Yityish Aynaw, 21 anni, è la prima donna di origine etiope a vincere il titolo di Miss Israele. Emigrata a 12 anni, ha fatto il servizio militare e sogna di fare la modella.
È Yityish Aynaw, 21 anni, la vincitrice della corona di Miss Israele la scorsa notte a Haifa. Yityish è la prima donna di origine etiope a vincere il titolo. È emigrata dal suo Paese con la madre all'età di 12 anni e, dopo aver assolto il servizio militare in Israele, gestisce ora un negozio di scarpe. Sogna di fare la modella.
«Questa notte ho scritto una pagina di storia» ha detto commossa Aynaw al quotidiano Yediot Ahronot. «Per me sarà una specie di missione rappresentare Israele in tutte le sue diverse carnagioni». In Israele, ha notato, non ci sono abbastanza modelle di colore scuro e spera dunque di dare adesso il proprio contributo. «Spero così di mettere in moto un cambiamento sociale».
Entusiata la prima reazione della parlamentare Pnina Tamno-Shata, del partito centrista Yesh Atid, lei pure nata in Etiopia da genitori ebrei, Falasha. Il mese scorso la Tamno-Shata è stata la prima donna di origine etiope eletta nel parlamento israeliano, la Knesset.
(globalist, 28 febbraio 2013)
Per Erdogan il sionismo è un "crimine contro l'umanità"
TEL AVIV, 28 feb - Israele ha oggi replicato con durezza dopo aver appreso che il premier turco Recep Tayyip Erdogan include il sionismo fra i ''crimini contro l'umanità''. In una conferenza a Vienna, Erdogan ha affermato: ''Come sionismo, antisemitismo e fascismo, anche l'islamofobia e' ormai un crimine contro la umanità''. Immediata la reazione israeliana: ''Si tratta di frasi tenebrose e menzognere - ha replicato Netanyahu - pensavamo che affermazioni del genere fossero scomparse dal mondo''.
(ANSA, 28 febbraio 2013)
Come si vede, è sempre molto diffusa la voglia di criminalizzare gli ebrei, qualunque posizioni essi occupino. E a proposito di criminalizzazioni, se per Erdogan il sionismo è un crimine contro lumanità, come chiamiamo il fatto che lANSA continui a nominare Tel Aviv come se fosse la capitale dIsraele? Forse un crimine contro la verità?
Lambasciatore israeliano a Cagliari visita il Centro Ricerca e Sviluppo di Telit
Nell'ambito del programma di incontri previsti con le principali autorità locali in occasione della sua prima visita ufficiale in Sardegna
Naor Gilon con Renato Soru e Leone Ouazana
CAGLIARI, 28 feb. - L'Ambasciatore Israeliano in Italia, Naor Gilon, nell'ambito del programma di incontri previsti con le principali autorita' locali in occasione della sua prima visita ufficiale in Sardegna, ha visitato il Centro di Ricerca e Sviluppo di Telit, azienda leader nel settore delle comunicazioni machine-to-machine (m2m), presso il Campus 'Sa Illetta' a Cagliari. Alla visita era presente anche il presidente di Tsicali, Renato Soru.
Inaugurato nel 2006, il Centro di Ricerca e Sviluppo di Cagliari rappresenta non solo un'eccellenza italo-israeliana nel settore M2M ma anche un concreto esempio della storica collaborazione scientifica tra il nostro Paese e Israele, dove scienza e tecnologia lavorano insieme per creare sviluppo e opportunita' a livello globale.
Domani alle 17, nella sede della Fondazione 'Giuseppe Siotto' a Cagliari, l'ambasciatore incontra il presidente dell'associazione 'Chenabura - Sardos pro Israele', Mario Carboni, che fa arte dell'associazione Italia-Israele.
(Adnkronos, 28 febbraio 2013)
Gaza - Dal mare invasione di manta giganti
Venti chilometri di spiaggia cosparsi di pesci che erano scomparsi da sette anni
GAZA, 28 feb - Una scena del genere non viene ricordata a Gaza nemmeno dai pescatori con maggiore anzianita'. All'alba di oggi il tratto di spiaggia compreso fra Deir el-Balah e Shati, rispettivamente a Sud e a Nord di Gaza City, era cosparso per una ventina di chilometri di centinaia di 'manta giganti'.
A Gaza quel tipo di pesce - considerato pericoloso perche' la coda contiene un forte veleno - era scomparso del tutto da almeno sette anni. La scorsa notte, per ragioni per il momento ignote, i 'manta giganti' hanno fatto improvvisamente ritorno, in grande stile. In parte si sono impigliati nelle reti dei pescatori, distese a breve distanza dalla costa. In parte hanno raggiunto la spiaggia e sono avanzati per alcune decine di metri, fino ad esalare l'ultimo respiro.
L'immagine della spiaggia cosparsa di cadaveri dei giganteschi pesci (ciascuno del peso di circa 20 chilogrammi) ha fatto grande impressione sulla popolazione ed e' presto rimbalzata in vari siti web. Gaza e' famosa per i suoi sofisticati ristornati di pesce. Il manta e' peraltro un pesce gradito ai palati locali, anche perche' particolarmente ricco di grasso.
(ANSA, 28 febbraio 2013)
Calcio: Figc, Miur e Ucei per divulgazione Shoah nelle scuole
ROMA, 28 feb - Un calcio all'antisemitismo e al razzismo. Dopo la visita della Nazionale ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau in occasione dei Campionati Europei di Polonia e Ucraina e le diverse iniziative portate avanti negli ultimi anni, prosegue l'impegno della Federcalcio nel ricordo della tragedia dell'Olocausto. Questa mattina a Roma, presso il Centro di Preparazione Olimpica Acqua Acetosa Giulio Onesti, il Presidente della FIGC Giancarlo Abete ha incontrato il Ministro dell'Istruzione Francesco Profumo e il Presidente dell'UCEI (Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane) Renzo Gattegna. Presente all'incontro anche il Presidente del Maccabi Italia, Vittorio Pavoncello. I partecipanti hanno rilasciato interviste che andranno a comporre un documento utile alla divulgazione della Shoah nelle scuole. Il progetto, che prevede la partecipazione di FIGC, Ministero dell'Istruzione e Unione delle Comunita' Ebraiche Italiane, vede coinvolti anche alcuni giocatori della Nazionale, che faranno sentire la propria voce sui temi del contrasto all'antisemitismo e al razzismo nello sport e negli stadi. A margine dell'incontro Abete, Profumo e Gattegna hanno condiviso la necessita' di approfondire le modalita' future per meglio divulgare la Memoria presso le nuove generazioni.
(ASCA, 28 febbraio 2013)
Medico israeliano rischia la vita per un lanciatore di pietre palestinese
di Ryan Jones
Sottotitolo
Durante la violenta rivolta dei palestinesi in Giudea e Samaria, lo scorso fine settimana, sono emerse le solite accuse. Stando alle cronache, gli israeliani si sono scagliati brutalmente contro i palestinesi. Un rapporto apparso sui giornali israeliani mostra invece quanto sia preso sul serio in Terra Santa il comandamento biblico di amare i propri nemici. Al culmine degli scontri, un medico israeliano si è arrischiato ad entrare di nascosto nella città biblica di Sichem (oggi Nablus), controllata dall'Autorità Palestinese. Ha rinunciato alla prevista scorta di soldati israeliani al fine di salvare la vita di un giovane lanciatore di pietre palestinese che era rimasto gravemente ferito durante gli scontri con i soldati israeliani e gli insediati. Le sue ferite erano così gravi che i medici dell'ospedale di Nablus, non potendo aiutarlo, hanno chiesto l'aiuto dei loro colleghi israeliani. Il dr. Micah Shamir, medico esperto di pronto soccorso dell'Ospedale Haddasah a Gerusalemme, non ci ha pensato molto: "Era chiaro che dovevamo assolutamente aiutare il giovane, ma entrare a Nablus non è stato facile, e in alcuni momenti ho avuto davvero paura", ha detto in seguito.
Il sindaco di Nablus aveva dato il consenso al piano di salvataggio, ma per i gruppi di terroristi locali sarebbe stato facile attaccare il medico ebreo o rapirlo. L'azione coraggiosa alla fine ha avuto successo: il giovane gravemente ferito è stato portato senza dare nell'occhio in una clinica a Gerusalemme. Secondo i medici adesso è in via di guarigione.
(israel heute, 28 febbraio 2013 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Musica Klezmer a Corridonia
Si chiude la rassegna "Appassionata nel territorio" sabato 2 marzo alla Pinacoteca comunale con un quartetto di clarinetti.
CORRIDONIA (MC) - La stagione musicale di "Appassionata nel territorio" che affianca quella organizzata nel capoluogo maceratese è l'ultimo evento in programma è previsto sabato 2 marzo a Corridonia. Alle ore 21 nella Pinacoteca Comunale si esibirà il Quartetto Italiano di Clarinetti composto da Giovanni Lanzini, Carlo Franceschi Maurizio Morganti, Augusto Lanzini con il seguente programma principalmente dedicato alla musica ebraica. La Musica Klezmer fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Musica che accompagna feste di matrimonio, funerali o semplici episodi di vita quotidiana, il klezmer nasce all'interno delle comunità ebraiche dell'Europa orientale. Questa musica esprime sia felicità e gioia sia sofferenza e malinconia, tipica della musica ebraica. Lo strumento principale del mondo ebraico è sicuramente il violino, ma nel klezmer acquisteranno crescente rilievo il clarinetto e gli ottoni, in particolare la tromba, gli strumenti percussivi, melodico percussivi come il cymbalon. Il Klezmer contribuirà non poco alla formazione del jazz, quando gli ebrei che erano stati perseguitati si trasferirono in molti nelle Americhe.
Cucine separate, per distinguere i piatti kosher da quelli comuni. Nessuna porta scorrevole elettronica, né ascensore obbligatorio, perché il sabato - detto shabbat - la legge ebraica vieta l'uso di qualsiasi dispositivo elettronico. Parte da Napoli, con il meeting di Villa Caracciolo, la "kosherizzazione" del Sud Italia: un progetto promosso dall'Associazione Italo-Israeliana per il Mediterraneo, che trova appoggio concreto nella Banca di Credito Cooperativo di Napoli, alla ricerca di finanziamenti per adeguare le strutture alberghiere. «Si tratta di piccoli accorgimenti in grado di spalancare le porte di un mercato importante», afferma il presidente dell'associazione Marco Mansueto.
Per ora la stella di David è metaforicamente affissa al Renaissance Hotel Mediterraneo di Napoli e al Tiberio Palace di Capri. Ma questo è solo l'inizio. La certificazione, rilasciata da un rabbino israeliano, è stata richiesta anche dal Grand Hotel Vesuvio di Sorrento, l'Hotel Oriente di Vico Equense, l'Hotel Raito, il Relais Paradiso di Vietri sul Mare e La Plage Resort di Taormina.
- Certificazione kosher: «Marchio di qualità» «Finora gli ebrei osservanti hanno evitato il Sud perché non esistevano alberghi e ristoranti adatti», ammette Shalom Bahbout, rabbino capo di Napoli e dell'Italia Meridionale. Tant'è che Pompei, Ercolano, la Costiera amalfitana si riducevano a "un'escursione di un giorno" dalla Capitale.
«Ma la richiesta di tour dedicati è alta. La diffusione della nostra cucina - prosegue Bahbout - è un'occasione per rafforzare la conoscenza della cultura yiddish e abbattere i pregiudizi, che al Sud sono ancora molto forti. Senza dimenticare le ricadute sull'economia del territorio».
- Il brunch di Villa Caracciolo Kosher, che in lingua ebraica vuol dire "adatto", è un "marchio di qualità" che indica anche "il rispetto di rigide norme igieniche". Sui banchi del convegno di Posillipo c'è l'acqua Lete, certificata dai rabbini, come pure la pasta De Cecco, che lo scorso aprile ha ricevuto il via libera dalla Federation of Synagogues di Londra. Il brunch di Villa Caracciolo è a base di piatti della cucina tradizionale partenopea: dalla pasta e patate alla mozzarella di bufala "dok" (di origine kosher), oltre che doc. Il catering, affidato allo chef Fabio Ometo, è curato dal gruppo Sire che in Campania organizza banchetti di alta cucina ebraica per matrimoni e congressi. «Rispondiamo a una domanda molto forte, selezionando con cura i prodotti offerti da aziende kosherizzate», afferma il managing director di Sire, Vincenzo Borrelli.
- Itinerari dedicati con Fancy Tour «Un ebreo è disposto a spendere per un pasto kosher anche 250 euro. La maggior parte degli alimenti arriva da Roma, l'obiettivo è avviare produzioni dedicate in loco», informa Cesare Foà, adv napoletano di origine israelita e fondatore della storica Fancy Tour. È lui a spiegare ai neofiti del trade il valore del business ebraico: «È un mercato di alta gamma, che non riguarda solo gli arrivi da Israele. Gli sviluppi nel Sud Italia possono essere stupefacenti».
L'agenzia guidata da Foà - impegnata nella creazione di itinerari dedicati - è già in contatto con quattro operatori e una compagnia di crociere statunitensi, mentre un t.o. israeliano porterà in Campania 25 turisti a settimana, a partire da aprile.
- Tour operator specializzati alla Bmt 2013 Saranno, invece, cinque i tour operator specializzati nel turismo ebraico in arrivo da Israele, Usa e Canada alla prossima Borsa Mediterranea del Turismo, in programma dal 5 al 7 aprile alla Mostra d'Oltremare di Napoli. «Il progetto sarà presentato ufficialmente in fiera», anticipa Fabrizio Cantella, direttore di Progecta, la società organizzatrice della Bmt. Così, la Campania e il suo capoluogo si candidano a diventare la porta yiddish verso il Sud Italia.
(agenzia di viaggi, 28 febbraio 2013)
Le violenze palestinesi non hanno bisogno di scuse
di Noah Klieger
Siamo onesti, i palestinesi non hanno bisogno di nessuna scusa particolare per inscenare disordini e attaccare gli ebrei. L'attuale ondata di tumulti, che era in corso da un paio settimane, non è iniziata in seguito allo sciopero della fame intrapreso da quattro detenuti (due dei quali, detto per inciso, hanno ripreso a mangiare). Lo sciopero è soltanto un pretesto, giacché è chiaro che se anche i due rimanenti riprendessero a mangiare, i loro fratelli continuerebbero i disordini nei territori. La verità è che i nostri vicini semplicemente non ci vogliono. In parole semplici, non è che vogliono un paese accanto a Israele; vogliono un paese al posto di Israele. È un dato di fatto, che è stato comprovato numerose volte.
Sia Ehud Barak che Ehud Olmert hanno offerto ai palestinesi uno stato quasi sulle linee del '67, e loro non l'hanno accettato. Lo sgombero forzato di migliaia di israeliani e di decine di insediamenti dalla striscia di Gaza, voluto da Arik Sharon, non ci ha avvicinati di un centimetro alla possibilità di un accordo. Al contrario la concessioni non hanno fatto che incoraggiare i palestinesi, che hanno iniziato a lanciare razzi su comunità e città all'interno di Israele al solo scopo di uccidere ebrei. I capi di Gaza hanno proclamato innumerevoli volte, anche di recente, che il loro obiettivo è uccidere ebrei e distruggere "l'entità sionista". Alla luce di queste dichiarazioni, quand'anche domani venissero scarcerati tutti i detenuti compresi assassini e terroristi, i tentativi di uccidere ebrei non cesserebbero. Anzi.
Dunque, e anche questo è un dato di fatto, non c'è alcun nesso fra qualunque politica o decisione di Israele e il desiderio, o meglio la smania dei palestinesi di attaccare Israele e i suoi cittadini. Coloro che non lo capiscono, o non lo vogliono capire, nonostante i dati di fatto comprovati per decenni, sono semplicemente ingenui o ciechi rispetto a ciò che accade sul terreno.
E non mi si dica che è stata la politica israeliana a spingere i palestinesi ad agire in questo modo. Mio zio, Natan Klieger, venne assassinato da agitatori arabi a Haifa nel 1939. Se non sbaglio, a quell'epoca non c'era nessuna occupazione né alcuna politica del governo israeliano. Golda Meir un giorno ebbe a dire che un accordo con i palestinesi sarà possibile solo quando loro ameranno i loro figli più di quanto odino gli ebrei. Aveva ragione.
(YnetNews, 26 febbraio 2013 - da israele.net)
La Shoah non fu opera di mostri, ma di persone comuni, come noi
La lezione di Bauman. Il professore 88enne è arrivato dall'Inghilterra un paio di giorni fa
Ci sono molte ragioni per ricordare, ma ce n'è una che può tenerci incollati per sempre al tavolo della memoria: ogni gesto compiuto negli anni e nei luoghi della Shoah è un gesto che noi stessi potremmo aver compiuto. Non ha dubbi Zygmunt Bauman, che anche a se stesso non fa sconti. «Le persone che collaborarono all'Olocausto erano persone comuni come voi, come me. Erano padri di famiglia, vicini di casa, amici, doveva esserci perfino qualcuno che aiutava le vecchiette ad attraversare la strada. Non c'è bisogno di mostri per fare cose mostruose». Il professore è arrivato dall'Inghilterra un paio di giorni fa. Ottantotto anni, è atterrato a Bari dopo una giornata di voli - ha cambiato tre aerei - e la prima cosa che ha chiesto è stato un luogo dove poter fumare una sigaretta e indicazioni per lo spazio wireless. Il viaggio è per lui condizione usuale e (forse) vitale, anche se da ormai oltre quarant'anni vive a Leeds, dove fu accolto nei primi Settanta quando certi rigurgiti antisemiti lo costrinsero a lasciare la sua Polonia. In questi giorni è in Puglia ospite dei Presìdi del Libro, che intorno alla sua imponente presenza hanno costruito il programma del Mese della Memoria. Un mese che ha scelto quest'anno di puntare l'obiettivo proprio sul «Disagio della memoria», ovvero sui rischi - retorici o contaminatori - che l'esercizio reiterato del ricordo può comportare.
Ecco dunque che la lectio magistralis che Bauman conduce nel foyer del teatro Petruzzelli centra il punto. «Perché abbiamo ancora bisogno di riunirci per ricordare?», incalza infatti fin da subito il sociologo, cui questa domanda un po' provocatoria serve per dare l'avvio a una dissertazione che si muove fra «Umano e disumano», così concludendo le celebrazioni dell'ottavo Mese della Memoria voluto - anzi «desiderato», precisa Silvia Godelli - dall'intera amministrazione regionale. Le risposte, dicevamo in principio, sono in realtà tante. La prima cosa che viene in mente, suggerisce il teorico della società liquida, è che se è vero che i regimi totalitaristici sono scomparsi, è altrettanto vero che nel mondo continuano a consumarsi genocidi. Si parla di curdi iracheni, di cinesi, di indiani, e di tante altre aggregazioni umane vittime di operazioni di pulizia etnica. Alle quali noi sembriamo non prestare troppa attenzione, così di fatto «partecipandovi con la nostra inerzia»; laddove i nostri governanti realizzano il proprio intervento attraverso rifornimenti di armi, di munizioni, addirittura di gas, come si trattasse di comuni transazioni commerciali. «Parlano di nobiltà e rispetto dei diritti umani, ma non sono disposti a rompere contratti da milioni di dollari con questi paesi», tuona Bauman, che in queste contraddizioni ravvisa il senso più (triste e) profondo della modernità. Quella che ai tempi dei regimi nazisti e comunisti si esprimeva attraverso una ricerca della perfezione talmente ambiziosa da valicare con naturalezza i confini dell'umanità. «Quando qualcuno gli chiedeva come faceva a creare tanta bellezza, Michelangelo era solito rispondere che lui non faceva altro che prendere un pezzo di marmo e liberarlo di tutti gli orpelli, di tutto ciò che riteneva inutile. Capirete bene che questa filosofia, applicata alla società umana, può diventare molto pericolosa».
Ebbene, quel passaggio i nazisti lo hanno compiuto, alla ricerca di un'armonia che non ammetteva errori, ovvero rifiutava - dunque si liberava - di qualunque elemento disturbante, anche se quell'elemento non era l'ingranaggio intoppato di un orologio, ma un essere umano. La necessità di ricordare dunque si rinnova, perché resta nell'animo umano quella «tendenza a disfarsi di cose e persone percepite come diverse, o inutili», continua il professore. Cui pare poi che i grandi avanzamenti tecnologici in campo militare aggiungano ulteriori motivi per non abbandonare l'esercizio della memoria. «Ormai esistono armi che ci liberano perfino della responsabilità di scegliere le nostre vittime», spiega infatti il sociologo alla grande folla stipata nel foyer. Parla dei missili intelligenti, di quella nuova generazione di armi che può permettersi di colpire una famiglia inerme come si trattasse d'un obiettivo sensibile, esonerando ab origine i mandanti da qualunque scrupolo. Per lui, che si era dapprima costruito una professionalità da sociologo del lavoro per poi diventare forse il più grande teorico della modernità, la vicenda dell'Olocausto diviene occasione di riflessione più complessa soltanto dopo la lettura delle memorie di sua moglie Janina - reduce da un campo di concentramento. L'orrore che fino ad allora aveva considerato un quadro dalla cornice vistosa, tale da farne un oggetto distinto rispetto al resto dell'arredamento, si trasforma allora in una finestra, spalancata sulla modernità ambiziosa e prepotente della quale noi tutti facciamo parte.
(Corriere del Mezzogliorno, 27 febbraio 2013)
Colpo di mortaio sul Golan
Nei pressi di Alloney ha-Bashan
TEL AVIV, 27 feb - Un colpo di mortaio sparato dal territorio siriano e' esploso stamane nella alture occupate del Golan, nei pressi dell'insediamento ebraico di Alloney ha-Bashan, senza provocare vittime. L'episodio e' stato riferito dalla radio militare secondo cui la sensazione in Israele e' che si tratti di uno sparo di carattere ''accidentale'', mentre sull'altro versante del confine avvengono scontri quotidiani fra reparti dell'esercito e formazioni ribelli.
(ANSA, 27 febbraio 2013)
Ecco il perché della linea anti-israeliana di Catherine Ashton
C'è conflitto di interessi
di Miriam Bolaffi
Molti di coloro che seguono le vicende medio-orientali si sono spesso chiesti da cosa derivasse il comportamento anti-israeliano del rappresentante della politica estera dell'Unione Europea, Catherine Ashton. Antisemitismo? Odio verso Israele? Amore per gli arabi? La soluzione è molto più semplice: la baronessa inglese ha dei cospicui interessi in Medio Oriente, interessi correlati al mondo arabo e chiaramente contrapposti a quelli israeliani.
La chiave di lettura sta in due nomi: Peter Kellner e YouGov. Il primo nome è quello del marito di Catherine Ashton mentre il secondo è quello della società internazionale di sondaggi, analisi di mercato e servizi di ricerca per i governi di cui Peter Kellner è presidente. YouGov è diventata talmente importante nel suo settore da arrivare a condizionare le scelte di molti Governi, l'economia di diversi Paesi e persino le tendenze di mercato. Un sondaggio fatto da YouGov viene preso molto in considerazione dalla politica internazionale che non esita a commissionare indagini di ogni tipo.
Ora, succede spesso che stranamente le indagini svolte da YouGov sul Medio Oriente penalizzino Israele mentre sembrano particolarmente benevole per le monarchie del Golfo e persino per l'Arabia Saudita. Solo negli ultimi mesi YouGov ha lanciato diversi sondaggi sul boicottaggio dei prodotti israeliani e persino sul fatto che gli artisti israeliani siano o meno graditi agli inglesi, cioè se potessero o meno esibirsi o fare iniziative in Gran Bretagna. Gli editoriali anti-israeliani al vetriolo di Peter Kellner (e non solo su YouGov ma anche su prestigiose testate internazionali) non si contano.
Come mai? Perché una società internazionale che guadagna milioni di dollari l'anno e può condizionare le politiche di diversi Governi è così smaccatamente schierata contro Israele? Anche qui la soluzione sta tra le righe, in particolare quelle che riguardano i soci della società. E' stato molto difficile ottenere informazioni sui soci di YouGov perché la lista non è pubblica. Tuttavia qualche informazione indicativa siamo riusciti ad ottenerla. Così scopriamo che tra i soci di YouGov ci sono diversi emiri del Golfo, qualche sceicco arabo e che la società ha una importantissima sede a Dubai (presso il Cayan Business Centre) da dove dirige tutte le ricerche riguardanti il Medio Oriente. Altri uffici sono in Arabia Saudita a Dammam, Jeddah e Riyadh. La cosa di per sé non sarebbe sospetta, molte società internazionali hanno sedi a Dubai, se non fosse che oltre alla partecipazione societaria di emiri e sceicchi (tra i quali l'Emiro del Qatar), le ricerche e i sondaggi sui regni di detti sceicchi ed emiri sono sempre particolarmente benevole e in pochi anni sono riuscite a convogliare molti investimenti internazionale dalle parti del Golfo Persico.
YouGov usa quindi la sua influenza e la sua presunta credibilità per agevolare le monarchie del Golfo il che, tradotto in dollaroni, sono decine e decine di milioni di dollari che entrano nelle sue casse.
