Inizio - Attualità »
Presentazione »
Approfondimenti »
Notizie archiviate »
Notiziari »
Arretrati »
Selezione in PDF »
Articoli vari»
Testimonianze »
Riflessioni »
Testi audio »
Libri »
Questionario »
Scrivici »
Notizie 16-29 febbraio 2020


"Abbiamo riaperto la sinagoga. Per pregare più distanti fra noi"

David Liscia, presidente della Comunità ebraica di Firenze: "D'inverno teniamo chiuso il luogo più grande. Ora lo usiamo per evitare rischi".

 
David Liscia, presidente della comunità ebraica di Firenze e Siena
FIRENZE - Quali sono le reazioni alle indicazioni sul Coronavirus da parte della comunità ebraica?

- Lo chiediamo a David Liscia, presidente della Comunità ebraica di Firenze e Siena.
  "Al nord le sinagoghe, come quella di Milano, sono state chiuse. Le funzioni sono sospese e ognuno prega dove e come può".

- I riti sono ugualmente praticabili?
  "Alcune preghiere sono collettive, richiedono la presenza di almeno dieci persone e sono quindi impossibili a realizzarsi a casa. E lì non possono figurare i rotoli della legge, conservati nelle sinagoghe".

- A Firenze, invece?
  "Il coronavirus ci ha costretti a riaprire la sinagoga che in inverno, essendo assai fredda, teniamo chiusa e concentriamo i riti nella parte sotterranea, di dimensioni più limitate e quindi più confortevole. Per evitare assembramenti e mantenere una certa distanza fra le persone, ci riuniamo in sinagoga".

- E chi è ammalato?
  "Ovviamente chiediamo a chi manifesti sintomi di rispondere alla propria coscienza e restare a casa".

- I vostri riti prevedono abbracci o strette di mani?
  "No. E non abbiamo l'equivalente delle acquasantiere. Da questo punto di vista abbiamo minori problematiche".

(la Nazione, 29 febbraio 2020)


Israele chiude le frontiere agli italiani. Come hanno reagito gli ebrei di Roma

di Luca La Mantia

«Scusi, per lei Israele ha ragione»? Domanda lecita quella che rivolgiamo agli ebrei italiani il giorno dopo la decisione con cui il governo di Tel Aviv ha stoppato i voli provenienti dall'Italia per l'emergenza Corona virus. La risposta, però, non è altrettanto semplice. E non manca chi sottolinea, in tono polemico che la stessa misura è stata adottata anche da altri Paesi «ma è solo Israele a far rumore».
   Vero: lo stesso divieto ci chiude le porte anche in Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Libano, Giordania, Bahrein, El Salvador, Mauritius, Turkmenistan, Capo Verde e Seychelles. Altrettanto vero, però, è lo storico rapporto che, da decenni, lega Roma e Tel Aviv; senza dimenticare che la lista, Arabia a parte, comprende nazioni il cui peso geopolitico non può essere paragonato a quello israeliano. Quanto al turismo, infine, va considerata l'attrattiva che la Terra Santa esercita sui cattolici italiani. Un conto, insomma, è calcare la mano, un altro è considerare Israele alla stregua di un Paese qualunque.
   Per cui il quesito resta: cosa ne pensano gli ebrei italiani? Nel Ghetto di Roma non vola una mosca, complice la vigilia dello Shabbat che porta il quartiere a svuotarsi già nel pomeriggio di venerdì. La locale Comunità Ebraica ci fa sapere che non verrà presa alcuna posizione ufficiale e questo perché il tema non riguarda "la nostra identità di ebrei", ma semmai la "provenienza dei voli dall'Italia", pertanto «chi ha doppio passaporto sarebbe comunque costretto alla quarantena». E in ogni caso «si tratta di una misura che attiene la salute pubblica, sul cui merito le opinioni potrebbero essere diverse».
   E proprio sul carattere sanitario del provvedimento batte chi sui social difende la posizione di Israele. Il quale - questo il ragionamento più diffuso - non può permettersi di mettere a rischio la vita delle persone più fragili, memore proprio di quanto avvenuto in Italia, dove sinora il virus ha ucciso soprattutto anziani con un quadro clinico già compromesso dall'età o da patologie pregresse. E mentre l'ambasciata israeliana in Italia tenta di rassicurare sul divieto, c'è anche chi plaude Tel Aviv per aver blindato i confini rimproverando il governo Conte di non aver fatto lo stesso. I critici, ovviamente, non mancano. Qui i toni si fanno più aspri. C'è chi tira in ballo la questione palestinese, chi accusa Netanyahu di aver adottato un provvedimento razzista e chi, purtroppo, sfora nel campo dell'antisemitismo, prontamente ripreso da altri utenti.
   Fra giornalisti, influencer, scrittori e conduttori non sono pochi gli ebrei italiani noti al grande pubblico, eppure quasi nessuno sembra dare peso alla questione. Fa un'eccezione, sia pur minima, Enrico Mentana, che nel postare su Facebook l'articolo di Open dedicato all'argomento scrive: «Aumenta il nostro isolamento». Una nota di condivisione niente male: siamo tutti italiani, ebrei e non, a combattere un nemico invisibile.

(il Quotidiano, 29 febbraio 2020)


Conegliano, domenica l'apertura del cimitero ebraico

Dal mattino visite guidate per scoprire cinque secoli di storia

 
Cimitero ebraico di Conegliano
Nonostante l'ordinanza emanata a causa dell'emergenza da Coronavirus, che ha fatto saltare diversi appuntamenti e sospendere varie manifestazioni, domenica 1 marzo aprirà il cimitero ebraico di Conegliano con una serie di visite guidate, che avranno inizio a partire dalla mattinata.
   A promuovere l'iniziativa è il Centro coneglianese di storia e archeologia, realtà impegnata nella valorizzazione dei luoghi storici della città del Cima. Le visite guidate, salvo il maltempo, inizieranno a partire dalle 10, con un contributo libero pari a 2 euro.
   La visita guidata sarà l'occasione per decidere di sostenere e aderire alla realtà associativa.
In passato, la comunità ebraica coneglianese fu una delle più importanti del Veneto, sia dal punto di vista religioso che sociale. Il cimitero venne inaugurato nel 1545, per poi essere abbandonato tra il 1882 e il 1884, quando fu concesso alla comunità di seppellire i propri morti in una sezione del cimitero centrale.
   L'area cimiteriale, a cui si accede da viale Gorizia, è stata oggetto di un recupero da parte del gruppo archeologico in questione, il quale si sta occupando di valorizzarlo culturalmente.
A Conegliano sorgeva anche una sinagoga, costruita nel 1479 e poi demolita nel secondo dopoguerra: nel 1952 una parte dei suoi arredi vennero utilizzati per arredarne un'altra a Gerusalemme.
   Oggi, sono pochissime le testimonianze rimaste del passaggio ebraico a Conegliano, nonostante qualche secolo fa quella della città del Cima fu una delle comunità ebraiche più rilevanti del Veneto.
   La città di Conegliano, infatti, era stata scelta per la posizione geograficamente strategica lungo le più importanti direttive commerciali.
   La comunità ebraica coneglianese si estinse verso la fine dell'Ottocento, in seguito al trasferimento dei suoi membri nelle città di Venezia e Padova.

(Quotidiano del Piave, 29 febbraio 2020)


Israele al voto nella confusione. Ma Netanyahu non si arrende

Lunedì nuove elezioni nello Stato ebraico

Benjamin Netanyahu non si arrende. Diventato lo scorso luglio il primo ministro più longevo della storia d'Israele, anche più del fondatore Ben Gurion, il 70enne Netanyahu si presenta lunedì alle terze elezioni nell'arco di un anno con il fardello di un processo per corruzione a suo carico che si apre il 17 marzo. Il leader del partito conservatore Likud si dice innocente e vittima di una caccia alle streghe. E se con Barack Obama i rapporti erano pessimi, con Donald Trump le cose vanno benissimo.
   Secondo i sondaggi il Likud ha un leggero vantaggio sui rivali di Blu e Bianco ma nessuno gode della maggioranza alla Knesset. Israele rischia così di restare bloccato nell'impasse politico ancora per mesi, con l'incubo di un quarto ritorno alle urne. Proprio questo sarà il futuro per il 38% degli intervistati. Il 31% crede nella nascita di un governo di destra mentre solo il 9% si aspetta di vedere al potere un esecutivo di centro-sinistra. Secondo l'emittente Kan il partito conservatore totalizzerebbe 35 seggi contro i 34 dello sfidante centrista, raggiungendo insieme agli alleati del blocco di destra 58 seggi contro i 56 del blocco di centro-sinistra-arabo.
   Per il quotidiano Israel Hayom invece entrambe le formazioni si fermerebbero a 33, mentre per Maariv i seggi sarebbero 34 ciascuno; in entrambi i casi le proiezioni danno il blocco di Netanyahu a 57 seggi contro i 56 di quello di Gantz. In tutti i casi, nessuna coalizione raggiungerebbe i 61 seggi della maggioranza alla Knesset. Sempre secondo le ultime analisi, la coalizione araba della Joint List prenderebbe 13-14 seggi, l'alleanza di sinistra Labor-Gesher- Meretz è data a 8-9, il partito della destra religiosa Yamina tra i 7 e i 9 mentre i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism entrambi a 8. Il partito ultra-nazionalista russofono Yisrael Beiteinu di A vigdor Liberman resta un protagonista chiave della scena politica: i 6-7 seggi che gli danno i sondaggi sarebbero sufficienti a dare la maggioranza a uno o all'altro contendente, ma l'ex ministro della Difesa ha già fatto sapere che non intende andare al governo né con gli arabi (necessari a Gantz) né con i religiosi, indispensabili per Netanyahu.
   Netanyahu continua però ad avere una forte presa sull'elettorato israeliano, superando di gran lunga lo sfidante Gantz (45% a 34% per Kan, 49% a 35% per Israel Hayom e 45% a 36% per Maariv).

(Libero, 29 febbraio 2020)


*


Il voto stanco di Israele che a Netanyahu non vede alternative

La scarsa affluenza, la quarta elezione (possibile) e il leak sulla debolezza di Gantz, ormai costretto a rincorrere il premier.

di Micol Flammini

ROMA - La prima domanda è: quanta gente andrà a votare? La seconda: tornerà a votare nel caso di una quarta elezione? Il voto di lunedì in Israele potrebbe non risolvere la crisi politica iniziata un anno fa. Gli elettori sono andati alle urne tre volte in un anno, nessun risultato ha portato a una maggioranza chiara, i due partiti principali, il Likud del premier Benjamin Netanyahu e Kahol Lavan di Benny Gantz si sono rifiutati di formare un governo di unità nazionale e la nazione rimane in sospeso. La seconda dopo la prima, la terza dopo la seconda, le elezioni si sono trasformate in un voto su Netanyahu, primo ministro da oltre dieci anni, incriminato per tre capi di imputazione, in grado di unire e dividere il paese allo stesso tempo. E' questione di numeri piccolissimi, per formare una maggioranza nella Knesset c'è bisogno di 61 seggi e né il Likud, né Kahol Lavan finora ci sono riusciti. Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati da Channel 13 lunedì, Benny Gantz è stato superato da Netanyahu, 35 seggi per il Likud e 34 per Kahol Lavan. A settembre era stato Gantz a ottenere più voti. Secondo i sondaggi di Kan, invece, la coalizione di centro destra guidata dal premier otterrebbe in tutto 56 seggi, quella centrosinistra guidata da Gantz 54. Non è abbastanza per nessuno dei due schieramenti e la formula impronunciabile rimarrà sempre la stessa: governo di unità nazionale. Uno dei dati più significativi tra quelli registrati dai sondaggisti però è la risposta alla domanda: chi è più adatto come primo ministro? il 45 per cento degli intervistati ha risposto che sarebbe meglio Netanyahu, il 34 ha detto Gantz.
   Il leader di Kahol Lavan non ha fatto emergere la sua personalità in un'elezione estremamente personale. Benny Gantz si è limitato a rincorrere, a buttarsi sugli spazi che il rivale ignorava. E' stato trascinato fino a Washington, pare che l'astuzia dell'invito sia tutta di Bibi, per dire di sì alla proposta del piano di pace di Donald Trump che prevede l'annessione degli insediamenti e di una zona della Valle del Giordano da parte di Israele. Gantz non avrebbe potuto rifiutare il piano, ma quel sì a Trump gli ha anche alienato, una volta per tutte, il favore della sinistra. Costretto alla corsa, sempre in affanno, dietro al premier, l'ex capo di stato maggiore durante le tre elezioni si è proposto a tre elettorati diversi tra loro, a tratti inconciliabili. Ha coltivato prima gli elettori di sinistra, viene da una famiglia laburista e piaceva a tanti anche per questo - poi ha cercato i delusi, i moderati stanchi di Netanyahu, ha cercato il centro, nella speranza di presentarsi non più come la nemesi del premier, ma come l'alternativa al premier. La scorsa settimana, in un momento di confusione tra i razzi di Gaza e l'accordo di pace che continua a tormentare il paese, ha ricominciato a parlare alla sinistra che però ormai lo percepisce come un corpo estraneo.
   Giovedì, l'emittente Channel 12 ha trasmesso l'audio in cui un consigliere di Benny Gantz, Israel Bachar, definisce il leader di Kahol Lavan un debole, dice che non sarebbe in grado di attaccare l'Iran: "E' un pericolo per il popolo israeliano, prenderebbe una decisione sbagliata e cercherebbe di fermare un attacco contro l'Iran". Il consigliere è stato licenziato da Gantz, il Likud si è precipitato a dire che è vero. In tre elezioni, l'ex capo di stato maggiore si è affievolito, fino a dare l'impressione di un leader debole incapace di dare sicurezza a un popolo per il quale la sicurezza è tutto. Rimane al momento l'unica alternativa a Netanyahu, ma in questa terza campagna elettorale ha permesso al premier, iperattivo e con tantissime ragioni per rimanere attaccato al suo mandato, di oscurarlo.
   Una quarta elezione sarebbe ancora più logorante, per Gantz e per gli israeliani, ormai stanchi di andare a votare - si teme anche che la paura del coronavirus ridurrà ancora di più l'affluenza. C'è soltanto una persona che potrebbe trarre vantaggio sia dall'astensione sia dal fantasma di un quarto voto: Netanyahu.

