olp che avrebbe dovuto tornare riunirsi il 14 e 15 settembre dopo quasi 20 anni di pausa. Il rinvio non dovrebbe superare i tre mesi, ha pero' precisato Salim al-Zanoon, capo del Cnp. Il 'Parlamento' dell'Olp era stato convocato per eleggere il nuovo Comitato Esecutivo dopo che il presidente dell'Anp, Abu Mazen, si era dimesso dalla guida di quest'organo assieme a piu' della meta' dei suoi 18 membri.

(la Repubblica, 9 settembre 2015)


Sugli atti “democratici” degli organi di governo del tanto amato “Stato di Palestina” i media internazionali non fanno quasi mai commenti: riferiscono e basta. Non c’è nulla da aggiungere, nulla da obiettare. Da quelle parti si fa e si disfa secondo regole che sembrano più mafiose che democratiche, ma ben pochi lo fanno notare. Ma con chi dovrebbero trattare i governi che hanno riconosciuto questo anomalo “Stato”. M.C.


Le tecnologie lattiero-casearie israeliane conquistano il mondo

 
I produttori di latte israeliani si trovano a dover affrontare una sfida importante: fornire i prodotti lattiero-caseari ad una popolazione in rapida crescita, con un tenore di vita che sta aumentando, in un paese composto per due terzi da deserto che non è propriamente il luogo ideale per allevare del bestiame. Gli addetti ai lavori si sono rapidamente concentrati sullo sviluppo di apparecchiature ad alta tecnologia per gestire al meglio la produzione, le misurazioni biometriche ed i sistemi di raffreddamento. In questo modo le mucche israeliane sono le mucche più produttive al mondo. La scienza oggi "regna" sulle mucche, ne controlla la salute, il rendimento, la genetica, la fertilità e la gestione degli allevamenti.
  Negli allevamenti dei kibutzim e moshavim (fattorie collettive), le scuderie sono dotate di aria condizionata, l'atmosfera è soggetta a controlli specifici e tutti stanno attendendo le ultime novità nel campo della robotica che aumenteranno l'efficienza. In un mondo in cui la domanda di prodotti lattiero-caseari è in rapida crescita, la necessità di trovare nuovi metodi e tecnologie è in forte crescita.
  Le piccole aziende non sono più redditizie come una volta, le grandi invece si stanno sempre più meccanizzando. Negli Stati Uniti ad esempio, la produzione di latte è aumentata del 50% rispetto al 1970, mentre il numero di vacche è diminuito. Paesi come Asia, Africa e Sud America, sono in via di sviluppo, vogliono modernizzare la loro produzione effettuata con metodi ormai obsoleti e sono sempre di più coloro che si rivolgono a Israele, ormai diventata famosa nel campo delle tecnologie lattiero-casearie.
  L'India è il più grande produttore di late al mondo, ma tuta la produzione è frutto del lavoro di agricoltori che dispongono di poche risorse. La produzione delle mucche è molto bassa e le autorità sono frustrate di non riuscire ad approfittare delle opportunità d'esportazione verso i mercati mondiali, in particolare in Occidente. Il Primo Ministro Maharashtra è recentemente andato in Israele per trovare una soluzione. In Vietnam, un consorzio di aziende israeliane raccolte intorno ad Afimilk sta costruendo un caseificio, il più grande progetto di questo tipo nel mondo, destinato a fornire al paese la metà dei bisogni caseari.

 La nuvola di latte
  Il mercato mondiale delle tecnologie casearie rappresenta circa 850.000.000 di dollari l'anno. Le esportazioni israeliane in questo settore sono state pari a 11 milioni di dollari nel 2014, ovvero il 7% in più rispetto all'ano precedente.
  La società di software Akol gestisce un database che memorizza i dati su salute, fertilità e produzione di tute le vacche israeliane. Questo database ha permesso di aumentare la produttività delle vacche e di raggiungere il record mondiale di 12,083 Kg nel 2014. Le vacche degli Stati Uniti ne producono in media non più di 10,097 Kg all'anno. Akol ha stretto un accordo di un partenariato con Microsoft per diffondere questa tecnologia.
  La startup miRobot vuole sviluppare nuovi processi di produzione. Ha creato un prototipo di braccio robotico, leggero e economico che può pulire, stimolare la mammella della mucca e collegarla direttamente alla pompa del latte.
  Le novità israeliane non sono passate inosservate. La società francese Allflex, che ha creato i sistemi di identificazione degli animali e cha stabilimenti in Usa, Brasile, Nuova Zelanda e Cina, ha acquistato nel dicembre 2014 le tecnologie di SCR per circa 250 milioni di dollari. Il colosso cinese Bright Food ha acquistato Tnouva, il gioiello delle aziende casearie israeliane per 1 miliardo di dollari.

(SiliconWadi, 9 settembre 2015)


Calcio - Israele non fa il riposo sabbatico

Di sabato il campionato non si ferma.

Il campionato di calcio israeliano non si ferma. L'eventualità che sabato gli stadi restassero chiusi - per consentire il riposo sabbatico ai giocatori ebrei religiosi - e' stata evitata da un intervento del consigliere legale del governo Yehuda Weinstein. Questi ha stabilito che il divieto generico per gli ebrei di lavorare di sabato non include quanti sono addetti all'industria del calcio.

(Rai Sport, 9 settembre 2015)


Roma - La crisi e l'abbandono. Urtisti, il giorno della protesta

di Francesca Matalon

La manifestazione degli urtisti
"La storia di Roma non si cancella", "Le promesse di Marino sono il vero degrado", "Siamo antichi come i monumenti". Sono questi alcuni degli slogan che campeggiano su striscioni e cartelli esposti al presidio degli urtisti, i venditori di souvenir, convocato oggi in Campidoglio per protestare contro il loro recente allontanamento dalle zone di maggior interesse turistico, inquadrato nelle iniziative anti-degrado varate dal sindaco di Roma Ignazio Marino. Quello degli urtisti è un mestiere storico della Roma ebraica, adesso considerato a rischio dai rappresentanti della categoria, che da mesi contestano con forza l'intervento. "Oggi siamo in piazza perché speriamo che il sindaco finalmente ci ascolti, dopo averci messo in una situazione che non è accettabile e aver lasciato che invece gli abusivi lavorino indisturbati", ha detto a Pagine Ebraiche Fabio Gigli, presidente degli urtisti. Una battaglia sostenuta anche dai leader della Comunità ebraica romana, rappresentata al presidio dalla presidente Ruth Dureghello e dal rabbino capo Riccardo Di Segni.
   La decisione del Comune, entrata in vigore il 10 luglio, ha coinvolto 22 camion bar, 43 urtisti e altre 11 postazioni, costretti a spostarsi dall'area archeologica centrale e da quella del Tridente, densamente turistiche, verso la più defilata via San Gregorio. Tale cambiamento ha determinato una radicale diminuzione degli incassi, che in estate normalmente sono più elevati dato il maggiore afflusso di turisti, e Gigli ha parlato con Pagine Ebraiche di "piena emergenza sociale". La manifestazione, ha spiegato, nasce dunque per "sensibilizzare l'opinione pubblica sul nostro destino, di cui è bene che ci sia consapevolezza". Perché proprio oggi? "Perché il sindaco ci aveva garantito che saremmo rientrati nei luoghi dove abbiamo sempre lavorato entro un paio di settimane, e questo non è avvenuto. Nel frattempo abbiamo fatto proposte alternative all'amministrazione, ma non è servito a niente. Speriamo che ora Marino prenda in considerazione le nostre istanze - l'auspicio di Gigli - e di poterci finalmente sedere a un tavolo per parlare e trovare una soluzione". Parla di crisi anche Ruth Dureghello: "Quando le promesse non vengono mantenute creano delle situazioni di disagio di fronte alle quali è evidente che noi non possiamo rimanere insensibili tanto meno inermi", ha dichiarato. "È la prima volta nella storia della comunità - ha continuato - che manifestiamo in questa maniera accanto a una categoria sotto la sede dell'amministrazione. Mai ci saremmo immaginati di doverlo fare. Il nostro percorso è stato sempre a disposizione delle istituzioni, sinergico con le istituzioni e con la città. Oggi questo ci è impedito".
   La categoria degli urtisti, la cui presenza che risale lungo i secoli è stata messa in evidenza anche dal rav Di Segni, è stata istituita con dispensa papalina nell'Ottocento a beneficio di alcuni ambulanti della Comunità ebraica romana e poi trasmessa nelle generazioni attraverso regolare licenza. I suoi rappresentanti sono oggi impegnati anche a respingere l'accostamento con i problemi di degrado della capitale, vantandosi anzi di essere vere e proprie sentinelle contro l'abusivismo che caratterizza le strade e le piazze del centro, come fa notare Gigli mostrando alcune foto che ritraggono venditori abusivi di fronte al Colosseo e gli spazi ridotti concessi agli urtisti. In questo sono supportati, tra gli altri, dal presidente del pd romano Tommaso Giuntella e dalla presidente del Consiglio del Municipio XII Alessia Salmoni.
   "Siamo qui per un problema di lavoro e di dignità del lavoro per famiglie che da mesi sono state private dei mezzi di sussistenza", ha infine sottolineato il rav Di Segni. "Questo ci viene negato - ha continuato - con tutta una serie di promesse e rinvii assolutamente intollerabili. Siamo qui per dare appoggio sociale a una categoria che è gravemente a rischio in questo momento". Concorda Gigli: "Siamo vittime di un meccanismo spietato", aveva già denunciato a Pagine Ebraiche. "Ci avevano dato delle garanzie, e queste puntualmente sono state tradite. Calpestare la dignità delle persone è un fatto grave - aveva aggiunto - specie quando di mezzo ci sono prestiti e mutui da pagare".

(moked, 9 settembre 2015)


Israele preoccupato per il rafforzamento della presenza militare russa in Siria

Israele è impegnato a rivedere i suoi piani per la gestione della crisi nella vicina Siria nel tentativo di evitare uno scontro diretto con la Russia, dopo le indiscrezioni di stampa circa l'accresciuta presenza militare di Mosca a sostegno del presidente siriano Bashar al Assad. E' quanto si legge in un'analisi del quotidiano israeliano "Jerusalem Post".
Da quando la guerra civile siriana ha avuto inizio nel 2011, Israele ha lanciato razzi attraverso le alture del Golan in risposta ai bombardamenti dei guerriglieri libanesi di Hezbollah, impegnati nel conflitto civile al fianco del regime di Damasco. I rapporti statunitensi secondo cui il sostegno diplomatico e logistico di Mosca verso il presidente siriano si stanno traducendo in un maggiore apporto militare, prefigurano il rischio gravissimo che Israele e Russia possano finire accidentalmente per scontrarsi sul teatro siriano. "Potrebbero esserci implicazioni anche per noi, certamente", ha ammesso durante una intervista a "Reuters" Ram Ben-Barak, direttore generale del ministero dell'Intelligence israeliano, circa le implicazioni dell'intervento militare russo in Siria. "Siamo stati informati che la Russia sta per passare a un intervento attivo nel conflitto" - ha confermato Ben-Barak, che però ha sottolineato come l'intervento di Mosca possa rappresentare un contributo positivo sul fronte del contrasto sinora esitante degli Stati Uniti allo Stato islamico.
Meno ottimista Amos Gilad, consigliere del ministro della Difesa Moshe Ya'alon, che in un'altra intervista alla stessa agenzia di stampa ha ammesso: "La portata dell'intervento russo non è chiara. Per il momento non stanno operando, ma assemblando la capacità nell'area". Gilad ha ammesso che l'intervento di Mosca rischia di "tarpare le ali" alle capacità operative di Israele, ed ha espresso la necessità di un confronto approfondito col governo russo per evitare incidenti: "Gli strumenti ci sono. Ad oggi non sono nostri nemici", ha precisato il consigliere israeliano.

(Agenzia Nova, 9 settembre 2015)


Gli ebrei italiani premono su Israele contro Nirenstein ambasciatrice

Incontro privato fra il rabbino capo di Roma Di Segni e il presidente Rivlin- "La sua doppia identità e la militanza nella destra possono danneggiarci". Nirenstein è quasi del tutto identificata con la destra in Italia e ciò può avere conseguenze negative perché il governo è di sinistra.

di Maurizio Molinari

 
GERUSALEMME - Ripensate la nomina di Fiamma Nirenstein ad ambasciatrice d'Israele in Italia: a recapitare questo messaggio al presidente Reu-ven Rivlin è stato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, durante un incontro privato a cui erano presenti il presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e il presidente della Comunità di Roma, Ruth Dureghello.
  A rivelare i contenuti del colloquio è il quotidiano «Haaretz» con un racconto dettagliato firmato da Barak Ravid, commentatore politico, citando fonti israeliane testimoni di quanto avvenuto. Il colloquio si è svolto nella sala privata della Sinagoga di Roma, a margine del discorso pubblico rivolto da Rivlin alla comunità locale. In quella sede, a porte chiuse, Di Segni ha fatto presenti due obiezioni che «Haaretz» riassume così. Primo: «Grande preoccupazione per l'impatto negativo per la Comunità ebraica e le relazioni fra Israele e Italia» per la sovrapposizione fra le due identità di Nirenstein. Secondo: «Nirenstein è quasi del tutto identificata con la destra in Italia e ciò può avere conseguenze negative perché il governo è di sinistra».
  Dietro le tesi espresse da Di Segni, affiancato da Gattegna e Dureghello, ci sono alcune recenti prese di posizioni pubbliche, molto critiche. Su «Moked», il portale dell'ebraismo italiano, l'anglista Dario Cali-mani ha espresso «il dubbio che una persona che ha avuto un ruolo attivo e assai visibile nella vita politica italiana, con incarichi istituzionali, ricopra in Italia un ruolo di rappresentanza di Israele». E Alberto Heimler, su «Pagine Ebraiche», si è chiesto: «E compatibile la fedeltà completa a un altro Paese da parte di qualcuno che fino a ieri rappresentava il popolo italiano in Parlamento?».

 II ruolo della Diaspora
  Rivlin ha declinato la richiesta di intervento diretto sulla nomina di Nirenstein, fatta dal premier e ministro degli Esteri Benjamin Netanyahu nel novero delle scelte di «ambasciatori politici», facendo presente che «non possiedo autorità né responsabilità per intervenire su tale materia». Ma chi ha ascoltato il discorso di Rivlin nella Sinagoga di Roma ha recepito attenzione per le istanze sollevate, h dove ha affermato che «lo Stato di Israele deve tenere conto delle opinioni delle Comunità della Diaspora» perché «è finito il tempo in cui, quando io ero bambino, Israele decideva e la Diaspora doveva limitarsi a eseguire».
  Se «Haaretz» ha dato risalto alle obiezioni dei rappresentanti degli ebrei italiani è perché nel processo di selezione di un ambasciatore il ministero degli Esteri di Gerusalemme tiene, per tradizione, conto delle opinioni della Comunità locale. Non è un obbligo di legge e non sono vincolanti ma è una convenzione creatasi nel tempo che a volte è stata decisiva: per esempio nel 2004 il ministro degli Esteri Ehud Olmert voleva designare ambasciatrice a Londra, con nomina politica, Dalia Itzik, primo presidente donna della Knesset, ma le proteste della Comunità ebraica londinese spinsero il premier Ariel Sharon a preferirle il diplomatico di carriera Zvi Heifetz.

 Netanyahu va avanti
  A confermare che «Haaretz», giornale progressista molto critico del premier, punti a sfruttare la nomina di Nirenstein per indebolire Netanyahu ci sono le fonti interne al ministero che descrivono la giornalista italo-israeliana come «identificata con l'ala destra del Likud» avversaria di Rivlin. Nirenstein non replica ad accuse e polemiche, lavora nella sua casa di Gerusalemme su procedure, documenti e briefing relativi al processo di nomina, in vista dell'approvazione formale da parte del comitato ad hoc del ministero degli Esteri. Rassicurata da numerose attestazioni di solidarietà e sostegno che le giungono tanto da ebrei italiani che da esponenti politici del nostro Paese, di diverso orientamento politico: documenti che la rassicurano sull'infondatezza delle tesi sollevate contro la sua designazione.

(La Stampa, 9 settembre 2015)


Accusato di antisemitismo per un film, Fiordomo: "Non applico la censura"

L'ambasciatore di Israele attacca il primo cittadino di Recanati per aver permesso la proiezione del documentario "Israele. Il cancro" dell'attivista Samantha Comizzoli. Il sindaco replica: "Era una proiezione privata di un libero cittadino. Per la pace sostengo la posizione di Renzi due popoli, due stati".

di Marco Ribechi

Il sindaco di Recanati, Francesco Fiordomo
RECANATI - Il sindaco Francesco Fiordomo accusato di diffondere l'antisemitismo. Il pretesto è stato il film "Israele. Il cancro" dell'attivista Samantha Comizzoli, proiettato il primo settembre in una sala concessa dal Comune a Recanati. Subito sono arrivate le critiche, quelle dell'ambasciatore Naor Gilon che ha inviato tanto di lettera al primo cittadino chiedendo di prendere le distanze dalle posizioni espresse nel film: «Samantha Comizzoli - si legge nella lettera dell'ambasciatore - E' ben nota per la radicalità delle sue posizioni nei confronti di Israele. Per la sua attività eversiva è stata arrestata dalle autorità israeliane a Kfar Qaddum, vicino Nablus ed in seguito espulsa da Israele. Le chiedo di prendere le distanze da eventi di questo genere. Sostenere simili occasioni, infatti, non significa aiutare la pace in Medioriente, ma unicamente far da sponda a chi sostiene e appoggia pubblicamente l'odio e la violenza».
   Allo stesso tempo si è mossa anche la Federazione Italia Israele chiedendo scuse ufficiali per quello che hanno definito l'errore commesso.«Quanto è accaduto a Recanati è inaccettabile, ingiustificabile e pericoloso, necessitano imminenti chiarimenti e le più rapide scuse ufficiali dell'amministrazione nei confronti dello Stato d'Israele - dice Alessandro Bertoldi, membro del direttivo nazionale - Non possiamo accettare che fatti come questo avvengano nel nostro paese ed in particolare nella città del grande poeta Giacomo Leopardi, città simbolo di cultura, che può vantare importanti legami storici con Israele. Un noto vino israeliano e uno dei più importanti istituti di credito di Tel Aviv prendono il nome dalla città marchigiana stessa. Chiediamo con forza che l'amministrazione comunale riconosca il suo gravissimo errore cercando di porvi rimedio, infine che la questura e la procura competenti intervengano quanto prima d'ufficio aprendo un fascicolo per verificare se, come crediamo, si sono verificati i reati di istigazione all'odio razziale e di vilipendio di Stato estero».
   Il sindaco Francesco Fiordomo però, convinto della correttezza del suo operato, non porge le scuse e rispondendo all'ambasciatore di Israele reclama la correttezza del suo operato spiegando che l'evento non è stato patrocinato. «Abbiamo soltanto messo a disposizione una sala aderendo alla richiesta di una cittadina recanatese assolutamente seria e affidabile - chiarisce il primo cittadino - pertanto non si può parlare di patrocinio. Lo stesso è avvenuto a Napoli, Messina, Lanuvio, Firenze e molti altri comuni dove il film è stato proiettato anche nelle parrocchie. Dovrei esercitare come sindaco una censura preventiva? Per la semplice concessione di una sala avrei dovuto vedermi prima il film, promuoverlo o bocciarlo, decidere io per tutti i recanatesi? Era una iniziativa privata, in una sala chiusa, non in una piazza o in luoghi aperti a tutti nei quali non è invece giusto ospitare incontri o manifestazioni che possono urtare la sensibilità di chi si trova li per caso. Per quanto riguarda la pace condivido la posizione due popoli, due stati. La pace si costruisce con il reciproco riconoscimento, con il rispetto, con la giustizia, con la condivisione di un percorso storicamente faticoso ma indispensabile per superare violenze e lutti».
   
(Cronache Maceratesi, 8 settembre 2015)


"...avrei dovuto vedermi prima il film?” chiede il sindaco del comune di Recanati. No, certamente, gli sarebbe bastato leggere il titolo del film: “Israele. Il cancro”. Che c’è di male? si sarà detto il primo cittadino di Recanati, non è forse quello che molti cittadini pensano? E se un giorno qualcuno proporrà un film dal titolo “Morte agli ebrei”, che farà il nostro democratico sindaco? Non c’è da farsi illusioni: sono proprio questi “equidistanti, liberali, democratici” governanti della cosa pubblica ad essere il vero nemico dello stato ebraico, non gli arrabbiati e dichiarati odiatori come la suddetta “attivista”. Si lascia dire e fare tutto e poi si risponde con la vuota formula dei “due stati per due popoli che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza”, per garantirsi contro gli attacchi critici. Del resto, è vero quello che dice il sindaco: il film è già stato permesso e proiettato in diversi altri comuni. E questo conferma la subdola estensione del cancro antisemita nella forma dell’antisionismo. M.C.


Ex direttore dei servizi segreti israeliani propone una forte alleanza con gli Usa contro l'Iran

Stati Uniti e Israele - secondo Ayalon, ex direttore dell'Agenzia di Sicurezza israeliana - devono prepararsi a gestire l'eventualità di una violazione dell'accordo da parte dell'Iran approntando "una opzione militare credibile".
Agire sulla base dello scetticismo in merito all'accordo sul nucleare iraniano siglato dalle maggiori potenze globali a Vienna non può prescindere dalla premessa di un ulteriore rafforzamento della storica alleanza con gli Stati Uniti. A scriverlo, sulle pagine del New York Times è Ami Ayalon, ex direttore dell'Agenzia di sicurezza interna israeliano ed ex comandante della Marina.
Anzichè combattere l'accordo — scrive Ayalon — Tel Aviv dovrebbe cooperare con gli Stati Uniti e gli altri membri della comunità internazionale per incrementare l'intelligence e la vigilanza a carico dell'Iran. Il monitoraggio dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica "non e' sufficiente": è invece necessaria "un'attività di condivisione dell'intelligence che non può poggiare sull'ostilità tra i nostri governi". Stati Uniti e Israele — prosegue Ayalon — devono prepararsi a gestire l'eventualità di una violazione dell'accordo da parte dell'Iran approntando "una opzione militare credibile".
"Israele e Stati Uniti avevano concluso che tale opzione non fosse consigliabile prima dei negoziati. La ragione per cui sarebbe percorribile ora è data precisamente dal fatto che l'Occidente è già ricorso alle sanzioni economiche, alla diplomazia e alla buona fede per garantire che l'accordo abbia successo".
Ancor più importante, in questo senso, è "garantire che una simile operazione abbia il consenso più vasto, incluso quello dei nostri vicini mediorientali".
La natura delle nuove sfide che si parano di fronte a Israele richiederebbe, secondo Ayalon quindi il coraggio di "scelte difficili", come il sostegno a una "pragmatica coalizione di stati sunniti" in grado di bilanciare le mire regionali iraniane.

(Sputniknews, 8 settembre 2015)


Cosa ci rivela la dichiarazione del Movimento Ebraico Riformista sull'accordo con l'Iran.

di Michael Laitman

Il 19 agosto, il Movimento Ebraico Riformista ha pubblicato il suo responso ufficiale sulla questione Iran. Questo ha manifestato una grande preoccupazione ed incertezza per il futuro, ma sembra volersi astenere dall'esprimere dichiarazioni esplicite perché "In questo momento, non c'è omogeneità di opinione tra la leadership del Movimento Riformista - similmente a laici e rabbini - così come non c'è unità tra i nostri membri riguardo allo stesso JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action)". Credo che questo sia il nostro problema principale, se non l'unico.
La disunione ha contaminato ogni angolo del mondo ebraico, è il veleno che si nasconde dietro ogni sguardo obliquo che ci lanciamo, dietro ogni parola che diciamo sugli altri (molti lo fanno) e dietro la nostra indecisione su come dovremmo reagire ad eventi sociali e politici.
La disunione descritta nel comunicato del Movimento Ebraico Riformista riecheggia lo spirito di altre confessioni della Comunità Ebraica Americana. Tuttavia questa impallidisce, paragonata alla disunità interna d'Israele. Il paese è talmente diviso e frammentato che dovrebbe essere chiamato "Gli Stati d'Israele" piuttosto che "Lo Stato d'Israele". C'è lo stato di Tel Aviv, lo stato di Bnei Brak (dove vivono gli ultraortodossi vicino a Tel Aviv), lo stato di Gerusalemme e lo stato della periferia. In realtà, a molti che vivono nel centro d'Israele sembra che la periferia non sia nemmeno parte di Israele, ma una sorta di eccedenza. Oltre a ciò ci sono numerose fazioni e frazioni divise da alleanze politiche, etnia, cultura, accento, istruzione, quartiere, livello di osservanza e così via.
In breve, siamo divisi nel nucleo.
Ma la nostra rovina è anche il nostro guadagno. Siamo sempre stati divisi e ci sono state sempre controversie e, a volte, perfino violenza tra noi. La divisione non è un male in sé e per sé, al contrario, è segno di vitalità e pluralismo di idee. La domanda è come gestire le nostre differenze, se le utilizzeremo come livello per rafforzare la nostra unione, questo sarà il nostro guadagno, se resteremo vittime dei nostri ego e lasceremo che le differenze ci separino, sarà la nostra rovina.
Nel nostro remoto passato, abbiamo superato le differenze ed abbiamo formato una nazione come nessun'altra, una nazione talmente meritevole che le venne affidato il compito di essere una "Luce per tutte le nazioni". Questo ci è stato lasciato in eredità con la missione di servire da modello di unione al di sopra delle differenze. Quindi, più ci siamo uniti, più i nostri ego hanno chiesto di esprimersi e più la nostra unione è diventata ardua.
Una volta che ci siamo uniti "Come un solo uomo con un solo cuore", siamo diventati una nazione. Ma dal momento che abbiamo perduto quell'unione, abbiamo perso il nostro diritto di essere considerati "una nazione". A giusta ragione, molte persone, sia ebrei che non ebrei, sentono e dicono che quel compito di essere una luce per le nazioni non è più rilevante per gli Ebrei di oggi. Semplicemente, loro non vedono in noi nulla di "illuminante", tutto ciò che emaniamo è conflitto e discordia.
Noi, la nazione che ha coniato il principio "Ama il tuo prossimo come te stesso", mostriamo tutt'altro. Certo, alcune nazioni trattano il loro popolo con impensabile crudeltà, ma il mondo ignora completamente le loro atrocità ed invece ritrae noi come i furfanti numero uno del mondo. C'è una semplice ragione per questo: il mondo non si aspetta che la Siria, l'Iran, la Cina o anche gli Stati Uniti siano modelli di comportamento per l'umanità. Più precisamente, non si aspetta che siano modelli di unione! Questo certamente se lo aspettano da noi ebrei.
Fin quando non ci uniremo, continueremo ad essere chiamati "guerrafondai". Certo verrà imputato a questa o quella situazione politica, ma in primo luogo, la sensazione di fondo che noi siamo la causa di tutti i problemi è il motivo per cui la gente ci muove tali accuse.
Siamo una nazione che era riuscita a superare le fratture più profonde unendosi al di sopra di esse e non con la soppressione delle varie opinioni da parte di un pensiero dominante. Inoltre, eravamo riusciti a sfruttare le nostre differenze per il bene comune, in modo che non solo ammette l'esistenza di altre opinioni, ma persino rafforza altri punti di vista, senza negare il proprio. Questa sorta di pluralismo oggi non esiste in altre parti del mondo, ma è necessario che noi lo realizziamo se vogliamo sopravvivere come società umana. Nessuno sa come, nemmeno gli ebrei, tuttavia saremo accusati di non condividerlo. Pertanto non abbiamo altra scelta che imparare di nuovo quest'arte per condividerla con tutta l'umanità.
L'invito del momento non è combattere per questo o quel trattato, non è neanche connettere Tel Aviv con Sderot o l'ultraortodosso con l'ultrasecolare, si tratta semplicemente di unirci al di sopra delle differenze ed essere un esempio d'amore fraterno "Come un solo uomo con un solo cuore". Questo è il nostro invito all'azione. Sfide esterne, come l'accordo con l'Iran, continueranno a pressarci per farlo, allora meglio farlo prima che poi.