E chi è il nemico giurato delle monarchie del Golfo, a partire proprio dall'emiro del Qatar che sta finanziando a piene mani Hamas? Naturalmente è Israele. Chiaro quindi che una società importantissima come realmente è YouGov dove l'azionariato è composto in parte da emiri e sceicchi e che da loro ottiene decine di milioni di dollari l'anno, non può non attaccare a spada tratta Israele insinuando una serie di dubbi che possano minarne l'economia e persino promuovendo, in maniera subdola e intelligente, un boicottaggio dei suoi prodotti.
Bene, per tornare quindi a Catherine Ashton, come può la baronessa inglese, rappresentante della politica estera europea, prendere decisioni o tenere una linea che vada a favore di Israele andando così contro gli interessi milionari del marito? Da qualsiasi parte del mondo questo si chiama conflitto di interessi.
Si spiega così il comportamento anti-israeliano di Catherine Ashton, un atteggiamento chiaramente sbilanciato e nemmeno tanto coerente visto che si danna l'anima ad ogni minimo accadimento che riguardi Israele e il conflitto con i palestinesi, ma si cura appena della tragedia siriana. E oggi questa donna rappresenterà l'Unione Europea nei colloqui con l'Iran sul suo programma nucleare. E non ci si faccia ingannare dal fatto che anche l'Iran è considerato nemico delle monarchie del Golfo. Gli emiri scelgono sempre quello che per loro è il male minore e le ultime azioni dell'emiro del Qatar fanno pensare ad un cauto avvicinamento a Teheran, magari con la mediazione dell'Egitto.
(Rights Reporter, 27 febbraio 2013)
La preoccupazione di Gerusalemme sul boom di Grillo: "E' anti-israeliano"
«È proprio un brutto voto». Abbottonati e iper-diplomatici a Roma e Milano. Decisamente preoccupati a Gerusalemme. L'esito elettorale in Italia non è piaciuto allo Stato ebraico d'Israele. Per ora la diplomazia dello stato mediorientale resta a guardare. Coinvolta com'è anche in un lungo iter per la formazione del governo che ancora non c'è. Ma più di qualcuno, contattato da Falafel Cafè, non nasconde la propria preoccupazione per «l'ascesa inattesa e pericolosa» del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
C'è anche chi, senza tanti giri di parole, si dice «sconcertato». Più per «l'incapacità dei grandi partiti, Pd e Pdl, di capire cosa stava succedendo», a dire il vero, che per «la volontà del popolo italiano». Sconcerto che, di fronte alla posizione del comico genovese sulla questione israelo-palestinese, si trasforma in preoccupazione. Per ora ufficiosa. «Un domani, però, se Grillo dovesse andare al governo e se non dovesse cambiare le sue idee su di noi, i rapporti con Roma potrebbero cambiare».
Intendiamoci. «Noi siamo contenti di com'è andato il voto», precisano da Gerusalemme. «Non ci sono stati incidenti, è filato tutto liscio». Però. «Però non possiamo non prendere atto del fatto che al Parlamento, c'è una terza forza - la più vasta su scala nazionale - che porterà dentro il tempio della democrazia italiana idee che ci sembrano anti-israeliane e un filino anti-semite». Beppe Grillo, a Gerusalemme, non è gradito. «Da mesi monitoriamo il suo sito», spiega un funzionario. «E il tenore dei commenti c'entra poco con la dialettica e il rispetto di chi la pensa in un modo diverso».
Non c'è solo l'arena virtuale del comico a preoccupare. Ci sono anche le parole espresse negli ultimi tempi. Le sue posizioni nei confronti dell'Iran. Della Siria. Il ruolo che, secondo Grillo, svolge Israele nell'area. Per questo non è passata per nulla inosservata l'intervista al corrispondente da Roma, Menachem Gantz, dello scorso giugno, sulle pagine dello Yedioth Ahronoth, il quotidiano più venduto dello Stato ebraico. La situazione in Siria? «Ci sono cose che non possiamo comprendere, non sappiamo se sia una vera guerra civile o si tratta di agenti infiltrati nel Paese», ha risposto il leader del Movimento 5 Stelle.
E dell'Iran - paese dal quale arriva la moglie Parvin Tadjik - cosa pensa il guru della Rete? «Un giorno ho visto impiccare una persona, su una piazza di Isfahan, e mi son chiesto: cos'è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Usa: anche loro hanno la pena di morte, hanno messo uno a dieta, prima d'ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: che cos'è più barbaro?». «Grillo è un leader decisamente confuso e pieno di pregiudizi», continua il funzionario. «Non vorrei che le sue idee sul Medio oriente fossero influenzate dalla famiglia della moglie. E speriamo non si vada ad altre elezioni, perché è molto probabile che il partito del comico prenda ancora più voti».
Anche se ovviamente non pubblico, un ordine di preferenza - per Gerusalemme - c'era eccome. La vittoria più gradita era quella del Popolo della libertà, poi la formazione civica di Monti. Soltanto al terzo posto il Partito democratico («ma soltanto per la sua alleanza con il partito di Vendola, da sempre filo-palestinese»). Più o meno lo stesso ordine dell'esito elettorale dei 2.214 italiani che hanno votato in Israele nelle circoscrizione estera: il Pdl ha stravinto con il 55,96%, poi il Pd (21,24%), quindi Monti (19,03%) e ultimo il Movimento 5 Stelle (3,75%).
In Israele aborti in crescita a causa del lancio di razzi
Secondo uno studio dalla Ben-Gurion University of the Negev i razzi lanciati su Sderot in Israele aumentano significativamente il rischio di aborti spontanei nell'area.
La ricerca è stata pubblicata sullo Psychosomatic Medicine Journal of Bio-behavioral Medicine ed ha comparato l'esito di 1341 gravidanze di donne residenti a Sderot, area esposta a frequenti lanci di razzi, con quello di 2143 gravidanze di donne che vivono a Kiryat Gat, fuori dal raggio in cui arrivano generalmente i missili. Nella prima zona il rischio di aborto spontaneo è risultato maggiore.
Il rischio aborto per le donne di Sderot sottoposte a frequenti traumi per il lancio improvviso di razzi - preceduti da un segnale di avvertimento che informa della necessità di nascondersi in un rifugio sicuro - è maggiore del 59% rispetto alle donne israeliane non residenti nella zona. La città meridionale israeliana di Sderot è un obiettivo costante per il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza dal 2001. Tra l'aprile del 2001 e il dicembre del 2008 più di mille allarmi sono suonati nell'area, 500 solo nel 2008. L'impatto dei razzi sugli aborti spontanei, secondo i ricercatori, è determinato dalla disregolazione dei livelli di cortisolo, l'ormone dello stress.
(L'Unione Sarda, 26 febbraio 2013)
Fiori di carta e plastica riciclata
Non appassiscono le creazioni di una designer di Tel Aviv
di Micol Sarfatti
Una creazione di Orly Rostoker
Fiori colorati, gialli, rossi e blu, rallegrano le aiuole della riviera israeliana. Sono tantissimi, ma non profumano, perché non sono fiori veri. Sono fiori di materiale di scarto. A inventarli è stata la fantasia di Orly Rostoker, designer e musicista. "Sognavo piante che potessero non appassire mai - racconta - così ho pensato di crearle con vecchi libri, carta e plastica. Mio padre mi diceva sempre che quello che per alcuni è uno scarto, per altri è un tesoro. Penso sia proprio questo il caso".
Nella piccola impresa di Orly, la RB Green Design di Tel Aviv, lavorano anche persone disagiate e le tinture utilizzate per colorare i fiori arrivano da aziende in zone periferiche, dove le imprese hanno più difficoltà. Per far bene alla natura, ma anche alle persone.
"Non voglio che le mie creazioni siano semplicemente riciclo - spiega la Rostoker - ma che siano oggetti speciali. Visto che i miei fiori non appassiscono i clienti possono anche affittarli come addobbi per occasioni speciali e poi restituirli".
Lo scorso gennaio le creazioni floreali di RB sono state esposte alla Clean Tech, un'importante fiera israeliana dedicata alla Scienza e alla sostenibilità, e hanno rallegrato il locale temporary store Coca Cola di Tel Aviv. Ma Orly ha ancora un desiderio da realizzare: "Mi piacerebbe vedere una sposa con uno dei miei bouquet, sarebbe una grande soddisfazione".
(TGCOM24, 26 febbraio 2013)
Anche in Israele informazione online a pagamento
Il sito Haaretz in ebraico lancia abbonamenti mensili da otto euro.
Anche Israele incentiva l'informazione attraverso il web. A pagamento. A partire da marzo chi vorrà leggere per intero gli articoli pubblicati sul sito di Haaretz in ebraico dovrà sottoscrivere un abbonamento mensile di 40 shekel, circa otto euro. Il sito web in inglese è, invece, già pagamento da tempo.
COSTI ALTI. In un messaggio ai lettori, l'editore Amos Shocken ha spiegato che la costante produzione di contenuti di qualità è legata a costi non indifferenti e che gli abbonamenti al giornale cartaceo non sono più sufficienti. «Le abitudini di lettura mutano e la crescita fra i nostri lettori avviene in particolare nel digitale», ha sottolineato l'editore.
PROBLEMI ECONOMICI. Di conseguenza anche questa categoria dovrà da ora in poi dare il proprio contributo per garantire il futuro del giornale, che sta attraversando un momento difficile sotto il profilo economico. Haaretz è il primo quotidiano israeliano a prendere una decisione del genere, sulla scorta di quanto già avviene in moltissimi Paesi occidentali, fra i quali anche l'Italia.
(Lettera43, 26 febbraio 2013)
Il gran richiamo d'Israele sulla Cina
Nel 2012 hanno compiuto vent'anni le relazioni diplomatiche tra Israele e Cina. Al rapporto tra i due paesi ha dedicato un approfondimento il quotidiano israeliano The Times of Israel, firmato dal suo direttore David Horovitz.
"In Cina piacciono molto gli ebrei - scrive Horovitz con ironia - Intelligenza, attenzione per l'istruzione, successo negli affari non sono causa di antisemitismo, ma di ammirazione. E non potrebbe essere altrimenti, visto che i cinesi sono orgogliosi del proprio ingegno e del continuo impegno verso un migliore sistema educativo, oltre che estremamente interessati a fare soldi". Il giornalista nota però come esistano, nell'approccio cinese a Israele, spunti contrastanti e in rapida evoluzione.
Da una parte c'è il tradizionale disinteresse, e la conseguente inesperienza, negli affari internazionali che non riguardano direttamente la Repubblica popolare. Così la Cina sembra avere le idee chiare sulla propria strategia verso la questione Iran (che è il suo terzo esportatore di petrolio): un misto di bastone e carota per impedire sì che il regime ottenga l'arma atomica, ma allo stesso tempo preservare a ogni costo il flusso del greggio.
Non altrettanto su quella israelo-palestinese. I funzionari cinesi, nota Horovitz, sembrano influenzati dalla diplomazia di molti paesi arabi, così come i giornalisti più anziani (durante l'operazione Pilastro di Difesa per esempio, i media omisero di raccontare il lancio di razzi che colpiva Israele). Ma le nuove generazioni appaiono entusiaste e affascinate dall'inventiva dello Stato ebraico. Delle 300mila copie vendute da Start up Nation, il libro caso di Dan Senor e Saul Singer, ben centomila sono in lingua cinese.
"Dai muscoli al cervello". Così il settimanale The Economist descriveva qualche settimana fa il cambiamento intrapreso dall'economia del colosso asiatico: dall'enorme quantità di manodopera a basso costo all'impegno rivolto a innovazione, ricerca e sviluppo. Cioè i cavalli di battaglia di Israele. Mentre Shlomo Maital nella sua rubrica Marketplace sul Jerusalem Report faceva notare "Gli israeliani sono bravissimi a immaginare e a muoversi. Ciò in cui trovano in difficoltà è lanciare il proprio business su vasta scala. La vasta scala che è invece il più grande vantaggio cinese". Così prevede Maital, "l'elefante e il topolino" potranno forse aiutarsi reciprocamente. In una storia che è ancora tutta da scrivere.
(Pagine ebraiche, marzo 2013)
Razzo lanciato da Gaza esplode nel sud di Israele
Un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza è esploso questa mattina vicino Ashkelon, nel sud di Israele, senza però provocare feriti. Lo ha annunciato la polizia, sottolineando che si tratta del primo lancio dall'operazione "Pilastro di difesa", realizzata dall'esercito israeliano alla fine dello scorso anno a Gaza. «Il razzo è caduto in mattinata vicino Ashkelon e ha provocato qualche danno su una strada, ma non vittime», ha precisato Micky Rosenfeld, portavoce della polizia.
Il lancio del razzo è stato rivendicato da un gruppo armato espressione del movimento nazionalista al Fatah, del presidente palestinese Abu Mazen, che lo ha definito una rappresaglia a seguito della morte di un palestinese detenuto da Israele. «A titolo di prima risposta all'omicidio dell'eroico prigioniero Arafat Jaradat, rivendichiamo il lancio di un razzo Grad su Ashkelon oggi alle 6 (le 5 italiane)», hanno affermato in un comunicato le Brigate dei Martiri di al Aqsa.
(Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2013)
Bar Refaeli reclutata dal Ministero degli Esteri israeliano
Presentera' sul web le invenzioni israeliane
TEL AVIV, 26 feb - La top model Bar Refaeli e' stata ''reclutata'' dal ministero degli esteri israeliano che l'ha convinta a partecipare ad un filmato ''umoristico'' di due minuti, da divulgarsi sul web. Lo scrive il giornale filo-governativo Israel ha-Yom secondo cui lo spot sara' centrato sulle invenzioni israeliane piu' diffuse nel mondo, dall' agricoltura alla cibernetica. La Refaeli, precisa il giornale, non ha chiesto in questa occasione alcun compenso.
(ANSA, 26 febbraio 2013)
Cecità selettiva
di Ugo Volli
Cari amici,
come si è visto anche dalle elezioni italiane, capita spesse che protagonisti, esperti, osservatori e giornalisti sottovalutino i fenomeni fino a che non esplodono loro in faccia. Che si tratti di quello stato che gli inglesi chiamano "wishful thinking", pensiero desiderante, di distrazione o di propaganda ideologica non conta, perché le conseguenze di questo modo di fare sono comunque disastrose.
Qualcosa del genere succede sistematicamente, da molti anni, col Medio Oriente. I giornali, i politici, gli opinion leader non vedono perché non vogliono vedere, non sanno, non credono fino a che non è troppo tardi. Non hanno visto e ancora non credono ai tentativi di Saddam Hussein di costruire un impero, non si sono accorti dei tentativi siriani di dotarsi di armamento atomico, non considerano ancora le conseguenze del piano ben più massiccio dell'Iran nello stesso senso, non hanno capito che la cosiddetta "primavera araba" è stata la foglia di fico per la conquista del potere del movimento islamista in tutto il mondo arabo, non sono capaci neppure di prendere in considerazione le conseguenze dell'immigrazione islamica in Europa che hanno sotto gli occhi e che pure ha già costruito forti ed evidenti contropoteri in Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia eccetera. Dato che la loro ideologia pensa agli immigrati come poveri e deboli fuggitivi che meritano di essere aiutati come nuovo proletariato, non vogliono vedere che anche in questo caso vi sono conseguenze radicali sulla forma della convivenza sociale e sul potere che ne deriva.
Ma il luogo dove la cecità selettiva si esercita per eccellenza è Israele. Qui la pigriazia intellettuale, l'ideologia e un certo antisemitismo di fondo, insieme all'appoggio massiccio del mondo islamico, hanno costruito un filtro così spesso che è difficilissimo trovare qualcuno che percepisca la verità pura e semplice. La quale è semplicissima. Da cent'anni in qua il mondo arabo e islamico è in guerra per la distruzione di Israele. Nel tempo, ha cambiato molti metodi, dai pogrom agli assalti individuali alle case, dalle grandi guerre degli eserciti ai dirottamenti aerei, dai terroristi suicidi all'uso dell'arma del petrolio, dai razzi alla guerra legale. Ha cambiato alleati, dalla Germania nazista all'Inghilterra, dalla Russia agli Stati Uniti di Obama; ha cambiato ideologie, dal nazionalismo all'islamismo al "socialismo nazionale" cioè nazismo. Ma non ha cambiato il primo obiettivo che è la distruzione di Israele e possibilmente la mattanza degli ebrei che vi abitano. Ciò è evidente per chi abbia gli occhi per vedere, ma viene sistematicamente ammorbidito, travestito, presentato come incidentale, negato. Si dice che è Israele che, essendo più forte, deve "fare concessioni" "per la pace" (lo direste a un generale in guerra che per "fare la pace" deve perere una battaglia campale?), che Israele (7 milioni di abitanti, 40 mila chilometri quadrati, niente petrolio o risorse naturali) è Golia e gli arabi (300 milioni, 8 milioni di chilometri quadrati, metà del petrolio del mondo) sono Davide, o peggio che Israele è "come i nazisti" e naturalmente gli arabi "come gli ebrei". L'ha ripetuto ancora di recente, in occasione della giornata della memoria, un deputato inglese non nazista né comunista (in questo caso purtroppo comprenderei) ma liberaldemocratico.
Ora questa cecità si estende naturalmente anche alla fase attuale che è estremamente delicata. Il secondo governo Obama è spostato nettamente più a sinistra e in senso antisraeliano del primo, come si vede dalla nomina (ancora combattuta per fortuna, ma alle soglie del successo) di Chuck Hagel, un piccolo politico antisraeliano e isolazionista, al posto di ministro della difesa; l'Iran sta finalmente arrivando all'arma atomica, non bloccato dalle sanzioni né minacciato davvero da una reazione armata americana e quindi Israele deve pensare entro pochi mesi a difendersi da sé o a vivere con la minaccia perenne di un nemico giurato ed esplicito fornito di armi nucleari e missili capaci di recapitarle su Gerusalemme e Tel Aviv.
Ciò che sta cambiando più rapidamente e che è del tutto inosservato da parte della stampa, dei politici e dell'opinione pubblica occidentale è l'atteggiamento dell'Autorità palestinese. Sarà per il suo stato pre-comatoso sul piano economico-istituzionale, cui non ha giovato né il riconoscimento dell'assemblea dell'Onu né l'aiuto finanziario promesso e sempre però "non pervenuto" dei "fratelli arabi", sarà il fallimento dei colloqui di riconciliazione con Hamas, o il suo rafforzamento militare grazie all'appoggio iraniano che ha costretto Israele a trattative indiretta, sarà infine per il timore di un contagio delle piazze arabe - fatto sta che l'Anp ha deciso di creare il più possibile di torbidi e di agitazioni dove esercita la sua influenza, di dare il via libera a manifestazioni, assalti a colpi di pietra e di molotov, tentativi di occupazioni delle terre.
Non si tratta ancora di lotta armata, non è il tris di quelle "intifade" o sollevazioni che produssero tanti lutti fra la fine del secolo scorso e i primi anni di questo. Ma c 'è il tentativo sistematico di andare in questa direzione da parte dell'Anp. Si dice che questo accada in previsione della prevista visita di Obama, per fornrgli dei pretesti per premere su Obama, la cui visita è prevista fra un mese, per "premere" sul governo israeliano per ulteriori "concessioni", naturalmente sulla strada della "pace" o piuttosto della resa. Può essere. Ma è chiaro che i palestinesi cercano in tutti i modi di trovare delle crepe nella corazza israeliana, dei punti di debolezza su cui agire e adesso ci provano di nuovo coi metodi degli anni Novanta. Ed è chiaro anche che una volta partiti questi movimenti, è difficile fermarli senza che si sviluppi una dose di violenza certamente pesante. L'Anp potrebbe esserne travolta dai terroristi meglio organizzati e più decisi; Israele potrebbe essere trascinato in una repressione in cui sarebbe difficile la "proporzionalità" e che certamente sarebbe usata contro di lui. Potrebbe scaturirne un nuovo episodio di "guerra non convenzionale" che metterebbe ancora a fuoco il Medio Oriente. E potremmo star sicuri che questo, a differenza della strage continua siriana, sarebbe sotto gli occhi dei giornali e del pubblico europeo.
Ma per ora, nessuno ne parla, nessuno raccoglie e documenta le dichiarazioni di appoggio dell'Anp a manifestazioni sempre più violente, nessuno dice che il detenuto morto in un carcere israeliano, da cui i palestinesi hanno tratto negli ultimi giorni pretesto per i loro tumulti, era stato sottoposto ad autopsia congiunta da medici israeliani e arabi e trovato vittima non di torture (!) ma di un banale attacco cardiaco. Ecco la cecità selettiva in azione. Non meravigliamoci se i risultati saranno imprevisti e magari molto negativi anche in Medio Oriente.
(Informazione Corretta, 26 febbraio 2013)
Ad un mese dal voto, stallo fra i partiti in Israele
Ad oltre un mese dalle elezioni legislative, il premier incaricato Benyamin Netanyahu (Likud Beitenu) non è ancora riuscito a costituire una nuova coalizione governativa dato che la composizione emersa alla Knesset (parlamento) è molto frammentaria.
Yediot Ahronot scrive che Netanyahu sembra ancora in alto mare e che sabato - in assenza di sviluppi - sarà costretto a tornare dal Capo dello Stato Shimon Peres per chiedergli altre due settimane di tempo.
Peres, rileva il giornale, sembra incline a concederle: ma ha anche la prerogativa di affidare la formazione del governo ad un altro esponente politico. Se lo stallo non fosse superato, si prospetterebbe la necessità di andare a nuove elezioni.
(swissinfo.ch, 26 febbraio 2013)
Il meglio dei film israeliani fino a giovedì
MILANO - Fino a giovedì, presso la Sala Alda Merini - Spazio Oberdan della Provincia di Milano, è in corso la sesta edizione della rassegna dedicata alla cinematografia israeliana, a cura di Nanette Hayon e Paola Mortara. Si tratta di un appuntamento milanese ormai consolidato da anni, frutto di una proficua collaborazione con il Pitigliani Kolno'a Festival di Roma. Tra i film in rassegna, Footnote di Joseph Cedar (premio per la Migliore Sceneggiatura a Cannes e poi nominato agli Oscar); Hadas Yaron, protagonista di La sposa promessa di Rama Burshtein, ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia.
(il Giornale, 26 febbraio 2013)
Palestinesi a caccia del pretesto per la terza intifada
di Sarah F.
La morte del detenuto palestinese, Arafat Jaradat, è avvenuta per infarto e non ci sono segni di tortura o maltrattamenti. A stabilirlo è stata l'autopsia eseguita presso il Abu Kabir Institute of Forensic Medicine alla presenza dei famigliari e di alcuni funzionari della Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Questa è la verità definitiva.
Nonostante questa incontestabile verità, ieri sono scoppiati violenti scontri tra manifestanti arabi da una parte ed esercito israeliano e polizia palestinese dall'altra. I manifestanti accusavano Israele della morte di Arafat Jaradat sostenendo che fosse stato sottoposto ad atti di tortura, atti che come abbiamo visti sono stati smentiti dalla autopsia. Altri sconti si temono oggi quando avranno luogo i funerali di Arafat Jaradat. L'IDF è in stato di massima allerta. Si temono anche irresponsabili provocazioni da parte di estremisti ebraici che, secondo alcune voci, sarebbero intenzionati a manifestare nella Spianata delle Moschee.
Torna così a soffiare prepotente il vento della terza intifada, un vento alimentato dall'odio antiebraico e da potenti forze esterne, forze che non necessariamente sono riconducibili al mondo arabo ma che sono insite all'interno di alcune ONG internazionali e persino israeliane che hanno tutto da guadagnare dallo scoppio di una terza intifada. Indecente e menzognero l'articolo scritto ieri da Annie Robbins sul sito di MondoWeiss che attribuisce al Ministro della ANP, Issa Qaraqe, alcune dichiarazioni secondo cui l'autopsia sul corpo di Arafat Jaradat avrebbe confermato le torture. In serata è stato lo stesso Issa Qaraqe a negare quelle dichiarazioni.
Si ha l'impressione molto netta che, anche con l'avvicinarsi della visita di Barack Obama in Israele prevista per la prossima settimana, gli arabi e tutte quelle entità che guadagnano milioni di dollari ogni anno con gli aiuti internazionali, vogliano deliberatamente alzare la tensione. La questione palestinese è passata ultimamente in secondo piano nel computo delle priorità del mondo occidentale che, giustamente, ha rivolto le sue attenzioni a problemi ben più gravi come la situazione in Siria (dove per altro i palestinesi vengono sistematicamente massacrati ma nessuno fiata) o come la questione del nucleare iraniano.
Siamo quindi più che sicuri che gli arabi faranno di tutto per attirare di nuovo l'attenzione sulla vicenda palestinese e non esiteranno a scatenare una terza intifada se questo servirà al loro scopo. Non per niente ieri il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che la responsabilità di quello che avverrà nei prossimi giorni ricade tutta sulla ANP che è chiamata a intervenire su eventuali manifestazioni.
