Approfondimenti
L'esuberante gioia di Dio nella fondazione della terra
di Marcello Cicchese
“Con la sapienza il Signore fondò la terra, e con l’intelligenza rese stabili i cieli” (Proverbi 3:19).
PROVERBI 8
- Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche.
- Fui stabilita fin dall'eternità, dal principio, prima che la terra fosse.
- Fui generata quando non c'erano ancora abissi, quando ancora non c'erano sorgenti rigurgitanti d'acqua.
- Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline,
- quando egli ancora non aveva fatto né la terra né i campi né le prime zolle della terra coltivabile.
- Quando egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un circolo sulla superficie dell'abisso,
- quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso,
- quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il loro confine, quando poneva le fondamenta della terra,
- io ero presso di lui
come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza; - mi rallegravo nella parte abitata della sua terra, trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
E’ la sapienza che parla. La sapienza di Dio, naturalmente, non di uomini, perché nessun uomo era presente alla fondazione della terra.
Nel libro dei Proverbi la sapienza (חכמה) appare nella maggior parte dei casi come virtù morale (Proverbi 11:2) o capacità intellettuale (Proverbi 14:33) raccomandate agli uomini. Con questi significati il termine può essere trasferito senza difficoltà nel nostro linguaggio e se ne possono ricercare attualizzazioni. Ma in alcuni casi, come in questo brano, il termine è usato come se si riferisse ad una persona ben definita: la sapienza grida, chiama, alza la voce, invita (Proverbi 1:20-24); a chi non vuol sentire rivolge minacce (Proverbi 1:24-32); a chi ascolta fa promesse (Proverbi 1:33). Secondo qualcuno si tratterebbe di una presentazione metaforica di concetti astratti. Rappresentare in forma personificata concetti morali come giustizia, pace, libertà non è certo una cosa strana; spesso anzi è visto come un modo particolarmente efficace di trasmettere un messaggio di alto valore per l’umanità. In questo caso però, come anche in Proverbi 3:19, la sapienza non è presentata in forma di raccomandazione agli uomini, ma come un agire di Dio nella sua opera di fondazione del creato. La sapienza qui è un “qualcuno” che in momenti topici dell’azione creativa di Dio si trova là, proprio là:
“Quando egli disponeva i cieli
io ero là
… quando… quando… quando poneva le fondamenta della terra
io ero presso di lui come un artefice" (vv. 27-30).
Ma chi è questo “qualcuno” che era là mentre Dio lavorava? In che relazione si trova con Lui?
La risposta si deve cercare nei primi quattro versetti, da 22 a 25.
Tre forme verbali esprimono in italiano questa relazione: mi ebbe con sé (v. 22), fui stabilita (v. 23), fui generata (vv. 24, 25), corrispondenti nell’ordine ai tre verbi ebraici קנה (qanah), נסך (nasak), חול (chul). Il verbo qana non è lo stesso usato nel primo versetto della Bibbia (barà), quindi la traduzione della CEI “mi ha creato” è tra le meno convincenti. Traduzioni alternative usate in italiano sono: mi possedette e mi formò. L’imbarazzo della scelta forse sta nel fatto che nella Bibbia in quasi tutti gli altri casi il verbo qanah significa comprare o acquistare, e così viene anche tradotto. In che senso allora Dio potrebbe aver “acquistato” la sapienza per creare il mondo?
La prima volta che viene usato questo verbo nella Bibbia si trova nel libro della Genesi:
“Or Adamo conobbe Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: «Ho
acquistato
(qanah) un uomo dal Signore»” (Genesi 4:1).
In un altro caso Mosè rimprovera il popolo con queste parole:
“È questa la ricompensa che date al Signore, o popolo insensato e privo di sapienza? Non è lui il padre che ti ha
acquistato?
Non è lui che ti ha fatto e stabilito?” (Deuteronomio 32:6).
E agli anziani di Betlemme Boaz dice:
“… ho pure
acquistato
Rut, la Moabita, moglie di Malon, perché sia mia moglie, per far rivivere il nome del defunto nella sua eredità” (Rut 4:10).
Sono esempi in cui non si tratta di comprare qualcosa, quindi potrebbero aiutarci in seguito a capire in quale senso Dio ha “acquistato” la sapienza. Il verbo nasak viene reso nelle traduzioni italiane correnti con le espressioni fui stabilita o fui costituita, di pari valore semantico.
