Riflessioni
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I faziosi di centro
Quando si parla di conflitti umani, molti amano dire che le ragioni non stanno mai tutte da una parte sola, ma devono essere suddivise opportunamente tra i due contendentI. Qui invece si vuole sostenere la tesi che in quasi tutti i conflitti umani in un dato momento c'è una parte che ha ragione e l'altra che ha torto. Negare questo non significa equanimità, ma faziosità mascherata.
Dire che una parte ha ragione e l'altra ha torto non significa dire che chi ha ragione non ha anche dei torti, e chi ha torto non ha anche delle ragioni. Uno dei due ha ragione (al singolare), pur avendo probabilmente anche dei torti (al plurale), e l'altro ha torto (al singolare), pur avendo probabilmente anche delle ragioni (al plurale). Solo dopo che si sia stabilito secondo giustizia chi ha ragione in senso primario, e di conseguenza chi ha torto in senso primario, si può passare ad esaminare le ragioni e i torti secondari che possono essere attribuiti all'una o all'altra parte. Fare invece una distribuzione di torti e ragioni prima della sentenza dichiarativa di ragione e torto in senso primario non significa essere equanimi e giusti, significa essere dei faziosi che pervertono la giustizia facendo mostra di ricercare una superiore giustizia "super partes".
Fazioso non è colui che si schiera da una parte o dall'altra, fazioso è colui che fa questo per illegittimi interessi personali e non per motivi di giustizia. Se il fazioso di parte si schiera per motivi interessati per l'uno o per l'altro dei contendenti, il fazioso di centro, non avendo particolari interessi per l'una o l'altra parte, ha come unico interesse il desiderio di non essere coinvolto nella disputa e di essere lasciato in pace. Allora, con un elegante saltino, si mette al di sopra di tutti e impartisce lezioni di moralità a destra e a manca. Evita le fatiche della ricerca di giustizia, protegge la sua neutrale tranquillità e si compiace della sua superiorità morale. La sua faziosità sta in questo: che parteggia per se stesso. Di faziosi di questo tipo ce ne sono parecchi in giro, e con la loro pretesa di equanime superiorità morale inquinano l'aria dei luoghi in cui si ricerca la verità e la giustizia.
Il rifiuto di valutare le contese in termini di percentuale di ragioni e torti ha la pretesa di essere un modo di ragionare conforme a una mentalità biblica. Per mentalità biblica non s'intende la capacità di citare versetti della Scrittura in appoggio a una data tesi, ma un modo di pensare, assimilato attraverso la familiarità con la Bibbia, che entra a far parte della persona e che se non sempre indica subito la soluzione di un problema, fa capire in quale modo e in quale direzione deve essere ricercata.
La cosa è particolarmente vera quando la contrapposizione riguarda un oggetto su cui la Bibbia ha qualcosa di preciso da dire.
Nella Scrittura non si trovano ragionamenti del tipo: lui ha l'80% delle ragioni e il 20% di torti. La Bibbia, per dirla in forma matematica, predilige il linguaggio binario: il discorso procede secondo una serie di alternative sì/no. Per esempio, nel conflitto tra Giacobbe e Esaù, chi aveva ragione? O meglio: a chi Dio ha dato ragione? E' giusto dire che Giacobbe aveva ragione e Esaù torto? O bisogna evitare di porre la domanda in questo modo e ricercare la percentuale di ragioni e torti che avevano entrambi? Quale percentuale di ragioni si dovrebbe attribuire a Esaù? Ragionando con le consuete categorie umane, forse anche più del 50%. Dio invece afferma: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù". Punto. E l'equanime obiettività dove va a finire? A Giacobbe è stata riconosciuta la ragione, anche se nel suo aver ragione ha messo insieme una serie di torti che in seguito ha dovuto pagare; Esaù ha avuto torto, anche se nella successiva riappacificazione con Giacobbe si è comportato in modo più generoso e nobile del fratello. Dio ha dato ragione a Giacobbe e torto a Esaù (si esclude in modo deciso la semplicistica spiegazione predestinataria).
Altre contrapposizioni bibliche si potrebbero citare, come quelle tra Abele e Caino, Sara e Agar, Davide e Saul, Giobbe e i suoi amici, Giuseppe e i suo fratelli.
Nel Salmo 1, che può essere considerato un'introduzione all'intero libro dei Salmi, compaiono soltanto due personaggi: il giusto e l'empio. Dove va a finire allora tutta quella gamma di sfumature comportamentali, di giudizi bilanciati, di condizionamenti genetici e culturali a cui i nostri psicologi ci hanno abituati? La differenza tra l'humus biblico e quello sociologico dipende dal fatto che nella Bibbia quando su un certo oggetto Dio ha espresso la sua volontà, quando ha fatto arrivare in modo chiaro la sua Parola, la risposta dell'uomo può essere soltanto un sì o un no.
Di questo tipo è l'intera questione ebraica e, in particolare, la controversia mediorientale sulla terra d'Israele. La questione può essere così formulata: il popolo ebraico ha diritto, in senso biblico e in senso giuridico, ad avere la sua nazione ebraica, sulla sua terra dal Giordano al mare, con Gerusalemme capitale unica e indivisibile?
Chi dice sì, ha ragione; chi dice no, ha torto.
Chi non dice né sì né no, non perché sinceramente non ha ancora le necessarie conoscenze, ma perché non vuole lasciarsi coinvolgere e preferisce riservarsi la possibilità di dire sì e no secondo le convenienze, in forma attenuata e frammischiata, è un fazioso. Di centro.
Antisemitismo: una malattia dei gentili
La problematica convivenza degli ebrei con le popolazioni dei vari paesi in cui hanno abitato costituisce quella che si chiama la cosiddetta "questione ebraica", fonte di ricorrenti problemi che hanno assunto nel tempo forme diverse ma risultati sempre uguali. Un importante uomo del passato ha elencato una serie di misure pratiche da adottare per risolvere questi problemi e regolare la difficile convivenza con gli ebrei, e le ha presentate come un suo "sincero consiglio". Eccone alcuni estratti:
- In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto.
- Secondo: bisogna smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari, perché sappiano che non sono signori del nostro Paese, come invece si vantano di essere, ma sono in esilio e prigionieri, come essi dicono incessantemente davanti a Dio strillando e lamentandosi di noi.
- Terzo: bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie.
- Quarto: bisogna proibire ai loro rabbini - pena la morte - di continuare a insegnare, perché essi hanno perduto il diritto di esercitare questo ufficio.
- Quinto: bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perché essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono né signori, né funzionari, né mercanti, o simili.
- Sesto: bisogna proibire loro l'usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e i gioielli d'argento e d'oro, e tenerlo da parte in custodia. E il motivo è questo: tutto quello che hanno (come sopra si è detto), lo hanno rubato e rapinato a noi attraverso l'usura, perché, diversamente, non hanno altri mezzi di sostentamento.
- Settimo: a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, conocchia, fuso, in modo che guadagnino il loro pane col sudore della fronte, come fu imposto ai figli di Adamo, al terzo capitolo della Genesi. Poiché non è giusto che essi vogliano far lavorare noi, maledetti goijm [non ebrei, ndr] nel sudore della nostra fronte, e che essi, la santa gente, vogliano consumare pigre giornate dietro la stufa, a ingrassare e scorreggiare, vantandosi in questo modo blasfemo di essere signori dei cristiani, grazie al nostro sudore. A loro bisognerebbe invece scacciare l'osso marcio da furfanti dalla schiena!
Chi non è a conoscenza di certi fatti storici si chiederà chi può essere il feroce antisemita che ha scritto queste parole, e forse resterà sorpreso nel venire a sapere che si tratta di Martin Lutero, il quale le ha scritte, insieme ad altre peggiori nefandezze, in un libello pubblicato nell'anno 1543. Se chi legge è un protestante o un cristiano evangelico abituato a considerare con ammirazione la figura del noto riformatore germanico si chiederà forse come mai queste prese di posizione, anche se ben note agli storici, siano state così poco sottolineate, divulgate e controbattute. La risposta è semplice: perché molti protestanti ne condividevano la sostanza, anche se non tutti i particolari e la sanguigna virulenza delle espressioni. Ma certamente tutti, se interrogati di persona, avrebbero assicurato di non essere antisemiti. L'antisemitismo infatti è una malattia che ha questa caratteristica: per riconoscerla negli altri bisogna non averla in se stessi.
Se non è amore, prima o poi diventa odio
Nei confronti del popolo ebraico si possono avere tre tipi di sentimenti: amore, odio o indifferenza.
Nei momenti critici lindifferenza si trasforma in odio.
Ipocrisia laica
Quando dunque fai l'elemosina, non far sonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno (Matteo 6:2).
Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno (Matteo 6:5).
E quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno (Matteo 6:16).
L'ipocrita, come dice il termine originale greco, è un attore. Come tutti i bravi attori, deve saper recitare diverse parti, ma in ogni caso il suo obiettivo è uno solo: essere osservato dal pubblico, suscitarne il gradimento e alla fine ottenere il premio dell'applauso finale.
Nei passi citati Gesù descrive tre tipi di ipocrita religioso: quello che fa la parte del buono aiutando i bisognosi con l'elemosina; quello che fa la parte del pio mettendo in mostra la sua devozione religiosa; quello che fa la parte del super-pio facendo vedere che la sua pietà lo spinge a pagare di persona, che non agisce per tornaconto personale ma è pronto a soffrire per il suo ideale religioso. In tutti i casi il motivo di fondo è sempre lo stesso: essere visti dagli uomini e ottenerne in premio l'ammirazione.
Sono modelli di ipocrisia diventati ormai classici, e gli ebrei non devono adombrarsi per il contesto in cui Gesù li presenta, perché le concretizzazioni pratiche di quei modelli abbondano in tutte le religioni, anche e soprattutto in quella cristiana.
Ma esistono anche altri tipi di concretizzazione di quei modelli: le ipocrisie laiche.
L'ipocrisia laica naturalmente avviene in relazione con una religione laica, che in quanto tale non fa riferimento a un dio trascendente, ma orienta la sua devozione verso un ideale di ottimizzazione della convivenza umana. E poiché non si ha convivenza ottimale se in una popolazione alcuni soffrono per le angherie di altri, il buon religioso laico in questi casi sente l'obbligo morale di alzare la sua voce, esprimere la sua disapprovazione ed essere pronto a personali sacrifici (è scappata sotto la penna la terminologia religiosa) a favore dei sofferenti oppressi.
Oggi nel mondo è apparsa una figura nuova, emblematica: la figura del "palestinese sofferente". Perché sofferente? Perché nell'immaginario collettivo mondiale una malefica entità sionista, che vuol essere chiamata "Stato ebraico d'Israele", ha occupato la terra del popolo palestinese, il quale per questo e per tutte le angherie subite diventa nell'opinione pubblica l'epitome della sofferenza umana.
Senza entrare qui in questioni di verità e giustizia, cioè senza entrare nel merito delle ragioni che hanno portato a questa situazione e dell'attendibilità delle descrizioni che ne vengono fatte; quindi anche volendo accettare che ci sono ingiustizie e sofferenza autentiche, resta la domanda: perché tante persone avvertono l'urgenza di alzare la loro voce per queste ingiustizie, e non per altre? per queste sofferenze, e non per altre? Sono davvero queste le più grandi ingiustizie al mondo? Sono davvero queste le più grandi sofferenze al mondo? Qual è l'ideale di ottimizzazione della convivenza umana che si vuole perseguire e che richiede impellentemente di fare queste critiche, e non altre, queste stigmatizzazioni. e non altre? E perché si sceglie di farle in pubblico, con il più grande rumore possibile?
Risposta: per essere visti dagli uomini, suscitarne il gradimento e ottenerne in premio l'ammirazione.
E questa è ipocrisia. Ipocrisia laica.