(L'Huffington Post, 8 settembre 2015)


Il Sudafrica vuole impedire ai suoi cittadini di arruolarsi nell'esercito israeliano

PRETORIA - Il Congresso nazionale africano (Anc), prima forza politica del Sudafrica, rivedrà la politica di doppia cittadinanza nel tentativo di impedire a cittadini sudafricani di arruolarsi nelle forze armate israeliane. Lo riferisce il quotidiano "Sunday Time", secondo cui la misura potrebbe anche coinvolgere anche altri paesi. La questione è stata discussa nel corso di un vertice locale lo scorso luglio e dovrebbe essere proposta a livello nazionale il prossimo mese. Il capo del Comitato esecutivo nazionale dell'Anc per le relazioni internazionali, Obed Bapela, ha confermato che il partito sta discutendo dell'opportunità di mantenere in vita il modello della doppia cittadinanza. La proposta ha già sollevato critiche da parte del Consiglio dei deputati ebrei del Sudafrica, che hanno accusato l'Anc di essere diventato "apertamente ostile" ai cittadini con passaporto israeliano.

(Agenzia Nova, 8 settembre 2015)


Gli ortodossi in Israele

di Elena Lattes

 
La popolazione israeliana ha superato recentemente gli otto milioni di persone di cui circa il 75% sono ebrei, poco più del 20% arabi (tra musulmani e cristiani) e il resto appartenenti ad altre minoranze (Bahai, Circassi, Drusi, Cristiani non arabi, ecc.).
  Anche la maggioranza ebraica è di per sé molto variegata, ma a grandi linee, a parte diverse correnti di ebraismo riformato tendenti sostanzialmente a sacrificare quasi tutti i precetti in nome della modernità e i cui atti giuridici, come matrimoni, conversioni e così via, non vengono quasi mai riconosciuti dal rabbinato ortodosso (mentre può accadere l'opposto), dal punto di vista dell'osservanza, si può suddividere fra Charedim, i più "ligi", che sono circa il 10%, moderatamente religiosi (in inglese vengono definiti "modern orthodox") e una maggioranza, circa il 60%, molto lontana o perfino atea.
  Per quanto riguarda i charedim (che si potrebbero più correttamente definire in italiano come "timorosi in soggezione verso la Maestà Divina"), sono in gran parte di usanze ashkenazite (originarie dell'Europa orientale) e visti da fuori potrebbero sembrare erroneamente appartenere ad un unico movimento compatto. Al contrario, esistono numerose correnti di pensiero che a volte generano aspre divergenze.
  Partendo invece dall'interno, una prima distinzione si potrebbe effettuare tra chassidim e mitnagdim. Il primo gruppo fu fondato dal Baal Shem Tov in una piccola cittadina ucraina al confine con la Polonia nel diciottesimo secolo e sottolinea l'importanza dell'esperienza religiosa e della spiritualità rispetto agli studi e all'attività intellettuale. Per questo sono tendenzialmente più gioiosi, usano molto cantare e ballare, perché essere allegri e positivi è un grande precetto.
  I mitnagdim, principalmente originari dalla Lituania, si definirono in questo modo in contrapposizione ai chassidim che ritenevano potessero seguire una nuova e pericolosa corrente messianica che avrebbe potuto condurre gli ebrei ad idolatrare un determinato leader (quello che avvenne con Shabbetai Zvi e i suoi seguaci che alla fine si convertirono all'Islam).
  Oggigiorno questa suddivisione è inesistente in molte comunità e al di fuori del mondo più ortodosso, ma a volte è lacerante in alcuni quartieri di Gerusalemme e in pochi altri luoghi.
  Anche il mondo chassidico a sua volta si può suddividere in tanti sottogruppi, ognuno dei quali spesso ha uno o più leader carismatici con una propria filosofia e specifiche tradizioni. Riguardo al loro rapporto con il moderno Stato di Israele, ci sono, per esempio, chassidim che hanno accettato il Sionismo, altri che ne sono rimasti indifferenti e altri che continuano a combatterlo (come abbiamo visto nel precedente articolo sui Neturei Karta).
  Quasi tutti hanno famiglie numerosissime, in molte delle quali la donna lavora anche fuori casa, l'uomo studia i Testi sacri per la maggior parte del tempo e i bambini piccoli sono affidati ai fratelli più grandi. Per questi motivi spesso vivono sotto o al limite della soglia di povertà.
  I più integralisti non guardano la televisione, ascoltano canali radio e leggono giornali autogestiti e dedicati a loro, parlano comunemente l'yiddish, relegando l'ebraico alle preghiere e allo studio perché ritengono che sia una sorta di profanazione usare la lingua sacra nella vita quotidiana.
  In quest'ultimo gruppo, degno di nota, non per la loro consistenza numerica e nemmeno per la rilevanza sociale, ma soltanto per la peculiarità del loro estremismo sorto soltanto pochissimi anni fa, sono le Nashot Taliban, ovvero le Madri Talebane, così definite da tutti gli altri israeliani (compresi gli altri charedim) per il loro abbigliamento che ricorda il fondamentalismo islamico. Gli aderenti sono circa un centinaio, per lo più concentrati nella cittadina di Bet Shemesh a trenta chilometri da Gerusalemme, le donne indossano una sorta di niqab che copre loro anche il volto e non parlano né agli uomini, né in pubblico.
  I giovani di quasi tutti i gruppi non svolgono né il servizio militare né quello civile (che per gli altri è invece obbligatorio), ma la situazione sta cambiando e alcuni hanno cominciato ad arruolarsi o a prestare una sorta di collaborazione in campo sociale. Altri, invece, sono molto impegnati in nobili attività, come per esempio i volontari di Zaka, associazione fondata vent'anni fa, che intervengono in seguito ad incidenti e attentati per ricomporre i cadaveri e dare loro una degna sepoltura. Negli ultimi anni la loro opera si è estesa al pronto soccorso a feriti ed infortunati. Sono aperti alla collaborazione con gli arabi e condannano pubblicamente ogni tipo di violenza da qualsiasi parte provenga.
  Anche i ruoli femminili hanno intrapreso in molti casi la via del cambiamento: ci sono gruppi di donne che rivendicano il loro diritto ad occuparsi di politica e di questioni pubbliche, altre, singolarmente e di propria iniziativa, partecipano a concorsi televisivi come Xfactor o Masterchef.
  In conclusione, quindi, anche se alcuni rimangono rinchiusi in un mondo di ostilità e diffidenza in entrambi i sensi (sono spesso visti come "parassiti") altri, probabilmente la maggior parte, sono destinati ad una progressiva apertura che conduce ad una sempre più frequente ed intensa collaborazione, partecipazione e integrazione con il resto della cittadinanza.

(Agenzia Radicale, 8 settembre 2015)


Se i palestinesi attaccano il BDS e la sinistra israeliana

La sinistra Israeliana urina sugli arabi (palestinesi n.d.r.) e il BDS non ha alcun interesse né per i palestinesi né per un compromesso di pace. Riassumendo sono questi i punti salienti del durissimo attacco portato alla Knesset dal deputato arabo Jamal Zahalka (lista congiunta) nei confronti della sinistra israeliana e del BDS.
A far esplodere la rabbia degli arabi è stata l'opposizione della sinistra israeliana alla proposta del Governo sullo sfruttamento e lo sviluppo dei giacimenti di gas offshore, una discussione poi degenerata sulla questione del BDS che, a detta degli arabi, non fa l'interesse dei palestinesi, anzi, ne provoca i licenziamenti aumentando la disoccupazione e la povertà. Zahalka ha accusato la sinistra israeliana di essere "snob e razzista" (rivolgendosi al deputato della sinistra Stav Shaffir gli ha detto che da quando è alla Knesset non lo ha mai salutato o dato un semplice buongiorno, cosa che invece i deputati di destra fanno sempre)....

(Right Reporters, 8 settembre 2015)


Medio Oriente investito da una tempesta di sabbia

Una grande tempesta di sabbia ha investito oggi Libano, Siria, alla Giordania e a Israele nonché Cipro. Nel Paese dei Cedri tre persone sono morte per soffocamento e 750 sono state portate negli ospedali per disturbi respiratori, ha riferito il ministero della salute.
Gravi i disagi provocati anche in Giordania e in Israele dalla massa di polvere, i cui effetti sono acuiti dai concomitanti tassi di umidità compresi tra il 65 e l'85%. A Cipro i voli di linea sono stati dirottati sullo scalo occidentale di Paphos da quello principale di Larnaca, all'estremità opposta dell'isola, dove la visibilità si è ridotta ad appena 500 metri.
Le autorità sanitarie dei paesi interessati consigliano alla popolazione di evitare le attività all'aperto e di restare per quanto possibile al chiuso, specie quando si tratti di malati, anziani, bambini o partorienti, almeno fino alla serata di domani, quando prevedibilmente dovrebbe placarsi la tempesta giunta totalmente a sorpresa dal territorio siriano.

(bluewin.ch, 8 settembre 2015)


Una donna guiderà per la prima volta un'ambasciata di Israele nel mondo arabo

La diplomatica Einat Schlein è la prima ambasciatrice israeliana della storia in un paese arabo. Schlein è stata nominata alla guida dell'ambasciata dello stato ebraico in Giordania nel settembre 2014 e ieri ha presentato le credenziali al re Abdullah II nella capitale Amman.
Nel 2015 Israele ha scelto sette donne come ambasciatrici, sul totale di dodici nomine ai vertici delle proprie sedi diplomatiche. Tra queste c'è anche la nuova ambasciatrice in Italia, la giornalista Fiamma Nirenstein, che ha ottenuto la cittadinanza israeliana nel 2013 e andrà a sostituire l'ambasciatore in carica Naor Gilon nel 2016.

(Internazionale, 8 settembre 2015)


Diplomazia - "Una nomina poco gradita"

Il quotidiano israeliano Haaretz pubblica nell'edizione odierna, con evidenza e senza specificarne la fonte, alcune indiscrezioni secondo le quali il rabbino capo della Capitale e la presidente della Comunità ebraica locale si sarebbero rivolti al presidente israeliano Rivlin, nel corso della sua recente visita a Roma, rappresentando il loro desiderio di non vedere confermata la nomina di Fiamma Nirenstein ad ambasciatore di Israele in Italia.

di Barak Ravid
Haaretz, 8 settembre 2015

Figure di spicco della Comunità ebraica in Italia hanno chiesto al Presidente israeliano Reuven Rivlin, durante la visita della settimana scorsa, di intervenire per bloccare la nomina dell'ex parlamentare italiana di destra, Fiamma Nirenstein, ad ambasciatrice d'Israele a Roma. Il mese scorso Haaretz aveva riportato l'intenzione del Primo ministro Benjamin Netanyahu, di nominare Nirenstein per l'incarico diplomatico; la decisione del Premier è inusuale in quanto il mandato dell'ambasciatore attualmente in carica, Naor Gilon, scade solamente tra un anno mentre è già iniziato il processo di valutazione della nomina di Nirenstein da parte della Commissione della funzione pubblica. Tuttavia, la nomina non è ancora stata approvata dal Consiglio dei ministri e per questo membri di primo piano della Comunità ebraica ritengono che non sia ancora troppo tardi per un ripensamento.
Fonti interne alla Comunità ebraica italiana hanno riportato ad Haaretz che giovedì scorso, nel corso della visita di Rivlin, la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello e il rabbino capo Riccardo Di Segni avrebbero chiesto un incontro privato con il presidente israeliano.
Secondo tali fonti, che conoscono in prima persona i dettagli dell'incontro ma hanno chiesto di rimanere anonime data la sensibilità della faccenda, Dureghello e Di Segni avrebbero espresso grande preoccupazione nei confronti della nomina e delle implicazioni negative che questa avrebbe per la Comunità ebraica e le relazioni tra Italia e Israele.
Le fonti hanno inoltre affermato che i due leader ebraici italiani avrebbero spiegato a Rivlin che la nomina di una persona che fino a poco tempo fa era un membro del Parlamento italiano e che si è anche candidata senza successo alla presidenza della Comunità ebraica di Roma nelle elezioni di tre mesi fa, potrebbe generare insinuazioni su una sua doppia lealtà.
Di Segni e Dureghello avrebbero inoltre comunicato a Rivlin che Nirenstein si identificava quasi del tutto con la destra italiana, cosa che potrebbe avere un impatto negativo nei legami tra il governo israeliano e quello italiano, guidato dalla sinistra.
Rivlin ha risposto di comprendere tali preoccupazioni, ma di dover declinare la loro richiesta non avendo né l'autorità né la responsabilità di nominare nuovi ambasciatori. Rivlin ha dunque proposto ai due leader di presentare le loro argomentazioni a Netanyahu, che è anche ministro degli Esteri.
Nirenstein, che detiene la doppia cittadinanza italiana e israeliana, è stata parlamentare italiana dal 2008 al 2013, nei ranghi del partito di destra guidato dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al quale è molto vicina. È inoltre stata vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati.
Un ufficiale israeliano che la conosce ha descritto gli ideali politici di Nirenstein come allineati a quelli del partito di destra del Likud. Sembra che Nirenstein abbia frequentemente difeso Israele in programmi televisivi in Italia e altrove in Europa, confrontandosi con politici o altre figure pubbliche che criticavano il Paese.
Nel 2011 ha raccontato in un'intervista a Israel Hayom di aver militato un tempo nella sinistra, ma di averla progressivamente abbandonata dopo la sua prima visita in Israele nel 1967, prima della Guerra dei Sei giorni.
Prima di sbarcare in politica, Nirenstein ha lavorato come giornalista. Negli anni '90 è stata responsabile della Cultura all'Ambasciata italiana in Israele, e dopo ha rappresentato molti giornali italiani nel Paese. Dopo aver lasciato la politica nel 2013, ha ricominciato a scrivere per Il Giornale, quotidiano schierato a destra e di proprietà di Berlusconi.
Nel 2013, Nirenstein si è trasferita in Israele. Oggi vive a Gerusalemme, nel quartiere di Gilo. Ciononostante, solo pochi mesi fa ha fatto il suo infruttuoso tentativo alla presidenza della Comunità ebraica di Roma.
Se Nirenstein dovesse diventare ambasciatrice in Italia, dovrebbe rinunciare alla sua cittadinanza italiana.
Il portavoce del presidente non ha voluto rilasciare commenti sulla vicenda.

(moked, 8 settembre 2015)


Fondo Nazionale Ebraico in «Missione ecologica»

Nouriel Roubini
In occasione di Expo 2015, si svolge in questi giorni e fino a domani a Milano la «World Expo Mission» del Fondo Nazionale Ebraico, (Keren Kayemeth Leisrael), la Fondazione ecologica più antica al mondo nonché principale sponsor del Padiglione Israele. Fra gli obiettivi della manifestazione vi è la presa di contatto con le realtà istituzionali ed accademiche del nostro Paese ed in quest'ottica sono in corso eventi ed incontri dove accanto alle autorità italiane ed israeliane, avremo illustri ospiti, primo fra i quali, Nouriel Roubini. Proprio Roubini, domenica sera, ha presentato la serata di apertura (nella foto) a cui hanno presenziato, tra gli altri, il Presidente Roberto Maroni, Roberto Arditti, gli Ambasciatori Talò e Gilon, e siamo in attesa di conferma da parte del Ministro Martina.

(il Giornale, 8 settembre 2015)


"Israele - Il Cancro", quel film in tour promozionale nei comuni d'Italia

Da Recanati a Napoli, il patrocinio dei sindaci di sinistra.

di Giulio Meotti

ROMA - Lo scorso 17 agosto, nella sua pagina Facebook, la regista e attivista Samantha Comizzoli scriveva: "Agli israeliani ci sarebbe da sparargli solo per questo". Ad aprile aveva postato: "Avete mai pensato di tirare una bomba? Di reagire in qualche modo al mostro?". Gli amministratori della città di Recanati avrebbero potuto leggere quello che scrive Comizzoli prima di concederle il patrocinio per proiettare il suo documentario "Israele - Il Cancro". A rivelare lo scandalo del comune di Recanati, oggi retto dal sindaco Pd Francesco Fiordomo, è stato Asterio Tubaldi, direttore dell'emittente radiofonica Radio
"L'occupazione nazista israeliana della Palestina si rivela nel suo aspetto peggiore: l'occupazione della mente. Come un cancro mangia piano piano il cervello
delle persone."
Erre, che aveva sottoposto il caso all'attenzione del rabbino capo della comunità ebraica di Ancona, Giuseppe Laras.
La pellicola è spiegata così dai loro stessi artefici italo-palestinesi: "L'occupazione nazista israeliana della Palestina si rivela nel suo aspetto peggiore: l'occupazione della mente. Come un cancro mangia piano piano il cervello delle persone. Questo film tenta di spiegare la sofferenza di queste vite sotto tortura, dividendo il film negli stadi che ha la malattia del cancro: cancerogenesi-diffusione del tumore-cure palliative-metastasi-eutanasia-fine". Come immaginasse questa fine è stata la stessa Comizzoli a spiegarlo: "Mi auguro che Israele sprofondi nel nucleo della terra e che quindi l'inferno torni da dove è venuto, all'inferno".
Difficile capire cosa possa aver spinto la giunta recanatese a offrire Villa Colloredo Mels (sede del museo civico della città) per la proiezione di questo film. Contro il sindaco e la città si è schierato lo scrittore Umberto Piersanti: "L'abuso della parola 'nazista' riferito a Israele da parte dei pacifisti nostrani è squallido… Non pensavo che questo sentimento fosse presente anche nel comune di Recanati". Poi è arrivato il commento di Mosaico, la rivista della comunità ebraica milanese: "Che Samantha Comizzoli organizzi una proiezione, con annesso dibattito, del suo film 'Israele - il Cancro' (metastasi, cura, eutanasia), non è una notizia di per sé sconcertante. Lo è, sconcertante, che la proiezione, con tanto di arringa introduttiva della Comizzoli e successivo dibattito, abbia avuto luogo a Recanati nelle sale
La pellicola è stata proiettata nel salone del comune di Messina, a Cesana nella sede Arci, a Pavia nel circolo Arci e in tanti teatri comu- nali. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha offerto al "cancro Israele" addirittura la sala comunale in piazza del Gesù.
gentilmente concesse dal comune, con tanto di patrocinio e con l'avallo dello stesso sindaco Fiordomo".
In realtà il film sul "cancro Israele" sono mesi che riceve patrocini e autorizzazioni dai sindaci italiani, quasi tutti di sinistra, e di tante ong. La pellicola è stata proiettata nel salone delle Bandiere del comune di Messina, a Cesana nella sede Arci del Magazzino parallelo, a Pavia nel circolo Arci di via d'Acqua e in tanti teatri comunali, come quello Don Bosco di Lanuvio. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha offerto al "cancro Israele" addirittura la sala comunale in piazza del Gesù nuovo intitolata a Tommaso Campanella. Il comune di Bologna al film ha concesso la piazza dove d'estate si tengono le manifestazioni culturali all'aperto, quella piazza Verdi con il portico delle Scuderie simbolo della vita universitaria. A Ravenna, il comune ha garantito il parco più importante della città, quello del Tondo. E la lista non finisce qui.
E' l'unica consolazione per la città di Giacomo Leopardi: aver condiviso la surreale vergogna di "Israele - Il Cancro" con tanti comuni progressisti d'Italia.

(Il Foglio, 8 settembre 2015)


L'eccellenza di Israele in uno dei padiglioni più belli dell'Expo

Il legame con la terra emerge con forza da questo padiglione, dove l'ingegneria agricola, la lotta alla desertificazione e il rimboschimento fanno di Israele uno dei paesi al mondo più sensibili a queste tematiche. Inoltre, sapevate che il pomodorino ciliegino è "un'invenzione" israeliana??

di Saverio De Luna

 Tra tecnologia e tradizione
 
Expo 2015 - Il padiglione di Israele
Il pomodoro ciliegino, un'invenzione israeliana

  In fila per venti minuti, non di più. È questo il tempo impiegato per entrare nel padiglione di Israele situato a fianco del padiglione Italia. Sotto il sole c'è da attendere poco, ma non perch? il padiglione è visitato da poche persone, ma la velocità è dovuta alla perfetta organizzazione israeliana. Entrano almeno cinquanta persone alla volta, le quali non vengono abbandonate a se stesse. Anzi, sono indirizzate nel percorso dall'alta tecnologia che ricorda la Silicon Valley made in Tel Aviv e da spiegazioni dettagliate che fanno di questo padiglione uno dei migliori di tutto l'Expo 2015 di Milano. Un Paese giovane, ma vecchio di tremila anni. In questo paradosso si snoda l'esperienza di Israele all'Esposizione universale. La nazione mediorientale, con semplicità e un'ottima comunicazione, fa conoscere a mondo le proprie eccellenze e la sua ricerca nel campo dell'agroalimentare e della bonifica dei deserti che fornisce assistenza in diverse parti del mondo, come in Canada e in Africa.

 L'ingegneria agricola di Israele e il legame di questo popolo con la sua terra
  Se l'agricoltura è un nuovo terreno fertil per gli universitari e i ricercatori, Israele con la sua ingegneria agricola ne è un esempio. Fuori dal padiglione, per tutti coloro che si trovano in fila e per i semplici passanti, si può ammirare il giardino verticale (presente in foto). Si tratta di una parete lunga 70 metri e alta 12 metri, in cui si trovano piante vive che cambiano fiori e colori con il trascorrere delle stagioni. Nel viaggio all'interno del padiglione i visitatori sentiranno parlare della grande opera di rimboschimento realizzata dal Fondo Nazionale Ebraico. Non mancheranno i riferimenti alla lotta contro la desertificazione, che fa di Israele uno dei paesi mondiali più avanzati di tutto il mondo. Il forte legame degli ebrei con la terra è un concetto che emerge con forza da questo padiglione, dove la sacralità della nazione è un tratto distintivo.

 In linea con il tema dell'Expo
  Altre sensazioni che possono essere recepite dai visitatori sono quelle legate all'importanza della ricerca nel settore agricolo. Un ambito cruciale per il mondo attuale e per quello che verrà. Israele in questo settore, si dimostra un Paese pioniere, all'avanguardia e coglie nel vero senso della parola il tema "nutrire il Pianeta energia per la vita" dell'Expo 2015. Il percorso, all'interno del padiglione israeliano, si conclude nel migliore dei modi: appena si aprono le porte c'è un piccolo punto ristoro kosher in cui è possibile degustare alcune tipicità della cucina israeliana che racchiude le esperienze di diverse cucine, tra cui quella italiana. Si, vale la pena visitare questo padiglione. Sicuramente uno dei migliori dell'Expo milanese. Infine una curiosità per gli appassionati e non solo: sapevate che i pomodorini ciliegini, conosciuti anche come "pomodorini di Pachino, sono "un'invenzione" israeliana? È proprio così. Fu nel 198 che l'azienda sementiera biotech israeliana, Hazera Genetics, introdusse in Sicilia attraverso Comes S.p.A, divenuta poi Cois 94 S.p.A, due nuove varietà di pomodori: il ciliegino Naomi e la varietà Rita a grappolo.

(blogTaormina, 8 settembre 2015)


Sondaggi Palestina: in maggioranza per i colloqui di pace, quasi nessuno per uno Stato islamico

di Gianni Balduzzi

 
 
 
 
Ci allontaniamo per una volta dall'Occidente nel nostro monitoraggio dei sondaggi per andare in un'area calda del pianeta, la Palestina, dove si attende l'annuncio di nuove elezioni, dopo accordi e smentite, che sarebbero possibili solo con un rinnovo del fragile accordo tra Fatah e Hamas, da troppi anni divisi e sull'orlo di una guerra civile, in un'area già infiammata dal conflitto a volte esplicito a volte sotterraneo con Israele.
  Il Jerusalem Media and Communication Center ha svolto un approfondito sondaggio per analizzare lo stato d'animo dei palestinesi in questo periodo. Vediamo i risultati più importanti:
Più del 55% dei palestinesi, con pochissime differenze tra Cisgiordania e Gaza, è a favore dei negoziati di pace con Israele, il 42% contrario non è tuttavia una cifra da sottovalutare, vuol dire che milioni di persone sono contrarie a un accordo con lo Stato d'Israele e sono terreno fertile per quelle fazioni, anche violente, che non vogliono rinunciare alla lotta armata.
  Del resto la soluzione più percorsa nei negoziati di oggi e di ieri, quella dei due Stati, israeliano e palestinese, non raccoglie la maggioranza assoluta dei consensi, ma solo il 44%.
Il 21,3% è a favore di uno Stato binazionale, con tutta la Palestina storica dei tempi del mandato inglese, prima dell'avvento dello Stato d'Israele. Vi è poi un 31,7% che o non vede alcuna soluzione o pensa a uno Stato interamente palestinese, con la scomparsa di Israele.
Solo l'1,1% della popolazione è a favore di uno Stato islamico in stile ISIS in realtà
  In nuove elezioni il partito dato per vincente dai sondaggi sarebbe Fatah, la formazione storica di Arafat e di Abu Abbas ora, data in crisi a favore di Hamas negli anni, ma che ora appare doppiare i più diretti avversari, al 20,2%.
Contando il 22,7% che non voterebbe in effetti Fatah sembra già avere la maggioranza assoluta
Fatah è anche in testa al conto della fiducia, con il 35,4%. Pericolosamente seconda però è la fazione della sfiducia verso tutti: il 29,2% non si fida nè di Fatah nè di Hamas, qui al 20%, nè delle altre formazioni più piccole, come il vecchio Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, di ispirazione marxista, che raccoglie la fiducia del 3,2% della popolazione.
Anche qui le fazioni islamiste minori raccolgono solo il 3% dei favori dei palestinesi, se non vogliamo considerare Hamas come islamista tout court.
  La società palestinese nel complesso appare quindi piuttosto divisa, come sempre, del resto, e le prossime elezioni, quando saranno, certamente saranno vissute in modo intenso, e, speriamo, non pericoloso.

