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Il centurione di Capernaum

di Marcello Cicchese

LUCA, cap. 7

  1. Dopo che egli ebbe finito tutti i suoi ragionamenti al popolo che l'ascoltava, entrò in Capernaum.
  2. Il servo di un certo centurione, che gli era molto caro, era malato e stava per morire;
  3. il centurione, avendo udito di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo.
  4. Ed essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: “Egli è degno che tu gli conceda questo,
  5. perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha edificato la sinagoga”.
  6. Gesù s'incamminò con loro e ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non ti dare questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto,
  7. perciò non mi sono neppure reputato degno di venire da te, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito.
  8. Poiché anch'io sono uomo sottoposto all'autorità altrui e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: 'Va'' ed egli va; a un altro: 'Vieni' ed egli viene; e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa”.
  9. Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!”.
  10. E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito.

MATTEO, cap. 8

  1. Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo:
  2. “Signore, il mio servo giace in casa paralitico, gravemente tormentato”.
  3. Gesù gli disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ma il centurione, rispondendo, disse:
  4. “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.
  5. Poiché anch'io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati e dico a uno: 'Va'' ed egli va, e a un altro: 'Vieni' ed egli viene, e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa”.
  6. Gesù, udito questo, ne restò meravigliato e disse a quelli che lo seguivano: Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande.

La storia di questo anonimo centurione romano preoccupato per la salute di un suo ancor più anonimo servo, dove affiorano inaspettati sentimenti di gratitudine degli anziani di una sinagoga per un militare dell'esercito di occupazione, con un Gesù che si lascia sorprendere da una fede che non aveva mai visto neppure in Israele, è uno dei quadri più dolci e significativi dei Vangeli.
  Il racconto però non è tra i più "gettonati", battuto di gran lunga in fatto di popolarità da parabole come "Il buon samaritano" o "Il figliuol prodigo". Ma il guaio è che proprio la popolarità di queste parabole contribuisce a deformare la comprensione dei Vangeli. Non soltanto le parabole, ma tutte le parole e le azioni di Gesù rischiano di essere considerate come universali modelli di ideali comportamenti umani, col risultato che alla fine l'intera raccolta dei quattro Vangeli diventa, in questa comprensione, un'antologia di edificanti racconti morali presentata in forma artistico-letteraria. Se poi qualcuno ci vuol metter dentro anche Dio, può farlo, la cosa non disturba ma non è essenziale.
  I Vangeli invece sono storia. Trattano una questione di verità: la verità di Dio nel suo rapporto con la terra e gli uomini. Rispondono alla domanda: chi è Gesù? E al lettore pongono la domanda: e tu, chi dici che sia Gesù?

    "Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?” Essi risposero: “Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?” Simon Pietro, rispondendo, disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16:13-16).

Come si vede, le risposte riportate dai discepoli sono diverse, ma tutte pongono una questione di verità facendo riferimento alla storia di Israele.
  All'interno di questa storia, la domanda su Gesù si particolarizza in modo più preciso: "E' Gesù il Messia di Israele?" A questa domanda i Vangeli rispondono decisamente "sì", ma la loro risposta non è una trattazione teologica ben argomentata: i Vangeli rispondono trasmettendo in forma scritta, sotto l'azione dello Spirito di Dio, quello che è avvenuto in Israele con la nascita e l'opera di Gesù.
  I Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù. Ma come può avvenire questo, se non si può incontrarlo da nessuna parte? Qualcuno forse invidierà chi ha potuto conoscerlo di persona quando era presente corporalmente sulla terra, ma questo è stato possibile soltanto per un tempo.

    La Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come quella dell'Unigenito venuto dal Padre (Giovanni 1.14).

Quel tempo ormai è passato, e adesso? Adesso Gesù non c'è più perché.... perché è morto, dirà qualcuno, come tutti. Certo, indubbiamente Gesù è morto, ma non come tutti. Perché Gesù ora vive. Ma non è "tornato in vita", non è rimbalzato sul muro della morte e rigettato indietro là dov'era prima. Gesù è passato attraverso il muro della morte e nel far questo l'ha distrutta. Gesù è risuscitato:

    "Cristo, essendo risuscitato dai morti, non muore più; la morte non lo signoreggia più" (Romani 6:9).