(Rights Reporter, 25 febbraio 2013)
Soffiare sul fuoco delle rivolte orchestrate
Ancora oggi è abbastanza diffusa la convinzione che la cosiddetta "Seconda Intifada" del 2000, scoppiò spontaneamente in seguito alla visita del leader del partito di opposizione al governo, Ariel Sharon, al Monte del Tempio, che i musulmani chiamano "spianata delle moschee" perché ospita fra l'alto la moschea della Cupola della Roccia, dalla quale Maometto sarebbe asceso al cielo in sella ad un cavallo alato dalla testa di donna e coda di pavone. In realtà, quella visita - una "provocazione" che avrebbe indotto la "sollevazione spontanea" dei palestinesi - era programmata da tempo: qualche giorno fa l'emittente televisiva Channel 10 ha mandato in onda un documentario in cui è stato testimoniato il consenso fornito da Jibril Rajoub, ministro allora dell'Autorità Palestinese, al ministro degli interni israeliano. Inoltre, Arafat aveva già deciso a luglio, quando fece saltare il tavolo di Camp David attorno al quale si discuteva di pace, di imbracciare la lotta armata come unico mezzo per perpetrare il suo potere mantenendo uno stato di perenne tensione. Era l'unico mezzo per custodire ricchezze e potere, e al tempo stesso evitando l'assalto dell'opposizione interna e dei rivali storici di Hamas; e pazienza se ciò comportava l'accantonamento dell'ipotesi di uno stato palestinese...
Il reportage di Channel 10 evidenzia il ruolo di Marwan Barghouti nel sobillare la popolazione palestinese, organizzando e alimentando le sommosse, che avrebbero provocato nei mesi successivi diverse migliaia di morti. Un copione che si sta tristemene ripetendo.
Da alcuni giorni i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, responsabili di diversi attentati, rifiutano sistematicamente gli alimenti forniti dall'amministrazione penitenziaria. La morte di un detenuto nel carcere di Meggido, arrestato per terrorismo e sofferente di cuore, è stata strumentalizzata per alimentare i disordini nelle principali città del West Bank. Una autopsia condotta da medici indipendenti in presenza di sanitari palestinesi ha escluso alcun maltrattamento, rivelando soltanto alcuni segni lasciati sulla pelle del petto dal defibrillatore usato per tentare una disperata rianimazione. Ma il governo di Abu Mazen sta soffiando sul fuoco, alimentando la falsità di una tortura che il detenuto avrebbe subito (e perché mai: stava scontando la sua pena, perché avrebbe dovuto subire questo trattamento?). Diversi gli assalti alle famiglie israeliane, con tentativi di vero e proprio linciaggio. Se non si registra il bagno di sangue degli attentati omicidi e suicidi del 2000, è solo grazie alla barriera difensiva che negli anni passati il governo israeliano ha costruito al confine, sollevando l'indignazione di chi desiderava una soluzione drastica alla questione arabo-israeliana: l'eliminazione fisica di tutti gli ebrei.
Un sondaggio condotto da Arab World for Research and Development evidenzia che il popolo palestinese non desideri affatto una terza Intifada; ma la burocrazia e il vertice dell'Autorità Palestinese sembrano di diverso avviso. Frustrati dall'empasse creatasi dopo il voto di novembre alle Nazioni Unite, e dal successo riscosso dagli odiati rivali di Hamas a Gaza, Abu Mazen sta giocando una partita molto pericolosa, esasperando gli animi nel tentativo di guadagnare credito in occasione del prossimo arrivo del presidente americano Obama in Israele; il quale si sentirebbe costretto, pressato dall'opinione pubblica, a sollecitare dolorose concessioni a Gerusalemme.
E' un piano che si gioca sulla pelle della gente, e rischia di sfuggire di mano ai suoi organizzatori; a vantaggio di formazioni più radicali: Hamas scalpita per rovesciare la leadership di Abu Mazen nel West Bank, e in una eventuale elezione risulterebbe comunque vincente. Il tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica mondiale è finora fallito: complice una gestione grottesca delle sollevazioni. Ieri militanti filopalestinesi hanno dovuto ammettere con imbarazzo di aver diffuso immagini che ritraevano palestinesi in sommossa risalenti a quattro anni fa; ma soltanto dopo essere stati scoperti.
Come molti hanno previsto, il gesto unilaterale di Abu Mazen alle Nazioni Unite di tre mesi fa, lungi dall'avvicinare la pace, l'ha allontanata irrimediabilmente. Mentre Ramallah continua a rifiutare i colloqui con la controparte israeliana, accampando diverse scuse.
(Il Borghesino, 25 febbraio 2013)
La causa sbagliata
Editoriale del Jerusalem Post
Molte ingiustizie affliggono la società palestinese, alcune delle quali non possono essere imputate allo stato ebraico neanche dalla più scatenata fantasia dei nemici d'Israele. Sono ingiustizie auto-inflitte.
A Gaza, nelle scorse settimane, una sorta di stato islamico governato dal regime totalitario di Hamas ha arrestato o sottoposto a interrogatorio almeno 16 giornalisti, nel quadro di una campagna volta a intimidire la stampa locale, come ha riferito il corrispondete del Jerusalem Post, Khaled Abu Toameh. L'unico reato commesso da questi giornalisti è aver osato criticare la dirigenza di Hamas. Non molto migliore è la situazione dei giornalisti nella Cisgiordania governata dalla "moderata" Autorità Palestinese. Proprio la scorsa settimana un tribunale dell'Autorità Palestinese ha condannato il 26enne Anas Said Awwad a un anno di prigione per aver "insultato" il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) su Facebook. Awwad si è macchiato della colpa d'aver ironicamente descritto Abu Mazen come un membro della squadra di calcio del Real Madrid.
Sia a Gaza che in Cisgiordania da almeno quattro anni la dirigenza palestinese è affetta da una sostanziale mancanza di legittimità. A parte le votazioni municipali, l'ultima elezione democratica a Gaza e Cisgiordania si è tenuta nel 2006. I palestinesi avrebbero dovuto votare di nuovo nel 2009, ma dopo la vittoria di Hamas alle ultime elezioni, la dirigenza palestinese si è spaccata in due. Con il sostegno dell'Occidente, l'Olp guidata da Fatah è riuscita a mantenere il controllo sulla Cisgiordania. Nella striscia di Gaza, invece, Hamas si lanciò con successo in un golpe sanguinoso durante il quale numerosi membri di Fatah vennero ammazzati per le strade o gettati dagli edifici. Restarono del tutto inascoltati dall'allora presidente Usa George Bush gli avvertimenti di Israele secondo cui, se si fosse consentito a Hamas di partecipare, le prime elezioni realmente democratiche palestinesi (Hamas aveva boicottato quelle del 1996) sarebbero state anche le ultime.
Tuttavia, né l'incarcerazione e intimidazione di giornalisti (ed altre violazioni dei diritti umani), né l'assenza di rappresentanza democratica delle loro dirigenze politiche ha visto una significativa mobilitazione da parte dei palestinesi in tutti questi anni. Al massimo qua e là qualche dimostrazione all'insegna di vaghi slogan per "l'unità dei palestinesi". Al contrario, i palestinesi - e molti cittadini arabo-israeliani - si sono massicciamente mobilitati sotto tutt'altro slogan: la scarcerazione dei terroristi palestinesi detenuti in Israele. Minacciando una terza intifada, i palestinesi e molti arabi israeliani manifestano con veemenza contro l'"ingiustizia" costituita dal ri-arresto da parte di Israele di alcuni terroristi fra quei 1.027 che vennero scarcerati nell'ottobre 2011, nel quadro dell'accordo-ricatto mediato dall'Egitto fra Hamas e Israele per la liberazione dell'ostaggio Gilad Shalit.
Samer Tariq Ahmad Essawi, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, è uno di questi terroristi ri-arrestati. Catturato nell'aprile 2002, Essawi venne condannato a trent'anni per possesso di armi da guerra e per aver collaborato alla formazione di cellule terroristiche attive nella zona di Gerusalemme. Era uno dei tanti terroristi arrestati durante "Scudo Difensivo", l'operazione militare voluta dall'allora primo ministro Ariel Sharon che essenzialmente pose fine alla seconda intifada, l'intifada delle stragi sugli autobus e nei bar, ripristinando la sicurezza per gli israeliani che in quegli anni erano sistematicamente vittime di attacchi armati e attentati suicidi.
Un altro detenuto ri-arrestato è Ayman Sharawna, incarcerato per aver collaborato alla realizzazione di un attentato terroristico a Beersheba. La mattina dell'11 maggio 2002, due terroristi palestinesi piazzarono un ordigno artigianale vicino a un gruppo di civili nella città vecchia di Beersheba e si diedero alla fuga. Solo un malfunzionamento tecnico impedì che la bomba esplodesse completamente. Risultato: diciotto civili feriti o mutilati. Sharawna venne condannato a 38 anni.
Entrambi questi terroristi sono stati scarcerati nel quadro del ricatto per la liberazione di Shalit ed entrambi hanno successivamente violato le condizioni che avevano accettato per il loro rilascio. Sharawna è tornato alle attività terroristiche con Hamas, stando alle indagini delle Forze di Difesa israeliane, ed è stato ri-arrestato nel gennaio 2012. Essawi, scarcerato a condizione che rimanesse all'interno di Gerusalemme, ha lasciato la città ed è stato ri-arrestato nel luglio 2012. Ora entrambi, come prevede la legge, devono finire di scontare le loro pene originarie.
Inspiegabilmente i palestinesi - e numerosi cittadini arabo-israeliani - hanno deciso di sostenere la causa di questi e altri terroristi in sciopero della fame, mentre ignorano del tutto la sorte dei giornalisti intimiditi, censurati, arrestati e bastonati da quella loro stessa dirigenza politica che da almeno quattro anni governa, sia a Gaza che in Cisgiordania, senza nessuna legittimità democratica.
Date queste circostanze, in quali prospettive di pace può sperare il presidente Usa Barack Obama quando verrà in visita nella regione, il mese prossimo?
(Jerusalem Post, 24 febbraio 2013 - da israele.net)
Maratona di Gerusalemme - 3a Edizione
Siete pronti a correre nella città simbolo della spiritualità?
Dopo il grande successo degli scorsi anni, il 1o marzo 2013, si correrà la terza edizione della Maratona di Gerusalemme.
La città offre una delle location piò belle e suggetive al mondo dove correre: paesaggi spettacolari, strade di recente costruzione ed un clima eccezionale.
Tre le distanze proposte: maratona, mezza maratona, 10km. Sono stati scelti dei percorsi che raccontano la storia di Gerusalemme, durante i 3000 anni della sua esistenza.
Le gare sono mozzafiato e uniscono sfida, panorami spettacolari, emozioni e un'atmosfera unica che solo a Gerusalemme si può respirare.
Ovunque Running, Tour Operator Ufficiale per l'Italia dalla prima edizione, propone due pacchetti: "solo Gerusalemme", per conoscere la città e i suoi dintorni, e un tour completo "Gerusalemme + Pellegrinaggio in Terra Santa" per approfondire la conoscenza della città e dei luoghi sacri cari al Cristianesimo. Un ricco programma di escursioni e di assistenza completano i servizi offerti.
PARTENZA E ARRIVO
Partenza (Parlamento Israeliano - Israeli Parliament).
Maratona ore 07.00
Mezza Maratona ore 08.30
10 Km ore 10.15
Arrivo (Park Gan Saker)
TEMPO LIMITE
chiusura alle ore 12:30
MARATHON EXPO
Jerusalem International Convention Center (JICC)
Aperto da martedì a venerdì dalle 15 alle 22.
Pasta party: venerdì.
CROMETRAGGI
I tempi saranno misurati utilizzando il ChampionChip allacciato alle stringhe delle scarpe.
E' possibile utilizzare il propio chip (compreso il blue chip del triathlon). Si prega di non cedere il chip di altri corridori.
Siete inoltre pregati di dare comunicazione all'organizzazione nel caso utilizziate il vostro chip.
I corridori devono restituire il chip al traguardo (post medaglia); in caso di mancata restituzione, sarà addebitato un importo di euro 25.
CLIMA
Il clima a Gerusalemme in marzo é fresco e secco durante la giornata e freddo durante la notte.
Le temperature si aggirano tra gli 8 e i 15 gradi.
Gaza: crisi dei tunnel, l'Egitto sequestra 20.000 litri di carburante
di Luca Pistone
Ieri a Rafah le forze armate egiziane hanno sequestrato 20.000 litri di carburante pronto per essere contrabbandato a Gaza.
Lo rivela l'agenzia di notizie palestinese Ma'an, secondo la quale le guardie di frontiera egiziane hanno scoperto il carico di combustibile durante una perlustrazione in alcuni tunnel sul lato egiziano di Rafah.
Alla fine di gennaio, le spedizioni di carburante a Gaza donato dal Qatar erano state sospese per i problemi di sicurezza verificatisi in Egitto. Violenti scontri tra gruppi armati del Sinai e l'esercito egiziano avevano portato lo scorso novembre ad una sospensione delle spedizioni di carburante, poi riprese agli inizi di gennaio.
Il Qatar ha donato 27 milioni di litri di carburante alla Striscia di Gaza che vive una grave crisi energetica, esasperata dal blocco israeliano.
La scorsa settimana, con lo scopo di metterli fuori uso, le forze armate egiziane hanno inondato i tunnel di contrabbando scavati sotto la frontiera fra il Sinai e Gaza.
Israele ha indurito il blocco su Gaza dopo che Hamas ha preso il potere nel 2007. Nella Striscia il traffico via tunnel con l'Egitto è ormai paralizzato a causa degli scontri dello scorso 5 agosto tra forze di sicurezza egiziane e militanti jihadisti nella penisola del Sinai. Gaza non dispone attualmente né di aeroporti né di porti e la sua economia è fortemente dipendente dai finanziamenti esteri e dal contrabbando attraverso i tunnel transfrontalieri.
Da quando l'Egitto ha chiuso alcuni di questi tunnel per il contrabbando, i prezzi sono saliti alle stelle nella piccola enclave costiera. Prima dell'intervento militare egiziano il trasporto di una tonnellata di cemento attraverso un tunnel costava in media 15 dollari. Oggi, il doppio. Hamas riferisce che le importazioni mensili di materiali da costruzione sono diminuite di circa il 45%. In calo (31%) anche quelle dei generi alimentari di base.
(Atlas, 25 febbraio 2013)
Nei paesi di frontiera israeliani, ostaggio della guerra degli altri
La ragazza in calzoncini e scarpe da ginnastica ferma un attimo la sua corsa e indica un prato a meno di 200 metri da una delle villette del villaggio di Alonei Habashan, nel Nord d'Israele: «É caduto lì, tra quegli alberi».
La piccola comunità rurale è stata colpita nei mesi scorsi da colpi di mortaio in arrivo da oltre confine. Nella vicina Siria, i ribelli anti-regime si scontrano con le forze armate del presidente Bahsar El Assad. La frontiera è a meno di un chilometro, dietro un collina su cui troneggia una postazione militare israeliana. Il colpo di artiglieria non ha fatto vittime, ma ha gonfiato la paura. «Da quella collina fino a poche settimane fa si potevano sentire e vedere le esplosioni» racconta Michal Raikin, responsabile della sicurezza per la regione di Katzrin, il maggiore centro abitato israeliano vicino al confine, su quelle alture del Golan conquistate alla Siria da Israele nella guerra del 1967.
Benché Israele e Siria siano formalmente in guerra da allora, questo per più di quattro decenni è stato il confine più calmo del Paese. Da diversi mesi però, da quando i combattimenti in Siria si sono avvicinati alla frontiera, la situazione è cambiata. Lungo il confine corrono già i primi metri di una barriera difensiva tecnologizzata, munita di sensori, simile a quella che già esiste al Sud per arginare l'instabilità del Sinai egiziano. Il governo ha promesso di finire la costruzione al più presto.
Tra gli abitanti delle comunità israeliane della zona sono in pochi a pensare che i colpi di mortaio caduti vicino alle loro abitazioni fossero diretti contro Israele. «Siamo finiti nel fuoco di una guerra interna», spiega Michal Raikin. Già durante l'estate, Avner Talmon, ex ufficiale dell'esercito israeliano e abitante del Golan, spiegava quale fosse la vera preoccupazione: «Temiamo che la regione oltre il confine finisca nella mani di gruppi islamisti estremisti, capaci di venire in possesso delle armi chimiche del regime siriano».
Pochi giorni fa, nei pressi di Aleppo, i ribelli avrebbero conquistato l'installazione nucleare di Al Kibar, secondo i mass media internazionali la struttura rasa al suolo nel 2007 da un raid aereo israeliano, mai rivendicato. A fine gennaio, in un simile attacco aereo - il sospetto è ricaduto su Israele - è stato colpito un obiettivo in territorio siriano, sul confine libanese. Forse un convoglio di armi. I vertici dell'esercito d'Israele non nascondono preoccupazioni per un possibile passaggio di armi dai depositi del regime di Assad a quelli libanesi di Hezbollah, alleato di Damasco ma nemico di Israele e minaccioso vicino. L'esercito israeliano nei giorni scorsi ha affrontato anche una nuova incognita: per la prima volta soldati in pattuglia lungo il confine hanno soccorso e portato in un ospedale israeliano sette siriani feriti e ora temono un flusso di sfollati.
Con il crescere delle tensioni, sia lungo il confine con la Siria sia lungo quello con il Libano, la popolazione israeliana si prepara al peggio. Nella zona di Katzrin, da settimane gli abitanti delle isolate comunità rurali hanno formato squadre d'emergenza, pronte a entrare in azione prima dell'arrivo di polizia ed esercito in caso di conflitto: ci sono persone responsabili per l'evacuazione dei bambini, degli anziani, altre hanno invece il compito di occuparsi per esempio di mantenere attiva l'irrigazione dei campi o la mungitura delle mucche. E a meno di un'ora di automobile, sull'altro instabile confine, quello libanese, si prepara anche Kiryat Shmona. La città, a soli cinque chilometri dalla frontiera, nella guerra del 2006 è stata colpita per settimane dai razzi di Hezbollah. Dopo il sospetto attacco israeliano in Siria, i funzionari del comune hanno ricevuto moltissime telefonate di cittadini spaventati: chiedevano se gli oltre 500 rifiugi anti missile fossero aperti - spiega Eli Cohen, responsabile per la sicurezza della municipalità. «Qui però - dice - non siamo in Svizzera: viviamo in una zona di guerra e sappiamo quando iniziare a preoccuparci sul serio».
(il Giornale, 25 febbraio 2013)
Coppa dell'Amicizia Ebraica di calcio - La prima edizione, 1964
di Fabrizio Sonnino
Siamo nell'estate del 1964 quando si disputa la prima edizione della Coppa dell'Amicizia Ebraica di calcio. Una mista Benè Akivà - Hashomer Hatzair viene organizzata da Gianni Ascoli e questa è già una notizia visto che c'era molta rivalità all'epoca tra i due movimenti giovanili. Composta, dopo una selezione dei migliori, avrebbe dovuto garantire maggiore consistenza rispetto alla squadra dell'anno prima.
Alla prima si aggiunge la ricostituita, per l'occasione, Stella Azzurra, guidata da Giorgio Piperno. Anche il Maccabi partecipa inaugurando, su iniziativa del giovane Mario "Papa" Mieli, la sua sezione calcio.Questo gruppo sportivo era sorto nel 1961 - dedito allo Judo - e nato con finalità di garantire una difesa più organizzata verso scorrerie fasciste al Portico d'Ottavia, verificatisi negli anni precedenti. A completare il lotto dei partecipanti si aggiunse il Kadimah, tra i cui elementi di spicco ritroviamo Rodolfo Della Seta.
Forte è lo spirito che stando alla base dell'iniziativa mira a creare un evento unico nel suo genere che punta a tenere unita la gioventù ebraica. Si comincia ancora giocando al campo S. Tarcisio, lo stesso dove l'anno prima si era disputata quella che potremmo definire la coppa edizione zero.Tutte le gare sono dirette dal signor Volterra, un arbitro fatto in casa che altri non è che il padre di quel Fabio che gran protagonista della coppa sarà in futuro. Si giocano, ovviamente, subito le semifinali (probabilmente definite per sorteggio).
Nella prima si affrontano Maccabi e Stella Azzurra. Finirà a favore de i primi. Nella seconda a prevalere a sorpresa è la selezione dei movimenti giovanili per 1-0 sul Kadimah. Protagonista, oltre a Gianni Ascoli, Ariel Toaff - autore del goal vittoria - e l'estremo difensore, che sappiamo solo essere il figlio di Gino il portiere.Per la finale, il 12 agosto, ci si sposta al più capiente "Cinodromo". Finisce 3-1 per i ragazzi di Mario "Papà" che scendono in campo con questa formazione:De Angelis; Di Segni detto "Micione"; Pacifico Sed; Carlo Piazza; Ciccio Sed; Franco Di Segni; Mario Mieli; Angelo Astrologo detto "Microbo";Giovanni Di Segni; Sergio Piazza; Settimio Spizzichino.
Si racconta che più di 500 spettatori assistettero all'incontro. Le premiazioni furono effettuate dal rabbino capo di Roma Elio Toaff, malgrado i figlioli Ariel, Dani e Gadi uscissero sconfitti. Ad aggiudicarsi l'incontro, laureandosi primo "campione di piazza", fu, dunque, il GS Maccabi aprendo un ciclo che lo avrebbe portato negli anni - anche se con nomi diversi per motivi di sponsor e altro - a conquistare ben 7 titoli.
(Oser, febbraio 2013)
Israele, riuscito il test di un nuovo missile balistico intercettore
Arrow III
GERUSALEMME, 25 feb. - Israele ha effettuato con successo un lancio sperimentale del proprio missile balistico intercettore di nuova generazione 'Arrow III': lo ha reso noto il ministero della Difesa, secondo cui oggetto del test non era tanto la precisione nell'intercettazione di un bersaglio specifico, quanto il collaudo della traiettoria di volo.
Secondo i progettisti, le prove finora condotte sono riuscite nel 90 per cento dei casi. L'intercettore e' destinato a distruggere eventuali missili diretti contro lo Stato ebraico, ad altitudini tali da consentire la disintegrazione di testate non convenzionali senza rischi per la sicurezza al suolo. Una volta raggiunto lo spazio, la testata dello stesso 'Arrow III' si stacca dal corpo del missile e si trasforma in una sorta di 'satellite-suicida' che traccia, colpisce e annienta l'ordigno preso di mira.
Il relativo programma, cui partecipano il Pentagono e la compagnia americana 'Boeing', e' inteso a rafforzare i sistemi difensivi israeliani nei confronti di minacce esterne quali quelle rappresentate da Iran o Siria, riducendo cosi' la necessita' potenziale di ricorrere ad attacchi preventivi.
(AGI, 25 febbraio 2013)
Nubi sul Golan
dii Boaz Bismuth
Il regime del presidente siriano Bashar al-Assad è già da tempo in fin di vita. Le Nazioni Unite parlano di 70mila persone uccise nel violento conflitto interno che, a marzo, entrerà nel suo terzo anno. Gli ultimi giorni sono stati particolarmente violenti a Damasco (esplosioni) a ad Aleppo (lanci di missili su aree popolale). Il bagno di sangue sta seguendo lo stesso schema del programma nucleare iraniano: il mondo fa molto rumore, ma nulla cambia nel concreto.
È stato detto che l'opposizione siriana è frammentata. Sabato, per una volta, si è mostrata unita quando ha annunciato la sua intenzione di boicottare l'incontro di giovedì a Roma con i paesi "amici della Siria". Cancellate anche le previste visite a Mosca e Washington. L'opposizione siriana si è stancata del "silenzio della comunità internazionale sui crimini commessi dal regime" di Damasco.
Secondo Al-Jazeera, l'Esercito Libero Siriano ha preso il controllo di ciò che resta dell'impianto di ricerca nucleare "al-Akhbar", a Dir a-Zur: lo stesso che, stando alle notizie di stampa estera, fu oggetto di un raid israeliano nel 2007. Elementi estremisti jihadisti hanno infiltrato i ranghi dell'Esercito Libero Siriano: per questo l'Occidente ha tirato un sospiro di sollievo all'idea che quel reattore (grazie e Israele) oggi non esiste più. D'altra parte, secondo disparati rapporti, le forze ribelli dovrebbero presto prendere il controllo dei siti militari di lancio degli Scud. Non lontano dalle nostre case armi molto pericolose stanno cadendo nelle mani di gente che non risponde a nessuno.
Nel frattempo, là a Damasco Assad crede ancora di poter sopravvivere. È convinto che le minoranze, specialmente il 30% di non-sunniti che vivono in Siria, abbiano più paura di un futuro islamista che della permanenza al potere del suo regime. Ed è anche sicuro che l'Occidente ha troppa paura che il collasso del suo regime conduca ad uno spargimento di sangue in Libano e Giordania. Assad sa che l'Occidente non si fida dei ribelli e che per questo non ha fretta di armarli. I ribelli sono divisi fra nazionalisti e jihadisti e queste tensioni tra i due campi non dovrebbero sorprendere più nessuno.
Assad, secondo reportage della stampa araba, è tranquillo e sicuro di sé. Perlomeno, questo è ciò che dice chi lo ha incontrato. È convinto che riuscirà sottomettere le organizzazioni terroristiche (come egli definisce i ribelli) e che l'Occidente non farà nulla per accelerare la sua caduta.
A questo ritmo, Assad starà al potere a Damasco grazie ai centomila soldati lealisti al suo servizio, e ciascuna delle divise fazioni ribelli sarà sovrana nel suo pezzo di territorio. Fino al giorno in cui cadrà.