(Termometro politico, 7 settembre 2015)


Europei di basket: Bosnia batte Israele 86-84 all'overtime

Sembrava dover essere una passerella per Israele contro una Bosnia abbattuta nelle prime due apparizioni a Eurobasket. E anche i primi 15 minuti di gioco avevano dato questa impressione, con Casspi e compagni capaci di dominare. Ma il terzo quarto ha svegliato l'animo di Gordic e dei suoi connazionali, capaci addirittura di portarsi in vantaggio a pochi secondi dalla fine. L'ultimo quarto, poi, vede l'ex Virtus Roma sempre più decisivo con le sue triple, mentre dall'altra parte Casspi e compagni iniziano ad avere le polveri bagnate. Negli ultimi possessi del match la Bosnia sembra perdere l'inerzia in attacco con anche una pessima percentuale dalla lunetta (38% sulla sirena finale), ma la tripla di Kikanovic manda tutti all'overtime. Nel primo supplementare è Gordic a tenere in vita la Bosnia e far tremare Israele, con 6 punti pesanti. Ma i punti decisivi li segna ancora Kikanovic, lasciato incredibilmente solo sotto canestro sull'assist di Renfroe. E la Bosnia è ancora viva.

(Vavel.com, 7 settembre 2015)


Berna compra droni israeliani

Gli Stati si allineano al Nazionale approvando la transazione del valore di 250 milioni di franchi

L'esercito svizzero acquisterà dei droni israeliani per 250 milioni di franchi. Il Consiglio degli Stati, per 31 voti a 9 e 5 astenuti, si è allineato lunedì a quanto già deciso dal Nazionale, approvando il programma di armamenti 2015 da 512 milioni di franchi. Una minoranza di sinistra, che evocava in particolar modo il rispetto dei diritti umani, non è riuscita a bloccare l'acquisto dei velivoli.
I dispositivi in questione sono droni da ricognizione del tipo Hermes 900. Servono a catturare immagini e identificare i bersagli durante le missioni di esplorazione. Saranno destinati al corpo delle guardie di Confine.
Il capo del Dipartimento della difesa Ueli Maurer ha deviato le critiche legate alle azioni israeliane nei Territori palestinesi precisando che il fabbricante non è lo Stato di Israele, ma un'impresa privata, Elbit.

(RSI News, 7 settembre 2015)


Israele - Il professore fa un gesto che lascia tutti senza parole

Il professore prende il bambino in braccio e continua a fare lezione
Succede all'Università Ebraica di Israele. Una studentessa non avendo molte possibilità economiche per pagare una baby sitter, si era recata in aula con il suo bambino. Mentre seguiva la lezione il piccolo ha iniziato a piangere in modo inconsolabile. Mentre la studentessa stava abbandonando l'aula, il professore l'ha fermata e ha compiuto un gesto che da giorni sta diventando un esempio per tutti.
Il professor Fredi Siskind Engelberg ha amorevolmente preso in braccio il bambino, continuando a spiegare.
Nulla di straordinario nel suo gesto. Così commenta il Professor Engelberg: "Nessuna madre dovrebbe esser costretta a scegliere tra il proprio bambino e una buona formazione scolastica".
L'insegnante spesso chiede alle studentesse di portare i loro figli in aula, invece di saltare lezioni importanti.

(CheDonna.it, 7 settembre 2015)


Il parlamento israeliano vota a favore dell'accordo per lo sviluppo del giacimento Leviathan

GERUSALEMME - La Knesset ha votato oggi con 59 voti a favore e 51 contrari il controverso accordo quadro sul gas naturale fra Israele e due società commerciali, Noble Energy e Delek Group, incaricate dello sviluppo del giacimento Leviathan. Con questo voto, il primo ministro Benjamin Netanyahu potrà fare pressioni sul ministro dell'Economia Arye Dery per firmare l'accordo senza attendere il parere dell'autorità sulla concorrenza. Sulla scia della votazione favorevole, Netanyahu ha lodato la decisione precisando che "questo è un grande giorno" e ricordando i benefici dell'ingresso di Israele nel settore del gas con centinaia di miliardi di dollari che entreranno nelle casse dello stato. Nonostante il voto, non è ancora chiaro se il governo avrà la maggioranza per consentire il trasferimento delle responsabilità nella gestione del settore del gas settore del gas dal parlamento al governo, dato che tale punto non è strato incluso all'interno del documento votato dalla Knesset.

(Agenzia Nova, 7 settembre 2015)


Festival Klezmer, Città di Gradisca. Musica, storia e risate sull'Isonzo

Delilah Gutman e Refael Negri
Saranno la musica, la storia ma anche le risate le grandi protagoniste dei prossimi giorni a Gradisca, dove questa sera prende il via l'undicesima edizione del Festival Klezmer che ogni anno anima la città sull'Isonzo, organizzato dall'Associazione Musica Libera in collaborazione con il comune di Gradisca d'Isonzo, con la direzione artistica di Davide Casali. Negli anni numerosi artisti provenienti dall'Europa, dagli Stati Uniti e dall'Italia si sono radunati a Gradisca, dove anche quest'anno per le tre serate del festival non mancherà un'atmosfera internazionale, con una varietà di elementi e di spunti ad accompagnare i suoni del klezmer.
Primo tra questi la comicità, che caratterizza il primo degli eventi in programma, lo spettacolo teatrale intitolato "Te lo do io l'ebreo", in cui la lettura di alcune barzellette e racconti della tradizione ebraica da parte dell'attore triestino Franko Korosec condurranno gli spettatori in un viaggio attraverso la sua cultura millenaria, accompagnato dalle note del clarinetto di Davide Casali e dalla tastiera di Samuele Orlando.
È invece un gioco di parole tra l'italiano e l'ebraico il titolo della seconda manifestazione del festival. Ma nel concerto "ITalYa איטליה!- Isola della rugiada divina", non sono solo le due lingue a incontrarsi, bensì anche la parola parlata e la parola cantata. La musica del duo composto dalla voce dell'italo-americana Delilah Gutman e dal violino di Refael Negri offrirà al pubblico in un intimo spettacolo una rassegna di varie melodie della tradizione ebraica, in particolare quella italiana. "L'Italia è culla della comunità ebraica più antica in Europa, e il percorso attraverso "ITalYa" narra anche di questa radice che fa del nostro paese una 'Isola della rugiada divina', la traduzione in ebraico di I Tal Ya - spiegano gli organizzatori del festival - una terra dove le culture si sono da sempre incontrate, scontrate e integrate, originando talvolta miti e nuovi repertori musicali".
L'ultimo appuntamento sarà infine quello con il gruppo triestino del "Fritz Weiss ensemble di Andrea Massaria, Samuele Orlando & Others", che porteranno alla scoperta delle musiche jazz di autori ebrei come Benny Goodmann, John Zorn e altri per far vedere come il jazz sia stato contaminato dalla musica klezmer. E, come in tutte le commistioni di successo, viceversa.

(moked, 7 settembre 2015)


Cozze e scampi per bloccare i tunnel di Hamas con l'Egitto

Vasche al confine con Gaza per fermare il contrabbando. Saliti immediatamente alle stelle i prezzi delle merci illegali.

di Maurizio Molinari

 
GERUSALEMME - Cozze e scampi per bloccare i tunnel di Hamas sotto il Sinai: è il piano dell'esercito egiziano che i genieri hanno iniziato a realizzare dopo l'esplicito via libera ricevuto da parte del presidente Abdel Fattah Al Sisi.
Sin dall'arrivo al potere, nel luglio 2013, Al Sisi ha impiegato l'esercito per ostacolare i traffici illeciti fra Gaza e il Nord Sinai attraverso i tunnel che passano sotto la città di Rafah, divisa in due fra l'Egitto e la Striscia.
Ma poiché il transito di merci ed armi continua, alimentando anche le attività militari dei gruppi jihadisti dello Stato Islamico (Isis) nel Sinai, Al Sisi ha ordinato una soluzione radicale: scavare un canale d'acqua lungo il confine.
Sono stati i genieri militari - gli stessi che hanno realizzato in tempo record il prolungamento del Canale di Suez - a far presente che per avere successo il «canale» deve articolarsi in una serie di fattorie ittiche, che saranno gestite da soldati. Il progetto finale ne prevede 18 lungo 14 km di confine.

 Acqua marina
  Ad alimentarle sarà l'acqua salata del Mediterraneo e vi saranno coltivate cozze e scampi al duplice fine di trasformare gli spazi d'acqua in realtà permanenti e di alimentare l'industria della pesca, che costituisce uno dei maggiori introiti per le comunità costiere nel Nord del Sinai. L'arrivo di ruspe e bulldozer lungo il confine di Gaza ha dato il via formale agli scavi, che avvengono nell'area di Rafah sul lato egiziano dove almeno duemila famiglie sono state evacuate a partire da novembre - quando Isis uccise 31 soldati egiziani a Rafah - prima di radere al suolo gli edifici. Per Hamas le fattorie ittiche sono quanto di peggio Al Sisi poteva fare contro Gaza.
Il portavoce Mushir al-Masri parla di «cooperazione dell'Egitto con il blocco economico di Israele». Subhi Radwan, sindaco di Rafah nella Striscia, aggiunge timori di tipo ambientale perché l'«acqua salata aspirata dal Mediterraneo danneggerà le falde acquifere di Gaza» e le coltivazioni di cozze e scampi «faranno franare i terreni causando il collasso degli edifici sul nostro lato del confine». «A Gaza abbiamo già abbastanza problemi con la guerra, l'assedio israeliano e una situazione economica molto difficile - aggiunge il sindaco - ci appelliamo ai nostri fratelli egiziani affinché fermino questo progetto che mette a rischio la nostra popolazione».

 Fine dei traffici
  Ma ciò che conta per Al Sisi è colpire il network di traffici illegali fra la Striscia ed il Nord Sinai, ovvero fra Hamas e le tribù beduine legate ad Isis, e i risultati già si vedono. È bastato l'inizio degli scavi a far impennare il prezzo delle merci che transitano nei tunnel ancora attivi: una spedizione di pezzi di ricambio per motociclette - il mezzo di trasporto preferito dei comandanti di Hamas - è balzata da 6000 a 10 mila dollari nell'arco delle ultime due settimane mentre il costo di una stecca di 10 pacchetti di sigarette è aumentato da 28 e 32 dollari.
I miliziani di Hamas si rendono conto che Al Sisi non tornerà indietro e il confine con Gaza è destinato a diventare un canale d'acqua. Da qui la scelta di studiare da subito possibili contromisure: a cominciare dall'installazione di pompe d'acqua lunghe 200 metri nei tunnel esistenti, al fine di prepararsi ad evacuare l'acqua marina se dovesse invadere improvvisamente i percorsi sotterranei.

(La Stampa, 7 settembre 2015)


«Il Ghetto di Venezia» nel documentario della Bonavina

Il ghetto di Venezia
Il percorso di scoperta di Lorenzo Luzzatto, un adolescente ebreo di New York che viene mandato a Venezia per conoscere le origini della sua famiglia materna, ha dato l'idea ad Alessandra Bonavina per il soggetto del documentario «Il Ghetto di Venezia, 500 Anni di Vita», con la regia di Emanuela Giordano. Realizzato in collaborazione con Rai Cinema, riconosciuto di interesse culturale con contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo-Direzione Generale per il Cinema, il documentario della Bonavina è stato presentato da Tangram Film, Comitato «I 500 anni del Ghetto di Venezia» e Comunità Ebraica di Venezia, in accordo con Le Giornate degli Autori - Venice Days. L'opera ricostruisce la storia del ghetto più antico d'Europa attraverso i ricordi di testimoni eccellenti, custodi della memoria e dell'evoluzione della comunità ebraica della città lagunare.

(Il Tempo, 7 settembre 2015)


Expo - Congresso mondiale di Kkl-Jnf, per la prima volta fuori di Israele

Incontro inaugurale con intervento dell'economista Nouriel Roubini

MILANO - Serata inaugurale a Milano di 'Expo-mission', il congresso mondiale dell'associazione internazionale Kkl-Jnf, partner del padiglione israeliano a Expo. Per la prima volta la riunione plenaria dell'organizzazione, che ha sede in oltre 60 Paesi nel mondo e che si svolge con cadenza biennale, si è tenuta fuori da Israele. "Abbiamo scelto Milano in quanto città che ospita l'Expo perché il tema 'Nutrire il pianeta' è particolarmente vicino alla mission del Kkl", ha detto il presidente di Kkl Italia Raffaele Sassun. Alla Expo-mission partecipa l'economista e docente della New York University Nouriel Roubini, che nel suo keynote speech ha sottolineato l'importanza del tema ambientale per offrire soluzioni a problemi mondiali come la povertà, la crisi economica e le migrazioni. "Le immagini che vediamo sui giornali, di migliaia di profughi che tentano disperatamente e con ogni mezzo di raggiungere i confini europei, non sono solo frutto di conflitti politici o religiosi - ha detto - ma sono collegate ai temi ambientali. Il conflitto siriano deriva anche dalla crescente desertificazione e in Israele la mancanza d'acqua ha creato molte tensioni. Quando si ha fame è più facile che si inizi a odiare il proprio vicino". Hanno presenziato all'incontro, tra gli altri, l'ambasciatore israeliano in Italia Naor Gilon, l'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Taló, l'assessore regionale all'Ambiente Claudia Terzi, il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib. L'Expo-Mission prosegue con una serie di incontri a Expo.

(ANSA, 7 settembre 2015)


Israele ringrazia gli italiani: «Ci hanno aiutato a crescere»

Ricordata l'introduzione dell'irrigazione a goccia.

MILANO - Dedicata a Elio Toaff: il padiglione di Israele a Expo ha voluto simbolicamente dedicare all'ex rabbino di Roma la Giornata Europea della Cultura ebraica ospitando una conferenza dedicata agli «italkim», gli italiani in Israele, e al loro contributo allo sviluppo dello Stato ebraico. Al centro dell'evento due «italkim» speciali: il rabbino Elio Toaff, scomparso lo scorso aprile a 99 anni, e Joel De Malach, nome ebraico del fiorentino Giulio De Angelis, che negli anni Sessanta introdusse nel Neghev l'irrigazione a goccia. Due uomini che, in campi lontani tra loro, «sono stati un ponte», per usare le parole dell'ambasciatore italiano in Israele, Francesco Maria Talò, «italiani che cercavano di crescere in una terra che sentivano profondamente loro, senza rinunciare a guardare al mondo» e che sono «un esempio da seguire».
   L'irrigazione goccia a goccia viene oggi utilizzata per tutte le coltivazioni israeliane, e ha reso possibile lo sviluppo della viticoltura. «Il Neghev è oggi la frontiera della viticoltura israeliana - ha detto Aaron Fait, direttore del laboratorio di Agricoltura nel deserto dell'U n ive r s i t à Ben Gurion -. Anche oggi i viticoltori continuano a imparare all'Italia: la vostra esperienza millenaria nell'arte vinicola ci è indispensabile per realizzare vini eccellenti».
   Se l'Italia è presente col suo know-how, lo è però meno con i suoi i vitigni: «Stiamo da poco sperimentando la coltivazione del Sangiovese ha proseguito Fait - ma per ora solo a livello universitario. Dobbiamo capire come far crescere al meglio le uve nel nostro terreno».
   Il ricordo del rabbino Elio Toaff è passato attraverso le parole di sua figlia Miriam, anche lei divenuta 40 anni fa una «italkim» di Gerusalemme: «Vorrei che il pensiero di mio padre, la sua straordinaria apertura mentale nei confronti del prossimo, a prescindere dalla religione, e anche la sua ironia rimanessero come eredità», ha detto. U n'eredità importante, in un momento in cui la crisi dei migranti riporta alla mente «la storia degli ebrei e i loro patimenti - ha detto Miriam -. Ieri erano i nostri antenati a scappare dalle persecuzioni, e molti di coloro che sono stati respinti alle frontiere sono stati deportati nei campi di concentramento. Mio padre sarebbe stato per accoglierli tutti, non ne ho dubbi».
   
(la Gazzetta del Mezzogiorno, 7 settembre 2015)


L'antisemitismo incontra la satira. E alla Mostra finalmente si ride

"Pecore in erba" di Caviglia affronta il tema importante in modo nuovo. Un falso documentario sull'antisemitismo affronta un tema serissimo con grande humor.

di Alberto Mattioli


Alberto Caviglia
Trailer
E al settimo giorno, Venezia rise. Dopo una settimana di ibernati sull'Everest, tragedie, lutti, preti pedofili, bambini soldato, operazioni che vanno male, soprani stonati e altre calamità, finalmente un po' di divertimento. Doppio merito perché il film è italiano, triplo perché non lo sembra, quadruplo perché, ridendo e scherzando (ma si sa che nulla è più serio dello scherzo) affronta un tema importante e doloroso come l'antisemitismo. S'intitola Pecore in erba e lo firma un debuttante, Alberto Caviglia. Se andrete a vederlo, state attenti alla mascella: potreste slogarvela.
La formula è quella, non nuova, del «mockumentary», il falso documentario che sembra più vero di quelli veri. Siamo nell'estate del 2006.
Da sei mesi è scomparso nel nulla Leonardo Zuliani, attivista per i diritti civili, genio della comunicazione, fumettista di successo, scrittore, stilista, imprenditore, insomma un'icona nazionale. Un imponente corteo lo ricorda a Roma, in diretta su Sky, con Mentana smitragliante in studio, i manifestanti con il cartelli «Je suis Leonard», le bandiere, gli slogan, la mamma e la sorella acclamate dalla folla, insomma tutto il solito impegno prèt-à-porter e la consueta commozione a favor di telecamera. Uno speciale tivù ricostruisce vita e opere del caro forse estinto, di certo sparito.
   Soltanto, e qui sta il colpo di genio, Zuliani è un antisemita. Un antisemita forsennato, compulsivo, genetico, tanto che quando da scout scopre che Cristo era ebreo si riempie di bolle. Grazie a lui, l'antisemitismo diventa politicamente corretto e quella che le anime belle devono combattere è l'antisemifobia, insomma l'anti-antisemitismo. Fra i diritti civili, c'è anche quello di odiare gli ebrei. Zuliani inventa una versione «corretta» della Bibbia dalla quale è espunto ogni riferimento agli ebrei; Zuliani vende il kit da corteo comprensivo di bandiera israeliana e della benzina e dello zippo per darle fuoco; Zuliani inaugura una catena di fast food che cucinano solo ingredienti non kosher; Zuliani lancia il profumo «Eau d'aryen», la linea d'abbigliamento «Baci & breacci», il gioco da tavolo «Ghettopoli»; Zuliani pubblica una nuova guida turistica del Medio Oriente dalla quale sparisce Israele e resta solo la Palestina; Zuliani va ospite da Fazio e dalla Venier; Zuliani viene lodato, commentato, recensito da Freccero, Cazzullo, Elio, Augias, Sgarbi, De Cataldo, Linus, Brass, De Bortoli (tutti «veri», nella parte di loro stessi). Gli viene dedicato un film strappacore, con Vinicio Marchioni e Carolina Crescentini come lui e la sua fidanzata, e rilancia il cinema italiano con titoli come Forni felici, L'usuraio licantropo e In fretta e Führer,
   Tutti i luoghi comuni dell'antisemitismo sono rivoltati come un calzino. Nelle sue sedute psicanalitiche con il professor Castrucci che tenta di capire gli strani comportamenti del ragazzo, Zuliani dà fondo al repertorio. Gli ebrei hanno ucciso Cristo? Sì, ma anche Confucio, il Buddha e la mamma di Bambi. Gli ebrei controllano la finanza, i media, lo showbusiness. Gli ebrei sono avidi, hanno il naso adunco e la voce acuta.
   Come film, Pecore in erba è spassoso. Come satira dell'antisemitismo, efficacissima. Tanto più che gli antisemiti li prende di mira tutti, dai fascisti ai cattolici a quelli di sinistra che nei cortei pro palestinesi equiparano la stella di Davide alla svastica. Lui, Caviglia, è un ebreo romano di 31 anni, fondamentalmente serio e perfino un po' malinconico come tutti i veri umoristi: «Rido per non piangere». E infatti dice cose serissime, che l'antisemitismo c'è, anche in Italia, che forse non è in crescita ma certamente è vivo, che si manifesta in molte forme diverse, che è un problema culturale e che il suo film è un modo per affrontarlo.
   Soltanto, e qui sta la novità, Caviglia difende una posizione giusta e politicamente corretta come la lotta contro l'antisemitismo ma non lo fa con i modi predicatori o ricattatori del cinema «buono» e impegnato che ci viene ammannito anche qui a Venezia. In mezzo a quest'orgia di nobili sentimenti e buone cause progressiste che non puoi non condividere, a questi ditini perennemente alzati per ricordarti che è scorretto fare questo e non si può dire quest'altro, finalmente una sana, liberatoria, consolatoria risata. Molto più efficace, fra l'altro. Come diceva quell'altro allegrone, Giacomo Leopardi: «Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire». Forza pecore.

(La Stampa, 7 settembre 2015)


Calcio - Euro 2016: Galles-Israele 0-0

CARDIFF - Il Galles e' costretto a rinviare la festa per una storica qualificazione agli Europei. A Cardiff Bale e soci vanno a sbattere contro il muro eretto da Israele e non vanno oltre lo 0-0. Al 95' Church aveva fatto scoppiare di gioia il pubblico di casa ma solo per pochi secondi: gol annullato per fuorigioco e pass per la Francia ancora da mettere in tasca. Il Galles resta comunque saldamente in testa al girone B con Israele che consolida il terzo posto. CLASSIFICA: Galles 18 punti; Belgio 14; Israele 13; Cipro 9; Bosnia 8; Andorra 0.

(la Repubblica, 6 settembre 2015)


Europeo di Basket 2015 - Israele affonda la Finlandia

Israele a punteggio pieno, ancora a zero la Finlandia.

Lior Eliyahu
1o Quarto: Parte bene Israele sull'asse Eliyahu/Limonad, per la Finlandia ci pensa Salin a sbloccare le marcature da tre punti, 3-6 dopo 2'30".
Mekel ed ancora Limonad siglano il primo allungo israeliano, 3-10 a 6'23". Timeout obbligatorio Finlandia.
Al rientro Huff sbaglia la conclusione ma Murphy prende il rimbalzo e serve a Koponen l'assist per la tripla a bersaglio, 6-10.
Segna Eliyahu ma la Finlandia fin qui vede il canestro solo da oltre l'arco, altra tripla a bersaglio, stavolta è Murphy a centrare la retina, 9-12 a 4'55". Gal Mekel protagonista nella seconda parte del quarto, cinque punti consecuitivi spingono Israele a +6 ma Wilson replica con un piazzato dalla media.
Eliyahu e Ohayon firmano il massimo vantaggio, 13-20, a 2'16". La Finlandia non riesce a trovare la via del canestro così ci pensa Casspi a mettere tutti d'accordo col lay up del +10, 13-23. Eliyahu fissa il punteggio di fine quarto sul 13-25.

2o Quarto: Parziale di 8-4 in apertura in favore della Finlandia, due triple di Nuutinen riavvicinano i finnici ad Israele, 21-29 dopo 2' di gioco.
Yivzori termina al 4' il digiuno offensivo di Israele, Eliyahu lo supporta col lay up del 21-33 a 4'51", Timeout Finlandia.
Murphy da ossigeno allo score della Finlandia ma predica nel deserto, Israele dilaga con Ohayon ed Eliyahu, 23-40 a 2'14".
Salin spara due triple e ci aggiunge 2/2 ai liberi qualche azione dopo ma gli avversari sono in fuga, 31-46 al 20'.

3o Quarto: La partita riprende sul filo dell'equilibrio, Salin e Murphy ribattono ai canestri di Eliyahu e Fisher. La tripla di Huff fissa il 40-53 a 6'31".
Si torna a segnare dopo quasi tre minuti di errori, Murphy Mekel Nuutinen, Israele avanti 44-56 a 3'04". La parte finale del quarto è il momento di Murphy, i suoi 8 punti consentono alla Finlandia di giungere alla terza sirena in svantaggio di di otto lunghezze, 54-62.

4o Quarto: La Finlandia inizia l'ultimo quarto spinta dai canestri di Murphy Lee e Wilson ma Casspi, dall'altra parte, è incontenibile e mantiene inalterato il vantaggio sugli avversari a 6'34", 61-69.
Huff, dalla lunetta, fa 2/2 che vale 63-69 al 4'. La Finlandia è in partita ma nel suo momento migliore arriva il parziale di 0-7 israeliano, 63-76 a 3'57".
Mekel e Casspi ribattono punto su punto ai tentativi di Murphy e Lee, ma ormai i buoi sono scappati, Israele affonda la Finlandia col punteggio di 66- 79

Parziali: 13-25 / 12-21 / 23-16 / 12-17
Tabellini:
Finlandia: Koivisto 2, Huff 5, Lee 5, Salin 13, Kotti, Koponen 3, Nuutinen 8, Kaunisto, Cavén, Ahonen, Wilson 6, Murphy 24.
Israele: Yivzori 6, Dawson, Mekel 14, Eliyahu 22, Casspi 10, Limonad 5, Kadir 2, Ohayon 13, Green, Fisher 7, Rothbart, Timor

(Sportando.com, 6 settembre 2015)


Le mal riposte ossessioni degli europei virtuosi

Di fronte al disastro delle società arabe e alla tragedia dei profughi in fuga, governi e ong europee dovrebbero avere qualcosa di più importante da fare che dedicarsi al boicottaggio di Israele.