Quasi sempre gli antisemiti non ammetterebbero mai di esserlo
Quasi sempre gli antisemiti non ammetterebbero mai di esserlo perché quel termine brucia e li fa vergognare. Dopo la Shoah, l'antisemitismo è stato confinato in una zona desertica. Abbandonato, almeno nominalmente, da tutti. Per poi trovare nuovi e più protetti canali dentro cui scorrere veloce. No, nulla contro gli ebrei ma semmai contro gli israeliani, quelli sì che sono infami. No, nulla contro gli ebrei, ma attenzione alla strapotenza ebraica che governa i processi storici della terra. No, nulla contro gli ebrei, ma come negare che siano avidi, che appartengano a «una razza» dura a morire? Come non riconoscere che formino una setta cosmopolita che non lascia entrare gli estranei, che si autoprotegge, pronta ad avere la meglio su chi non appartiene a quel gigantesco club privé?
Sopravvive perfino un antisemitismo che si suole definire «innocente», risultato irriflessivo di narrazioni leggendarie lontane e magari assorbite per via indiretta. Un modo di ripetere senza capire, senza valutare il peso delle parole. Un'ovvietà, insomma, indiscussa e che non viene nemmeno percepita come maligna, pericolosa, infame. È un sentire vissuto come naturale, non dimostrabile, pieno nella sua semplice e indimostrata rotondità. Ma proprio tale presunta naturalità dovrebbe preoccuparci molto e farci capire che questa società e questa civiltà, e persino questa nostra vita, devono fare ancora i conti con un problema essenziale o irrisolto o non del tutto chiarito.
(Da "I soliti ebrei" di Daniele Scalise)
Nazioni buone e nazioni cattive
Riguardo a Israele le nazioni si dividono in due: quelle buone e quelle cattive. Le cattive lo vogliono distruggere, le buone lo vogliono educare. Al discoletto Israele le nazioni buone dicono: se non vuoi che le cattive ti distruggano, devi fare quello che ti diciamo noi. Col passare del tempo però le cattive diventano sempre più cattive e le buone sempre più preoccupate. Non della cattiveria delle cattive, perché loro, che sono buone, non si permettono di giudicare le cattive. Si preoccupano invece di quello che causa la cattiveria. E scoprono che la causa si trova in Israele.
Le nazioni buone però continuano a distinguersi dalle cattive, perché queste vogliono distruggere Israele, mentre loro lo vogliono salvare. Vogliono salvarlo da sé stesso, dalla sua insensatezza che lo porta ad irritare i suoi vicini e a renderli aggressivi, con il rischio di provocare una nuova strage di ebrei.
Le nazioni buone hanno due obiettivi, entrambi buoni: la salvezza degli ebrei e l'ottenimento della pace. Con la sua politica - dicono - Israele mette a rischio entrambe le cose. L'esempio più grave è l'ottusa caparbietà con cui si ostina a voler tenere nelle sue mani il governo dell'intera Gerusalemme. In questo modo gli israeliani mettono a repentaglio la stabilità del mondo e sé stessi, perché i primi a pagarne le spese sarebbero proprio loro.
Le nazioni buone avvertono allora l'obbligo morale di fare qualcosa, non per distruggere Israele, ma per il suo bene e per la pace nel mondo. Una cosa sembra a loro sempre più chiara: non è possibile continuare a lasciare nelle mani degli ebrei il governo di Gerusalemme perché - pensano - prima o poi le nazioni cattive si avventeranno contro Israele e cercheranno di strappargli di mano il governo della Città Santa, spiritualmente rivendicata da tre grandi religioni. Con insensata ostinazione gli israeliani continuano invece a considerare Gerusalemme l'unica, eterna e indivisibile capitale del loro stato, addossandosi così il carico di una tremenda responsabilità internazionale che può condurre alla distruzione del loro stato e alla fine della pace nel mondo.
Per sventare la minaccia di un'aggressione violenta a Israele da parte delle nazioni cattive, le nazioni buone si mobilitano allora per convincere le Nazioni Unite a farsi carico in proprio del governo di Gerusalemme, togliendolo dalle mani degli insensati ebrei. Naturalmente cercano di ottenere il risultato per vie pacifiche, perché loro sono buone, e quindi usano le usuali norme stabilite dal diritto internazionale per tentare di anticipare e sventare le iniziative violente delle nazioni cattive. Alla fine ci riescono e, sia pure con diverse motivazioni e diversi obiettivi, le Nazioni Unite, cioè quelle buone insieme a quelle cattive, chiedono a Israele di lasciare a loro il governo di Gerusalemme.
Anche in questo caso le nazioni buone cercano di ottenere il risultato con le buone, appunto perché sono buone. Le nazioni cattive invece dopo un po' di tempo perdono la pazienza e minacciano di ricorrere unilateralmente alle maniere cattive. Questo mette in allarme le nazioni buone, perché le nazioni cattive che, al contrario di loro, sono cattive, non vogliono la pace: loro vogliono semplicemente la distruzione di Israele. Le nazioni buone invece vogliono salvarlo, e salvare la pace nel mondo.
Alla fine le nazioni buone riescono a convincere le Nazioni Unite che per preservare la pace nel mondo minacciata dalla cocciutaggine di Israele non bisogna permettere che singole nazioni cattive si facciano giustizia da sé. Deve essere l'organizzazione delle Nazioni Unite, rappresentante legittima di tutti i popoli della terra, a farsi carico in proprio del governo di Gerusalemme, togliendolo dalle mani del ribelle Israele con un'operazione di polizia internazionale. Non saranno dunque singole nazioni cattive a scagliarsi contro Israele per motivi illegittimi, ma sarà l'insieme ordinato di tutte le Nazioni Unite della terra a muoversi in guerra contro Gerusalemme per motivi internazionalmente legittimi, cioè per il bene di Israele e per mantenere la pace nel mondo.
«Come cerva che, assetata, brama un limpido ruscel»
Come cerva che, assetata,
brama un limpido ruscel
così afflitta e contristata,
lalma mia si volge al ciel.
E Ti cerca, o Dio damor,
e ti narra il suo dolor,
ed aspetta la parola
che conforta, che consola.
Ma tu tardi, e allor mi chiede
dei nemici Tuoi lo stuol:
«A che vale la tua fede?
il tuo Dio ti lascia sol!».
Ed il dubbio notte e dì
in me penetra così,
che resister più non giova
al torrente della prova.
Alma mia, non dubitare,
ma confida nel tuo Re,
quandEi sembra più tardare,
non temere, Egli è con te.
Lora attesa alfin verrà
che vittoria ti darà
e allIddio tre volte santo
scioglierai di lode un canto.
(Teodorico Pietrocola Rossetti, 1825-1883)
«... abbiamo visto come venisse spontaneo al Rossetti terminare un articolo con alcuni versi, sia che questi fossero di un inno composto in precedenza o sia che fossero ispirati in occasione dai concetti esposti nell'articolo stesso. Esprimersi in versi era per lui un dono naturale di cui si serviva con molta facilità. [...] Il Rossetti si nutriva giornalmente delle Sacre Scritture, le possedeva nella mente e nel cuore, le viveva. Negli inni, non credo sia azzardato affermare che il nostro seppe riprodurre in versi il Vangelo, mantenendo quella perfetta semplicità dello stesso messaggio evangelico. E questo era il suo intento, come lo provano le prime edizioni dei suoi inni, ciascuno dei quali è preceduto dal versetto della Bibbia che lo ha ispirato. L'opera del Rossetti, in questo campo, è di somma importanza: è più facile ricordare a memoria un passo in versi che un passo in prosa e, senza dubbio, innumerevoli nuovi convertiti del tempo, popolani senza istruzione, saranno stati ammaestrati e consolati, nei travagli della vita, dalle semplici strofe di inni composti dal nostro.»
(da Crocifisso con Cristo, di Daisy Dina Ronco)
Yom Kippur: pentimento o espiazione? Considerazioni di un gentile
«Che cosa ha da dire un goy sul nostro Yom Kippur? - potrebbe pensare un ebreo - Che c'entra lui? Sono fatti nostri. Gli altri farebbero meglio a starne fuori».
Una reazione come questa sarebbe comprensibile, ma non del tutto giustificata. Israele è l'unico popolo che ha ricevuto direttamente da Dio la luce, e proprio per questo è destinato a rimanere sotto la luce dei riflettori. Quello che fa Israele e quello che gli accade non è cosa che riguardi soltanto lui. Il mondo guarda, giudica e agisce, ma non per questo si trova in una posizione di superiorità. Anzi, nazioni e individui porteranno, ciascuno per parte propria, la responsabilità di quello che avranno detto e fatto nei riguardi del popolo che Dio ha scelto.
Un primo fatto politico salta subito agli occhi riguardo a Yom Kippur: Israele è l'unica nazione al mondo in cui la festa più solenne dell'anno non consisite nell'autoglorificazione per qualche vittorioso avvenimento nazionale, con l'inevitabile accompagnamento di pantagrueliche mangiate, ma è dedicata al pentimento e alla ricerca del perdono dei peccati in un clima di umiliazione favorito dal digiuno e da altre forme di volontaria scomodità. Un fatto indubbiamente unico, che di per sé dovrebbe essere motivo di riflessione.
Un secondo aspetto che interessa soprattutto chi, come cristiano, ha ricevuto con gratitudine dal popolo ebraico gli scritti sacri dell'Antico e Nuovo Testamento, è il fatto che di questa festa si parli esplicitamente nella Bibbia, cosa che invece non si può dire delle cosiddette feste "cristiane". In realtà, di feste liturgiche "cristiane" nel Nuovo Testamento non si parla affatto. Certo, non sono vietate, ma neppure sono ordinate. E per come sono festeggiate, in molti casi sarebbe meglio che fossero evitate.
La possibilità di riferirsi a un testo biblico consente inoltre anche a chi non appartiene al popolo ebraico, e quindi non è partecipe della tradizione secolare collegata a questa festa, di fare qualche considerazione comparativa.
I passi biblici in cui si parla della festa del "decimo giorno del settimo mese" si trovano in Esodo 30:10, Levitico 16:1-34, 23:27-31, 25:9, Numeri 29:7-11. Stando ai testi, si può dire che non è un giorno di pentimento per evitare un giudizio, ma un giorno di purificazione mediante sacrifici di espiazione. L'accento non è messo sullo sforzo spirituale che il singolo israelita deve fare per ottenere il perdono di Dio, ma sulle indicazioni che Dio dà ai sacerdoti affinché tutto il popolo, nel suo insieme, riceva la purificazione che il Signore, nella sua sovrana e benefica volontà, ha fin dall'inizio deciso di dare al suo popolo. In poche parole, al centro di tutto non ci sono le opere umane, ma la grazia divina.
La riconciliazione con Dio non è raggiunta mediante atteggiamenti di personale mortificazione per tentare di rimettersi spiritualmente in riga, ma è ricevuta da Dio come partecipazione al perdono che il Signore ha deciso di concedere a tutto il popolo. Quello che Dio vuole è che il popolo dimostri la volontà di accogliere la sua grazia sottomettendosi fedelmente alle indicazioni che ha dato a Mosè.
Le indicazioni di quello che deve essere fatto riguardano soprattutto il Sommo Sacerdote, perché il problema che il singolo israeliata deve affrontare non è la sua permanenza individuale nel "libro della vita" (cosa di cui non si parla in questi testi), ma la partecipazione all'opera di purificazione del popolo che Dio ha deciso di fare.
I precetti pratici rivolti a tutti gli israeliti sono soltanto tre, riassunti in quest'unico versetto:
"Il decimo giorno di questo settimo mese avrete una santa convocazione e vi umilierete; non farete nessun lavoro" (Numeri 29:7).
Certo, la pena per chi non osservava questi ordini era severa, perché non attenersi a queste semplici prescrizioni avrebbe significato disprezzare la misericodia che Dio aveva deciso di mostrare verso il suo popolo. L'umiliazione doveva esprimere la consapevolezza della propria indegnità e la gratitudine per la partecipazione al perdono di Dio.
"Ogni persona che non si umilierà in quel giorno, sarà sterminata di fra il suo popolo. E ogni persona che farà in quel giorno qualsivoglia lavoro, io la distruggerò di fra il suo popolo. Non farete alcun lavoro. È una legge perpetua, di generazione in generazione" (Levitico 23:29-31).
