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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli

di Gabriele Monacis
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Con questo studio l'autore di “Miriam, un personaggio profetico” collega la Miriam dell’A.T. all’insieme delle Marie del N.T., tra cui in particolare la madre di Gesù.

di Gabriele Monacis

I nomi di persona nella Bibbia racchiudono sempre in sé un significato. Si pensi a tutti quei nomi di persona che riportano il nome di Dio (יה o אל) alla fine o all’inizio del nome stesso, come Yehoshua – il nome di Giosuè in ebraico – o Elisha – il nome del profeta Eliseo. Questo significato intrinseco di un nome, a volte, può essere illuminante per comprendere come la trama del racconto biblico si evolve, come un dito che indica al lettore la direzione verso cui guardare mentre prosegue nella lettura.
  Si prenda ad esempio il nome Mosè, che significa “tratto dalle acque”, e si pensi a come il significato di questo nome ritrovi un senso, quasi un suo completamento, nel giorno in cui, proprio sotto la guida di Mosè, fu Dio a trarre il popolo di Israele dalle acque del mar Rosso, molti anni dopo il giorno in cui il piccolo Mosè fu tratto dalle acque del fiume Nilo per mano della figlia del faraone.
  Anche nel Nuovo Testamento, i nomi possono essere una vera e propria rivelazione di ciò che Dio farà attraverso quella persona. È il caso, ad esempio, di Gesù; al quale venne dato questo nome prima che nascesse. Perché, disse l’angelo a Maria sua madre, sarà Lui a salvare il suo popolo dai propri peccati.
  Ed è proprio sul nome Maria che qui ci si vuole soffermare; non tanto per il suo significato etimologico, non del tutto chiaro per altro, quanto per la sua alta frequenza nel Nuovo Testamento. Volendo infatti parlare di Maria dei Vangeli, la prima domanda da farsi sarebbe questa: sì, ma Maria quale?
  Infatti, non solo la madre di Gesù portava questo nome, ma anche Maria di Magdala, colei che per prima vide Gesù risorto; Maria di Betania, che insieme a sua sorella Marta e suo fratello Lazzaro, erano legati a Gesù da un legame di amicizia.
  Questo per citare le Marie che forse si ricordano più facilmente, ma non sono le uniche. C’è ancora Maria di Cleopa, che l’evangelista Giovanni riporta vicino a Gesù quando questi era sulla croce (Giovanni 19:25). Leggiamo anche di Maria madre di Giacomo e Giuseppe, che assistette alla sepoltura di Gesù, come raccontato dall’evangelista Marco (Marco 15:47). Potrebbe addirittura essercene ancora una, la sesta. Si tratta di una non meglio specificata “altra Maria” dall’evangelista Matteo (Matteo 27:61 e 28:1). Insieme a Maria Maddalena, questa “altra Maria” fu presente alla crocifissione di Gesù, per poi andare a vedere la tomba di Gesù il giorno dopo il sabato.
  Cinque diverse Marie nei Vangeli. Addirittura sei se si vuole considerare l’“altra Maria” come una Maria diversa da Maria di Cleopa o da Maria madre di Giacomo e Giuseppe. Un numero considerevole, davanti al quale viene da chiedersi: ma perché così tante Marie? C’è forse qualche significato implicito legato a questo nome così frequente?
  Il Nuovo Testamento è considerato Parola di Dio da chi scrive, allo stesso livello del resto della Bibbia scritta in ebraico. Pertanto, un numero relativamente alto di donne che portano lo stesso nome può essere considerato a tutti gli effetti un atto intenzionale da attribuire alla Parola di Dio, e non il frutto di una mera coincidenza legata all’omonimia del caso. E allora, trattandosi appunto di intenzionalità della Scrittura, verso quale direzione il lettore dall’occhio attento dovrebbe guardare?
  Una precisazione sull’origine del nome Maria può aiutare a rispondere a questa domanda. Il nome femminile ebraico che veniva dato alle bambine, evidentemente non era Maria, bensì Miriam. Maria è la traduzione in italiano della versione greca Mariam (Μαριαμ) che si trova nella traduzione dei Settanta dell’Antico Testamento per indicare Miriam, la sorella di Mosè. È verosimile che le famiglie in terra di Israele ai tempi di Gesù fossero solite dare nomi di origine ebraica ai propri figli; se, come per il caso di Miriam, questi nomi erano tratti dall’Antico Testamento.
  Ecco, dunque, un possibile collegamento che il Nuovo Testamento fa con l’Antico attraverso le storie delle diverse Miriam. Riporta il lettore all’omonimo personaggio dell’Antico Testamento, la sorella di Mosè. Attraverso questo nome comune a molte Miriam e tramite il ruolo di rilievo di alcune di queste Miriam nella vita di Gesù, l’intera Sacra Scrittura – Antico e Nuovo Testamento insieme – intende costruire un ponte tra la Miriam dell’Antico e la Miriam del Nuovo Testamento.
  Oltre al nome in comune, queste donne del Nuovo Testamento hanno anche un ruolo narrativo che le accomuna: è attestato nei Vangeli che esse furono testimoni oculari della morte, della sepoltura e della risurrezione di Gesù. Fatta eccezione per Maria di Betania, non menzionata negli ultimi frangenti della vita di Gesù, di tutte le altre Miriam è esplicitamente detto che erano presenti ad almeno uno degli eventi cruciali della sua vita sulla terra: quando morì, quando fu sepolto e quando risuscitò. La madre di Gesù, presente ovviamente alla sua nascita, era con lui anche nel momento della sua morte in croce. Maria di Magdala fu addirittura presente a tutti questi tre eventi cruciali.
  Perché questa alta frequenza di Miriam presenti nei momenti chiave della vita del Messia è alquanto significativa? Per spiegarlo, si immagini di costruire un personaggio femminile immaginario, anch’esso di nome Miriam, che raccolga tutte le esperienze reali, fisiche e spirituali, che hanno avuto le Miriam dei Vangeli. Ecco, una Miriam del genere, seppure ideale ma risultato dell’unione delle testimonianze oculari di donne reali, sarebbe stata con Gesù praticamente per tutta la sua vita, dalla sua nascita alla sua resurrezione, passando per svariati momenti di normale quotidianità. Per dirla con parole semplici, accanto a Gesù era frequente trovare almeno una Miriam.
  Un personaggio femminile del genere, con queste caratteristiche, potrebbe impersonificare molto bene il popolo di Israele stesso, il popolo che diede i natali al Messia, all’interno del quale egli crebbe e diventò uomo, popolo dal quale assorbì la lingua, le abitudini e la cultura. Popolo in mezzo al quale non solo visse, ma anche morì e risuscitò.
  Per il Nuovo Testamento, dunque, Miriam non è soltanto il nome ebraico della madre del Messia, o di altre donne che in qualche modo erano vicine a Gesù. Ma è anche un personaggio che rappresenterebbe molto bene il popolo di Israele, il popolo del Messia.
  Se questa affermazione potrebbe risultare esagerata, si consideri ciò che fa l’autore dell’Apocalisse, uno dei libri del Nuovo Testamento. L’evangelista Giovanni scrive così in Apocalisse 12:1-6