Le immagini di un soldato israeliano armato di tutto punto che viene malmenato da donne e bambine palestinesi presso il villaggio di Nabi Saleh senza fare praticamente nulla per fermarle, hanno lasciato di sasso molti blogger arabi. I commenti che ne sono seguiti sui social network hanno più volte accennato al fatto che, se un incidente del genere fosse avvenuto in un qualunque paese arabo, il soldato avrebbe ucciso i suoi assalitori senza la minima esitazione.
La verità, come si è capito, è che queste "sceneggiate" vengono organizzate da manifestanti palestinesi che si sono specializzati nell'arte di scalciare e urlare, quasi sempre accompagnati da attivisti estremisti israeliani e stranieri, a beneficio di cineoperatori e fotoreporter compiacenti, finanziati da gruppi europei anti-israeliani. E i soldati israeliani si ritrovano troppo spesso trascinati in queste situazioni grottesche contro la loro volontà....

(israele.net, 4 settembre 2015)


Expo - Giornata della cultura ebraica: Israele la dedica al rabbino Toaff

Incontro sugli italiani che fecero lo stato ebraico.

MILANO - Una giornata dedicata agli 'italkim', agli italiani in Israele e al loro contributo, soprattutto culturale e scientifico, allo sviluppo dello Stato ebraico. Come per esempio il rabbino Elio Toaff. E' l'iniziativa organizzata a Expo dal Padiglione di Israele in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. L'incontro è stato organizzato dalla Hevrat Yehudé Italia be-Israel, la comunità degli Israeliani in Italia, e ha visto la partecipazione, dell'ambasciatore d'Italia in Israele, Francesco Maria Talò e di Angelo Piattelli e Cecilia Nizza, rispettivamente presidente e vicepresidente della Hevrat Yehudé Italia be-Israel.
"Vogliamo dedicare questa giornata al rabbino Elio Toaff, particolarmente legato agli italkim da sentimenti di amicizia. Gli italiani hanno dato un apporto incredibile a Israele, in particolare nell'ambito accademico, come nell'Università ebraica di Gerusalemme", ha detto Piattelli. "Expo è il luogo ideale per promuovere Israele in Italia e l'Italia in Israele - ha commentato l'ambasciatore Talò -. Gli 'italkim', italiani che cercavano di crescere in una terra che sentivano profondamente loro, senza rinunciare a guardare al mondo, sono per noi un esempio. Anche oggi noi dobbiamo essere come loro, essere 'ponti' e conservare allo stesso tempo la nostra identità".

(ANSA, 6 settembre 2015)

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Israele ad Expo: la nostra agricoltura passa dall'Italia

Dedicata a Elio Toaff: il padiglione di Israele a Expo ha voluto simbolicamente dedicare all'ex rabbino di Roma la Giornata Europea della Cultura ebraica ospitando una conferenza dedicata agli 'italkim', gli italiani in Israele, e al loro contributo allo sviluppo dello Stato ebraico. Al centro dell'evento, organizzato dalla Hevrat Yehudé Italia be-Israel, la Comunità degli israeliani in Italia, due 'italkim' speciali: il rabbino Elio Toaff, scomparso lo scorso aprile a 99 anni, e Joel De Malach, nome ebraico del fiorentino Giulio De Angelis, che negli anni Sessanta introdusse nel Neghev l'irrigazione a goccia. Due uomini che, in campi lontani tra loro, "sono stati un ponte", per usare le parole dell'ambasciatore italiano in Israele, Francesco Maria Talò, presente all'evento, "italiani che cercavano di crescere in una terra che sentivano profondamente loro, senza rinunciare a guardare al mondo" e che sono "un esempio da seguire".
  L'irrigazione goccia a goccia viene oggi utilizzata per tutte le coltivazioni israeliane, e ha reso possibile anche il recente sviluppo della viticoltura. "Il Neghev è oggi la frontiera della viticoltura israeliana - ha spiegato Aaron Fait, direttore del laboratorio di Agricoltura nel deserto dell'Università Ben Gurion -. Dopo la rivoluzione agricola apportata da De Malach, anche oggi i viticoltori continuano a imparare all'Italia: la vostra esperienza millenaria nell'arte vinicola ci è indispensabile per realizzare vini eccellenti". Se l'Italia è presente col suo know-how, lo è però meno con i suoi i vitigni: "stiamo da poco sperimentando la coltivazione del Sangiovese - ha proseguito Fait - ma per ora solo a livello universitario. Dobbiamo capire come far crescere al meglio le uve nel nostro terreno". Il ricordo del rabbino Elio Toaff è passato attraverso le parole di sua figlia Miriam, anche lei divenuta quaranta anni fa una 'italkim' di Gerusalemme: "Vorrei che il pensiero di mio padre, la sua straordinaria apertura mentale nei confronti del prossimo, a prescindere dalla religione, e anche la sua ironia rimanessero come eredità", ha detto. Un'eredità importante, in questo momento in cui la crisi dei migranti riporta alla mente "la storia degli ebrei e i loro patimenti - ha ricordato Miriam -. Ieri erano i nostri antenati a scappare dalle persecuzioni, e molti di coloro che sono stati respinti alle frontiere sono stati poi deportati nei campi di concentramento. Mio padre sarebbe stato per accoglierli tutti, non ne ho dubbi".

(La Voce, 6 settembre 2015)


Amarcord della colonia di Selvino: tornano i bimbi salvati dalla Shoah

Erano 800 i piccoli ebrei accolti: ora si ritrovano in 60 con figli e nipoti. Un esempio di accoglienza, primordiale modello 'Milano'.

di Stefania Consenti

 
La tavolata dei bambini salvati dai campi di concentramento.
A destra, un paio di scarpe nuove e il bellissimo sorriso di ringraziamento del bambino.


MILANO - Non vedono l'ora di salire su quell'aereo che li riporterà indietro nel tempo, in quella che è stata, dal '45 al '48, la casa dello loro infanzia. E che importa se si deve attraversare l'Oceano? Sidney Zoltak, per una vita assicuratore a Montreal, 84 anni, un ebreo polacco scampato ai campi di concentramento, uno degli 800 Bambini di Selvino, rinato grazie alle cure e all'amore ricevuto in quella ex colonia per i figli dell'élite fascista milanese, «Sciesopoli», oggi un edificio segnato dal tempo e dall'incuria, giura di potercela fare. Di non temere la stanchezza della lunga traversata. Figura carismatica, Sidney, abituato ad accompagnare studenti di tutto il mondo in visita al campo di Treblinka. Ma non scommette sugli occhi asciutti, i suoi e quelli degli altri 60 ospiti, di quei bimbi, che furono profughi aiutati da una rete di solidarietà internazionale nella quale si adoperarono anche i nostri partigiani, oggi nonni e bisnonni negli States, in Israele, Canada, Gran Bretagna, che potranno riabbracciarsi, stringersi le mani, fare memoria. E ringraziare. Come Avi Shilo, che partecipò alla rivolta nel ghetto di Lutsk. Un tempo, a Sciesopoli, era il «ribelle», poi è diventato attore e insegnante di arte drammatica. «Chi viene accolto non dimentica», fa notare Marco Cavallarin, del Comitato promotore "Perché duri la memoria", insieme a Miriam Bisk, americana, figlia di sopravvissuti alla Shoah a Lodz, in Polonia, poi divenuti educatori proprio a Sciesopoli. Nel suo recente viaggio di ricerca delle origini, in una lettera indirizzata a Papa Francesco Miriam scrive: «Preservare la memoria di Sciesopoli, per onorare i cittadini di Selvino, per raccontare la storia dei bambini ebrei sopravvissuti che in questo luogo sacro hanno conquistato la loro infanzia rubata, una "nuova famiglia" e soprattutto la speranza». E la solidarietà di Papa Francesco non ha tardato ad arrivare.
  Tutto è pronto a Selvino per questo incontro internazionale, con l'Albero della Vita che si illuminerà dando il benvenuto a questi «figli della Shoah» e la grande cena di «shabbat». Sciesopoli è uno dei molti luoghi trascurati dalla storia e dalla memoria. Ma qui si realizzò quel «miracolo» di accoglienza dei profughi, un primordiale «modello Milano» che restituì il sorriso a quegli 800 bimbi scampati ad Auschwitz e Dachau e alle interminabili marce della morte. Il più alto numero di «salvati» al mondo.
  Passaggio obbligato, a Milano, Palazzo Odescalchi, in via Unione 5, dove c'era la sede della Comunità ebraica che si occupava della prima accoglienza e di smistare i profughi (ne sono passati più di 250 mila per l'Italia in due anni) in attesa di raggiungere la Palestina, «la terra promessa», talvolta anche clandestinamente. Ma cresce il numero di bambini orfani. E una delegazione composta da Raffaele Cantoni (presidente della Comunità ebraica di Milano), Moshe Zeiri (dei Genieri dell'Esercito Britannico) e Teddy Beeri ottiene dal sindaco di Milano, Antonio Greppi, in accordo con il Cnl e il prefetto Riccardo Lombardi, la colonia «Sciesopoli». Siamo nel settembre del 1945. Prende corpo un'esperienza educativa nuova, i ragazzi vengono accolti uno ad uno, sulla porta, accompagnati nei dormitori, coccolati, istruiti, educati. Un'esperienza unica al mondo per metodi educativi e per l'ingente quantità di bimbi. Imparano la «lingua dei padri», l'ebraico, si fortificano nel corpo e nello spirito. «A Sciesopoli si iniziano con regolarità gli studi di lingua, letteratura, aritmetica, storia del popolo ebraico, la geografia della Palestina. Tutti animati da un profondo desiderio di ricostruire l'identità personale e del proprio popolo». Perfino la musica si studia ad alti livelli grazie alla disponibilità di Gary Bertini, che diventerà musicista e direttore d'orchestra di fama internazionale.
  «Una incredibile rete di accoglienza e solidarietà internazionale, quel senso di umanità che l'Europa ha smarrito con i profughi di oggi, contribuì ad aiutare quei bambini», ricorda ancora Cavallarin. «Perfino il panettiere di Selvino si preoccupava di panificare in più, e gratuitamente, e il barbiere non saltava gli appuntamenti per sistemare la zazzera ai piccoli della colonia». Oggi la struttura versa in un degrado assoluto. Fino al 1990 il Comune di Milano ne era il proprietario. Poi è finita all'asta, acquistata da un gruppo immobiliare che voleva farne probabilmente un albergo di lusso. La vecchia colonia è un capolavoro dell'architettura razionalista, a firma dell'archietto Vietti-Violi, lo stesso che ha firmato il galoppatoio di San Siro e il Palazzo dello Sport di piazza VI febbraio. Andrebbe recuperata. Si attendevano i fondi della Regione Regione Lombardia ma al momento ci sono solo promesse. Al degrado della struttura si contrappone il recupero della memoria, partito con una petizione internazionale sostenuta da oltre ventimila firme. Prima nemmeno nelle scuole di Selvino si parlava più di quei concittadini generosi che nel dopoguerra si sono fatti in quattro per aiutare i profughi-bambini. E strappare loro un sorriso. Quel sorriso che, oggi, diventa una maschera di dolore, quando agghiacciati guardiamo la foto del piccolo Aylan, annegato nel mare di Bodrum, alla ricerca di un approdo. In una sua «terra promessa».

(Il Giorno, 6 settembre 2015)


L'Europa pronta a importare gas dall'Iran

TEHERAN - Il vicedirettore della National iranian gas company (Nigc) Mohammadreza Ghaznavi ha detto che l'Europa è tra i maggiori potenziali clienti di forniture di gas dall'Iran. E' quanto riferisce l'agenzia d'informazione iraniana "Fars". "Diversi paesi hanno espresso la volontà di importare gas dal nostro paese e l'Ue è tra i più impazienti", ha ribadito Ghaznavi. I funzionari iraniani hanno più volte sottolineato che Teheran vede i paesi vicini una priorità per l'esportazione di gas naturale. Il mese scorso l'Azerbaigian ha chiesto un aumento del volume del commercio di gas con l'Iran per placare il fabbisogno energetico degli europei. Un funzionario che ha chiesto l'anonimato, ha detto che a metà agosto, Teheran avrebbe acconsentito alla richiesta dei funzionari azeri e avrebbe accettato di aumentare il volume delle sue esportazioni di gas verso il paese per aiutare Baku con la fornitura ai paesi europei.

(Agenzia Nova, 6 settembre 2015)


Comune Pd patrocina il film «Israele è come il cancro»

Samantha Comizzoli presenta il suo documentano a Recanati. E l'amministrazione concede la proiezione nonostante una tesi a senso unico. E le tante offese.

di Pier Francesco Borgia

Un titolo che non offre sponde all'ambiguità: Israele. Il cancro. Tanto per capire da che parte stare e quale storia si va a raccontare. Stiamo parlando del documentario girato nel 2014 dall'attivista filopalestinese Samantha Comizzoli. Un documentario che è stato presentato lo scorso primo settembre a Recanati. Una serata, quella ospitata nelle sale di Villa Coloredo Mels (oggi sede del museo civico), che ha fatto discutere. Non tanto per il presunto racconto per immagini, quanto per il patrocinio concesso all'evento dall'amministrazione comunale guidata da Francesco Fiordomo. Contro il sindaco (a capo di una giunta di centrosinistra) si è pronunciato anche lo scrittore Umberto Piersanti dalle colonne del Resto del Carlino, parlando di un pericoloso quanto corrivo gesto offerto dal Comune di Recanati.
   Il filmato, dal titolo pesantemente pregiudiziale, è stato girato nell' estate del 2014 con l'inizio dell'operazione militare denominata «Margine Protettivo». Il documentario si riprometteva di testimoniare le violenze (soprattutto psicologiche) perpetrate dai soldati israeliani nei Territori occupati.
   Nel corso della presentazione la stessa Comizzoli, che solo pochi mesi fa è stata fermata in Israele nel corso di una manifestazione e quindi arrestata e infine espulsa dal Paese, ha parlato dell' operazione militare come un' autentica «occupazione nazista israeliana della Palestina».
   Un' occupazione che, a detta dell' attivista dell'Ism (International solidarity movement), si rivela nel «suo aspetto peggiore: l'occupazione della mente. Come un cancro mangia piano piano il cervello delle persone». «Questo film - ha spiegato la Comizzoli, cui Facebook recentemente ha oscurato il profilo per la presenza di affermazioni e commenti razzisti e offensivi - tenta di spiegare la sofferenza di queste vite sotto tortura, dividendo il film negli stadi che ha un tumore: cancero genesi; diffusione; cure palliative; metastasi; eutanasia; fine».
   «Che Samantha Comizzoli - commenta la rivista telematica Mosaico, della Comunità ebraica meneghina -, attivista filo palestinese (diventata famosa ne1 2014 per una foto che la ritraeva, in Cisgiordania, con tre dita alzate e un festoso sorriso, davanti a un forno, nei giorni del rapimento dei tre ragazzi ebrei poi trovati massacrati da terroristi palestinesi), organizzi una proiezione, con annesso dibattito, del suo film Israele - il Cancro (metastasi, cura, eutanasia), non è una notizia di per sé sconcertante. Le campagne di odio contro Israele non sono purtroppo una novità, tanto in Italia quanto in Europa e non solo. Lo è - sconcertante - che la proiezione, con tanto di arringa introduttiva della Comizzoli e successivo dibattito, abbia avuto luogo a Recanati, ilI/natio borgo selvaggio" del Sommo Leopardi, nelle sale gentilmente concesse dal Comune, con tanto di patrocinio e con l'avallo dello stesso sindaco Fiordomo».
D'altronde lo stesso Piersanti, nel suo intervento sul Resto del Carlino aveva stigmatizzato con ancor più vigore un' iniziativa come quella portata avanti dall'attivista filopalestinese. «Nessuna amministrazione seria può dare il suo patrocinio a una manifestazione anti israe- liana - scriveva Piersanti, all'indomani della proiezione -, nel corso della quale viene mostrato un film che ha un titolo orrido: Israele, il cancro». «L'abuso della parola "nazista" -ha poi aggiunto lo scrittore, interpellato da una radio locale - riferita sempre e solo a Israele da parte di pacifisti nostrani ès quallido. Non mi risulta che siano state mai organizzate, in questo territorio, manifestazioni contro l'Isis e in generale contro l'integralismo islamico, di cui l'organizzazione palestinese Hamas è parte integrante. Usare il termine "nazista" nei confronti di un popolo che ha subito la più spietata persecuzione della Storia a opera del nazismo stesso è un segno di un malcelato sentimento antisemita».

(il Giornale, 6 settembre 2015)


Europa pronta a misure punitive nei confronti di Israele: «applichiamo soltanto la legge»

Una raggiante Mogherini con un sorridente e soddisfatto ministro degli esteri iraniano
È in dirittura d'arrivo il complesso di misure penalizzanti che l'Europa sta adottando, dietro l'impulso della signora Mogherini - reduce dalle radiose strette di mano con gli esponenti del regime iraniano - nei confronti delle produzioni israeliane. I provvedimenti per ora riguarderanno soltanto le merci prodotte dalle aziende israeliane nei territori contesi del West Bank: sono le aree dove prima operavano le aziende come Sodastream, ora trasferitasi nel deserto del Negev, dopo aver chiuso un efficiente stabilimento che dava occupazione e reddito a 900 famiglie palestinesi.
   Jean Asselborn, presidente di turno dell'Unione Europea, si è schermito osservando «dobbiamo assicurarci che i consumatori europei sappiano distiguere i prodotti provenienti dai territori "occupati" (sic!) da Israele. Stiamo soltanto applicando il diritto internazionale».
   In effetti l'uomo della strada non si capacita di come, in tempi di crisi economica internazionale e con il genocidio siriano che bussa alle nostre porte, i burocrati di Bruxelles abbiano come massima priorità quella di sanzionare le aziende israeliane che operano in territori (Area C) che per ultimo gli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritto sotto il patrocinio dell'UE - assegnano alla piena giurisdizione civile e militare di Gerusalemme.
   Soprattutto, desta scalpore il diverso standard adottato dall'Europa. Mentre nei confronti di Israele la signora Mogherini assurge al ruolo di legislatore, nei confronti del Marocco si adotta un metro assolutamente diverso: non solo non si stigmatizza mai l'occupazione illegale e lo sfruttamento delle risorse del Sahara Occidentale; ma si sottoscrivono addirittura accordi di scambio finalizzati all'importazione di prodotti agricoli e ittici. Davvero in spregio, questa volta, al diritto internazionale, ad una risoluzione ONU, e al comune buon senso.
   Osiamo una domanda: l'Europa non avrà mica intenti punitivi nei confronti di Israele, accusato neanche tanto velatamente di non cedere ai ricatti e alle pretese palestinesi?

(Il Borghesino, 6 settembre 2015)


E ora anche Israele pensa a un muro anti-migranti

di Federico Momoli

La lista di muri di vari Paesi contro i migranti - in costruzione, progettati o anche solo minacciati - è destinata ad allungarsi. L'ultimo annuncio arriva da Israele: il premier Benjamin Netanyahu, ha avvertito che non consentirà che il Paese sia sommerso da rifugiati siriani e africani e ha annunciato la costruzione di una recinzione al confine con la Giordania. «Non lasceremo che Israele sia travolto da un'ondata di rifugiati clandestini e attivisti terroristi», ha detto alla riunione settimanale del gabinetto di governo, dopo l'appello del capo dell'opposizione, Isaac Herzog, perché accogliesse i siriani in fuga dalla guerra civile.
«Israele non è indifferente alla tragedia umana dei profughi siriani e africani - ha spiegato ancora Netanyahu - ma Israele è uno Stato piccolo, molto piccolo, che non ha una profondità demografica e geografica ed ecco perchè dobbiamo controllare le frontiere». Per questo il premier ha annunciando che sta cominciando a costruire una recinzione al confine con la Giordania, il quarto `muro' eretto da Israele: 30 chilometri dalla città costiera di Eilat, nel Mar Rosso, fino alla storica Timna.

(Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2015)


Gli Ebrei lungo il Po

di Giulio Busi

Religione del deserto, di nomadi e d'arsura. Secca, di parole attorcigliate come vecchie radici. Acqua poca, e ancor meno ombra. Il giudaismo dei primordi è scabro e assolato. Poi, i cerchi della diaspora s'ingrandiscono e s'allontanano da Sion, e anche il gran albero della Torah mette radici dove non t'aspetteresti. C'è, o meglio c'è stato nei secoli passati un ebraismo del Po, di rive, di golene e di mulini. Dal Quattrocento, quando i prestatori arrivano dal centro Italia e dall'oltralpe tedesco, e fino all'Ottocento, una miriade di piccoli nuclei giudaici si sparge da una sponda e dall'altra del gran fiume. Banchieri su pegno, qualche volta medici, più spesso commercianti all'ingrosso di prodotti agricoli, gli ebrei prosperano e penano al ritmo della via d'acqua, uniti alle sorti dei borghi e dei casali padani. Tanto stretta è la simbiosi con l'ambiente circostante che uno degli investimenti ebraici più cospicui è in mulini fluviali. Quelle case doppie sull'acqua, che macinavano all'attracco, sempre pronte a prendere il largo e a scivolare un poco più in là - chi non ricorda lo stregato mulino San Michele di Bacchelli? In un suo studio su Viadana e Pomponesco, paesi di nebbie e d'argini, Ermanno Finzi ricostruisce le società miste ebraico-cristiane che gestivano i mulini nei secoli passati. E se cercavate un simbolo di diasporica mobilità, vicino a riva, e pure separato e dondolante di un suo misterioso fluire, eccovi i barconi padani. Giudaismo religione d'acqua? Sul Po può accadere anche questo.


Ermanno Finzi, Cosi uguali e così diversi. Le comunità ebraiche di Viadana e di Pomponesco, Istituto Mantovano di Storia Contemporanea, Mantova, pagg.126, € 10,00

(Il Sole 24 Ore, 6 settembre 2015)


Europeo di Basket Maschile 2015 - Israele sconfigge la Russia 76-73

Nella seconda partita del girone A Israele batte la Russia 76-73. La Russia domina il primo tempo salvo poi soccombere nella ripresa sotto i colpi di Casspi e Eliyahu.
Inutile il tentativo di rimonta finale dei russi.

(Sportando.com, 5 settembre 2015)


«Ebrei tornate in Israele. L'Iran è una minaccia»

Discorso del presidente Rivlin nella sinagoga della Comunità di Roma: «Segnali allarmanti per il mondo intero».

di Francesca Musacchio

«L'invito a venire a vivere in Israele non è una questione politica, il nostro richiamo non mette in discussione il diritto degli ebrei di vivere come uguali in qualunque altro Paese» ma «siamo felici per ogni ebreo che decide di prendere parte attiva e fare parte dello Stato ebraico che è ebraico e democratico insieme». Le parole del presidente israeliano Reuven Rivlin, che giovedì sera ha fatto visita alla comunità ebraica di Roma, hanno riempito la Sinagoga. All'interno del Tempio Maggiore della Capitale, infatti, è arrivato l'invito a "ritornare" anche se, ha aggiunto Rivlin, Israele «non desidera intromettersi nelle faccende interne, ma portare avanti un dialogo: mi auguro che questo dialogo possa continuare per una solidarietà indispensabile in un momento di sfide importanti per gli ebrei e Israele».
  Un dialogo che tra la comunità romana e Israele sembra già esserci. Nel suo discorso di saluto la presidente della comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, ha spiegato che «noi siamo dalla parte d'Israele a prescindere da chi lo governa, non ci interessa il nome del primo ministro e il partito di provenienza. Siamo con Israele contro chi ignora il pericolo di un Iran nucleare e sponsor del terrorismo. Siamo per Israele perché sentiamo Israele come una parte di noi stessi».
  Fondamentale la questione dell'Iran anche per Rivlin che ha parlato dell'accordo come «un segnale d'allarme». Aggiungendo che «l'Iran è una minaccia non solo per Israele ma per tutto il mondo».

(Il Tempo, 5 settembre 2015)


Al via con la Notte della Cabbalà, il Festival di Cultura Ebraica

di Paola Polidoro

 
ROMA - Da oggi a mercoledì il quartiere del Vecchio Ghetto Demolito sarà l'area dell'ottava edizione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica, promosso dalla Comunità Ebraica di Roma e curato da Ariela Piattelli, Marco Panel-la, Raffaella Spizzichino e Shulim Vogelmann.
   Il tema di quest'anno "Around the Future" coinvolge ospiti internazionali, scrittori, artisti, filosofi, attori e giornalisti con un interessante calendario di iniziative tra scienze e arti. Tutti per parlare di futuro e di come la tecnologia può (e/o potrebbe) aiutarci a vivere meglio. "Tikkun'olam" in ebraico significa "riparare il mondo", un concetto che qui viene declinato in riflessioni sul progresso scientifico e sulla responsabilità dell'individuo oltre che della collettività.
   Il luoghi della kermesse sono il Palazzo della Cultura, il Museo Ebraico di Roma, i Giardini del Tempio Maggiore e l'area tra il Lungotevere De' Cenci e via del portico D'Ottavia. In più, il Museo Ebraico di Roma e la Grande Sinagoga saranno aperti dalle 22 (ovunque ingresso libero fino ad esaurimento posti.
   Il Festival apre sabato con La Notte della Cabbalà, una maratona di eventi sulla mistica ebraica, con incontri, lezioni, mostre, musica, degustazioni a partire dalle 21. Si comincia dalla mostra "Judei de Urbe. Storia illustrata degli ebrei di Roma" con i disegni di Mario Camerini (che disegnerà per il pubblico) e si continua con Daniel Libeskind che alle 21,15 parlerà della sua idea di architettura del futuro nell'incontro "La linea del fuoco: città tra memoria e futuro". Alle 22.30 "Do you water future? Conversazioni sull'acqua", con Yarona Pinhas, Dani Schaumann, Paolo Saccani e Franco Di Mare. Infine, Concerto della Notte con la Ozen Orkestra, improvvisazioni animate di Micaela Pavoncello e letture di Ketty Di Porto e Claudio Model, che danno voce ai grandi autori israeliani, da Oz, Yehoshua, Grossman a Keret, Gavron e Nevo.
   Domenica, Giornata Europea della Cultura Ebraica, si parlerà di cibo come cultura della comprensione (ore 12) con Rav Roberto Colombo, Imam Yahya Pallavicini, Alberto Garcia JD e Lara Crinò. Il tema della città del futuro sarà invece sviscerato da Etgar Keret e Corrado Ruggeri nell'incontro "Tel Aviv Smart City" (ore 19.30).
   Lunedì alle 19.30 "Isaac Asimov Reloaded: robot e mito della creazione" con Simonetta Della Seta e Marco Panel-la e alle 21 il futuro in campo medico: Marco Molinari presenta al pubblico l'esoscheletro robotico ReWalk. Martedì "Big Data vs Big Memory", con Maria Pia Ammirati, Raul Mordenti, Andrea Bozzi (19.30); alle 21 "Se il futuro è già scritto..." conversazione tra il futurologo David Passig e il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Di Segni.
   Chiudono mercoledì "Fx: il futuro raccontato dall'animazione", con Roberto Genovesi e David "Dudu" Shalita (19,30) e alle 21 "Massà. 11 viaggio", una performance di danza di Cristina Veiss, Martha Rei-feld-Shur, Braha Shalita.