Il verbo chul è tradotto con fui generata o fui prodotta, ma si tratta di scelte determinate dal significato che si vuol dare alla frase nel suo insieme, perché la radice di quel termine compare in una varietà di modi nella Bibbia.
Nella criptica autopresentazione della sapienza ci sono due aspetti che risaltano in modo particolare.
• Aspetto personale
La sapienza ha una personalità: è “qualcuno”. La sapienza chiama, istruisce, grida, esorta, riprende, governa, promette (Proverbi 8:1-21): dunque ha pensiero, volontà, capacità di decidere e agire. Si dirà che è un antropomorfismo, una personificazione. Ma personificazione di che cosa? Noi costruiamo una persona immaginaria usando un insieme di pensieri e giudizi che appartengono a noi, al nostro umano modo di vivere, ma in quale modo si potranno personificare i pensieri e i giudizi di Dio? Quale nuova immaginaria persona si potrà formare con questi elementi? Un altro dio forse, come pensa qualcuno, ma non può essere certo questa la nostra risposta. C’è un unico Dio che ha formato i cieli e la terra, come è stato rivelato agli uomini attraverso il popolo d’Israele: dunque da qui si deve sempre partire.
E’ possibile invece che attraverso passi “difficili” come questo, o come per esempio Giobbe 28, Dio voglia rivelare agli uomini, negli “strani” modi che gli appartengono, aspetti profondi della sua persona per il resto imperscrutabile. La sapienza di cui qui si parla non può essere che Dio stesso che si rivela agli uomini in un abito particolare.
Gli abiti con cui Dio si presenta alle creature sono diversi e devono essere volta a volta riconosciuti. Nel principio Dio si è rivelato come un
operatore
, cioè uno che lavora al fine di ottenere un risultato. E lo ottiene, con sei giorni di lavoro. E il risultato è pienamente soddisfacente: era tutto “molto buono”.
Ma prima di lavorare, Dio che cosa faceva? Risposta: Dio
pensava. Pensava al lavoro che avrebbe fatto in quei primordiali sei giorni, perché la creazione, prima ancora di apparire nella sua concretezza, è esistita nella mente di Dio come progetto. Ed è nel progetto, prima ancora che nella sua messa in opera, che si manifesta l’infinita sapienza di Dio. Si potrebbe dire allora che la Sapienza di cui qui si parla è Dio che si presenta nel suo abito di
progettista
• Aspetto temporale
Quattro volte nella traduzione italiana di questo testo è ripetuto l’avverbio prima (vv. 22, 23, 25) e due volte è nominato il principio (vv. 22, 23). All’inizio della creazione la sapienza era già là (v. 22), ma il suo esserci proveniva dall’eternità (v. 23). La creazione dunque ha avuto un inizio, la sapienza di Dio no: il Progettista ha necessariamente preceduto l’Operatore. Tra tutti gli esseri creati, l’uomo ha ricevuto la capacità di indagare sulla totalità dell’operato di Dio, e anche di provare a risalire nel tempo fino a tentare di arrivare alle origini dell’opera, ma oltre questo non può andare. Alla mente del Progettista l’uomo non ci arriva. Neppure con le sue più sofisticate tecniche filosofico-scientifiche. E quando si arrischia a provarci, scivola fatalmente su un piano di stoltezza che conduce alla follia. Il pensiero di Dio non è raggiungibile con opere, ma solo per rivelazione.
Con le nostre umane capacità possiamo esaminare gli oggetti creati, conoscerli, manipolarli, trasformarli, ma con quali strumenti potremo conoscere il pensiero di Dio? Il “come” delle cose fatte possiamo capirlo, ma il “perché” sono state fatte così chi è in grado di spiegarlo? Il personaggio misterioso che conosce la risposta è la biblica Sapienza. Dunque è Dio stesso, che si presenta in una uniforme che ne evidenzia l’autorità della posizione e dunque mette la creatura sull’avviso. Chi si avvicina non è autorizzato a fare domande: ascolta, prende atto e riflette. L’aspetto metaforico del nostro testo non sta dunque nella personificazione di concetti astratti, ma nella presentazione di un movimento all’interno dell’essere di Dio che si svolge come se fosse il rapporto tra due persone. Possiamo pensare alle parole del salmista:
Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio (Salmo 42:11).