    1 Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. 2 Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3 Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso. [...] 4 Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. 5 Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. 6 La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.

I personaggi di questi versetti sono tre: una donna, evidentemente dall’alto valore simbolico visto che è vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Questa donna partorisce un maschio e poi scappa nel deserto. Suo figlio maschio è il secondo personaggio. Il terzo è il dragone, che vuole divorare questo figlio maschio appena nato. Questo figlio è senz’altro il Messia, in quanto è destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro. Quindi la donna che lo partorisce è la madre del Messia, che secondo il Nuovo Testamento è Miriam, la madre di Gesù. Questa donna è la stessa che fugge nel deserto per rifugiarsi ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
  Secondo molti commentatori del libro dell’Apocalisse, questa donna che trova rifugio nel deserto per un certo periodo rappresenta il popolo di Israele negli ultimi tempi. Giovanni, dunque, in modo del tutto naturale, afferma che la madre del Messia e il popolo del Messia sono la stessa persona. È dunque in linea con la Scrittura considerare Miriam come il personaggio che rappresenta meglio il popolo di Israele.
  Il rifugio preparato da Dio nel deserto per Israele, di cui si parla in Apocalisse 12:6, ci riporta a Geremia 31:2, un versetto già commentato (vedi il primo articolo di “Miriam, un personaggio profetico”, che parla delle promesse di Dio per il futuro di Israele.

    Così dice l'Eterno: «Il popolo scampato dalla spada ha trovato grazia nel deserto; io darò riposo a Israele».

Come già detto in quell'articolo, il profeta Geremia annuncia che Israele vedrà un nuovo esodo, come quello dall’Egitto. Ci sarà nuovamente una situazione in cui Israele scapperà dalla spada – come quella degli egiziani – e troverà rifugio nel deserto, dove Dio proteggerà Israele, come già successo ai tempi del primo esodo. Nel versetto 4 del capitolo 31, il profeta Geremia aggiunge delle promesse a Israele da parte del Signore.