(Il Messaggero, 5 settembre 2015)


Gaza: grandi manovre sotterranee tra Israele e arabi

Questa mattina Yedioth Ahronoth pubblica un articolo molto interessante scritto dal sempre ben informato Alex Fishman [1] nel quale l'analista riporta dei colloqui segreti tra Hamas e il Governo israeliano volti a scongiurare un nuovo conflitto a Gaza.
Fishman riporta una serie di proposte formulate in un documento dal Generale Yossi Ashkenazi nel quale si prospettano diverse soluzioni volte alla creazione di un porto navale dedicato esclusivamente alla Striscia di Gaza che non sia però un vero e proprio porto a Gaza, ma posizionato all'esterno. Nella fattispecie si parla di quattro alternative alla costruzione di un porto a Gaza, cioè:
   1 Un molo dedicato esclusivamente a Gaza costruito al porto di Ashdod
   2 La costruzione di un porto ad Arish, nel Sinai egiziano, che serva esclusivamente Gaza
   3 Un porto dedicato a Gaza ma costruito a Cipro o in Grecia
   4 Un porto per Gaza ma costruito su una piattaforma galleggiante a pochi Km dalla Striscia....

(Right Reporters, 5 settembre 2015)


Ebrei veronesi illustri

(TgVerona, 4 settembre 2015)


Non solo Shoah, il mondo ebraico celebra la propria cultura

La città di riferimento quest'anno è Firenze. Ma nei principali luoghi dell'ebraismo domani si creeranno ponti e attraversamenti.

di Anna Foa

Domani si celebrerà in 32 paesi europei la XVI Giornata della cultura ebraica. Per il 16 anno, musei ebraici, sinagoghe, cimiteri e altri luoghi ebraici saranno aperti a tutti per illustrare le forme della cultura ebraica, del suo culto, delle sue modalità di incontro con il mondo non ebraico. La giornata della cultura ebraica è un'iniziativa molto diversa dalla Giornata della Memoria del 27 gennaio o da altre ricorrenze legate alla Shoah. Essa infatti vuole presentare in positivo le forme della cultura ebraica, la sua creatività, il suo secolare rapporto con l'esterno, i modi della sua integrazione. E una giornata dedicata all'esperienza della Diaspora: cioè della dispersione ebraica che già due secoli prima della distruzione del Tempio sparge gli ebrei nel mondo esterno, dapprima in quello pagano poi in quello cristiano, costringendoli a vivere in una condizione di subordinazione secolare fino all'età a noi assai vicina dell'Emancipazione ebraica e dell'integrazione degli ebrei nella società circostante. Una convivenza, ricontiamolo, che non ha mai, tranne che in rare circostanze, determinato una pentita vera e propria dell'identità, ma invece ha creato un circolo intenso di reciproco rapporto e scambio con l'esterno, anche nei momenti di maggiore tensione e difficoltà. Fa eccezione evidentemente l'età della Shoah, con il progetto dell'annientamento degli ebrei europei e in prospettiva di quelli del mondo intero.
   In Italia, la giornata è organizzata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e ha, come sempre, una città capofila, quest'anno Firenze. Una città ricca di storia e di tracce del passato ebraico: la presenza ebraica è tardiva rispetto a molta parte d'Italia, data infatti soltanto al XV secolo, quando erano presenti in città circa un centinaio di ebrei che vivevano soprattutto in Borgo San Iacopo. Ma è una presenza ricca di storia e cultura, a partire dal circolo di kabbalisti ebrei (nonché convertiti) che si creò intorno a Pico della Mirandola, e segnò in profondità il movimento umanistico. Nel 1571 fu creato il ghetto, proprio nel centro della città. La decisione fu presa dai Medici, forse su pressione della Chiesa, e non riguarda gli ebrei di Pisa e Livorno, che continuarono a vivere senza mura né chiusura. II ghetto si aprì nel 1848. La Sinagoga, inaugurata nel 1882, è una tipica sinagoga dell'Emancipazione, cioè costruita e ideata a uguaglianza ormai raggiunta, un edificio che si erge alto nel cielo a significare la raggiunta libertà. Prima dell'Emancipazione, ricordiamolo, le sinagoghe erano soggette a grandi limitazioni, non potevano superare in altezza le case circostanti e non dovevano recare segni che le distinguessero dal resto degli edifici. I visitatori potranno quindi, nel corso della Giornata, visitare la Sinagoga e il Museo ebraico. II ghetto invece potranno soltanto immaginarlo dal momento che esso fu quasi totalmente distrutto nel risanamento edilizio seguito all'Emancipazione e alla creazione di Firenze a capitale d'Italia nel 1864.
   Come negli anni precedenti, la giornata della Cultura Ebraica ha un tema conduttore. Quest'anno, è «Ponti e attraversamenti», una metafora intensa a significare l'incontro vitale con il mondo esterno, l'apertura, il rapporto con le altre religioni, il dialogo. Come quella opposta del muro, la metafora del ponte è immediatamente percepibile, immediata. Essa evoca i muri, come ha ricontato mettendo in guardia dalle retoriche il rabbino di Roma Riccardo Di Segni, ma possiamo aggiungere che è anche metafora dell'attraversamento dei confini, del passaggio. Che sarà forse, come scrive Di Segni, un momento pericoloso, come tutti i momenti in cui esci dal tuo guscio protettivo, ma è anche l'unica possibilità effettiva di crescere e di vivere nel mondo, in rapporto con il mondo.
   Molti sono gli appuntamenti che caratterizzeranno questa giornata in ben 72 località italiane. Tra i più interessanti segnaliamo quelli della città capofila, Firenze, che ha celebrato quest'anno il 71 anniversario della Liberazione. E poi Roma, Milano, il sud d'Italia, in particolare la Puglia, sede negli ultimi anni di un intenso recupero delle tradizioni scomparse e dei luoghi occultati di una presenza fino alla metà del Cinquecento assai significativa, Torino, le tante comunità del Piemonte ebraico, dove nel Settecento la chiusura nei ghetti ha lasciato sopravvivere le numerose presenze ebraiche, limitandosi a trasformare in ghetti gli insediamenti aperti. In un mondo in cui crescono le barriere, in cui le identità divengono sempre più contrapposte e tendono a trasformarsi in nazionalismi, ci auguriamo che questa giornata di incontri tra il mondo ebraico e i non ebrei, con la sua immagine dei ponti e degli attraversamenti, sia un auspicio verso l'accoglienza e il dialogo, e possa segnare aperture e incontri e non scontri e chiusure.
   
(Avvenire, 5 settembre 2015)


La maestosa bellezza di Masada vista dal drone

Mura alte 5 metri e più, un lungo perimetro di oltre un chilometro e mezzo, 40 torri alte più di 20 metri che la racchiudevano, rendendola pressoché inespugnabile.
Era Masada (o Massada, o in ebraico Metzada) l'antica fortezza, situata su una rocca a 400 m di altitudine rispetto al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale, in territorio israeliano a circa 100 km a sud-est di Gerusalemme.
A rendere ancor più difficile un assedio contribuiva la particolare conformazione geomorfologica della zona: l'unico punto d'accesso infatti era l'impervio Sentiero del serpente, così chiamato per i numerosi tornanti che lo rendevano un gravissimo ostacolo per la fanteria.
La fortezza divenne nota per l'assedio dell'esercito romano durante la prima guerra giudaica e per la sua tragica conclusione.
Nel I secolo a.C. la fortezza era il palazzo di Erode il Grande che tra il 37 a.C. e il 31 a.C. la fece fortificare.
La cittadina era arroccata su tre diversi livelli verso lo strapiombo sul lato nord della rupe, dotato di terme con caldaia centrale, magazzini sotterranei e ampie cisterne per la raccolta dell'acqua
Nel 66 era stata conquistata da un migliaio di Sicarii che vi si insediarono con donne e bambini.
Quattro anni dopo - nell'anno 70 - caduta Gerusalemme, vi trovarono rifugio gli ultimi strenui ribelli non ancora disposti a darsi per vinti.
Dopo un lungo assedio, guidati da Lucio Flavio Silva, i Romani riuscirono alla fine a costruire una imponente rampa di accesso che consentiva alle torri di assedio di arrivare sotto le mura per sgretolarle con gli arieti.
Tuttavia, poco prima che ciò avvenisse, nell'anno 74 gli assediati misero in atto un'azione rimasta unica nella storia; quando i soldati romani vi entrarono senza trovare resistenza davanti ai loro occhi trovarono solo una orrenda ecatombe: il suicidio collettivo della comunità ebraica dei Sicarii che aveva resistito al potere di Roma anche dopo la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Secondo Tempio.
Dopo la sua presa, Masada rimase in mano ai Romani fino a tutta l'epoca bizantina. In questo periodo venne a lungo abitata da monaci cristiani che vi costruirono anche una basilica.
Dopo l'invasione araba il luogo venne abbandonato e piano piano si perse addirittura il ricordo della sua posizione; venne infine riscoperta oltre un secolo e mezzo fa.
Masada è stata in parte ricostruita ed è diventata uno fra i più importanti siti archeologici di Israele grazie anche agli scavi compiuti a partire dagli anni sessanta sotto la guida dall'archeologo Yigael Yadin.
Sono stati riportati alla luce i resti dell'antica fortezza: evidenti risultano i segni dei campi militari romani, con mosaici di notevole qualità, bagni e anche i massi di pietra lanciati dalle catapulte.
Come segno dell'occupazione zelota resta solo una piccola sinagoga mentre più recente, risalente al V secolo, è una basilica fatta costruire da monaci penitenziali.
L'altopiano su cui sorge Masada, immerso nella depressione del Mar Morto, offre uno scenario naturale molto raro. Molti dei turisti che frequentano il sito iniziano la scalata al sentiero del Serpente prima dello spuntare delle prime luci dell'aurora (nel buio della notte rischiarato unicamente dalla luna e dalle stelle), per riuscire a vedere l'alba da dentro i resti dell'antica fortezza. Il sole sembra sorgere quindi da una parete rocciosa (che in realtà è il resto della terra) per riversare la sua luce su tutto l'avvallamento circostante.
Nel 1998 è stata costruita una funivia che collega la fortezza con una stazione a valle, superando un dislivello di 290 metri; la stazione superiore della funivia è situata a una quota di 33 metri s.l.m.
Bellezze che si possono valorizzare con l'uso dei droni.

(key4biz, 4 settembre 2015)


Expo: per la Giornata Europea della Cultura Ebraica convegno su "L'Italia in Israele"

MILANO - In occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, il Padiglione israeliano a Expo ospita il 6 settembre un convegno sulla partecipazione degli ebrei italiani alla fondazione e allo sviluppo di Israele.
  L'evento è organizzato in collaborazione con la Hevrat Yehudé Italia be-Israel, la comunità di Israele in Italia, e con il Museo di Arte Ebraica Italiana U. Nahon in Gerusalemme. Un'occasione per scoprire il prezioso contributo degli ebrei Italiani nella storia, antica e recente, di Israele.
  Elazar Cohen, Commissario Generale di Padiglione Israele a Expo 2015, commenta: "L'Italia in Israele vuole illustrare la stretta relazione fra i nostri due Paesi. Un evento-ponte che racconta l'incontro e lo scambio tra culture vicine. Non a caso il ponte come simbolo di collegamento è stato scelto come tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2015". "Il legame con l'Italia e con la sua cultura è sempre rimasto vivo e si è espresso anche con il trasporto in Israele di parte degli arredi sinagogali, appartenenti a comunità ebraiche, estinte o in via di estinzione, per farli rivivere nella loro funzione originaria. Il contributo degli Italiani in Israele ha anche dotato il Paese di un prezioso patrimonio artistico".
  Il programma inizia a partire dagli atti di un convegno su l'Italia in Israele tenutosi a Gerusalemme nel 2012 e documentato dalla Rassegna Mensile di Israel, di cui è editore l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il convegno si conclude con una tavola rotonda in linea con "Feed the Planet" di Expo con gli interventi di esperti attivi nella sperimentazione nei campi della biologia marina e della ricerca agricola.

(ANSA, 4 settembre 2015).



L'Eterno, il profeta e il popolo

Quanto a te, figlio d'uomo, i figli del tuo popolo discorrono di te presso le mura e sulle porte delle case; e parlano l'uno con l'altro e ognuno col suo fratello, e dicono: "Venite dunque ad ascoltare la parola che proviene dall'Eterno!" E vengono da te come fa la folla, e il mio popolo si siede davanti a te e ascolta le tue parole, ma non le mette in pratica; perché con la bocca fa mostra di molto amore, ma il suo cuore va dietro alla sua cupidigia. Ed ecco, tu sei per loro come una canzone d'amore d'uno che abbia una bella voce e sappia suonar bene; essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica.

dal libro del profeta Ezechiele, cap. 33

 


Israele-Egitto: ottimi legami, ma per ora niente viaggio di al Sisi a Gerusalemme

GERUSALEMME - I rapporti tra Egitto e Israele non sono mai stati così solidi, grazie anche al coordinamento della sicurezza in atto tra le due nazioni: lo ha riferito una fonte egiziana di alto livello al quotidiano iracheno "Azzaman". Anche se il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, non visiterà a breve lo Stato ebraico, i due paesi hanno intrapreso un piano comune per il contrasto alle organizzazioni terroristiche che operano nel Sinai. Gli accordi prevedono l'autorizzazione d'Israele allo schieramento di un maggior numero di truppe egiziane nel Sinai, ha spiegato la fonte. Secondo funzionari vicini alla presidenza egiziana, la situazione interna e la mancanza di progressi nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese hanno però impedito la visita a Gerusalemme del presidente al Sisi.

(Agenzia Nova, 4 settembre 2015)


Israele, bufera sul governo per il bavaglio ai media

Parziale marcia indietro del premier israeliano Benjamin Netanyahu che, di fronte all'ondata di proteste del mondo dei media, ha promesso di lavorare per abolire il controverso emendamento Eichler inserito in seconda lettura nella nuova legge sulle Telecomunicazioni. Come riferisce il Jerusalem Post, la norma, presentata dal deputato del partito United Torah Judaism, Israel Eichler, punta a vietare ai giornalisti di esprimere opinioni personali per tutelare e garantire l'equilibrio dell'informazione. L'etica giornalistica dovrebbe essere governata da considerazioni morali piuttosto che dalla legge, ha fatto sapere il premier, tramite il suo ufficio, cercando di gettare acqua sul fuoco.
    Per i difensori dell'emendamento, tra cui il ministro del Likud, Ophir Akunis, responsabile dell'Autorita' delle Telecomunicazioni, si tratta di una misura temporanea in attesa che la nuova struttura che prendera' il posto dell'autorita', l'Israel Broadcast Corporation, determini il codice etico da seguire. Lo stesso Eichler ha tentato di giustificare la sua iniziativa sostenendo di non voler imbavagliare la stampa quanto piuttosto di tenere le opinioni personali fuori dai notiziari. Il nervo scoperto per il deputato, ex giornalista e ultra-ortodosso, e' che la sua comunita' ritiene di essere spesso bersaglio di opinioni unilaterali o di tentativi di censura.
    Ma al di la' delle considerazioni sociali e morali, risolvere la questione presenta difficolta' giuridiche non da poco, come ha sottolineato Dalia Dorner, ex giudice della Corte Suprema e oggi il presidente del Consiglio della Stampa. Intervistata, si e' detta convinta che l'emendamento sia molto problematico e che sia stato formulato in maniera affrettata senza la giusta supervisione legale. Sulla possibilita' di cambiare un disegno di legge gia' modificato si sono interrogati in diversi e per questo piu' tardi e' previsto un incontro di Akunis con il consigliere legale della Knesset per vedere come sia possibile rettificare la normativa.

(Corriere quotidiano.it, 4 settembre 2015)


La fabbrica di Sodastream in Palestina sta per chiudere

Ufficialmente per ragioni economiche, ma forse c'entra anche un grosso boicottaggio: in ballo ci sono anche i posti di lavoro di centinaia di palestinesi.

 
Si prenderanno cura, i professionisti del boicottaggio a Israele, dei palestinesi che hanno perso il loro posto di lavoro?
Sodastream, un'azienda israeliana che produce una miscela da aggiungere all'acqua naturale per produrre bibite gassate, ha aperto una nuova fabbrica nel deserto del Negev, nel sud di Israele, che sostituirà una fabbrica costruita su una colonia israeliana di Ma'ale Adumim. L'annuncio della chiusura della fabbrica di Ma'ale Adumim era arrivato nell'ottobre del 2014 dopo che l'azienda veniva da anni criticata per averla costruita in un territorio palestinese ma occupato militarmente da coloni israeliani.
   Sodastream ha detto di aver spostato la fabbrica solamente per ragioni economiche, ma da anni è oggetto di contestazioni e di un boicottaggio organizzati da "Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni" (BDS), una campagna internazionale contro Israele. Il CEO di Sodastream, Daniel Birnbaum, parlando della campagna di boicottaggio di BDS, ha detto che i suoi effetti sono stati «marginali» ma che si è trattato di una campagna di «propaganda, politica, odio, antisemitismo. Tutta roba con cui non vogliamo avere a che fare». Secondo i critici del boicottaggio, l'iniziativa ha avuto concretamente un effetto negativo soprattutto per i palestinesi: nella fabbrica di Ma'ale Adumim lavoravano 600 palestinesi, molti dei quali probabilmente perderanno il proprio lavoro quando la fabbrica chiuderà definitivamente entro le prossime due settimane.
   Sodastream era già stata oggetto delle attenzioni dei giornali circa un anno e mezzo fa, quando assunse come testimonial la famosa attrice Scarlett Johansson. A quel tempo la famosa federazione di ONG Oxfam, che ha posizioni filopalestinesi, aveva criticato la scelta di Johansson, che era una sua ambasciatrice, di fare da testimonial per un'azienda israeliana operante nei territori occupati. In seguito alle critiche, Johansson aveva lasciato la propria carica di ambasciatrice di Oxfam. Sodastream era comunque criticata da tempo per aver "legittimato" l'occupazione di Israele costruendo una fabbrica in una colonia, e per trattare i propri dipendenti palestinesi in modo diverso da quelli israeliani.
   L'azienda si era difesa dall'accusa di pagare meno i propri dipendenti palestinesi spiegando di offrire loro una paga "proporzionata" (il costo della vita, in Israele, è notevolmente più alto che in Cisgiordania). Sodastream ha cercato di riassumere tutti e 600 i propri dipendenti palestinesi che lavoravano a Ma'ale Adumim, ma ha detto che solamente a 130 di loro è stato garantito un permesso di lavoro. Sodastream ha anche detto che metterà a disposizione dei pullman per i dipendenti che abitano vicino alla vecchia fabbrica. Secondo Associated Press, però, per arrivare alla nuova fabbrica è necessario un tragitto di circa due ore che attraversa un severo punto di controllo.
   Sodastream, fra le altre cose, da qualche tempo a questa parte se la passa piuttosto male: negli ultimi tre trimestri ha ottenuto un declino delle entrate superiore al 20 per cento rispetto all'anno precedente. Birnbaum ha detto che la colpa dei cattivi risultati di Sodastream non va attribuita al boicottaggio di BDS ma al cambiamento di abitudini dei consumatori degli Stati Uniti.
   
(il Post, 4 settembre 2015)


Quanti palestinesi si saranno accorti che del loro reale benessere agli ideologi dell’odio antisionista non interessa proprio niente? Incattiviti li vogliono, per poi indirizzare la loro rabbia contro gli israeliani, presentati come la vera causa del loro malessere. M.C.


Niente ponti nella cultura ebraica

di Elena Loewenthal

Domenica sarà la Giornata Europea della Cultura Ebraica. Come nelle occasioni precedenti, la Giornata ha un tema che guida lo spirito della manifestazione. Quest'anno, con un ardito gioco di parole, lo slogan è Ponti e AttraversaMenti. Una formula che ha destato qualche giorno fa le sagge parole di Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma.
   Attenzione ai simboli, scrive Di Segni. Non valgono sempre nello stesso modo. E al di là delle meritorie intenzioni e del collaudato successo di tante iniziative disseminate per l'Italia, questa giornata della cultura ebraica nasce all'insegna di un equivoco. Perché nella lingua e nella cultura ebraica «ponte» non è sinonimo di incontro, ma di rischio. «I romani hanno fatto i ponti solo per farci pagare il pedaggio», dice un maestro nel Talmud. Secondo un altro il ponte è il luogo dove «i peccati dell'uomo vengono passati al vaglio».
   La definizione stessa di «ebreo» presuppone l'assenza di un ponte: ivrì, come è chiamato per primo il patriarca Abramo, è «colui che sta dall'altra parte». Questo non significa negare l'incontro. Ma non sul terreno equivoco di un attraversamento, bensì su «un cammino», sapendo «da dove si viene e dove si vuole andare».
   Nell'ebraico biblico, poi, la parola «ponte» manca drasticamente: forse perché questa lingua nasce in una terra dove quasi tutti i corsi d'acqua s'asciugano per una lunga stagione. Gli altri, quei pochi perenni come il Giordano, segnano confini drastici, pressoché invalicabili.
   Così il rabbino Di Segni richiama al buon uso della retorica. O meglio, invoca la messa in disuso di una certa retorica fondata sull'illusione che i simboli funzionino sempre nello stesso modo. Il che significa far torto alla complessità delle culture e tradire l'idea stessa dell'incontro, che si fonda sul rispetto delle diversità. E della diversa interpretazione dei simboli. È un argomento di riflessione non da poco, che può dare frutti assai interessanti. Sicuramente sarà raccolto da una Giornata della Cultura Ebraica che si prospetta ricca di stimoli e suggestioni.
   
(La Stampa, 4 settembre 2015)


Il Capo dello Stato d'Israele nella Sinagoga della Capitale

di Gabriele Isman

 
Dopo essere stato ricevuto in Vaticano da Papa Francesco e al Quirinale da Sergio Mattarella, il presidente dello Stato di Israele Reuven Rivlin ha visitato il quartiere ebraico della Capitale. Dopo essere stato accolto dalla presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, Rivlin ha avuto un colloquio privato con lei, con il presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e con il rabbino capo della capitale Riccardo Disegni. Con loro è entrato nel Tempio maggiore per parlare alla Comunità. Tutto il Ghetto è presidiato ancora di più di quanto non capiti abitualmente con imponenti misure di sicurezza per questa visita.

(la Repubblica, 3 settembre 2015)


Il Califfato minaccia Israele: "Egitto porta per Gerusalemme"

Gli uomini di Al Baghdadi in Egitto lanciano un messaggio di sfida a Israele e mostrano armi e addestramenti sofisticati.

di Luca Romano

Un video pubblicato sul web dai gruppi affiliati all'Isis nel Sinai mostra armi e addestramenti sofisticati che i jihadisti affermano di voler usare contro Israele.
Nel video il Sinai viene definito la "porta meridionale verso Gerusalemme", ma non mancano anche critiche all'Egitto per le relazioni stabilite con Israele.
Nel video di 37 minuti sono incluse immagini dell'ex presidente egiziano Hosni Mubarak mentre stringe la mano all'ex presidente israeliano Shimon Peres, ma anche immagini del premier Benyamin Netanyahu ed un'animazione dal Canale 10 di Israele che mostra l'attacco terroristico contro un bus israeliano nel 2011 a Eilat.
Nel video, Wilayat Sinai (la Provincia del Sinai), meglio conosciuto come il gruppo Ansar Bait al Maqdis si assume la responsabilità dell'attacco del 2011, come molti lanci di razzi contro lo Stato ebraico, una vendetta contro le incursioni israeliane a Gaza.

(il Giornale, 3 settembre 2015)


Un sarcofago di 1800 anni fa scoperto in Israele

L'archeologo Gaby Mazor: "Uno dei pezzi più importanti e belli".

Il sarcofago e' stato scoperto dagli operai di un cantiere nella città di Ascalona.
La bara e' di due tonnellate e lunga 2,5 metri. Costruita in pietra calcarea con ai lati dei bassorilievi e sul coperchio la scultura di una figura umana.
Secondo l'archeologo Gaby Mazor si tratta di "una delle sculture piu' importanti e belle".
Secondo l'esperto, il pezzo che risale al 3o secolo, fu probabilmente commissionato da una ricca famiglia romana.

(ANSA, 3 settembre 2015)


Conversioni, in Israele la partita è aperta

La sfida lanciata dal gruppo Giyur Ka'halacha - letteralmente Conversione secondo la halakha - ha dato recentemente una forte scossa al mondo religioso israeliano. Tanto che alcuni quotidiani locali parlano di "rivoluzione': In pratica, un consistente numero di rabbini ortodossi del movimento sionista religioso, guidati da rav David Stav, leader dell'organizzazione Tzohar, e da rav Nachum Rabinovich, a capo della Yeshiva Birkat Moshe di Maale Adumim, ha istituito un sistema di tribunali per le conversioni all'ebraismo alternativo a quello del Rabbinato centrale d'Israele, l'organo a cui è riconosciuta dallo Stato la giurisdizione sulle conversioni stesse. La volontà dei rabbini "ribelli" è di facilitare la conversione degli israeliani non considerati ebrei dalla halakha, ovvero dalla legge ebraica, e farlo nel rispetto di quest'ultima. In particolare, l'apertura del gruppo Giyur Ka'halacha è diretta alle migliaia di immigrati arrivati dall'ex Unione Sovietica che hanno ottenuto la cittadinanza israeliana grazie alla Legge del Ritorno (rivolta a chi ha almeno un genitore, un nonno o un coniuge ebreo).
   "La nostra responsabilità morale è quella di partecipare all'assimilazione degli immigrati e la loro piena integrazione, per il loro bene e per il bene della continuazione del popolo ebraico", si legge nel comunicato congiunto di rav Stav e rav Rabinovich. "Non si tratta di un attacco al rabbinato - il commento di rav Seth Farber, tra i promotori del nuovo sistema e impegnato con la sua organizzazione Itim ad aiutare i nuovi immigrati a relazionarsi con la burocrazia rabbinica israeliana - Abbiamo cercato di collaborare esclusivamente con il sistema monopolistico vigente per risolvere il problema delle conversioni ma non ha avuto successo. Alcuni rabbini sono convinti vi siano delle autentiche alternative halakhiche"
   Il monopolio di cui parla rav Farber è riferito alla citata gestione delle conversioni da parte del Gran Rabbinato, che secondo il gruppo Giyur Ka'halacha ha adottato regole troppo stringenti in materia e troppo condizionate dal mondo ultraortodosso israeliano.
   "Il nostro tribunale non si sposta di un millimetro dalle istruzioni dei grandi della Torah nelle varie generazioni, dal rabbino Moshe Feinstein, al rabbino (Yitzhak) Herzog, al rabbino Ovadia Yosef" afferma rav Stav, rispondendo alle critiche di chi considera il nuovo sistema al di fuori della legge ebraica. Tra questi, il rabbino capo ashkenazita di Israele David Lau che ha accusato i fondatori delle nuove corti per le conversioni di "combattere contro la Torah" Lo scontro dunque tra i due mondi è aperto e l'auspicio dei "ribelli" è di ottenere un largo consenso tra l'opinione pubblica israeliana che porti alla fine il Gran Rabbinato a riconoscere i loro tribunali. Chi vorrebbe mediare in questa situazione è il ministro dell'Educazione Naftali Bennett: "Nei prossimi mesi - dice - cercherò di arrivare a una sorta di compromesso o comunque un piano che ripristini il controllo sotto il Gran Rabbinato ma con una decentralizzazione del potere". E quindi il riconoscimento delle corti istituite dal gruppo Giyur Ka'halacha.