Il peccato non genera soltanto colpa, cioè non manifesta soltanto una volontà negativa che si chiama "peccato" da sostituire con una volontà positiva che si chiama "pentimento". Il peccato è atto che modifica la realtà. Il peccatore potrà anche modificare la sua volontà pentendosi, ma sarà in grado di ristabilire la realtà danneggiata dal suo peccato? Il peccato insudicia, genera impurità, e questo è un fatto particolarmente grave per un popolo a cui Dio ha detto: "Siate santi, perché io sono santo" (Levitico 11:45). Il pentimento può manifestare la nuova buona disposizione interna del peccatore, ma chi potrà togliere l'impurità generata dal suo peccato?
Proprio per questo è stato introdotto da Dio quel particolare giorno che non per nulla si chiama "giorno dell'espiazione" e non "giorno del pentimento". Il pentimento modifica la volontà, l'espiazione modifica le cose. Soltanto l'espiazione compiuta dal Sommo Sacerdote può purificare il santuario contaminato dai peccati del popolo, non la compunzione del singolo. L'espiazione è opera di Dio, non dell'uomo, Mosè lo dice chiaramente:
"Poiché in quel giorno si farà l'espiazione per voi, affin di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti all'Eterno" (Levitico 16:30).
"Voi sarete purificati", non "voi vi dovete purificare", perché l'uomo, per quanto si penta, non può purificarsi da solo.
Prima di ogni altra cosa il Sommo Sacerdote doveva fare l'espiazione per la tenda di convegno, perché i peccati del popolo rendevano impuro lo stesso santuario, con l'unica eccezione del luogo santissimo, in cui continuava ad essere presente la Shekinah. Il peccatore che entrava in contatto con la santità di Dio in modo sbagliato restava fulminato all'istante, come infatti era accaduto poco prima dell'istituzione di questa festa ai due figli di Aaronne, Nadab e Abihu. L'ordine di Dio riguardante Yom Kippur inizia con queste parole:
"L'Eterno parlò a Mosè dopo la morte dei due figli di Aaronne, i quali morirono quando si presentarono davanti all'Eterno. L'Eterno disse a Mosè: 'Parla ad Aaronne, tuo fratello, e digli di non entrare in ogni tempo nel santuario, di là dal velo, davanti al propiziatorio che è sull'arca, onde non abbia a morire; poiché io apparirò nella nuvola sul propiziatorio. Aaronne entrerà nel santuario in questo modo..." (Levitico 16:1-3)
Attraverso una serie di sacrifici, e seguendo un rigoroso rituale, Aaronne, e in seguito il Sommo Sacerdote, doveva entrare una volta all'anno nel luogo santissimo con il sangue della vittima e compiere su ordine di Dio i diversi riti di espiazione.
"Così farà l'espiazione per il santuario, a motivo delle impurità dei figli d'Israele, delle loro trasgressioni e di tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda di convegno che è stabilita fra loro, in mezzo alle loro impurità" (Levitico 16:16).
Nel testo biblico dunque l'accento non è messo sul soggettivo pentimento personale, ma sull'oggettiva purificazione operata da Dio mediante l'espiazione dei peccati del popolo. Non è l'uomo che purifica sé stesso con il suo pentimento, ma è Dio che purifica il popolo mediante l'espiazione. Il singolo può soltanto decidere di non accogliere la purificazione offerta esprimendo la sua ribellione a Dio con il rifiuto di umiliarsi. In tal caso resterà nella sua impurità e quindi dovrà essere eliminato dal popolo.
L'impurità nella Bibbia non è in primo luogo un fatto igienico, ma giuridico. Il frasario e i gesti simbolici possono avere forme igieniche, ma il nocciolo della questione è giuridico. Se uno ha la "fedina sporca", l'unico modo per ripulirla è l'espiazione della pena. I gesti simbolici di purificazione igienica possono esprimere l'avvenuta purificazione giuridica, ma non operarla. Dio l'aveva detto a Israele:
"Quand'anche tu ti lavassi col nitro e usassi molto sapone, la tua iniquità lascerebbe una macchia dinanzi a me, dice il Signore, l'Eterno" (Geremia 2:22).
Nella legislazione di Dio ogni trasgressione ha come punizione la morte. Dio l'aveva detto ad Adamo quando gli aveva mostrato il frutto proibito: "Nel giorno che ne mangerai, certamente morirai" (Genesi 2:17). Non si può dire "no" al datore della vita e continuare a vivere. Dio però ha progettato un piano di salvezza per l'umanità centrato su una morte espiatoria sostitutiva. Per questo l'opera di purificazione mediante espiazione richiedeva il compimento di sacrifici cruenti, perché solo il sangue di animali uccisi esprimeva il fatto che una morte era avvenuta in conseguenza delle trasgressioni commesse, come Dio aveva detto a Mosè:
"La vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull'altare per fare l'espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l'espiazione, per mezzo della vita" (Levitico 18:11).
Oggi però in Israele non c'è più un Tempio in cui si possano compiere sacrifici in modo conforme alla legge di Mosè. Certo, i fedeli possono esprimere pentimento mediante forme di personale umiliazione, ma in che modo potrà avvenire la purificazione? La risposta è impegnativa. La cosa migliore sarebbe leggere la spiegazione che ha dato ad altri ebrei molti secoli fa un ebreo che era un profondo conoscitore delle cose che qui sono state dette in modo lacunoso e riassuntivo:
"Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato l'universo. Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi" (Ebrei 1:1-3).
"Perciò, egli [Gesù] doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele Sommo Sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo" (Ebrei 2:17).
"Ma venuto Cristo, Sommo Sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso il tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto con mano, vale a dire, non di questa creazione, e non mediante il sangue di becchi e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna. Perché, se il sangue di becchi e di tori e la cenere d'una giovenca sparsa su quelli che son contaminati santificano in modo da dar la purità della carne, quanto più il sangue di Cristo che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro d'ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire all'Iddio vivente?" (Ebrei 9:11-14).
E' consolante sapere che oggi esiste uno Stato d'Israele in cui ci sono ebrei che partecipano con convinzione allo Yom Kippur in atteggiamento di sincera solidarietà con la nazione a cui appartengono, e nello stesso tempo ringraziano Dio per la purificazione ricevuta con parole come queste:
"Avendo dunque un grande Sommo Sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, ma senza peccare. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno" (Ebrei 4:14-16).
Realisti o sognatori?
Molti considerano con sospetto e irritazione i riferimenti al Dio della Bibbia quando si tratta di affrontare «concreti» problemi politici riguardanti Israele. Resta il fatto che nei «concreti» fatti di cui continuamente si parla non si può evitare il ricorso a nomi come Abraamo, Israele, Gerusalemme, Sion, Tempio, Messia. E sono tutti nomi contenuti nella Bibbia. E' realistico pensare di poterli evitare considerandoli semplici sovrastrutture ideologiche o sentimentali espressioni linguistiche? In realtà, chi pensa di poter affrontare il tema "terra di Israele" trascurando il "Dio di Israele" di cui si parla nella Bibbia, è un sognatore e un illuso.
I "born again" e il vangelo
Una giornalista che ha trattato in un suo articolo il rapporto tra gli ebrei e gli evangelici americani ha usato l'espressione "born again christian" con una punta di ironia, come fanno spesso i giornalisti che trattano simili argomenti. E' bene precisare allora, considerata la diffusa ignoranza biblica degli italiani, in particolare dei giornalisti, che l'espressione "born again" ("nato di nuovo"), non l'hanno inventata gli evangelici americani, ma proviene direttamente dal Vangelo . E non esprime neanche una realtà tipicamente "cristiana", perché Gesù l'ha usata in un contesto squisitamente ebraico. «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il Regno di Dio" (Giovanni 3.3), dice Gesù a Nicodemo, un autorevole Rabbi del suo tempo. E Nicodemo reagisce con una certa dose di ironia, come molti fanno anche oggi: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?». Interessante è la replica di Gesù: «Tu sei maestro d'Israele e non sai queste cose?». Questo significa che Gesù sta parlando di qualcosa che è contenuto nelle Scritture ebraiche, e che un «maestro d'Israele» avrebbe dovuto conoscere. In poche parole, Gesù dà dell'ignorante a Nicodemo. In altro contesto, molte persone che trattano oggi questi argomenti meriterebbero di ricevere la medesima qualifica. Il fenomeno degli evangelici, americani e non, che amano Israele ogni tanto viene citato, da varie parti, riferendo cose anche giuste sul piano politico e sociale, ma in sostanza fraintendendone la vera natura. Il relatore di solito sembra contento se può accentuare gli aspetti del potere e dei soldi. Gli evangelici che amano Israele sono ricchi e ambiscono al dominio, è il messaggio subliminale contenuto in tali relazioni. Come gli ebrei, insomma. E' incoraggiante, allora, per un evangelico che ama Israele, essere accomunato agli ebrei in questa forma di latente disprezzo. Che poi anche molti ebrei non capiscano questa realtà e anzi la combattano, è cosa che non sorprende e non scandalizza. Dove sta scritto che l'amore, per essere tale, deve essere riconosciuto e corrisposto?
Il "processo di pace"
Dal 1967 in poi le "realistiche" proposte di pace in Medio Oriente sono sempre state ottenute con progressivi arretramenti di Israele. Soltanto arretrando Israele ha trovato consenso, e quindi se vorrà continuare ad avere consenso dovrà continuare ad arretrare. Begin è stato approvato perché è arretrato. Rabin è stato approvato perché è arretrato. Poi è arrivata la volta di Sharon, che da cattivo è diventato buono solo perché anche lui alla fine si è deciso ad arretrare. Sa dire qualcuno dove è posto il limite ultimo oltre il quale Israele non dovrà più arretrare?
Detto in altro modo:
Con la tecnica degli accordi internazionali i nemici di Israele sono riusciti a mettere un cappio intorno al collo dell'odiata entità sionista, e ogni tanto provano a dare uno strattone.
Quando questo accade, gli opinionisti internazionali, solidali con gli oppressi, osservano, sospirano, comprendono.
Israele invece si oppone, e con tutte le sue forze, facendo anche uso di violenza.
Gli opinionisti internazionali, amanti della pace, severamente riprovano. La corda viene tirata sempre di più, la violenza aumenta, ma il cappio non si chiude.
A questo punto intervengono i moderati tra i nemici di Israele. «Basta tirare con forza, basta con la violenza, così non si ottiene niente», dicono, «ci vuole una tregua».
Gli opinionisti internazionali, amanti della pace, caldamente approvano.
Più a bassa voce i "moderati" tra i palestinesi spiegano ai loro amici: «Continuare a tirare non serve, adesso è il momento di riaggiustare con calma il cappio intorno al collo del nemico, che però non bisogna chiamare nemico ma controparte. Con il dialogo, le buone maniere e l'approvazione internazionale riusciremo a convincerlo che se vuole la pace deve dare prova di buona volontà e accettare di farsi stringere un po' di più il cappio intorno al collo, ma con la solenne promessa da parte nostra che non tireremo mai la corda».
Gli opinionisti internazionali, pienamente soddisfatti, approvano.
E il processo di pace va avanti.
Fino al prossimo strattone.
L'attuale Stato d'Israele
L'attuale Stato d'Israele non rappresenta il regno di Dio sulla terra, ma la sua presenza oggi sulla scena politica mondiale è espressione di una precisa volontà di Dio all'interno del suo sovrano progetto storico. Di conseguenza, l'odio contro questo Stato, il tentativo o anche il solo desiderio di distruggerlo, sia che venga da ebrei laici o superortodossi, sia che venga da gentili cristiani, musulmani o di qualsiasi altra religione, è di natura diabolica. Ciascuno è libero di usare i criteri che ritiene più validi per interpretare la storia dei popoli, ma quando si tratta di Israele, i criteri più validi, quelli che anche a posteriori si confermano essere i più idonei a spiegare i fatti avvenuti e quindi in una certa misura anche a prevedere quelli futuri, sono i criteri biblici. Voler tentare di capire la storia del popolo d'Israele prescindendo dal Dio d'Israele che si è rivelato nella Sacra Scrittura, è impresa vana, destinata fin dall'inizio al fallimento.