    Io ti riedificherò e tu sarai riedificata, o vergine d'Israele. Sarai di nuovo adorna dei tuoi tamburelli e uscirai in mezzo alle danze di quelli che fanno festa

Come già notato nel primo articolo, è significativo che Geremia riporti alla mente dei suoi ascoltatori la storia dell’esodo; non solo con la promessa del rifugio nel deserto, ma anche tramite le parole “tamburelli” e “danze”, proprio le stesse che il libro dell’Esodo usa per raccontare di Miriam, sorella di Mosè, che si pose alla guida delle donne di Israele per guidarle nella lode al Signore. (vedi Esodo 15:20).
  Sembra proprio che il Nuovo Testamento, iniziando con il racconto di molte Miriam nei Vangeli e finendo con l’Apocalisse, voglia riprendere in mano un discorso rimasto in sospeso nell’Antico Testamento: quello del valore profetico del personaggio di Miriam. La testimonianza oculare delle diverse Miriam nei Vangeli e l’identificazione della madre del Messia con Israele nell’Apocalisse, spingono il lettore a porsi questa domanda: in che modo la Miriam del Nuovo Testamento è la continuazione della Miriam dell’Antico Testamento? In quali termini l’una è l’adempimento del valore profetico dell’altra?
  Proveremo a rispondere a questa domanda nelle prossime occasioni.


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Quello di Luca è, tra i Vangeli, il più ricco di particolari che riguardano la vita di Miriam, nel periodo che precedette la nascita di suo figlio Gesù e negli anni che seguirono. Nel primo capitolo, Luca comincia la sua esposizione dei fatti con la storia di una famiglia di sacerdoti: lui si chiamava Zaccaria, sacerdote dell’ordine di Abiia; lei invece era Elisabetta, una discendente di Aaronne, nonché parente di Miriam (vedi Luca 1:36)
  Luca fa sapere ai suoi lettori che, al momento del racconto, Zaccaria ed Elisabetta erano in età avanzata e che lei era sterile. Ciononostante, mentre Zaccaria esercitava il suo sacerdozio nel tempio offrendo del profumo, un angelo del Signore gli apparve e gli annunciò che lui e sua moglie avrebbero avuto un figlio, cioè Giovanni Battista, il quale sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». (Luca 1:15-17).
  Questi elementi riportati all’inizio del Vangelo, come il sacerdozio, la nascita di un figlio da genitori in età avanzata, la sterilità della donna, non hanno solo la funzione di informare il lettore su determinati fatti legati ai personaggi della storia; ma sono lì soprattutto per creare collegamenti nella mente del lettore. E questi collegamenti non possono che riportare il lettore del Vangelo di Luca alla storia di Israele dell’Antico Testamento: Abramo e Sara, che ebbero Isacco in età avanzata; le madri dei patriarchi – Sara, Rachele e Rebecca, tutte donne che ebbero almeno un figlio nonostante fossero sterili; l’istituzione di Aaronne e dei suoi discendenti come sacerdoti all’interno del popolo di Israele.
  Possiamo dunque dire che una certa continuità con la storia di Israele caratterizza l’inizio di questo Vangelo. Se a questo aggiungiamo che è proprio il vangelo di Luca quello che dedica più spazio alla madre di Gesù, risulta dunque pertinente ricercare continuità tra il personaggio di Miriam e il popolo di Israele, di cui lei fa parte.
  Ecco il racconto di Luca che introduce questo personaggio, qui chiamato Maria.

    Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Luca 1:26-33).