L’anima a cui il salmista si rivolge con domande ed esortazioni non è dunque un’altra persona, anche se questa è la forma in cui quelle parole si presentano, ma lo stesso salmista in un suo particolare “stato d’animo”.
Poiché l’uomo è fatto a immagine di Dio, è legittimo pensare che anche nell’essere di Dio avvenga qualcosa di simile. Si potrebbe dire che la molteplicità di Dio nella sua unicità si esprime come presenza in Lui di più “anime”, da prendere in considerazione soltanto nella spiegazione di precisi testi biblici, non certo a supporto di fantasiose speculazioni filosofiche.
Il primo capitolo della Bibbia termina con queste parole:
Dio vide tutto quello che
aveva fatto,
ed ecco, era molto buono. Così fu sera, poi fu mattina: e fu il sesto giorno (Genesi 1:31).
Per sei giorni Dio si è mosso in veste di operatore affaticandosi nella costruzione del complesso edificio del creato, ottenendo alla fine un risultato che Egli stesso, in veste di esaminatore, ha giudicato molto buono. Ma l’opera è risultata molto buona perché evidentemente il progetto era stato pensato
molto bene.
Prima che come operatore, Dio ha agito come progettista; prima di formare il creato ha elaborato un progetto a cui ha messo mano con una sapienza che possedeva fin da prima dell'inizio dei lavori. Se allora pensiamo alla sapienza come a un progettista, si può tradurre quel qanah del v. 22 col verbo “acquistare”, proprio come nel primo parto di Eva: “Il Signore
mi acquistò
all’inizio dei suoi atti”. E' come se al momento opportuno Dio avesse "acquistato" un valido progettista, associandolo a Sé col compito di dare forma al progetto e seguire i lavori fin dall’inizio, passo dopo passo, cosa che poi il progettista-architetto ha puntualmente fatto confermando una sapienza che non gli proveniva dall’esperienza ma che aveva “fin dall’eternità” (v. 23). Il nostro brano sposta dunque l’attenzione dall’opera
della creazione al
pensiero
da cui è scaturita, e più precisamente all’ideatore
che l’ha pensata. Non è forse questo il modo in cui si producono tutte le grandi opere umane? Ma se con un’attenta indagine tecnica e storica si può arrivare a conoscere chi è stato il progettista di una grande opera, come per esempio il duomo di Milano, e quale ne sia stata l’idea originaria, chi può risalire dall’osservazione degli oggetti creati al pensiero originario del Creatore? Chi ha consultato l’Eterno prima che desse il via alla creazione, fissandone in anticipo le regole di funzionamento? C’è qualcuno che sa rispondere?
“O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e incomprensibili le sue vie! Poiché: “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo, e gli sarà contraccambiato?” Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen” (Romani 11:33-36).
Queste parole dell’apostolo Paolo fanno riferimento a un passo del profeta Isaia:
“Chi ha preso le dimensioni dello Spirito del Signore o chi è stato il suo consigliere per insegnargli qualcosa? Chi ha egli consultato perché gli desse istruzione e gli insegnasse il sentiero della giustizia, gli impartisse la sapienza, e gli facesse conoscere la via del discernimento?” (Isaia 40:13-14).
Dov’è fra gli uomini il designer a cui Dio si è rivolto per avere consigli su come creare e gestire il mondo? Nessuno certamente sostiene di essere stato il consigliere di Dio, ma molti forse avrebbero voluto esserlo, perché a parer loro molte cose non vanno bene nella creazione e molto volentieri farebbero domande a Dio, per averne esaurienti risposte. Sono destinati a rimanere delusi, perché sta scritto:
“In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d’Israele, o Salvatore!” (Isaia 45:15).
L’empio che con viso altero dice di non credere a Dio perché non lo trova da nessuna parte deve sapere che il suo caso non è strano: se non trova Dio è perché Dio si nasconde ai suoi occhi. Un giorno lo incontrerà, e non sarà un incontro gradevole per lui:
“Poiché l'Eterno degli eserciti ha un giorno contro tutto ciò che è orgoglioso e altero, e contro chiunque si innalza, per abbassarlo (Isaia 2:12).