Dopo la sua risurrezione, con un corpo redento da ogni traccia di male, Gesù si è intrattenuto per quaranta giorni coi suoi discepoli; poi, con loro sorpresa, è stato ripreso da Dio e riportato in cielo.
  E dei discepoli rimasti inaspettatamente senza il loro Maestro in terra, che ne è stato? Per loro i tre giorni in cui il corpo di Gesù è rimasto sotto terra devono essere stati terribili. E' stata un'esperienza di morte, tormentati da un dubbio angosciante: ma allora, avevano forse ragione quelli che dicevano che Gesù non è il Messia?
  Mentre era con loro Gesù sapeva che avrebbero dovuto passare per quel tremendo travaglio. Quattro capitoli del Vangelo di Giovanni, dal 13 al 16, sono dedicati a riportare i discorsi con cui Gesù nella tormentata ultima cena pasquale ha annunciato ai discepoli, con enigmatiche e tenere parole, il suo imminente distacco da loro:

    Ora me ne vado a colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: 'Dove vai?'. Invece, perché vi ho detto queste cose, la tristezza v'ha riempito il cuore. Pure, io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma, se me ne vado, io ve lo manderò (Giovanni 16:5-7).

Lo Spirito Santo che ha riempito Giovanni Battista fin dal grembo di sua madre (Luca 1:13-17), che è venuto su Maria e l'ha coperta della sua ombra quando ha concepito Colui che sarà chiamato "Figlio dell'Altissimo" (Luca 1:28-33), che ha riempito Elisabetta quando udì il saluto di Maria (Luca 1:39-42), che ha riempito Zaccaria quando Dio gli ha ridato la parola mettendogli in bocca una solenne benedizione profetica (Luca 1:67-79), che ha concesso a Simeone il privilegio di vedere coi suoi occhi la Consolazione di Israele prendendo il bambino Gesù tra le sue braccia (Luca 1:25-32), che è sceso su Gesù in forma corporea come una colomba il giorno del suo battesimo nelle acque del Giordano (Luca 3:21-22), è anche Colui che ha oggi il compito di trasmettere la parola viva di Gesù a coloro che crederanno in Lui senza averlo incontrato corporalmente di persona. E' questa la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli in quell'ultima cena pasquale:

    Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra portata, però quando sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l'annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie: per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà (Giovanni 16:12-15).

Proprio questo avviene quando si leggono i Vangeli in posizione di disponibilità: lo Spirito della Verità cerca la verità in chi legge, cioè la sincerità, e se la trova, la Parola di Dio che si è fatta carne in Gesù di Nazaret raggiunge nello Spirito la "carne" di chi si pone davanti al testo biblico.
  Quindi anche il passo che qui vogliamo esaminare non può essere considerato come un semplice oggetto di studio, ma come rivelazione che Gesù fa di Se stesso. E' un modo strano di farlo, dirà qualcuno oggi, ma è la stessa cosa che dicevano allora molti di quelli che avevano incontrato Gesù "in carne ed ossa". Non abbiamo dunque un minore vantaggio rispetto a loro, e neppure minore responsabilità. Con i Vangeli dunque il Signore vuol far conoscere la persona di Gesù, e questo è come dire che i Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù.
  Osserviamo dunque Gesù nel percorso della sua autopresentazione. Se lo seguiamo nella lettura del Vangelo di Luca, dopo averlo sentito parlare per la prima volta con i dottori della legge nel Tempio, dopo averlo visto prendere il battesimo di Giovanni, lo vediamo "condotto dallo Spirito nel deserto" per essere tentato dal diavolo (Luca 4:1-13), come fu tentato Adamo nell'Eden.
  Dopo di che Gesù inizia il suo ministero pubblico. Predica senza molto successo nella sinagoga della sua Nazaret, da dove è cacciato via in malo modo dai suoi compaesani e trascinato sull'orlo di una rupe con l'intenzione di buttarlo giù (Luca 4:16-28); opera guarigioni, liberazioni da demoni e segni miracolosi; costituisce una squadra di dodici fedeli a cui dà il nome di apostoli (Luca 6:12-16).
  La sua azione, insieme a quella dei suoi discepoli, si rivolge esclusivamente ad Israele. Aveva cominciato ripetendo le parole di Giovanni Battista: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo" (Marco 1:15). In questo annuncio ci sono due indicativi: è compiuto, è vicino; e due imperativi: ravvedetevi, credete. Sono parole rivolte ai figli di Abraamo, perché il regno di Dio ha come centro Israele, e se Dio viene a regnare, vuol dire che viene a mettere tutte le cose a posto: innanzi tutto in Israele, e poi, avendo al centro un Israele purificato, in tutte le nazioni.
  E' ovvio dunque che il lavoro deve cominciare da Israele. Per questo Gesù, come saggio stratega di un esercito di liberazione, invita la sua milizia a non disperdere gli obiettivi e ad attenersi agli ordini:

    “Non andate fra i gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Andando, predicate e dite: Il regno dei cieli è vicino" (Matteo 10:5-7).

I discepoli potevano pensare che avendo a disposizione la potenza del Messia si sarebbero potute sanare molte penose situazioni, come la rivalità tra giudei e samaritani o le insopportabili angherie dei romani, ma Gesù è deciso e richiede il rispetto delle priorità: per prima cosa bisogna rivolgersi ai figli d'Israele.
  Qui succede un fatto imprevisto. Gesù, che aveva ordinato di non andare fra i gentili, inaspettatamente riceve il messaggio di un gentile che gli chiede di andare da lui. Imbarazzante. Si noti che il centurione di Capernaum aveva chiesto proprio questo: "... gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo". Non gli aveva chiesto una guarigione a distanza ma proprio di venire. Se in seguito qualcosa cambierà, sarà per motivi che cercheremo di capire.
  Innanzitutto però vogliamo interessarci di questo strano militare romano. Se lo Spirito Santo che nel piano di Dio ha il compito di annunciare ciò che è di Gesù, ha scelto di trasmettere questo episodio con tanti particolari apparentemente superflui, vuol dire che tutto questo fa parte dell'autopresentazione di Gesù; dunque non possono essere trascurati, perché si tratta in primo luogo di rivelazione, non di istruzione morale o spirituale.
  Di questo centurione certamente si può dire, usando le parole di Gesù, che aveva "un cuore onesto e buono" (Luca 8:15). Oltre alla sua buona disposizione verso la nazione di Israele, aveva anche una tenerezza d'affetto fuori del comune per il suo attendente, che era malato, forse da molto tempo, e in ogni caso non era più in grado di svolgere quei compiti di cui il centurione aveva certamente bisogno per svolgere il suo servizio. Se quel servo fosse morto, dal punto di vista amministrativo non sarebbe stato un gran problema. Il centurione avrebbe ottenuto un altro attendente sano ed efficiente e il servizio se ne sarebbe avvantaggiato.
  Ma il centurione non si rassegna al pensiero che il suo amato servitore possa morire. Il servo è  "gravemente tormentato" ("soffre terribilmente", traduce la CEI), è in agonia e potrebbe morire da un momento all'altro. Il centurione non sa che fare. Certamente era già informato su Gesù, se non altro per i motivi di ordine pubblico che gli competono; e inoltre Gesù in quel momento era una star, ne parlavano tutti.
  Di quello che poi accade cercheremo di fare una ricostruzione verosimile ricorrendo a entrambe le versioni di Luca e Matteo, che a una prima lettura appaiono in disaccordo.

    "Il centurione, avendo udito di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a salvare il suo servo" (Luca 7:3).