(Israel HaYom, 24 febbraio 2012 - ripreso da israele.net)
Un modello unico di integrazione: gli israeliani "romani de' Roma"
"Italia e Israele sono partner commerciali solidissimi, abbiamo un bilancia import export che vale 4,5 MLD di dollari. Il connubio Italia e Israele è strategico soprattutto nel settore militare della difesa e sta dando ottimi frutti". Sulla sicurezza "A Roma temiamo che riaffiorino episodi di antisemitismo verso la comunità israelitica. È un fenomeno che è in crescita e rispetto alla nostra comunità ci sono ferite che sono ancora aperte".
ROMA CAPITALE - La sede dell'Ambasciata d'Israele è necessariamente blindata. Tutto quello che ha a che fare con Israele, in larga parte del mondo, vive costantemente sotto la minaccia di attacchi terroristici. Roma non è esente da questo pericolo e le misure di sicurezza sono senza dubbio straordinarie, in ambasciata come in tutti i luoghi della comunità ebraica. Ne parliamo con l'Ambasciatore d'Israele Naor Gilon, uno dei diplomatici di punta della diplomazia israeliana. Nella sua carriera ha lavorato a Washington e ha fatto il Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri israeliano. E' un profondo conoscitore di politica internazionale ed è a Roma da un anno dopo aver ricoperto incarichi prestigiosissimi. A Roma si occupa delle relazioni tra i due Paesi considerando che la nostra città ha una delle comunità ebraiche più numerose d'Italia ma soprattutto tra le più antiche del mondo. Nella nostra città, infatti, si contano 15.000 ebrei, romani a tutti gli effetti e sono distribuiti su tutta l'area metropolitana e non soltanto nel "ghetto". Sono considerati un modello di integrazione nel tessuto culturale della città. A Roma sono numerosi i centri di aggregazione del gruppo ebraico, dalla scuola alla Sinagoga, ma numerosi sono anche i servizi che sono ad appannaggio di tutta la città come ad esempio l'Ospedale Israelitico che è un centro d'eccellenza sanitaria aperto a tutti i cittadini. Un percorso d'integrazione non scontato in un contesto mondiale dove cresce il fenomeno dell'antisemitismo che sfocia sempre più spesso nell'antisraelismo.
- Ambasciatore, cosa rappresenta Roma per Israele?
"Dal punto di vista professionale significa rapportarsi con un Paese amico che ha con noi una bilancia commerciale di 4,5 mld di dollari e nonostante la crisi è in continua crescita. Anche dal punto di vista culturale c'è una interazione fortissima tra Roma ed Israele, infatti, proprio in queste settimane, fino a marzo presso il Macro si può vedere la Mostra Israel Now-Reinventing the Future, una mostra multidisciplinare, strutturata attorno ad una selezione di ventiquattro artisti israeliani provenienti da esperienze e generazioni diverse,in perfetto equilibrio tra nuove tecnologie e pratiche artistiche più tradizionali. Un progetto che vuole riflettere il dinamismo di una cultura che affonda le proprie radici in una spiritualità millenaria come lo è anche quella romana.
E non è un caso che Roma sia la comunità ebraica più antica del mondo, si ha notizie dei primi insediamenti a partire dal II secolo a.C. ed è un motivo d'orgoglio straordinario essere a Roma perché rimane una delle città da sempre più accogliente nei confronti della popolazione ebraica, nonostante in questi mesi si stia vedendo riaffiorare preoccupanti episodi di antisemitismo, ma parallelamente vediamo anche una grande attenzione delle forze dell'fordine. Abbiamo visto recentemente gli episodi di Campo dei Fiori a Roma e gli altri a Napoli, dove la risposta delle forze di polizia e della magistratura è stata rapida ed efficace".
- Secondo Lei quali sono le motivazioni alla base di questi episodi?
"Certo nei momenti di difficoltà gli episodi di razzismo e di antisemitismo sono sempre accentuati. Si è sempre alla ricerca del capro espiatorio. L'antisemitismo è in aumento ovunque, in parte anche per la situazione economica. Dobbiamo distinguere due tipi di antisemitismo: esiste un antisemitismo tradizionale, basato su un banale pregiudizio. A molte persone gli ebrei non piacciono, anche se spesso nella loro vita non ne hanno nemmeno mai incontrato uno. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di autosuggestione che ha origine antichissime ed è qualcosa che riguarda le loro "credenze", non è un fatto oggettivo fondato su aspetti razionali che si possono spiegare.
A questo poi si aggiunge l'antisemitismo, che possiamo definire di matrice islamica, un fenomeno che ha ragioni più recenti dal punto di vista storico ed è legato a vicende molto complesse. Ed è quello che ha lasciato segni profondi anche nella comunità romana, dove nonostante siano trascorsi trent'anni proprio pochi mesi fa (ndr l'attentato alla sinagoga accadde il 9 ottobre 1982 e causò la morte di Stefano Gaj Taché di soli due anni ed il ferimento di 37 persone) oppure dalla strage di Fiumicino, dove il 27 dicembre 1985 morirono 13 persone a causa di un attacco rivolto a cittadini "israeliani" ad opera di un commando palestinese. Sono ancora ferite aperte nella nostra comunità. È un fenomeno che ha trasformato in questi anni quello che abbiamo sempre conosciuto come antisemitismo in antisraelismo. Ed è una questione comune in tutta Europa, lo abbiamo anche visto circa un anno fa a Toulouse e lo notiamo anche, ad esempio, in Grecia dove i partiti come Alba Dorata dichiarano apertamente il loro antisemitismo. In Italia per fortuna la guardia è alta, figure come il Presidente Napolitano richiamano con puntualità l'attenzione su questo tema e tutti gli organi dello Stato seguono accuratamente le indicazioni di attenzione. L'Italia potrebbe essere citata come esempio positivo per molti altri Paesi".
- Com'è Israele oggi e come sono le relazioni con gli altri Paesi?
"Israele è un grande Paese, culla di cultura millenaria, non solo ebraica, da noi convivono anche cristiani e musulmani. È una nazione che conta una popolazione non numerosissima meno di 8 milioni eppure siamo la patria della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica. Siamo un Paese che ha più premi Nobel che medaglie olimpiche. Per il nostro Governo, cultura, formazione, ricerca e sviluppo sono il nostro core business ecco perché tante delle principali compagnie internazionali di IT come Google, Facebook, Microsoft e Intel hanno in Israele centri di ricerca di altissimo livello. Ma, credo che esista un solo modo per conoscere Israele: venire a vederlo. Chiunque è stato da noi è rimasto straordinariamente sorpreso. Solo gli italiani nell'ultimo anno sono stati 170.000 e abbiamo riscontrato un gradimento altissimo. Del nostro Paese si parla tantissimo ma ciascuno dovrebbe farsi la propria idea visitandolo e scoprendo che ha davanti a se una nazione accogliente, giovane e innovativa.
Per quanto riguarda le nostre relazioni internazionali, posso dire che in generale sono ottime con tutto il mondo. Ottime con gli USA, ottime con l'Europa in generale, in particolare stiamo crescendo nei rapporti con la Germania che oggi è un protagonista della politica europea, ma abbiamo anche consolidato ottime connessioni con Paesi dell'area del centro e dell'est Europa, come i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Abbiamo inoltre ottime interazioni con le economie emergenti del pianeta come la Cina e l'India. Le nostre relazioni politiche e di conseguenza quelle commerciali sono in crescita esponenziale. Abbiamo avuto l'esigenza di aumentare la rappresentanza diplomatica in Cina addirittura aprendo il nostro quarto Consolato (Hong Kong, Benjin, Canton, Shangai) e lo stesso in India, dove siamo arrivati al terzo.
Il problema nasce paradossalmente con i nostri vicini, noi siamo parte di una questione complicatissima che si riverbera fino al Mediterraneo. La nostra contraddizione è di essere un'isola florida di stabilità, di ricchezza, di benessere economico, di democrazia in una regione come quella mediorientale che è attraversata da profondissime crisi economiche e sociali. In questo contesto diventiamo noi il problema. Ad esempio prendiamo l'Iran, che è una nazione splendida, fatta da persone colte, con una tradizione millenaria e una storia da protagonista nell'intera area, è guidata oggi da una leadership fondata su un ideologia estrema e profondamente antisemita. Oggettivamente rappresentano un problema non solo per la zona mediorientale ma per tutto il bacino Mediterraneo determinando una condizione che va decisamente oltre l'instabilità ma può letteralmente sfociare in un conflitto di dimensioni vastissime.
- I rapporti con l'Italia invece come si stanno sviluppando?
"L'Italia è il nostro partner ideale, nonostante la crisi mondiale il volume degli scambi tra i due Paesi lo scorso anno ha sfiorato i 4,5 MLD di dollari. Abbiamo moltissimi progetti in comune, in particolare quelli di RD (Research & Development) sia in ambito civile che in ambito militare che stanno dando grandi soddisfazioni. Abbiamo profili fortemente complementari, noi siamo forti nel settore Hi-Tech mentre l'Italia ha un livello di eccellenza nell'industria meccanica di precisione. Un binomio decisamente vincente. Poi ci sono le cooperazioni nel campo della Green Energy dove il nostro know-how è all'avanguardia e siamo ben lieti di condividerlo con il vostro Paese, dove questo settore potrebbe rappresentare uno strumento anche per uscire dalla crisi.
Dobbiamo anche considerare il turismo, che beneficia molto dei buoni rapporti fra i nostri due paesi. Ogni anno circa 300.000 cittadini israeliani visitano l'Italia (rappresentano ben il 4% per cento della nostra popolazione che conta 8 milioni di abitanti). Pure nel campo della cultura abbiamo molti progetti importanti in comune. Israele ha sempre investito nel patrimonio culturale e vogliamo fare di più e possiamo farlo insieme, come peraltro stiamo facendo con iniziative di alto spessore. A livello universitario ci sono molte opportunità di collaborazione, che avvengono sia in maniera diretta, sia attraverso il progetto europeo Erasmus cui io stesso partecipai anni fa, quando andai a studiare in Trentino dove c'è tuttora una bellissima realtà universitaria. Sono più di 2000 gli studenti israeliani che ogni anno vengono nel vostro Paese e studiano prevalentemente medicina e ingegneria, dove l'Italia è considerata un polo d'eccellenza. Infine nella politica, i nostri rapporti sono ottimi, come dimostrano le regolari visite che si scambiano i nostri premier ogni anno, una volta in Italia, una volta in Israele. Lo scorso ottobre Monti è stato ricevuto dal nostro Capo del Governo in Israele e l'anno prossimo volta del nostro Primo Ministro, che sceglieremo tra qualche settimana che verrà a fare visita al vostro nuovo Premier . che scopriremo tra qualche ora ".
(Affaritaliani.it, 24 febbraio 2013)
Rabbini - "Serve qualcuno che sappia stare vicino alla gente"
di Paolo Sciunnach, rabbino
Siamo alle porte della rielezione del Rabbinato centrale di Israele. Serve una rinascita spirituale. Serve un rinnovamento etico.
Credo che il mondo rabbinico di oggi abbia bisogno di un "nuovo chassidismo", il mondo rabbinico è in preda alla "politica": si è soliti incolpare la filosofia antireligiosa dell'eclissi della religione nella società moderna. Sarebbe invece più onesto incolpare alcune autorità rabbiniche dei loro propri insuccessi. Quando la religione parla solo in nome dell'autorità piuttosto che con la voce della compassione, è proprio allora che il suo messaggio diventa privo di significato. Diceva il Kotzker Rebbe: quale è la differenza profonda tra un vero Chassid e un Mitnaghed? Un buon Chassid ha amore di D-o, un Mitnaghed ha solo timore dello Shulchan Aruch.
Lo spirito della Torah ("aggadà") è unito e legato alla legge della Torah ("halachah"). La svalutazione della "aggadà" è un segno della mancanza di un interesse genuino per i problemi spirituali dell'ebreo. Dovunque si trova disprezzo per la "aggadà", là c'è anche un impoverimento della "halachah". Soprattutto in alcuni circoli rabbinici dell'ortodossia moderna molti ne hanno sottovalutato la portata spirituale. Del resto, anche l'Illuminismo ebraico apprezzava ben poco lo studio della "aggadà", e con esso gli intellettuali della riforma.
Cosa dovrebbe trasmettere questo ritorno al "chassidismo"? Che non si deve amare la comodità intellettuale, la cattedra, ma preferire la vicinanza con gli ebrei lontani, gli ebrei tormentati, quelli che vegliano, gli ostinati, coloro che hanno una grande voglia di essere ebrei, coloro che vogliono sopravvivere a tutto e nonostante tutto.
(Notiziario Ucei, 24 febbraio 2013)
I Purim degli altri
Esistono, sparsi per l'intera Diaspora ebraica, altri Purim da celebrare per lo scampato pericolo. Ecco quelli degli ebrei tripolini
di Ariel Arbib
Non per far prevalere la mia opinione, sulla necessità storica di festeggiare ancora un altro Purim in ricordo dello scampato pericolo nel Giugno del 1967, ma solo per il piacere di rallegrarvi con aneddoti ebraici a lieto fine, vi voglio raccontare due bellissima storie libico-ebraiche, che hanno entrambe dato origine ad altrettanti Purim, ancora oggi festeggiati con eguale gioia e allegria, tra i tripolini e i bengasini sparsi per il mondo e tra gli Ebrei di Gerba in Tunisia.
Correva l'anno 1705 e nel mese di Gennaio, una nave tunisina, colta nelle acque di Tripoli da una burrasca, fu sequestrata senza un vero e proprio motivo, con tutti i suoi marinai e passeggeri e condotta nel porto di Tripoli, per ordine dell'allora governatore della città, l'altezzoso Halil Bey. Per vendicare il grave strappo subito, il Governatore di Tunisi, Ibrahim Bey Sharif, mise insieme a sua volta, una soldataglia, con l'intento di far scorrere il sangue a Tripoli. L'ordine dato ai suoi feroci sgherri era di non fare prigionieri.
Fu tentata allora invano, da parte di inviati e Ambasciatori, una mediazione per convincere e dissuadere il Bey Tunisino dal compiere la carneficina che aveva in mente di fare, ma purtroppo inutilmente. La popolazione ebraica di Tripoli, cominciò allora dal canto suo, a preoccuparsi per il serio evolversi di quegli avvenimenti, in quanto nella minacciata rappresaglia del Bey Sharif, ci sarebbero andati di mezzo sicuramente anche tutti loro.
I capi della Comunità, interpellarono sul da farsi il loro Rabbino, il famoso Cabalista Rav Josef Aghib, il quale decretò che tutti gli Ebrei dovessero fare un giorno intero di digiuno, per trovare verso Hashem misericordia e per invocare un aiuto per la loro salvezza. L'invasione e la battaglia che ne scaturì, come annunciato, ebbe inizio, ma inaspettatamente e come per miracolo, nonostante le forze messe in campo dal tunisino fossero decisamente superiori, il Bey Ibrahim Sharif ebbe la peggio e fu ricacciato con quel che rimaneva del suo esercito oltre il confine. La il tripudio e la gioia per lo scampato pericolo per gli Ebrei di Tripoli, diede origine ad un nuovo Purim, che fu chiamato appunto: PURIM KATAN o PURIM SHARIF, dal nome dell'odioso aggressore.
A distanza di 86 anni, da tali avvenimenti e precisamente nel 1791, un altro doloroso evento si stava per abbattere sugli Ebrei di Tripoli e questa è la storia:
A seguito di una lotta fratricida, nata per la successione al potere e che vedeva contrapposti, assieme ai loro reciproci sostenitori, Ahmed e Jussuf, figli del Bey di Tripoli Alì Karamanli, quest'ultimo, per dipanare e risolvere la sanguinosa disputa fratricida, fu costretto a rivolgersi al supremo Monarca, il Gran Sultano di Costantinopoli. Questi, comprendendo i pericoli che potevano scaturire da una tale situazione, acconsentì ad inviare sul posto un suo zelante, ma sanguinario generale, un tremendo figuro insomma, al nome di Alì Bey Giurgi Burgol. Denigrando il mal governo dei Karamanli e sperando di potersi sostituire a loro, prendendo così il posto di comando nel dirigere in futuro a suo piacere le sorti di Tripoli, Alì Burgol soffiò nell'orecchio del Gran Sultano odiose calunnie nei confronti degli Ebrei di Tripoli, i quali secondo lui erano i veri responsabili della situazione e che per altro, venivano protetti dall'anziano Karamanli, (una di queste sue protette era la famosa e bella Ester Arbib, molto cara a chi scrive e se ne può intuire il perché ) che permetteva loro di ricoprire immeritatamente le alte cariche nel governo della città e di spadroneggiare nei commerci di qualsiasi mercanzia. Così facendo l'astuto Burgol, si preparava la strada per spodestare i Karamanli e ricondurre a se, qualsiasi potere a Tripoli. Alì Giurgi Burgol non ebbe difficoltà a farsi autorizzare la spedizione dal Sultano ed armato a sue spese un esercito di prezzolati e sanguinari saraceni, veleggiò alla volta di Tripoli. Il terrore assalì il vecchio Bay Karamanli che, preso dal panico per quanto stava per accadere, fuggì verso la Tunisia, lasciando aperta la strada all'invasore, che così indisturbato approdò in una spiaggia a pochi chilometri dal centro della città, luogo che da allora, prese il suo nome: la spiaggia di Giurgi.
Tripoli fu dunque assediata e le quattro porte della città, a Ovest quella che dava sul mare,a Sud Bab el Jedid (Porta Nuova), a Est Bab el Fonduk ( Porta del fonduco) e a Nord la porta del Castello, venivano così sbarrate agli assalitori. Le spesse mura spagnole della città resistettero, ai duri assalti ma all'interno di esse la vita diventava sempre più dura e difficile per la carenza di cibo. Una sola porta fu fatta aprire a singhiozzo, quella di Bab el Fonduk, per consentire agli Arabi, ma non agli Ebrei di approvvigionarsi di cibo. Burgol, pretese dagli Ebrei, per rendere loro l'esistenza più sopportabile, il versamento di 50.000 Scudi d'argento, in cambio della possibilità di uscire a orari stabiliti dalle mura per cercare fuori di esse quanto necessario per sostentarsi e per seppellire i loro morti, che fino ad allora, durante l'assedio, venivano tumulati, in uno spazio assai ridotto della città tra le macerie di alcune case diroccate.
E' di questo periodo la grande opera caritatevole e di educazione ebraica venuta da un grande e amabile Rabbino, Rav Shalom Labi, di passaggio a Tripoli, proveniente dal Marocco e diretto a Gerusalemme, il quale, vista la situazione tragica ed ebraicamente inadeguata in cui viveva allora la Comunità tripolina, decise di trattenersi lì per risollevarne il morale e rieducarne i figli allo studio della Torà e della Mishnà. Suo figlio, Rabbì Jehuda Labi, divenuto in seguito una persona assai venerata in tutta la Libia, fu seppellito alla sua morte a Tripoli, nel piccolo Cimitero di Matta Sghera e da allora la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e di passaggi di decine di migliaia di fedeli, fino agli anni del definitivo esodo degli Ebrei dalla Libi nel 1967.
Pagato il prezzo, dopo solo 10 giorni Burgol, pretese dagli Ebrei il versamento di altri 100.000 Scudi e per indurli, a pagare mise ai ferri la bella Ester Arbib, ricordata in seguito come Malik Ester (Regina Ester), come la sua omonima Regina persiana della festa di Purim, ricattando così ignobilmente tutti i suoi confratelli. Fu pagato, con grandi sacrifici un nuovo riscatto, ma per fortuna le cose stavano cambiando. I due bellicosi giovani fratelli Karamanli, finalmente riappacificati, richiamarono aiuti dalla Tunisia e ricacciarono in mare l'odioso Burgol ed i suoi mercenari. Da allora ed ancora oggi, come già detto, è in uso tra gli Ebrei tripolini e di Gerba in Tunisia, festeggiare il 29 di Tevet il PURIM BURGOL.
Altre due storie a lieto fine tramandateci con i nomi dei due tiranni di turno, che per i loro loschi propositi, hanno alimentato l'odio ed il disprezzo per gli Ebrei. Altri due Purim dunque, con un felice epilogo, come quello originale di Ester e Assuero, di Aman e Ahashverosh. Chissà quanti altri ancora meno conosciuti ne esistono nella millenaria storia ebraica della Golà, purtroppo troppo pochi rispetto alle tante, troppe storie finite senza un lieto fine.
(Kolot, 24 febbraio 2013)
La prima mostra su Erode fa scattare la protesta dei palestinesi
Il direttore dell'Israel Museum James Snyder afferma di non aver ricevuto alcuna protesta formale da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese ma precisa che Israele ha una specie custodia su quei reperti.
di Francesca Paci
Tutto è politico a Gerusalemme, il quartiere dove vivere, la scelta del ristorante in cui cenare, un museo da visitare. Non fa eccezione l'evento artistico del 2013, quella che dagli organizzatori dell'Israel Museum viene definita la prima esposizione mondiale dedicata a Erode il Grande, il feroce tiranno biblico regnato due millenni fa in Terra Santa e rimasto in sella per 37 anni.
La mostra, comprendente la ricostruzione della tomba di Erode (scoperta sei anni fa dopo quasi mezzo secolo di ricerche insieme a 30 tonnellate di artefatti), diversi sarcofaghi e un totale di circa 250 reperti archeologici, ha però sollevato le proteste dei palestinesi che rivendicano la provenienza "palestinese"
delle opere esposte (gli ultimi proficui scavi sono stati fatti a Herodium, in Cisgiordania, area C, quella sotto il controllo israeliano). L'Israel Museum replica che furono gli accordi di Oslo ad assegnare a Israele il controllo temporaneo dei siti archelogici in Cisgiordania giura che il materiale tornerà a casa tra nove mesi, a esposizione conclusa. Ma il tempo, tra le colline che ambiscono all'eternità, è relativo.
La mostra, argomenta al Guardian il responsabile delle antichità dell'autorità nazionale palestinese Hamdan Taha, "è un tentativo israeliano di usare l'archeologia per giusticare le proprie pretese territoriali". Taha sostiene di non essere stato consultato nè all'epoca degli scavi di Herodium nè oggi mentre, insiste, quella zona, così come Gerico, "è parte integrale del patrimonio culturale palestinese".
Così, mentre gli studiosi accorrono a vedere l'eredità architettonica e culturale del sanguinario sovrano morto a 70 anni dopo una vita costellata da atrocità leggendarie tra cui l'assassinio di almeno una delle sue mogli, tre dei suoi figli, di innumerevoli rabbini e di oppositori politici (incerta è invece la sua responsabilità sulla strage degli innocenti che molti storici attribuiscono al figlio), sui padiglioni illuminati ad arte si allunga l'ombra dell'infinito conflitto israelo-palestinese.
Il direttore dell'Israel Museum James Snyder afferma di non aver ricevuto alcuna protesta formale da parte dell'Autorità Nazionale Palestinese ma precisa che Israele ha una specie custodia su quei reperti: "Abbiamo questo materiale in prestito e lo restituiremo alla fine dell'esposizione. Ogni nostra mossa è stata autorizzata: se avessimo lasciato quanto trovato scavando nello stato in cui era, non ci sarebbe stato modo d'interpretarlo. Non c'interessa la politica, stiamo cercando di fare del nostro meglio per preservare un patrimonio culturale". La mostra è aperta e chiuderà a novembre 2013, le polemiche no.
(La Stampa, 23 febbraio 2013)
I tesori del Ghetto di Venezia sbarcano in Texas
Un pezzo del tesoro del Ghetto di Venezia
HOUSTON - I tesori del Ghetto di Venezia in mostra per la prima volta in un museo americano. "Lost Tresure of the Jewish Ghetto of Venice", un evento inserito nel calendario dell'Anno della Cultura Italiana negli Usa, e' stata inaugurata ieri sera, al Museum of Fine Art di Houston (MFAH) dove restera' aperta al pubblico fino al 28 di aprile.
Esposti una serie di preziosi oggetti liturgici, in bronzo ed argento, finemente lavorati da artigiani veneziani tra il 17mo e il 20mo secolo e rimasti nascosti per oltre sessant'anni. Furono ritrovati qualche tempo fa nel nascondiglio dove erano stati sistemati per evitare che finissero nelle mani dei nazisti. E' stata l'organizzazione internazionale Venetian Heritage, che fa parte del programma UNESCO per la Salvaguardia di Venezia, a promuovere e finanziare il restauro dei pezzi in vista delle celebrazioni dei 500 anni del Ghetto.
"Un'iniziativa di grande valore", ha tenuto a sottolineare il direttore del MFAH, Gary Tinterow, ringraziando a nome del museo texano la Venetian Heritage. Dopo aver presentato la mostra durante una cena di gala organizzata nelle sale del museo, ha quindi evidenziato come "questi 'tesori', riportati a nuovo splendore, oggi ci permettono di aprire un affascinante squarcio sulla vita di Venezia nel corso di diversi secoli".
(Adnkronos, 22 febbraio 2013)
Israele concede a una società Usa diritti di ricerca del petrolio nei territori di Golan
GERUSALEMME - Israele ha concesso a una societa' americana la licenza per l'esplorazione di petrolio e gas nei territori di Golan.
Lo riferisce il Financial Times, sottolineando che la società in questione e' la divisione locale di Genie Energy, azienda quotata a New York e che annovera fra i suoi azionisti Jacob Rothschild e Rupert Murdoch.
L'ex vice presidente americano Dick Cheney ne' e' advisor. La concessione della licenza - afferma il Financial Times - darà probabilmente vita a una controversia diplomatica prima del prossimo arrivo del presidente Barack Obama nell'area. Secondo gli analisti, la tempistica della concessione della licenza e' legata alla situazione in Siria.