(Il Foglio, 29 febbraio 2020)


*


Israele al voto, bel dilemma per gli orfani del Meretz

L'ultimo dei partiti della sinistra sionista mette da parte la questione palestinese, vira al centro e al voto del 2 marzo si presenta assieme ai Laburisti e alla destra sociale.

di Michele Giorgio

L'altro giorno Judi Matz scriveva su Haaretz che se dei marziani atterrassero a Givat Brenner, uno dei kibbutz più grandi di Israele, penserebbero che la lotta per la vittoria alle elezioni legislative del 2 marzo sia solo tra l'alleanza di centrosinistra formata da Laburisti, Gesher e Meretz e la lista centrista Blu Bianco guidata dall'ex capo di stato maggiore Benny Gantz. In questo kibbutz gli abitanti proclamano che voteranno per queste due liste, le altre per loro non esistono. Nessuno si illuda. All'uscita di Givat Brenner c'è la realtà politica israeliana, dominata dalla destra e dove è svanita la sinistra sionista. Il Meretz, l'unico partito sionista che appena un anno fa chiedeva la fine dell'occupazione militare dei Territori palestinesi, per sopravvivere si è unito ai Laburisti dell'ex sindacalista Amir Peretz e a Gesher, un piccolo partito della destra sociale guidato da Orli Levi-Abekasis.
  Questa alleanza dovrebbe garantire ai tre partiti il superamento della soglia elettorale, fissata a poco più del 3%, e la permanenza alla Knesset. Ma un insuccesso non è da escludere. I sondaggi danno in testa il Likud del premier di destra Netanyahu e gli appelli al "voto utile" per Blu Bianco, in modo da mandare a casa il primo ministro - al potere da 10 anni e che a metà marzo andrà sotto processo -, toglierà non pochi voti a Peretz, Levi-Abekasis e a Nitzan Horowitz, il giornalista che lo scorso giugno ha preso il posto di Tamar Zandberg alla guida del Meretz. Da allora l'unico dei partiti che si proclama di sinistra ancora in vita è nell'occhio del ciclone ed è stato abbandonato da tanti suoi militanti.
  «Horowitz ha cambiato le linee programmatiche del Meretz» ci spiega l'attivista Shakaf Weinstein, 26 anni di Tel Aviv «il nuovo leader pensa che la questione palestinese non attiri nuovi sostenitori. Perciò ha spostato il partito verso i temi sociali, le battaglie per l'ambiente, i diritti civili e i diritti della comunità Lgbt». Temi importanti ma che non bastano a chi considera fondamentale non dimenticare i diritti dei palestinesi sotto occupazione. La linea di Horowitz ha causato l'abbandono del partito da parte di Issawi Frej, unico deputato arabo del Meretz al quale era stata riservata nella lista elettorale una posizione senza alcuna possibilità. «Non è una questione personale, non parlo per me, dico però che avermi assegnato quella posizione significa che il Meretz non ritiene importante la presenza di deputati arabi nei suoi ranghi», si è lamentato Frej.
  La delusione è diffusa. «Qui non siamo a Stoccolma dove la sinistra lotta per i salari e le pensioni» commenta Yehuda Shaul, fondatore di Breaking di silence, associazione che raccoglie le testimonianze di soldati che rompono il silenzio su abusi a danno dei civili palestinesi compiuti dai militari. «Siamo in Israele» aggiunge perentorio, «un paese che occupa un popolo da decenni e nega diritti fondamentali ai palestinesi. In Israele una sinistra che guarda solo ai diritti civili e non combatte l'occupazione militare non può essere considerata sinistra».
  Gli orfani del Meretz pre-Horowitz e del centrosinistra dei tempi degli accordi di Oslo tra Israele e Olp, sono nel dilemma alla vigilia del voto del 2 marzo. «La parte più consistente di questi indecisi probabilmente sceglierà Blu Bianco» prevede Shakaf Weinstein «non perché siano d'accordo con Gantz, al contrario lo contestano. Lo faranno nella speranza di vedere la fine politica di Netanyahu e la sconfitta del blocco delle destre». Una parte, più esigua, aggiunge l'attivista, invece voterà per la Lista araba unita, ossia i quattro partiti dei palestinesi in Israele, quindi non sionisti.
  Lo sviluppo è inedito. Certo, il Partito comunista (composto in maggioranza da cittadini palestinesi) ha sempre ricevuto una piccola quota di voti di israeliani ebrei. Si tratta però di voti di sostenitori dello stato binazionale ebraico-arabo. Quelli che dovrebbero arrivare alla Lista araba dal Meretz invece sono voti in prevalenza di ebrei giovani, progressisti ma sionisti, e parte della classe media. Ilan Schiff, 28 anni di Ramat Aviv, spiega che voterà per la Lista araba «perché ha una posizione chiara contro l'occupazione e si esprime senza ambiguità su molti temi. Il Meretz non lo fa più e i Laburisti non sono nemmeno di sinistra. Non mi spaventa che la Lista abbia un programma nazionalista, gli arabi sono discriminati in Israele ma parlano di interessi comuni per ebrei e arabi e di lotte da portare avanti insieme».

(il manifesto, 29 febbraio 2020)


Guerra totale a Idlib, strage di soldati. La Turchia spinge i profughi in Europa

Offensiva di Assad nel Nord della Siria: morti 33 militari turchi. Un milione di sfollati. Gommoni verso la Grecia

 
Un gruppo di bambini fugge in un furgone da Afrin
BEIRUT. La guerra a bassa intensità fra Turchia e Siria si trasforma in un conflitto aperto, con centinaia di soldati morti e decine di carri armati e pezzi di artiglieria distrutti. E le conseguenze si riversano sull'Europa perché, dopo aver perso 33 soldati in solo raid dell'aviazione di Damasco, e 56 in meno di un mese, Recep Tayyip Erdogan allenta i controlli alle frontiere e minaccia Bruxelles con un fiume di rifugiati siriani, come nel 2015, quando un milione di persone si riversò sulle coste della Grecia.
   Un assaggio si è già visto ieri, con alcuni gommoni carichi di profughi diretti verso le isole dell'Egeo. Il riesplodere della crisi è dovuto anche alla difficile posizione della Turchia sul fronte siriano. Ha promesso agli alleati ribelli di riconquistare i territori perduti negli ultimi due mesi, e di spingere la linea di demarcazione con il regime a dov'era prima, in base agli accordi di Astana di fine 2018. Ma si trova di fronte, oltre all'esercito governativo di Bashar al-Assad, anche l'aviazione e le forze speciali russe, impegnate in una campagna di annientamento dei gruppi di opposizione, soprattutto jihadisti, che hanno nella provincia di Idlib la loro ultima roccaforte.
   Dal 19 dicembre, quando è scattata l'offensiva del regime, i ribelli hanno perso metà degli 8 mila chilometri quadrati che controllavano a Idlib, e nelle confinanti Aleppo e Hama. In un territorio dimezzato, poco più grande della Valle d'Aosta, sono stipate oltre 3 milioni di persone, compresi 980 mila profughi fuggiti dalle loro case negli ultimi due mesi e accampati nelle tende e sotto gli ulivi. Ieri Ankara ha deciso di allentare i filtri, e in migliaia di sono incolonnati verso i posti di frontiera. Una forma di pressione verso l'Ue e la Nato, per strappare un sostegno. Erdogan vuole i sistemi anti-aerei Patriot per fermare i cacciabombardieri siriani, nella prospettiva di imporre una no-fly-zone su tutto il Nord-Ovest della Siria. Il problema è che una no-fly-zone c'è già, quella garantita dai russi, un ombrello che ha permesso ad Assad di avanzare.
   Per contrastare le forze del regime la Turchia ha fornito ai ribelli blindati, missili anti-tank e anti-aerei Stinger. Con l'appoggio massiccio dell'artiglieria i gruppi controllati da Ankara e alleati jihadisti hanno negli ultimi tre giorni riconquistato la cittadina strategica di Saraqib, alla congiunzione delle autostrade Lattakia-Aleppo e Damasco-Aleppo. È il primo serio rovescio subito da Assad dal 19 dicembre. La reazione è stata affidata soprattutto ai raid dei cacciabombardieri Su-24 siriani e Su-34 russi, che hanno scatenato l'inferno sulle postazioni ribelli, ma anche su quelle turche, perché in questa fase l'esercito di Ankara, combatte di fatto al fianco dei militanti. E questo spiega il massacro.
   La rappresaglia turca è stata pesantissima. Il ministro della Difesa Hulusi Akar ha precisato che l'artiglieria e i droni armati turchi hanno distrutto «5 elicotteri, 23 tank, 23 cannoni, due sistemi di difesa anti-aerea» e «neutralizzato», cioè ucciso e ferito «309 soldati del regime siriano». Un'ulteriore carneficina che ha spinto Putin a chiamare Erdogan. I due hanno concordano di fare ogni sforzo possibile per «soddisfare l'accordo iniziale sulla zona demilitarizzata di Idlib» e si vedranno probabilmente il 6 marzo a Mosca. Il ministro degli Esteri Lavrov, che ha porto le «condoglianze» per i militari ma ha anche puntualizzato che dovrebbero «restare all'interno delle basi di osservazione» e non mischiarsi ai ribelli.
   La rottura è stavolta difficile da sanare, e ieri sera si è riunito il Consiglio di sicurezza dell'Onu. A scanso di equivoci Mosca ha inviato nel Mediterraneo, attraverso i Dardanelli, due fregate con missili Kalibr, in grado di colpire fino a 1500 chilometri di distanza. E anche la Nato, riunita di urgenza su richiesta di Ankara, è in allarme. Il segretario generale Jens Stoltenberg ha chiamato il ministro degli Esteri turco Cavusoglu e ha condannato «i raid aerei continui e indiscriminati del regime siriano e della Russia». Nel frattempo la Bulgaria ha inviato mille soldati al confine per fermare un'eventuale ondata migratoria, mentre il premier greco Kyriakos Mitsotakis ha detto che «non saranno tollerati ingressi illegali». Ankara ha poi ammorbidito i toni e precisato, con il portavoce del ministero degli Esteri turco Hami Aksoy «non c'è alcun cambiamento nella politica verso i migranti».

(La Stampa, 29 febbraio 2020)


Che vergogna il Carnevale antisemita!

di Michael Sfaradi

 
Che nei secoli passati ci sia stata la caccia all'ebreo durante il Carnevale è cosa risaputa anche se nelle scuole e nella tradizione popolare, si è sempre preferito raccontare le caratteristiche delle varie maschere regionali anziché illustrare le malvagità che, con la scusa che a carnevale tutto potesse essere permesso, sono state sistematicamente portate a termine nei confronti delle comunità ebraiche.
   Per esempio quando nel 1466 il Papa Paolo II Barbo fissò gli spazi e il calendario del Carnevale, stabilì anche delle corse che vedevano impegnati ebrei, giovani, vecchi, asini, bufali e cavalli su una via centrale della città, all'epoca denominata via Lata, che, proprio in funzione di queste corse sarà in seguito rinominata Via del Corso. Erano proprio le corse di giudei, durante le quali il pubblico lanciava di tutto, da uova marce a bottiglie piene di urina, che aprivano i 'festeggiamenti' del carnevale romano. Corse che, per sommare alla beffa il danno, erano finanziate proprio con il denaro di una tassa particolare imposta solo agli ebrei.
   Ma non era tutto perché di tradizioni carnevalesche riguardanti gli ebrei ce n'erano diverse come ad esempio le 'giudiate', cioè rappresentazioni farsesche ambulanti su carri trainati da buoi, durante le quali venivano messe in scena delle parodie che prendevano di mira gli ebrei e i loro costumi. Si potrebbe pensare che tutto ciò è accaduto durante secoli bui dove la parola rispetto non aveva alcun senso, si potrebbe pensare che si tratti di fatti accaduti e relegati ai libri di storia e che oggi cose del genere non sarebbero neanche immaginabili.
   Niente di più sbagliato. Sì, sbagliato, perché cose simili, se non peggiori, sono accadute nei giorni scorsi, Carnevale del 2020, sia in Belgio che in Spagna.
   Simili perché nei carri allegorici del carnevale di Aalst, città belga situata nella provincia delle Fiandre Orientali, gli ebrei sono stati beffeggiati in maniera molto pesante, e per farlo gli organizzatori hanno usato i peggiori stereotipi dell'antisemitismo. Le figure sui carri che sono sfilati per il centro della città erano del tutto simili alle immagini dei peggiori giornali antisemiti del periodo fascista e nazista come il Der Stürmer tedesco o La difesa della razza italiano.
   Sono due anni di seguito, era successo anche nel 2019, che il Carnevale di Aalst, ritorna su temi antisemiti, ormai è certo che l'odio antiebraico avveleni il sangue degli organizzatori dell'evento che, non soddisfatti, si sono ripetuti trasformando il Carnevale cittadino in un qualcosa di così disgustoso che rimane oggettivamente difficile qualificare.
   Dal 2010 al 2019 il Carnevale di Aalst è stato patrimonio dell'Unesco, cosa poi annullata visto il chiaro stampo antisemita della manifestazione, ma, nonostante la perdita di uno sponsor importante come l'organizzazione dell'Onu, gli organizzatori hanno continuato con la loro linea: prendere pesantemente in giro gli ebrei sconfinando nel più puro e becero antisemitismo che per loro, evidentemente, è l'obbiettivo più importante.
   Meglio dei belgi, si fa per dire, hanno fatto gli spagnoli. Nel corteo di Carnevale di Campo de Criptana, un piccolo comune poco lontano da Madrid, sono stati fatti sfilare figuranti vestiti da nazisti e da prigionieri dei campi di sterminio accompagnati da un carro sul quale era esposto un candelabro ebraico, uno dei simboli più importanti dell'ebraismo e anche stemma ufficiale dello Stato di Israele, tra due forni crematori di cartapesta.
   Una volgarità e una mancanza di rispetto per le vittime della Shoah che, oltre a provocare le reazioni del Museo di Auschwitz e dell'Ambasciata israeliana a Madrid, ha portato il Ministro degli Esteri spagnolo Arancha Gonzàlez, a dichiarare su Twitter di essere rimasta inorridita dall'ennesima forma di banalizzazione dello sterminio perpetrato dai nazisti sul popolo ebraico.
   La risposta, le spiegazioni e le scuse degli organizzatori di questa sfilata, sono state un ridicolo tentativo di scalare una parete di ghiaccio a mani nude, perché il loro intento era quello di mettere alla berlina una religione e un popolo intero colpendolo proprio sulla pagina più dolorosa della sua storia.
   Perché toccare la Shoah senza il dovuto rispetto per sei milioni di persone, un milione cinquecentomila delle quali erano bambini, gasati, torturati, usati come cavie, stuprati nel corpo e nell'anima e poi bruciati nei crematori come rifiuti, oltre ad essere inaccettabile, almeno per coloro che nel petto hanno un pezzo di cuore e non una semplice pompa, qualifica in pieno tutti quelli che hanno ideato, organizzato e partecipato a questo scempio.
   Noi ebrei lo sappiamo bene, perché lo abbiamo imparato sulla nostra carne e sul nostro sangue, che l'antisemitismo non è un nostro problema ma un grosso handicap degli antisemiti, molti dei quali, la maggioranza, odiano gli ebrei senza averne neanche un vero motivo. Da secoli odiano in maniera ancestrale, senza un vero perché, solo per sentito dire, e questo dà la misura di quanto sia basso il quoziente di intelligenza di questi soggetti.
   Alle loro spalle però non può non esserci una cabina di regia che muove i fili di un macabro teatro di stolti burattini, una cabina di regia guidata, quella sì, da antisemiti intelligenti che hanno un ritorno dal loro odio, cabina di regia che da anni fa di tutto per attaccare gli ebrei e screditare l'unico Stato Ebraico del mondo, l'unica democrazia mediorientale.
   Questi antisemiti intelligenti, sia a destra che a sinistra, litigano su tutto ma hanno il loro unico punto e momento di incontro solo quando devono compiere azioni contro gli ebrei o contro Israele. Li vediamo e li abbiamo visti all'opera anche, e soprattutto, nell'ambito delle grandi Organizzazioni Internazionali a cominciare dall'ONU, che ormai schiava del blocco islamico ogni anno sforna decine di risoluzioni contro Israele.
   La stessa Onu che si dimentica di tutte le porcate che i peggiori regimi dittatoriali compiono liberamente sotto gli occhi distratti degli ispettori che vanno a spasso a bordo di bellissime automobili bianche con l'inutile simbolo UN dipinto sulle porte. Che dire poi della stessa Unesco, già citata in quest'articolo, che ha avuto la faccia tosta di considerare la spianata del tempio di Salomone, Re di Israele, e lo stesso Muro Occidentale, il luogo più sacro dell'ebraismo, sito unicamente islamico.
   Per finire non è da meno l'Unione europea, sempre pronta a condannare Israele anche per la più piccola cosa, ma che non ha mai avuto le palle, ad esempio, per protestare contro le esecuzioni su pubblica piazza che in Iran continuano ad essere eseguite come una catena di montaggio.
   Nel mio articolo Contro l'ipocrisia del Giorno della Memoria mi sono scagliato contro l'ipocrisia che regna sovrana ogni 27 gennaio dal 2005 ad oggi, ma è giunto il momento di dirlo chiaro e tondo che dietro alle ipocrisie di quel giorno ci sono i silenzi del resto dell'anno, perché ogni scusa è buona, e il Carnevale è solo una delle tante scuse, forse la più visibile ma non la sola, per scatenare l'odio contro l'ebreo che neanche la tragedia della Shoah è riuscita a saziare.
   È giunto il momento di dire ad alta voce che l'antisionismo è antisemitismo mascherato, tanto per rimanere in tema, e che non può essere sdoganato dietro la normale critica alle politiche del Governo di Gerusalemme.
   La critica politica è una cosa mentre l'antisionismo è la delegittimazione di quell'ideale che ha portato alla creazione dello Stato di Israele, dello Stato degli ebrei, gli stessi ebrei che sono stati pesantemente insultati durante i carnevali belga e spagnolo. L'antisionismo è la delegittimazione di uno Stato che in molti vorrebbero distruggere sia fisicamente che ideologicamente sperando, solo nella loro malata fantasia, nella creazione di nuovi ghetti dove mettere gli ebrei e insultarli a piacimento senza colpo ferire in attesa, forse, che siano approntati nuovi campi di sterminio.
   Gli organizzatori delle sfilate carnevalesche di Aalst e di Campo de Criptana e quelli che la pensano come loro, oltre ad essere degli infami sono anche dei vili perché sanno bene che attaccare in quel modo il popolo di Israele e la religione ebraica può portare al massimo a delle note di protesta o alla perdita di qualche sponsor. Vorrei vedere il loro coraggio nell'usare lo stesso metro nei confronti dell'Islam perché in quel caso, ne sono certo, oltre ad avere guerriglia in strada con i carri dati alle fiamme, rischierebbero seriamente di passare il resto delle loro inutili vite sotto scorta.
   Ma tutto questo non accadrà mai perché gli organizzatori, i figuranti e il pubblico che rimaneva ad applaudire il passaggio di quei carri sono solo dei beceri e stolti antisemiti che non avranno mai le palle per fare ciò che fece "Theo" van Gogh pagando con la vita l'uscita del film Submission, o ciò che ripetutamente fecero in nome della libertà di espressione, i vignettisti di Charlie Hebdo Stéphane Charbonnier (Charb), Jean Cabut (Cabu), Georges Wolinski, Bernard Verlhac (Tignous), Philippe Honoré, Mustapha Ourrad, Elsa Cayat, Bernard Maris, Michel Renaud e Frederic Boisseau.
   Per finire vorrei manifestare la mia rabbia nel vedere che, ancora una volta, non c'è stata da parte di nessuno alcuna levata di scudi, ma che dico, neanche uno scudo e stato portato in cielo davanti a queste assurde manifestazioni di odio antisemita, evidentemente il politicamente corretto non si applica per gli ebrei e per il loro Stato.
   Per cui, e mi rivolgo agli ipocriti politici europei di tutti i colori, visto che non siete stati capaci di nulla davanti a questo scempio, in Belgio anche reiterato, il che ha dimostrato ancora una volta che degli ebrei morti vi interessa solo il 27 gennaio mentre di quelli vivi non ve ne frega nulla durante tutto l'anno, alla prossima Giornata della Memoria non ci appestate con il vostro falso cordoglio perché, e ve lo dico con cognizione di causa, sono tanti gli ebrei vivi che aspettano solo il momento giusto per contestarvi a scena aperta.