Esistono o non esistono?
PARABOLA n.1 - Corrado era un ragazzo studioso e intelligente. Frequentava la scuola media superiore e riusciva bene in tutte le materie, tranne che in matematica. Essendo abituato ad andare a fondo nelle cose, alla fine si rivolse direttamente al suo professore di matematica. "Professore - chiese rispettosamente - io faccio fatica a seguire la sua materia, con tutti quei numeri che pretendono di essere trattati secondo regole che a me risultano abbastanza misteriose. Questo però forse dipende dal fatto che io non ho ancora ben capito qual è la precisa definizione di numero. Me lo dica lei, professore, in modo semplice e chiaro: che cos'è un numero?" il professore restò qualche secondo in silenzio, sorrise, scosse la testa e iniziò un lungo discorso che a Corrado risultò ancora più oscuro delle dimostrazioni che faceva alla lavagna. Decise allora di rivolgere la stessa domanda ad altri professori di matematica. Come risultato ottenne un ventaglio straordinariamente ampio di risposte, che variavano dall'oscuro al seccato, dal perplesso al minaccioso: "Lascia perdere queste domande filosofiche e pensa a studiare, se non vuoi essere bocciato in matematica". Corrado allora trasse le sue conclusioni, e da giovane intelligente e preparato qual era le riassunse in un elaborato scritto che aveva come titolo: "I numeri non esistono".
PARABOLA n.2 - Giovanni era un intellettuale acuto e preparato che seguiva ogni aspetto della vita politica e sociale. Nel suo normale lavoro di documentazione andava quasi ogni giorno ad imbattersi nella cosiddetta "questione ebraica". La cosa un po' l'incuriosiva, un po' l'infastidiva, ma da persona abituata ad andare alla radice delle cose, un giorno decise di porre la questione in modo semplice e diretto: "Chi è un ebreo?" Pose la domanda a un rabbino di rilievo, pensando di ottenere in questo modo una risposta chiara e decisiva. Ma la spiegazione ricevuta, tra riferimenti alla Torah, al Talmud, alla storia, alla politica, alla cronaca e al semplice buon senso, provocò in lui una tale esplosione di nuove domande che non fu nemmeno in grado di elencarle ordinatamente. Si rivolse allora a diversi amici, ebrei e non ebrei, e a ciascuno di loro pose la stessa domanda: "Chi è un ebreo?" Le risposte ricevute furono di una stupefacente diversità e incongruenza, con il risultato che il numero degli interrogativi nella sua mente aumentò in modo esponenziale. Alcuni, anche tra gli ebrei, confessarono apertamente di non saper rispondere alla domanda in modo chiaro. Alla fine Giovanni trasse le sue conclusioni, e da intellettuale esperto e documentato qual era le riassunse in un elaborato scritto che aveva come titolo: "Gli ebrei non esistono".
Il sapone «Yerushalaim»
L'ebreo moldavo Joseph Rabinowitz (1837-1899) è noto come uno dei precursori storici dell'ebraismo messianico. All'età di 45 anni raggiunse la piena convinzione che Gesù è il Messia d'Israele e da quel momento dedicò la sua vita a predicare il Vangelo ai suoi fratelli ebrei nella sua terra, che a quel tempo si chiamava Bessarabia. Un giorno, mentre si trovava di passaggio a Berlino con sua figlia Rachel in uno dei suoi tanti viaggi per l'Europa, venne a sapere che proprio in quel periodo si stava svolgendo nella capitale tedesca una mostra internazionale. Rabinowitz decise di visitarla insieme a sua figlia. Nel suo giro, a un certo momento si trovò davanti a uno stand di prodotti provenienti da uno degli insediamenti ebraici allora presenti in Palestina. In una lettera che scrisse in seguito riferì ironicamente di aver trovato dei prodotti ebraici in un luogo dove tedeschi antisemiti e berlinesi atei avrebbero volentieri visto del tutto sradicata la nazione ebraica. E per aumentare il suo disagio dovette prendere atto, con comprensibile disappunto, che lo stand di prodotti da ebrei in Palestina era situato nella sezione «Cairo». A un certo momento la sua attenzione fu attratta da una saponetta, su cui in caratteri ebraici era scritto: «Yerushalaim». Ad alta voce allora recitò a memoria, naturalmente in ebraico, il versetto di Geremia 2:22: «Quand'anche tu ti lavassi col nitro e usassi molto sapone, la tua iniquità lascerebbe una macchia dinanzi a me, dice il Signore, l'Eterno». Naturalmente i presenti vollero subito sapere chi era quella persona, e Rabinowitz colse l'occasione per testimoniare di Gesù ai suoi fratelli ebrei.
Umorismo ebraico inconsapevole
«Un ebreo che non crede in Dio è una barzelletta», aveva detto Fijodor Dostoevskij. E in realtà, sentir dire: «Non credo in Dio» da qualcuno che appartiene a un popolo la cui semplice sopravvivenza nei secoli è una prova continua dellesistenza di Dio, è una cosa che fa sorridere.
«Ma io non ho niente contro gli ebrei»
Si stia bene attenti a non dire subito: "Ma io non ho niente contro gli ebrei". Nella maggioranza dei casi questo non è vero: è soltanto una diabolica dissimulazione, un autoinganno a cui volentieri si acconsente. L'invidia non è facile da snidare, soprattutto quella di stampo religioso: se Dio sceglie un altra persona invece di me, qualunque siano i motivi, la cosa non mi va giù. Ma faccio una grande fatica ad ammetterlo. Gli esempi biblici non mancano, da Caino in poi.
Una cosa può segnalare la presenza di questa particolare forma di antipatia: l'omissione. Se una persona mi è antipatica, posso reagire in due modi: parlarne male con tutti e in ogni occasione, oppure, più educatamente, non parlarne mai e agire come se non esistesse, sorprendermi se qualcuno ne parla e considerarla come una cosa che non merita neppure di essere presa in considerazione. Se però qualcuno insiste a parlarne in mia presenza, prima o poi affiora la malignità dell'osservazione velenosa o straripa il fiume dell'invettiva devastante. E' quello che accade spesso quando si tratta di ebrei.
I peccati di omissione sono gravi come i peccati di azione, e per quel che riguarda la "questione ebraica" sono forse i più diffusi. Ma chi tace sugli ebrei quando bisognerebbe parlarne in modo giusto, prima o poi ne parlerà in modo sbagliato. E i cristiani che con leggerezza parlano in modo sbagliato degli ebrei, quasi sempre non si accorgono di dare espressione a quella "superbia dei gentili" contro cui si rivolge il severo ammonimento dell'apostolo Paolo:
"... non insuperbirti contro i rami; ma, se t'insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te... non insuperbirti, ma temi" (Romani 11:18,20)-
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Luniversalismo biblico di Israele
L'Eterno disse ad Abramo:
Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre,
nel paese che io ti mostrerò:
e io farò di te una grande nazione
e ti benedirò
e renderò grande il tuo nome
e tu sarai fonte di benedizione:
e benedirò quelli che ti benediranno
e maledirò chi ti maledirà
e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra.
Genesi 12:1-3
Poiché tu sei un popolo consacrato all'Eterno, che è l'Iddio tuo,
l'Eterno, l'Iddio tuo, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare
fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra.
L'Eterno ha riposto in voi la sua affezione e vi ha scelti,
non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli,
ché anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo;
ma perché l'Eterno vi ama,
perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri,
l'Eterno vi ha tratti fuori con mano potente
e vi ha redenti dalla casa di schiavitù,
dalla mano di Faraone, re d'Egitto.
Deuteronomio 7:6-8
Avverrà, negli ultimi giorni,
che il monte della casa dell'Eterno
si ergerà sulla vetta dei monti,
e sarà elevato al disopra dei colli;
e tutte le nazioni affluiranno ad esso.
Molti popoli v'accorreranno, e diranno:
'Venite, saliamo al monte dell'Eterno,
alla casa dell'Iddio di Giacobbe;
egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie,
e noi cammineremo per i suoi sentieri'.
Poiché da Sion uscirà la legge,
e da Gerusalemme la parola dell'Eterno.
Egli giudicherà tra nazione e nazione
e sarà l'arbitro fra molti popoli;
ed essi delle loro spade fabbricheranno vomeri d'aratro,
e delle loro lance, roncole;
una nazione non leverà più la spada contro un'altra,
e non impareranno più la guerra.
Isaia 2:2-4
Lo studio non disinteressato della Torah
«Chiunque decida di dedicarsi alla Torah e di non esercitare un lavoro, traendo sostentamento dalla carità, costui profana il nome di Dio, disprezza la Torah, estingue la luce della religione, è causa del proprio male, perde la sua vita nel mondo a venire, poiché in questo mondo è vietato trarre profitto dalle parole della Torah. Dicono i sapienti: 'Chiunque tragga profitto dalle parole della Torah perde in questo mondo la sua vita'.
Inoltre così ci ordinano: 'Non le utilizzerai per farti una corona così da esaltarti, e non saranno per te una vanga con cui scavare' ('Avoth 4,5); e ancora: 'Ama il lavoro e odia la grandezza' ('Avoth 1,10). E ogni Torah che non sia accompagnata da un lavoro diviene priva di valore e causa di peccato, mentre quell'uomo finirà col derubare le creature».
Maimonide
(Mishneh Torah, Libro della conoscenza, Regole per lo studio della Torah, III, 10)
Presa di posizione sullo Stato dIsraele
- Il popolo ebraico costituisce una nazione per un'esplicita volontà di Dio che non si è modificata con il tempo.
- L'attuale Stato d'Israele, costituito sulla sua terra, non è il regno messianico promesso a Davide, ma esprime la precisa volontà di Dio di costituirlo in un futuro più o meno prossimo.
- Dio non si aspetta che gli uomini edifichino il suo regno con le proprie mani, ma vuole verificare quale posizione ciascuno prende davanti alla manifestazione della sua volontà.
- Con una serie di prodigi che possono soltanto essere chiamati miracoli, Dio ha fatto in modo che si ricostituisse sulla terra d'Israele la nazione ebraica.
- Anche se per la ricostituzione di questa nazione Dio ha usato la sua potente autorità, ha voluto tuttavia che la fondazione dello Stato d'Israele avvenisse secondo gli usuali criteri di giustizia umana usati dalle nazioni affinché fosse evidente che chi vi si oppone è un ingiusto che vuole "soffocare la verità con l'ingiustizia" (Romani 1:18).
- Dio ama tutti gli uomini, ma la Scrittura rivela che esiste una successione storica temporale che non può essere trascurata: Dio ama "prima il giudeo, poi il greco" (Romani 1:16), prima Israele, poi le altre nazioni, proprio come ogni uomo moralmente sano ama prima sua moglie, poi tutti gli altri. Si dovrebbe diffidare di chi dice di amare tanto il prossimo ma mostra di non essere capace di amare sua moglie.
- Per il gentile che ha ottenuto il perdono dei suoi peccati credendo in Gesù come Signore e Salvatore, è - o dovrebbe essere - del tutto naturale sentirsi dalla parte d'Israele e schierarsi in sua difesa.
- Poiché Gesù continua ad amare Israele e aspetta il momento di "ricondurre a Dio Giacobbe" (Isaia 49:5) , la comunione spirituale con Lui provoca - o dovrebbe provocare - sentimenti di solidarietà e particolare amore per i membri di quel popolo, indipendentemente da come reagiscono davanti alla testimonianza del Vangelo.
- I veri credenti in Gesù devono aspettarsi, e accettare serenamente come parte del loro servizio di testimonianza, eventuali manifestazioni di anticristianesimo ebraico, ma devono essere del tutto intolleranti davanti a ogni forma di antisemitismo cristiano.
- Il concetto di nazione ebraica è fondato giuridicamente sull'atto costitutivo della promessa di Dio fatta ad Abramo e costituisce un elemento fondamentale a sostegno dell'esistenza e dell'identità del popolo ebraico.