Il centurione non incontra subito Gesù, ma lo prega tramite messaggeri di venire a salvare il suo servo. Da notare i messaggeri che sceglie: come centurione esercitante l'autorità di Roma in Capernaum, non avrebbe avuto problemi a far venire Gesù da lui: gli sarebbe bastato mandargli un paio di soldati con l'invito a presentarsi da lui per questioni da discutere. Ma non fa così. Il centurione se ne intende, in fatto di autorità, e una cosa che certamente ha capito è che su questioni di morte o vita come quella in cui si trova il suo servitore, Gesù ha un'autorità superiore alla sua. Per arrivare a Gesù deve trovare un'altra strada che non faccia riferimento all'autorità di Roma, ma si inserisca con rispetto in quel mondo ebraico in cui si muove Gesù. Si rivolge  allora agli anziani della sinagoga, chiede il loro intervento, la loro intercessione. Insomma, chiede loro di "metterci una buona parola".
  E loro ce la mettono. Vanno da Gesù e gli illustrano con fervore il caso del centurione romano presentandolo come una persona degna. Con molte parole lo pregano di accontentare la richiesta di quell'uomo, perché sì, è vero, lui non è ebreo, per di più è addirittura un militare dell'esercito di occupazione, ma non è come gli altri, lui vuole bene alla nostra nazione, ci ha costruito la sinagoga, dicono a Gesù. E glielo dicono "con insistenza".
  Ma perché con insistenza? Molto probabilmente perché Gesù in un primo momento ha opposto resistenza. L'aveva detto chiaramente: "Non andate tra i gentili" (Matteo 10:5); può allora Gesù fare qualcosa che aveva detto ai discepoli di non fare? Deve forse abbandonare l'opera di predicazione del Regno di Dio, di liberazione da malattie e schiavitù demoniache per occuparsi di un militare che la folla vede come un esponente di quella Roma imperiale che tiene in schiavitù la nazione di Israele? Gli anziani comprendono le perplessità di Gesù, ma cercano di fargli capire che il centurione è un caso particolare.
  Forse però Gesù ha resistito anche per ritardare la risposta, come faceva spesso con chi gli chiedeva aiuto. Faceva parte del suo stile. Si pensi al suo prolungato silenzio davanti alle suppliche della donna cananea (Matteo 15:22-28); o al ritardo con cui si muove quando gli comunicano che il suo amico Lazzaro è malato, e al suo arrivo si sente fare da Marta un garbato rimprovero: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto" (Giovanni 11:21).
  Gli anziani però non mollano e continuano a fare pressioni su Gesù in favore del centurione. Insistono nel dire che "Egli è degno...", e se fanno così è perché avrebbe potuto anche non esserlo. Avrebbe potuto essere uno di quelli che sfruttano la loro posizione di comando per esigere servizi di ogni genere da quelli che considera inferiori. Dovevano dunque evitare che Gesù li considerasse agli ordini di un potente pagano per compiacenza e opportunismo.
  Alla fine Gesù si lascia convincere e s'incammina con loro verso la casa del centurione.
  Ma intanto il tempo  passa. E il centurione sta sulle spine perché  il suo amato servo sta morendo in mezzo ai tormenti. E Gesù non arriva.  Allora, forse temendo  che il fatto di venire in casa di un impuro gentile potesse essere un elemento di discussione tra Gesù e gli anziani, taglia la testa al toro e invia a Gesù un'altra delegazione. Stavolta non ci sono gli anziani della Sinagoga ma non precisati amici, probabilmente militari come lui.

    Gesù s'incamminò con loro e ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non ti dare questo incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, perciò non mi sono neppure reputato degno di venire da te, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito" (Luca 7:6-7).

Gli amici certamente non dovevano dire a Gesù di affrettarsi perché se no il servo muore, ma gentilmente dovevano dirgli che non era necessario che Lui si scomodasse ad arrivare fino a casa, e che il centurione l'invitava a dire una sola parola, e certamente il suo servo sarebbe guarito.  E' qui che arriva la "richiesta di guarigione a distanza", non prima. Ma come vedremo, questa sarà qualcosa di più di una richiesta.
  Gesù invece continua a camminare verso la casa, ed è a questo punto che si inserisce il racconto di Matteo, che taglia tutta la parte precedente.
  Quando il centurione sente che Gesù sta per arrivare, esce e gli va incontro. Gesù nota la sua trepidazione e lo conforta assicurandogli che sarebbe venuto e avrebbe guarito il suo servitore.

    "Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato, gravemente tormentato. Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò»" (Matteo 8:5-7).

A questo punto il centurione avrebbe dovuto soltanto aprire la porta e lasciar entrare Gesù perché guarisse il malato come aveva promesso. Le cose invece vanno diversamente:

    Ma il centurione, rispondendo, disse: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Matteo 7:8).