Dio però non agisce sempre e con tutti così, perché in certi momenti fa sentire alta la sua voce, che arriva agli uomini con una parola contenente ordini e promesse. Chi risponde a questa parola con fiducia ubbidiente e gratitudine arriva a sperimentare una conoscenza di Dio che si esprime in un rapporto d’amore con Lui. E’ interessante allora osservare che nelle parole di questo brano, in cui Dio rivela Se stesso in forma di sapienza, non ci sono appelli agli uomini con inviti, promesse, minacce al fine di influenzare i loro pensieri e spingerli ad avvicinarsi a Lui.
“… ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di
gioia giorno dopo giorno,
mi rallegravo
in ogni tempo in sua presenza;
mi rallegravo
nella parte abitabile della sua terra, trovavo la
mia gioia tra i figli degli uomini” (vv. 30-31).
Questa non è la personificazione di astratti concetti umani di giustizia, pace, libertà, ma pura e gratuita rivelazione di Sé che Dio fa agli uomini come destinatari del suo progetto di amore creativo. Un amore che è fonte di gioia. Dio si rallegra nel compimento del progetto che è nella sua mente; si rallegra fin dall’inizio, giorno dopo giorno, mentre lavora alla sua opera; si rallegra pensando al compimento finale del suo progetto, quando troverà la sua piena gioia tra i figli degli uomini:
E udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio (Apocalisse 21:3).
Il campo d'azione della sapienza di Dio si estende dall’inizio della creazione (e anche prima, come abbiamo visto) fino al compimento dell’intero progetto di Dio: dal principio alla fine, dall’alfa all’omega, dalla Genesi all’Apocalisse. L’uomo vorrebbe avere una sapienza che gli permetta di spiegare la realtà in tutti i suoi aspetti; vorrebbe avere la capacità di collocare ogni fatto, di qualunque tipo, naturale, personale, sociale in un quadro esplicativo ben ordinato e chiaro. Ma esiste una tale sapienza fondamentale? Ha senso cercarla? Il capitolo 28 del libro di Giobbe contiene un elenco di opere grandiose (Giobbe 28:1-11) che l’uomo sa fare e ha fatto, a cui seguono alcune domande:
12 Ma la sapienza, dove trovarla? Dov'è il luogo dell'intelligenza? 20 Da dove viene dunque la sapienza? Dov'è il luogo dell'intelligenza?
E le risposte sono queste:
13 L'uomo non ne conosce la via, non la si trova sulla terra dei viventi.
21 Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente, è celata agli uccelli del cielo.
Si confermano così le parole del profeta Isaia: “In verità tu sei un Dio che ti nascondi” (Isaia 45:15). Che cos’è allora questo oggetto che l’uomo cerca affannosamente e pur con tutte le sue più potenti tecniche di ricerca non riesce a trovare? Nel libro di Giobbe si chiama “sapienza”; per l’uomo di oggi si potrebbe trovare un nome a lui più immediatamente accessibile: “senso della vita”. Si provi a rileggere il capitolo 28 del libro di Giobbe con la sostituzione di termini qui proposta: ne verrebbero fuori frasi interessanti. Qualche esempio leggermente adattato:
Il senso della vita, dove trovarlo?
Dove si trova il senso della vita? L’uomo non ne conosce la via, non lo si trova sulla terra dei viventi. Da dove viene dunque il senso della vita? Dov'è il luogo in cui si trova?
Esso è nascosto agli occhi di ogni vivente, è celato agli uccelli del cielo. L'abisso e la morte dicono: 'Ne abbiamo avuto qualche sentore'. Dio solo conosce la via che vi conduce, egli solo sa il luogo dove abita.”
Tornando all’uso biblico del termine, il capitolo 28 del libro di Giobbe si conclude con l’indicazione della via che conduce alla vera sapienza:
“Dio solo conosce la via che vi conduce, egli solo sa il luogo dove abita, perché il suo sguardo giunge sino alle estremità della terra, perché egli vede tutto quello che è sotto i cieli. Quando regolò il peso del vento e fissò la misura delle acque, quando diede una legge alla pioggia e tracciò la strada al lampo dei tuoni, allora la vide e la rivelò, la stabilì e anche la investigò. E disse all'uomo: 'Ecco: temere il Signore: questa è la sapienza, e fuggire il male è l'intelligenza'” (Giobbe 28:23-28).
