Giornata europea della cultura ebraica
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Qualche riflessione sulla Giornata europea della cultura ebraica

di Antonella Castelnuovo

Come sempre e forse più di sempre, grazie al tema apparentemente gioioso, le comunità italiane si sono prodigate al meglio nel presentare i loro spettacoli, a preparare cibi ottimi, speziati e saporiti della cultura sefardita, italiana ed askenazita serviti da persone premurose e sorridenti. Insomma la festa è riuscita, l'affluenza esterna è stata numerosissima, così come l'interesse per i culti ed i luoghi ebraici.
   In questa giornata dunque noi ebrei e le istituzioni che ci rappresentano abbiamo di nuovo la possibilità di veicolare i nostri valori, le nostre tradizioni, i nostri usi e costumi sviluppati attraverso i secoli di permanenza in Diaspora. Lo spirito positivo dell'iniziativa, di per sè encomiabile, può essere integrato da alcuni spunti di riflessione ai fini di raggiungere una maggior efficacia possibile nelle sue occasioni future. Ciò, naturalmente, dovrebbe riguardare non tanto le ragioni della sua esistenza, (poichè questo tema richiederebbe una spiegazione legata alle persecuzioni e allo sterminio), ma come essa viene oggi presentata all'esterno.
   Comincerò dagli aspetti più evidenti e significativi. L'istituzione della Giornata europea della cultura ebraica, (istituita come la Giornata della Memoria nel 2000) allo scopo di "aprire le porte" dei luoghi ebraici illustrando le tradizioni e il patrimonio dell'ebraismo italiano ed europeo, è un modo per farsi conoscere, di comunicare agli altri la propria ebraicità, la propria storia, la propria cultura secolare. Tuttavia il fatto che tutto ciò avvenga una volta all'anno, in una data prefissata e stabile nel tempo, in spazi attigui ai luoghi di culto o ai vecchi ghetti di un tempo, comunica un messaggio in cui, a mio avviso, l'apertura si realizza solo parzialmente. Circoscrivere la conoscenza dell'ebraismo, condensata nella visita di un giorno, attorno ai luoghi dell'antico ghetto sembra conferire l'idea che la cultura ebraica sia situata proprio in quegli spazi, che diventano per i visitatori i topoi significativi di riferimento.
   Questo legame tra luogo e cultura, tipico della cristianità e della tradizione greca, non coincide affatto con la visione culturale ebraica che è legata al tempo più che allo spazio, più ai simboli astratti che a quelli tangibili e concreti, focalizzandosi sui comportamenti e non sugli oggetti. L'ospitalità che oggi viene dimostrata dagli ebrei verso l'esterno e il loro desiderio di farsi conoscere non sono gli effetti della condizione di una nuova apertura rispetto al passato, in quanto è nel sistema delle relazioni di tutti i giorni che si è sempre estrinsecata l'etica ebraica. Se, al contrario, tutto ciò si focalizza in un solo giorno e si identifica solo in un luogo, si rischia di comunicare attraverso l'immaginario collettivo una visione legata all'isolamento, di quello che era l'ebreo del ghetto e della sua identità, perimetrata ed isolata dal resto del mondo, che ora finalmente si apre all'esterno. Tutto ciò non vola oltre i confini creando relazioni stabili ed interculturali, piuttosto rafforza la contrapposizione tra Noi e Loro ed aumenta la separazione poiché, in questo modo, la conoscenza del gruppo ebraico è indotta e non si basa su scambi reciproci.
   Da queste brevi considerazioni scaturisce un'altra riflessione, e cioè che l'ostilità ed i pregiudizi purtroppo non si riducono solo attraverso il contatto diretto e con l'apertura all'esterno. La nostra storia diasporica ci ha tristemente insegnato che, paradossalmente, dopo l'emancipazione si sono rafforzati il razzismo e l'antisemitismo. La psicologia sociale oggi è in grado di spiegare che gli stereotipi, fonti iniziali di discriminazione verso i "diversi", non si combattono spiegando agli altri chi siamo, cosa facciamo o abbiamo fatto nei luoghi dove viviamo o abbiamo vissuto. Piuttosto, i pregiudizi si riducono attraverso un fare comune, tramite progetti ed obiettivi da realizzare insieme perchè è tramite questi che si instaurano relazioni significative e durature nel tempo. Se la cultura ebraica viene trasmessa in modo cristallizzato, dal sapore museale, o come un evento-spettacolo in cui il visitatore guarda ma non partecipa se non come spettatore, si ricalcano le stesse caratteristiche degli effetti mediatici odierni, tipiche dei mass media o dei luoghi turistici. Ci si diverte, si ride, si mangia, poi si torna a casa in una condizione in cui poco o nulla è cambiato.

(Pagine ebraiche, ottobre 2012)