Questo brano si collega al racconto precedente di Zaccaria ed Elisabetta attraverso l’espressione di tempo “nel sesto mese”. Si intende, evidentemente, nel sesto mese della gravidanza di Elisabetta, madre di Giovanni Battista. Il primo personaggio menzionato è l’angelo Gabriele, non certo nuovo ai lettori dell’Antico Testamento. È lo stesso angelo, infatti, che Dio mandò al profeta Daniele, come risposta alla sua preghiera (vedi Daniele 8:16, 9:21). 
  È interessante notare che la preghiera che Daniele rivolse a Dio prima che arrivasse l’angelo Gabriele, era una preghiera non solo per se stesso, ma per tutto il popolo di Israele; una confessione del proprio peccato, quello di Daniele, e del peccato tutto il popolo, visto che mentre Daniele pregava, Israele si trovava ancora in esilio a Babilonia. L’esilio in paesi stranieri era una conseguenza del peccato del popolo, secondo la Torah (vedi Levitico 26:33). 
  La risposta che Dio fece arrivare a Daniele attraverso l’angelo Gabriele, riguardava i tempi e i modi che l’Eterno aveva prestabilito per riportare il popolo di Israele a Gerusalemme, redimerlo dai propri peccati e salvarlo dai suoi nemici. Tra le altre cose, la profezia che Daniele ascoltò dall’angelo parlava dell’apparizione “di un unto, di un capo”, e che questo “unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui”. (Daniele 9:25,26).
  Le parole dell’angelo Gabriele, rivolte a Miriam alcuni secoli dopo quelle rivolte a Daniele, preannunciano che lei diventerà madre pur senza l’intervento di un uomo, essendo vergine. Il figlio che nascerà si chiamerà Gesù. Egli “sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Questo figlio, dunque, sarà sia figlio dell’Altissimo, cioè di Dio, sia figlio del re Davide, l’unto che Dio ha scelto affinché sul suo trono sedesse un suo discendente per regnare per sempre. 
  Se i due messaggi rivolti a Daniele e a Miriam sono collegati, in quanto riportati dallo stesso messaggero, cioè l’angelo Gabriele, siamo davanti all’adempimento di quella profezia contenuta nel libro di Daniele, cioè la restaurazione che Israele stava aspettando da secoli, la quale avrebbe sì visto l’unto di Dio regnare su Israele, come figlio di Dio e figlio di Davide, ma anche che prima quest’unto sarebbe dovuto essere soppresso, senza che alcuno del suo popolo fosse per lui.
  Torniamo a Miriam, alla quale l’angelo Gabriele rivolse parole davvero particolari da parte di Dio. L’angelo esordì dicendo: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. Al che Miriam rimane piuttosto turbata, e si chiede cosa volessero significare quelle parole. Evidentemente aveva capito che quelle parole non erano da intendere come un generico saluto che si rivolge a qualcuno per augurargli qualcosa di buono. Visto il turbamento che l’aveva colta, Miriam deve aver intuito che dopo quella visita la sua vita non sarebbe stata più la stessa, e forse non solo la sua ma anche quella dei suoi conterranei.
  L’angelo la vede turbata, così la rassicura: “Non temere, Maria” e aggiunge “perché hai trovato grazia presso Dio”. L’espressione “trovare grazia presso Dio” merita una certa attenzione. Nell’Antico Testamento, l’espressione “trovare grazia agli occhi di qualcuno” non è inusuale. Trovare grazia è la condizione fondamentale per ricevere un favore immeritato da quella persona agli occhi della quale si è trovato grazia. E non è raro, come si diceva, trovare questa espressione in un contesto che parla di due persone. È piuttosto raro, invece, trovarla in riferimento alla grazia che una persona trova presso Dio, come nel caso di Miriam secondo le parole dell’angelo: “Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio”. Nell’Antico Testamento, è scritto esplicitamente che coloro che trovarono grazia agli occhi di Dio furono Noè, Mosè e Israele. Questa osservazione acquista un certo rilievo ai fini della ricerca di continuità, perché collega Miriam direttamente a questi personaggi che sono vissuti prima di lei.
  Noè trovò grazia agli occhi di Dio prima del diluvio (Genesi 6:8) e per questo, insieme alla sua famiglia, non perì sotto le acque del diluvio. Nel caso di Mosè, al trovare grazia presso Dio si aggiunge l’aspetto della sua relazione personale con Lui. Dio infatti dice a Mosè: “Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei” (Esodo 33:12). Nello stesso capitolo 33 di Esodo, da una domanda che Mosè pone a Dio, si capisce che anche il popolo di Israele ha trovato grazia agli occhi di Dio:

    Come si farà ora a conoscere che io e il tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi tuoi? Non sarà dal fatto che tu vieni con noi? Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra” (Esodo 33:16).
In questo frangente molto delicato e teso della storia di Israele, cioè subito dopo il peccato del vitello d’oro da parte del popolo, Mosè intercede per loro, affinché Dio accetti di continuare ad essere presente in mezzo al popolo nel cammino verso la terra promessa. Secondo il versetto qui riportato, la presenza del Signore in mezzo al popolo è proprio ciò che lo contraddistingue dagli altri popoli. E da cosa dipende questa distinzione? Proprio dal fatto che Israele ha trovato grazia agli occhi di Dio.
  Avendo Dio accettato di essere presente con Mosè e con il popolo di Israele nel loro cammino nel deserto, Egli ha così dimostrato tangibilmente il fatto che essi hanno trovato grazia ai Suoi occhi. Se, infatti, Dio avesse deciso di non continuare ad essere presente in mezzo al popolo, non sarebbe stato più vero che questi hanno trovato grazia ai Suoi occhi. In sintesi, trovare grazia agli occhi di Dio e poter contare sulla Sua presenza sono due cose inscindibili. Non c’è l’una senza l’altra.
  Ecco che le parole dell’angelo Gabriele a Miriam acquistano una dimensione storica non indifferente: “Maria, il Signore è con te”. E poi: “Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio”. Proprio in questo binomio inscindibile – la presenza di Dio insieme al trovare grazia ai Suoi occhi – consiste la continuità di Miriam rispetto al popolo di Israele. Il personaggio di Miriam si trova sulla linea storica di questo popolo, che a sua volta continua la storia iniziata con Noè, che già prima del diluvio trovò grazia agli occhi di Dio. Con la visita dell’angelo Gabriele a Miriam, Dio continua a scegliere dei discendenti della casa di Giacobbe, proprio come la madre di Gesù, per poter portare a compimento i Suoi propositi.
  Partendo proprio dalla continuità storica tra Miriam e Israele riscontrata in questi brani della Scrittura, che cosa Dio ha promesso di adempiere per il popolo di Israele e per mezzo di lui? Nelle prossime occasioni cercheremo di trovare in cosa consiste questo adempimento, presente o futuro.