- L'antisionismo, presentandosi come negazione del diritto degli ebrei ad avere una loro nazionalità, costituisce l'ultima forma di odio antiebraico. Il suo nome potrebbe essere "antisemitismo giuridico". Dopo l'antisemitismo teologico pseudocristiano e l'antisemitismo biologico pagano, quest'ultimo tipo di antisemitismo ha tutte le caratteristiche per diventare più esteso, più radicale, più viscido, e di conseguenza più pericoloso di tutti gli altri.
Il messaggio subliminale del presepe
Nel giorno di Natale, la festa da molti considerata come la più importante delle feste cristiane perché rappresenterebbe l'inzio del cristianesimo, i fedeli si dividono: chi fa il presepe e chi fa l'albero. Alcuni dicono: l'albero è pagano. Ed è vero. Il presepe invece sembra più cristiano. Ma è così? Il quadro bucolico fatto di pastori, pecore, grotta, mangiatoia, stella e re magi è commovente, ma in tutta questa poesia ci si potrebbe dimenticare che la scena avviene in Israele. E invece il riferimento a Israele c'è, e sta in quei due dolci animali che con il loro fiato riscaldano l'infreddolito bambino: il bue e l'asinello. Sono un muto riferimento a una parola del profeta Isaia:
"Il bue conosce il suo possessore, e l'asino la greppia del suo padrone,
ma Israele non ha conoscenza, il mio popolo non ha discernimento" (Isaia 1:3).
Il messaggio subliminale è semplice: il bue e l'asino sanno riconoscere in Gesù il Messia, mentre Israele no. Così Israele è sistemato e il messaggio antisemita è partito.
Chi sono i palestinesi?
Golda Meir, ex Primo Ministro di Israele, si divertiva con i suoi visitatori a mostrare la sua carta di identità palestinese, datale dal Mandato Britannico, e a chiedere ad Arafat di fare altrettanto...
La Palestina è comparsa nella storia moderna nel 1919 con la creazione da parte della Lega delle Nazioni (il precursore delle Nazioni Unite) del Mandato Britannico sulla Palestina al fine di trasformarla in "un focolare nazionale per il popolo ebraico". Prima era un territorio diviso in tre province o Vilayet dell'Impero Ottomano. La sua popolazione era composta da arabi musulmani, arabi cristiani, beduini, drusi, circassi, armeni greco ortodossi, e ebrei.
Per decisione degli inglesi il nome del territorio da loro amministrato era Palestina, poiché il termine Giudea, suo nome storico, aveva connotazioni troppo ebraiche e d'altra parte non c'era a disposizione nessun nome arabo per indicare quel luogo.
Per gli arabi la terra che divenne nota come Palestina faceva parte della Siria, e comprendeva il Libano e Giordania di oggi. Così, fino al 1917 niente distingueva la Palestina dalla Siria: né bandiera, né nomi, né lingua, né etnia, né altro. Fino al 1948 gli arabi rifiutavano il nome Palestina, perché per loro simboleggiava il Mandato Britannico, e quindi il "focolare nazionale ebraico". Sfido chiunque a trovarmi un solo gruppo politico arabo che abbia nella sua denominazione la parola "Palestina" prima del 1948.
E' soltanto dopo il 1948, quando Ben Gurion scelse per lo Stato ebraico il nome "Israele" (non scelse il nome "Giudea" perché Ben Gurion era profondamente laico e socialista, e non mantenne il nome "Palestina" perché non è un termine ebraico ed è il nome di una provincia romana), che gli arabi di Palestina si impossessarono di questo nome che era stato lasciato libero. I palestinesi sono arabi di Palestina che appartengono alla nazione araba e sognano una Palestina araba che sia l'avanguardia di una totalità che riunisca l'intera nazione araba.
Il termine Palestina non è una parola araba, non appartiene agli arabi e non è un brevetto arabo. Gli arabi di Palestina non hanno alcun diritto di pretendere di essere i soli palestinesi e di accaparrarsi questa parola e questa denominazione.
Arafat, che era un arabo nato in Egitto, si sentiva solidale con la causa degli arabi palestinesi pur non essendo nato in Palestina... Questo non è mai stato un problema per gli arabi di Palestina: non fanno infatti tutti parte dello stesso popolo arabo che si estende dall'Oceano Indiano all'Atlantico?
(da una lettera scritta a "Le Monde" - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Che cosè il sionismo?
Il sionismo è il movimento storico che Dio ha usato per riportare al centro dell'attenzione mondiale il fatto che, per sua esplicita volontà, il popolo ebraico costituisce una nazione che ha ricevuto da Lui un compito unico. L'attuale Stato d'Israele, fondato sulla terra che biblicamente e storicamente appartiene alla nazione ebraica, non è il regno messianico promesso a Davide ma esprime la precisa volontà di Dio di costituirlo in un futuro più o meno prossimo. Dichiararsi sionisti significa dunque, come cristiani, riconoscere questa volontà e proclamarla pubblicamente prendendo posizione a favore di Israele. Non si tratta di approvare e sottoscrivere tutte le decisioni che il governo israeliano prende, ma di ribadire che su quella terra lo Stato d'Israele non ha soltanto una presenza di fatto come "entità aliena", ma ha un'esistenza di diritto che non ha bisogno di essere continuamente confermata dalla benevolenza delle altre nazioni. Opporsi a questo significa essere antisionisti, e essere antisionisti in questo senso significa prepararsi a diventare, nel migliore dei casi, antisemiti passivi.
Molti dicono di "non avere niente contro gli ebrei", però sono capaci di fare lunghi elenchi delle cose brutte che fanno. Non si tratterebbe, a sentir loro, di malevola ostilità preconcetta, ma di pura e semplice realtà di fatto. Sono i fatti compiuti dagli ebrei quelli che renderebbero difficile la loro la vita in seno ai popoli; e sono i fatti compiuti dal governo israeliano quelli che renderebbero precaria la posizione dello Stato d'Israele in seno alla comunità internazionale, mettendo in forse la sua esistenza come nazione.
Ma nessun fatto che possa accadere nel mondo, e neppure nessuna azione che possano compiere gli ebrei, potrà provocare la scomparsa dalla terra della nazione ebraica. I cristiani non dovrebbero aver bisogno di acute analisi politiche per esserne certi, perché sta scritto:
"Così parla il Signore, che ha dato il sole come luce del giorno e le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte; che solleva il mare in modo che ne mugghiano le onde; colui che ha nome: il Signore degli eserciti. «Se quelle leggi verranno a mancare davanti a me», dice il Signore, «allora anche la discendenza d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza». Così parla il Signore: «Se i cieli di sopra possono essere misurati e le fondamenta della terra di sotto, scandagliate, allora anch'io rigetterò tutta la discendenza d'Israele per tutto quello che essi hanno fatto», dice il Signore" (Geremia 31:35-37).
In questo passo è contenuta una frase che suonerebbe come musica alle orecchie di molti antisemiti. Sta scritto infatti che "... la discendenza d'Israele cesserà di essere per sempre una nazione in mia presenza". Ma sono specificate anche le condizioni: questo avverrà quando il sole non sarà più la "luce del giorno" e verranno a mancare "le leggi alla luna e alle stelle perché siano luce alla notte". Si tratta quindi soltanto di aspettare un po'.
E se gli uomini, stanchi di tutto quello che gli ebrei hanno fatto e continuano a fare in mezzo alle nazioni, vorrebbero farla finita una volta per tutte con questa storia del "popolo eletto", il Signore si dichiara disposto ad accontentarli invitandoli a misurare "i cieli di sopra" e a scandagliare "le fondamenta della terra di sotto". Quando questa ricerca scientifica sarà portata pienamente a compimento, in modo che null'altro si possa aggiungere, allora anche il Signore si dichiarerà stanco di tutto quello che gli ebrei hanno fatto e li rigetterà.
Fino a quel momento, si può essere certi che la discendenza d'Israele continuerà ad essere una nazione alla presenza del Signore.
E Israele non sparirà.
Martin Buber e il sionismo
Il filosofo e teologo Martin Buber (1878-1965), emigrato in Palestina nel 1938, era un sionista della prima ora. Delegato in molti dei congressi di Basilea, sosteneva l'ideale della reciproca comprensione tra arabi ed ebrei. Al congresso sionista del 1921 a Karlsbad propose la seguente dichiarazione programmatica:
«Il popolo ebraico, da due millenni minoranza oppressa in tutti i Paesi, ora che torna ad essere soggetto della sua storia all'interno della storia mondiale, dichiara di provare avversione nei confronti dei metodi di dominio del nazionalismo, dei quali è stato così a lungo vittima. Non è per scacciare un altro popolo o per dominare, che miriamo a tornare nella terra a cui siamo legati in modo imperituro e il cui territorio, oggi così esiguamente popolato, offre spazio a sufficienza per noi e per le tribù che lo abitano attualmente. La nostra colonizzazione, che ha come fine la salvezza e il rinnovamento del nostro carattere nazionale, non mira allo sfruttamento capitalistico di un territorio e non ha mire imperialistiche. Non significa altro che il lavoro produttivo di uomini liberi su di una terra comune.»
Quello che gli antisemiti dicono agli ebrei
Secondo il filosofo ebreo Emile Fackenheim, nell'antisemitismo del mondo occidentale cristianizzato si possono riconoscere tre tappe. Agli ebrei gli antisemiti dicono:
Prima tappa: Voi non potete vivere tra noi come ebrei.
Conseguenza: Conversione forzata.
Seconda tappa: Voi non potete vivere tra noi.
Conseguenza: Espulsione.
Terza tappa: Voi non potete vivere.
Conseguenza: Sterminio.
Diritto di esistenza e diritto di parola
Per gli antisionisti:
Chi nega a Israele il diritto di esistenza
nega a Dio il diritto di parola.
Per gli increduli:
Chi nega a Dio il diritto di parola
nega a Israele il diritto di esistenza.
Chi tace su Israele
Chi tace su Israele
quando bisognerebbe parlarne in modo giusto
prima o poi ne parlerà in modo sbagliato.
Quando qualcuno attacca il sionismo
«Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente "antisionista". E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, questa è la verità di Dio [...]. Tutti gli uomini di buona volontà esulteranno nel compimento della promessa di Dio, che il suo Popolo sarebbe ritornato nella gioia per ricostruire la terra di cui era stato depredato. Questo è il sionismo, niente di più, niente di meno [...]. E che cos'è l'antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell'Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, è antisemitismo [...]. Lascia che le mie parole echeggino nel profondo della tua anima: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, puoi starne certo».
Martin Luther King, Letter to an Anti-Zionist Friend, agosto 1967
Yeshua o Gesù?
"Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù" (Luca 1:31).
E' questo l'ordine che l'angelo Gabriele dà a Maria nei Vangeli. L'angelo però certamente non parlò in italiano, quindi qualcuno potrebbe chiedersi se è lecito usare il nome italianizzato "Gesù" al posto di quello "vero" usato nell'annuncio angelico. In fondo - si potrebbe pensare - si tratta di un ordine di Dio, e sapendo quanto siano importanti i nomi nella Bibbia e nel mondo ebraico, qualcuno potrebbe avere delle esitazioni ad usare un nome "storpiato" in altra lingua per indicare e invocare il Signore e Salvatore del mondo. In effetti, un italiano di nome Pietro potrebbe non gradire che i suoi amici americani lo chiamino Peter.
C'è un libro, tradotto in italiano e per molti aspetti interessante, che nel desiderio di "ristabilire l'ebraicità dei Vangeli" usa sistematicamente il termine Yeshua al posto di Gesù. Poiché anche altri "amici cristiani d'Israele" tendono a fare la stessa cosa, è giusto chiedersi: è necessario? è addirittura obbligatorio?