Gli anziani avevano detto che il centurione è degno, perché tale lo consideravano nel suo rapporto con Israele, il centurione invece considera se stesso non degno nel suo rapporto con Gesù. Non perché si sente peccatore non è questione di moralità o spiritualità personale, ma di posizione gerarchica. Gesù è superiore al centurione come il centurione è superiore ai suoi soldati. E come avviene in tutte le scale gerarchiche, la superiorità di posizione si traduce in una diversa possibilità di uso della forza di comando.
  Si può trovare un esempio in Giovanni Battista che dice:

    “Dopo di me viene colui che è più forte di me, al quale io non son degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari" (Marco 1:7).
Giovanni riconosce che Gesù è in una posizione di superiorità rispetto a lui nel Regno di Dio, quindi è più forte di lui. Dunque questa superiorità si deve manifestare negli inferiori anche con atteggiamenti consoni. Proprio come Giovanni non si sente degno di avere l'onore di poter sciogliere i legacci dei calzari di "colui che è più forte" di lui, così il centurione non si sente degno di ricevere in casa sua la persona di Gesù, che riconosce spiritualmente superiore alla sua.
  La scena che segue è unica nei Vangeli. Si vede un militare della potente Roma che sulla base della sua esperienza spiega garbatamente a Gesù come stanno le cose in fatto di gerarchia quando si tratta di dare ordini e pretendere esecuzioni:

     "Anch'io sono uomo sottoposto all'autorità altrui e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: 'Va'' ed egli va; a un altro: 'Vieni' ed egli viene; e al mio servo: 'Fa' questo' ed egli lo fa” (Matteo 7:9).

Il centurione si aspettava che Gesù facesse una cosa simile: che desse un ordine. E gli ordini si danno dicendo soltanto una parola, come ALT o DIETROFRONT, come fa lui, militare romano, che per ordinare a un soldato di andare dice soltanto «Va'!», quello va; e per dirgli di venire dice soltanto «Vieni!», e quello viene. Ecco perché mentre era sulle spine vedendo che il suo servo stava per morire in mezzo ai tormenti, dopo delegazione degli anziani gliene manda un'altra con la supplica "di' soltanto una parola", che è come dire "ti basta dare un ordine, basta una parola, dilla!" e io so che "il mio servo sarà guarito", anche se tu non sei ancora qui. E' fede. Gesù è attonito. E uno stupore simile non si ritrova più nei Vangeli.

    Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui e, rivoltosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una fede così grande!” (Luca 7:9).

Il centurione, che con la sua fede è riuscito a sorprendere Gesù, dimostra  di riuscire anche a fargli cambiare decisione. Gesù gli aveva detto “Io verrò e lo guarirò", quindi era pronto a fare la cosa più naturale che ci fosse: entrare in casa, farsi conoscere dal malato e donargli la guarigione, insieme a parole di conforto e raccomandazioni. Ma il centurione, che aveva già fatto dire a Gesù dagli amici di non essere degno di riceverlo sotto il suo tetto (Luca 7:6), gli ripete di persona la stessa dichiarazione (Matteo 8:7-8). E da militare attento alle differenze di posizione gerarchica, resta fermo nella sua volontà di vedere rispettati i giusti gradi di onore: non è opportuno che Gesù entri nella sua casa perché lui non è degno di questo onore. Gesù acconsente.

    E Gesù disse al centurione: “Va', ti sia fatto come hai creduto” (Matteo 8:13).

Ordine impartito.
  E gli amici mandati in missione da Gesù e tornati indietro insieme a Lui, mossi da comprensibile curiosità entrano in casa per vedere come stanno le cose:

    E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito (Luca 7:10).

Ordine eseguito. Guarigione a distanza.