- 3 -

Maria (Miriam), la madre di Gesù, è solitamente vista come un personaggio che diverge rispetto al popolo di Israele. La maggior parte dei cristiani semplicemente ignora le radici ebraiche di Maria, svuotando così questo personaggio della sua storicità e creando una rottura con la storia di Israele che l’ha preceduto; per gli ebrei, invece, Maria è un personaggio da relegare, come se non le si voglia riconoscere alcun legame con il contesto storico e sociale in cui è vissuta. In definitiva, gli uni e gli altri sarebbero d’accordo nel vedere Maria come un personaggio di discontinuità rispetto all’Israele del suo presente e del suo passato.
  Dal giorno in cui Dio manda un angelo a Maria per annunciarle che da lei nascerà Gesù, la storia di questa donna, e della fede cristiana con lei, si crede che abbia preso una direzione totalmente nuova rispetto al passato. Da lì in poi, si potrebbe dire dal punto di vista della maggioranza, inizia la storia della cristianità; mentre la storia dell’ebraismo, che era iniziata molto prima di lei, prosegue su altri binari. O almeno così è comunemente inteso.
  Un’attenta lettura del testo biblico, dell’Antico Testamento prima e poi del Nuovo, porta il lettore ad un’altra conclusione: Maria non è scollegata dal suo popolo, bensì è a tutti gli effetti una figlia di Israele. Pertanto è parte integrante di questo popolo. Le parole dell’angelo a Maria: “Hai trovato grazia agli occhi del Signore”. E poi: “Non temere, Maria, il Signore è con te” mostrano che secondo la Scrittura c’è continuità, e non discontinuità, tra Miriam e Israele, il popolo che ha trovato grazia agli occhi di Dio e in mezzo al quale Dio è sceso per abitarvi.
  La conversazione tra l’angelo Gabriele e Miriam prosegue, e sposta l’attenzione dalla continuità di Miriam con il passato di Israele all’adempimento futuro, proprio in Miriam, di una promessa fatta da Dio a Israele. La donna, infatti, dopo aver sentito che da lei nascerà un figlio, che chiamerà Gesù, chiede all’angelo come questo possa avvenire, dal momento che lei era vergine. Allora

    “l'angelo, rispondendo, le disse: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra, perciò anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia e questo è il sesto mese per lei, che era chiamata sterile, poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace” (Luca 1:35-37).
Con queste parole, il Signore preannuncia che ciò che è tecnicamente impossibile, cioè un figlio nato da una vergine, avverrà grazie alla discesa dello Spirito Santo, per la potenza dell’Altissimo che coprirà Miriam della Sua ombra. Con un parallelismo tra lo Spirito Santo e l’Altissimo, cioè Dio stesso, il Signore afferma che sarà Dio in persona a far sì che tutto ciò si realizzi.
  La promessa di scendere con il Suo Spirito sulle persone, Dio l’aveva già fatta ad Israele per bocca del profeta Gioele.

    Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio, e non ce n'è nessun altro; il mio popolo non sarà mai più coperto di vergogna. Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito sopra ogni carne, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spanderò il mio Spirito in quei giorni” (Gioele 2:27-29).

È alla totalità del popolo di Israele che il Signore rivolge questa promessa. Ogni carne, dice il profeta: figli e figlie, giovani e vecchi, servi e serve. Dio dice che l’adempimento di questa promessa sarà in ogni singolo membro del popolo, in un preciso momento storico di Israele. Su ognuno, infatti, Dio spargerà il Suo Spirito, in quei giorni.
  Il caso di Miriam, però, non è l’adempimento di questa profezia. Non solo perché riguarda una persona singola, e non tutto il popolo. Ma anche perché la venuta dello Spirito Santo su di lei è funzionale alla nascita di Gesù, concepito da una donna vergine senza l’intervento di un uomo. Ciononostante, questo evento che riguarda Miriam, che comunque vede l’azione dello Spirito di Dio su un membro del popolo di Israele, sembra essere un presagio della discesa dello Spirito di Dio sul resto del popolo. Ma quando questo avverrà? E, soprattutto, che cosa spingerà Dio a realizzare la Sua promessa fatta a Israele per mezzo del profeta Gioele?
  Per rispondere a questa domanda, occorre porre l’attenzione non solo su Miriam, colei al quale Dio ha promesso qualcosa; ma soprattutto sul Figlio che nascerà da lei. Di Lui, l’angelo dice che sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Essendone il Figlio, Gesù porta il nome di Dio, cioè Colui che si impegna a mantenere la promessa fatta. Il Figlio di Dio è più grande di Miriam, quanto chi fa una promessa è più grande di chi la riceve.
  Dal momento della nascita di Gesù il Messia, è su di Lui che va posta l’attenzione. E la promessa di Dio di spargere il Suo Spirito sul popolo dipenderà da come questo risponderà alla presenza del Figlio di Dio in mezzo al popolo. Le parole del profeta Gioele, infatti, parlano proprio del giorno in cui Israele riconoscerà questa realtà: “Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio, e non ce n'è nessun altro”.
  Il libro degli Atti degli Apostoli, di cui Luca è l’autore come il Vangelo che racconta i fatti prima citati, inizia con la narrazione dell’ascensione al cielo di Gesù, dopo la sua morte e la sua resurrezione. Dopo averlo visto salire al cielo, i suoi discepoli si recarono a Gerusalemme e si riunirono in una stanza dove erano soliti radunarsi. E lì, insieme con loro, c’era anche Miriam, la madre di Gesù (vedi Atti degli Apostoli 1:14). Così continua il racconto di Luca in merito a ciò che successe ai discepoli di Gesù nei giorni che seguirono la sua ascensione al cielo.