(NicolaPorro, 28 febbraio 2020)



Riaperti i valichi tra Israele e la striscia di Gaza

Il transito di persone e merci dal territorio palestinese di Gaza con Israele riprende oggi regolarmente, dopo una interruzione di alcuni giorni dovuta ai ripetuti lanci di razzi della Jihad islamica verso il territorio israeliano. Lo ha reso noto ieri l'ufficio del coordinatore delle attività israeliane nei territori palestinesi, Kamil Abu Rukun. In parallelo i pescatori di Gaza saranno da domani autorizzati a spingersi fino a 15 miglia dalla costa.
   Queste misure - fra cui l'ingresso in Israele di migliaia di palestinesi - sono state concepite per favorire la ripresa delle attività economiche nella Striscia. Intanto, ieri sera, secondo i media locali, il generale israeliano Abu Rukun ha incontrato in Israele il Coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio oriente, Nickolay Mladenov, e l'inviato del Qatar per la striscia di Gaza, Mohammed al-Amadi. Abu Rukun ha comunque ricordato che «le misure adottate a beneficio dell'economia della Striscia resteranno in vigore solo se sarà mantenuta la calma al confine con Israele».

(L'Osservatore Romano, 28 febbraio 2020)


Israele al terzo voto, stesso stallo

Netanyahu e Gantz sono ancora appaiati. Molti temono una quarta tornata. Liberman torna l'ago della bilancia: questa volta, però, sembrerebbe più propenso a guardare al centro-sinistra. E i sondaggi ripropongono tutti gli schemi precedenti.

di Fiammetta Martegani

 
Lunedì prossimo Israele torna al voto. Per la terza volta consecutiva in meno di anno. Una crisi cominciata quando Avigdor Liberman, leader del partito nazionalista laico Yisrael Beitenu, a causa delle continue divergenze politiche con il premier Benjamin Netanyahu, soprattutto sulla gestione della situazione a Gaza e sull'obbligo di leva degli ortodossi, ha deciso di far saltare il governo, già molto instabile di suo, in cui allora assolveva l'incarico di ministro della Difesa. Così si è andati alle urne, per la prima volta, il 9 Aprile 2019. E, da allora, le cose sono rimaste tali e quali, e il confronto politico si è sviluppato sempre secondo lo stesso, identico, schema.
   Andato a vuoto il primo tentativo di formare un governo, abbiamo assistito al fallimento del secondo, dopo le elezioni dello scorso 17 Settembre. Ora siamo punto e a capo. Terza tornata, stesso problema: né il primo ministro uscente, capo indiscusso del Likud, né il suo rivale Benny Gantz, fondatore del partito centrista Blu Bianco, riescono ad emergere da una situazione di sostanziale pareggio, e a risolvere l'equazione necessaria per raggiungere la coalizione governativa 61 seggi, sui 120 della Knesset. Sia Bibi che Benny oscillano, oggi come ieri (e come l'altro ieri), intorno ai 55 seggi, anche se negli ultimi due giorni i sondaggi sembrano premiare Netanyahu, ma con solo un seggio di differenza. Che non risolve proprio nulla. Così, di nuovo, Libermann, a cui vengono accreditati i soliti 8 seggi, si ritrova ad essere l'ago della bilancia. Insieme ai due partiti ultraortodossi, Shas e Giudaismo unito nella Torah, che, in totale, oggi raggiungono i 16 seggi, ma con cui Liberman - come la maggior parte degli israeliani laici - non vuole avere nulla a che fare. Il risultato è che per l'ennesima volta i conti non tornano. E se, come suggeriscono i pronostici, il voto di lunedì finirà per confermare l'empasse, c'è già sull'orizzonte il rischio di una quarta tornata elettorale.
   Su tutto questo, aleggia il Piano di Pace proposto dall'Amministrazione Trump, che resterà congelato fino a quando in Israele non verrà assemblato un governo. Ci sono poi da considerare le conseguenze che lo stallo comporta sul piano economico. Mentre il premier uscente, oltre ai problemi con i rumorosi vicini di casa - da Gaza all'Iran - ha anche da gestire un processo penale che lo vede incriminato per frode, corruzione e abuso d'ufficio e che lo porterà in Tribunale il prossimo 18 Marzo. Negli ultimi giorni il kingmaker Liberman sembra essersi sbilanciato nei confronti di Gantz, con un'apertura anche verso il blocco della sinistra che potrebbe impensierire Netanyahu, il quale rimane saldamente ancorato ai due partiti ultraortodossi e alla lista della destra estremista Yamina.
   Invece la lista Araba Unita, il partito degli arabi israeliani (13 seggi) risulta l'unico escluso da ogni possibile accordo, perché Gantz, che avrebbe potuto prendere in considerazione un avvicinamento alla loro lista, teme in questo modo di perdere l'appoggio di Liberman. Lunedì la partita ricomincia. Tutti pronti al pareggio, senza possibilità di rigori.

(Avvenire, 28 febbraio 2020)



Israele si blinda dall'Italia

Sbarco rifiutato a tutti i viaggiatori provenienti dal nostro Paese. Il governo israeliano: non abbiamo scelta.

Tenerife
Altri due italiani positivi al test. Trump annuncia il piano. Tokyo non vuole cancellare le Olimpiadi. Scuole chiuse fino a fine marzo.
È arrivato anche in Brasile
Primo caso dell'America Latina. L'Arabia saudita chiude ai pellegrini. Ma il nuovo fronte caldo è la Corea del Sud.

di Angela Di Pietro

L'Italia fa paura al mondo (quasi) quanto Wuhan, epicentro cinese della diffusione di Covid-19. Se gli Stati Uniti non hanno ancora adottato misure chiare («Vedremo», ha fatto sapere Trump) l'Autorità per l'immigrazione israeliana ieri mattina ha impedito l'ingresso a Tel Aviv ai passeggeri provenienti dall'Italia. Ai viaggiatori, partiti da Bergamo, Venezia, Milano e Roma, è stato rifiutato lo sbarco. A dare notizia delle disposizioni adottate da Israele è stato il sito Ynet. Nove persone arrivavano da Milano, ventitré da Venezia, diciannove da Bergamo. Il governo israeliano già da giorni aveva sconsigliato i viaggi verso lo Stivale. La "stretta" di ieri è stata motivata dal primo caso di" corona - virus" registrato nel Paese dal Ministero della Sanità. Il paziente era tornato dall'Italia da quattro giorni. Allo scopo di scongiurare la fioritura sulfurea di un focolaio, è stato peraltro annunciato che tutti gli israeliani provenienti dall'Italia saranno messi in quarantena per quattordici giorni. «Non abbiamo scelta», hanno aggiunto le autorità del posto, rendendo noto il provvedimento.
   Intanto si susseguono, a ritmo vertiginoso, i dati aggiornati sui contagiati dal terribile virus. Sono 2.800 le vittime. L'unico posto in cui il covid-19 non è ancora arrivato risulta essere l'Antartide. In Europa il contagio ha subìto un'accelerazione, toccando Svezia, Norvegia, Grecia e Algeria. Accertati quattro casi in Svizzera. In Cina, per la prima volta, è stato verificato un numero più contenuto di infezioni da un mese a questa parte. 409 i contagiati, 26 le vittime. Se l'aggiornamento rilascia motivo di sollievo, in Giappone sembra ci sia poco da ridere. Una guida turistica di 40 anni proveniente da Osaka, in Giappone, è risultata positiva al coronavirus una seconda volta, dopo essere guarita in una precedente occasione, attraverso cure e riabilitazione (durate un mese) in ospedale. Ecco perché il Giappone ha disposto al chiusura delle scuole elementari e di secondo grado a partire dal due marzo prossimo. L'Arabia Saudita, dal canto suo, ha deciso di bloccare i pellegrinaggi verso la Mecca. L'America non ha sospeso i voli (ma a turisti della provincia di Latina è già stato bloccato il viaggio programmato a New York) ed è probabile che una decisione in tal senso, da parte del presidente, abbia bisogno di ulteriori verifiche sullo stato dei contagi. L'Europa trema: l'Italia e l'Iran risultano essere al momento, gli epicentri della malattia che più impensieriscono. Se la Gran Bretagna affronta con difficoltà l'emergenza, i primi casi sono stati registrati in Estonia, Danimarca e Romania. La Bulgaria ha sconsigliato di viaggiare verso l'Italia se non per assoluta necessità. In Corea del Sud i casi sono arrivati a numeri congrui: 1.766 contagiati. La Corea del Nord ha chiesto ai propri connazionali di "rispettare" le misure di emergenza imposte dalla dittatura.

(Il Tempo, 28 febbraio 2020)


Coronavirus, Israele: entro 3 settimane avremo il vaccino

Ministero della Salute: team di scienziati in procinto di svilupparlo

 
MIGAL - Galilee Research Institute
Un team di scienziati israeliani è in procinto di sviluppare il primo vaccino contro il coronavirus.
   L'annuncio è del ministro israeliano della Scienza e della Tecnologia, Ofir Akunis come riporta il Jerusalem Post secondo il quale, se tutto va come previsto, il vaccino potrebbe essere pronto entro tre settimane e disponibile in 90 giorni.
   "Congratulazioni al MIGAL (Galilee Research Institute, ndr) per questa eccitante svolta. Sono fiducioso che ci saranno ulteriori rapidi progressi, che ci consentiranno di fornire una risposta necessaria alla grave minaccia globale COVID-19 ", ha affermato Akunis.
   Negli ultimi quattro anni, un team di scienziati MIGAL ha sviluppato un vaccino contro il virus della bronchite infettiva, una malattia che colpisce il pollame, la cui efficacia è stata dimostrata in studi preclinici condotti presso l'Istituto veterinario, ricorda il Jerusalem Post. "Il nostro concetto di base era quello di sviluppare la tecnologia, e non specificamente un vaccino per questo tipo o quel tipo di virus", ha affermato Chen Katz, leader del gruppo biotecnologico del MIGAL, che ha spiegato che "il quadro scientifico per il vaccino si basa su un nuovo vettore di espressione proteica, che forma e secerne una proteina solubile chimerica che trasporta l'antigene virale nei tessuti della mucosa mediante endocitosi autoattivata, inducendo l'organismo a formare anticorpi contro il virus".
   L'endocitosi è un processo cellulare in cui le sostanze vengono introdotte in una cellula circondando il materiale con la membrana cellulare, formando una vescicola contenente il materiale ingerito. Katz ha affermato che negli studi preclinici, il team ha dimostrato che la vaccinazione orale induce alti livelli di anticorpi specifici anti-IBV. "Chiamiamolo pura fortuna", ha continuato. "Abbiamo deciso di scegliere il coronavirus come modello per il nostro sistema, proprio come una prova di concetto per la nostra tecnologia." Ma dopo che gli scienziati hanno sequenziato il DNA del nuovo coronavirus, COVID-19, i ricercatori del MIGAL lo hanno esaminato e hanno scoperto che il coronavirus del pollame ha un'elevata somiglianza genetica con il coronavirus umano e che utilizza lo stesso meccanismo di infezione, un fatto che aumenta la probabilità di ottenere un vaccino umano efficace in un periodo di tempo molto breve.
   "Tutto ciò che dobbiamo fare è adattare il sistema alla nuova sequenza", ha continuato Katz. "Siamo nel mezzo di questo processo e speriamo che tra qualche settimana avremo il vaccino nelle nostre mani. Sì, tra qualche settimana, se tutto funzionasse, avremmo un vaccino per prevenire il coronavirus". Katz ha avvertito che MIGAL sarebbe responsabile dello sviluppo del nuovo vaccino, ma che il vaccino dovrebbe quindi passare attraverso un processo regolatorio, compresi studi clinici e produzione su larga scala. Akunis ha dichiarato di aver incaricato il direttore generale del Ministero della Scienza e della Tecnologia di accelerare tutti i processi di approvazione con l'obiettivo di portare sul mercato il vaccino umano il più rapidamente possibile. "Data l'urgente necessità globale di un vaccino contro il coronavirus umano, stiamo facendo tutto il possibile per accelerare lo sviluppo", ha affermato David Zigdon, CEO di MIGAL, che ha dichiarato di ritenere che il vaccino potrebbe "ottenere l'approvazione della sicurezza in 90 giorni".
   Ha detto che si tratterà di un vaccino orale, che lo renderà particolarmente accessibile al grande pubblico. "Attualmente stiamo discutendo intensamente con potenziali partner che possono aiutare ad accelerare la fase di sperimentazione sull'uomo e ad accelerare il completamento dello sviluppo del prodotto finale e le attività normative", ha concluso.