Ma se temere il Signore è la sapienza e fuggire il male è l’intelligenza, allora si potrebbe dire che Giobbe era un uomo che aveva ottenuto entrambe: sapienza e intelligenza. Dio stesso infatti aveva dato di lui una testimonianza ineccepibile: “Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male” (Giobbe 1:8). Perché allora Dio colpisce in modo così duro proprio un uomo che aveva in sé la misura massima di sapienza che un mortale può avere sulla terra? Conosciamo la malefica richiesta di Satana a Dio (Giobbe 1:6-12); e sappiamo anche che è stata approvata per motivi tutti da indagare (ved.
“Il mio servo Giobbe”
). Il tormento di Giobbe non rappresenta il mistero della sofferenza umana - come usualmente si dice -, ma lo scandalo, a prima vista, dell’ingiustizia divina. Giobbe però non è un accusatore violento che vorrebbe distruggere il nemico di cui si considera vittima; si sente piuttosto come un amante tradito, abbandonato e spietatamente calpestato, senza che gli sia chiaro il perché di un trattamento così brutale. Eleva allora a Dio i suoi appassionati perché? che spesso diventano denunce:
“Perché mi hai tratto dal grembo di mia madre?” (10:18); “Perché mai vivono gli empi? Perché arrivano alla vecchiaia e anche crescono di forze?” (21:7); “Perché non sono fissati dall'Onnipotente dei tempi in cui renda la giustizia?” (24:1).
Come detto, l’elemento in gioco in questa contesa è la giustizia. Giobbe sente su di sé il peso di una condanna di cui non conosce i motivi e che non accetta:
Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni (27:6).
Non sono io ad essere ingiusto - pensa Giobbe -, è ingiusto il codice legislativo che condanna un fedele servo di Dio come me e assolve i colpevoli. E invoca giustizia:
Alla fine, dopo tanto combattere e tormentarsi, Giobbe decide di lanciare una sfida all’Onnipotente. Sa di essere stato pesato e trovato mancante dalla bilancia della giustizia di Dio; ma per lui quella bilancia non è giusta. Allora chiede formalmente a Dio di rispondergli per iscritto, con un preciso testo d'accusa che gli dia la possibilità di difendersi (Giobbe 31:35-40). Che farà Dio con quella palla in mano? A Giobbe la sua richiesta appare profondamente giusta. Quindi se Dio continuerà a tacere vorrà dire che dalla parte ingiusta ci sta Lui: Giobbe allora smetterà di cercarlo e seguirà il consiglio di sua moglie. Come mai una persona che temeva Dio e fuggiva il male, quindi aveva in sé il massimo di sapienza e intelligenza che sulla terra si possa avere, è arrivato al punto di sfidare l’Altissimo imputandogli gravi colpe nel suo modo di agire e giudicare? Bisogna tener conto che Satana, dopo aver ottenuto da Dio il permesso di avere Giobbe nelle sue mani, non aveva esaurito le sue possibilità di azione abbattendosi su proprietà, famiglia e salute della sua preda, ma certamente aveva continuato ad agire sul piano dei suoi pensieri, premendo su di lui con le provocazioni che gli venivano dagli amici, tenuti anch’essi dentro il campo del suo mirino. La tecnica d’azione era ben collaudata: l’aveva già usata con Adamo ed Eva nel giardino di Eden. Si trattava di indurre la creatura a mettere in discussione le parole del Creatore. In questo caso Giobbe doveva essere spinto non soltanto a discutere, ma anche a giudicare le parole di Dio e ad esigere da Lui soddisfacenti spiegazioni. In altre parole, Giobbe doveva esigere di poter trattare alla pari con Dio, per finire poi sotto il dominio totale di Satana. Il rischio di cadere per sempre nelle mani di Satana è stato grande per Giobbe. Dio non gli risponde subito, ma prima lo fa “cucinare” dal suo servo Elihu (Giobbe 32:1-37:24). Quando è ben cotto Dio si rivolge a lui tra tuoni e fulmini (Giobbe 37:2-5, 38:1), come poi farà con Israele sul monte Sinai. La risposta di Dio apparirà a molti deludente. In quattro capitoli (da 38 a 41) non c’è alcun accenno ai tormenti di Giobbe, nessuna “empatia” (parola che oggi piace molto) con chi è ora piegato sotto colpi terribili, nessun riferimento al problema universale della sofferenza umana. Ma