    Quando il giorno della Pentecoste fu giunto, tutti erano insieme nel medesimo luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dov'essi sedevano. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi (Atti degli Apostoli 2:1-4).

Pietro, uno dei discepoli di Gesù, spiega così ai presenti i segni prodigiosi che erano appena avvenuti davanti ai loro occhi.

    Questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: 'Avverrà negli ultimi giorni', dice Dio, 'che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani vedranno delle visioni, i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno” (Atti degli Apostoli 2:16-18).

Per Pietro non c’è altra spiegazione: la discesa dello Spirito Santo su di lui e sugli altri discepoli di Gesù, è l’adempimento della promessa fatta da Dio per mezzo del profeta Gioele. Dio, dunque, ha sparso il Suo Spirito proprio sui membri della casa di Israele, su quelli che hanno riconosciuto che, nella persona di Gesù, Dio stesso è sceso dal cielo ed ha abitato in mezzo al popolo, proprio come la profezia di Gioele aveva predetto: “Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio. [...] Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito sopra ogni carne”.
  Con queste parole, Pietro conclude il suo discorso a Gerusalemme rivolto a quegli ascoltatori che erano accorsi per vedere ciò che era appena accaduto:

    Dunque, tutta la casa d'Israele sappia con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Atti degli Apostoli 2:36).

È il riscontro di questa fede nel cuore di una persona a spingere Dio a spargere il Suo Spirito su quella persona. Luca racconta che circa tremila persone accettarono le parole di Pietro e furono battezzate nel nome del Signore Gesù Cristo.
  Come già notato in precedenza, anche Miriam era tra coloro che erano soliti riunirsi in quella stanza a Gerusalemme. E anche su di lei, evidentemente, scese lo Spirito di Dio. Questa risulta essere l’ultima volta che Miriam, la madre di Gesù, viene menzionata nel testo biblico. Questa circostanza è particolarmente significativa.
  Il fatto che Miriam sia qui menzionata, infatti, consente di affermare che, tra tutti coloro che erano vivi al momento della nascita di Gesù, come Zaccaria, Elisabetta e il figlio Giovanni Battista, come Miriam stessa e suo marito Giuseppe, e anche altri personaggi del Vangelo di Luca come Simeone e la profetessa Anna, l’unica che risulta ancora viva e viene nominata insieme ai discepoli dopo l’ascesa al cielo di Gesù, è proprio Miriam, sua madre.
  Il personaggio di Miriam crea continuità, ancora una volta, con i fatti cruciali accaduti nel popolo di Israele. Per mezzo di lei, nasce il Messia di Israele, mandato da Dio. E ancora in lei, come membro di Israele, si adempie la promessa di Dio di spargere il Suo Spirito su questo popolo.
  Israele, fino ad oggi, continua ad esistere proprio per il fatto che Dio non smette di adempiere alla sua promessa di spargere il Suo Spirito nel cuore dei suoi membri; quei membri che seguono l’esempio di fede di Miriam nei confronti di Gesù il Messia. In attesa che la promessa di Dio sia adempiuta sopra ogni carne.


- 4 -

    “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola” (Luca 1:38).