(askanews, 27 febbraio 2020)


Di Segni alla mostra trentina sull'invenzione del colpevole

La presidente delle Comunità ebraiche in Italia era insieme a Oren David ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. Parlano Bressan e Primerano. Il dialogo nasce anche dalla conoscenza della storia delle altre fedi nelle proprie scuole.

di Diego Andreatta

TRENTO - Anche un mea culpa pubblico, documentato con una mostra di rigore scientifico, fa crescere il dialogo fra le fedi. Accade a Trento, dove al Museo diocesano è ricostruita la triste vicenda del Simonino nella mostra "L'invenzione del colpevole", visitata dall'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede, Oren David insieme a Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei).
   «Una giornata storica», ha commentato commossa la presidente Di Segni ringraziando la Chiesa trentina per la mostra allestita «con coraggio e maturazione, aiutando anche a collegare l'antisemitismo di oggi con quello del passato e con ogni forma di razzismo e di pregiudizio». Evitando il rischio di riaprire ferite di secoli, poiché l'inesistente omicidio rituale del piccolo Simone da Trento di cui furono incolpati gli ebrei nella Pasqua del 1475 sulla base di falsi processi" aveva cacciato gli ebrei da Trento e diffuso (anche attraverso un'iconografia stereotipata) la propaganda contro i "perfidi ebrei". «La Chiesa trentina ha saputo chiedere scusa, abolendo il culto nel 1965», ha ripetuto l'arcivescovo emerito Luigi Bressan (in rappresentanza di monsignor Lauro Tisi che ha incontrato l'ambasciatore David), osservando peraltro che «la decisione assunta sulla base di dati storici fu accolta senza difficoltà nel dopo Concilio e che in questi anni nessun trentino ha chiesto di ripristinare il culto, semmai solo alcune persone venute da fuori».
   Dopo aver guidato i due illustri ospiti nelle sale di Palazzo Pretorio, che documentano le brutture dell'odio antisemita, la direttrice Domenica Primerano, ha annunciato l'intenzione di dedicare al Simonimo «caso emblematico di fake news» una sezione permanente del Museo diocesano Tridentino. «È importante che questo lavoro culturale non si fermi ai ranghi alti delle istituzioni ecclesiali, ma si diffonda capillarmente fino agli ambiti parrocchiali e familiari», ha osservato Di Segni, ribadendo che il dialogo nasce anche dalla conoscenza della storia delle altre religioni anche nelle proprie scuole. A proposito, con una certa autocritica, ha ammesso che talvolta permane nelle comunità ebraiche una certa diffidenza verso chi si avvicina loro per conoscere meglio la tradizione religiosa e la cultura. «Anche noi, dopo secoli in cui abbiamo avuto un atteggiamento protettivo, dobbiamo saperci aprire», ha osservato, citando come esperienza positiva un incontro promosso recentemente con donne di altre religioni non per un convengo ma per cuocere insieme il pane.

(Avvenire, 28 febbraio 2020)


"Pinzolo, vinta la sfida dell'aggregazione"

"Serve sforzo per le piccole Comunità"

 
 
 
"Vacanza ebraica, piacere di conoscersi". È lo slogan che ha caratterizzato il tradizionale momento di incontro invernale organizzato a Pinzolo dall'area Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretta dal rav Roberto Della Rocca. Momenti di svago sulle piste, lezioni di Torah, occasioni di confronto sul futuro dell'ebraismo italiano. Questa la formula di un'edizione, conclusasi domenica scorsa, che ha portato a Pinzolo più di 200 persone (di cui oltre la metà giovani e giovanissimi).
   Positivo il bilancio dei Consiglieri dell'Unione che hanno partecipato. "In questa edizione - sottolineano in un messaggio congiunto l'assessore alla Cultura David Meghnagi e i Consiglieri Sara Cividalli e Joram Orvieto - si è raggiunto il vertice più alto di un trend di partecipazione registrato negli ultimi tre anni: oltre 200 persone di cui una grande maggioranza di bambini e bambine, ragazzi e ragazze le cui risate e le cui corse per i corridoi facevano aumentare il buonumore e l'allegria. Tutto il campeggio si è svolto all'insegna del desiderio di stare insieme, condividere momenti di studio e di svago. Molte le nuove conoscenze, ognuna speciale". Nel corso di un dibattito circa il lavoro dell'UCEI in merito ai progetti culturali nazionali, i tre esponenti dell'Unione riferiscono che "è emersa la richiesta dei partecipanti (la stragrande maggioranza degli adulti presenti al raduno) di attivare maggiori idee, risorse e sforzi per progetti volti a creare rapporti e contatti più solidi tra grandi e piccole Comunità". Trascorrere una settimana insieme, il parere dei Consiglieri, "serve ad approfondire conoscenze perfino tra membri della stessa Comunità: un'occasione unica e preziosa anche per costruire futuri volontari per progetti di interesse nazionale a supporto delle nostre istituzioni". Un apprezzamento è poi rivolto agli organizzatori.
   "Ci sono tante cose che hanno funzionato, dallo sviluppo di temi culturali al clima rilassato e stimolante che ha caratterizzato tutta la settimana. In particolare hanno funzionato molto bene le attività per i più piccoli, nel segno di gioia e vitalità. Positivo - dice Meghnagi - anche il coinvolgimento dei Consiglieri presenti, chiamati a confrontarsi sul lavoro e le sfide dell'Unione". L'assessore UCEI si è anche messo in gioco tenendo una colta lezione sull'umorismo ebraico. Un tema ben più sofisticato, ha ricordato nella sua lezione, di quel che certe banalizzazioni e semplificazioni vogliono talvolta trasmettere.
   Per Meghnagi, nel complesso, Pinzolo è stata una riuscita "osmosi tra sport, attività ricreative e cultura". Anche se, suggerisce, "andrebbero fatti maggiori investimenti per coinvolgere chi non ha i mezzi economici per partecipare e le piccole Comunità: il rischio altrimenti è di rafforzare l'idea di un circolo ristretto che esclude chi non ha la possibilità di affrontare i costi di partecipazione. E questo è un grande peccato". Tra le proposte avanzate a Pinzolo la possibilità che ragazzi delle piccole Comunità possano trascorrere una settimana presso le scuole delle grandi e medie Comunità. Una proposta che, sottolinea, ha già ottenuto diversi riscontri favorevoli.
   Auspica un investimento verso le piccole Comunità anche la Consigliera Cividalli: "È fondamentale - dice - che si trovi il modo di far venire più persone da queste realtà". Positivo in ogni caso, come detto, anche il suo feedback: "Nonostante si fosse in oltre 200 partecipanti, quindi con un certo livello di complessità da gestire, tutto è filato liscio senza intoppi. Una macchina che ha ben funzionato dal primo all'ultimo giorno. Non era scontato. E quindi ciò è senz'altro un merito da riconoscere agli organizzatori".
   Shulim Vogelmann, editore, 41 anni, vive tra Firenze e Roma ed è stato a Pinzolo con la moglie e le due figlie. "Una bella occasione per stare tutti insieme. Per ritrovare volti conosciuti, che si danno appuntamento a questa iniziativa ormai da diversi anni, e per conoscere nuove persone". Filo conduttore delle lezioni del rav Della Rocca è stato quest'anno il tema della preghiera. "Molto interessante e coinvolgente", osserva Vogelmann. Così come l'occasione di confronto che vi è stata sulle modalità di sostegno a Comunità numericamente più piccole. È in quella direzione, dice, che bisogna lavorare.
   David Parenzo, giornalista, 44 anni, nato a Padova ma residente a Roma, è un altro frequentatore regolare di Pinzolo. Ci è tornato anche quest'anno, con la moglie e i tre figli. "Ci sono tanti elementi ad attrarre: un clima speciale di interazione, lo spirito aggregativo, la qualità delle lezioni. È un discorso che vale per noi genitori, ma anche per i nostri figli. Sono felice - afferma - che possano assaporare tutto ciò". Anche per Parenzo una mancanza significativa è nello scarso coinvolgimento delle piccole Comunità, che ad oggi partecipano in modo limitato. "Forse - afferma - andrebbero trovate delle formule per aiutare".
   Carol Raccah, 38 anni, romana, vive a Tel Aviv da 11 anni. Ha quattro figli e Pinzolo da tempo è un'occasione per "fargli conoscere il nostro ebraismo, che ha delle sue specificità rispetto a quello che sono abituati a vivere in Israele". Il momento aggregativo di per sé, sottolinea, "è stata la cosa più importante". Ma anche il supporto dei madrichim, "che prendendosi costantemente cura dei bambini ci hanno concesso del tempo libero, anche per seguire le lezioni". Carol e la sua famiglia hanno un'abitudine fissa prima di Pinzolo. "Trascorriamo sempre uno Shabbat in una piccola Comunità. Un piccolo, concreto, segno d'attenzione". Per quanto riguarda le criticità, "da migliorare il supporto e le attività per giovani in fascia d'età 10-16 anni".
   Anche per Alessandro Cohen, 46 anni, milanese, da 17 anni in Israele, un'esperienza da ricordare. "Ci siamo trovati bene, in un bel gruppo di persone molto affiatato. Io ero lì con i miei quattro figli, anche per loro è stata una settimana gratificante". Tra gli aspetti da migliorare sul piano organizzativo, sostiene Cohen, "le serate forse troppo lunghe per i bambini, con evidenti ripercussioni al mattino successivo".
   Per Carol, Alessandro e gli altri Italkim che hanno partecipato il ricordo di Pinzolo è oggi una consolazione rispetto a giornate purtroppo non semplici da affrontare. Per chi ha soggiornato in Italia nelle ultime settimane lo Stato di Israele ha infatti disposto l'isolamento obbligatorio. Una misura resa necessaria dall'emergenza Coronavirus. È nato così un gruppo Whatsapp, "Pinzolo in quarantena", in cui le persone che devono rispettare l'isolamento condividono i momenti più significativi della vacanza e cercano di tirarsi su il morale a vicenda.

(moked, 28 febbraio 2020)


La realtà si è già capovolta, non ci serve il vostro Carnevale triste, sudato e antisemita

Occorre una quarantena morale per i cortei

dI Micol Fiammini

Ad Aalst, città belga poco conosciuta se non per il Carnevale, nel 2019 la sfilata in maschera si era riempita di figure enormi con nasi grandi, lineamenti grotteschi e payot, i riccioli tipici degli ebrei ortodossi. Le figure avevano topi sulle spalle e denaro ovunque, nelle tasche, sotto i cappelli di pelliccia, in bocca, che stringevano nelle mani. La manifestazione antisemita è stata troppo persino per l'Unesco, che ha deciso di rimuovere il Carnevale di Aalst dalla lista dei patrimoni culturali per l'umanità.
   Un anno dopo, tra la gente che si accalcava, le birre in mano e i coriandoli per le strade, hanno sfilato gli stessi carri, le stesse figure enormi, gli stessi nasi, lo stesso ghigno sulla bocca mentre avvinghiano le banconote. Tutto intorno, persone mascherate con cappelli di pelliccia e payot, metà uomini e metà insetti: dalla vita in giù indossavano costumi da formiche o parassiti. La decisione dell'Unesco dello scorso anno non ha suscitato abbastanza imbarazzo e gli organizzatori del Carnevale delle Fiandre non hanno impedito le manifestazioni antisemite, già nel 2013 c'era chi andava in giro con l'uniforme della Gestapo e con lattine con la scritta Zyklon B.
   In Spagna, a Campo de Criptana, dopo che il Carnevale di Aalst era stato condannato la settimana prima - purtroppo soltanto a parole e dopo le rimostranze della comunità ebraica e di Israele - la sfilata di lunedì scorso è incominciata con una parata di uniformi naziste, con al seguito un corteo di ragazzi vestiti da prigionieri dei campi di concentramento e accompagnati da un carro raffigurante due forni crematori. Ragazze vestite da SS, truccatissime e scollatissime, trascinavano i prigionieri e l'associazione culturale che aveva organizzato la sfilata si è giustificata dicendo che l'intenzione era quella di commemorare gli ebrei morti durante l'Olocausto.
   Per fortuna il Carnevale è finito e delle mascherate imbarazzanti e vergognose dovremo preoccuparci tra un anno. Abbiamo un anno per riflettere e per capire cosa fare di questa festa, che porta con sé, da sempre, le deformità, le bassezze, le storture dell'umanità. Che dice sempre il non detto, racconta l'esagerato, esprime l'impensabile. O lo ami o lo odi il Carnevale, o la ami o la odi la gente, sempre troppa, o la ami o la odi quella voglia di tirare il disumano fuori dall'umano. La festa mascherata è nata come l'occasione per abusare della libertà di parola e di espressione, era il periodo in cui era consentito ridere dei potenti, imitarli in pubblico, confondere le forme, ridere, bere, mangiare, in modo esagerato. Il Carnevale era la festa della smorfia, della realtà che si ribalta, del mondo sottosopra, per un giorno. Oggi che la quotidianità appare già a testa in giù e l'indicibile viene ormai detto tutti i giorni e in tutti i luoghi, la festa mascherata ne è già diventata lo specchio. Il Carnevale, da sempre, spinge la realtà oltre i suoi confini, ma i carri antisemiti di Aalst e di Campo de Criptana dimostrano che la festa non sa più esagerare e provocare nei limiti: è diventata abuso della libertà di espressione. Forse bisognerebbe fermarsi, ripensare la festa dove non è vero che tutto è permesso, dove non è vero che vale tutto. Valgono gli scherzi, ma l'antisemitismo non è uno scherzo.
   Mettere in quarantena il Carnevale per un po' è un'occasione per ragionare. Altrimenti non rimarrà che guardare alla festa mascherata e sempre sudata con l'orrore della cancelliera tedesca Angela Merkel, che da quindici anni è costretta ad assistere alle sfilate, a guardare i carri, a battere le mani, e lo fa con aria tristissima. Non è mai riuscita a nascondere le espressioni di sdegno. Detesta il Carnevale. Impossibile non capirla.

(Il Foglio, 28 febbraio 2020)



Il Coronavirus potrebbe far perdere 14 miliardi di dollari all'economia di Israele

di Paolo Castellano

Il governo israeliano, come altri paesi nel mondo, sta cercando di organizzare delle efficaci misure per affrontare i fenomeni sociali ed economici causati dalla diffusione del Coronavirus. Secondo il The Times of Israel, una possibile epidemia di Coronavirus potrebbe abbassare dell'1% il prodotto interno lordo dello Stato ebraico. Dunque, il ministero della Salute e dell'Economia stanno lavorando a stretto contatto per prevenire possibili spiacevoli effetti di un focolaio tra i cittadini israeliani. I tecnici stanno tenendo sotto controllo tutti quei paesi che stanno affrontando l'emergenza sanitaria.
   Dunque, il 25 febbraio il ministero dell'Economia israeliano ha diffuso pubblicamente le sue stime legate a un possibile scenario di difficoltà sociale ed ha affermato che l'economia israeliana potrebbe perdere uno 0.25 di PIL. Secondo le stime, il deficit si potrebbe attestare tra il miliardo e 14 miliardi di dollari. Queste previsioni però non prendono in considerazione una situazione da incubo in cui si possano sviluppare dei focolai in Israele, riporta Globes.
   È giusto ribadire che lo Stato israeliano è riuscito finora ad evitare qualsiasi contagio. Attualmente gli unici casi confermati riguardano i cittadini a bordo della nave da crociera Diamond, diventata un'incubatrice della malattia. Israele ha utilizzato la quarantena per i casi sospetti che consiste, come su indicazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nell'isolare i pazienti per un periodo di 14 giorni. La maggior parte delle quarantene sono domestiche per evitare un sovraccarico all'interno degli ospedali israeliani. Inoltre sono state adottate rigorose misure nell'impedire l'ingresso agli stranieri provenienti in prevalenza dai paesi asiatici.
   Moshe Kahlon, ministro delle Finanze, ha convocato una riunione d'emergenza il 25 febbraio per illustrare le sue proiezioni sull'economia israeliana. Ha inoltre svolto dei colloqui con i responsabili della Banca d'Israele. Shira Greenberg, Capo economista del ministero delle Finanze, ha affermato invece che le attività macroeconomiche per ora non sono state toccate dal fenomeno del Coronavirus. Infine, Bezalel Smotrich, ministro dei Trasporti, ha dichiarato che la compagnia aerea di Stato, la El Al, ha già perso 50 milioni di dollari a causa del virus. Il governo israeliano sta agendo anche in prospettiva delle elezioni della prossima settimana. Una pandemia ridurrebbe infatti l'affluenza alle urne.