Quando una questione riguardante la fede cristiana diventa importante, è indispensabile rivolgersi alla Bibbia, resistendo ad ogni indulgenza per gusti personali. Si "scopre" allora che i soli testi autorevoli che ci parlano di Gesù di Nazaret non danno alcuna indicazione sull'esatta scrittura e l'esatta pronuncia del suo nome, per il semplice fatto che ci sono pervenuti in una lingua diversa da quella usata dall'angelo. Dobbiamo considerare una stranezza il fatto che i soli testi ispirati che ci danno informazioni sulla vita in terra del Messia d'Israele siano stati trasmessi al mondo non nella lingua degli ebrei, ma in quella dei greci? Dobbiamo forse tentare di correggere questa anomalia ricercando i testi autentici scritti in ebraico e poi tradotti da qualcuno in greco? O dobbiamo prendere atto che si tratta di una precisa scelta di Dio e ricercarne i motivi? E' un fatto che i Vangeli si muovono in un ambiente tipicamente e intimamente ebraico, ed è altresì un fatto che Dio ha voluto che fossero diffusi in greco e non in ebraico. Così "il giudeo prima e poi il greco" hanno entrambi la possibilità di essere scandalizzati o, al contrario, l'occasione di esclamare con l'apostolo Paolo: "O profondità della ricchezza e della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi, e incomprensibili le sue vie!" (Romani 11:33).
L'"anomalia" linguistica risale agli albori della predicazione evangelica, quando a Gerusalemme, in quella festa di Pentecoste, giudei e "uomini pii di ogni nazione sotto il cielo" (Atti 2:5) udirono parlare i discepoli di Gesù "ripieni di Spirito Santo" (Atti 2:4). "E tutti stupivano e si meravigliavano, e si dicevano l'un l'altro: Ecco, non sono galilei tutti questi che parlano? Come mai ciascuno di noi li ode parlare nella propria lingua natìa?" (Atti 2:7-8). Come sarà risuonato il nome di Gesù nelle orecchie di coloro che sentivano parlare quei galilei nelle loro differenti lingue natie? Non lo sappiamo.
Quello che sappiamo è che il testo ispirato dei Vangeli usa il termine greco 'I?su?, che è la traslitterazione approssimativa di un termine ebraico non perfettamente identificato. La versione greca dei Settanta usa il termine 'I?su? per traslitterare almeno due termini ebraici resi nella forma inglese con Yehoshua e Yeshua, entrambi usati per indicare Giosuè figlio di Nun. E' interessante notare che anche il Nuovo Testamento usa il termine greco 'I?su? per indicare Giosuè, e precisamente in Atti 7:45 e Ebrei 4:8. La classica versione inglese King James, nella sua letteralità verbale, in questi casi usa proprio il termine Jesus per indicare Giosuè: "... our fathers that came after brought in with Jesus..." (Atti 7:45), "For if Jesus had given them rest..." (Ebrei 4:8). In ogni caso, sembra che nel periodo dei Vangeli entrambi i termini Yehoshua e Yeshua erano usati per indicare Gesù. Il termine latinizzato Jesus è passato poi tale e quale in altre lingue occidentali come francese, tedesco e inglese, ma con diverse pronunce,
In conclusione, poichè non è certa né l'esatta scrittura né l'esatta pronuncia del nome indicato a Maria dall'angelo Gabriele, non dovrebbe essere necessario usare e mettere in rilievo un termine che i Vangeli non si sono preoccupati di precisare. Inoltre, se il termine Yeshua fosse davvero così importante, esso dovrebbe essere usato non solo nei libri di commento teologico, ma nella stessa traduzione italiana del Nuovo Testamento, e la sua forma scritta italianizzata dovrebbe essere "Iesciùa," non Yeshua, perché una traslitterazione adatta alla lingua inglese non necessariamente deve essere adottata in tutto il mondo.
Va quindi benissimo che gli ebrei abbiano un termine per indicare Gesù nella loro lingua, ma non è affatto necessario che lo stesso termine sia usato universalmente. Anzi, le molte forme con cui viene invocato il nome del Messia d'Israele nei diversi linguaggi possono essere viste come un'espressione del volto misericordioso con cui il Figlio di Dio si presenta alle nazioni come il Salvatore del mondo. L'ebraicità di Gesù e di tutta la rivelazione biblica resta un fatto incontestabile, ma per sottolinearlo non è utile, anzi è controproducente ricorrere a eccessi e stravaganze. E' vero che ci sono ancora persone a cui bisogna gentilmente far notare che Gesù non è né italiano, né americano, né russo, né polacco, ma per modificare questo stato di cose è necessario un esteso e coerente approfondimento biblico e storico, non il ricorso a frasari e atteggiamenti eccentrici che possono colpire l'immaginazione ma non servono ad ottenere un'autentica correzione di mentalità.
Che cosè lantisemitismo?
L'antisemitismo è una malattia dello spirito la cui cura non è nota. Consiste nella convinzione coatta che la colpa per tutti i problemi di questo e dell'altro mondo possa venire data a un gruppo di persone che dunque viene fatto soffrire (quasi in ogni Paese e quasi in ogni secolo) in forza di questa convinzione irrazionale. La malattia assume molte forme: vi sono casi in cui gli ebrei sono biasimati per il fatto che esistono, altri casi in cui sono biasimati perché non esistono più. Sono incolpati contemporaneamente di essere pigri e perché comandano il mercato del lavoro.
Un antisemita è qualcuno che tranquillamente incolpa tutti gli ebrei per la loro ricchezza e si lamenta per i mendicanti ebrei; biasima gli ebrei in quanto capitalisti e in quanto comunisti; crede che gli ebrei abbiano un piano segreto per "impossessarsi del mondo", che comandino la stampa, i media, le banche ... tutto. C'è gente che considera gli ebrei come una vera e propria sottospecie, strettamente imparentata più coi roditori che con l'homo sapiens.
Per molto tempo gli ebrei credettero che sarebbero stati completamente accettati e che l'antisemitismo sarebbe arretrato e poi scomparso se essi avessero assunto completamente la "civilizzazione del Paese ospitante", identificandosi con essa. Questa istanza di soluzione è nota come assimilazione. Sfortunatamente divenne poi evidente che alcuni non riuscivano a distinguere la differenza tra un uomo e i suoi nonni, e dunque erano pronti a tormentarlo e a ucciderlo a causa della presunta identità che ebbe un suo antenato. Alcuni ebrei credettero che si sarebbero risparmiati altri problemi se avessero rinunciato alla loro religione per abbracciare il cristianesimo, ma la storia degli "ebrei battezzati" è stata altrettanto sanguinaria e deludente. Altri credevano di poter eliminare la malattia integrandosi e spendendo generosamente per cause non-ebraiche, o diventando più patriottici degli altri cittadini del Paese in cui vivevano, ancorché questi cittadini sovente derivassero da un insieme di popoli a loro volta invasori ... Altri ebrei credettero poi di poterla eliminare andandosene dal Paese ospite per creare un Paese loro, però scoprirono che proprio quelli che dicevano agli ebrei "tornate da dove siete venuti", si lamentavano amaramente se quelli lo facevano.
Sfortunatamente conosciamo altre "malattie" la cui cura consiste, per il primo passo, nel riconoscimento, da parte del malato, della propria malattia. Finora vi sono pochi segnali che gli antisemiti abbiano mai riconosciuto quanto sono malati. Persino nei casi di grave "epidemia" non è garantito che una data civilizzazione sappia produrre degli anticorpi capaci di resistenza. La prognosi è brutta e deprimente.
Io non sono antisemita, però...
Quando uno dice: "Non è per il denaro, ma per il principio",
è per il denaro, aveva detto Leo Longanesi.
Quando lo spiritoso dopo una battuta contro qualcuno dice: "Scherzo",
non è uno scherzo, e infatti quel qualcuno non si diverte.
Quando l'oratore prima della conferenza dice: "Sarò breve",
sa che sarà lungo, e teme che gli uditori si addormentino.
Quando uno dice: "Io non sono antisemita, però...",
è un antisemita, e teme che qualcuno se ne accorga.
Quel tuo gesticolare da mercante di tappeti
Parlando con persone che conosci poco, non ricordi a proposito di cosa, hai pronunciato una frase o anche una sola parola a favore di Israele. A quel punto hai scorto nei loro sguardi quella stessa luce spenta che avevano i tuoi parenti al funerale di tuo padre. Hai notato il loro volto un po' più serio, la loro voce un po' più controllata. Li hai visti osservare le tue mani ossute, il tuo naso o le tue orecchie senza lobo. Finalmente riuscivano a spiegarsi le tue movenze, quel tuo gesticolare da mercante di tappeti, quel tuo sorridere. Finalmente capivano il perché dei tuoi occhi, della tua voce, e dell'impossibilità di collocarti a destra, a sinistra, al centro. E ti osservavano, ascoltandoti con apparente assenso.
Poi è successo qualcosa: ti hanno chiesto "sei ebreo?", oppure tu stesso hai detto qualcosa che gli ha fatto capire che ebreo non sei. A quel punto, tutto è cambiato. Gli sguardi si sono accesi, i volti si sono contratti in una smorfia, le voci sono diventate tese, rabbiose. Eri solo un mercante imbroglione che voleva ingannarli. E ti hanno sfogato addosso tutto l'odio che, a causa di sei milioni di morti, si erano costretti a trattenere fino a quell'istante.
Fulvio Del Deo
Il memoriale di Gesù è anche un memoriale di Israele
Quando la chiesa locale si riunisce per celebrare la Cena del Signore istituita da Gesù, molto spesso si leggono queste parole dell'apostolo Paolo:
"Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga»." (1 Corinzi 11:23-26).
Si tratta certamente di un memoriale e non di un sacrificio. I credenti riuniti ricordano Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra, esaltandolo come Colui "che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue" (Apocalisse 1:5).
Spesso però si dimentica che il vino simboleggiante il "sangue dell'aspersione che parla meglio del sangue d'Abele" (Ebrei 12:24) è contenuto in un calice che rappresenta il "nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda" (Geremia 31:31, Ebrei 8:8). Non a caso in tutti i passi biblici che riguardano questo memoriale si parla sempre di calice e mai di vino. Il memoriale di Gesù è dunque, sempre, anche un memoriale di Israele, affinché si ricordi che la persona di Gesù è inseparabile dal suo popolo. Le benedizioni che scendono sui redenti del nuovo patto sono il frutto della fedeltà di Dio alle promesse che Egli ha fatto a Israele. Chi ha stabilito un rapporto verticale con Dio tramite Gesù deve sapere che nello stesso tempo ha stabilito un rapporto orizzontale con Israele. Che lo sappia o no, che gli piaccia o no.
Ma gli italiani credono in Cristo?
A chi gli faceva notare che "gli ebrei non credono in Cristo" un ebreo messianico ha risposto: "Ma perché, gli italiani credono in Cristo?" Analogamente, a chi facesse notare che lo Stato d'Israele non riconosce in Gesù il suo Messia si potrebbe rispondere: "Ma perché, lo Stato italiano ha riconosciuto in Gesù il Messia d'Israele?" Che differenza c'è, su questo punto, tra Israele e Italia, tra ebrei e italiani? Esiste forse una nazione al mondo che, in quanto tale, dichiara istituzionalmente di riconoscere Gesù come sovrano e di volersi riferire a Lui per ogni aspetto del suo governo? No, verrebbe subito fatto di rispondere, e invece bisogna fermarsi e modificare la risposta: una nazione che dichiara una cosa di questo genere esiste: lo Stato del Vaticano. I paramenti da imperatore medievale con cui va in giro il Papa non sono folclore, ma segni. Segni di regalità. Vogliono dire al mondo che la sovranità politica di Dio si è già realizzata sulla terra ed è presente nello Stato del Vaticano, il quale attende, con pazienza e costanza, il giorno in cui tutto il mondo lo capirà, a cominciare da quei testardi di ebrei che se non sono più "perfidi" come prima restano comunque un bel fastidio. Perché se il regno messianico sulla terra si è già localizzato a Roma ai piedi del monte Mario, che senso ha tutto il loro interesse per Gerusalemme e il monte Sion? Chi crede questo, resti pure o diventi cattolico. Ma sappia che si colloca in una posizione oggettivamente antiebraica, quali che siano i suoi sentimenti di personale simpatia per gli ebrei.
L'elezione di Israele: qual è la tua posizione?