Queste sono le ultime parole che Miriam disse all’angelo Gabriele, prima che lui se ne andasse e dopo averle annunciato che lei sarebbe diventata la madre di Gesù, il quale sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.
  Del personaggio di Miriam, viene spesso messa in risalto l’umiltà, anche a motivo di ciò che disse di se stessa: Io sono la serva del Signore. Parole, tra l’altro, che pronunciò dopo essere stata investita di un ruolo che toccò solo a lei nella storia, cioè diventare la madre del Messia. Un qualcosa che avrebbe potuto inorgoglirla non poco.
  Non c’è dubbio che Miriam sia un esempio di modestia e di umiltà davanti al Signore e davanti alle creature angeliche, come Gabriele che le stava davanti. “Mi sia fatto secondo la tua parola” dice Miriam all’angelo. In queste parole c’è l’esatto opposto della ribellione. C’è una totale accettazione del compito che si è ritrovata nelle mani da un momento all’altro, con una visione che va ben oltre le conseguenze immediate, anche traumatiche, che questo ruolo avrebbe potuto comportare: diventare madre prima di diventare moglie, per giunta senza l’intervento del futuro marito Giuseppe. Non c’è dubbio che con queste parole all’angelo Gabriele, Miriam mostra di accettare con fede sincera il futuro che Dio ha scelto per lei, con spirito di umiltà e servizio, un futuro che avrebbe potuto portarla ad essere abbandonata e oltraggiata dai suoi conterranei.
  Ma aldilà dell’umiltà di assoluta particolarità di questa donna, le parole di Miriam mostrano anche altro di lei, e cioè la sua notevole consapevolezza della storia della salvezza di Dio verso Israele. Infatti, volendo proseguire a leggere il dialogo tra l’angelo Gabriele e Miriam con la chiave di lettura della continuità storica e dell’adempimento delle promesse di Dio, l’espressione usata da Miriam “serva del Signore” riporta il lettore ad altri servi del Signore di cui si legge nell’Antico Testamento. L’elenco vede personaggi di rilievo lungo tutta la storia di Israele, partendo dai patriarchi per arrivare al ritorno di Israele a Gerusalemme dopo l’esilio a Babilonia.
  Dio chiama Abramo “mio servo” in Genesi 26:24, ma anche Giacobbe, in Ezechiele 28:25, è chiamato così. Il personaggio a cui il titolo “servo dell’Eterno” viene attribuito più volte è certamente Mosè, non solo nel Pentateuco, ma anche in diversi altri libri dell’Antico Testamento, come Giosuè, i libri dei Re e delle Cronache. Anche Giosuè eredita il titolo di “servo dell’Eterno”, oltre al ruolo di guida del popolo dopo la morte di Mosè (vedi Giosuè 24:29). L’elenco potrebbe continuare con Giobbe, Davide, il re Ezechia, Eliachim e Zorobabele, che guidò parte degli esiliati da Babilonia di ritorno a Gerusalemme. Dio chiama “mio servo” ognuno di questi personaggi, almeno una volta nella Scrittura.
  Pertanto, questo titolo al femminile che Miriam attribuisce a se stessa, non mostra soltanto la sua umiltà, ma la inserisce a pieno titolo nella linea della storia del popolo di Israele, dalle origini dei patriarchi fino al periodo post-esilico che precedette il tempo in cui visse Miriam. È verosimile che, aspettando che Dio portasse a compimento la salvezza di Israele dopo questo lungo percorso storico, Miriam riconobbe di essere stata scelta da Dio come un ulteriore tassello verso l’adempimento della Sua salvezza.
  Ma c’è un ulteriore porzione della Scrittura che lega a doppio filo Miriam con Israele, ancora grazie al titolo di “servo del Signore”: è il libro del profeta Isaia. Si prenda ad esempio il versetto di Isaia 44:21, in cui Dio si rivolge a Israele chiamandolo “suo servo” per ben due volte nello stesso versetto:

    “Ricordati di queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo, io ti ho formato, tu sei il mio servo, o Israele, tu non sarai da me dimenticato”.

Nei capitoli del libro di Isaia cha vanno dal 41 al 53, Israele non è l’unico ad essere chiamato “il servo dell’Eterno”. Infatti, nel capitolo 49 si parla del servo dell’Eterno che sarà formato, fin dal grembo materno, per essere Suo servo, per ricondurgli Giacobbe e per raccogliere intorno a Lui Israele (Isaia 49:5).
  E nel versetto seguente l’Eterno aggiunge:

    “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. (Isaia 49:6)

È evidente che in questi due versetti si parli innanzitutto di un uomo, di un individuo, visto che sarà formato nel grembo di sua madre. E questo individuo non può essere il popolo di Israele, visto che al servo dell’Eterno di cui si parla è affidato un compito nei confronti del popolo, cioè di ricondurre Giacobbe all’Eterno e raccogliere Israele intorno a Lui.
  Il titolo “servo dell’Eterno” in questi versetti va dunque attribuito al Messia, cioè a Colui che salva Israele e lo riconduce all’Eterno. Non solo. Questo servo dell’Eterno è luce delle nazioni e strumento di salvezza fino alle estremità della terra. L’opera di questo Servo dell’Eterno è dunque salvifica non soltanto per Israele, ma per tutte le nazioni. Questa è la portata dell’opera di salvezza del Servo del Signore. E Dio ha chiamato Miriam affinché dal suo grembo nascesse il Servo del Signore.
  L’animo di Miriam deve aver raggiunto il culmine della meraviglia proprio in questo momento della sua vita. Ma deve aver provato anche profonda gratitudine verso Dio, che ha deciso di mandare il Suo Servo proprio in quel momento storico, per realizzare la tanto attesa salvezza di Israele e del resto delle nazioni.
  Dopo l’incontro con l’angelo, Miriam si reca a casa di Zaccaria ed Elisabetta, mentre questa era ancora incinta di Giovanni Battista, forse per cercare in lei un po’ di sostegno e comprensione. Alla vista e al saluto di Miriam, ad Elisabetta sobbalzò il bambino in grembo ed esclamò:

    “Benedetta sei tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, il bambino mi è balzato nel grembo per la gioia. Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento” (Luca 1:42-45).