(Bet Magazine Mosaico, 27 febbraio 2020)


Israele vieta l'ingresso agli italiani. Chi arriva verrà rimandato indietro

Il ministro degli Interni israeliano, Aryeh Deri, ha espresso l'intenzione di firmare in giornata un documento ufficiale con cui vietare l'ingresso degli italiani in Israele. La decisione sarebbe finalizzata a contenere la diffusione del coronavirus dopo i numerosi casi diagnosticati in Italia. Il ministero della Sanità israeliano ha annunciato oggi il primo caso di coronavirus in Israele. Si tratta di un uomo rientrato dall'Italia quattro giorni fa. «Non abbiamo altra scelta, il virus si è diffuso in Italia», ha dichiarato Deri al sito di Ynet.
Intanto tutti gli israeliani che provengono dall'Italia saranno messi in quarantena per 14 giorni. Times of Israel segnala che per questo pomeriggio è previsto l'arrivo di un volo da Bergamo all'aeroporto israeliano di Ramon. Gli israeliani saranno messi in quarantena e gli altri 119, in gran parte italiani, verranno mandati indietro.

(Il Tempo, 27 febbraio 2020)


Nel libro di Piccirilli la ricostruzione della storia della deportazione di 2000 carabinieri

di David Di Segni

"Carabinieri Kaputt!" è il libro scritto dal giornalista Maurizio Piccirilli per ricordare una storia poco nota, quella della deportazione di oltre 2.000 carabinieri avvenuta a Roma il 7 ottobre 1943, nove giorni prima della retata del ghetto ebraico. Dopo l'armistizio avvenuto l'8 settembre 1943, il generale Rodolfo Graziani, Ministro della difesa della Repubblica Sociale, intimò ai carabinieri di deporre le armi. Così, i tedeschi riuscirono ad imprigionarne oltre duemila, spediti poi nei lager perché considerati di 'intralcio nell'operazione di deportazione degli ebrei di Roma', così scritto in un telegramma indirizzato dalla Gestapo al colonnello Herbert Kappler, capo delle SS nella capitale. Storia, testimonianze dirette dei carabinieri che fecero ritorno, di cui una tratta da un diario di un Maresciallo sopravvissuto, le pagine ricordano "il giorno dell'infamia e del tradimento".
Il libro è stato presentato presso la Fondazione Museo della Shoah alla presenza del Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette, e del Capo Ufficio Storico del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Antonino Neosi. Intervenuti anche lo storico Matteo Stefanori ed il moderatore Amedeo Osti Guerrazzi, con i saluti del presidente CER, Ruth Dureghello, e di Mario Venezia presidente Fondazione Museo della Shoah.
Dibattito sul libro (15 nov 2019)



(Bet Magazine Mosaico, 27 febbraio 2020)



Scontro Sanders-Israele. Così la politica estera entra nel dibattito Dem per Usa2020

Sanders contro le decisioni di Trump su Israele. Polemica tra il democratico e Gerusalemme. La politica estera entra nel dibattito Dem per Usa 2020

di Emanuele Rossi

Israele, ma non solo: la politica estera s'affaccia nella campagna elettorale per Usa 2020: finora, fatto salvo il tormentone su per chi vota Putin, ne era stata praticamente assente. La scintilla s'accende nel decimo dibattito fra aspiranti alla nomination democratica, in South Carolina, dove sabato ci saranno le primarie. Ma già negli ultimi giorni alcune dichiarazioni di Bernie Sanders, su Cuba e sui rapporti con le dittature, e di Joe Biden - su un incerto episodio del suo passato in Sud Africa - avevano suscitato qualche polemica.
   Bernie Sanders, che è ebreo, afferma di sostenere Israele, ma definisce il premier israeliano Benjamin Netanyahu un "razzista reazionario" e s'impegna "a rivalutare", quando sarà presidente, la decisione di spostare l'ambasciata degli Usa da Tel Aviv a Gerusalemme presa da Donald Trump. "Sono molto orgoglioso di essere ebreo - ha detto il senatore del Vermont che da giovane ha vissuto alcuni mesi in un kibbutz e che potrebbe essere il primo ebreo candidato alla Casa Bianca - ma credo che, in questo momento, tristemente e tragicamente, in Israele con Netanyahu ci sia alla guida del Paese un razzista reazionario". Netanyahu, che non aveva una buona intesa con Barack Obama, ha ottimi rapporti con Trump.
   Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha definito"scioccanti" le dichiarazioni di Sanders: "È la seconda volta che parla contro lo Stato di Israele su temi base del credo e della storia ebraici e della nostra sicurezza. La prima volta aveva parlato di Gaza […] senza comprenderne la realtà e perché ci difendiamo: vuole negarci il diritto all'autodifesa […] E ora di Gerusalemme…".
   Nei giorni scorsi, Sanders era stato criticato per la decisione di disertare l'annuale conferenza dell'American Israel Public Affairs Committee (Aipac), sostenendo che i leader dell'associazione pro Israele appoggiano "leader che esprimono intolleranza" verso i palestinesi. Nel dibattito di ieri, c'è stata un'eco delle polemiche: al senatore, la cui famiglia ebrea emigrò negli Usa dalla Polonia e che conserva l'accento degli ebrei di Brooklyn, è stato chiesto cosa direbbe agli ebrei americani preoccupati perché non sostiene abbastanza Israele".
   "Credo che la nostra politica estera in Medio Oriente sia assolutamente di proteggere l'indipendenza e la sicurezza di Israele" ha risposto Sanders, senza "ignorare le sofferenze del popolo palestinese". Da presidente, cercherà di creare "un contesto teso a far incontrare le nazioni del Medio Oriente quello che Trump non ha mai fatto". Concetti poi ribaditi in un tweet a dibattito concluso. L'Aipac, un gruppo che promuove politiche pro Israele presso il Congresso e l'Amministrazione Usa, aprirà domenica la sua conferenza.
   Nel dibattito, Sanders s'è pure dovuto difendere dalle accuse di essere aiutato dalla Russia ("Non è vero") e di essere indulgente con la Cuba di Fidel Castro: "Sono contro tutte le dittature. Ma, come Obama, ho detto che Cuba ha fatto molti progressi sul fronte dell'istruzione e della sanità!". Biden ha reagito:"Obama non ha mai detto qualcosa di positivo su quanto fatto dalla dittatura di Cuba", pur lavorando a un disgelo con il regime castrista.
   Le dichiarazioni di Sanders su Cuba, fatte in tv lunedì 24, erano state criticate anche da Mike Bloomberg e Pete Buttigieg. In un'altra intervista, Sanders s'era detto pronto a incontrare da presidente degli Usa anche dittatori, fra cui il leader nord-coreano Kim Jong-un, preparandosi però meglio di Donald Trump: "Incontrare gli antagonisti non è una cosa di per sé negativa". Verso il voto in South Carolina, Biden ha ieri ricevuto l'appoggio del deputato Jim Clyburn, l'afro-americano di più alto rango al Congresso - è il capo della maggioranza alla Camera - e il più influente in questo Stato.
   La senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren ha invece avuto l'endorsement del Boston Globe, prestigioso quotidiano di casa, che un anno fa l'aveva invitata a riconsiderare la sua candidatura. In un fondo a firma dell'editorial board, il quotidiano esprime apprezzamento per diversi altri candidati, ma conclude che lei è l'unica democratica che "picca come un leader per qualifiche, precedenti e tenacia nel difendere i principi della democrazia, introdurre correttezza nel'economia […] e portare avanti un'agenda progressista".
   Il Boston Globe elogia anche la battaglia della Warren contro la corruzione e le capacità mostrate nei dibattiti tv: "Ha il maggiore potenziale tra i candidati alla nomination democratica per mettere a nudo la debolezza di Trump", in un confronto individuale. Sui sentieri della campagna, infine, Buttigieg si è ammalato e ha dovuto cancellare almeno quattro eventi previsti in Florida: per il suo portavoce Chris Meagher, è solo un raffreddore. Mayor Pete, in Florida, cerca di fare cassa in vista del Super Martedì e ha in agenda una serie di raccolte fondi.

(Formiche.net, 27 febbraio 2020)


Quelle profughe combattenti. Voci ebree in una Bari del 1944

La ricerca di Pasquale Gallo e l'amarcord di una Puglia che fece da «ponte». La croata Milica, la fuga di Herta e la viennese Elisabeth: storie uniche messe a confronto

di Vito A Leuzzi

Il recupero della memoria relativa alle drammatiche vicende di donne straniere, di origine ebraica che trovarono rifugio a Bari dopo l'armistizio dell'8 settembre caratterizzandosi per l'apporto alla lotta antinazista, è al centro di un recentissimo volume di Pasquale Gallo, Profughe e combattenti ebree nella Bari del 1944, (Edizioni dal Sud, pagg. 126 Euro 15). L'autore ha il merito di ricostruire le storie di vita di «queste eroine dell'antifascismo», rimaste sino ad oggi nell'oscurità, che svolsero una intensa attività intellettuale come giornaliste, scrittrici ed autrici di testi poetici e teatrali. Balza all'attenzione la vicenda esistenziale di Ina Jun Broda, originaria di Zagabria, sfuggita avventurosamente alla cattura da parte dei nazisti, dopo l'assassinio del figlio e del marito in un lager croato. «Ina dalle sette vite» cercò rifugio nel capoluogo pugliese assieme allo scrittore Franz Theodor Csokor, esule viennese e noto drammaturgo che prestò la sua opera per il PWB, come speaker a Radio Bari. Entrambi in fuga dall'isola di Korcula - Ina, fedele agli ideali rivoluzionari, «disperata ma ribelle» fu utilizzata come interprete ed intelligence nell'VIII armata inglese.
   Nella sua permanenza prima a Bari e poi a Roma con i suoi versi poetici, denunciò la barbarie in atto. «La profonda e dolorosa riflessione» ed al contempo «l'impeto di ribellione», si evidenziano con forza nel componimento poetico, dal titolo: Il poeta nella barbarie:
   «Da tempo sarei dovuta essere morta.
   Per legge sarei dovuta essere impiccata,
   fucilata, violentata e gasata».
Il prof. Gallo con una ben documentata ricerca in archivi e biblioteche, non solo in Italia, e con la traduzione di diversi testi poetici e letterari, ricostruisce la fuga dal terrore nazista di Herta Reich, il suo arrivo in Italia, l'internamento in un campo abruzzese sino all'arrivo a Bari come profuga in un ex campo di concentramento militare. Nei campi profughi del capoluogo pugliese, Torre Tresca a Carbonara e Palese, Herta, assieme a suo marito, iniziò una nuova vita. Approdò a Bari proveniente dall'isola di Vis, anche Milica Leitner di origine croate, la cui vicenda esistenziale, contemplata in un noto romanzo antifascista di Vlado Obad, ha «sensibilmente influenzato la letteratura austriaca dell'esilio». Assieme allo scrittore Alexander Sacher Masoch, Milica collaborò a Radio Bari nelle trasmissioni in croato dirette al fronte iugoslavo.
   Tra le profughe straniere «dalla tempra d'acciaio, coraggiose, indomite», che ebbero un ruolo attivo nella resistenza antinazista, spiccano le figure di Ha viva Reik, una militante ebrea che svolse un'opera straordinaria per la liberazione della Slovacchia e di Hannah Senesh, figlia di un noto drammaturgo molto apprezzato nella comunità artistica ebraica di Budapest . Queste giovani poetesse, addestrate prima al Cairo e poi a Bari (estate del 1944) parteciparono alle più importanti missioni segrete dell'Agenzia ebraica e del Soe (operazioni speciali britanniche), tra cui l'operazione Amsterdam». Queste straordinarie combattenti ebree con la loro militanza e con l'intensa produzione poetica, riflesso di esperienze esistenziali dolorose e testimonianze della guerra e del terrore degli uomini di Hitler, costituirono un simbolo eroico del nuovo Stato di Israele.
   Pasquale Gallo a chiusura di questo singolare ed inedito contributo di ricerca, storico-letterario e memorialistico, pone l'accento sulla vicenda drammatica di una giovane ebrea Elisabeth Weiss di origini viennesi e proveniente da un ex campo di concentramento fascista del Molise che a Bari iniziò a lavorare nelle strutture di accoglienza degli anglo americani e svolse un ruolo attivo nell'Associazione dei liberi austriaci costituitasi a Bari nel 1944 ad opera di due esuli Theodor Csokor e Shacher Masoch . Assieme al giovane Ervin Furst, il 9 aprile del 1945, Elisabeth fu coinvolta nell'esplosione del piroscafo americano Henderson che provocò diverse centinaia di vittime tra i lavoratori portuali, tra i cittadini di Bari vecchia e tra i profughi. In uno scritto di Cskor si legge «salvatasi nell'Italia libera, prestando sevizio presso gli alleati, è morta in una esplosione che ha annientato il suo posto di lavoro. Non è stata una morte in guerra, eppure lo è stata. Non si muore soltanto sul campo di battaglia. In quei giorni il fronte era dovunque. Anche al tavolo dove la giovane Elisabeth lavorava era il fronte, lì è caduta per mondo di domani».

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 27 febbraio 2020)


Netanyahu più forte in Israele. Il nemico allora è Sanders

Articolo di un autore notoriamente anti-israeliano da cui si possono trarre notizie interessanti. NsI

di Michele Giorgio

GERUSALEMME - Benyamin Netanyahu si sente più forte. A meno di una settimana dal voto i sondaggi sorridono al Likud. Rimasto per mesi indietro alla lista avversaria, Blu e Bianco, il partito del premier per la prima volta nei giorni scorsi ha messo la testa avanti. E la coalizione di destra porterebbe a casa 57 seggi contro i 55 del centrosinistra. Certo, entrambi gli schieramenti non raggiungono i 61 seggi sui 120 richiesti per formare una maggioranza, ma Netanyahu si accontenta perché il 44% degli israeliani lo considera più idoneo di Gantz (35%) a guidare il paese.
   A metà marzo il premier andrà sotto processo per corruzione ma gli israeliani di destra non ritengono importante la sua integrità di uomo politico e cittadino. Contano di più l'espansione delle colonie e il controllo di tutta Gerusalemme e della Cisgiordania occupata nel 1967, di cui il primo ministro si è fatto garante. A maggior ragione ora che Donald Trump ha presentato un "piano di pace" oltremodo favorevole a Israele. Arrivare primo il 2 marzo per Netanyahu significa presentarsi in tribunale in qualità di capo del partito vincitore e forte di una investitura popolare. Poco importa se lo stallo politico resterà irrisolto e Israele prenderà la strada di una clamorosa quarta consultazione elettorale.
   Per salutare i sondaggi favorevoli, Netanyahu ha annunciato la costruzione di altre 3500 case per coloni in quella che per oltre due decenni è stata un'area proibita per l'espansione coloniale: la zona El - tra Gerusalemme e la colonia orientale di Maale Adumim - nella quale, anche su pressione delle passate Amministrazioni Usa, erano stati congelati i progetti di costruzione per non compromettere la soluzione dei Due Stati, Israele e Palestina. Ora alla Casa Bianca c'è Trump, pronto a consegnare a Israele l'intera Gerusalemme, i Territori palestinesi e il Golan siriano. E il premier israeliano non ha più ostacoli. Edificare nella zona El significa tagliare in due la Cisgiordania e impedire l'eventuale nascita di uno Stato palestinese con un territorio omogeneo.
   «Questo annuncio ha una forte importanza e penso che ognuno lo possa capire», ha detto Netanyahu tra le proteste dell'Autorità nazionale palestinese.
   Non vuole vincere solo in Israele Benyamin Netanyahu. Le primarie del Partito Democratico per le presidenziali Usa di fine anno lo tengono in tensione. In ballo c'è la nomina del candidato democratico che sfiderà Trump e i primi successi ottenuti da Bernie Sanders - senatore ebreo del Vermont che si proclama un socialista - cominciano a impensierirlo. Sanders durante il dibattito in diretta tv in South Carolina ha descritto il premier israeliano come un «razzista reazionario». Quindi ha assicurato che se sarà eletto presidente prenderà in grande considerazione il ritorno a Tel Aviv dell'ambasciata Usa fatta trasferire a Gerusalemme da Donald Trump. Sanders infine ha ripetuto che gli Usa «non possono ignorare le sofferenze del popolo palestinese» e devono avere «una politica che tenga conto dei palestinesi».
   Contro Sanders, che non parteciperà all'annuale conferenza dell'Aipac, la principale organizzazione ebraica americana che sostiene Israele (Aipac) - i suoi leader, ha spiegato, «esprimono intolleranza» nei confronti dei palestinesi-, si sta compattando una armata composta di Democratici che lo accusano di essere «troppo radicale» per attirare i voti necessari per battere Trump, di colossi dei media, di noti attivisti filo-Israele e, naturalmente, dal governo israeliano. Il ministro degli esteri Israel Katz, ad esempio, ieri ha definito «scioccanti» le ultime affermazioni del senatore ebreo americano perché «contro lo Stato di Israele su temi che sono la base del credo ebraico, della storia ebraica e della sicurezza di Israele».
   La campagna contro Sanders, più che mai lanciato nella corsa alla nomination, è destinata ad intensificarsi in vista del Super Tuesday, il 3 marzo, quando andranno alle primarie il maggior numero di Stati e si capirà chi ha le maggiori possibilità di sfidare Trump il 3 novembre. Netanyahu spera che ne esca vincitore il miliardario ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg, anch'egli un ebreo, molto vicino a Israele.