(pagine ebraiche, settembre 2015)


Masterchef Israele: "Orgogliosi di Massimiliano Di Matteo"

Il sindaco di Montesilvano commenta la notizia relativa alla vittoria dell'edizione israeliana della competizione culinaria amatoriale più seguita al mondo.
 
Massimiliano Di Matteo, vincitore della nona edizione di MasterChef Israele.
    «E' un grande onore per Montesilvano poter annoverare tra i suoi cittadini Massimiliano Di Matteo, vincitore della nona edizione di MasterChef Israele. La nostra regione ha una tradizione culinaria di alto livello. Il gusto italiano è una garanzia del mondo e ora grazie a Massimiliano si parlerà di gusto abruzzese e montesilvanese in particolare».
Lo afferma il sindaco Francesco Maragno che commenta la notizia relativa alla vittoria dell'edizione israeliana della competizione culinaria amatoriale più seguita al mondo.
    «La passione per la buona cucina ha portato Massimiliano a vivere esperienze fuori dalla nostra città. Dal 2009 era tornato a risiedere qui a Montesilvano, facendo la spola con Israele. Speriamo di poter incontrare quanto prima questo talento della cucina, di riceverlo in Comune, per testimoniare da vicino tutto l'apprezzamento e l'orgoglio di questa sua vittoria, che è al tempo stesso un successo per l'intera città. Ancora una volta Montesilvano può vantarsi di avere una vera eccellenza. Le mie congratulazioni e quelle dell'amministrazione comunale e di tutta la comunità vanno a Massimiliano e alla sua famiglia».
(ilPescara, 3 settembre 2015)


Netanyahu taglia le tasse. "Imprudente" per la Banca Centrale

ROMA - Il governo israeliano ha annunciato una serie di riduzioni fiscali per cercare di ridare fiato all'economia. Nel secondo trimestre il Pil ha registrato un incremento limitato allo 0,3%, troppo poco per un Paese che fino a pochi mesi fa cresceva a un ritmo annuo del 3% e che ora vede una domanda interna debole. Ma la banca centrale è preoccupata per la riduzione fiscale, definita "imprudente".
Annunciando in una conferenza stampa le nuove misure, che includono un taglio dell'Iva dal 18% al 17% e dell'imposta sulle società dal 26,5% al 25%, il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu ha sottolineato che "con tasse più alte l'economia non cresce. E per incoraggiare la crescita ho deciso insieme al ministro delle finanze di tagliare le tasse. Possiamo farlo perchè le casse dello Stato hanno accumulato miliardi di tasse in avanzo".
Una tesi non condivisa - riporta il Ft - dalla banca centrale israeliana che momenti prima della conferenza stampa aveva emesso un comunicato definendo "imprudente il taglio delle tasse anche perchè le maggiori entrate fiscali potrebbero non essere in dicative di una tendenza in atto.

(askanews, 4 settembre 2015)


Una solida amicizia contro l'odio

di Reuven Rivlin
Presidente dello Stato d'Israele

 
L'emblema di Israele
Come abitante di Gerusalemme da sette generazioni, i miei ricordi di bambino della città sono i negozianti arabi che parlavano in Yiddish ai loro clienti ebrei che rispondevano in arabo. Ricordo una città dove cristiani, musulmani ed ebrei non solo vivevano fianco a fianco, ma insieme. A casa mia sentivo mio padre - uno studioso che ha tradotto il Corano in ebraico - parlare in ebraico e arabo con i suoi amici musulmani ed ebrei di qualunque argomento, dalla politica alla cultura. E oggi, ogni singolo giorno, a Gerusalemme e in tutta Israele, musulmani, ebrei, drusi, cristiani, bahai, fedeli, laici, vecchi e giovani condividono la loro esistenza quotidiana, prendono parte alla vita di Israele, con le loro rispettive comunità e come parte di una società più ampia.
   Alcuni sostengono che i conflitti che infuriano in Medio Oriente siano guerre di religione. Guardano gli schieramenti che si confrontano in queste regioni e sostengono che sia un conflitto tra ebrei e musulmani, o tra musulmani e cristiani. Comunque, per quanto facile - e forse comoda - possa sembrare questa generalizzazione, è ben lontana dall'avvicinarsi alla realtà.
   La verità è che più che trattarsi di un conflitto tra fedi diverse, tra diverse civiltà o religioni, il vero conflitto in corso in Medio Oriente è tra coloro che hanno issato il vessillo della morte e della distruzione e coloro che cercano di costruire ponti e un dialogo. È una guerra di chi vuole mettere a tacere ogni forma di confronto contro chi non si limita a cercare la discussione, ma crede, se nel rispetto reciproco, nella differenza di opinioni e nel disaccordo, purché liberamente espressi.
   Dobbiamo ricordarci che il male non è proprietà specifica di una singola religione; così come non è caratteristica di una singola nazione o di un gruppo etnico. È il male stesso che per sua natura distingue e discrimina una vita rispetto a un'altra, un essere umano rispetto a un altro, mentre l'unica reale differenza è tra bene e male; tra la nostra umanità e le tenebre.
   Fare fronte a tanto male, al fondamentalismo e all'odio profondo, non può rimanere solo uno slogan. Fino a quando il fuoco della morale non brucerà dentro ognuno di noi, le lezioni del passato andranno perse. Continueranno i massacri di intere comunità e nazioni. Bambini, donne, uomini e anziani continueranno a sopportare persecuzioni e oppressione di fronte a un mondo cinico e apatico.
   L'Europa è testimone diretta dell'orribile destino di tanti che fuggono nel disperato tentativo di raggiungere una vita migliore. Un'altra realtà spaventosa per l'Europa è la radicalizzazione di tanti suoi giovani, dopo il lavaggio del cervello che li porta non solo ad abbracciare il culto della morte dello Stato Islamico, ma anche, purtroppo, a unirsi ai terroristi che combattono in Siria, Iraq e altrove, e perfino a commettere attentati sullo stesso territorio europeo. Sebbene ogni comunità abbia avuto i suoi caduti e i suoi feriti in questi terribili attacchi, i bersagli sono stati spesso gli ebrei, i loro luoghi di culto o di affari - segno che gli attacchi antisemiti restano il marchio dell'estremismo radicale.
   L'Italia ha dimostrato sia a livello educativo che legislativo che non tollererà più l'odio, e si oppone con decisione all'antisemitismo. Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, durante il suo discorso inaugurale in occasione di una sessione a camere riunite del Parlamento italiano, ricordando Stefano Gaj Taché - il bambino di due anni vittima nel 1982 di un attentato davanti alla grande sinagoga di Roma - ha usato parole semplici: «Era il figlio di ognuno di noi». È nostro dovere lavorare insieme contro il fondamentalismo. È dovere di tutti coloro che sostengono la libertà lavorare per un mondo più giusto per le future generazioni, per «tutti i nostri figli».
   
(La Stampa, 3 settembre 2015)


Tra Israele e Iran guerra (per ora) di parole

Gerusalemme lancia nuovi allarmi, inascoltati, su Teheran potenza nucleare. Ma l'opzione militare resta aperta.

di Maurizio Tortorella

L'Iran che lavora alla bomba atomica e, dopo l'accordo di Vienna del 14 luglio, potrà farlo senza alcun vero controllo. L'Iran che prepara missili balistici intercontinentali. L'Iran che sostiene gruppi terroristici in 32 Paesi e s'è appena infiltrato perfino in Libia, accanto ai miliziani dell'Isis. L'Iran che ha un'industria bellica con 60 mila dipendenti, in grado di lavorare alla cyberguerra, a nuovi satelliti, a sottomarini nucleari. L'Iran che progetta di dominare il mondo...
   Sì: l'Iran è la grande paura del governo d'Israele. Anche nel suo tour italiano di fine agosto, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha cercato di ottenere da Matteo Renzi solidarietà soprattutto sul capitolo Teheran, dove il premier italiano (schierato con gli Stati Uniti) non può né vuole ascoltarlo più di tanto. Inutilmente Netanyahu ha ricordato a Renzi che «fare affari con l'Iran è nutrire la tigre che mangerà l'Occidente».
   Nel gennaio 2013, quando Israele sembrava pronto a lanciare l'ultimo di tre attacchi preventivi contro le installazioni atomiche dell'Iran (tutti annullati all'ultimo momento), fu l'ex premier Ehud Olmert a rivelare che l'establishment militare di Gerusalemme aveva investito 3 miliardi di dollari per preparare lo «strike».
   Due anni e nove mesi dopo, mentre l'isolamento israeliano sul dossier Iran è evidente, non è improbabile che quella cifra subisca un incremento. Il capo di stato maggiore israeliano, Gadi Eizenkot, ha incaricato il suo vice Yair Golan di predisporre un nuovo piano d'attacco. Lo scorso giugno un centinaio di piloti si sono addestrati in voli a lungo raggio. E Israele avrebbe chiesto alla Lockheed-Martin, produttrice degli F-35, di aumentarne l'autonomia, allo scopo di coprire 1.500-1.600 chilometri: la distanza fra Gerusalemme e Teheran.
   Sull'altra sponda, del resto, il primo ministro iraniano Hassan Rouhani continua nei suoi duri attacchi a Israele, che accusa di «terrorismo ideologico». E intanto Teheran, secondo la stampa inglese, si è appena dotata di nuovi accuratissimi missili con un raggio di 500 chilometri. La tigre si allunga...
   
(Panorama, 3 settembre 2015)


"L'islam conquista l'Europa infantile"

Libro-scandalo del Nobel Imre Kertész, sopravvissuto ad Auschwitz. "Israele ha un grave problema da affrontare, quello della sua sopravvivenza. Gli israeliani stanno lottando per la loro vita, e io solidarizzo con loro".

di Giulio Meotti

Imre Kertész
ROMA - A quindici anni, nel 1944, Imre Kertész fu deportato nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz e Buchenwald. Ne uscì per miracolo, per essere sepolto sotto la dittatura comunista del partito unico a Budapest e licenziato come giornalista perché rifiutava di "normalizzarsi" al vassallaggio di Mosca. Così divenne operaio di giorno e scrittore di notte, mentre traduceva dal tedesco autori come Nietzsche, Hofmannsthal, Schnitzler, Freud, Roth, Wittgenstein e Canetti. Il suo primo romanzo esce nel 1975, dopo dieci anni di ostracismi. Si tratta del capolavoro "Essere senza destino", in Italia disponibile da Feltrinelli. Kertész sarebbe di nuovo resuscitato, dopo il crollo del Muro di Berlino, come una delle voci più alte e nobili dell'umanesimo mitteleuropeo e del suo parnaso letterario. Come una delle voci maggiori della letteratura dell'Europa centrorientale, rimasta a lungo ai margini del grande pubblico per via di una lingua strana e stupenda, fino alla celebrazione da parte dell'Accademia reale di Svezia che nel 2002 gli ha comminato il premio Nobel per la Letteratura.
  Difficile immaginare che le case editrici italiane adesso vogliano acquistare i diritti della sua ultima fatica, "Den sista tillflykten", l'ultimo rifugio. Le poche anticipazioni disponibili, fatte uscire dal noto blogger letterario Thomas Nydahls e confermate dall'editore Weyler, lasciano intendere un libro "islamofobo", come lo hanno già definito certi pigri critici culturali. A pagina 177, Kertész, che vive a Charlottenburg, l'elegante quartiere di Berlino e storica mèta degli intellettuali ebrei (il Nobel ha affidato alla Germania il suo archivio letterario), attacca "l'Europa che ha prodotto Hitler" e che oggi "spalanca le porte all'islam", che "non osa più parlare di razza e religione, mentre l'islam conosce solo il linguaggio dell'odio contro religioni 'aliene'". E ancora: "Vorrei parlare di come i musulmani stanno inondando, occupando, distruggendo l'Europa", complice "il liberalismo suicida, infantile e schivo" e la "democrazia stupida", vittime della "menzogna" e del "totale abbandono di sé".
  Già nel 2009, durante l'Operazione israeliana Piombo fuso a Gaza, mentre i letterati correvano a demonizzare Gerusalemme, Kertész spiazzò tutti: "Israele ha un grave problema da affrontare, quello della sua sopravvivenza. Gli israeliani stanno lottando per la loro vita, e io solidarizzo con loro". Il nuovo libro di Kertész è un diario che va dal marzo 2001 al 9 febbraio 2009, si dipana fra l'attacco terrorista ai treni di Madrid e "l'abolizione totale della libertà, nel bel mezzo di una ricchezza materiale relativa". "Sono convinto che il pacifismo non costituisce la risposta appropriata alla sfida del terrorismo", sostiene lo scrittore ebreo-ungherese. "Come è possibile che improvvisamente si è dimenticato chi è il nemico e chi l'alleato?". Pensa anche che "una civiltà che non proclama chiaramente i suoi valori è a un passo dalla perdizione e dalla debolezza terminale. Quando penso al futuro dell'Europa, mi immagino una Europa forte, sicura di sé, che sarà sempre pronta a discutere, ma mai a scendere a compromessi. Non dimentichiamo che l'Europa stessa è nata come il risultato di una decisione eroica: Atene ha scelto di opporsi ai Persiani".
  In questo nuovo libro di 180 pagine, Kertész lancia la sua ultima, fatale premonizione sinistra sull'Europa a cui tanto tiene: "Finisce sempre allo stesso modo: la civiltà raggiunge una fase di maturazione in cui non solo non è in grado di difendersi, ma in cui in maniera incomprensibile adora il nemico".

(Il Foglio, 3 settembre 2015)


Numeri scritti a pennarello sul braccio. Gli ebrei: «Ci ricordano la Shoah»

di Daria Gorodisky

ROMA - Stazione ferroviaria di Breclav, Repubblica Ceca. Una poliziotta scrive a pennarello blu un numero bello grande sul braccio di un bambino, poi un altro sulla mano di un giovane uomo. Vengono «marchiati» in questo modo 214 profughi, per la maggior parte siriani. Tra le notizie e le immagini che ieri hanno indignato il mondo, c'è stata anche questa.
   La cittadina è vicina al confine austriaco e di lì passano treni che, partiti dall'Ungheria, sono diretti in Germania. La pressione dell'ondata migratoria in Europa è sempre più forte; e i regolamenti internazionali che dovrebbero gestire gli ingressi di chi cerca rifugio sono sempre più inattuali ed evanescenti. Così, le autorità governative ceche hanno cercato di spiegare che numerare le persone era un sistema per tenere insieme i gruppi familiari, soprattutto vista la quantità di bambini presente nei treni; oppure, come riportato dal Daily Mail online , hanno fatto presente che evidenziare il numero di convoglio e di vagone dei clandestini avrebbe facilitato il loro respingimento verso il Paese di partenza.
   Però, per le organizzazioni umanitarie ceche e internazionali controlli, caos e mancanza di preparazione non giustificano in alcun modo comportamenti illeciti che «ricordano quelli dei nazisti». E anche la comunità ebraica italiana ha condannato duramente il fatto. «Quello che è accaduto è gravissimo. Decine di profughi sono stati letteralmente marchiati come fossero bestiame destinato al macello, richiamando inevitabilmente il periodo più oscuro della storia contemporanea», ha dichiarato Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Sottolineando la necessità di una reazione «forte e unitaria» per la costruzione di ponti di dialogo e solidarietà, e impegnando a questo fine «l'esperienza di amore per la convivenza delle realtà ebraiche», Gattegna ha però definito gravissima anche «l'immagine di un'Europa che appare sempre più fragile e incapace di affrontare le sfide che la investono».
   Una linea di pensiero che è condivisa dalla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello: «Sono immagini terribili, non si può ledere la dignità delle persone. Tutto questo mette in luce però anche un problema sostanziale: l'Europa è in affanno, il fenomeno migratorio prima è stato sottovalutato e poi, quando il flusso è ingigantito, non si è capaci di gestirlo. Adesso affrontiamolo, cominciando a interrogarci sugli errori commessi e operando con politiche di accoglienza e integrazione».
   Certo, esiste un aspetto sicurezza che non può essere trascurato: «È chiaro che non si può abbassare la guardia. Ci devono essere controlli, e soprattutto prevenzione. Però sempre nel rispetto delle persone. So che l'equilibrio fra accoglienza e sicurezza può essere difficile, un gatto che si morde la coda. Eppure, di fronte a certe situazioni, non possiamo stare a guardare e diventare complici di qualcosa di tremendo e già visto. Altrimenti, l'anima dell'Europa nata dalle ceneri di Auschwitz sarà svuotata di ogni suo valore fondamentale».
   Ma davvero si può fare un parallelo tra i fatti di Breclav e gli orrori della Shoah, che è stata citata da più parti? «No — conclude Ruth Dureghello —. Però non accetto che si resti indifferenti di fronte all'immagine di persone che diventano numeri. Non mi piace affatto».

(Corriere della Sera, 3 settembre 2015)


Questi continui paragoni tra fatti quotidiani e la Shoah, invece di rendere più gravi i fatti rischiano di banalizzare la Shoah. M.C.


Il petrolio curdo che alimenta Israele

La strana alleanza tra Gerusalemme e il Kurdistan iracheno

di Federica Zoja

L'80% del petrolio acquistato da Israele all'estero arriva dal Kurdistan iracheno. O, per dirla in un'altra prospettiva, il primo cliente del Governo regionale curdo iracheno, dopo quello centrale di Baghdad, è Israele. «Non ci interessa dove vada il greggio una volta consegnato ai distributori», ha spiegato un alto consigliere dell'amministrazione locale di Erbil, appunto nell'Iraq settentrionale, al quotidiano britannico Financial Times. L'impennata negli acquisti di idrocarburi è avvenuta nel periodo compreso fra l'inizio del mese di maggio e quello di agosto: nel dettaglio, oltre 19 milioni di barili sono stati recapitati all'acquirente mediante gli oleodotti che transitano in territorio turco e poi via nave. Tale quantitativo equivale al 77% del fabbisogno israeliano annuale, cioè circa 240mila barili di greggio al giorno. Israele ha speso un miliardo di dollari, secondo il prezzo medio del petrolio nel trimestre in questione. Denaro che le fonti curde irachene definiscono prezioso per combattere il nemico numero uno in questo frangente storico: lo Stato islamico. E poi per pagare con regolarità i dipendenti statali e fornire ai cittadini tutti i servizi che rendono il Kurdistan iracheno più avanzato del resto del Paese.
   Il greggio curdo è ancora oggi conteso da Erbil e il governo centrale di Baghdad: un'intesa siglata nel 2014 prevede che Erbil conceda a Baghdad 550 mila barili al giorno, pari al 20% di tutte le esportazioni irachene. Poi, Baghdad è tenuta a versare i proventi di quella quota nelle case regionali curde, oltre al 17% del budget del ministero della Difesa. Siccome, però, l'esecutivo centrale non rispetta gli accordi, Erbil ha ricominciato a fare affari per conto proprio, puntando a nuovi clienti. Con Israele, la fruttuosa cooperazione è iniziata nel giugno 2014, con consegna del greggio da parte di una petroliera liberiana salpata dal porto turco di Ceyhan. Quanto ad altri importatori dislocati più a Ovest, si segnalano Francia e Italia, che, risentendo del terremoto libico in primis in termini energetici, sondano nuovi itinerari per così dire più sicuri. Nel mese di maggio di quest'anno, penultimo mese di cui l'Unione petrolifera italiana riferisce i dati, proprio l'Iraq, fra i fornitori mediorientali, ha 'sfamato' l'importatore italiano, con una punta di 1133 mila tonnellate di petrolio vendute. Il mese successivo, si è registrata invece una flessione netta della metà. In parallelo, proprio fra maggio e giugno, le importazioni dalla Libia hanno ripreso quota, oltre le 500 mila tonnellate. I due mercati, insomma, paiono funzionare come vasi comunicanti. Israele, invece, non ha mai diffuso informazioni sui propri partner energetici poiché le considera dati sensibili per la sicurezza nazionale: nell'ultimo decennio, si sa per altre vie, Azerbaijan, Kazakhistan e Russia hanno contribuito alla maggior parte del fabbisogno nazionale.
   Ma Israele non si arrende all'idea di dipendere dall'estero: Ness 5 è il nome del primo di dieci siti che saranno esplorati nell'arco dei prossimi tre anni. Situati nel Sud delle Alture del Golan, a pochi chilometri dal territorio siriano, sono stati affidati in concessione alla società Afek Oil and Gas pe r pros pez ioni fino a un chilometro di profondità.
   
(Avvenire, 3 settembre 2015)




Dal 25 al 27 settembre si terrà a Torino l'annuale convegno di Chiamata di Mezzanotte.

TEMI
Norbert Lieth: Gli eventi e Israele dicono Maranatha, Gesù viene presto!
Marcello Cicchese: Impauriti, ingannati, sedotti e schiavizzati. Gli uomini nel tempo della fine

PROGRAMMA
Venerdi 25 settembre ore 18,00 1a conferenza con programma musicale
Sabato 26 settembre ore 17.30 2a confernza con programma musicale
Domenica 27 settembre ore 10,00 Lode e adorazione

SALA CONFERENZE
Pacific Hotel "Il Fortino", Strada del Fortino, 36, 10152 Torino
Costo per chi pernotta in hotel 2 notti B/B € 80.00

L'ingresso e la partecipazione alle conferenze senza pernottamento è libero e gratuito
Locandina

(Chiamata di Mezzanotte, settembre 2015)


Il maxigiacimento dell'Eni è un vantaggio per l'Egitto, non per Israele

La scoperta del maxi giacimento di gas di Zohr nell'offshore egiziano da parte dell'Eni "probabilmente sarà un 'game changer' per le dinamiche dell'energia nella regione. Prevediamo che il grosso del gas proveniente da Zohr servirà il mercato interno egiziano, con il potenziale per un po' di esportazioni". Il ritrovamento ha "implicazioni macroeconomiche positive per l'Egitto e negative per Israele". Lo scrivono gli analisti di Bank of America Merrill Lynch Jean-Michel Saliba e Vadim Khramov, in un report dedicato tra l'altro alla scoperta annunciata dall'Eni domenica scorsa.
   In Egitto, la scoperta probabilmente "aiuterà a rimediare alle ricorrenti carenze energetiche, fornendo maggiori fonti di energia nel medio termine, che potrebbero supportare l'industrializzazione e una maggiore crescita economica. La scoperta potrebbe aiutare a limitare il deficit della bilancia commerciale ma, nel breve termine, non crediamo che l'annuncio riduca il bisogno di ulteriori riforme al sistema dei sussidi per l'energia".
   Inoltre, la tempistica della scoperta "potrebbe sostenere le prospettive elettorali del regime egiziano, dato che le elezioni politiche sono state messe in agenda per il 18-19 ottobre e per il 22-23 novembre". La scoperta di Zohr, al contrario, ha "implicazioni negative per Israele, poiché lo sviluppo della riserva di gas naturale Leviathan (nell'offshore mediterraneo israeliano, ndr) potrebbe venire ritardato e il memorandum di intesa con l'Egitto per l'esportazione del gas di Tamar potrebbe essere cancellato".

(Adnkronos, 2 settembre 2015)


L'attivista arrestato e i racconti di Pallywood

di Amit Zarouk

Negli ultimi giorni si è molto scritto, anche su questo giornale, circa l'arresto di un ragazzino palestinese per aveva preso parte agli scontri a Nabi Saleh in Cisgiordania. A questo si è aggiunta la notizia del fermo dell'attivista italiano dell'ISM, Vittorio Fera, il quale è stato arrestato per la sua partecipazione attiva gli episodi di turbamento dell'ordine pubblico e alle sassaiole, e non certo per aver filmato l'evento, come evidenziato dall'accusa in tribunale. Sono convinto che i lettori non abbiano però ricevuto sufficienti informazioni circa l'organizzazione cui appartiene Fera, l'ISM. Ebbene, né Fera, né l'organizzazione di cui è membro, l'ISM, Movimento Internazionale di Solidarietà, hanno mai operato per la pace: tutte le loro azioni sono volte a diffondere un'ideologia di odio e di incitamento contro Israele.
   L'inganno è l'ingrediente principale dell'esteso operato di questi enti che si fingono "organizzazioni pacifiste". Una volta le flottiglie navali, un'altra volta le flottiglie aree, poi ancora manifestazioni che sfuggono volutamente di mano e ancora altre provocazioni quotidiane. Il proliferare di queste azioni da parte di vari e svariati enti potrebbe creare un'impressione errata. È bene non cadere in errore. Dietro a tutti questi enti ci sono esattamente le stesse persone che stanno dietro la "campagna di boicottaggio e diffamazione contro Israele". L'ISM, il Movimento Internazionale di Solidarietà, di cui è membro Fera, appoggia apertamente la "resistenza armata" dei palestinesi.
   Centinaia di migliaia di persone sono state massacrate in Siria negli ultimi anni, per non parlare poi dell`Iraq e dello Yemen. Quotidianamente in Libia e in Sudan sono commesse atrocità, centinaia di persone sono state pubblicamente giustiziate in Iran nell'ultimo anno, siti di inestimabile sono stati distrutti e le minoranze religiose sono tristemente costrette a fuggire in tutto il medio oriente. Avete per caso visto queste "organizzazioni di solidarietà" alzare la propria voce o organizzare una flottiglia per la Siria? Protestare di fronte alle ambasciate iraniane? Inviare aiuti umanitari alle comunità cristiane in Sudan? Quasi nulla, niente. Perché non gli interessa. L'unico reale obiettivo e' quello di colpire e delegittimare lo Stato di Israele. Non funzionerà ma intanto loro continuano.
   Israele è probabilmente l'unico Paese che consente di operare liberamente a persone che agiscono apertamente per la sua eliminazione, in nome dei diritti umani, naturalmente.
   Tali attività sono svolte molte volte per mezzo della manipolazione mediatica. Si sono già verificate decine di episodi in cui è poi stato appurato che gli spezzoni filmati erano assolutamente parziali, e che più che svelare qualcosa, essi al contrario celavano la storia reale. Si chiama "Pallywood" (un misto di Hollywood e Palestina), secondo la definizione del professor Richard Landes. Così, con l'aiuto dei media, riescono a far dimenticare il contesto, i fatti, l'ideologia che li muove, il loro astio e la loro litigiosità, e riducendo tutta la storia ad alcuni secondi in cui un soldato arresta un provocatore.