Espongo qui una tesi che richiede una presa di posizione del tipo sì/no:
Se davvero accetto Dio (JHWH) come Dio d'Israele, così come è presentato in tutta la Bibbia, allora devo accettare anche il fatto che Egli ha scelto Israele e gli ha assegnato un posto particolare.
Chi non accetta questo perché l'avverte come arbitrario e ingiusto, o perché lo trova ripugnante per altre ragioni, deve trarne le conseguenze e ammettere che non può credere al Dio della Bibbia, il quale si presenta in modo specifico come Dio d'Israele. Potrà forse credere al dio universale dei massoni, ma non a JHWH che, secondo la Torà e i profeti, secondo Gesù e l'apostolo Paolo, ha un particolare interesse per il suo popolo Israele.
Chi pensa di poter percorrere una via intermedia dicendo che segue la fede cristiana ma non riconosce la posizione speciale di Israele, inganna sé stesso. Questa fede non ha come oggetto JHWH, il Dio d'Israele, ma un altro "JHWH" fabbricato con le proprie mani.
Gesù Cristo, secondo l'immagine che ne danno gli Evangeli, era, è e rimane il Messia d'Israele. Come tale viene presentato non soltanto lì, ma in tutto il Nuovo Testamento. Chi si distacca dalle radici ebraiche si distacca - anche se non vuole ammetterlo - da JHWH e dal suo Messia ebraico, e in sostanza segue un'altra nuova religione che non ha più niente a che vedere con il cristianesimo originario. Segue un "Dio degiudaizzato", in contrapposizione all'Antico e Nuovo Testamento, i quali testimoniano che Dio si è vincolato in modo speciale con il popolo d'Israele e non ha rotto questo vincolo a causa del rifiuto di Gesù Cristo da parte della maggior parte del popolo, come molti teologi cristiani sostengono.
(Arno Farina, Kol Hesed nr. 3, 2009)
Sono avidi gli ebrei? Più avidi degli altri?
E' noto lo stereotipo dell'ebreo avaro e avido di beni materiali. In molti casi le persone che ripetono luoghi comuni come questo non si accorgono che tra loro e gli ebrei che osservano potrebbe trovarsi uno specchio: credono di vedere gli ebrei e invece vedono se stessi. Un soldato tedesco che nella seconda Guerra Mondiale fece parte della Wehrmacht di Hitler racconta quello che fecero certi ariani quando il suo reparto entrò in Lituania nel 1941:
"Feci parte del reparto d'assalto corazzato che attraversò il fiume Memel alle 4 del mattino del 22 giugno 1941. Quando entrammo nella prima cittadina lituana - non ne ricordo il nome, ma era subito oltre il confine - pensai: «Che cosa diavolo succede qui?». Sì, perché, guardandoci intorno, vedemmo dappertutto corpi appesi agli alberi, impiccati. Poi ci venne incontro un tizio che parlava bene il tedesco e spiegò: «Ci siamo già occupati noi di ogni cosa. Tutti gli ebrei della città sono già stati impiccati». Prima dell'arrivo dei tedeschi avevano impiccato tutti gli ebrei.
Ovviamente scoprimmo poi che l'avevano fatto per appropriarsi dei loro averi. Gli avevano rubato tutto. Avevano approfittato della situazione. «Hitler è contro gli ebrei in ogni caso. Li uccidiamo e ci prendiamo la loro roba.»
Quando entrammo in quella cittadina era circa mezzogiorno. C'era una ventina di ebrei morti. Comunque seppi poi che era così dappertutto."
Quando un ebreo insulta un cristiano
Se un ebreo, in quanto ebreo, insulta me cristiano "gentile", in quanto cristiano, devo tenere presente che i casi possono essere due.
1o caso. Il mio amico ebreo sta pensando alle nefandezze compiute dalla chiesa cristiana nella storia o semplicemente alle incoerenze della mia vita personale. In questo caso la mia reazione non può che essere un atteggiamento di umiliazione. A Israele Dio aveva detto: "Io santificherò il mio gran nome che è stato profanato fra le nazioni, in mezzo alle quali voi l'avete profanato" (Ezechiele 36:23). Ma se è vero che gli ebrei a suo tempo hanno profanato il nome di Dio fra i gentili, è anche vero che i cristiani gentili hanno profanato e profanano ancora il nome di Gesù fra gli ebrei.
2o caso. Il mio amico ebreo è disposto ad archiviare gli orrori storici della chiesa cristiana e anche a tollerare benevolmente le mie umane debolezze di aderente a una religione che sente estranea, ma non sopporta che si parli di Gesù. E' proprio questo riferimento che lo infastidisce, fino al punto di arrivare ad insultarmi. In questo caso devo rallegrarmi, perché condivido in piccola parte il vituperio subito dal mio Maestro e posso rendere testimonianza di Lui e del suo amore per tutti gli uomini.
In nessun caso sono autorizzato a reagire con altri insulti, tanto meno se presentati in forma "biblica". Devo guardarmi, in particolare, dalla tentazione di adottare il frasario usato da Gesù contro gli scribi e i farisei. Il motivo è semplice. Gesù era ed è il Messia d'Israele, dunque è un'autorità per gli ebrei.
Io no.
Gesù, dopo aver usato un linguaggio duro verso i suoi connazionali per indurli al ravvedimento, è morto per loro.
Io no.
Io sono un gentile che ha potuto aggiungersi agli ebrei perdonati perché, come sta scritto, "Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti" (Romani 11:32). Dire che "la salvezza viene dai giudei" (Giovanni 4:22), non significa soltanto che "Gesù era un ebreo di nascita", come ha detto qualcuno, ma che la persona stessa di Gesù, nella sua manifestazione storica e salvifica, non è scindibile dal suo popolo. A quella donna samaritana, appartenente a un popolo ostile ai giudei, Gesù aveva detto: "Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo". Il "noi" di Gesù significa "noi ebrei". Quindi il cristiano gentile che dovesse cominciare a dire sprezzantemente: "Voi ebrei..." potrebbe trovarsi davanti un Gesù che risponde: "Prego, che cos'hai da dire su noi ebrei?"
A un ebreo posso far notare che è un peccatore come me, bisognoso di perdono e di salvezza, ma quanto alla specifica disubbidienza del popolo eletto nei confronti di Dio è una questione che riguarda Dio e il suo popolo. Non me. Se Gesù è per me l'Autorità suprema, anche il suo popolo è per me, in un certo senso, un'autorità. E secondo la Scrittura le autorità poste da Dio, anche quando ad esse non si può ubbidire, devono sempre essere onorate.
Per non cadere preda della vanagloria
"
. Tutti coloro che si occupano di questioni pubbliche lo facciano in nome del Cielo
" (Pirqè Avòt, 2;2)
Nella Tradizione ebraica fare qualcosa "in nome del Cielo" significa essenzialmente agire disinteressatamente e senza secondi fini. Molto spesso ci sono motivi sotterranei, anche inconsci, semiconfessabili e talvolta inconfessabili, che ci inducono a occuparci della cosa pubblica. Talvolta si diventa parte di meccanismi che ci impediscono di analizzare le diverse sfide psicologiche e i trabocchetti che incontriamo per non cadere preda della vanagloria. I Maestri hanno messo in guardia che " colui che corre dietro alla fama, la fama scappa via da lui, e colui che la sfugge, la fama lo segue". Si narra la storia di uno che tentava di impressionare tutti con la sua umiltà e faceva domande a un anziano rabbino circa la validità di questo detto talmudico. "Io corro sempre lontano dalla fama - protestava - come è che succede che la fama non sembra correre dietro a me?" " La fama - rispose il rabbino anziano - corre dietro solo a coloro che la evitano e non si girano continuamente indietro per vedere se lei li sta seguendo...".
Roberto Della Rocca, rabbino
Perché molti cristiani non sinteressano di Israele?
La difficoltà che hanno molti cristiani ad inserire correttamente il popolo d'Israele nella loro comprensione del Vangelo dipende dal fatto che gran parte dell'insegnamento ricevuto è centrato sulla salvezza individuale e sulla spiritualità personale. Al centro dell'interesse ci sono io, la mia felicità eterna e il mio benessere temporale. La dimensione sociale e storica dell'opera Dio non è tenuta in considerazione perché non interessa, dal momento che non corrisponde a quella richiesta di felicità individuale che è la ragione di vita di quasi tutti, ivi compresi molti cristiani.
Quanto agli ebrei, invece, si può dire che se non si fa riferimento al loro popolo e alla loro storia, non esistono. Tutti i tentativi di presentare, in modo generalmente dispregiativo, i caratteri antropologici tipici dell'individuo ebreo si sono rivelati vani. Il singolo ebreo non ha niente di particolare, né nel bene, né nel male. Gli ebrei esistono nella loro specificità in quanto sono un popolo, e il popolo esiste in quanto ha una storia. Ed è una storia che non si è arrestata nel passato, ma inaspettatamente continua ancora nel presente e, secondo la convinzione di molti ebrei e non ebrei, e soprattutto secondo quanto sta scritto nella Bibbia, continuerà ancora nel futuro. La storia di Israele come popolo e nazione ha a che fare direttamente con la volontà sovrana di Dio. Chi trascura o interpreta in modo distorto questa volontà, sia egli ebreo o non ebreo, si pone in rotta di collisione con Dio stesso.
Le leggi razziali: uno strano alone di familiarità
Se le leggi razziali in Germania e in Italia non fossero state seguite entro breve tempo dallo sterminio di massa degli ebrei dEuropa, oggi avrebbero attirato unattenzione molto maggiore di quanto ne ebbero in realtà. In particolare le leggi razziali italiane sono state, sino a poco tempo fa, poco studiate, quasi dovessero essere perdonate in retrospettiva per essere state così miti in paragone al vero sterminio degli ebrei. La campagna fascista contro gli ebrei è sinistramente interessante anche per un altro motivo. Le leggi razziali hanno uno strano alone di familiarità, perché in effetti differivano di poco da quelle che la Chiesa stessa aveva applicato nei territori che governava. Mussolini e i suoi accoliti erano perfettamente consapevoli di questa somiglianza e usarono il fatto che la Chiesa avesse da tempo favorito questi provvedimenti per appoggiare la loro stessa azione.
Vangelo e Israele, che coshanno in comune?
Lindirizzo web di Notizie su Israele (www.ilvangelo-israele.it) contiene volutamente due termini di cui forse non è chiaro a tutti il motivo dell'accostamento: Vangelo e Israele. Per molti i vangeli sono i libri di chiesa, adatti a ecclesiastici e religiosi cristiani. Si pensa che Israele sia un tema del passato che riguarda lAntico Testamento, e che con la venuta di Gesù il centro dellattenzione si sia spostato definitivamente da Israele alla chiesa. Qualcuno allora rimarrà sorpreso nel sapere che nei vangeli il termine chiesa compare soltanto 3 volte, mentre il termine Israele compare esattamente 30 volte. Soltanto questo fatto numerico dovrebbe far pensare che il collegamento tra Vangelo e Israele sia molto più stretto di quanto si creda comunemente.
Qui di seguito sono riportate alcune righe del racconto di un ebreo sefardita, nato in Israele da famiglia proveniente dalla Persia, che alletà di 25 anni non sapeva nemmeno che Gesù era ebreo e non aveva mai pensato che nei vangeli, testi considerati impuri nellambiente in cui era cresciuto, ci potesse essere qualcosa che riguardasse il suo popolo e il suo paese. Negli Stati Uniti, dove si era trasferito per cercare fortuna, fece la conoscenza di un cristiano con cui entrò in un serrato colloquio su questioni di fede. Dopo molte insistenze dellamico, e vincendo forti resistenze da parte sua, alla fine si decise ad aprire un libriccino blu che gli era stato messo nelle mani. Era il libro proibito: il Nuovo Testamento. Ecco un breve e parziale resoconto della sua prima esperienza:
«Quando arrivai a casa, tolsi dalla tasca il libriccino blu, accesi la luce e l'apersi. Già il primo versetto mi produsse una specie di scossa elettrica: Libro della genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo... (Matteo 1:1). Allora Yeshua era veramente un ebreo!