(il manifesto, 27 febbraio 2020)


Israele, il danno dello stallo politico

di Daniel Reichel

Le previsioni per lunedì 2 marzo - data delle terze elezioni israeliane in un anno - dicono che nulla cambierà: né Benjamin Netanyahu, leader del Likud, né lo sfidante Benny Gantz, a capo di Kachol Lavan, hanno i numeri per governare. Per la prima volta in settimane però i sondaggi dicono che gli equilibri si sono un po' spostati a favore di Netanyahu: secondo alcune proiezioni infatti il Likud conquisterebbe 35 seggi mentre Kachol Lavan ne dovrebbe ottenere uno in meno, 34. Una differenza minima che non permette comunque a Netanyahu di avere una maggioranza alla Knesset (il blocco formato da Likud e partiti nazionalreligiosi e haredi rimane infatti al di sotto della soglia necessaria di 61 seggi) ma certifica la capacità dal Premier uscente di rimanere la figura che ha il controllo della politica israeliana: le tre imputazioni a suo carico per corruzione e truffa non hanno intaccato la fiducia dell'elettorato di destra nei suoi confronti, come certificava l'ampia vittoria di Netanyahu alle primarie di partito (oltre 70%). Kachol Lavan non è riuscito a convincere, almeno secondo i sondaggi, gli elettori del Likud che - dopo undici anni - è arrivato il momento di cambiare e detronizzare "re Bibi". Anzi, la compagine di Gantz è apparsa nelle ultime settimane in difficoltà. "I freni hanno cominciato a stridere il 20 febbraio, - scrive la giornalista israeliana Mazal Mualem - quando è stato reso noto che la polizia indagherà su 'Fifth Dimension', una società guidata da Gantz che avrebbe vinto una gara d'appalto in modo improprio. Anche se il procuratore generale Avichai Mandelblit ha sottolineato che Gantz non è coinvolto in questa vicenda, il Likud è riuscito ad attribuire l'odore dello scandalo e della corruzione al partito Kachol Lavan e al suo leader. Avendo incentrato la propria campagna sugli scandali di corruzione di Netanyahu, Kachol Lavan si è improvvisamente trovato sulla difensiva". E qui la debolezza di una campagna elettorale di Gantz e colleghi ancora una volta incentrata quasi esclusivamente sull'invocare la cacciata di Netanyahu. Il leader di Kachol Lavan, in questi giorni molto sotto i riflettori con interviste su tutti i media, ha spiegato di essere moderatamente preoccupato per il cambio di orientamento nei sondaggi. "Abbiamo mantenuto la calma quando i sondaggi prevedevano una differenza di due o tre seggi a nostro favore, e ora non siamo preoccupati per la differenza che vediamo attualmente, per quanto sia inquietante. Ogni elettore nello Stato di Israele che vuole vedere un cambiamento ha la responsabilità personale di fare il minimo richiesto, andando a votare. Altrimenti, rischiamo di avere un quarto turno di elezioni. Vedo che Netanyahu ci sta portando in quella direzione. Non mi siederò con Netanyahu [nello stesso governo]". Eppure gli analisti israeliani non vedono molte alternative a un grande accordo tra Gantz e Netanyahu, visto la grande delusione e disaffezione dell'opinione pubblica, stufa di uno stallo che sta costando molto a Israele. "C'è un senso di disperazione", ha raccontato al New York Times Miri Paperni, 45 anni, una contabile di Rehovot. "Viviamo in una realtà distorta, in cui i nostri leader non fanno il loro lavoro - la testimonianza della donna al Times, in un pezzo dedicato alle disillusioni dell'elettorato israeliano - A loro non importa affatto che il Paese stia cadendo a pezzi, che non ci siano bilanci per niente, che niente funzioni veramente bene. È come se stessimo scivolando giù per un pendio e non ci rendessimo conto che questo sta succedendo a noi. La gente vive la sua vita quotidiana, ma è in caduta libera".

(moked, 27 febbraio 2020)


Bernie Sanders va davvero bene agli ebrei? Un dibattito su "The Jewish Forward"

 
Bernie Sanders
Ciò di cui si discute maggiormente nelle case ebraiche degli stati d'America è se effettivamente Bernie Sanders vada bene agli ebrei. Certo, è il primo ebreo ad essersi spinto così tanto avanti nella corsa per le presidenziali, ma i votanti ebrei non potrebbero essere più divisi sul voto. Per alcuni rappresenta la panacea, il ritorno al socialismo ebraico e vedono la sua elezione come una forma di Tikkun Olam; altri sono poco entusiasti del suo socialismo e temono l'associazione con persone che hanno offeso la comunità ebraica. Così il magazine The Jewish Forward ha pubblicato un dibattito tra due collaboratori, Joel Swanson e Ari Hoffman, di cui vi diamo qualche assaggio.

- Joel Swanson: Il crescente antisemitismo fa temere che l'ascesa di un socialista ebreo risvegli antichi fantasmi nell'estrema destra di un giudeo-bolscevismo. Ma questo stesso crescente antisemitismo non potrebbe invece rendere il fatto che un politico ebreo sia in corsa per le presidenziali orgogliosi di essere ebrei? Aspettare il momento in cui non siamo ansiosi per avere un presidente ebreo non potrebbe significare che non lo avremo mai?

- Ari Hoffman: Le cose sono un po' cambiate domenica, quando Sanders ha rifiutato l'impegno, già preso, di parlare alla conferenza dell'AIPAC perché troppo bigotta. E quest'idea è assurda: AIPAC è intrecciata con i democrtici e ha una solida ala progressista. Significa altro: Sanders sta sfruttando il populismo di sinistra per correre contro gli ebrei e le loro istituzioni. Questo mi fa temere anche una certa miopia da parte di Sanders, che sembra non accorgersi dell'odio verso Israele e dell'ostilità verso gli ebrei nella sinistra.

- Swanson: Quello che noto è che accusi Sanders di essere contro gli ebrei perché non è andato alla conferenza dell'AIPAC. La conferenza attira circa 20mila persone, certamente un numero alto, ma non maggiore degli ebrei americani ortodossi antisionisti che si sono riuniti a New York. Inoltre, le posizioni dell'AIPAC, che si definisce super partes, nell'ultimo anno sono state tali che i membri hanno dovuto scusarsi in seguito ad alcuni attacchi al Partito Democratico. Penso poi che tu parli di una ebraicità universalista di Sanders piuttosto che particolarista. Sanders si preoccupa dell'uguaglianza economica e della giustizia sociale perché la sua comprensione della storia ebraica lo porta a difendere gli emarginati e pensa che gli ebrei si sentano più sicuri quando stringono alleanze con altre minoranze per potersi proteggere insieme. Ecco perché si definisce sia pro Israele sia pro Palestina. Ed è per questo che confido nell'identità ebraica di Sanders. Negli Stati Uniti, diversamente dall'Europa, l'antisemitismo più letale proviene dall'estrema destra. In più ci sono dati attendibili che dimostrano che nell'estrema destra, l'odio per gli ebrei è connesso all'odio per i musulmani. Abbiamo un nemico comune. Ecco perché il supporto che Sanders sta dando alla comunità islamica è importante: aiuta a creare ponti tra due comunità che si sentono minacciate.

- Hoffman: Credo si debba andare più in profondità. E i fatti storici possono aiutarci. Occorre andare al 1789, all'epoca della Rivoluzione francese, quando il Conte di Clarmont-Tonnerre, tenne un discorso su "Minoranze religiose e professioni discutibili" in cui chiese quale doveva essere lo status degli ebrei ora che il mondo francese era stato capovolto. Ebbe una risposta ingegnosa: il neonato governo francese avrebbe "accordato tutto agli ebrei come individui e nulla a loro come popolo". Qualcosa di simile sembra essere all'opera nel nome dell'universalismo che il movimento Sanders offre agli ebrei: come individui, gli ebrei sono i benvenuti, ma "come popolo", dovrebbero attenersi all'agenda progressista. Ancora un punto: Sanders ha ottenuto a fatica un 11% di sostegno da parte del mondo ebraico. Il che approssimativamente significa che la stragrande maggioranza degli ebrei non si sente rappresentata dall'universalismo di Sanders, dal radicalismo economico e dalle critiche a Israele. Dunque dal punto di vista ebraico, Sanders è un elitario.

- Swanson: I dati di quel sondaggio sembrano essere piuttosto cambiati ora che sono in corso le primarie! Riprendo la tua digressione alla Rivoluzione Francese. Quando il Conte fece quella dichiarazione, l'assemblea stava discutendo se emancipare gli ebrei dalle restrizioni legali poste su di loro, e l'Assemblea decise che gli ebrei potevano essere emancipati se avessero accettato la cittadinanza francese come base della loro identità, relegando la loro Ebraicità solo nella sfera privata. In altre parole, gli aspetti del popolo e dell'etnia ebraici erano negati nella sfera pubblica e l'ebraismo poteva essere solo una religione praticata nella privacy della casa, come il protestantesimo, un'altra religione di minoranza nella Francia cattolica. Il tema è molto interessante e attuale nell'America di oggi. Sanders sostiene Israele e ha invitato gli Stati Uniti a riconoscerne l'enorme importanze per il popolo ebraico e la sua storia. Certo, ha dato del razzista a Netanyahu… ma diciamo che è un normale sionista liberale…

(JoiMag, 26 febbraio 2020)


Al Carnevale in Spagna sfilano gerarchi nazisti e prigionieri dei campi

di Nathan Greppi

Oltre alla parata della città belga di Aalst, lunedì 24 febbraio anche in Spagna un corteo di carnevale si è fatto notare per rappresentazioni controverse: a Campo de Criptana, un piccolo comune nel centro del paese, un gruppo di persone ha danzato nel corteo travestite da gerarchi nazisti e prigionieri dei campi di concentramento, accompagnati da un carro raffigurante due forni crematori con sopra una menorah.
Come riporta il Guardian, la rappresentazione è opera di un'associazione culturale chiamata El Chaparral (lett. "La Boscaglia" in spagnolo, ndr), seconda la quale lo scopo sarebbe quello di commemorare gli ebrei morti nella Shoah, così come tutti coloro che sono stati perseguitati sulla base dell'etnia, della religione, dell'orientamento sessuale o delle idee politiche. Tuttavia, ci sono state reazioni sdegnate da parte del Museo di Auschwitz e dell'Ambasciata israeliana a Madrid: la pagina Twitter del Museo l'ha definito "ben oltre il volgare kitsch, privo di qualsiasi rilevanza, di riflessione o rispetto," mentre l'ambasciata li ha accusati di fare "una presa in giro dei 6 milioni di ebrei uccisi dai nazisti."
Il consiglio comunale di Campo de Criptana ha rilasciato un comunicato in cui dichiara che aveva autorizzato la parata credendo che fosse per onorare le vittime della Shoah, aggiungendo però che "condividiamo le critiche che sono state espresse. Se l'obiettivo era commemorare le vittime, è chiaro che il tentativo non è andato a buon fine."
Non è l'unico fatto di banalizzazione della Shoah avvenuto questo mese e legato alla Spagna: il 13 febbraio Clara Ponsatì, un'eurodeputata legata all'indipendentismo catalano, in un intervento al Parlamento Europeo ha paragonato il trattamento del governo spagnolo verso i catalani a quello di Hitler nei confronti degli ebrei.

Bet Magazine Mosaico, 26 febbraio 2020)



Gli utili idioti funzionali ad Hamas e al terrorismo islamico

di Maurizia De Groot Vos

Qualcuno dovrebbe spiegare come mai quello che è normale in tutto il mondo, cioè combattere il terrorismo islamico, non lo è quando di mezzo c'è Israele.
   Da anni ormai denunciamo il fatto che la stampa internazionale non parla mai dei missili che piovono sui civili israeliani poi, non appena Israele decide di reagire, si scatena il pandemonio e da vittima Israele si trasforma in un batter d'occhio in carnefice.
   Il segno si è passato proprio durante l'ultima escalation tra Israele e i gruppi terroristici islamici di Gaza.
   La "grande stampa" internazionale ha praticamente ignorato le concessioni fatte da Israele ad Hamas, concessioni fatte nel contesto del raggiungimento di un cessate il fuoco a lungo termine che dovrebbe portare enormi benefici alla Striscia di Gaza più che a Israele.
   Non paghi, i media internazionali hanno ignorato che proprio mentre Israele faceva quelle concessioni i terroristi islamici hanno scatenato contro lo Stato Islamico una vera e propria pioggia di missili che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbe comportato reazioni durissime a livello militare e l'immediato stop a tutte le concessioni.
   E tutto questo arrivava dopo che da mesi i terroristi islamici di Gaza lanciavano contro la popolazioni civile israeliana che vive lungo il confine migliaia di palloni esplosivi e incendiari senza che Israele reagisse in alcuna maniera se non colpendo sporadicamente le piattaforme di lancio.
   Poi succede che il Governo israeliano decida di reagire colpendo in maniera chirurgica obiettivi della Jihad Islamica e di Hamas facendo però molta attenzione a non colpire i civili. E cosa succede? La "grande stampa" internazionale si scatena e fioccano le accuse contro Israele reo di essersi finalmente difeso.
   Gli utili idioti di ogni caratura, dal semplice blogger alle testate più importanti, inondano il web di accuse contro i "cattivi israeliani" colpevoli di difendersi dal terrorismo islamico, cioè di fare quello che nel resto del mondo sarebbe normale. Solite denunce dalla UE, dall'ONU e da ogni sigla immaginabile presente sul pianeta Terra. Non una parola sul perché della reazione israeliana, anzi, la parola "reazione" sviene accuratamente occultata.
   Il problema è gli utili idioti sono utili veramente ai terroristi islamici. In qualche modo finiscono per condizionare la reazione israeliana, mai definitiva come in molti ormai chiedono da anni.
   Questa faccenda va avanti ormai da anni e i terroristi islamici sono maestri nell'approfittarne. Il ciclo è sempre lo stesso. Lanciano missili e ordigni fino a provocare la reazione di Israele per poi passare da vittime quando gli israeliani reagiscono.
   Israele fa concessioni di ogni tipo, fa persino passare milioni e milioni di dollari del Qatar, allarga la zona di pesca, fa passare merci di ogni tipo e concede migliaia di permessi ai commercianti di Gaza ma viene comunque attaccato.
   Perché? Perché Israele non chiude definitivamente la pratica? Perché se lo facesse verrebbe messo in croce e passerebbe da vittima a carnefice in men che non si dica.
   Però non è che si possa andare avanti così all'infinito. Utili idioti o meno, Israele deve decidere cosa fare con i terroristi islamici che infestano la Striscia di Gaza costringendo milioni di persone a subire le conseguenze delle loro azioni. E quando dico "milioni di persone" intendo sia israeliani che arabi perché anche la popolazione di Gaza è vittima dei terroristi islamici.
   Ma questo per gli utili idioti è ininfluente. L'importante è trovare sempre il modo di dare addosso a Israele infischiandosene bellamente di quello che succede ai civili. E sono così bravi a farlo che sembrano addestrati da Hamas e dalla Jihad Islamica.
   Ora però a Gerusalemme devono decidere veramente se proseguire su questa strada che fino ad ora non ha portato a nulla, o decidere finalmente di disinteressarsi delle opinioni del mondo e degli utili idioti e mettere fine definitivamente al regno di terrore di Hamas e della Jihad Islamica nella Striscia di Gaza.
   Presumibilmente non accadrà nulla prima del 2 marzo, giorno delle elezioni in Israele. Ma dopo, a prescindere da chi vincerà le elezioni, il problema andrà affrontato in maniera definitiva. E si lascino fare pure gli utili idioti. Il circolo vizioso va spezzato una volta per tutte.