L'analista politico israeliano, Yaron Ezrahi, ritiene "l'azione molto politica, un tentativo di rendere piu' profondo l'impegno d'Israele nei territori di Golan". La scelta del momento - rileva il Financial Times - "e' direttamente legata al fatto che il governo siriano si trova ad affrontare rivolta popolare, violenza e caos e non e' in grado d'occuparsi di questo inaspettato problema".
(Blitz quotidiano, 23 febbraio 2013)
Comunità ebraica di Roma - "Shalom" diventa settimanale online
La nomina del 29enne Fabio Perugia è stata ufficializzata in occasione della nascita del nuovo settimanale sull'ebraismo. Riccardo Pacifici: "Con questa iniziativa vogliamo dare la possibilità a tutti di poter accedere alle notizie che la nostra comunità produce".
Sottotitolo
Fabio Perugia, 29 anni, è il nuovo portavoce della comunità ebraica di Roma. La sua nomina è stata ufficializzata oggi in occasione della presentazione della nuova comunicazione della stessa comunità ebraica. Nuovo look per la rivista della comunità, il mensile "Shalom", che si fonde con il mensile edito da quella triestina; nascita del settimane online sull'ebraismo e nuovo portavoce. Queste le novità che la comunità ebraica di Roma presenta per una nuova comunicazione. Assieme al neo portavoce erano presenti anche il presidente della comunità ebraica Riccardo Pacifici e il rabbino capo Antonio Di Segni.
"Con questa iniziativa - spiega Pacifici - vogliamo dare la possibilità a tutti di poter accedere alle notizie che la nostra comunità produce. In questi anni si sono moltiplicati i momenti e le occasioni in cui viene richiesto il parere dell'ebraismo su fatti di rilevanza sociale romana e nazionale. Ecco perché abbiamo deciso di aumentare la qualità del nostro rapporto con i media. Le sinergie con gli altri mensili ebraici, la nascita del primo settimanale ebraico, lo studio di una comunicazione quotidiana attraverso i nostri canali web e social web sono gli elementi di un'iniziativa costruttiva per essere ancora più protagonisti del dibattito civile e culturale del Paese".
"Da decenni - afferma il neo portavoce Perugia - alla comunità ebraica è attribuito un ruolo sociale all'interno del panorama nazionale. Sia come espressione di una minoranza radicata nel territorio sia come espressione di valori comuni riconosciuti dalla società civile. Alla Cer (Comunità ebraica romana) e ai suoi iscritti è chiesto, con modalità differenti secondo i casi, di intervenire pubblicamente nel dibattito italiano. L'esposizione mediatica legata a singoli fatti di cronaca si è allargata alla produzione culturale della Cer sempre più viva e sempre più richiesta dal pubblico. la moltiplicazione dei media, da quelli tradizionali ai new media ha amplificato questo fenomeno. Proprio per questo c'è bisogno di dare strategia e professionalità alla comunicazione di una comunità importante come quella romana che è la più antica d'Europa".
Con il settimanale "Shalom 7", un giornale telematico pubblicato ogni venerdì mattina, accessibile sul web (www.shalom7.it) e sui tablet Apple o Android, l'ebraismo vuole raccontare la propria identità esprimendo, al contempo, le proprie opinioni su fatti di attualità con maggiore tempestività e prontezza per continuare ad essere una voce importante sui temi sociali sui valori di un Paese.
Potenziato anche il sito web della comunità ebraica (ww.romaebraica.it) che aprirà un filo diretto con la capitale e l'Italia sugli appuntamenti più importanti che l'ebraismo incontra e promuove nei luoghi religiosi e nelle piazze della città.
(la Repubblica - Roma, 22 febbraio 2013)
I giornali israeliani: "Beppe Grillo, un clown vero, può vincere in Italia"
TEL AVIV - L'Israele scopre Beppe Grillo: "E' un clown che può vincere in Italia", titola il giornale Makor Rishon. Ma sono diversi i giornali israeliani con Grillo in prima pagina, che illustrano la rapida ascesa del Movimento 5 stelle con un misto di curiosità e di apprensione.
Con un riferimento al Purim, il Carnevale ebraico che si festeggia da oggi in Israele, il quotidiano religioso Makor Rishon titola: "Non è uno scherzo: un clown professionista può vincere le elezioni in Italia". Analogo il titolo di Maariv: "Il candidato che se la ride fino alle urne".
Haaretz presenta un quadro aggiornato dei prevedibili rapporti di forza fra i principali protagonisti del voto: nell'ordine, Bersani, Berlusconi, Grillo e - molto distaccato - Monti. Il giornale elenca anche alcuni dei problemi principali con cui gli italiani devono cimentarsi fra cui l'economia, la questione femminile e la riforma del sistema giudiziario. Ma l'elemento nuovo del voto, concordano tutti, è il 'grillismo' e nei testi serpeggia un senso di disagio.
Abbondano le citazioni di opinionisti italiani e stranieri che lo associano ad una sorta di populismo (e anche di fascismo). Un suo successo - temono questi analisti - rischierebbe di destabilizzare ulteriormente l'economia e la politica italiana. Makor Rishon - che cita fra l'altro il settimanale italiano Shalom - ha ricavato inoltre la sensazione che la ascesa di Grillo sia un motivo di timore per la comunità ebraica locale.
(Blitz quotidiano, 22 febbraio 2013)
Calcio - Il Barca progetta un match con una squadra israelo-palestinese
La partita della pace dovrebbe tenersi a Tel Aviv in estate
Sottotitolo
Il presidente israeliano Shimon Peres con il presidente
del Barcellona Sandro Rosell
ROMA - Il Barcellona dovrebbe giocare la prossima estate una 'partita della pace' contro una selezione dei migliori calciatori israeliani e palestinesi. L'idea e' emersa ieri sera a Tel Aviv dove il presidente del Barcellona Sandro Rosell ha incontrato il presidente israeliano Shimon Peres. La ''partita della pace'' dovrebbe essere giocata il prossimo 31 luglio, ''nella speranza - ha detto Rosell, in dichiarazioni riportate dal sito web del Barcellona - che questa partita serva a costruire un ponte di dialogo tra le due comunita' e che possa aiutare la riconciliazione tra le parti''.
L'iniziativa e' stata apprezzata dal presidente Shimon Peres: ''E' un piacere - ha detto, sempre secondo il sito della squadra - poter partecipare all'organizzazione di questo progetto.
Lavoreremo insieme al presidente Rosell e al presidente dell'Autorita' Palestinese per una partita che, speriamo, non sia un evento isolato ma parte di un percorso di cooperazione''.
La partita dovrebbe essere disputata a Tel Aviv e l'incasso sara' usato per sostenere progetti che coinvolgano i giovani israeliani e palestinesi. ''Ovviamente - ha detto il vicepresidente del Barcellona Javier Faus - non abbiamo interessi economici in questa gara, anche se ci rimettiamo l'importante e' sostenere certi valori''. Anche i calciatori del Barcellona, ha confermato Rosell, sono pronti a sostenere il progetto: ''Abbiamo il sostegno di tutte le parti in causa - ha concluso Rosell - ora dobbiamo solo lavorare per i dettagli della partita''.
Il presidente del Barcellona ha poi visitato il memoriale di Isaac Rabin e incontrato Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid. Il viaggio del presidente del Barcellona nella regione proseguira' domani con una tappa a Gerusalemme e poi a Ramallah, dove il numero uno dei catalani incontrera' il presidente dell'Autorita' Palestinese Mahmud Abbas e il governo palestinese alla Mouqata.
Nel 2005 una partita della pace venne giocata al Camp Nou di Barcellona, organizzata dal Peres Center for Peace e dall'allora presidente del Barcellona Joan Laporta e venne disputata in occasione del summit Euro-Med summit a Barcellona.
(ANSAmed, 22 febbraio 2013)
A Torino, conferenza di sindaci israeliani e palestinesi
Il 6 marzo incontro tra 12 primi cittadini da Nablus a Rosh Haayin
ROMA, 22 feb - Dodici sindaci israeliani e palestinesi si incontrano a Torino per riaprire un difficile dialogo. Perche' per costruire una pace che pare davvero impossibile, sono soprattutto le societa' civili a dovere entrare in gioco. E' questo lo spirito con cui mercoledi' 6 marzo 2013, alle ore 18.00, si incontreranno i primi cittadini di alcune citta' simbolo dei due Paesi.
L'incontro - che sara' ospietato al Circolo dei Lettori di Torino - e' organizzato dal Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente. Per costruire davvero la pace, scrivono i promotori dell'iniziativa, serve una partecipazione dal basso. Non basta la diplomazia. ''Dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro da parte dell'Assemblea Generale dell'ONU - ricordano - a poche settimane dalle elezioni israeliane, e dopo l'annuncio della visita del presidente Obama volta a riaprire i canali del negoziato tra le parti'', il processo deve andare oltre. ''A dovere entrare in gioco - sostengono - sono le societa' civili''.
All'incontro prenderanno parte Ilda Curti, assessore all'Urbanistica e alle Politiche di integrazione dei ''nuovi cittadini'' del Comune di Torino, Paolo Ricci, portavoce degli Enti Regionali e Locali italiani nel Palestinian Municipalities Support Program del ministero degli Affari esteri, Guido Bolatto, segretario generale della Camera di commercio di Torino, Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, Geneva Initiative - Italia, Shlomo Brom, membro dello Steering Commitee di Geneva Initiative Israel, Nidal Foqah, direttore generale di Geneva Initiative Palestine; Ghassan Al Shak'a, sindaco di Nablus (Palestina) e membro del Comitato Esecutivo dell'Olp e Moshe Sinai, sindaco di Rosh HaAyin (Israele). (ANSAmed).
(ANSAmed, 22 febbraio 2013)
La rabbinessa Aiello: "Noi riformati abbiamo aperto la strada agli ortodossi nel Sud Italia"
Mentre l'organizzazione Shavè Israel di rav Birnbaum (Rabbino capo a Torino) nomina un giovane rabbino per il Sud Italia, la rabbinessa riformata Aiello rivendica con una lettera appassionata a Kolòt la paternità dell'idea del "recupero" degli ebrei nascosti
di Barbara Aiello
Barbara Aiello
Il primo a dichiararlo fu Charles Caleb Cotton "Imitazione e' la forma piu' alta di adulazione". Ma in questo caso sono gli Ortodossi che sono arrivati nel profondo Sud Italia a mettere in atto questa affermazione. Il Movimento Bene' Anusim in Calabria e Sicilia che loro stessi chiamano "nuova" iniziativa e' in realta' iniziata dieci anni fa e da quel momento e' cresciuta ogni anno di piu'. Come Rabbino di due comunita' Bene' Anusim e fondatore del Movimento Bene' Anusim, abbiamo qui una simpatica storia da raccontarvi - una storia che contiene il nostro duro lavoro e che racconta di coloro che hanno tentato, occultando i nostri sforzi, di farsene un merito. Ho chiamato questa pratica come il gioco che fa il papà col proprio bambino mettendoselo sulle spalle, a cavalluccio.
Era il 5 Dicembre, 2004 quando mi trovai in un posto che non viene frequentato facilmente da un Rabbino Ebreo, la sala di una Chiesa Cattolica di Lamezia Terme. Avevo appena concluso una Conferenza sugli Ebrei dispersi della Sicilia e della Calabria quando una giovane donna si fece avanti tra la folla che si era formata attorno a me.
Monsignor Colafati, che al tempo dirigeva un animato gruppo di Calabresi - l'Associazione Sinergie Culturali -, aveva dato impulso a questo "storico" incontro. Nell'aprire la chiesa Calabrese con la mia Conferenza "La Judeka di Nicastro e la Storia degli Ebrei", il Monsignore mi introdusse ad un pubblico di oltre 200 persone Calabresi dicendo quanto fosse importante per ognuno capire la propria storia. Alla mia destra sulla pedana sedeva il noto Professor Vincenzo Villella, il cui libro sulla storia degli Ebrei di Nicastro era uno dei rari e pressoché unici libri esistenti che riconoscesse l'antica presenza storica degli Ebrei in Calabria. Anche se la mia "lingua Italiana" lasciava a desiderare, il pubblico lì seduto ascolto' rapito da una profonda attenzione, completamente assorbito dall'ascolto della storia della mia famiglia. Quando la Conferenza si concluse, rimasi colpita dal numero di Calabresi locali, che volevano conoscere di piu' circa questa storia. Fu in questo momento che la giovane donna si avvicino' chiedendomi di prestarle attenzione. Lei si aggrappo' a me e mi sussurro' "ho sempre avvertito dentro di essere Ebrea ma non ho mai immaginato che la mia famiglia potesse essere Ebrea. Mi aiuti per favore".
Il suo nome era Antonella e quando mi disse il suo cognome, ricordai subito che era tra quelli nominati nella lista dell'Inquisizione che avevo riportato alla luce e che indicava le sue discendenze Ebraiche. L'urgenza di Antonella divenne la mia stessa urgenza, e mi ripromisi di aiutarla. Fu quella promessa che diede luogo alle basi di cio' che poi divenne un decennio di lavoro e studio sulla fiorente popolazione Ebraica che un tempo accolse centinaia di paesini e citta' Calabresi , e che divenne la mia missione per dare supporto ed aiuto a tutti coloro che "ne volevano sapere di piu'".
Come prima Rabbina donna del Movimento Liberale in Italia, tornai in Calabria, la terra delle mie radici, dove organizzai quella che sarebbe divenuta la prima ed unica iniziativa per aiutare gli Ebrei del Sud Italia a riscoprire ed abbracciare quello che era stato nascosto a loro per oltre 500 anni. Ero quindi arrivata per aiutarli a ritrovare le loro radici Ebraiche. In Ebraico diciamo, "Bene' Anusim" una frase che significa "i figli di coloro che furono forzati". Forzati? Come? Piu' di 500 anni fa, durante il tempo dell'Inquisizione le nostre famiglie furono forzate a scegliere tra due possibilita': o forzati ad abbandonare la nostra religione Ebraica e quindi forzati a convertirsi, o venire espulsi dalle proprie case e paesi di appartenenza.
Come "Bat Anusim", figlia dei Forzati, ho una esperienza personale con questa tragedia. I miei antenati, Ebrei Spagnoli, furono espulsi da Toledo, Spagna, giungendo in Portogallo, e successivamente in Sicilia dove infine trovarono rifugio sulle montagne Calabresi per scappare alle persecuzioni dell'Inquisizione, arresti e pena di morte. Mia nonna infatti, Angela Rosa Grande, era una discendente diretta di Matheo de Grande, un "neofita" o "Cristiano Nuovo" le cui proprieta' e beni vennero confiscati dalle Autorita' Siciliane dell'Inquisizione della citta' di Naro. La famiglia fu arrestata per aver "giudaizzato", ossia per aver praticato le proprie tradizioni Ebraiche segretamente. Infine stabilitisi nel Reventino, nei piccolissimi paesini di montagna tra cui Serrastretta, dove i miei antenati trovarono un luogo per continuare a vivere da Ebrei, ma a seguito della loro spaventosa esperienza, essi scelsero di continuare l'osservanza nella clandestinita'. Per centinaia di anni accesero la candele il venerdì sera, e si astennero dal magiare il maiale, e quando un loro caro moriva si sedevano su sedie basse e coprivano gli specchi in tutta la casa, tradizioni Ebraiche che si praticano ancora oggi.
(Kolot, 22 febbraio 2013)
Musica nei quattro quartieri di Gerusalemme
Il cuore antico di Gerusalemme riecheggerà di musica dal 18 al 21 marzo, dalle 18.00 alle 21.00, offrendo ai turisti la possibilità di godere di differenti tipologie di musica dal vivo. I concerti incarneranno le tradizioni dei quattro differenti quartieri della Città Antica: il quartiere cristiano, ebraico, armeno e mussulmano. Musica quindi per ogni quartiere e per ogni tradizione: dalla musica cristiana antica a un coro di gospel fino a spettacoli ispirati alla cultura ebraica. I luoghi scelti per le performance saranno Muristan Square, nel quartiere cristiano, il Cardo, cuore del quartiere ebraico, la porta di Giaffa, recentemente rinnovata, la modernissima Galleria Mamilla. Gli spettacoli saranno gratuiti. Il festival è un'iniziativa del dipartimento per lo sviluppo del turismo della Città di Gerusalemme ed è prodotto dalla Società Ariel.
(mondointasca, 22 febbraio 2013)
La guida del Paese è sempre nelle mani di Bibi
In molti hanno tifato per la sconfitta di Netanyahu. Ma nessuno dei politici emergenti, Yair Lapid e Naftali Bennet, ha intenzione di rompere con il leader del Likud.
di Fiamma Nirenstein
Se qualcuno pensa di potersi semplicemente informare su quello che Israele è, o su quello che vi accade, che si cerchi delle fonti alternative alla stampa e in genere ai media internazionali. Le fantasie negative che coprono lo Stato Ebraico sono talmente dense che è impossibile persino intravederne la realtà. Non mi riferisco soltanto alle espressioni di odio estremo, come la vignetta che su un giornale mainstream come il Sunday Times rappresenta Netanyahu che costruisce un muro usando il sangue dei palestinesi di cui è tutto lordato. Non è una novità: anche Ariel Sharon, il Primo Ministro che sgomberò Gaza fu rappresentato sullo stesso giornale alla maniera di Goja, un mostro col ventre rigonfio e nudo, coperto di rivoli di sangue mentre stacca la testa con i denti ai bambini palestinesi. Sembra incredibile, non stiamo parlando dell'organo del gruppo neonazista Jobbik, parliamo di un giornale letto da gente normale come il Sunday Times, e mentre combattiamo l'antisemitismo estremo e ci riuniamo in grandi assemblee in cui affermiamo "mai più", il lettore inglese medio viene irrorato di immagini degne dello Sturmer.
E' una lezione sull'antisemitismo, ne parleremo un'altra volta. Invece non possiamo chiamare così, e tuttavia possiamo percepire i miasmi velenosi che ne promanano, la valanga di commenti che prima delle elezioni si sono rovesciate sul lettore italiano e europeo in genere; tutte disegnavano la stessa prospettiva, un film di fantascienza, completamente immaginato, dati i risultati. Ci narravano infatti di un Israele in preda a una crisi oscurantista in cui la parte religiosa più estrema insieme ai più duri coloni avrebbe, naturalmente sotto la leadership del pessimo Netanyahu, dominato un Paese confuso, isolazionista, sordo al mondo intero. Le motivazioni di questa discesa nell'oscurità erano descritte alla rovescia, con ignoranza e pregiudizio, per la verità molto ben alimentate dagli oppositori israeliani di Netanyahu, furiosi fino al limite dell'isterismo e utilizzati acriticamente come fonti di verità assoluta: cosicché per i giornali (anche i nostri) la fonte principale è stata soltanto Ha'aretz.
Sono per esempio diventate verità assolute il fatto che la responsabilità del rapporto freddo con Obama fosse da attribuire a Bibi, e non semmai all'atteggiamento strategico di Obama verso il Medio Oriente, certo non molto simpatetico con Israele e assai compiacente e illusorio col mondo arabo. La questione palestinese è diventata poi, per suggerimento molto circostanziato di Tzipi Livni e di Ehud Olmert, tutta responsabilità del governo, come se Abu Mazen non avesse rifiutato lui, molte volte, la pre offerta di trattativa senza precondizioni anche in presenza di una sospensione di dieci mesi delle costruzioni; persino la preoccupazione di Bibi nei confronti dell'Iran è diventata agli occhi dei suoi oppositori, con pronti trasferimenti alla stampa internazionale (Olmert ne è stato il campione) un'esagerazione da mettere in forse, un trucco.
Ma sì, che sarà mai quest'Iran che isola Israele, imbarazza Obama e l'Europa? I media ci hanno spiegato da una cattedra di panna montata come un pubblico israeliano duro e sostanzialmente incarognito si sarebbe precipitato sul voto per farne ancora un'arma di isolamento e di contrapposizione verso il mondo arabo. Ed ecco che avanza accanto ad un Netanyahu (peraltro sempre pronto a ripetere la sua scelta per "due Stati per due popoli" mai detta dai palestinesi) sempre vincente ma ridimensionato, il nuovo protagonista di queste elezioni, Yair Lapid, con 19 seggi alla sua prima volta alla Knesset. E' un giornalista intelligente e preparato, figlio di Tommy Lapid, il grande sostenitore della società laica, dello Stato di Diritto, dell'arruolamento dei religiosi nell'esercito. Yair gli somiglia, è il campione della borghesia israeliana di Tel Aviv, un intellettuale, gli piace immaginarsi in un mondo normale in cui si possano riprendere i colloqui con Abu Mazen e le tasse non tartassino il cittadino della classe media. Ma non attacca Netanyahu, non inveisce come Shelly Yechimovich che giura di distruggerlo, o come la Livni che si impegna (chissà se poi è vero) a non entrare mai una coalizione insieme all'attuale Primo Ministro. Yair è civile e pulito, rappresenta il sogno, purtroppo molto volatile, che Israele sia un Paese che non ha bisogno di accigliarsi e di stare sempre in guardia. Però lo dice subito: scordatevi che io possa fare un governo che abbia come solo obiettivo di distruggere Netanyahu, non ho nessuna ragione di farlo, e certo io, ha già detto mentre tutti trattano, con Balad, il partito arabo che promette di distruggere Israele, non sto in nessuna coalizione. In sostanza: a queste elezioni Israele si è comportato nel più ragionevole dei modi.
A parte il fatto che le elezioni, in quell'area di sangue e urla, si sono svolte con grande ordine, decenza e civiltà, Netanyahu è rimasto a capo di un Paese che sa di aver bisogno di un leader forte, di grande esperienza, che sa che il suo primo compito è tenere il timone in un Medio Oriente in cui un giorno si teme che le armi chimiche di Assad siano passate agli hezbollah, il giorno dopo che il Sinai diventi una base fissa di Al Qaeda mentre l'Egitto trema. I nemici della Fratellanza Musulmana si organizzano e si rafforzano nei Paesi circostanti, l'Iran procede verso la bomba. Yair Lapid non avrebbe l'esperienza necessaria in una situazione del genere, ma può essere un ottimo secondo. E' anche significativo che alla destra di Bibi sia sorto non un tipo classico di religioso messianico, ma un personaggio molto interessante, a sua volta portatore di molte luci di modernità Naftali Bennet, che prende 12 seggi. La mappa politica oggi è quasi fifty-fifty, 61 seggi se Yair Lapid accetta di fare una coalizione con Netanyahu, a 59. Un bel parlamento testa a testa, la Knesset ultrademocratica che ci piace, così lontana dall'immaginazione dei media, dalla continua demonizzazione di Israele.
E Yair Lapid sarebbe un bel ministro degli Esteri
(Shalom, febbraio 2013)
Milano - Nuovo cinema israeliano
Torna anche quest'anno la rassegna dedicata al Nuovo Cinema Israeliano organizzata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea in collaborazione con Fondazione Cineteca di Milano e il Pitigliani Kolno'a Festival, è curata da Nanette Hayon e Paola Mortara, con la direzione artistica di Dan Muggia e Ariela Piattelli. Una quindicina le pellicole proposte tra la sera di sabato 23 febbraio e la giornata del 28, a partire dai più recenti film che hanno riscosso il successo della critica internazionale, Footnote di Josef Ceddr, candidato all'Oscar come miglior film straniero nel 2012, e La sposa promessa di Rama Burshtein, rivelazione dell'ultimo Festival del Cinema di Venezia. "Il cinema israeliano continua a suscitare interesse, ad essere apprezzato quasi in tutto il mondo - scrivono Muggia e Piattelli nella presentazione - Un successo conquistato con l'alta qualità delle opere, ma anche attraverso la varietà dei soggetti affrontati. L'unico tema che ricorre in varie forme, in alcuni dei film presentati, è il mondo religioso". A prendere spunto dai film proposti anche una serie diincontri in parallelo: dalla lezione dello stesso Muggia sui talenti emergenti del cinema israeliano domenica 24 febbraio alle 11, all'incontro con il regista e consigliere comunale Ruggero Gabbai sul confronto fra Milano e Tel Aviv lunedì 25 alle 17, poi ancora la presentazione de Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazia (Università Bocconi Editore, 2012) di Rony Hamaui, docente di Economia all'Università Cattolica, in un colloquio tra l'autore e il presidente del Cdec e consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Sacerdoti. Tra i titoli in programma anche God's Neighbors di Meni Yaesh, Life in Stills di Tamar Tal, The Exchange di Eran Kolirin e Restoration di Yossi Madmoni. "In queste giornate porteremo a Milano film e documentari che altrimenti non arriverebbero in alcun modo - spiega Nanette Hayon - Oggi il Cdec rappresenta un punto di riferimento non più, come originariamente, solo per lo studio della Shoah, ma anche per raccontare la cultura ebaica a 360 gradi, compresa dunque Israele. Siamo orgogliosi di offrire alla città di Milano un prodotto originale e di grande qualità, con un occhio anche ai giovani, grazie alle realizzazioni degli allievi del Dipartimento di Cinema dell'Università di Tel Aviv.
Si celebra a partire da sabato sera. storia di un mancato sterminio
Purim è una festa molto particolare per il calendario ebraico. Si distingue da tutte le altre per il suo carattere conferitogli dalle generazioni successive, ma sopratutto per la sua fonte principale, la Meghillà di Ester stessa.