Grazie alla fede di Miriam nella parola che Dio le ha rivolto, fu possibile l’adempimento in lei di questa parola. “Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento”, le dice Elisabetta, testimoniando che lo stupore di Miriam dopo l’incontro con l’angelo e il sentimento di riconoscenza verso Dio, non sono solo una sua esperienza privata di fede personale. Anzi, gli effetti di quell’incontro si sono già estesi a membri della famiglia di Miriam, come Zaccaria ed Elisabetta.
  In quei giorni a casa di Elisabetta, sua parente, con il cuore pieno di lode ed esaltazione verso il Dio dei suoi padri, Miriam pronunciò queste parole:

    “L'anima mia magnifica il Signore
    e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore,
    poiché egli ha riguardato alla bassezza della sua serva . Da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata,
    poiché il Potente mi ha fatto grandi cose. Santo è il suo nome
    e la sua misericordia è di età in età per quelli che lo temono.
    Egli ha operato potentemente con il suo braccio, ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore;
    ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili;
    ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato a mani vuote i ricchi.
    Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia
    di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre”.

    (Luca 1:46-55)

Anche in questo canto, il personaggio di Miriam si identifica con il popolo di Israele. Parlando dell’Eterno, Miriam dice nuovamente di essere “Sua serva” e Israele è “Suo servitore”. Con questa identificazione, Miriam afferma che ciò che Dio ha appena fatto in lei, un membro di Israele, è come se lo avesse fatto nell’intero Suo popolo. Attraverso Miriam, Dio ha adempiuto la Sua promessa di salvezza in Israele e per Israele.
  Con questo canto, sembra che Miriam voglia chiamare tutto Israele, e tutti quelli che temono il Signore, a lodarlo ed esaltarlo con lei, per essersi ricordato del Suo patto con Abramo e per essersi dimostrato misericordioso ancora una volta verso Israele.
  “Egli ha operato potentemente con il suo braccio” dice Miriam. E ancora: “ha detronizzato i potenti e ha innalzato gli umili”. Non sono forse queste parole un richiamo ad un altro evento della storia di Israele in cui Dio stese il Suo braccio per togliere potere ai potenti ed innalzare gli umili? Era il giorno in cui un’altra Miriam diceva ai figli di Israele:

    “Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere” (Esodo 15:21).

Israele cantò all’Eterno quando Egli gettò nel mar Rosso i cavalli e i cavalieri degli egiziani, nemici di Israele, che era appena uscito dalla terra d’Egitto. Dio fece morire gli egiziani nel mare, ma lasciò che tutto Israele lo attraversasse all’asciutto. Allora tutto il popolo vide la grande potenza che l'Eterno aveva dispiegata contro gli Egiziani; così il popolo temette l'Eterno e credette nell'Eterno e in Mosè suo servo (Esodo 14:31).
  Così i figli di Israele cantarono all’Eterno. E Miriam, sorella di Mosè e Aaronne, si mise alla guida delle donne di Israele con timpani e danze, rispondendo loro:

    Cantate all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere”.
Ecco. Il personaggio di Miriam, sorella di Mosè, è tornato dopo molti secoli. La Miriam che aiutò il piccolo Mosè a non annegare nelle acque del fiume Nilo, lo stesso Mosè che poi liberò Israele dagli egiziani; la Miriam che guidò Israele a lodare ed esaltare Dio, ecco, proprio quel personaggio torna nel Vangelo; anche se in un contesto storico e sociale completamente diverso, torna con lo stesso ruolo. Miriam, la madre di Gesù, ha infatti permesso che venisse al mondo Colui che è la salvezza non solo di Israele, ma anche delle altre nazioni; e ha anche intonato il canto sopra riportato, affinché tutto Israele si unisse a lei per lodare ed esaltare il Signore, che in Gesù il Messia, il servo dell’Eterno, ha adempiuto la Sua promessa.
  Ma a differenza di Miriam, sorella di Aaronne, la quale non riconobbe l’autorità che Dio aveva dato al Suo servo Mosè e diventò lebbrosa, la Miriam, madre di Gesù, dice di se stessa in totale sottomissione alla volontà di Dio: “Io sono la serva dell’Eterno, mi sia fatto secondo la parola dell’angelo”. E poi esulta con il suo canto, perché sa che la salvezza di Israele sta per arrivare grazie al Messia, il Servo dell’Eterno, che nascerà da lei.
  Ricordando proprio l’episodio della lebbra di sua sorella Miriam, Mosè fece un monito a Israele, un invito da prendere seriamente in quanto valido ancora oggi:
    "Ricordati di quello che l’Eterno, il tuo Dio, fece a Miriam, durante il viaggio, dopo che foste usciti dall’Egitto (Deuteronomio 24:9).
(Notizie su Israele, maggio 2023)

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