(Rights Reporters, 26 febbraio 2020)


Tra vecchie e nuove epidemie: la storia della peste nel ghetto di Roma del 1656

La storia che qui si racconta ci riporta a tempi drammatici nei quali le difese contro le malattie erano quasi nulle e le epidemie mietevano vittime. Il confronto con oggi è interessante per tanti motivi, per vedere le differenze (soprattutto, e per fortuna , i pericoli di allora rispetto a quelli di oggi) ma anche le analogie come l'organizzazione pubblica e le misure di isolamento. L'aspetto ebraico è particolarmente interessante, per il rapporto con le autorità esterne, per l'organizzazione interna, per il sistema di solidarietà nei confronti dei più deboli subito scattato....

(Shalom, 26 febbraio 2020)


Antisemitismo in Spagna, 58 comuni boicottano i prodotti israeliani

La geografica dell'odio antiebraico e anti-israeliano fa tappa nel paese iberico, dove comuni guidati da sindaci della coalizione di sinistra (Podemos, IU e PSOE) hanno deciso di boicottare società, prodotti, enti o organizzazione israeliane o collegate al popolo ebraico, dichiarandosi per l'appunto "ELAI" - "Espacios Libres de la Aparadaid Israelì".
  Il provvedimento ha portato compagnie teatrali, docenti, cineasti, attori o compagnie israeliane a essere respinti dalle formazioni di sinistra dei vari comuni spagnoli. Addirittura un documento imponeva il riconoscimento di uno stato palestinese agli artisti della Mayumana (famosa compagnia di danza israeliana) in cambio dell'assunzione o di presenza del pubblico per i loro spettacoli.

 Vediamo i casi specifici.
  Cadice, dove il sindaco José María Gonzàlez ha cancellato un ciclo cinematografico israeliano dopo essersi unito alla rete ELAI di comuni promossa dal movimento BDS , dichiarando apertamente che il suo consiglio comunale non avrebbe assunto alcun israeliana per le attività della città. Gonzàlez, fra l'altro, ha detto di non essere "xenofobo" ma di voler combattere "la xenofobia degli israeliani". Come ha scritto il sito spagnolo Libremercado.com il primo cittadino utilizza "la xenofobia per combattere la xenofobia".
  Gijón, dove il comune è stato proclamato "Libero dall'apartheid israeliano" e in cui sono stati distribuiti adesivi e manifesti per attaccarli sulle vetrine dei negozi per far notare che si trattava di un esercizio "privo di apartheid israeliano".
  Molins de Rei, in Catalogna, dove alla squadra femminile di pallanuoto israeliana è stato negato l'uso degli impianti sportivi municipali. Sempre in Catalogna, la sindaco di Barcellona, Ada Colau, è stata accusata di condurre campagne di odio verso Israele.
  Tutti questi casi sono stati violati i principi di uguaglianza davanti alla legge degli ebrei, che nel 2020 continuano a essere bistrattati e giudicati cittadini di serie B.

(Progetto Dreyfus, 25 febbraio 2020)


Start Up Israele, con Sixth Millenium focus piccoli investitori

ROMA - Jonathan Pacifici, fondatore di Sixth Millennium, lancia negli studi di askanews la campagna di equity crowdfunding per permettere anche ai piccoli investitori, non solo ai tradizionali investitori del Venture capital, di investire nelle start up in Israele. Una grande opportunità, potendo entrare a far parte, con un investimento minimo di 5000 euro, dei più avanzati processi d'innovazione in quella che è considerata la vera Start Up Nation. La campagna è attiva sulla piattaforma italiana CrowdFundMe.
   "Israele oggi è il secondo hub tecnologico dopo la Silicon Valley - spiega Pacifici -. Genera migliaia di start up e attrae investimenti con numeri da capogiro. Nel 2018 parliamo di circa 7 miliardi di dollari investiti tramite i fondi di Venture capital ma soprattutto con operazioni di exit per 21 miliardi. Quindi da una parte i soldi entrano ma dall'altra generano una evidente plusvalenza. Si tratta di società che sono molto tecnologiche e sono molto diverse dalle start up che conosciamo qui in Italia, non troveremo i soliti portali di e-commerce ma società che realizzano una tecnologia proprietaria brevettata e che quindi poi riescono a creare un percorso che porta all'acquisizione da parte di una delle aziende big tech o a una quotazione sui mercati. E' un mercato in grande effervescenza che attrae tutte le big tech internazionali così come tutte le multinazionali che sono legate al mondo della tecnologia. Un caso su tutti, Israele è diventata negli ultimi anni uno dei centri mondiali dell'automotive senza aver mai prodotto una automobile. E questo perché il mondo dell'automotive si sta muovendo verso l'auto a guida autonoma e tutta la tecnologia più innovativa che gira intorno alle macchine del futuro. Con Sixth Millenium andiamo a fare degli investimenti nelle prime fasi di vita delle start up fino al cosiddetto Round Day, nell'ordine di grandezza tra 250 mila a 700 mila dollari, possibilmente anche insieme ad altri fondi amici. Poi aiutiamo le start up a crescere con partnership commerciali ed altre azioni. La novità ora sta nel fatto che con questa campagna per la prima volta un veicolo di Venture capital viene messo alla portata dell'investitore retail, finora invece questo tipo di operazioni era riservato esclusivamente ad investitori istituzionali. In molti nel corso degli anni mi hanno sollecitato una apertura dello schema del Venture capital, soprattutto nella grande eccellenza che è Israele. Con la piattaforma di Crowfunding, CrowFundme, abbiamo colto questa opportunità e attualmente la campagna è in corso sul portale per 60 giorni".
   La soglia minima è di 5000 euro ma su che tipo di Start up si investe? "Noi ci muoviamo su tutta la filiera dell'IT, cioè Cybersecurity, Big Data, Analytics, Fintech, IA, IoT, tutte eccellenze in Israele. Si investe ovviamente in un portfolio che ha una diversificazione del rischio. Siamo invece più lontani da settori come medical devices che necessitano capitali enormemente maggiori e tempi più lunghi, mentre noi investiamo in settori che possono produrre benefici in tempi più ridotti".

(askanews, 25 febbraio 2020)


Tra Gaza e Coronavirus, Israele si prepara alle elezioni

A una settimana dalle elezioni, Israele riesce a far tornare la calma sul confine con Gaza ma guarda con attenzione agli sviluppi legati al coronavirus. Dopo 48 ore di scontri, con il lancio di decine di razzi contro la popolazione del Sud d'Israele, la Jihad islamica - il movimento terroristico palestinese responsabile dell'aggressione - ha annunciato il cessate il fuoco.
   E con il ritorno della calma, il Sud d'Israele sta tornando lentamente alla normalità: il traffico ferroviario che collegava le città meridionali è stato riattivato e le strade lungo il confine con Gaza sono state aperte al traffico civile. Le scuole di Ashkelon, Netivot, Sderot e dei consigli regionali circostanti sono però rimaste chiuse oggi per precauzione. Nella regione di Eshkol è ancora in vigore il divieto di raduni in aree aperte. Misure che le autorità hanno preso per tutelare la sicurezza dei cittadini.
   E di altre misure si parla molto in queste ore: quelle adottate per evitare o contenere il contagio da coronavirus. Come già anticipato su queste pagine, Israele ha chiuso le frontiere a tutti gli stranieri non residenti che abbiano soggiornato in Cina, in Corea del Sud, in Giappone, in Thailandia, a Singapore, Hong Kong e Macao nei 14 giorni precedenti l'arrivo previsto nel paese. Rispetto all'Italia - tra i paesi, fuori dalla Cina, con il maggior numero di contagi assieme a Corea del Sud, Giappone e Iran - il ministero della Sanità israeliano ha spiegato di stare tenendo sotto osservazione la situazione ma per il momento non ha applicato misure drastiche come in altri casi. Per il momento, "chiunque sia stato in Italia, a Taiwan o in Australia nei 14 giorni precedenti l'arrivo in Israele e sviluppi sintomi compatibili con il COVID-19 dovrà sottoporsi a controlli medico-sanitari secondo le linee guida le Ministero della Salute israeliano", come ricorda il sito dell'ambasciata italiana in Israele. Il governo israeliano ha inoltre sconsigliato di effettuare viaggi non necessari nel Nord Italia, in particolare nelle regioni Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto-Adige e Liguria.
   Come altre nazioni, Israele inoltre in queste ore ha iniziato a valutare il danno economico che l'epidemia da coronavirus rischia di causare al Paese: secondo le stime del ministero delle Finanze, la crescita annuale rischia un rallentamento significativo (tra lo 0,25 all'1% in meno). Ma gli occhi sono puntati anche alle elezioni del prossimo 2 marzo: il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegato che al momento non ci sono motivi per posticipare il voto. "Al momento la situazione è sotto controllo", ha dichiarato nelle scorse ore in un'intervista. Il problema però è legato anche alle notizie che si diffondono nel paese, che potrebbero causare un'affluenza più bassa alle urne. "C'è la preoccupazione che notizie false sul virus possano diffondersi e provocare percentuali di voto più basse in aree specifiche e quindi avere un impatto sulle elezioni. - spiega Al Monitor - Inoltre, i cittadini in quarantena non sarebbero in grado di raggiungere i seggi elettorali. Le autorità stanno ora valutando diverse opzioni per consentire loro di votare, compresa l'istituzione di postazioni di voto in quarantena".

(moked, 25 febbraio 2020)



La Jihad islamica lancia 80 razzi su Israele

Iron Dome intercetta. Ma centinaia nei rifugi

GERUSALEMME - Da domenica, la Jihad islamica ha sparato oltre ottanta razzi da Gaza verso Israele. Di questi, cinquanta sono stati scagliati solo nella giornata di ieri. Il sistema di difesa Iron Dome ne ha intercettato il 90 per cento, gli altri sono caduti in zone disabitate. Gli attacchi hanno costretto centinaia di persone ad andare nei rifugi. Non sono state registrate vittime ma danni alle strutture e dei feriti lievi. Poi, nella tarda serata, la formazione ha annunciato un cessato il fuoco unilaterale. Prima, l'inviato Onu per il Medio Oriente, Nicolay Mladenov, aveva chiesto «uno stop immediato dei lanci che rischia solo di trascinare Gaza in un altro round di ostilità senza fine».
   Secondo quanto dichiarato dalla Jihad, la raffica di razzi è stata innescata da un attacco israeliano contro due miliziani, uccisi domenica a Damasco e a Khan Yunis. «E stato un bombardamento per bombardamento», ha dichiarato un portavoce delle Brigate di al-Quds, braccio armato della formazione. Nonostante l'annuncio dello stop, razzi e colpi di mortaio hanno continuato a piovere sul nord di Israele e l'esercito ha continuato a tenere nel mirino gli obiettivi dell'organizzazione jihadista.

(Avvenire, 25 febbraio 2020)



Giordania: stralciare l’accordo sull’importazione di gas israeliano

E’ l’unica risposta al piano del secolo

AMMAN - L'annullamento dell'accordo sull'importazione di gas israeliano da parte della Giordania è l'unica risposta al piano di pace del secolo per il Medio Oriente presentato il 28 gennaio dal presidente statunitense Donald Trump. Lo ha dichiarato Hisham al Bustani, coordinatore della campagna giordana per l'annullamento dell'accordo sull'importazione del gas. Al Bustani ha aggiunto che non è possibile fermare Trump, ma si può sempre evitare di finanziare l'occupante israeliano con il denaro dei contribuenti. Lo scorso gennaio il parlamento della Giordania ha approvato a maggioranza un progetto di legge per vietare le importazioni di gas israeliano nel paese. Il parlamento giordano ha votato settimane dopo che lo Stato ebraico ha iniziato il pompaggio del gas, nel quadro di un accordo da 10 miliardi di dollari. L'accordo raggiunto con il governo di Amman ha scatenato proteste in Giordania, dove molti considerano Israele un nemico.

(Agenzia Nova, 25 febbraio 2020)


Shoah: le ferrovie olandesi versano 32 milioni di euro per gli ebrei deportati

A beneficiare dei risarcimenti sarebbero tra le cinquemila e le seimila persone

AMSTERDAM - La compagnia ferroviaria olandese Ns, che ha usato i treni per deportare gli ebrei nei campi di sterminio nazisti durante la Seconda Guerra mondiale, ha versato 32 milioni di euro alle vittime dell'Olocausto. Lo ha reso noto oggi la commissione responsabile dei risarcimenti, scrive l'agenzia Belga.
   La compagnia Ns aveva annunciato a fine giugno 2019 che avrebbe versato degli indennizzi alle vittime o ai loro familiari. Circa 110.000 ebrei e rom sono stati deportati ai campi nazisti a bordo dei convogli della Ns che ha guadagnato circa 2,5 milioni di fiorini (1,1 milioni di euro), la moneta olandese dell'epoca.
   La compagnia nel 2005 si è scusata formalmente per il ruolo avuto nelle deportazioni nazisti. Una commissione indipendente ha stimato che a beneficiare dei risarcimenti sarebbero tra le 5mila e le seimila persone, tra sopravvissuti ai lager e loro familiari. Fino ad oggi circa 4.000 domande sono state approvate.