La diversa natura delle abitudini di Purim e della Meghillà emerge se paragoniamo Purim a Chanukkà, la festa ebraica che le è più vicina sia per data sia per significato. Sebbene i Libri dei Maccabei non facciano parte del canone biblico, essi tuttavia appartengono al milieu filosofico e stilistico dei libri biblici, per gli eventi che narrano, per i personaggi e le figure principali, per gli argomenti religioso nazionali presenti nel loro background.
Rispetto ai Libri dei Maccabei la Meghillà di Ester sembra collocarsi agli antipodi nell'asse tra il sublime e il ridicolo: il tronfio e volubile Assuero; il perfido e insignificante Amman; Ester, la cui ascesa alla gloria ricorda la favola di Cenerentola, e il virtuoso Mordechai coinvolto negli intrighi di corte di un tiranno orientale.
I commentatori hanno osservato che il nome di Dio non appare neanche una volta in tutta la Meghillà, né si trovano mai Suoi appellativi (Torah Ohr 100b); non c'è da stupirsi quindi che ai tempi della Mishnà i nostri saggi discutevano se includere o meno questo libro nelle Sacre Scritture.
La ragione di tutte queste particolarità può riassumersi in un solo argomento: Purim è la festa dell'esilio e la Meghillà di Ester è il Libro dell'esilio. In un certo senso la Meghillà è il paradigma della vita del popolo ebraico in esilio: la sua intera vicenda, che assomiglia a un semplicistico melodramma e a un racconto mitico staccato dalla realtà, acquista un significato vero, serio e persino tragico se visto come lo specchio della storia ebraica non solo ai tempi di Mordechai ed Ester, ma anche attraverso i lunghi anni dell'esilio.
Assuero, il grande re che governa su "centoventisette provincie", che passa la maggior parte dei suoi giorni in feste gaudenti e nel harem, che quasi senza rendersene conto emette un decreto "per distruggere e uccidere tutti gli ebrei" - senza considerare le possibili implicazioni di tale decreto - è una mera creatura dell'immaginazione? Quasi non esiste generazione che in un modo o in un altro non si sia imbattuta in lui. Egli può essere anche una figura insignificante e ridicola, ma perfino un tiranno sciocco e debole può portare a terribili distruzioni per il popolo ebraico.
E così per Amman - su cui ci sono vari racconti (TB Meghillà 16a) e che in qualche modo diventa di fatto il sovrano e decide che il disprezzo personale, la superstizione o qualsiasi altro tipo di non senso siano giustificazione sufficiente per uccidere tutti gli ebrei - non si deve andare molto lontano per trovare che egli sia realmente esistente e concretamente minaccioso. Nella Meghillà Amman è chiaramente una figura comica; ma nel corso della nostra storia questo personaggio è stato accompagnato da tante lacrime e sangue versati.
L'esaltato discorso di Amman al re - su "un popolo disperso tra le genti" del suo regno, "le cui leggi sono diverse da quelle di qualsiasi altro popolo e che non osserva le leggi del re, e che quindi il re non dovrebbe tollerare" (Ester 3:8) - non è stato perfezionato di molto durante i 2.500 anni passati da allora!
Con minime variazioni questo viene riproposto fino agli Amman dei nostri giorni in giro per il mondo. Oggi noi non ridiamo più della sua patetica figura, ma la temiamo.
Si può approfondire e illustrare come questa strana sconcertante e ridicola storia della Meghillà, che sarebbe potuta essere divertente se non fosse così tragica, si sia ripetuta generazione dopo generazione in diverse parti del mondo.
Il midrash racconta che i protagonisti della Meghillà non sono solo figure (Midrash Esther Rabbah, Introduzione): Assuero e Amman non rappresentano solo essi stessi, ma sono anche il prototipo di centinaia e migliaia di altri come loro che crescono grazie al male fondamentale dell'esistenza ebraica nell'esilio. Un popolo che non ha un reale supporto, i cui diritti sono sempre dimenticati, le cui limitazioni saranno sempre evidenti e contro cui si volgerà ogni capriccio del potente del momento: l'eterno capro espiatorio.
La Meghillà di Ester dunque è il rotolo del "nascondimento del volto divino", del popolo ebraico nel suo esilio durante cui la più grande minaccia contro la propria esistenza inizia con ciò che sembra una commedia, e in cui perfino i miracoli originano dalla natura e dal "suolo" dell'esilio.
Solo una prospettiva profonda sul futuro ebraico basata su una fede forte e incrollabile ha reso possibile l'inclusione della Meghillà nel canone biblico. Perché questo libro è l'essenza della vita ebraica in esilio e della fede, per la quale - dietro a tutte le cause esterne - si nasconde il "Guardiano di Israele" (Salmi 121:4. TB Sotah 48a).
La Meghillà ci insegna che il popolo ebraico deve imparare a vivere questo tipo di vita in attesa di miracoli nascosti entro le tortuose e contorte vie della storia. In tutto ciò si deve credere che "conforto e soccorso perverranno agli ebrei " e che nel momento del pericolo né assimilazione né maschere saranno d'aiuto, neanche per coloro che siederanno nel palazzo stesso del re. E che, nonostante tutto, c'è speranza.
La storia della Meghillà continuerà fino a quando esisterà l'esilio, e fino a quando il mondo si ostinerà a funzionare con il "nascondimento del volto divino" e "il nascondimento del nome divino". Possano venire presto i giorni in cui noi non leggeremo più la Meghillà come una storia seria; quando saremo in grado di leggerla veramente in modo frivolo, sapendo che è solo un racconto dei tempi passati che non torneranno mai più.
(Comuniità Ebraica di Roma, 22 febbraio 2013 - trad. Paola Abbina)
L'Iran avrebbe installato 180 nuove centrifughe nucleari
Torna al centro dell'attenzione la questione del nucleare iraniano. Anticipazioni del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica fatte trapelare alla stampa indicano che Teheran avrebbe installato 180 centrifughe di nuova generazione nell'impianto di Natanz, cui gli ispettori non hanno avuto accesso. L'Iran afferma che sono destinate a un basso arricchimento dell'uranio, per scopi medici, ma Washington lo considera un altro passo verso l'arma atomica.
"Speriamo - afferma il portavoce della Casa Bianca Jay Carney - che il regime iraniano venga ai colloqui del 26 febbraio con i 5+1 in Kazakhstan pronto a discutere della sostanza, così che si possano fare progressi nel rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale sulla natura del programma nucleare iraniano".
Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, a margine dei colloqui della settimana prossima, gli Stati Uniti sarebbero disposti anche a tenere un incontro bilaterale con Teheran, per accelerare le trattative.
(euronews, 22 febbraio 2013)
Perché i rapporti tra Russia e Israele non sono mai stati così buoni
di Massimo Boffa
TEL AVIV - Zvi Magen, una carriera nell'intelligence militare e nella diplomazia, è il decano degli specialisti israeliani sulla Russia. Ambasciatore a Mosca alla fine degli anni Novanta, quindi a capo del Nativ, l'agenzia incaricata dei contatti con gli ebrei dell'est Europa, oggi Magen dirige il dipartimento russo dell'Inss (Institute for National Security Studies). E' la persona giusta a cui chiedere come si stanno sviluppando i rapporti tra la Russia e Israele, soprattutto dopo la forte impressione, avuta recentemente a Mosca, di una politica molto jewish friendly da parte del Cremlino. "La Russia ha una politica ambivalente. E' amica di Israele, ma è amica anche dei suoi nemici, Siria e Iran. Mosca vuole un ruolo in medio oriente, vuole avere voce nella sistemazione della regione, per questo ha bisogno di una partnership con Israele. E' senz'altro una politica interessante, loro la chiamano multivettorialità: parlare con tutti, proporsi come mediatore nei conflitti.
Questa politica, però, poteva andare bene fino alle primavere arabe, che hanno colto i russi alla sprovvista e che Mosca ha giudicato negativamente: prevedono un rafforzamento dell'islam radicale e dunque un aumento dell'instabilità. A quel punto la Russia si è schierata con gli sciiti contro i sunniti. La Russia teme l'islam, e ha ragione, a causa delle minacce che esso rappresenta per i suoi interessi nel Caucaso e nell'Asia centrale". Resta il fatto che i rapporti tra Mosca e Gerusalemme non sono mai stati così buoni come oggi. "E' vero, i rapporti sono buoni. Ma la Russia ha bisogno di Israele più di quanto Israele abbia bisogno della Russia. Sanno che Israele è molto avanti in campo tecnologico e credono che abbiamo una certa influenza in occidente. Il vero problema, però, è che gli Stati Uniti non vogliono la Russia in medio oriente. Oggi Washington vede la Russia come il suo principale avversario geopolitico, più della Cina e dell'islam: non vuole che la Russia torni a essere una superpotenza che dice la sua su tutti i problemi del mondo, non vuole che vada avanti il progetto euroasiatico di Putin, e quindi la vuole indebolire.
La Russia, per esempio, sarebbe stata disposta a fare concessioni sulla Siria, ma in cambio chiede un reset 2.0, cioè un accordo globale, soprattutto sulla difesa antimissilistica nell'Europa dell'est, cosa che Washington non vuole: vuole la Siria gratis. E' un gioco molto grande, più grande di Israele. Noi comunque siamo parte del sistema occidentale, e i russi in questo momento sono dall'altra parte". E intanto, all'orizzonte, è sempre vivo il problema iraniano. "Ho l'impressione che in Russia coesistano due posizioni opposte, altrettanto autorevoli. Da un lato, c'è chi vede nell'Iran un fondamentale alleato geopolitico in chiave antioccidentale. In caso di guerra, e se le circostanze lo permettono, costoro immaginano di promuovere gli interessi russi nel Caucaso, anche muovendo le truppe.
Dall'altro lato, c'è chi teme gli effetti distruttivi di un tale scenario e vorrebbe la Russia più decisamente a fianco dell'occidente per contenere le ambizioni nucleari di Teheran, anche perché, a lungo andare, vedono in un Iran espansivo una minaccia grave nel Caucaso e nell'Asia centrale. In caso di guerra, costoro preferirebbero un atteggiamento cauto: sventolar di bandiere, molta retorica, iniziative all'Onu, movimenti di navi, poi basta. Insomma, mi sembra che non ci siano segnali chiari su quella che potrebbe essere la reazione di Mosca".
(Il Foglio, 22 febbraio 2013)
La società non (ancora) nata che collabora con Usa e Israele
NOVARA - La società, almeno ufficialmente, non ha ancora un nome, ma i suoi componenti stanno già lavorando con Israele e gli Stati Uniti per la conservazione dei preziosi rotoli del Mar Morto e i documenti custoditi nella Biblioteca del Congresso di Washington.
«In effetti - racconta Marcello Manfredi, 26 anni, laureato in chimica e dottorando - avremmo dovuto dare vita alla nostra società a febbraio, ma io sto partendo per gli Usa e quindi abbiamo rinviato l'appuntamento dal notaio a maggio o giugno». La realtà che vedrà la luce ed entrerà nell'incubatore di imprese dell'Università del Piemonte Orientale si chiamerà Isalit, acronimo di Innovative Solutions and Advanced LED Imaging Techniques. Ne faranno parte il docente di Chimica della sede di Alessandria Emilio Marengo, 52 anni, Manfredi, Marco Bobba, 35 anni ed Elisa Robotti, 36.
Ma come si è arrivati alla collaborazione con i Beni culturali israeliani e con il Congresso americano? «Il professor Marengo - racconta Marcello Manfredi - grazie ai suoi lavori è stato contattato nel 2009 da Greg Bearman», scienziato statunitense che ha lavorato per anni per la Nasa e sviluppa nuovi sistemi per la rilevazione di immagini spettroscopiche, occupandosi anche dei Rotoli del Mar Morto, documenti di inestimabile valore, rinvenuti tra il 1947 e il 1956, contenenti scritti biblici in alcuni casi risalenti anche al 150 avanti Cristo. Per farla breve, dopo i contatti con Bearman, interessato dagli studi messi in campo dal gruppo di Marengo, Manfredi è partito per un mese per Washington, dove «abbiamo verificato la validità dei nostri metodi utilizzando un Led multispectral imaging», macchinario che acquisisce immagini a diverse lunghezze d'onda. «Sulla base dei dati inviatici in precedenza da Bearman noi abbiamo sviluppato un sistema di algoritmi capace di analizzare le immagini acquisite, cosa che prima non era possibile fare». Una volta verificata l'efficacia del metodo è entrato in scena anche Israele, i cui manoscritti antichi si stanno degradando e rischiano di diventare illeggibili. «Con loro - conferma Manfredi - lavoriamo dal 2011». Questa volta, anche in Italia ci si è accorti delle potenzialità di quella che si chiamerà Isalit: «Grazie a un finanziamento della Fondazione Cariplo stiamo portando avanti un progetto di monitoraggio su alcuni affreschi del 1400 a Valle Lomellina. L'analisi sarà completata entro fine marzo» dice Marcello Manfredi.
L'idea del gruppo di Isalit, però, è di non restare confinati nell'ambito culturale, ma di estendere le applicazioni anche all'industria, in particolare nell'ambito del controllo qualità, vista la capacità dello strumento di effettuare accurati monitoraggi della superficie, in modo relativamente semplice, utilizzando algoritmi che ne analizzano eventuali anomalie.
(Il Sole 24 Ore, 22 febbraio 2013)
Giovane si dà fuoco in un ufficio di Hamas a Gaza
RAMALLAH, 21 feb. - Un giovane palestinese si e' dato fuoco in segno di protesta all'interno di un ufficio del ministero di Hamas per gli Affari sociali nel nord della Striscia di Gaza dopo una discussione con un impiegato. Lo riferisce l'agenzia di stampa Xinhua, che cita testimoni e fonti della sicurezza locale. Il giovane, con ustioni di terzo grado, e' ricoverato in ospedale in condizioni stabili dopo essere stato soccorso da tre impiegati che sono rimasti lievemente feriti.
(Adnkronos, 21 febbraio 2013)
Basket - Tel Aviv sempre tabù, Montepaschi Siena crolla col Maccabi
Un'italiana non vince a Tel Aviv dal gennaio 2004 e la striscia di sconfitte non si ferma. Il Montepaschi Siena viene battuto per 92-61 dal Maccabi, con il parziale decisivo di 28-9 a cavallo dell'intervallo lungo, e subisce il secondo ko nelle Top 16 di Eurolega. I padroni di casa si mostrano decisamente più convinti e reattivi, guidati da un grande Ohayon, mentre i campioni d'Italia crollano nel quarto periodo e perdono anche il doppio confronto.
C'è grande equilibrio nei primi minuti del match: per gli israeliani un ottimo James, ma Kangur segna 10 punti nel primo quarto e la situazione è di perfetta parità (22-22), al primo intervallo. Dopo altri minuti senza scossoni, il break arriva nella seconda parte del secondo quarto: la difesa toscana si fa battere con troppa facilità nell'uno contro uno, il Maccabi trova con continuità il canestro dall'arco (7/12 al 20?) ed arriva il 17-5 per dare una svolta al match.
La squadra di Blatt raggiunge anche il +13 (44-31 al 19?), mentre la formazione italiana non ha tirato alcun tiro libero nel primo tempo, un segnale di poca aggressività nelle penetrazioni. Sanikidze va in lunetta ad inizio ripresa, ma fa solo 1/4 e la situazione non cambia: Ohayon batte Brown con facilità, Pnini segna dall'arco e James domina sotto le plance, così il distacco diventa decisamente preoccupante per i toscani, sul 55-35 del 23?.
C'è una diversa reattività in campo tra le due squadre, con il Maccabi sempre primo sulle palle vaganti e a rimbalzo offensivo. Una tripla di Janning sulla sirena del terzo quarto ed una schiacciata di Eze ridanno un po' di speranze ai toscani (69-57 al 32?), ma lo stesso centro spreca due occasioni per riavvicinare ulteriormente i suoi. Pnini punisce con un gioco da tre punti, Smith segna dall'arco: 21-0 dei padroni di casa e Tel Aviv dilaga.
(outdoor, 21 febbraio 2013)
Teheran più vicina che mai a bomba atomica
Gerusalemme, 21 feb. - L'Iran "è più vicino che mai a una bomba atomica": lo ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dopo che l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) ha reso nota l'installazione di centrifughe per l'aricchimento dell'uranio più moderne nel sito iraniano di Natanz.
Il rapporto, secondo Netanyahu, "prova che l'Iran continua ad avanzare rapidamente" verso il traguardo della costruzione di una testata nucleare; una questione che sarà in cima all'agenda dei colloqui fra Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in visita in Israele nei Territori nel prossimo marzo.
(TMNews, 21 febbraio 2013)
L'Università al-Aqsa di Gaza impone il velo, e l'autorità palestinese si ribella
Una decisione messa in atto a partire dal corrente mese ha suscitato le ire del governo e di alcuni rappresentanti politici palestinesi dopo la controversa imposizione del velo e del jilbab nei licei di gazioti portata avanti nel 2009 da Hamas. Stavolta si tratta del nuovo regolamento dell'Università Pubblica d'al-Aqsa, che invita le giovani donne a rispettare i codici di abbigliamento stabiliti dall'Islam portando il velo sui capelli e coprendosi con un lungo mantello per «evitare ogni desiderio maschile», un'indicazione che la direzione giustifica quasi come un'accettazione di un dato di fatto dato che il 97% delle allieve adottano già tale tipo di «dress code».
Anche se le oppositrici non saranno espulse, ciò non toglie che dovranno assistere a delle conferenze sull'importanza della tenuta richiesta. Un segno di radicalismo religioso che interviene in un'istituzione di studio considerata fino a poco tempo fa meno conservatrice dell'altro polo di insegnamento universitario della città, The Islamic University vicina ad Hamas, e che non è assolutamente in linea con il dipartimento culturale dell'OLP (Organizzazione di Liberazione della Palestina) né tanto meno con il Ministro dell'Istruzione superiore Ali Jarbawi, che è insorto in un comunicato ufficiale dichiarando di non esser stato consultato e bollando il provvedimento come «illegale», un vero e proprio attentato alla libertà individuale e pubblica condannato con le seguenti parole:
Anche se l'università gode di un'indipendenza finanziaria, pedagogica e amministrativa, non puo' mettere in atto politiche contrarie alla legge ancor più che esiste un sistema che definisca gli abiti modesti.
Nell'immagine una donna vestita con l'jilbab attende nella folla dei fedeli al National Monument park di Jakarta, in occasione dei festeggiamenti per la nascita del Profeta Maometto.
(Polis blog.it, 21 febbraio 2013)
La "Immunity zone" preoccupa Israele
GERUSALEMME, Israele La chiamano "Immunity zone", zona franca. Ed è ciò che più preoccupa le cancellerie occidentali, perché significherebbe aver perso la partita nucleare con l'Iran.
"Immunity zone" per gli ambienti militari e l'intelligence israeliani è diventata la parola chiave degli ultimi tempi. Indica il momento in cui l'Iran riuscirà a mettere al sicuro, in profondità, gli impianti nucleari. Il che li renderà praticamente inattaccabili dal cielo. Di conseguenza avrà vanificato la possibilità di un attacco aereo preventivo da parte di Israele.
Quando l'Iran avrà raggiunto la "immunity zone", il deterrente di Israele diventerà praticamente nullo e gli ayatollah potranno continuare indisturbati il programma di arricchimento del plutonio e terminare la costruzione di un'arma nucleare. Uno scenario che ovviamente Isreaele non può permettersi.
Pertanto, un minuto prima che Teheran raggiunga la "immunity zone", Israele sarà costretta ad attaccare dando il via a una guerra dagli esiti imprevedibili. Per questo gli Stati Uniti stanno cercando una soluzione a un problema che, presto o tardi, sfocerà in tutto il suo dramma.
(Bergamo Sera, 21 febbraio 2013)
Il disgusto di Hanin Zoabi per lo Stato ebraico
Di Zvi Gabay
Hanin Zoabi
L'uscita precipitosa dall'aula della Knesset della parlamentare arabo-israeliana Hanin Zoabi (rieletta nella lista Balad), subito dopo che aveva prestato il giuramento di rito, mi ha lasciato di stucco. Lì per lì avevo pensato che fosse pressata da qualche impellente urgenza. Ma il giorno successivo alla cerimonia di giuramento, Zoabi ha spiegato d'aver abbandonato l'aula del parlamento perché non voleva ascoltare in piedi l'esecuzione dell'inno nazionale israeliano. Ha aggiunto che le parole dell'inno non parlano per lei - il che è comprensibile - e che non riflettono le sue aspirazioni nazionali, che non sono israeliane bensì palestinesi.
Al di là della elementare mancanza di educazione, c'è da chiedersi: perché Zoabi ha giurato lealtà alla Knesset israeliana se è così che la pensa? Forse perché è la Knesset che paga il suo lauto stipendio? O perché vuole sfruttare la democrazia dello Stato d'Israele, e godere della libertà d'espressione e di movimento per dileggiarne l'autorità e fare colpo sui suoi sostenitori?
Alla luce del suo comportamento provocatorio, ho considerato come si comportavano i parlamentari ebrei durante i primi anni d'indipendenza dell'Iraq. Sebbene gli antenati di quei parlamentari ebrei si fossero stabiliti in Iraq moltissimo tempo prima che il paese venisse conquistato dagli arabi, essi rispettavano le leggi irachene, il protocollo e le regole del cerimoniale, compresa quella di ascoltare in piedi l'esecuzione dell'inno nazionale. Io stesso mi sono comportato nello stesso modo, quando ero rappresentante diplomatico d'Israele in Egitto, tutte le volte che veniva suonato l'inno egiziano. È così che si comportano gli ebrei nei vari paesi in cui vivono, ed è così che si comporta la gente civile in tutto il mondo indipendentemente dal fatto che le parole dei vari inni nazionali parlino o meno per loro.
Se la parlamentare Zoabi è disgustata da Israele perché Israele è lo stato nazionale del popolo ebraico, lei - a differenza degli ebrei che vivevano nei paesi arabi - è libera di andarsene a vivere in Palestina, in Siria, in Iraq, in Libia o in qualunque altro paese arabo. Dove verosimilmente godrà della massima libertà e di tutti i diritti cui anela il suo cuore. Si può anche sperare che le sue condizioni di vita saranno migliori di quelle che sono in Israele, e che non sarà discriminata come invece dice di essere in Israele.
Non c'è nulla di casuale nel comportamento provocatorio di Zoabi. Che sia col sostegno ai terroristi della Mavi Marmara o col rifiuto di rispettare i simboli dello Stato, ella sprona gli estremisti ad imitarla.
La maggior parte degli arabi israeliani vive bene in confronto ai loro fratelli nei paesi arabi. Le loro condizioni di vita possono e devono migliorare. Ma, per correggere carenze storiche, non occorre dare spazio a comportamenti insultanti come quelli di Zoabi.
Altro che apartheid! La cocciutaggine con cui in Israele sono accettati, tollerati e addirittura difesi dei nemici dichiarati dello Stato ebraico che non fanno nulla per nascondere i loro sentimenti e propositi, se non è masochismo, è quanto meno autolesionismo. M.C.
(Ha'aretz, 18 febbraio 2013 - da israele.net)
L'Esercito Libero Siriano minaccia attaccare Hezbollah in Libano
L'Esercito Siriano Libero minaccia d'attaccare le postazioni di Hezbollah in Libano.
Scade oggi l'ultimatum che il Generale Selim Idriss ha indirizzato ai militanti del gruppo sciita libanese il quale spalleggia i soldati del regime di Damasco facendo fuoco dalle proprie postazioni nella valle libanese della Bekaa. Il tutto mentre raid aerei dell'aviazione siriana hanno fatto almeno 25 morti nei sobborghi di Damasco.
Intanto la Lega Araba e la Russia sostengono che sia l'opposizione che il governo sarebbero pronti ad aprire un dialogo, come ha spiegato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.
"Finora l'opposizione sembrava restia al dialogo. Ora pare le cose stiano cambiando e che ci sia un'apertura" ha detto Lavrov a termine di un incontro col Segretario della Lega Araba Nabil Elaraby.
Intanto il coinvolgimento del Libano nel conflitto siriano s'esprime anche sul fronte legale: un giudice militare libanese ha richiesto la pena di morte per un ex ministro libanese e per il capo della sicurezza militare siriana, accusati di complotto ai danni di figure politiche e religiose libanesi di primo piano.
Laspetto prodigioso di questa prolungata carneficina tra arabi islamici è che ancora nessuno ne abbia dato la colpa a Israele.
Più' che raddoppiati gli episodi di antisemitismo in Francia nel 2012
PARIGI, 20 feb - ''Il 2012 e' stato un anno di violenza senza precedenti contro la comunita' ebraica in Francia, bersaglio di due attentati in meno di sei mesi''. A segnalarlo e' il Servizio di protezione della comunita' ebraica francese (Spcj), che ha pubblicato il suo rapporto annuale, inviato al primo ministro francese Jean-Marc Ayrault.
Nel 2012 sono stati registrati 514 atti di antisemitismo, 58% in piu' rispetto ai 389 del 2011. Tra questi 177 sono omicidi, tentativi di omicidio, violenze, mentre nei restanti 437 casi si tratta di minacce.