(L'Huffington Post, 2 settembre 2015)


Norvegia, è polemica: emessa carta di credito con immagine antisemita

Un ebreo con il naso adunco sullo sfondo della Visa. Il più grande istituto finanziario del Paese sotto accusa.

di Angelo Scarano

Un ebreo con il naso adunco, la kippah in testa, lo scialle da preghiera e una cascata di monete d'oro. L'immagine antisemita fa da sfondo a una carta di credito emessa in Norvegia dalla Dnb Bank, il più grande istituto finanziario del Paese.
Come racconta Yedioth Ahronoth, il titolare della visa ha protestato sostenendo che quella non era l'immagine da lui scelta per la sua targhetta personalizzata. Dopo essersi scusata la Dnb Bank ha provveduto a cancellare l'immagine offensiva dal database sottolineando che "vengono stampate annualmente qualche milione di carte" e che "si è trattato di un incidente isolato".
Il vice presidente dell'istituto norvegese ha assicurato che verrà diffusa una nota di spiegazioni e scuse per l'accaduto. Ma si è già detto "sorpreso che il cliente abbia ricevuto una carta personalizzata con un'immagine diversa da quella richiesta". "Il controllo delle figure è accurato - ha spiegato . c'è un meccanismo per bloccare quelle offensive e la supervisione è manuale". Sfortunatamente, hanno ammesso dall'istituto finanziario, questa volta non ha funzionato.

(il Giornale, 2 settembre 2015)


"Arrestare Benjamin Netanyahu"

Cosa ci dicono i centomila che hanno firmato la petizione inglese.

Centomila cittadini britannici hanno firmato una petizione per far arrestare per "crimini di guerra" il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che a settembre si recherà a Londra in visita ufficiale. Qualsiasi cittadino britannico può lanciare una petizione sulla piattaforma del governo, costringendo Downing Street a rispondere pubblicamente che "i capi di stato stranieri in visita in un altro paese godono di immunità e dunque non possono essere arrestati". Ovviamente si tratta di una petizione senza conseguenze reali per Netanyahu e il suo staff, ma che getta luce sulle correnti profonde di disprezzo e inimicizia per Israele che covano persino in un paese civile come l'Inghilterra. E poi non è neppure così fuori dalla realtà. Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, ha cancellato una visita a Londra per paura di esse- re arrestato con l'accusa di "crimini di guerra".
Gli israeliani devono potersi muovere in Europa, viaggiare e lavorare; queste petizioni hanno l'obiettivo di intimidire lo stato ebraico. Giorno dopo giorno, Israele diventa sempre più debole. L'ex ministro Avi Dichter ha rinunciato a partecipare a una conferenza londinese sul processo di pace per non rischiare di essere arrestato. E il generale Aviv Kochavi progettava di andare in Gran Bretagna per dei corsi di una accademia militare, ma ha rinunciato per paura di essere arrestato. Gerald Steinberg, direttore di Ngo Monitor, ha spiegato che è una guerra legale che parte dalla "strategia Durban": "Israele per gli attivisti è come il Sudafrica dell'apartheid e i suoi criminali di guerra non devono essere parte della società globale". E' più facile disfarsi di uno stato paria.

(Il Foglio, 2 settembre 2015)


Non è forse antisemitismo questo? “Naturalmente, no”, rispondono in coro gli antisemiti. Non tutti però, solo quelli dell’ultima ondata. Le prime due ondate storiche sono l’antisemitismo teologico e l’antisemitismo biologico. Quella attuale può essere classificata come antisemitismo giuridico. Dopo lo stato solido dell’odio teologico e lo stato liquido dell’odio biologico, siamo arrivati oggi allo stato gassoso dell’odio giuridico: sono queste le mutazioni, simili a quelle dell’acqua, che ha subito nella storia l’odio contro gli ebrei. Dopo le bolle pontificie dei papi, dopo le leggi razziali dei vari Hitler e Mussolini, abbiamo oggi le risoluzioni dell’Onu e le sentenze della Corte dell’Aja come strumenti di legalizzazione della persecuzione antiebraica, presentata come legittima opposizione agli abusi dei sionisti. Antisemitismo internazionalmente legalizzato: questa è la dizione con cui si può indicare sinteticamente quello che sta avvenendo oggi contro lo stato ebraico d’Israele. M.C.


MasterChef Israele, vince un italiano: "Porto l'Abruzzo nel mondo"

Massimiliano di Matteo, trentanovenne di Pescara, è il vincitore della nona edizione di MasterChef Israele: "Porto il mio Abruzzo nel mondo".

di Domenico D'Alessandro

Massimiliano e la sua squadra
Nella scritta: "MASSIMILIANO, è lui il MasterChef di Israele!"

In Italia il suo nome non dice nulla, ma in Israele è una star: Massimiliano di Matteo, trentanovenne di Pescara, ha appena vinto la locale edizione di MasterChef.
Lo chef abruzzese ha sconfitto due colleghe donne, Lama Shehadeh e Rachel Ben Elul. Massimiliano ha così vinto, come accade in Italia, la possibilità di pubblicare il proprio libro di ricette. In un'intervista di qualche tempo fa a una testata locale abruzzese, all'inizio della sua esperienza televisiva, l'astro nascente della cucina israeliana raccontava la sua storia: «Mi iscrissi alla facoltà di Architettura a Pescara, allo stesso tempo lavoravo come cameriere per pagarmi le spese. Ero ormai al quarto anno fuori corso, così decisi di partire per gli Stati Uniti, più precisamente Miami, dove lavorai in un locale come aiutante. Poi mi sono trasferito a Città del Messico per quattro mesi, quindi tornai in Italia. Presto però ripartii per New York, dove ho vissuto per diciassette bellissimi anni». Qui ha conosciuto quella che ora è sua moglie e la mamma dei suoi tre bambini: essendo lei israeliana, si sono trasferiti a Tel Aviv. «Qui nessuno conosce l'Abruzzo - raccontava Massimiliano prima dell'esperienza a MasterChef - e nessuno conosce me. Così ho pensato di partecipare a questa trasmissione, ho la possibilità di parlare dell'Abruzzo, del nostro cibo e delle nostre tradizioni, ma allo stesso tempo di farmi conoscere».
Adesso che ha conquistato il titolo di vincitore di MasterChef, che in Israele è giunto alla nona edizione, Massimiliano nel paese medio-orientale è una vera celebrità: il programma è infatti tra i più seguiti della televisione israeliana. Durante tutta l'edizione ha raccontato la sua storia, le bellezze della sua terra natale e della sua famiglia. Ora, a Pescara, lo attendono per festeggiarlo come merita: da trionfatore di MasterChef Israele, ma soprattutto da perfetto ambasciatore dell'Abruzzo nel mondo.

(il Giornale, 2 settembre 2015)


I ponti e la sindrome

Cari amici,
Ricordate la faccenda del rapper ebreo americano Matisyahu? Quello che un paio di settimane fa gli organizzatori volevano espellere da un festival musicale in Spagna, con l'applauso delle amministrazioni locali di Podemos e compagnia? Se uno analizza a mente fredda quel che è successo, vede che al musicista ebreo si chiedeva una cosa tutto sommato piccola e facile: scrivere una lettera o fare una dichiarazione filmata, in cui si dissociava da Israele.
Non gli si chiedeva, per il momento, di rinnegare il suo ebraismo nello stile di Shlomo Sand, di dichiarare l'illegittimità di Israele, come Pappé, e neanche forse di inneggiare al terrorismo palestinista, alla maniera dei Chomski e dei suoi nipotini europei; non doveva partecipare a una flottiglia o promuovere il BDS; bastava che dicesse che era per la pace e contro Netanyahu, diciamo come la sua collega Noa....

(Italo Somali, 2 settembre 2015)


Tra Keret e Libeskind letteratura verso il futuro

L'architetto inaugura sabato a Roma il festival di cultura ebraica (dal 5 al 9 settembre). Lo scrittore di Tel Aviv: "Amo vivere nella mia Babilonia".

di Marco Mathieu

 
Daniel Libeskind                                              Etgar Keret     
ROMA - "Il futuro è un concetto affascinante ma assai precario, se visto da Tel Aviv". Parole di Etgar Keret, 48 anni, tra i più conosciuti scrittori israeliani, reduce dal successo anche italiano del suo Sette anni di felicità (Feltrinelli) e protagonista annunciato dell'ottava edizione del Festival internazionale di letteratura e cultura ebraica che si svolgerà qui a Roma nei prossimi giorni (dal 5 al 9 settembre). È infatti il futuro ("Around the future") il tema scelto dagli organizzatori dell'attesa manifestazione che si prevede capace ancora una volta di coniugare stili e forme d'espressioni diverse.
   Fin dalla prima serata, sabato 5 alle 21: "La linea del fuoco: città tra memoria e futuro" è infatti il titolo dell'intervista a Daniel Libeskind condotta da Shulim Vogelmann (uno dei curatori del festival), in cui il 75enne maestro dell'architettura affronterà argomenti che traggono spunto dalle sue opere "e in particolare quella capacità di mischiare tradizione e innovazione", come anticipa Vogelmann, oltre che nell'analisi delle "nuove necessità delle città". Roma compresa, verrebbe da dire. Tra il Portico d'Ottavia e il Palazzo della cultura saranno giorni di incontri letterari e concerti, letture e mostre.
   Dalle "Conversazioni sull'acqua" (con Yarona Pinhas, Dani Schaumann e Franco Di Mare) a "Isaac Asimov reloaded: robot e mito della creazione" (con Simonetta Della Seta e Marco Panella), dal dialogo tra Rav Riccardo Di Segni e David Passig ("Il futuro è già scritto") allo "scontro" di letture dei nuovi autori israeliani e delle leggende della letteratura ebraica. E poi la mostra "Judei De Urbe, storia illustrata degli ebrei di Roma" presenta le tavole della graphic novel omonima di Mario Camerini, pubblicata da Giuntina: sui periodi di grande cambiamento che videro gli ebrei romani uscire dal ghetto e iniziare un processo di assimilazione e partecipazione alla società civile. Oltre che la consueta attenzione per il cibo ("Il pranzo delle delizie" con Rav Roberto Colombo, Imam Yahya Pallavicini e Alberto Garcia) e la musica (concerto della Ozen Orkestra).
   Nella "giornata europea della cultura ebraica" (domenica 6 settembre) il festival dedica al quartiere visite guidate "alla scoperta dei tesori dell'arte" ed è programmato l'incontro con Keret, intitolato "Tel Aviv smart city". Ed è lui a spiegare: "Molti ne parlano come di Babilonia, io amo vivere in questa città, grande abbastanza per avere tutto quello che vuoi, ma piccola abbastanza da non perderti mai. Tel Aviv rimane una città di sognatori: la maggior parte dei suoi abitanti non sono nati qui e non moriranno qui, molti si sono trasferiti per realizzare il proprio sogno, dalla musica al cinema e al teatro. Tutto è molto visionario, pochi rimangono qui per sempre".
   A conferma della precarietà del futuro che in Israele è sempre più spesso declinato in termini di innovazione tecnologica. "Credo che ci sia qualcosa di molto ebraico nel concetto stesso di innovazione", spiega Keret. "Fin dal pensiero: mi vengono in mente Marx e Freud. Ma anche nel porsi questioni rispetto a Dio, provando comunque a seguire le proprie idee e convinzioni".

(la Repubblica - Roma, 1 settembre 2015)


Un menu speciale per Bibi

La cena italiana del premier di Israele

di Adam Smulevich

Annie Feolde
FIRENZE - Dopo le rivelazioni e le critiche riportate dalla stampa israeliana e rimbalzate anche in Italia, un nostro controllo consente di vedere in una luce molto diversa la discussa cena del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del premier italiano Matteo Renzi nel celebre ristorante fiorentino Enoteca Pinchiorri.
   Alcuni esponenti del mondo ultraortodosso avevano avanzato perplessità riguardo al fatto che un Primo ministro israeliano cenasse in un locale in cui è ben chiaro dal menu che non è possibile rispettare le regole della Casherut e certo la cena non risulta potesse essere fornita di una specifica approvazione e verifica rabbinica. Ma la realtà è che lo sforzo dei gestori del prestigioso ristorante, premiato nel 2004 con la terza stella Michelin, è stato quello di venire incontro il più possibile alle tradizioni ebraiche in materia di alimentazione e somministrazione di cibo. L'impegno c'è stato. E ha permesso di comporre un menu ad hoc da cui sono state attentamente eliminate alcune portate che secondo la Legge ebraica non sarebbero consumabili.
   Lo conferma Annie Feolde, comproprietaria e chef dell'Enoteca Pinchiorri. "Il nostro obiettivo, dai primi contatti fino alla serata stessa, è sempre stato quello di assecondare le diverse esigenze che ci sono state prospettate. Ci siamo calati in questo contesto con la massima sensibilità, consapevoli che avremmo dovuto rivedere il menu in alcune voci non opportune. E così è stato".
   Cos'ha mangiato dunque Bibi? Pasta con i funghi, varie portate di pesce, molte verdure. In alto i calici invece con un pregiato rosso francese del 1949. "Tutti prodotti di altissima qualità" sottolinea Annie, conquistata dal fatto che il premier israeliano si sia fatto consigliare su ogni singola scelta. "Mi fido di voi, so che il posto è ottimo. Me l'ha detto il mio amico Matteo", le parole con cui si è presentato al locale.
   La cena è stata gradita da tutti i commensali. Bibi in particolare è apparso sorridente e rilassato. "Davvero molto diverso da come si è portati a immaginarlo. Lo si vede sempre in prima linea, duro e determinato nella difesa del suo Paese. Da noi - dice Annie - sono invece emerse le sue caratteristiche di uomo semplice, capace di intrattenere ottime e amabili conversazioni".
   
(moked, 1 settembre 2015)


Israele, Puccini nel deserto

Dal festival di Masada ai teatri di Tel Aviv, musica e allestimenti operistici sono al centro della vita culturale del paese.

di Sara Ficocelli - fotografie di Amanda Ronzoni

"L'opera lirica è un posto dove un uomo viene pugnalato e, invece di morire, canta". Il comico Leopold Fetchner, quando pronunciò la battuta, probabilmente non stava pensando a Israele, Stato che non ha mai avuto una tradizione operistica, ma sintetizzò senza volerlo ciò che la lirica rappresenta oggi per gli israeliani: un messaggio di pace, un luogo in cui le pugnalate diventano musica, canto, speranza. Dal Festival dell'Opera di Masada, nato nel 2010 per promuovere la lirica e diffondere un'immagine positiva, più normale, del Paese, al Teatro dell'Opera di Tel Aviv, inaugurato nel 1994 all'interno del Tel Aviv Performing Arts Center, questa forma d'arte rappresenta oggi un importantissimo fattore aggregante per la popolazione.
La montagna di Masada è il simbolo della libertà degli ebrei che qui, nel 74 d.C., si suicidarono in massa per evitare di cadere nelle mani dell'esercito romano. Oggi ospita le opere di Verdi, Puccini e altri grandi compositori, per la cui realizzazione vengono impiegate ogni anno circa 2500 persone di tutte le etnie e religioni, creando un clima di solidarietà e pacifica convivenza insolito per il Paese.

"Un festival all'aperto, in mezzo al deserto - spiega Hanna Munitz, direttore generale della compagnia dell'Opera israeliana - crea per definizione un dialogo con l'ambiente naturale circostante e l'obiettivo è far diventare la natura, con la montagna, il deserto e il mare, il principale attore dello spettacolo. Il festival onora ed esalta la natura".

  Il Festival si svolge in un contesto paesaggistico d'eccezione, la montagna di Masada, situata circa 100 chilometri a Sud-est di Gerusalemme, su un isolato altopiano del deserto della Giudea, oltre 400 metri al di sopra del Mar Morto. Il parco nazionale di Masada è patrimonio storico dell'umanità dell'Unesco e, da quando l'archeologo Yigael Yadin ne rivelò la storia negli anni '60, fa parte dell'itinerario di quasi tutti i turisti che visitano il Paese.
Il sentiero del serpente, nel parco nazionale di Masada, è lungo 2 km e corre su uno sbalzo di 350 metri. Era questo l'unico accesso alla fortezza del re Erode, pensato proprio per controllare chi saliva e rendere quindi difficile l'accesso a Masada. Il re aveva fatto costruire la fortezza dai suoi architetti ben nascosta nella montagna e da lontano era possibile scorgere solo qualche cava. All'interno però si trovava un palazzo ricchissimo, tutto stucchi, maioliche e colonne, di cui purtroppo oggi sopravvivono pochi resti. Il sito archeologico, tuttavia, è carico di energia e suggestione.
Il sentiero del serpente, nel parco nazionale di Masada, è lungo 2 km e corre su uno sbalzo di 350 metri. Era questo l'unico accesso alla fortezza del re Erode, pensato proprio per controllare chi saliva e rendere quindi difficile l'accesso a Masada. Il re aveva fatto costruire la fortezza dai suoi architetti ben nascosta nella montagna e da lontano era possibile scorgere solo qualche cava. All'interno però si trovava un palazzo ricchissimo, tutto stucchi, maioliche e colonne, di cui purtroppo oggi sopravvivono pochi resti. Il sito archeologico, tuttavia, è carico di energia e suggestione.  
Il deserto di Giudea, relativamente piccolo con i suoi 1500 km quadrati di superficie ma caratterizzato da un paesaggio spettacolare e in continuo mutamento, confina con i monti di Giudea a Ovest e il Mar Morto a Est.
Tra riserve naturali, siti archeologici e monasteri, a rapire lo sguardo sono soprattutto le antichissime rocce di pietra bianca erose dal tempo e dal vento e le caverne, nel corso dei secoli rifugio e nascondiglio per ribelli e zeloti, monaci ed eremiti.
Il deserto è da sempre abitato da beduini e quasi tutti vivono in insediamenti costruiti vicino alle oasi. E' stato proprio uno di loro, una decina di anni fa, a trovare, in una grotta della zona di Ein Gedi, frammenti di un prezioso rotolo papiraceo, risalenti, molto probabilmente, al 135 d.C.
Il deserto di Giudea, relativamente piccolo con i suoi 1500 km quadrati di superficie ma caratterizzato da un paesaggio spettacolare e in continuo mutamento, confina con i monti di Giudea a Ovest e il Mar Morto a Est. Tra riserve naturali, siti archeologici e monasteri, a rapire lo sguardo sono soprattutto le antichissime rocce di pietra bianca erose dal tempo e dal vento e le caverne, nel corso dei secoli rifugio e nascondiglio per ribelli e zeloti, monaci ed eremiti. Il deserto è da sempre abitato da beduini e quasi tutti vivono in insediamenti costruiti vicino alle oasi. E' stato proprio uno di loro, una decina di anni fa, a trovare, in una grotta della zona di Ein Gedi, frammenti di un prezioso rotolo papiraceo, risalenti, molto probabilmente, al 135 d.C.  
"E lucevan le stelle" nel cielo di Masada, che quest'anno ha inaugurato il Festival con la Tosca di Giacomo Puccini, seguita dai Carmina Burana e dall'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti. 
Il direttore d'orchestra Daniel Oren (di spalle nella foto) è anche direttore musicale della compagnia dell'Opera israeliana: "Il mio sogno è che questo evento diventi uno dei più importanti nel mondo perché il luogo è unico, non ne esiste un altro uguale".

 La Israel Symphony Orchestra Rishon LeZion è stata fondata nel 1988 e un anno dopo è diventata l'orchestra ufficiale dell'Opera israeliana. Diretta da James Judd, accompagna tutti gli spettacoli del teatro dell'Opera di Tel Aviv, tutte le performance all'aria aperta organizzate dalla compagnia e naturalmente anche la stagione del Masada Festival. Alcuni spettacoli del Festival sono accompagnati da un altro gruppo di musicisti di eccellenza, la Jerusalem Symphony Orchestra.
La "Tosca at Masada" (4 - 13 giugno 2015) è stato uno degli eventi più suggestivi e di maggior successo finora realizzati all'interno del Festival. A dirigere l'orchestra per quasi 3 ore il maestro Daniel Oren, che ha accompagnato le voci di Svetla Vasillieva, nei panni di Tosca, e Fabio Sartori e Gustavo Porta, in quelli di Cavaradossi. I costumi sono stati disegnati dalla francese Katia Duflot e le luci curate dall'italiano Vinicio Cheli.
La "Tosca at Masada" (4 - 13 giugno 2015) è stato uno degli eventi più suggestivi e di maggior successo finora realizzati all'interno del Festival. A dirigere l'orchestra per quasi 3 ore il maestro Daniel Oren, che ha accompagnato le voci di Svetla Vasillieva, nei panni di Tosca, e Fabio Sartori e Gustavo Porta, in quelli di Cavaradossi. I costumi sono stati disegnati dalla francese Katia Duflot e le luci curate dall'italiano Vinicio Cheli.  
O Fortuna, velut Luna, statu variabilis, semper crescis aut decrescis" ("O Sorte, come la Luna mutevole, sempre cresci o decresci"): quello dei Carmina Burana, musicati nel 1937 dal tedesco Carl Orff, è forse uno degli incipit più conosciuti e intriganti di tutta la storia della lirica. I celebri testi medievali scritti in latino sono stati portati sul palco di Masada conun allestimento insolito,  accompagnati dal direttore d'orchestra Judd e dalle voci potenti dell'Israeli Opera Chorus. Protagonista maschile, ancora una volta, un italiano: Enrico Maria Marabelli
O Fortuna, velut Luna, statu variabilis, semper crescis aut decrescis" ("O Sorte, come la Luna mutevole, sempre cresci o decresci"): quello dei Carmina Burana, musicati nel 1937 dal tedesco Carl Orff, è forse uno degli incipit più conosciuti e intriganti di tutta la storia della lirica. I celebri testi medievali scritti in latino sono stati portati sul palco di Masada conun allestimento insolito, accompagnati dal direttore d'orchestra Judd e dalle voci potenti dell'Israeli Opera Chorus. Protagonista maschile, ancora una volta, un italiano: Enrico Maria Marabelli  
Il Tel Aviv Performing Arts Center, in King Saul Boulevard, è stato progettato dall'architetto Yaakov Rechter e inaugurato nel 1994. Qui si trovano il teatro dell'Opera di Tel Aviv e il Cameri Theater, che ogni anno ospitano performance di danza, musica classica, opera e jazz, oltre a numerose esposizioni d'arte antica, moderna e contemporanea.
Il Tel Aviv Performing Arts Center, in King Saul Boulevard, è stato progettato dall'architetto Yaakov Rechter e inaugurato nel 1994. Qui si trovano il teatro dell'Opera di Tel Aviv e il Cameri Theater, che ogni anno ospitano performance di danza, musica classica, opera e jazz, oltre a numerose esposizioni d'arte antica, moderna e contemporanea.  
Il Teatro dell'Opera di Tel Aviv (Israeli Opera, conosciuto anche come New Israeli Opera), è gestito dall'omonima compagnia fondata nel 1985, la stessa che ha dato vita al Festival (Israeli Opera Festival), le cui rappresentazioni, prima di svolgersi a Masada, venivano portate a Caesarea. Tutte le opere sono presentate in lingua originale, con sottotitoli in ebraico e inglese.
Il Teatro dell'Opera di Tel Aviv (Israeli Opera, conosciuto anche come New Israeli Opera), è gestito dall'omonima compagnia fondata nel 1985, la stessa che ha dato vita al Festival (Israeli Opera Festival), le cui rappresentazioni, prima di svolgersi a Masada, venivano portate a Caesarea. Tutte le opere sono presentate in lingua originale, con sottotitoli in ebraico e inglese.  
Dal guardaroba al foyer, ogni centimetro del back stage del teatro è visitabile, basta chiamare e prenotare un tour guidato. Per ogni produzione vengono organizzate tre visite che cominciano 75 minuti prima della rappresentazione e durano mezz'ora. Tra stanze piene di costumi di scena, luci, camerini e "pezzi" di vecchie e nuove scenografie, il tour permette di toccare il cuore del mondo dell'Opera, drammatico e irresistibile, come una cosa viva.
Dal guardaroba al foyer, ogni centimetro del back stage del teatro è visitabile, basta chiamare e prenotare un tour guidato. Per ogni produzione vengono organizzate tre visite che cominciano 75 minuti prima della rappresentazione e durano mezz'ora. Tra stanze piene di costumi di scena, luci, camerini e "pezzi" di vecchie e nuove scenografie, il tour permette di toccare il cuore del mondo dell'Opera, drammatico e irresistibile, come una cosa viva.  
L’Habima Theatre, il teatro nazionale di Israele fondato nel 1917,  è stato uno dei primi a fare spettacoli in lingua ebraica. Membro dell'Unione dei Teatri d'Europa, dal 1931 ha sede a Tel Aviv. Al suo interno lavorano 80 attori e 120 dipendenti. Di questo luogo avanguardistico, espressione dello spirito della cultura ebraica, lo scrittore e drammaturgo russo Maksim Gor'kij scrisse: "Questo teatro è un piccolo miracolo nato dalla povertà, dalla fame e dal freddo. Un bambino destinato a diventare un gigante"

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(National Geographic, 1 settembre 2015)


No al bike-sharing a Gerusalemme: va contro Shabbat

"Gerusalemme è una città santa, non è Tel Aviv". Con queste parole un esponente ortodosso nel consiglio comunale della città ha annunciato l'opposizione del suo partito al progetto di introdurre anche a Gerusalemme un sistema pubblico di affitto delle biciclette come avviene, con grande successo, a Tel Aviv. Una iniziativa che favorirebbe, secondo gli ortodossi, la dissacrazione dello shabbat, il giorno di riposo ebraico.
Il piano - iniziativa del vicesindaco Tamir Nir - dovrebbe partire la prossima primavera e punta inizialmente a introdurre circa 500 biciclette in 15 stazioni di affitto, per lo più in centro città, vicino ai luoghi più frequentati dai turisti per essere via via espanso solo se la prima fase andrà bene.
Il progetto inoltre dovrebbe essere ancora più tecnologico di quello in uso a Tel Aviv (Tel O Fun): le stazioni di affitto saranno dotate di pannelli solari e tutto avverrà con un'app. Ma - nonostante il piano stabilisca che i punti di affitto previsti nei sobborghi degli ultraortodossi non siano in funzione durante lo shabbat e nelle feste ebraiche - l'opposizione al progetto resta alta.
Ma il vicesindaco non sembra scomporsi: "Ma di cosa stiamo parlando? Quale dissacrazione dello shabbat? Tutto sommato si tratta solo di un click su una app!".