non c’è neanche alcun riferimento alla giustizia, che era invece il campo su cui Giobbe aveva sfidato Dio con la formale domanda di poter venire a conoscere le sue trasgressioni, pretendendo di riceverne una risposta chiara in forma scritta: “L’Onnipotente mi risponda! Scriva l’avversario mio la sua querela” (Giobbe 31:35). La questione dunque si sposta di campo, come quando dal vaglio del comportamento di un cittadino in relazione alle leggi esistenti (giustizia) si passa alla valutazione del legislatore in relazione al posto che occupa (legittimità). Nel secondo caso è il legislatore che deve rispondere a chi gli fa domande. Proprio questo fa Giobbe: rivolge domande a Dio, chiedendo che gli sia fornita la prova della legittimità della sua posizione di giudice delle azioni degli uomini, perché a quel che vede nel suo caso, Dio non sa ben giudicare in fatto di giustizia (Giobbe 9:22-24, 29-31): Dunque Giobbe, esempio di sapienza e intelligenza perché teme Dio e fugge il male, sotto l’impulso di Satana abbandona il timor di Dio e usa la sua sapienza umana per tentare la scalata alla sapienza di Dio. E lancia una sfida a un avversario che non sa ancora se ascolta e si presenterà. Ma Dio ascolta e alla fine si fa sentire:
“Allora l'Eterno rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse: “Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?” (Giobbe 41:1-2).
Dio non entra subito in argomento, ma si rivolge a Giobbe senza nominarlo, con un “costui” interrogativo, come se non sapesse chi è che gli parla. Ai suoi amici Giobbe aveva detto di non riconoscere più il suo Dio che una volta gli era amico e lo proteggeva (Giobbe 29:1-6), mentre ora gli è nemico e lo getta nel fango (Giobbe 30:19-22). Adesso è Dio che non riconosce più Giobbe, tanto sono cambiate le sue parole: una volta parlava di Dio con parole di sapienza e intelligenza, ora invece contrasta la sua volontà con parole prive di senno. Parla parla parla, ma non sa quello che dice. Giobbe comunque ha lanciato una sfida e Dio l’accetta. Un’autentica sfida a duello, non a colpi di pistola, come nel Far West, ma a colpi di domande, come in tribunale. E cavallerescamente invita il suo avversario a prepararsi al duello:
"Orsù, cingiti i lombi come un prode; io ti farò delle domande e tu insegnami!" (38:3).
Giobbe aveva già fatto le sue domande in precedenza, adesso tocca a Dio fare la sua prima. E quella che fa è micidiale:
“Io ero presso di te quando ponevi le fondamenta della terra”, avrebbe potuto rispondere Giobbe, se fosse stato lui quella misteriosa figura che il Signore “ebbe con sé al principio dei suoi atti” (Proverbi 8:22, 29-30); “io ero là quando disponevi i cieli e tracciavi un circolo sulla superficie dell’abisso” (Proverbi 8:27), avrebbe potuto aggiungere a conferma di essere proprio lui quella figura originaria che adesso nel suo parlare mostra di avere “tanta intelligenza”. Riusciamo a cogliere la sublime ironia con cui Dio recupera misericordiosamente un suo fedele servitore duramente colpito che corre il rischio di smarrirsi in un’irrecuperabile follia se dovesse perseverare nei suoi stolidi pensieri? E’ chiaro che con quella domanda il duello è concluso. Un ipotetico arbitro avrebbe già assegnato la vittoria. Per abbandono. Che risposta infatti avrebbe potuto dare lo sfidante a quella domanda? Ma nel racconto biblico Giobbe resta lì come un pugile in mezzo al ring, colpito da domande sempre più incalzanti:
Hai tu mai comandato in vita tua al mattino? Sei tu penetrato fino alle sorgenti del mare? Hai tu visto le porte dell'ombra di morte? Hai tu abbracciato con lo sguardo l'ampiezza della terra? Sei tu entrato nei depositi della neve? Sei tu che stringi i legami delle Pleiadi? Sei tu che al suo tempo fai apparire le costellazioni?
E così avanti per due capitoli. Alla fine si ha la resa incondizionata:
"Allora Giobbe rispose all’Eterno e disse: ‘Ecco, io sono troppo meschino; che ti risponderei? Io mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non riprenderò la parola, due volte... ma non lo farò più" (Giobbe 40:3-4).