Per il Presidente del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia (Crif), Richard Prasquier, gli episodi ''degradano l'immagine della Francia, paese che protegge le minoranze'' ma dove da ''13 anni e' in aumento il numero degli episodi di antisemitismo''.
Nel marzo scorso un adulto e tre bambini sono stati uccisi di fronte a un collegio ebraico a Tolosa da Mohamed Merah, un cittadino francese di origine algerina, ucciso poi in un blitz della polizia, mentre a ottobre una bomba e' esplosa in un supermercato Kosher a Sarcelles, vicino Parigi.
(ASCA, 20 febbraio 2013)
Così Israele si prepara al peggio
di Claudio Pagliara
In tutto Israele risuonano le sirene, ma e' solo una esercitazione. Ecco cosa accade in una scuola di Gerusalemme, "colpita" da un missile. Il Paese si prepara allo scenario peggiore, una guerra regionale contro l'Iran, la Siria, gli Hezbollah.
A cura della Sede di corrispondenza Rai per il Medio Oriente. Videoblog di Claudio Pagliara, riprese: Hilel Nave, montaggio: Noga Darewski, producer: Giovanni ca' Zorzi.
(tg1 online, 20 febbraio 2013)
Wjc, leader ebraici a confronto con il ministro Terzi
Incontro alla Farnesina tra il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e i dirigenti del World Jewish Congress con a capo il presidente Ronald Lauder, il presidente del Congresso Ebraico Europeo Moshe Kantor e una delegazione delle Comunità ebraiche italiane guidata dal presidente UCEI Renzo Gattegna. Al suo fianco il vicepresidente dell'Unione Roberto Jarach, i consiglieri Victor Magiar, Scialom Tesciuba e Cobi Benatoff, il vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Moscati. Presenti all'incontro anche Alessandro Ruben, parlamentare e presidente della sezione italiana dell'Anti Defamation League, la vicepresidente Commissione Affari Esteri della Camera Fiamma Nirenstein e l'ex ambasciatore d'Italia in Israele Sandro De Bernardin. Al centro del colloquio, svoltosi in un clima di grande cordialità, gli scenari della politica internazionale a partire dal voto in Israele, le insidie del programma di rafforzamento del nucleare iraniano e il voto favorevole espresso dall'Italia per il riconoscimento dell'Autorità Nazionale Palestinese come Stato osservatore alle Nazioni Unite. Ma anche l'impegno delle nostre istituzioni per la libertà religiosa e la lotta al razzismo in ogni sua forma. Al termine della riunione il ministro Terzi ha insignito Kantor dell'onorificenza, conferitagli dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di Cavaliere della Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, per la sua opera di promozione dei diritti umani, del dialogo interreligioso e la sua lotta contro la xenofobia e l'antisemitismo.
(Notiziario Ucei, 20 febbraio 2013)
Festival del Ghiaccio a Gerusalemme fino al 30 aprile 2013
Apre i battenti quest'oggi il Festival Internazionale del Ghiaccio in Israele. Nella città di Gerusalemme andrà in scena fino al prossimo 30 aprile la kermesse dedicata
alle sculture di ghiaccio, che negli ultimi tempi sta diventando una sorta di moda, dato che molte città in tutto il mondo realizzano festival del genere. Si tratta di un evento dedicato a grandi e piccini che offre divertimento ed altro ancora.
All'interno della vecchia stazione di Gerusalemme si potrà visitare per oltre un mese una vera e propria città di ghiaccio, con temperature costantemente basse e vicine allo 0oC. Diversi scultori, artisti, designer, ingegneri ed altri hanno dato sfogo alla loro creatività realizzando installazioni e sculture, lavorando per giorni e giorni su blocchi di ghiaccio, modellandoli fino a ricavarne le forme desiderate.
Oltre a poter ammirare sculture di ghiaccio fantastiche, come personaggi delle favole, i vari artisti si sono divertiti anche con la storia, optando per quelle linee storiche della città israeliana, delle mura dalla Città Vecchia e dello Zoo Biblico di Gerusalemme. Durante l'Ice Festival, ci si potrà anche divertire pattinando su una pista ghiacciata, allestita proprio accanto alla vecchia stazione.
(ViaggioK.net, 20 febbraio 2013)
Bnei Yehuda - Maccabi Tel Aviv all'ultimo respiro: gol decisivo di Lugasi al 99o!
Partita piena d'emozioni quella tra Bnei Yehuda e Maccabi Tel Aviv: tre gol dopo il 90o e gol vittoria spettacolare di Lugasi.
Nell'ultimo match di campionato israeliano tra Bnei Yehuda e Maccabi Tel Aviv ne sono capitate di tutti i colori: prima i padroni di casa sono andati sotto, poi hanno ribaltato il risultato al 90o, ma nei restanti 9 minuti di gioco (avete capito bene) il Maccabi ha nuovamente ribaltato la gara, portando a casa una strabiliante vittoria. Eroe del match, il 22 enne Moshe Lugasi, con un gol vittoria spettacolare al 99o minuto di gioco.
Netanyahu smentisce i contatti fra Zygier e i servizi australiani
ROMA, 19 feb - L'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha smentito che Ben Zygier, il presunto agente del Mossad che si e' suicidato impiccandosi nella cella dove era detenuto, abbia avuto qualsiasi contatto con i servizi segreti australiani. Il comunicato dello staff di Netanyahu, che ha la responsabilita' del Mossad, e' stato diffuso dopo che un tribunale israeliano ha reso noti oggi i particolari della morte di Zygier.
Secondo l'emittente australiana ABC, che ha rivelato la storia la scorsa settimana, Zygier era stato arrestato dopo aver rivelato ad alcuni agenti australiani le operazioni del Mossad da lui condotte. ''Fra Israele e le organizzazioni della sicurezza australiane c'e' un'eccellente cooperazione, un pieno coordinamento e una piena trasparenza'', si legge ancora nel comunicato.
(ASCA, 19 febbraio 2013)
Napoli. Un seminario sulla didattica della Shoah
NAPOLI - Giovedi 21 Febbraio il Ministero dell'Istruzione, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Fondazione Valenzi organizzano il primo seminario di formazione nel Mezzogiorno sulla didattica della Shoah. Nella sede del Maschio Angioino storici, educatori ed artisti incontrano sessanta docenti provenienti da tutte le parti di Italia per il corso di formazione e aggiornamento sulla storia della Shoah e il suo insegnamento nelle scuole Formare e informare i docenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado sulla storia della Shoah e sui suoi aspetti più nascosti per trasmetterne le valenze educative alle nuove generazioni. È questo l'obiettivo del primo corso di formazione nel Mezzogiorno sulla didattica della Shoah nella sede della Fondazione.
Il seminario di formazione, della durata di un'intera giornata, è organizzato dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, in collaborazione con la stessa Fondazione Valenzi e il supporto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e il Museo della Shoah di Roma.
Al corso prenderanno parte sessanta insegnanti provenienti da tutte le parti d'Italia. I docenti attraverso le relazioni degli esperti e l'interazione saranno introdotti, tra l'altro, all'utilizzo delle nuove risorse informative che il web offre a supporto della conservazione della memoria della Shoah e per la costruzione di percorsi didattici su di essa.
Abbiamo deciso con questa iniziativa di porre al centro la formazione dei formatori e intervenire capillarmente nelle scuole per raggiungere un numero sempre più ampio di giovani, che devono e vogliono conoscere questo passato che non passa e che anzi sempre più suscita attenzione.
L'immenso tormento e massacro di milioni di corpi umani nel cuore della civiltà occidentale ha ferito così profondamente l'Europa che, anche se sono passati circa settant'anni, non ci è concesso di smettere di ricordare e riflettere su questa cesura storica.
L'iniziativa, per la Fondazione Valenzi, rappresenta l'evento culminante e insieme conclusivo del mese di iniziative (21 Gennaio 2013 - 21 Febbraio 2013) organizzato, quest'anno, per la quarta edizione di "Memoriae".
Alcuni materiali didattici liberamente fruibili sono stati messi a disposizione sul sito istituzionale.
Si prevedono nel corso del seminario relazioni sulla storia, sulla letteratura, sul teatro e la Shoah e ricognizioni sul materiale didattico reperibile sul web, nonché sui viaggi della memoria.
L'iniziativa rappresenta un primo momento di un ampio progetto con il quale la Fondazione Valenzi vuole proporsi come riferimento stabile per i docenti, per le scuole secondarie e l'Università su questo e su altri temi di fondamentale interesse per la formazione dei giovani di Napoli e della Campania.
Per ulteriori informazioni : segreteria@fondazionevalenzi.it
(il Mezzogiorno, 20 febbraio 2013)
Ma esiste veramente un partito kasher?
La difficile ricerca di un partito kasher e i benefici dell'estraneità istituzionale
di Rav Riccardo Di Segni
Alla recente cerimonia annuale per il premio in memoria del Commissario Palatucci, presso la scuola di Polizia di Roma, le autorità dello Stato intervenute hanno sottolineato il forte impegno delle forze dell'ordine a tutela delle categorie esposte a rischio, citando le comunità ebraiche, le comunità di recente immigrazione, gli omosessuali. Mentre dobbiamo rinnovare la nostra gratitudine per quanto viene fatto per la nostra sicurezza, non possiamo non riflettere sugli accostamenti proposti, che esprimono la posizione che viene attribuita agli ebrei nella classificazione burocratica e politica e nell'immaginazione diretta e spontanea, pure animata da sentimenti di amicizia. Siamo considerati categorie a rischio sostanzialmente estranee. Eppure nella sala di accesso all'aula dove si svolgeva il convegno faceva bella mostra di sé un busto in onore del fondatore della scuola, Salvatore Ottolenghi, di evidenti origini ebraiche. Gli ebrei hanno fondato quella scuola, ma rimangono estranei.
Sono dati e percezioni che in questi giorni sono stati rinfocolati dalla campagna elettorale, dalle candidature di ebrei e dalle prese di posizione di noti esponenti politici. La domanda posta anche in termini molto polemici è se un ebreo possa candidarsi nell'ambito di entità politiche che per idealità, interpretazioni storiche, interessi o scelte di campo vanno contro alcuni temi cari alla sensibilità ebraica: dallo Stato di Israele all'antisemitismo, passando per i temi della libertà, della moralità, dell'onestà ecc.; fermo restando che proprio in campo ebraico vi sono visioni molto differenti su quali debbano essere i valori ebraici primari da difendere. Ma a parte la questione specifica delle candidature c'è il disagio che si prova nel dubbio della scelta per chi votare. Un disagio condiviso con la maggioranza degli italiani, ma che diventa ancora più forte se ai temi comuni si aggiunge la particolare sensibilità ebraica e l'attenzione che si vorrebbe per certe esigenze. Tutto questo non è una novità: vi sono stati lunghi periodi in cui molti elettori ebrei si rifugiavano in partitini (piccoli dal punto di vista numerico) e non si ritenevano soddisfatti dalle grande forze in campo.
La novità di oggi sta forse nei toni che caratterizzano gli ultimi eventi, che sono le forti passioni in gioco, e il ruolo politico degli ebrei italiani, che è cresciuto a dismisura, ma che rischia di esplodere come una bolla. Così come è cambiato in qualche modo il ruolo di molti candidati ebrei. Vi sono sempre stati uomini e donne di origine ebraica attivi in politica in virtù delle loro capacità e non delle loro origini ebraiche, che qualcuno rivendicava con orgoglio o nascondeva per imbarazzo, ma non erano le origini il primo motivo -se non una lontana idealità- che li portava nella scena politica. Da qualche tempo prevale il modello del candidato ebreo in quanto tale, che ha certo tutti i diritti di proporsi o farsi proporre per portare il suo contributo alla crescita del Paese dove vive, e per rappresentare e difendere interessi ebraici, ma che per questa sua connotazione ebraica deve fare i conti con la forza politica in cui si trova, quale che essa sia, nella difficile opera di mettere a posto tutti i tasselli di un puzzle che invece non può essere mai composto per intero.
L'occasione è buona per fare una riflessione più distaccata sul senso di tutto questo: la percezione esterna nei nostri confronti considerati spesso un corpo estraneo, e la nostra percezione nei confronti della realtà politica, che è una condizione tormentata in cui si vorrebbe stare dentro ma non si riesce mai a starci completamente, se non a costo di rinunce e compromessi. Ma il disagio continuo che ne deriva non dovremmo viverlo con fastidio. Perché in realtà è la nostra condizione esistenziale. A cominciare da uno dei nomi che portiamo, quello di "ebreo", in ebraico 'ivrì, un nome che nasce con il patriarca Abramo (Bereshit 14:13) e che è collegato con il nome dell'antenato 'Ever, ma del quale il midrash spiega il significato più profondo. 'Ever significa "oltre", "dall'altra parte" (di un fiume, di un confine ecc.) e non è soltanto un attributo di origine geografica, ma l'indicazione spirituale dell'essere dall'altra parte, di porsi in discussione con la realtà in cui si vive. Cosa che porta necessariamente all'insoddisfazione, alla critica, a vedere le cose in modo diverso. Un ebreo comincia a farlo andando (o non andando) in luoghi di culto diversi da quelli della maggioranza, continua a farlo, per esempio, quando deve scegliere tutto quello che può mangiare. E soprattutto continua a farlo quando comprende che la realtà che lo circonda (a cominciare da quella ebraica) non gli va bene. Con fatica, chi lo cerca, può trovare un prodotto alimentare kasher lamehadrin; ma è difficile che trovi un partito con questi attributi. Si può e si deve essere ottimi cittadini, ma non bisogna mai omologarsi spiritualmente. Da questo conflitto e questo stimolo continuo nascono probabilmente le grandi energie ebraiche di alcune personalità che sfondano nella scienza, nelle arti, nel pensiero; ma nel quotidiano è l'impegno critico di ognuno, strutturalmente educato a non accontentarsi della realtà, che deve emergere. Un ebreo realizzato nel mondo è paradossalmente un ebreo non realizzato, perché la sua energia critica si è fermata. Ciò che sembra un male e un tormento, l'estraneità istituzionale, è un bene essenziale. Cerchiamo di godercela e di capire che vuol dire. Soprattutto per definire meglio l'identità ebraica, che nelle turbolenze della attualità, viene caricata di etichette, che come tutte le etichette, valgono poco e durano ancora meno.
(Kolot, 19 febbraio 2013)
Droni israeliani sui Mondiali 2014
Per la sicurezza dei cieli in Brasile
Il Brasile ha acquistato due droni israeliani per sorvegliare le proprie frontiere e prevenire incidenti durante i prossimi grandi eventi sportivi previsti nel Paese sudamericano: i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. I due droni (aerei pilotati da terra) sono modelli 'Hermes 450' realizzati dall'azienda israeliana 'Elbit' e sono i primi in assoluto acquistati dall'aeronautica brasiliana.
(TGCOM24, 19 febbraio 2013)
I documenti sul genocidio nazista erano già noti da anni
Secondo lo storico Sacha Zala foto e testi erano accessibili all'Archivio federale svizzero dal 1973
BERNA - A fine gennaio documenti e immagini finora mai pubblicati sul genocidio perpetrato dai nazisti nei campi di concentramento hanno suscitato scalpore in Svizzera. Secondo lo storico Sacha Zala essi sono tuttavia già noti al suo gruppo di ricerca dal 1985.
Il 27 gennaio il telegiornale della televisione svizzeratedesca SRF, citando "documenti mai pubblicati", aveva affermato in un servizio che le autorità elvetiche erano già a conoscenza del genocidio nel 1942. La notizia era stata riportata dall'ats.
Zala, direttore del gruppo di ricerca Documenti diplomatici svizzeri, peraltro intervistato nel servizio, precisa ora che si sa già da tempo che le autorità erano al corrente dei fatti nel 1942. Egli nega inoltre che i documenti e le foto fossero "sconosciuti": essi sono liberamente accessibili all'Archivio federale svizzero dal 1973. Il suo team vi ha anche già fatto riferimento nel 1997 nel 14esimo volume della collana Documenti diplomatici svizzeri.
Il gruppo di lavoro ha pubblicato nel 2004 una documentazione elettronica sull'Olocausto sul sito dodis.ch. La divulgazione era stata decisa in occasione del primo Giorno della memoria per ricordare la Shoah nelle scuole elvetiche. Il giornale romando "Le Temps" ha pubblicato lo scorso anno due delle immagini.
Zala cita inoltre il libro "Bilder aus der Schweiz 1939-1945" di Katri Burri e Thomas Maissen, uscito nel 1997 dopo la pubblicazione del 14esimo volume dei Documenti diplomatici svizzeri. Il libro illustrato contiene molte delle immagini sul genocidio. Seguirono ulteriori pubblicazioni.
La grande risonanza mediale delle fotografie in occasione del Giorno della memoria alla fine del mese scorso dimostra però chiaramente che le foto di un massacro in Romania nel 1941 non sono pressoché note tra la popolazione. Ciò che a taluni pare nuovo è spesso già conosciuto da anni dagli esperti e appassionati di storia, afferma Zala.
(TicinOnline.ch, 19 febbraio 2013)
Bambino nel mirino del soldato. Polemica sull'esercito israeliano
L'immagine è stata pubblicata dal soldato Mor Ostrovski ed è stata rimossa sabato scorso. Indignazione in tutto il mondo
Nuovo scandalo per l'esercito israeliano, dopo la pubblicazione su Instagram di una fotografia che mostra la testa di un bambino palestinese nel mirino di un fucile. Stando a quanto riportato dal Guardian, l'immagine è stata pubblicata dal soldato Mor Ostrovski ed è stata rimossa sabato scorso.
Scattata in un villagio arabo della Cisgiordania, la fotografia è stata scovata e rilanciata inizialmente dal sito web Electronic Intifada.
Il blogger palestinese, Ali Abunimah, fondatore del sito, l'ha definita "semplicemente di cattivo gusto e disumana. Incarna l'idea che i bambini palestinesi sono un bersaglio". L'esercito israeliano ha fatto sapere di aver avviato un'indagine. Da parte sua, Ostrovski ha dichiarato alle forze armate di non aver scattato lui la fotografia, ma di averla trovata su internet.
Anche 'Breaking the Silence', un'organizzazione di veterani israeliani impegnata a far conoscere le condizioni di vita in Cisgiordania, ha condannato l'immagine: "Non mostra com'è l'occupazione, ma com'è il controllo militare sulla popolazione civile". Il Guardian ricorda che l'esercito israeliano è stato scosso da una serie di scandali fatti emergere proprio da siti come Electronic Intifada, uno dei più rigorsori sulle pubblicazioni da parte di soldati israeliani.
(La Stampa, 19 febbraio 2013)
*
Indignazione in tutto il mondo! Naturalmente! Che un bambino palestinese sia considerato da un israeiliano un bersaglio, anche se non viene realmente colpito, è certamente cosa riprovevole. Se invece sono degli israeliani, grandi e piccoli, ad essere presi di mira non soltanto come bersagli, ma realmente colpiti e uccisi, questo non è motivo di indignazione per il mondo. Ripresentiamo allora un video in cui si vede una giovane palestinese dal viso dangelo che col sorriso sulle labbra racconta lattentato che lei stessa ha contribuito a compiere, in cui i bersagli israeliani non sono stati soltanto presi di mira, ma realmente fatti saltare in aria, con intima gioia sua e di tanti altri palestinesi.
S'indigna il mondo per tutto questo? M.C.
«Si avvertiva che erano tutti contenti»
Ecco alcuni estratti da un'intervista con la terrorista liberata di Hamas, Ahlam Tamimi, andata in onda su Al-Aqsa TV il 12 luglio 2012.
Intervistatore: 16 sionisti sono stati uccisi [nell'attentato suicida che lei ha contribuito a compiere]. Era il suono dell'esplosione...? E' stato molto forte.
Ahlam Tamimi: Il mujahid Abdallah Barghouti ha fatto un lavoro perfetto suonando la chitarra [contenente la bomba], e i risultati hanno stupito tutti, grazie ad Allah.
[...]
In seguito, quando ho preso l'autobus, i palestinesi intorno alla Porta di Damasco [a Gerusalemme] erano tutti sorridenti. Si poteva avvertire che erano tutti contenti. Quando sono arrivata sul bus, nessuno sapeva che ero io che aveva guidato [l'attentatore suicida all'obiettivo] ... Mi sentivo abbastanza strana, perché avevo lasciato [l'attentatore] 'Izz Al-Din dietro, ma dentro il bus tutti si congratulavano l'un l'altro. Nemmeno si conoscevano fra di loro, ma si scambiavano complimenti.
[...]
Mentre ero seduta sul bus, l'autista ha acceso la radio. Ma prima, lasciate che vi dica l'aumento graduale del numero di vittime. Mentre ero sul bus e tutti si congratulavano l'uno con l'altro, hanno detto alla radio che c'era stato un attacco di martirio al ristorante Sbarro, e che tre persone erano rimaste uccise. Devo ammettere che ero un po' delusa, perché avevo sperato in un risultato più grande. Eppure, quando hanno detto "tre morti" ho detto: "Allah sia lodato."
Intervistatore: Era una stazione radio israeliana o palestinese?
Ahlam Tamimi: La stazione era in lingua sionista, e l'autista traduceva per i passeggeri.
[...]
Due minuti più tardi alla radio hanno detto che il numero era salito a cinque. Volevo nascondere il mio sorriso, ma proprio non ci sono riuscita. Allah sia lodato, è stato fantastico. Poiché il numero di morti continuava a crescere, i passeggeri applaudivano. Non sapevano nemmeno che c'ero io in mezzo a loro.
Sulla via del ritorno [a Ramallah], abbiamo passato un posto di blocco della polizia palestinese, e i poliziotti ridevano. Uno di loro infilò la testa e disse: "Congratulazioni a tutti noi". Erano tutti contenti.
(Memri TV, agosto 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
Processori Intel a 10 nanometri, Israele si candida a farli
di Manolo De Agostini
Intel potrebbe realizzare i primi processori a 10 nanometri in Israele, probabilmente nella Fab 28 di Kiryat Gat. Quel sito produttivo è attualmente impegnato nella produzione di chip Ivy Bridge a 22 nanometri e a quanto pare salterà il ciclo a 14 nanometri. Per questo motivo è molto probabile che nei prossimi anni Intel avvierà l'aggiornamento dei macchinari per preparare gli impianti alla produzione di chip a 10 nanometri.
Non vi è ancora nulla di stabilito, ma il sito in Israele rappresenta senz'altro uno di quelli più importanti per l'azienda statunitense, con 8542 persone impiegate. Quest'anno Intel Israele ha più che raddoppiato le esportazioni, passando da 2,2 miliardi di dollari del 2011 a 4,6 miliardi di dollari. Questo è il frutto ovviamente della produzione delle soluzioni Ivy Bridge e per il futuro si prevede un graduale passaggio alle soluzioni Haswell, che condividono lo stesso processo.
Intel ha investito 10,5 miliardi in Israele nel decennio scorso, e 1,1 miliardi nel 2012. Ha ricevuto inoltre 1,3 miliardi di contributi governativi. Israele fa di tutto per tenersi stretta Intel, che ha pesato per il 20% sulle esportazioni hi-tech del 2012 e per il 10% su quelle industriali, che includono anche i diamanti. "Se Intel non avesse aumentato le esportazioni, il dato sull'hi-tech si sarebbe contratto del 10%", ha dichiarato Mooly Eden, presidente di Intel Israele.
L'azienda ha comunque anche un altro impianto produttivo, a Gerusalemme, e quattro centri di ricerca e sviluppo. Intel ha inoltre investito in 64 start-up israeliane dal 1996 e si prevede un ulteriore impegno da parte del braccio finanziario del colosso di Santa Clara, Intel Capital.
Il processo produttivo a 14 nanometri sarà per almeno due anni al centro dell'azione del produttore di CPU, a partire dal chip conosciuto con il nome in codice Broadwell. Attualmente la sua produzione è prevista in alcuni stabilimenti negli Stati Uniti e in Irlanda, ed è per questo che i dirigenti della sussidiaria israeliana guardano oltre, pur sapendo che i 22 nanometri non saranno accantonati a breve.
"La vita media di una tecnologia è da due a sei anni, quindi dobbiamo essere impegnati sulla prossima tecnologia, quella a 10 nanometri. Abbiamo bisogno di prendere una decisione con largo anticipo per essere in grado di aggiornare l'impianto. Per questo motivo le decisioni sui 10 nanometri dovranno essere prese quest'anno", ha affermato Maxine Fassberg, general manager di Intel Israele, a Reuters.
I 10 nanometri potrebbero rappresentare, secondo X-bit Labs, l'ultima tecnologia a impiegare "i metodi di produzione attuali", o la prima tecnologia a usare la litografia "extreme ultraviolet (EUV)". Inoltre proprio con questo processo produttivo Intel potrebbe avviare la transizione ai wafer da 450 millimetri, almeno in alcuni impianti, da cui però dovrebbe essere escluso quello di Kiryat Gat.