(Travelnostop, 1 settembre 2015)


Suono e Segno - Musica in Sinagoga 2015 - Duduk, strumento armeno
 
Duduk armeno

CASALE MONFERRATO — Presso la Sinagoga di Casale Monferrato, in occasione dell'apertura della Giornata della Cultura Ebraica, sabato 4 settembre alle ore 21 riprende la rassegna Suono e Segno - Musica in Sinagoga 2015 curata da Giulio Castagnoli, con un concerto dal titolo Ponti e attraversaMenti
Il concerto presenta musiche di tradizione israelitica e armena. Interpreti saranno i solisti dell'Opera dei Ragazzi - Coro Ghescer di Casale Monferrato, diretti da Erika Patrucco: Chiara Azzarito, Alessia Cappellari, Carlo Castagnoli, Jvonne Chiariello, Valeria Gallina, Vittoria Ganora, Ilaria Ginepro, Laura Greco, Elisa Raccozzi, Klaudia Schima, Giulia Varzi e Lorenzo Vella.
Le musiche armene sono eseguite da Michele Partipilo al duduk, un antichissimo strumento a fiato della regione caucasica, dal suono molto evocativo.
La rassegna 2015 si concluderà la successiva sera di domenica 5 settembre, alle ore 21, con un sesto concerto dedicato ai solisti del Diverimento Ensemble di Milano, il soprano Lorna Windsor accompagnata dal pianoforte di Maria Grazia Bellocchio, con musiche di autori del mondo ebraico che spaziano da Mendelssohn a Gershwin.

(Il Monferrato, 1 settembre 2015)


Israele - Crollano i listini delle corporation legate al giacimento Leviathan

Campanello d'allarme per il governo israeliano.

Le società israeliane legate allo sviluppo del giacimento offshore Leviathan sono crollate oggi alla Borsa di Tel Aviv dopo la scoperta da parte di Eni del mega giacimento nella acque territoriali egiziane del Mar Mediterraneo, presso il prospetto esplorativo Zohr.
La holding Delek Group ha perso questa mattina il 14%, scendendo ai livelli dello scorso 23 dicembre, mentre le controllate Delek Drilling e Avner Oil Exploration hanno perso il 12%. Ratio Oil Exploration 1992, un altro partner del giacimento offshore Leviathan, è sceso del 16%, mentre l'indice Oil & Gas di Tel Aviv ha perso l'8,8%.
Dalle informazioni geologiche e geofisiche disponibili, il giacimento supergiant egiziano di Eni presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas. Per l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si tratta di una "scoperta storica che sarà in grado di trasformare lo scenario energetico nel Paese".
Diversi esperti hanno evidenziato il tonfo azionario delle aziende che stanno sviluppando il giacimento in Israele, tra cui la statunitense Noble Energy, che dovrebbero esportare idrocarburi in Egitto e nella regione.
"E' ancora presto per dirlo, ma il giacimento egiziano potrebbe essere sviluppato prima del Leviathan", secondo David Shrem, analista di energia presso Sphera Fund Manager. "Questo è un campanello d'allarme per il governo israeliano", rilancia Shrem a Bloomberg.
Lo sviluppo del campo di Leviathan è al centro di polemiche tra l'esecutivo di Gerusalemme
Era scritto "Tel Aviv", abbiamo corretto
e le aziende. Il piano, in attesa di approvazione da parte della Knesset e del ministero dell'Economia, permetterebbe a Israele di esportare fino a 1,5 miliardi di metri cubi al giorno entro il 2025, secondo i dati di Barclays. Ma l'ultimo round di colloqui sulla politica di regolamentazione del gas naturale tra il governo e i rappresentanti delle imprese proprietarie delle piattaforme offshore dedicate all'estrazione del gas naturale d'Israele si è concluso senza giungere a un accordo.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l'incapacità di risolvere alcune questioni scottanti come il prezzo al quale il gas sarà venduto dalla Noble Energy con sede a Houston e dalla Delek Group d'Israele non ha garantito una soluzione condivisa. Le due imprese energetiche hanno il controllo monopolistico dei principali siti di gas in mare aperto. La decisione del governo israeliano di ammorbidire le condizioni non ha però sortito alcun effetto. I due gruppi stanno sviluppando il sito di Tamar, che è già in produzione, così come quello del Leviathan, i cui lavori sono stati bloccati nel corso delle controversie di regolamentazione del settore, acuitesi con il governo di Gerusalemme.
Era scritto "Tel Aviv", abbiamo di nuovo corretto


(Sputnik, 01 settembre 2015)


Fermiamo vento e sabbia con il Dna di Matusalemme

In un kibbutz isolato nella regione più arida c riarsa del Paese si cerca la chiave per contrastare i cambiamenti climatici e produrre cibo a sufficienza per i popoli che dall'antichità combattono contro la scarsità di acqua c fanno agricoltura in condizioni estreme.

di Davide Frattini

La casa degli ospiti nel kibbutz Ketura
Matusalemme porta bene i duemila anni, cresciuto com'è da un seme scovato dagli archeologi tra le rovine della fortezza di Masada, dove nel 73 dopo Cristo 960 ebrei ribelli scelsero di uccidersi piuttosto che arrendersi ai romani.
Quella palma celebrata nella Bibbia per la bellezza, i poteri medicinali, la capacità di fornire cibo (e ombra per ripararsi dal caldo del deserto) sta adesso protetta da un recinto in mezzo alle case da pionieri di questo kibbutz nella regione di Arava, la più arida e riarsa d'Israele. È alta (o bassa per una palma) quasi un metro ed è riuscita a far germogliare una decina di foglie. È accudita dalla dottoressa Elaine Solowey e dai suoi assistenti che l'hanno risvegliata dal sonno millenario sotto la sabbia perché volevano studiare i benefici di quei datteri ormai scomparsi.
Il frutto simboleggia l'antica Israele, ha ispirato la frase «la terra del latte e del miele», era decantato come cura per le infezioni, per le proprietà lassative, come garanzia di longevità. «I giusti fioriranno come la palma, porteranno ancora frutti nella vecchiaia, saranno prosperi e verdeggianti», recita il Salmo 92.
   L'albero e i datteri erano e sono venerati anche nel resto del Medio Oriente. Il profeta Maometto li considerava fondamentali per sviluppare la prosperità di una nazione (legname da costruzione compreso) e il Corano li descrive come un simbolo legato alla divinità. Per la dottoressa Solowey sono la via biologica e genetica per comprendere come le popolazioni arcaiche sopravvivessero nelle condizioni estreme del deserto e per adattare quelle imbeccate dal passato adesso che le sabbie avanzano dall'Africa e dall'Asia verso le coste del Mediterraneo.
   Arrivata in Israele dalla California quarant'anni fa, Elaine non se n'è più andata e dirige il Centro per l'agricoltura sostenibile all'Arava Institute, nella parte meridionale del deserto del Negev, dove scienziati e giovani da tutto il mondo studiano come combattere la desertificazione e coltivare queste terre assetate. Progetti che uniscono Israele (il 65% delle sue regioni sono aride, fanno parte dell'area che va dal Sahara alla Penisola arabica) ai pochi Paesi attorno con cui esistono rapporti diplomatici. «Cerchiamo di sviluppare piante e vegetali che tollerino i terreni molto salini e l'acqua riciclata usata per l'irrigazione, spiega Yair Wahle che è nato a pochi chilometri da qui e adesso coordina le coltivazioni, il lavoro nelle serre e nei campi.
   L'istituto di ricerca ha creato un progetto con la Giordania per riscoprire le colture tradizionali e spingere i contadini locali a rinunciare alle piantagioni che richiedono troppa acqua. «La sostenibiIità non è solo ambientale - continua Yair -. Spesso gli agricoltori scelgono i prodotti più vendibili, più redditizi, quelli più di moda a tavola. Il rischio è che il crollo del mercato o il cambio nei gusti li riduca in rovina e perdano anche la risorsa per il cibo personale: ormai il suolo è stato sfruttato troppo e le piante più resistenti nel deserto possono richiedere anni prima di dare frutti».
   Nel caso della palma da datteri ce ne vogliono trenta prima di raggiungere la maturità e solo allora si scoprirà se è maschio o femmina quindi fruttifera: dopo però l'albero garantisce due secoli di raccolto. «È un investimento per il futuro, le nuove generazioni sono protette. Sostenibilità significa anche pensare a loro», commenta Yair mentre aiuta il figlio di quattro anni a mordere e succhiare il frutto di Marula: la polpa è ricca di vitamina C, dal nocciolo si macina un olio pieno di antiossidanti utilizzato in Africa per creare cosmetici naturali e per cucinare. «E le scimmie ci fanno una specie di birra per ubriacarsi».
   Riscoprire le coltivazioni tradizionali, combattere la desertificazione con metodi sostenibili che evitino di peggiorare il problema, aiutare le popolazioni costrette a migrare dalla scarsità di acqua e di cibo. Secondo Thomas Friedman, editorialista del New York Times che ha vissuto per anni in Medio Oriente, la crisi non è solo umanitaria o ambientale, i rischi più alti sono geopolitici. «Ecco la mia scommessa - ha scritto alla metà di agosto - sul futuro dei rapporti tra i sunniti, gli sciiti, gli arabi, i curdi e gli israeliani: se non trovano una soluzione ai loro conflitti senza fine, Madre natura finirà con il distruggerli ben prima che si annientino tra loro».
   Friedman elenca una serie di cambiamenti climatici e picchi nelle temperature di questa estate da caldo record in Medio Oriente che hanno scatenato reazioni incendiarie. «II governo iracheno è stato licenziato dal suo primo ministro per l'incapacità di garantire l'aria condizionata dopo settimane di proteste a Bagdad e in tutto il Paese. La questione dell'ondata di calura ha superato le paure per l'avanzata dello Stato Islamico». E continua: nel febbraio del 2014 la prima decisione di Hassan Rouhani, il nuovo presidente iraniano, ha riguardato come fermare la scomparsa del lago di Urmia. È uno dei più grandi bacini d'acqua salata al mondo e si è ridotto dell'80 per cento in un decennio, portando alla rovina i contadini, i pescatori e i barcaioli che prosperavano con il turismo.
   L'analista americano cita le ricerche di Francesco Femia e Caitlin Werrell che dirigono il Center for Climate and Security a Washington: «II contratto sociale tra i governi e i loro cittadini è logorato da questi eventi estremi, Queste crisi possono solo peggiorare e aumentare se consideriamo le previsioni sui cambiamenti climatici in molti di questi Paesi». L'esempio è quello della Siria dove la rivolta cominciata nel marzo del 2011 - e ormai diventata una guerra da 250 mila morti - è stata preceduta da quattro anni di siccità, la peggiore nella storia moderna della nazione. «Ha spinto un milione di contadini e allevatori a lasciare i villaggi per le città - commenta Friedman - dove il governo di Bashar Assad ha completamente fallito e non li ha aiutati».
   Le palazzine per gli studenti nel campus a Sde Boker, il distaccamento dell'università Ben-Gurion a nord dell'Arava, sono state progettate rispettando i diritti individuali, quelli a beneficiare del vento e del sole. Non è solo per il benessere dei ragazzi che ci abitano, la disposizione degli edifici (e degli alberi piantati lungo i vialetti) consente di risparmiare sull'aria condizionata d'estate e sul riscaldamento d'inverno. La struttura è stata progetta dal professor Isaac Meir, tra i docenti e ricercatori di questo istituto che studia la sopravvivenza nel deserto.
   Come quella delle tribù nomadi che per centinaia d'anni si sono spostate tra il Negev e le regioni vicine, le montagne del Sinal a sud o verso la Giordania a est. Adesso i beduini sono rimasti ingabbiati dalle frontiere e dalle guerre, sono stati costretti alla vita sedentaria, hanno perso le distanze da percorrere e i mezzi di sussistenza. La maggior parte dei villaggi in cui si sono insediati è considerata illegale dal governo israeliano, che vuole sfrattarli: le evacuazioni forzate verso nuove aree urbane hanno portato a scontri e manifestazioni di protesta.
   Cappello in cuoio da esploratore, Meir spiega come il progetto Wadi Attar cerchi di aiutare i beduini a emergere dalla miseria e dai margini della società. «È una cooperativa che vuole recuperare i saperi tradizionali dei clan e allo stesso tempo insegnare l'efficienza: dai pannelli solari all'allevamento del bestiame». Così l'acqua che lava la lana tosata dalle pecore viene riutilizzata nell'irrlgazione e per estrarre la lanolina: la cera serve a produrre cosmetici aartigianali ed è da sempre considerata un'efficace protezione contro la disidratazione.
   Qui a Sde Boker lo scorso novembre si sono riuniti 500 esperti da 60 nazioni (una conferenza sostenuta anche dall'organizzazione Keren Kayemeth LeIsrael-Jewish National Fund) per individuare interventi che rallentino la desertificazione: «È un problema olistico - ha spiegato lo specialista israeliano Alon Tal - che richiede soluzioni olistiche».
   È l'approccio utilizzato al campus: matematici, aarchitetti agronomi, chimici, eespertidi biotecnologie, antropologi, sociologi lavorano e vivono insieme, circondati dalla materia che studiano, il villaggio è appollaiato tra le rocce del Negev. Poco lontano c'è la tomba di David Ben-Gurion, affacciata sui crateri e le distese di sabbia che già settant'anni fa il padre fondatore di Israele sognava di «far fiorire».

(Corriere della Sera, 1 settembre 2015)


Rivlin al Ghetto, allerta massima e vasi di miele

Il presidente d'Israele giovedì al Ghetto. Divieto di parcheggio in tutta la zona.

di Gabriele Islam

 
Il presidente dello Stato d'Israele Reuven Rivlin
Ghetto blindato giovedì per la visita del presidente dello Stato d'Israele Reuven Rivlin alla Comunità ebraica della Capitale. Ad accoglierlo davanti al Tempio maggiore sarà la presidente della Comunità Ruth Dureghello, al suo primo impegno in ambito internazionale. Rivlin - 77 anni, esponente del Likud, eletto un anno fa - arriverà assieme alla moglie alle 21 e avrà un colloquio privato con Dureghello, col presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Gattegna e con il rabbino capo della capitale Riccardo Di Segni. Poi entrerà nel tempio, che sarà gremito anche di bambini, per i discorsi ufficiali. Al termine il programma prevede un brindisi in vista del Rosh haShana, il Capodanno israelitico che arriverà il 13 settembre. All'uscita la deputazione ebraica regalerà centinaia di vasetti di miele, che secondo la tradìzìone, si mangia con una mela per augurare un anno dolce. E se questo è il programma ufficiale della visita di dopodomani, con RivIin che nella stessa giornata sarà al Quirinale per incontrare il suo omologo Sergio Mattarella, - le misure di sicurezza nel quartiere ebraico saranno imponenti, a cominciare dal divieto di parcheggio in tutta la zona, compreso largo XVI ottobre dove già ieri sono comparsi i primi cartelli che segnalavano l'ordine di sgombero dalle auto. Ad accompagnare Rivlin sarà l'attuale ambasciatore d'Israele Naor Gilon. Seppure invitata come iscritta alla Comunità romana non ci sarà Fiamma Nirenstein, designata dal premier Benjamin Netanyahu come successore di Gilon a Roma: «Sono in Israele, con molti impegni, ma il presidente RivIin mi ha premiata con un bellissimo discorso alla Knesset sottolineando il comune impegno contro l'antisemitismo. La mia nomina come rappresentante di Israele? Ci sono ancora diversi passaggi che deve affrontare qui il governo, e poi l'attuale ambasciatore è bravissimo» dice la giornalista ed ex parlamentare Pdl Se quei passaggi andranno a buon fine - con Netanyahu che ha una maggioranza legata alla Knesset di un solo seggio, in un Paese che quindi potrebbe ritrovarsi con un governo delle larghe intese o anche andare a nuove elezioni - Nirenstein potrebbe essere nominata tra qualche mese e arrivare come ambasciatore in Italia tra un anno. Ma in Israele è arrivato il gelo proveniente dalla comunità romana per la designazione. E alla fine la nomina di Nirenstein non è affatto scontata.

(la Repubblica, 1 settembre 2015)


Gli effetti della scoperta del gas egiziano su Israele

La prima vittima potrebbe essere la prospettiva degli accordi energetici con Sisi. Il governo Netanyahu potrebbe ora virare verso la pista turca.

di Rolla Scolari

MILANO - Ieri alla Borsa di Tel Aviv sono crollate le azioni delle compagnie che gestiscono i due maggiori giacimenti di gas israeliano offshore e il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rimandato il voto parlamentare su un controverso accordo per lo sfruttamento delle riserve. Prima della scoperta annunciata dall'Eni domenica del più grande giacimento di gas nel Mediterraneo orientale al largo delle coste egiziane, Israele deteneva il primato regionale con le riserve offshore Leviathan e Tamar, scoperte nel 2010, con 620 metri cubi di capacità contro gli 850 dell'Egitto. Per Israele si profila un futuro da esportatore che garantirebbe al paese non soltanto un rafforzamento del pil, ma il rinsaldarsi di alleanze geopolitiche regionali con Cipro, Grecia, Giordania, Egitto e Turchia attraverso la firma di accordi energetici.La stampa israeliana ieri è stata svelta a sottolineare come la prima vittima della nuova scoperta egiziana sia la prospettiva di accordi energetici con il Cairo, come ha scritto su Haaretz Avi Bar-Eli. Lettere d'intenti sono già state siglate nei mesi passati tra le compagnie israeliane e un'azienda britannica e una spagnola - British Gas e Union Fenosa - per la vendita di gas israeliano all'Egitto. Negli ultimi anni, il fabbisogno energetico egiziano è cresciuto, gonfiando il malcontento della popolazione spesso soggetta a tagli di corrente nelle grandi città. La soluzione Leviathan avrebbe legato ancora di più il Cairo ai vicini israeliani, con i quali Israele già condivide obiettivi di sicurezza nazionale a Gaza e nel Sinai.
  Secondo alcune analisi, il complicarsi dell'opzione egiziana per Israele fa risorgere la possibilità di una pista turca. Le relazioni tra Israele e Turchia sono fredde dal 2010, quando in un raid dell'esercito israeliano a bordo della nave turca Mavi Marmara in rotta per la Striscia di Gaza sotto embargo morirono nove persone. Ancora a febbraio il ministro degli Esteri turco non ha partecipato alla conferenza sulla sicurezza a Monaco per evitare incontri con l'omologo israeliano - ricorda la Brookings Institution - ma secondo le statistiche del governo israeliano nel 2014 Turchia e Israele hanno avuto un volume di scambi commerciali pari a 5,44 miliardi di dollari: la cifra prova che le tensioni diplomatiche non sono state seguite dal gelo economico. Il giornale finanziario israeliano Globes ha intervistato l'esperto turco di energia Nusret Comert che ha ricordato come in Turchia il consumo energetico sia raddoppiato nell'ultimo decennio e come Israele dovrebbe quindi guardare ad Ankara. La Turchia è interessata alla diversificazione delle fonti: le importazioni garantite dal nord dell'Iraq sono state bloccate dalla presenza dello Stato islamico, il flusso russo e quello iraniano sono instabili, e il completamento del gasdotto Trans-Anatolian è stato rimandato fino al 2020, mentre Israele ha in progetto esportazioni già per il 2018 e potrebbe vendere ai turchi da 8 a 10 miliardi di metri cubi l'anno. Emmanuel Navon, dell'Università di Tel Aviv, ha scritto che finora un accordo tra Turchia e Israele è stato bloccato da questioni politiche: il premier Recep Tayyip Erdogan - che starebbe mediando con il Qatar una tregua tra i palestinesi di Hamas a Gaza e Israele - non sarebbe disposto a siglare contratti milionari senza che il governo di Netanyahu ceda sull'alleggerimento dell'embargo sulla Striscia. Solo dopo le elezioni turche il primo di novembre potrebbero iniziare a formarsi i nuovi equilibri energetici mediterranei.

(Il Foglio, 1 settembre 2015)


Alterità è libertà, la lezione ebraica

Il rabbino Della Rocca: le differenze sono il sale prezioso che contrasta l'omologazione di Babele.

di Stefano Jesurum

Il libro Con lo sguardo alla luna - la luna che dalla Creazione si rinnova ogni mese proprio come l'uomo che dovrebbe/vorrebbe trovare nel messaggio antico della tradizione la linfa per rinascere e crescere in continuazione - è una guida ai percorsi del pensiero ebraico. A firma di Roberto Della Rocca, Giuntina lo offre a inizio settembre quando, tra Giornata europea della cultura ebraica e le ricorrenze di Rosh haShanà (Capodanno) e Kippùr, di questo mondo si parla anche fuori dalle sinagoghe. E Della Rocca, 55 anni, è uno dei rabbini più adatti a svolgere il compito, perché direttore del Dipartimento educazione e cultura dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, nonché una delle anime fondanti di quel festival milanese Iewìsh and the City che tanto successo ha avuto nelle sue prime edizioni.
   Allora che cosa ha da dire oggi un rav al pubblico? «Intanto far conoscere l'universo degli ebrei che credono si debbano rispettare i 613 precetti biblici, un modello spesso citato nelle sue frange marginali e non nella sua ricchezza propulsiva». Ed ecco, subito, evocate le parole/insegnamenti forse più importanti che Della Rocca ripete spessissimo: dialogo, confronto, identità. «La nostra cultura è divenuta argomento di largo consumo che, al di là dell'emotività del fenomeno, è impegno costante al dialogo e al confronto in un momento di grandi sconvolgi menti e in cui intolleranza e incomunicabilità hanno troppo spesso la meglio. Serve più conoscenza dell'altro». Dal libro. «Il singolo non è riducibile ai soli valori collettivi, egli stesso rappresenta un valore assoluto: la specificità dell'anima umana, la singolarità dei suoi attributi costituisce insieme il rischio e il valore dell'individuo e come tale l'uomo è posto di fronte all'Eterno. Il Creatore vuole dall'uomo la realizzazione della sua singolare irripetibilità, non l'adeguamento acquiescente a uno schema collettivo prestabilito».
   L'ebraismo modello democratico per la capacità di assimilare dal mondo circostante senza assimilarsi a esso? Modo di vita e bagaglio comune di una minoranza che lotta perché ci siano sempre culture di minoranza? «Più o meno. Ciò ci porta all'esigenza di risalire alle fonti, spesso rimosse dall'ideologia occidentale, di esplorare i rivoli di questa tradizione che, pur relegata nella sua alterità, non ha mai smesso di accompagnare la cultura dominante, di alimentarla e di esserne alimentata».
   Un tema vitale è far capire quanto la tradizione ebraica sia insegnamento vivo e non reliquia del passato: l'ebraismo dà voce a problemi perenni e in tal modo è cultura dell'uomo moderno, un pensiero sempre attuale impegnato nella ricerca di risposte che pongano l'esistenza all'insegna dei valori più alti dell'umanità. «Abbiamo la Torah con la sua esegesi rabbinica a fondamento della definizione di noi stessi, impossibile accettare che le parole su cui la nostra identità si basa significhino qualcosa che non ci riguarda più. L'ebraismo è la storia di una realtà religiosa in cui la Torah, il popolo e la Terra formano un unicum inscindibile, e se nella definizione di dialogo tra culture differenti è implicita l'esigenza di entrare in rapporto con l'altro nella propria completa identità e di accettare, comprendere l'altro per come egli si autodefinisce, è chiaro che, se si fa esclusione di uno solo di questi tre elementi, usare il termine dialogo diventa assolutamente improprio e il superamento di antichi rifiuti cede il passo a nuovi modi di argomentare il rifiuto».
   Partendo dalle sentenze dei Maestri - le persone nobili parlano di idee, le persone mediocri parlano di cose, le persone meschine parlano di altre persone - il rav lancia un monito: «Ricominciamo a parlare di idee!». Così chiacchierare con lui è un perenne rimpallo tra citazioni della Torah, parabole, commenti di talmudisti e sguardi alla realtà. Esempio: una società in cui non si comunica è destinata alla distruzione. «Nella storia della Torre di Babele, gli uomini tentano di raggiungere il cielo elevandosi verticalmente, saranno puniti con la confusione delle lingue. I motivi del fallimento di una società come quella della Torre di Babele vanno ricercati nel fatto che, secondo il racconto, non solo tutti parlavano la stessa lingua, ma usavano anche le medesime espressioni. E una società in cui non c'è diversità di espressione e di opinione è una società privata della possibilità di comunicare, una società che afferma l'omologazione, il totalitarismo delle idee; una società in cui non c'è spazio per il confronto».
   Dunque? «Appare ovvio che una tale società aspiri a crescere verticalmente, producendo modelli di dominio e di prevaricazione dell'uomo sull'uomo. Con Abramo, la cultura ebraica diventa l'antitesi della cultura della Torre di Babele, e diviene cultura della diversità e dell'alterità attraverso quel modello di orizzontalità che è la dialettica». Attenzione però: all'ossessione della differenza e delle gerarchie fra identità, propria di atteggiamenti intolleranti, non bisogna opporre il mito di un'uguaglianza astratta fra gli uomini, perché le differenze esistono ed è la comunicazione tra esse a generare progresso e cultura. Parlando con Della Rocca, e leggendolo, non esistono tabù. Da Giona alla Shoah (la cui celebrazione rischia di trasformarsi in una sorta di scorciatoia identitaria), da Mosè alla terra di Israele, alla questione mediorientale, dalla Meghillàt Estèr all'antisemitismo e al razzismo, all'esilio, alla lontananza. Antidoto all'oblio - per ogni minoranza - è la consapevolezza che, dopo il tempo del ricordo, c'è il compito di trasmettere, commentare e far rivivere queste testimonianze per non dimenticare chi si è e da dove si viene.

(Corriere della Sera, 1 settembre 2015)


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