La stessa cosa dovrebbe fare chiunque pensi di poter risalire con la sua sapienza umana fino alle origini della sapienza di Dio; o per dirla in modo non religioso, fino a poter scoprire il senso ultimo della vita. Chi prova a farlo s’introduce in un labirinto senza vie d’uscita in cui è condannato ad aggirarsi senza posa in uno stato d'animo che rasenta la follia. No, non può essere Giobbe quel “qualcuno” che era con Dio “fin dall'eternità, dal principio, prima che la terra fosse”, che era sempre presso di Lui e seguiva i lavori “come un architetto (artefice)”. E c’è un motivo in più: la gioia. La gioia che proveniva dall’essere sempre “al cospetto” di Dio e traboccava “tra i figli degli uomini”. Giobbe invece, prima di essere strapazzato da Elihu era caduto in uno stato di cupo odio verso gli uomini e di collera contro Dio (Giobbe 30). Soltanto dopo essersi umiliato e aver riconosciuto la stoltezza del suo parlare, Dio gli fa sperimentare la gioia di una sovrabbondante benedizione (Giobbe 42:10-17). Riprendiamo allora gli ultimi due versetti 30 e 31 del nostro testo:
Io ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno,
mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza; mi rallegravo nella parte abitata della sua terra, trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini.
E paragoniamoli con un passo molto noto del Vangelo di Luca, capitolo 2:
- In quella stessa regione c'erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge.
- E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro e furono presi da gran timore.
- E l'angelo disse loro: “Non temete, perché ecco, vi reco la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà:
- 'Oggi, nella città di Davide, è nato a voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore.
- E questo vi servirà di segno: troverete un bambino fasciato e coricato in una mangiatoia'”.
- E a un tratto vi fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “
- Gloria a Dio
nei luoghi altissimi, pace in terra tra gli uomini che egli gradisce!”
L’esuberante gioia che nella sua eterna sapienza Dio ha provato nel fondare la terra avendo in mente il progetto di vivere un giorno quella gioia in mezzo agli uomini che l’avrebbero abitata, comincia a compiersi in quel bambino coricato in una mangiatoia e trovato dai pastori. Ha quindi senso sostenere che in quel “qualcuno” di Proverbi 8 è delineata la figura del Messia che si è presentato a Israele nella persona di Gesù di Nazaret. Il punto cruciale del progetto che Dio nella sua sapienza ha elaborato fin dall’eternità e ha iniziato con l’opera della creazione sta nella discesa sulla terra della Sapienza di Dio nella persona di Gesù Cristo, “nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti” (Colossesi 2:3). La tesi proposta è discutibile, nel senso letterale che è lì per essere discussa, cosa che certamente non si può fare in questa sede. Qui diciamo soltanto, sulla base della Bibbia, che la sapienza come “senso della vita” è pienamente rivelata da Dio agli uomini nella persona di Colui che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6). Certo, dare fiducia a un uomo che dice di essere via, verità e vita e poi finisce il suo percorso terreno inchiodato su una croce non è sapienza per il mondo, ma pazzia; e se quest’uomo si presenta ai giudei come Messia, per loro è uno scandalo. Ma questo conferma che agli uomini è impossibile scoprire con i propri mezzi qual è il senso della vita, cioè trovare la via che conduce alla vera sapienza: “Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente… Dio solo conosce la via che vi conduce” (Giobbe 28:21,23). Ma anche questo, Dio nella sua sapienza l’aveva previsto.
1 CORINZI 1
- «Dov'è il sapiente? Dov'è lo scriba? Dov'è il contestatore di questo secolo? Dio non ha forse resa pazza la sapienza di questo mondo?
- Poiché, visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione.
- Poiché i giudei chiedono segni e i greci cercano sapienza,
- ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i giudei è scandalo e per i gentili pazzia,
- ma per quelli che sono chiamati, tanto giudei quanto greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio,
- poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.
- Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili,
- ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savi, Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti
- e Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose sprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono,
- affinché nessuno si glori davanti a Dio.
- Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione,
- affinché, com'è scritto: “Chi si gloria, si glori nel Signore”
(Notizie su Israele, 30 aprile 2023)
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