RIFLESSIONI

All'inizio di questo articolo abbiamo detto che il racconto del centurione di Capernaum è uno dei quadri più dolci e significativi dei Vangeli.
  E' dolce, perché in esso tutto è positivo. I vari rapporti tra i personaggi: centurione-servo, centurione-anziani, anziani-Gesù, e infine Gesù-centurione, si svolgono in un clima di armoniosa benevolenza e comprensione. Da nessuna parte appare il lato negativo della storia, come spesso accade in altri racconti.
  E' significativo, perché in esso ci sono aspetti di solito trascurati che lo collegano ai tre elementi fondamentali  della storia del mondo: Dio (Gesù), Israele (gli anziani), le nazioni (il centurione).
  Considerata nel quadro storico delle civiltà, la relazione tra centurione romano e anziani della sinagoga richiama alla mente la nota frase di Orazio: "Graecia capta ferum victorem cepit" (La Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore), nel senso che la potente Roma,  affascinata dalla superiore civiltà della sottomessa Atene, ne rimase culturalmente avvinta.
   Qui al posto della Grecia abbiamo Israele. Nel cuore di questo centurione la caserma romana (le nazioni) è stata vinta dalla sinagoga ebraica (Israele), e questo amore per un Israele sinagogale (non sacerdotale) ha permesso a Dio di aprirgli gli occhi sulla persona di Gesù. E il tutto si riunisce in un quadro armonioso. Opera di Dio.
  Abbiamo anche detto che i Vangeli sono l'autopresentazione di Gesù; dunque anche in questo racconto si deve cercare quello che può avvicinarci a conoscerlo meglio. L'abbiamo visto staccarsi da un programma di missione indirizzato alle "pecore perdute della casa d'Israele" per accondiscendere alla richiesta di aiuto di un pagano militante fra i nemici di Israele. Una deviazione non prevista nel suo programma; e tanto meno prevista poteva essere una reazione tanto  benevola e ossequiente, e anche istruttiva per certi versi, come quella di quel centurione.
  Abbiamo ricordato l'opera svolta dallo Spirito Santo nel far conoscere la persona di Gesù, cosa che oggi avviene soprattutto attraverso la Scrittura. Ma abbiamo anche ricordato che nei Vangeli lo Spirito Santo soprassiede in ogni momento all'opera di Gesù sulla terra, dall'annuncio della sua nascita (Luca 1:35, al momento stesso della nascita (Matteo 1:18), nel periodo della sua crescita (Luca 1:80), nel momento del suo battesimo:

    E Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall'acqua ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: “Questo è il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto (Luca 3:21-22).

In questi due versetti si può vedere l'azione di quella che in lingua teologhese si chiama Trinità. La voce dai cieli è il Padre che legittima sulla terra il Figlio affidandolo alla cura "pedagogica" dello Spirito. Si capisce allora il versetto che segue poco dopo:

    "Gesù, ripieno dello Spirito Santo, se ne ritornò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni ed era tentato dal diavolo" (Luca 4:1).

Dio è onnipotente, onnisciente e onnipresente, ma il Figlio di Dio non ha avuto a disposizione tutte queste facoltà quando era sulla terra, proprio a motivo della missione che doveva compiere (Filippesi 2:5-9). Gesù è stato perfetto in santità, cioè "senza peccato" (Ebrei 4:15), ma in molte cose è stato simile a noi. Nessuno come Lui conosceva a fondo uomini e situazioni, ma non era onnisciente (Matteo 24:36). Quindi anche Lui crebbe in conoscenza, esperienza e anche in ubbidienza: "Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì " (Ebrei 5:8).
  E tutto questo con l'assistenza dello Spirito "sopra di lui" (Matteo 12:18; Luca 4:18), che come l'ha condotto nel deserto per essere tentato prima che iniziasse il suo ministero in Israele (senza spiegargli in anticipo come si sarebbero svolte le tentazioni), come l'aveva fatto incontrare ancora dodicenne con i dottori della legge nel Tempio, così ora lo conduce a manifestare, per la prima volta verso un gentile, la sua autorità messianica di guarigione dei malati.
  Lo Spirito aveva preparato l'occasione agendo in anticipo su un militare romano che amava la nazione  d'Israele ed era attratto dalla Sinagoga. un uomo che nell'incontro con Gesù manifesta una tale fiducia in Lui che Gesù stesso ammette di non aver mai trovato nulla di simile in Israele. Un pagano è riuscito a sorprendere Gesù con la sua fede.
  Tanto più tenere e preziose suonano allora le parole autorevoli con cui Gesù lo congeda: "Va', ti sia fatto come hai creduto”.

(Notizie su Israele, 26 febbraio 2023)