(Tom'sHardware, 19 febbraio 2013)
Turchia e Israele rompono le relazioni energetiche (e diplomatiche)
di Marco Cavallotti
Una commistione tra politica ed energia che che riguarda l'Europa molto da vicino. Nella giornata di venerdì, 15 febbraio, la Turchia ha posto il suo diniego all'avvio del progetto di esportazione di gas da Israele in Europa per motivazioni politiche. Come riportato dalla Trend, il Ministro dell'Energia della Turchia, Taner Yildiz, ha motivato la posizione risoluta di Ankara con le mancate scuse da parte di Israele per l'uccisione di nove cittadini turchi durante l'attacco alla Freedom Flottilla nel 2010. Il Ministro Yildiz ha posto come condicio sine qua per il rinnovo della cooperazione energetica con Tel Aviv anche l'erogazione di compensazioni alle famiglie delle vittime turche dell'attacco militare al cargo navale -che per i turchi trasportava aiuti in Palestina, mentre secondo gli israeliani riforniva di armi i terroristi palestinesi- e l'immediato sgombero da parte di Israele della Striscia di Gaza.
Un preludio al dissidio tra i due Paesi si è avuto nel Settembre 2012, quando il Premier turco, Tajip Erdogan, ha richiamato in Patria l'Ambasciatore a Tel Aviv, ed ha posto i rapporti diplomatici con Israele su un secondo piano rispetto a quelli con altri Paesi del Medioriente.
Tuttavia, l'inasprimento dei rapporti turco-israeliani è dettato anche dalla concorrenza tra i due Paesi per garantire all'Unione Europea fonti di approvvigionamento di gas alternative a quelle della Russia.
Per diminuire la dipendenza da Mosca -da cui l'UE dipende per il 40% del fabbisogno continentale di gas- la Commissione Europea ha progettato l'importazione diretta di oro blu da fonti alternative, Azerbaijan e Turkmenistan, mediante la costruzione di un sistema di gasdotti che transitano attraverso la Turchia.
Negli ultimi mesi del 2012, la scoperta di un cospicuo giacimento di gas al largo delle coste israeliane del Mar Mediterraneo ha però reso Tel Aviv una possibile fonte di approvvigionamento di gas alternativa alla Russia, che avrebbe finito per ridimensionare l'importanza della Turchia per l'UE.
A giocare a favore della Turchia sono i progressi registrati nel progetti di importazione diretta del gas dall'Azerbaijan. In partnership con le Autorità azere, il Governo turco ha avviato la realizzazione del Gasdotto Trans Anatolico -TANAP: conduttura concepita per veicolare il gas proveniente dall'Azerbaijan dalla Georgia alla Turchia Occidentale.
Da qui, due condutture, il Nabucco e il Gasdotto Trans Adriatico -TAP- sono state progettate dalla Commissione Europea per trasportare il gas azero rispettivamente in Austria attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria, e in Italia attraverso Grecia e Albania.
Al contrario, il trasporto del gas israeliano in Europa è ancora privo di un progetto organico e ben definito. Oltre al varo di una partnership tra Israele, Cipro e Grecia per il trasporto diretto del gas in UE - da cui non è derivato ancora nessun piano concreto- Tel Aviv ha preventivato l'invio del carburante estratto dal Mar Mediterraneo in Europa attraverso la Turchia, mediante la costruzione di un apposito gasdotto dalle coste israeliane al territorio turco.
Il congelamento delle relazioni diplomatiche ed energetiche tra Ankara e Tel Aviv ha però sospeso la realizzazione del progetto, lasciando insoluta la questione dell'esportazione del gas israeliano verso il Vecchio Continente.
(il legno storto, 19 febbraio 2013)
L'ex premier israeliano, che dal profondo del coma "ragiona" ancora
di Grazia Musumeci
Ariel Sharon cadde in coma sette anni fa e da allora "dorme" in una località segreta di Israele. L'ex primo ministro è ormai dato per morto da tempo, relegato su un letto, immobile, incosciente eppure il suo caso sta facendo ribollire i più austeri cenacoli medici del mondo. Sharon infatti mostra ancora attività cerebrale viva.
E' possibile che esista un quarto stadio di coma in cui il cervello continua a comunicare e a governare quel che resta dell'organismo rifiutandosi ostinatamente di morire? Nel caso di Sharon pare proprio che sia così e alcuni test eseguiti su questa scia dal professor Martin Monti lo hanno confermato, seppure con alcuni limiti. Lo studioso ha sottoposto 54 persone in stato comatoso a due esercizi diversi, con i quali dovevano immaginare mentalmente un luogo a loro conosciuto e un'attività sportiva e muoversi all'interno di tale immaginazione.
Dell'intero campione almeno 5 persone hanno risposto alle attività in modo attivo, quasi lucido! Alcuni hanno saputo anche comunicare con "sì" o "no" le loro sensazioni. Purtroppo nessuno dei cinque si è mai risvegliato, nessuno di loro ha abbattuto la barriera del coma che li imprigionava ma hanno dimostrato che dentro quella "prigione" vivono e forse a modo loro "ragionano". A questo punto si verifica la spaccatura tra coloro che sostengono che questa forma di vitalità vada stimolata e coloro che credono che si tratti solo di riflessi cerebrali che non portano a nulla. Da verificare certamente entrambe.
(benessere.guidone.it, 19 febbraio 2013)
Una delegazione egiziana visiterà Israele per discutere del blocco di Gaza
di Luca Pistone
Una delegazione egiziana si recherà in Israele per discutere su un cessate il fuoco con Hamas e restrizioni alle frontiere.
Lo rivela l'agenzia di notizie palestinese Ma'an, che cita un funzionario della sicurezza egiziano rimasto anonimo, secondo il quale la rappresentanza chiederà inoltre al governo israeliano di permettere l'ingresso a Gaza di beni commerciali attraverso il valico di Rafah, al confine con l'Egitto.
Il presidente egiziano Mohammad Mursi ha già tenuto colloqui con Israele tramite il servizio di sicurezza nazionale dell'Egitto, ha aggiunto il funzionario.
Israele ha indurito il blocco su Gaza dopo che Hamas ha preso il potere nel 2007. Nella Striscia il traffico via tunnel con l'Egitto è ormai paralizzato a causa degli scontri dello scorso 5 agosto tra forze di sicurezza egiziane e militanti jihadisti nella penisola del Sinai. Gaza non dispone attualmente né aeroporti né porti e la sua economia è fortemente dipendente dai finanziamenti esteri e dal contrabbando attraverso i tunnel transfrontalieri.
Da quando l'Egitto ha chiuso alcuni di questi tunnel per il contrabbando - ultimamente inondandoli - i prezzi sono saliti alle stelle nella piccola enclave costiera. Prima dell'intervento militare egiziano il trasporto di una tonnellata di cemento attraverso un tunnel costava in media 15 dollari. Oggi, il doppio. Hamas riferisce che le importazioni mensili di materiali da costruzione sono diminuite di circa il 45%. In calo (31%) anche quelle dei generi alimentari di base.
(Alias, 19 febbraio 2013)
"Gli ebrei nell'Italia centro settentrionale fra tardo Medioevo ed età moderna"
Incontro del Centro Studi "Renato Bordone" presso l'Archivio Storico di Asti
Riprende l'attività del Centro Studi "Renato Bordone" sui Lombardi, sul credito e sulla banca, a un mese circa dalla chiusura della mostra dedicata alla storia della Previdenza e della Mutualità. Al centro degli interessi del Centro Studi astigiano - attivo dal 1996 e connotato da una precisa riconoscibilità sia sul territorio sia in ambito internazionale - saranno ancora una volta ricerche di carattere sociale ed economico.
Venerdì 22 febbraio, presso l'Archivio Storico del Comune di Asti, alle ore 17, Marina Romani dell'Università Bocconi di Milano animerà una conversazione sul tema "Gli ebrei nell'Italia centro settentrionale fra tardo Medioevo ed età moderna (secoli XV-XVIII)". Al suo fianco due studiose già borsiste del Centro "Bordone", Rachele Scuro e Miriam Davide. Marina Romani è docente di storia economica alla Università Bocconi di Milano, presso la quale ha conseguito il dottorato nel 1991 e opera dal 2002. Rachele Scuro è dottore di ricerca in Storia e Archeologia del Medioevo, Istituzioni e Archivi (Università degli Studi di Siena) e si occupa di storia degli ebrei in Italia, specialmente nell'area veneta fra tardo Medioevo e primo Rinascimento. Miriam Davide ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l'Università di Trieste con una tesi intitolata "La donna come soggetto economico nel mondo cristiano e nel mondo ebraico".
L'incontro presenterà alcuni dei più recenti e autorevoli risultati degli studi sulla presenza ebraica nell'Italia settentrionale e centrale editi sul numero monografico della rivista "Cheiron" (anno 2012), curata appunto da Marina Romani e da Elisabetta Traniello. "Cheiron", la cui redazione è presso l'Istituto di Storia Moderna e Contemporanea dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, è nata nel 1982. Pubblicata dall'editore romano Bulzoni e diretta da Cesare Mozzarelli e Marzio A. Romani, costituisce un autorevole contenitore dimateriali di aggiornamento storiografico.
(ATnews, 18 febbraio 2013)
il Parco Nazionale di Avdat riapre al pubblico dopo tre anni di lavori
Il Parco Nazionale di Avdat, nel deserto israeliano del Negev, tornerà ad essere visitabile dai turisti. Dopo tre anni di restauri, resi necessari dai gravi danneggiamenti vandalici dell'ottobre 2009, questo sito riconosciuto Patrimonio mondiale dell'Unesco riaprirà le sue porte.
Un investimento di 2 milioni di dollari ha permesso di riparare i danni, di ripristinare le pietre distrutte e le colonne della chiesa bizantina, di rimuovere i graffiti dall'altare e dalle presse per il vino israeliane.
Il Parco Nazionale di Avdat si trova lungo l'antica rotta delle spezie e dei Nabatei ed è un popolare punto di sosta per i pellegrini cristiani e i turisti in viaggio verso Eilat. L'area protetta comprende sentieri, sorgenti e boschi abitati da una ricca fauna selvatica. L'antica Avdat nabatea includeva un quartiere residenziale, un campo militare e diversi recinti in cui erano tenuti cammelli, pecore e capre. Anche i cavalli erano allevati e divennero presto famosi come cavalli da corsa. I Romani poi conquistarono il regno nabateo e Avdat cadde in declino.
Stando ai commenti di chi ha visitato l'Ein Avdat National Park merita davvero una visita, ma con la giusta attrezzatura: scarpe da trekking, acqua e macchina fotografica.
(Travelblog.it, 18 febbraio 2013)
La Toscana ebraica alla Borsa del turismo
Itinerari ebraici: la loro capacità di combinare la visita di luoghi e monumenti con l'incontro con persone, storie, ma anche sapori, nella miglior versione del turismo esperienziale. L'idea di proporli come nuovo polo di attrazione turistica ha spinto la Regione Toscana a organizzarne una presentazione alla Borsa internazionale del turismo (Bit), che ha chiuso i battenti ieri a Milano. A prendere parte all'incontro (nella foto) è stata la presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli, che ha presentato le ricchezze che la regione ha da offrire, e non soltanto nel suo capoluogo. "Penso che portare i visitatori nella nostra sinagoga, e allo stesso tempo condividere con loro i ricordi, dai nostri giochi da bambini nel matroneo, alle mani piene di fango e catrame per salvare i libri durante l'alluvione, rappresenti un grande valore aggiunto, perché diventa un modo per entrare in contatto con un luogo vivo, fatto non solo di passato ma anche di presente, e di futuro".
Cividalli ha illustrato i possibili itinerari, coadiuvata da Giuseppe Burschtein, che ha realizzato la presentazione multimediale: le possibili località da coinvolgere, gli spunti di riflessione da proporre, dall'incontro fra le culture alla memoria, l'offerta enogastronomica.
Tanti i progetti in cantiere già nel prossimo futuro, tra cui un incontro con gli operatori turistici in programma nel capoluogo toscano il 6 marzo e la partecipazione della Comunità all'iniziativa della "Notte blu di Firenze - 27 ore dedicate all'Europa" in programma il prossimo 11 e 12 maggio. "Il mio auspicio è arrivare a una rete di itinerari ebraici su tutta Italia, sotto l'egida dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane" il commento a margine dell'iniziativa del presidente Cividalli. Nel pomeriggio, nella Sala Jarach della sinagoga centrale di Milano, concerto "Tradizioni in cammino: musiche dalla Toscana ebraica" a cura di Enrico Fink, musicista e assessore alla Cultura della Comunità di Firenze, cui hanno preso parte anche Arlo Bigazzi, Marna Fumarola, Mino Cavallo e Giampiero Bigazzi. A portare il Saluto della Comunità milanese il vicepresidente Daniele Cohen.
(Notiziario Ucei, 18 febbraio 2013)
La neo-deputata che ha insegnato Talmud alla Kenesset
Uno dei neo-eletti deputati del partito guidato da Yair Lapid ha utilizzato il suo primo intervento al parlamento israeliano per rivolgere un toccante invito allo studio del Talmud, come fondamento della cultura ebraica per tutti gli ebrei, laici e religiosi. Inevitabili le polemiche da parte ultra-ortodossa. Di seguito alcune riflessioni.
di Paolo Sciunnach
Ruth Calderon
Sorprendente intervento, quello di Ruth Calderon, come membro del parlamento israeliano, ha parlato con il cuore. Lo scopo dell'intervento, apprezzato, è stato effettivamente quello di far leva sulla rinascita culturale della società israeliana post sionista, rinascita assolutamente necessaria per lo sviluppo di un'identità culturale nazionale che sembra esser venuta meno dopo l'affievolirsi dei vecchi valori forti del sionismo politico.
Sono sicuramente convinto che la Torah (Scritta e Orale) sia il patrimonio comune di tutti gli ebrei (uomini e donne). Sono convinto che ogni ebreo debba avere la possibilità di accedere alle fonti e poter studiare Torah in modo profondo, intellettualmente e spiritualmente.
Attendiamo il giorno in cui la Torah sarà scolpita nel cuore di ogni singolo ebreo
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Sono convinto che anche il mondo accademico non necessariamente ortodosso debba promuovere lo studio della Torah e della letteratura talmudica all'interno della società israeliana.
Ma ho alcune osservazioni al riguardo:
Quanto, questo studio "accademico" della Torah, è finalizzato ad avvicinare la società secolarizzata ad una dimensione spirituale in senso tradizionale (Tshuvah)? Esiste un approccio "secolare" allo studio della Torah?
Esistono due approcci allo studio della Torah:
- l'approccio "storico" che è un approccio "distaccato", dove il testo viene esaminato attraverso il contesto storico nel quale è stato scritto. Il testo è affrontato con obiettivo distacco, al fine di averne una conoscenza oggettiva.
- l'approccio "midrashico", diremmo quasi "esistenziale" si basa sul coinvolgimento personale dell'interprete nell'evento della comprensione. L'interprete è interessato all'insegnamento del testo come guida di vita, di vita propriamente ebraica: Mitzvot.
L'ermeneutica ebraica delle Scritture si è espressa in forme diverse, peraltro, tutte convergenti nel fine che i Maestri della tradizione orale volevano conseguire, cioè il dispiegamento continuo del testo grazie all'elaborazione esegetica e all'approfondimento del senso intimo delle Scritture, per portare incessantemente la luce della rivelazione nella vita dell'ebreo.
Non vorrei che si rischiasse di "naturalizzare", "secolarizzare" la metodologia interpretativa tradizionale della letteratura rabbinica stessa, e quindi "de-responsabilizzare" il lettore rispetto al testo stesso.
Oggi, molti singoli individui reclamano il diritto di esercitare il loro "buon senso" nel determinare cosa debba essere l'ebraismo contemporaneo, benché essi non studino la Torah e il Talmud in modo sistematico. Questi "posqim" autodidatti ammettono le carenze della loro formazione spirituale (pur avendo padronanza per quanto concerne testi e fonti), tuttavia insistono sul loro diritto di decidere sulla base del "buon senso" questioni religiose fondamentali.
Il sistema interpretativo tipicamente rabbinico possiede una sua propria metodologia, un modo di analisi ermeneutica suo proprio. La letteratura rabbinica possiede un suo proprio approccio epistemologico che può essere compreso unicamente da un Chacham in grado di padroneggiare sia la metodologia, sia il vasto materiale. Essa possiede il suo proprio logos, un suo metodo di pensiero e costituisce un sistema indipendente. La Halachà non necessita solo del "buon senso comune" così come non lo esigono i sistemi scientifici concettualizzati. Quando la gente parla di una "interpretazione insensata, congelata o empirica", mancando di una conoscenza della metodologia specifica, che può essere acquisita solamente attraverso vasti studi, si limita ad applicare ragionamenti basati sul "senso comune". Questo approccio non dovrebbe essere tenuto in seria considerazione.
La Torah (Scritta e Orale) è di tutti gli ebrei, ma questa deve essere sempre Torah di vita, vita vissuta nella tradizionale osservanza della Halachà. L'esistenza ebraica non è solo appartenenza ad un popolo o al suo patrimonio storico-culturale, ma anzitutto il vivere nell'ordine spirituale dell'osservanza delle Mitzvot. Non è soltanto una certa profondità intellettuale e morale degli individui, ma è anzitutto coinvolgimento e partecipazione alla vita ebraica nel senso più tradizionale. Il significato dell'esistenza religiosa ebraica è fondamentale. Adattarlo alla cornice delle predilezioni intellettuali personali equivale a distorcerlo.
Lo studio autentico della Torah oltrepassa il contenuto di tutte le filosofie che pretendono di descriverlo. Noi non lo abbiamo inventato. Lo abbiamo ricevuto in eredità da D-o stesso. Possiamo accettarlo o rifiutarlo, ma non dovremmo deformarlo, "secolarizzarlo".
Riguardo poi al ruolo della donna ebrea in merito allo studio della Torah e al suo insegnamento: la tradizione ebraica è piena di grandi donne che si sono impegnate personalmente nello studio della Torah (Scritta e anche Orale) e al suo insegnamento. Tuttavia, i ruoli tra uomini e donne, anche in merito allo studio sono differenti, ma assolutamente complementari.
Nei tempi passati i Maestri non usavano insegnare la Torah Orale alle donne, non era necessario. Ma al giorno d'oggi è comunemente diffuso (in ambito strettamente ortodosso) il fatto che le donne studino la Torah Scritta e Orale e la insegnino. Tuttavia le donne non usano generalmnte studiare sistematicamente la complessità della logica talmudica. A questo proposito si veda Torah Temimah su Devarim 11, 15 dove si precisa che dal momento che il Talmud afferma che "D-o ha dotato la donna di grande capacità intuitiva, superiore all'uomo" (Niddah 45b), se le donne studiassero la Ghemarah senza però esserne tenute, quindi senza una grande esperienza e conoscenza alle spalle (come prerequisito), la loro grande intuitività potrebbe portarle a conclusioni errate in merito alla logica talmudica, come è scritto: "Senza conoscenza non c'è comprensione" (Avoth 3, 17). Si veda anche Igheroth Moshe, Yoreh Deah 3, 87.
Una donna che desideri studiare la Torah Orale in modo da approfondire la Halachah è tenuta a farlo. E la sua ricompensa equivale a colui che osserva una Mitzvah anche se ne è esente. Su questa base ad una donna è consentito studiare tutte le parti della Torah Orale che sono necessarie per comprendere un aspetto di interesse specifico. Si veda a questo proposito la Tosefta, Kelim, Baba Kamah 14, 9; Pesachim 62b dove si parla di Bruria la moglie di Rabbi Meir che insegnava agli studenti del marito; il Chullin 109b dove si narra delle discussioni Halachike tra Yalta (Yentl) e suo marito Rabbi Nachman; i responsa del Marshal 3 dove si narra che la Rebbetzin Miriam, la nonna del Marshal ha insegnato agli studenti del marito. Per non parlare della contemporanea Nechamah Leibovitch.
La storia ebraica abbonda di donne che hanno eccelso nello studio e nell'insegnamento della Torah.
Una donna non può avere il ruolo di Rav o Dayan, ma se è particolarmente esperta in un campo specifico della Halachah può esprimere il suo responso in merito ad una questione di sua competenza. A questo proposito si veda lo Shulchan Aruch, Choshen Mishpath 7, 4 che si basa sul Rambam Hilchoth Melachim 1, 5 dove si precisa che solo l'uomo ha la possibilità di assumere la carica pubblica di Rav o Dayan, dal momento che solo l'uomo è tenuto alla Mitzvah dello studio della Torah per se stessa. In Yevamoth 45b ci si chiede su quale base allora Deborah, all'epoca dei Giudici, ha svolto il ruolo di Dayan per tutto il popolo ebraico. Si danno due risposte: Deborah in realtà insegnava ai Giudici uomini come giudicare. E si trattava di una situazione particolare basata su una profezia esplicita. In Baba Kama 15a c'è un'altra spiegazione: se il popolo accetta volontariamente una donna come giudice, la donna può esercitare pubblicamente la funzione di giudice. La stessa questione è posta in merito alla capacità di testimoniare difronte ad un tribunale, si veda Choshen Mishpath 35, 14.
Vincitore di vari premi internazionali, il gruppo suonerà pezzi di Mozart, Wolf e Smetana
Il Quartetto Jerusalem
Lunedì 18 febbraio alle ore 20.30 Ferrara Musica presenta il Quartetto Jerusalem, giovane e affermata formazione cameristica, alla sua seconda apparizione sul palcoscenico del Comunale. L'autorevole critico musicale del Times ha scritto a proposito dell'ensemble: "Passione, precisione, calore, un'alchimia perfetta: sono queste le caratteristiche dell'eccellente quartetto d'archi israeliano".
Regolarmente presente sui più importanti palcoscenici del mondo, il quartetto Jerusalem, costituito dai violinisti Alexander Pavlovsky e Sergei Bresler, dal violista Ori Kam e dal violoncellista Kyril Zlotnikov unisce la grande scuola d'archi russa, la cui influenza è molto significativa nel ricco universo musicale israeliano, a un approccio interpretativo dinamico e fresco. Grazie a questa preziosa miscela l'ensemble ha ottenuto fin dai suoi esordi il prestigioso premio Borletti-Buitoni e ha partecipato al progetto Bbc New generation artists. Negli ultimi anni il quartetto ha ottenuto un sempre crescente apprezzamento del pubblico e della critica sia in Europa che negli Stati Uniti. I suoi album hanno vinto premi importanti come Bbc Music magazine award, Gramophone, Diapason d'Or ed Echo.
Di grande fascino il programma proposto a Ferrara con pagine di grandi compositori di origine mitteleuropea. Si inizia con l'umoristica "Serenata italiana per quartetto d'archi in sol maggiore" scritta nel 1887 dal compositore austriaco Hugo Wolf e ispirata, pare, a una novella di Eichendorff che racconta le avventure di un giovane violinista, alcune delle quali si svolgono in Italia. Qui a un certo punto un'orchestra suona una serenata italiana, che si rivela alla fine essenziale nello svolgimento della vicenda.
Segue il "Quartetto n. 22 in si bemolle maggiore K 589? di Wolfgang Amadeus Mozart. Composto nel 1790, penultimo anno di vita del grande compositore salisburghese, l'opera fu dedicata al re di Prussia Federico Guglielmo II ed è scritta in uno stile che ricorda i magnifici quartetti dedicati da Mozart a Haydn, a sua volta grande maestro del genere.
Chiude il programma il "Quartetto in mi minore n. 1? del compositore boemo Bed?ich Smetana. Importante esponente della scuola nazionale boema, nella dimensione più intima della musica da camera Smetana trova la sede più adatta all'espressione di stati d'animo personali. Il frontespizio della partitura del quartetto reca il titolo "Z mého Zivota" (Dalla mia vita), rivelando un programma autobiografico: il primo movimento evoca l'amore per l'arte provato. Il secondo, "à la Polka", riporta il musicista alla sua giovanile passione per la danza. Il terzo dipinge l'amore per la moglie. L'ultimo movimento esprime la forza della musica nazionale e la gioia per il crescente successo della sua musica, fino al brutale avvento di una grave malattia che lo condusse quasi alla sordità. Il fischio insopportabile del primo violino rispecchia l'esperienza diretta dell'autore, appena prima di perdere l'udito, e viene a interrompere brutalmente il vortice gioioso del movimento finale. Gli ultimi accordi tuttavia lasciano aperta la porta a una vaga speranza.
(estense.com, 18 febbraio 2013)
Noa classic. Da Israele all'Italia
Il concerto attuale è un mix delle ultime fatiche discografiche e precisamente dell' "Israel Songbook", album registrato con la Jerusalem Orchestra e ancora inedito in Italia.
PALERMO - "Classic" è il nome del nuovo concerto che l'artista israeliana ha portato in questi ultimi mesi in tour in tutta Europa e che ora approda in Italia in Sicilia per la prima volta nei concerti di Catania del 19 febbraio e del 20 a Palermo. Il concerto attuale è un mix delle ultime fatiche discografiche e precisamente dell' "Israel Songbook", album registrato con la Jerusalem Orchestra e ancora inedito in Italia. In quest'ultmo disco, Noa esegue con orchestra sinfonica alcune delle canzoni più popolari della tradizione ebraico unitamente a nuove composizioni, di cui una "Chicken Coop Aria" riecheggia i toni del melodramma italiano. Questa parte del concerto unitamente ad una selezione delle canzoni più belle scritte da Noa nell'arco della sua più che ventennale carriera è stata arrangiata per quartetto d'archi da Gil Dor, storico collaboratore dell'artista, presente assieme al Solis String Quartet al concerto dal vivo.
Non potevano mancare anche alcuni brani di "Noapolis", disco che tanta fortuna ha portato a Noa al punto da essere stata definita la più grande cantante "napoletana" sulla scena musicale attuale. Quindi da " Era De Maggio"