Continuai a leggere. A quella sorprendente dichiarazione seguiva una lunga lista di eroi biblici che mi erano ben noti fin dai giorni di scuola: Abraamo, Isacco e Giacobbe, Giuda e i suoi fratelli, il re Davide e i re di Giuda che lo seguirono: erano tutti buoni ebrei kosher! Ma i cristiani che leggono questo libro, capiscono quello che leggono? Che cosa ci potrebbe essere di più ebreo di questo?
Improvvisamente un tremendo sospetto mi salì in cuore: quanti cristiani leggono realmente la loro Bibbia? Se sono tanto pochi quanto i miei fratelli ebrei che leggono il Tanach, allora sia ebrei che cristiani vivono in una tradizione fatta dagli uomini che distorce e falsifica la verità fino a renderla irriconoscibile.
Andai avanti a leggere, e dalle pagine del libro mi sentivo come trasportato nel mio amato Eretz Israel. Insieme a Giovanni Battista attraversai il deserto di Giudea e andai con lui sulle rive del Giordano. Accompagnai Yeshua e i suoi discepoli nei loro viaggi sulle rive del lago di Gennesaret e sui monti della Galilea. Insieme camminammo per gli stretti vicoli di Gerusalemme. Tutto corrispondeva: il tempio e la sinagoga, i farisei e i sadducei, i giusti e quelli che si facevano giusti da soli. Vidi i pastori sorvegliare i loro greggi nei campi intorno a Betlemme e osservai gli anziani studiosi della Torah piegarsi sui loro sacri rotoli nelle scuole rabbiniche. Vidi i dorati campi di grano già maturi per la mietitura, i fiori di prato e gli uccelli che venivano venduti due per un soldo e cinque per due soldi. Passai un po' di tempo con i pescatori che lavoravano duro sulle rive del lago e gustai l'inebriante fragranza del vino buono, dei frutteti e del puro olio d'oliva. Mi sentivo come se fossi corporalmente lì!
Ma che cosa aveva a che fare tutto questo con il cristianesimo? Non sentivo né il suono di campane delle chiese, né vedevo in giro monaci con vesti nere o marroni che portavano sul petto il simbolo della croce e baciavano le loro icone. Non c'era nessuno che adorava croci d'oro e d'argento in maestose cattedrali al suono dell'organo .
Era tutto così israeliano che mi venivano le lacrime agli occhi. Mai in vita mia avevo provato tanta nostalgia! L'America, con le sue scintillanti luci al neon, le sue ampie superstrade e i suoi imponenti grattacieli, era improvvisamente sparita. Mi trovavo di nuovo nel mio familiare paese agricolo di Israele, che riappariva semplice e schietto davanti ai miei occhi.»
Sconfitta e celebrità
Mahmoud Darwish, il poeta della causa palestinese recentemente scomparso, nel 2004 è apparso in Notre Musique, un film di Jean-Luc Godard. Nel film Darwish sintrattiene con un giornalista israeliano:
«Sa qual è la ragione per cui la causa palestinese è celebre? Perché voi siete i nostri nemici. Linteresse per i palestinesi ha la sua radice nellinteresse per la questione ebraica. Ci sinteressa a voi, non a me. Da una parte, la nostra disgrazia è di avere come nemico Israele, che beneficia di un sostegno illimitato. E dallaltra, abbiamo la fortuna di avere Israele come nemico, perché sono gli ebrei ad essere il centro dellinteresse. Voi ci portate sconfitta e celebrità».
(da "Philosésemitisme")
Lebraismo e lodio degli ebrei
Lebraismo e lodio degli ebrei hanno attraversato per secoli la storia come compagni inseparabili. Simile al popolo ebreo che è il vero errante eterno, lantisemitismo pareva non dovesse mai morire. Bisogna esser ciechi per affermare che gli ebrei non sono il popolo eletto, eletto allodio universale. Per quanto grandi siano le divergenze fra i popoli nelle loro relazioni reciproche, per quanto profonde siano le diversità distinti e di tendenze, essi si danno la mano nel loro odio verso gli ebrei. Solo su questo punto essi vanno tutti daccordo. L'estensione e le forme con cui tale antipatia si manifesta dipendono certamente dal grado di civiltà di ciascun popolo; ma in sostanza lantipatia esiste dappertutto e in ogni tempo, sia che essa si concreti in forma di persecuzioni, di violenze o di gelosia invidiosa, sia che si celi sotto la maschera della tolleranza e della protezione. Essere saccheggiati perché si è ebrei o dover essere protetti come ebrei, è ugualmente umiliante; sono due cose egualmente penose al sentimento di dignità degli ebrei.
Leon Pinsker (1821-1891)
Terroristi "pentiti"
Accade spesso che i guerriglieri e i terroristi più radicali a un certo momento della loro lotta cambino stile e diventino più "moderati". Il caso recente più clamoroso è quello di Yasser Arafat, la cui metamorfosi lo ha trasformato da micidiale terrorista a premio Nobel per la pace. Anche Hitler, a un certo momento del suo percorso politico, è cambiato, passando da forme violente di lotta a una pragmatica lunga marcia attraverso le istituzioni democratiche. In fondo, il nazismo che è andato al potere è quello «moderato» del 1932, non quello «putschista» del 1923. Strano che questo passato storico non aiuti a capire l'attuale tragitto dell'islamismo radicale. Nazismo e islamismo sono ideologie di guerra (jihad): loro sacro dovere è la conquista del potere con tutti i mezzi possibili al fine di esercitarlo secondo i canoni della loro ideologia, non certo secondo quelli della democrazia, da loro intimamente e fondamentalmente disprezzata. Che alcuni «pragmatici» islamisti abbiano capito che in uno stato moderno non si può arrivare al potere solo attraverso attentati e guerriglia, ma che bisogna anche saper «dialogare» con i propri avversari per ottenere alla fine i propri scopi, non è affatto rassicurante. Anzi, è preoccupante il fatto che molti "dialoganti" occidentali si dichiarino soddisfatti di questa evoluzione.
Parole con cui Theodor Herzl conclude il suo libro Lo stato ebraico
Mi si lasci ripetere, ancora un volta, quello che ho già detto allinizio: gli ebrei, che lo vogliono, avranno il loro stato. Dobbiamo finalmente vivere come uomini liberi sulla nostra zolla di terra, e morire tranquillamente nella nostra patria. La nostra libertà libererà il mondo, la nostra ricchezza lo arricchirà e la nostra grandezza lo renderà più grande. E ciò che noi faremo per il nostro progresso personale produrrà effetti imponenti e positivi sul benessere di tutta lumanità.
Theodor Herzl 1860-1904
Non tutti i palestinesi sono terroristi
Si sente dire spesso nei media: "Non si può credere che tutti i palestinesi siano terroristi". E' vero. Ma si può credere che al tempo di Hitler sessanta milioni di tedeschi fossero assassini? Evidentemente no. E' chiaro: non erano tutti assassini. In maggior parte anzi erano persone tranquille, che consideravano l'antisemitismo del movimento nazista soltanto come un'antiestetica escrescenza. L'odio contro gli ebrei poteva essere più o meno condiviso, ma in ogni caso per i più non era un fatto di grande importanza. Per Hitler e per i suoi adepti invece era essenziale. E alla fine si è visto. E' certo che non tutti i palestinesi sono terroristi, ma è chiaro che per la maggioranza di loro il fatto che i loro leader abbiano come programma l'annientamento dello Stato d'Israele non è un problema. Le elezioni democratiche avvenute a Gaza nel gennaio 2006 l'hanno ampiamente dimostrato. Hamas ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti con il 56%, cosa che neppure i nazisti riuscirono a ottenere subito dopo la loro ascesa al potere. Nella prima elezione democratica organizzata in Germania dal governo di Hitler, il 5 marzo 1933, lo NSDAP (partito nazionalsocialista) non riuscì a superare il 43,9%. Poco, rispetto al previsto, ma sufficiente a permettere a Hitler di arrivare fin dove è arrivato. Dove vuole arrivare Hamas?
Complesso di colpa per i crimini del passato?
Qualche ebreo pensa che l'impegno in favore di Israele di molti cristiani sia dovuto a complessi di colpa e al desiderio di riscattare con qualche atto di pentimento un passato di vergognoso antisemitismo. Può darsi che per qualcuno sia così, ma certamente non è così per tutti. I cristiani biblici possono essere addolorati e umiliati per il fatto che il nome di Cristo sia stato usato nel passato in modo aberrante per giustificare e legittimare crimini di ogni tipo contro gli ebrei. Il loro impegno per Israele e per gli ebrei però non proviene da complessi di colpa o dal desiderio di riscattare malefatte del passato, ma è un frutto dell'amore di Dio che, secondo la Scrittura, «è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5:5). Il pentimento è una cosa personale e va esercitato in primo luogo verso Dio e secondariamente verso il prossimo offeso. I cristiani biblici sono pronti a pentirsi dei loro peccati personali, ma non sentono la necessità di pentirsi di ciò che non hanno mai fatto. Lasciano alle istituzioni ecclesiastiche che si vantano di avere una continuità storica secolare il compito di formulare tardive richieste di perdono che consentono oggi alle medesime istituzioni di conformarsi meglio alla situazione del presente per poter mantenere, in altra forma, lo stesso atteggiamento che portò agli orrendi crimini del passato. E' indubitabile che sul piano storico la contrapposizione che si presenta è quella tra cristiani-carnefici e ebrei-vittime, ma sul piano dell'attualità e in senso generale questa contrapposizione non è accettabile. Il motivo è semplice: i «cristiani» che a suo tempo martoriarono gli ebrei, inflissero tormenti simili anche a certi non-ebrei chiamati «eretici». E tutto fa pensare che, trasportati a quei tempi, i cristiani biblici sarebbero messi dalla stessa parte degli ebrei. Con convinzioni teologiche diverse forse, ma sotto lo stesso boia.
Un problema di risolubilità che è una questione di verità
In matematica si sa bene che esistono problemi irresolubili, o comunque non risolubili con determinati procedimenti. Un esempio classico, divenuto proverbiale, è quello della quadratura del cerchio. Per secoli gli studiosi hanno cercato di costruire con riga e compasso un quadrato di area uguale a quella di un cerchio. Avrebbero continuato ancora se qualcuno, invece di tentare un'ennesima dimostrazione di quel tipo, non avesse provato a dimostrarne matematicamente l'irresolubilità per quella via. E ci riuscì. Da quel momento i tentativi secolari finirono.
Il problema mediorientale potrebbe essere dello stesso tipo. I politici, che non si pongono problemi di verità ma di fattibilità, nella maggior parte dei casi danno per scontato che un dato problema è risolubile con mezzi politici. Si tratta soltanto di stabilire come. Supponiamo invece, usando il criterio della verità, che sia vera la proposizione: "Non è possibile trovare con mezzi politici una soluzione che porti pace in Israele-Palestina dividendo in due parti quella terra contesa". Come se ne accorgerebbero i pragmatici politici? Come si potrebbe far capire a un qualsiasi sperimentatore che i suoi sforzi sono destinati all'insuccesso? In un solo modo: sottoponendogli una dimostrazione teorica dell'impossibilità di ottenere quel risultato per quella via. Se non vorrà leggere la dimostrazione, se rifiuterà di impossessarsi degli strumenti culturali necessari per capirla, sarà condannato a ripetere i suoi tentativi per tutta la vita e a rimanere sempre deluso. Se un problema è risolubile, si può sperare di trovarne prima o poi la soluzione, magari per vie traverse, con po' di fortuna e fantasia. Ma se un problema è irresolubile, per convincersene c'è un solo modo: leggere una dimostrazione teorica della sua irresolubilità.
Bene, nella Bibbia è scritta la dimostrazione dell'irresolubilità del problema mediorientale con mezzi umani. E' impossibile ottenere pace in quella martoriata regione manovrando la riga ebraica e il compasso arabo. C'è di mezzo qualcosa di "trascendente", come nel caso della famosa pi greca.
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