(tio.ch, 25 febbraio 2020)


Sinistra. Finalmente gli ebrei hanno capito

Lettera a Libero

Da sempre gli ebrei qui in Italia hanno sempre votato a sinistra. Le cronache e la storia in questi anni però hanno dimostrato che i maggiori nemici di Israele vengono proprio da quella parte che tra l'altro appoggia in modo eclatante da tempo la causa palestinese. Manifestazioni al riguardo ce ne sono state: la sinistra ha bruciato bandiere di Israele come nelle commemorazioni del 25 aprile ormai accade che l'ANPI si comporta in modo ostile nei confronti dei partigiani ebrei i quali vengono cacciati dalle loro manifestazioni. Da tempo mi chiedevo come mai la comunità ebraica fosse così cieca e cocciuta da non accorgersi di tanto odio. Finalmente dopo anni proprio l'ex presidente di tale congregazione si è svegliato ed ha preso coscienza ammettendo finalmente che in Italia non esiste l'antisemitismo, ma l'odio vero se c'è come le aggressioni pure arrivano dal mondo islamico e da quella parte politica che tanto lo ama.
Glana Leone

(Libero, 25 febbraio 2020)


Leon Modena, scienziato, rabbino e letterato

di Alberto Toso Fei

Fu scienziato e teologo, grande predicatore e autore di opere di grande valore nonché di una celebre autobiografia che evoca con grande vividezza la vita intellettuale del Ghetto di Venezia. Leon Modena, rabbino e letterato con interessi che spaziarono dalla musica al teatro, fu tra i protagonisti della vita culturale ebraica veneziana nonché un punto di riferimento, non solo per la sua comunità: egli stesso raccontò dei tanti visitatori cristiani che si recavano alla Sinagoga Italiana per ascoltare i suoi sermoni, che quindi dovevano essere in lingua italiana. Afflitto da varie disgrazie familiari che colpirono soprattutto gli amati figli maschi (uno ucciso da esperimenti alchemici e un altro da una banda di delinquenti) e ossessionato tutta la vita dal demone del gioco, Modena va ricordato soprattutto come l'autore del primo libro scritto in lingua volgare da un ebreo per illustrare a un pubblico cristiano le usanze degli ebrei. Una sorta di manuale contro le fake news del tempo, insomma.
  D'altronde il Ghetto di Venezia - un secolo dopo la sua creazione, ovvero il periodo in cui vi visse Leon Modena - era già diventato un importantissimo centro di studio e di irradiazione della cultura ebraica. Basti ricordare che un terzo dei libri ebraici pubblicati in Europa fino alla metà del Seicento, oltre milleduecento volumi, furono stampati a Venezia. Tra questi è d'obbligo ricordare il primo Talmud, la monumentale opera di commento la cui paginazione è ancora la stessa della prima edizione dello stampatore cristiano Daniel Bomberg. La cultura ebraica veneziana ebbe anche un'importante influenza sulla storia inglese perché fu qui che Re Enrico VIII fece cercare dotti pareri religiosi sul levirato riguardo la sua possibilità di divorziare da Caterina d'Aragona, mettendo in moto il processo che portò allo scisma da Roma.
  Nato a Venezia il 23 aprile 1571 da Yiṣḥaq ben Mordekay da Modena e da Diana Raḥel, due ebrei ferraresi di origine francese che avevano lasciato la terra d'origine dopo il terremoto del 1570, Yehudah Aryeh mi-Modena fu un bambino precoce e diventò un rinomato rabbino, sebbene una cronica dipendenza dal gioco d'azzardo e una certa instabilità di carattere gli impedirono probabilmente di far maturare le sue doti teologiche fino in fondo. Per mantenersi fece di tutto: il predicatore, il pedagogo, l'insegnante a ebrei e cristiani, il lettore di preghiere, l'interprete, lo scrittore, il correttore di bozze; ma anche il traduttore, il libraio, il mediatore, il commerciante, il rabbino, il musicista, il sensale di matrimoni e perfino il produttore di amuleti".
  Malgrado la discontinuità dei suoi comportamenti, Leon Modena rimane una delle personalità più importanti dell'ebraismo italiano: una delle sue opere più efficaci fu l'"Ari Nohem", col quale tentò di dimostrare che lo "Zohar" (la "Bibbia dei Cabalisti") era una composizione moderna e che la Cabala stessa era una disciplina filosofica e non teologica.
  La capacità di Leon Modena di dialogare anche con cristiani (e un'indubbia dose di genio) gli permisero di scrivere poesie il cui testo suonava lo stesso e con significati approssimativamente simili in ebraico e italiano. Il Midrash Leon Modena, ovverosia l'aula in cui istruiva i suoi numerosi allievi, si può ancora ammirare in campo del Ghetto Vecchio, a poca distanza dalla Sinagoga Levantina. Tra i seguaci di Leon Modena vi fu anche la poetessa e conversatrice Sara Copio Sullam, che nella prima metà del Seicento animò in casa sua un salotto letterario assai frequentato, con largo seguito anche nell'ambiente non ebraico.
  Leon Modena morì a Venezia il 21 marzo 1648, e la sua tomba si trova nel suggestivo vecchio cimitero ebraico al Lido. A fargli da lapide, visto che in vita sperperò ogni suo avere e morì in estrema povertà, una stele di marmo ricavata da un vecchio balcone, sulla quale è scolpito un epitaffio che la tradizione vuole composto da lui stesso: "Parole del morto / Quattro braccia di terra in questo recinto / A titolo di possesso per l'eternità / Furono acquistate dall'alto per Giuda Leone da Modena. / Sii benigno con lui (o Signore) e dagli pace / Morì di sabato 27 Adar 5408".

(Il Gazzettino, 24 febbraio 2020)



In Iran hanno vinto gli ultraconservatori, come previsto

Mancano ancora i risultati ufficiali, ma due cose sono certe: la bassissima affluenza e la sconfitta dei riformisti.

I primi risultati diffusi sulle elezioni parlamentari iraniane, che si sono tenute venerdì scorso, mostrano una chiara vittoria degli ultraconservatori, come era stato ampiamente previsto. L'affluenza è stata di circa il 40 per cento, la più bassa mai registrata in un'elezione parlamentare in Iran dalla Rivoluzione khomeinista del 1979, quella che instaurò il sistema della teocrazia islamica che è vigore ancora oggi nel paese.
   Il dato dell'affluenza è molto importante: significa che molti elettori vicini alla corrente dei riformisti, cioè quel movimento più aperto al dialogo con l'Occidente e favorevole ad avviare riforme democratiche, hanno deciso di non andare a votare. Nelle settimane precedenti alle elezioni, infatti, il Consiglio dei guardiani, organo vicino agli ultraconservatori e incaricato di approvare le candidature elettorali, aveva escluso dalle liste moltissimi candidati riformisti. L'obiettivo degli ultraconservatori era quello di prendere il controllo del parlamento, in cui fino a oggi sedevano molti esponenti del movimento dei moderati e dei riformisti (i due gruppi che si oppongono ai conservatori, anche se in misura diversa).
   Il dato sulla bassa affluenza, ha scritto tra gli altri il Financial Times, sta creando parecchio imbarazzo tra gli ultraconservatori, che avevano fatto diversi appelli agli elettori per convincerli ad andare a votare. In particolare c'è stata un'affluenza molto bassa, tra il 20 e il 30 per cento, nelle grandi città, spesso più progressiste del resto del paese.
   I risultati ufficiali diffusi finora su Teheran mostrano che gli ultraconservatori avrebbero ottenuto tutti i 30 seggi disponibili, con la vittoria chiara di Mohammad Bagher Qalibaf, ex sindaco della città. Saeed Shariati, attivista politico vicino ai riformisti, ha scritto però su Twitter che il 78 per cento degli aventi diritto al voto non è andato a votare. Dati bassi sull'affluenza sono stati registrati anche a Isfahan, Mashhad e Tabriz.

(il Post, 24 febbraio 2020)


Il saggio di Pietro Gallo in Sinagoga

di Alberto Angelino

 
Alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato, in una sala Carmi non pienissima nel giorno in cui si sono succedute le ordinanze sanitarie, domenica 23 febbraio si è parlato di un secolo cruciale nella storia locale presentando "Europa in Colle - Transumanze militari in Monferrato nel seicento". E' il saggio in cui Pietro Gallo racconta la storia del territorio nel periodo che va dalla costruzione della Cittadella di Casale Monferrato (1593) fino all'assorbimento del Monferrato nel Piemonte savoiardo (1706). Per inciso è un secolo che comprende anche la peste manzoniana, ma con molto tatto nessuno l'ha menzionata.
   L'incontro è stato preceduto da un intervento dell'Assessore all'Ambiente del Comune di Casale, Maria Teresa Lombardi, che ha portato il saluto del Sindaco Federico Riboldi impegnato nel gestire i risvolti locali della crisi sul Coronavirus. Ci sono però due sindaci al tavolo dei relatori in rappresentanza degli Enti che hanno sponsorizzato l'edizione del libro: sono Massimo Pasciutta di Ottiglio e Emanuele De Maria di Conzano che ringrazia Pietro Gallo per il suo impegno nell'andare a spulciare i piccoli archivi del Monferrato incrociando migliaia di dati storici.
   Completa il tavolo dei relatori un altro riconosciuto ricercatore monferrino: Carlo Aletto, che ricorda come il volume completi "Il Ducato di Monferrato tra Francia e Spagna" dello stesso autore, definito tra i più prolifici e profondi a livello locale.
   Il saggio comincia proprio con la costruzione della cittadella di Casale che, per inciso, non era così gradita in città nel timore profetico che sarebbe diventata un motivo di contendere tra potenti. Ma la Casale dei Gonzaga ha sempre meno autonomia, la cittadella si costruisce e diventa determinante allo scoppio della guerra delle Fiandre, quando per Monferrato devono transitare le truppe e l'argento spagnolo sbarcate a Genova. Gallo ricorda come la storia della Comunità Ebraica sia estremamente intrecciata nelle vicende di quel periodo che vedono tra l'altro la costruzione e l'abbellimento della Sinagoga. La chiama: "La borghesia a costo zero, perché non aveva alcun diritto, ma teneva in piedi le imprese del territorio". Imprenditori peraltro a cui vengono concesse licenze con l'idea che più guadagnavano più sarebbero stati tartassati, la comunità casalese ha però anche un ruolo diplomatico tenendo contatti con le comunità di Mantova, Venezia e persino i Paesi Bassi. E infine volente o nolente gli ebrei casalesi contribuirono in modo determinante alla costruzione della cittadella. Opera che fu un divoratore di fondi per l'Intero Monferrato, sia durante la realizzazione, sia per mantenere i 6000 uomini di guarnigione, lasciando senza risorse e senza difese il resto del territorio.
   Gallo è bravo a riassumere le vicende di uno scacchiere politico complesso, con alleanze, patti, intrighi, battaglie, molte delle quali commesse in luoghi che ci sono oggi più famigliari più per i vigneti che non per le atrocità dei vincitori (come il massacro di Vignale ad esempio). Lo smantellamento della cittadella sancirà la pace, ma anche la fine del ducato del Monferrato e la sua importanza europea e forse è stato meglio così.
   Domenica 1 marzo la stagione culturale della Comunità Ebraica di Casale Monferrato prosegue alle 16 in Sala Carmi con la presentazione del volume L'intellettuale Antifascista, ritratto di Leone Ginzburg di Angelo d'Orsi. Ingresso libero.

(Il Monferrato, 24 febbraio 2020)



Nei sondaggi di voto Netanyahu supera Gantz

Ad una settimana dalle elezioni. Ago della bilancia resta Liberman

Ad una settimana dalle elezioni del 2 marzo, il Likud di Benyamin Netanyahu scavalca, a sorpresa, nei sondaggi il rivale Blu-Bianco di Benny Gantz finora dato in testa.
Sia l'indagine effettuata da Kan tv sia da Canale 12 testimoniano il sorpasso del partito di destra a scapito di quello centrista, nonostante le inchieste giudiziarie di Netanyahu che arriveranno in tribunale a Gerusalemme il 17 marzo. Ago della bilancia resta Avigdor Liberman con i suoi 7 seggi. Resta tuttavia incertezza su chi potrà formare il governo visto che nessuno dei due blocchi (centrosinistra e destra) raggiunge i 61 seggi su 120 della Knesset. La scelta di Liberman a favore di uno o dell'altro schieramento potrebbe essere quindi l'unica in grado di determinare la possibilità di un nuovo esecutivo. Altrimenti si dovrebbe andare ad una quarta votazione, eventualità che molti osservatori non escludono.

(ANSAmed, 24 febbraio 2020)


Coronavirus: Israele raccomanda, no viaggi in italia, possibile quarantena

Israele "raccomanda di non viaggiare in Italia" e sta valutando la possibilità di mettere in quarantena chiunque ritorni da viaggi in Italia ed Australia, dove si è registrata un'esplosione di casi di nuovo coronavirus,. Lo ha detto il ministro della Sanità dello Stato ebraico, Yaakov Litzman parlando con la radio dell'Esercito: "Raccomandiamo agli israeliani di non viaggiare in Italia, stiamo cercando di determinare se Italia e Australia diventeranno Paesi dai quali coloro che ritornano dovranno restare in isolamento in Israele". "Non abbiamo paura di applicare la quarantena", ha aggiunto il ministro, in un riferimento a possibili conseguenze diplomatiche. Attualmente il presidente israeliano Reuven Rivlin si trova in visita in Australia (dove si registrano 22 casi) ed il suo ufficio ha fatto sapere che non è previsto alcun cambio di programma.

(Adnkronos, 24 febbraio 2020)


Siria, raid israeliano colpisce la Jihad islamica palestinese

Uccisi due militanti a Damasco, colpita anche la Striscia

Un raid israeliano nella periferia meridionale di Damasco ha ucciso due militanti della Jihad islamica palestinese. E' il secondo attacco in pochi mesi ed è stato confermato, fatto inusuale, dalle forze armare dello Stato ebraico, che hanno precisato di avere colpito "posizioni" del gruppo terroristico poco prima della mezzanotte, in contemporanea con altri obiettivi nella Striscia di Gaza.

 Fabbrica di missili
  L'obiettivo era un centro usato per "la ricerca e lo sviluppo di armamenti", prodotti in Siria e nella Striscia. Il sito colpito "produceva decine di chili di carburante solido per missili ogni mese". La Jihad islamica palestinese è sostenuta dall'Iran, anche se è un gruppo sunnita estremista. Secondo Israele cerca di realizzare missili più precisi, che necessitano combustibile solido sofisticato.

 Quattro feriti a Gaza
  Le forze armate siriane hanno invece sostenuto che la "maggior parte" dei missili lanciati dai cacciabombardieri israeliani sono stati intercettati dalle difese aeree. La Jihad islamica ha negato che ci siano state vittime fra i suo militanti a Damasco. Secondo l'Osservatorio per i diritti umani in Siria, vicino all'opposizione, sono morti quattro miliziani sciiti oltre ai due della Jihad. A Gaza ci sono stati invece almeno quattro feriti, confermati da fonti palestinesi.

 Competizione con Hamas
  Con il sostegno della Siria e dell'Iran la Jihad islamica palestinese punta a sorpassare Hamas come gruppo più combattivo e pericoloso. Il movimento islamico legato ai Fratelli musulmani ha infatti compromesso le sue relazioni con il fronte sciita durante la rivolta sunnita contro Bashar al-Assad. I suoi dirigenti sono stati espulsi nel 2012 e hanno trovato una nuova base in Qatar.

(La Stampa, 24 febbraio 2020)


Il Papa accusa gli Usa, ma così fa il gioco di chi attacca Israele
... ma è un gioco che a Bergoglio piace!


Se si vuole veramente la pace non basta criticare certi radicalismi

di Fiamma Nirenstein

 
  Jorge Bergoglio 
Il papa dal volto umano  
L'ultima citazione nel discorso del Papa di Bari è bella per chi la legge da Gerusalemme, perché qui la si vede in opera ogni giorno: «Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni». È quello che accade: Gerusalemme, capitale d'Israele, tutti i giorni è più bella, più aperta, più libera per chi visita dal Santo Sepolcro alla Spianata delle Moschee, dal Quartiere Tedesco ai mall pieni di arabi e di israeliani mescolati nei caffè e negli acquisti; a chi si trova a dover visitare un malato negli ospedali; a chi va a incontri importanti nelle fabbriche high tech o negli uffici del governo e della Knesset.
   Le vecchie rovine sono state ricostruite, e sarebbe così interessante se il Papa, che fu svelto a condannare il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale potesse almeno darne nota, insieme a tutta la negatività che promana dai suoi messaggi: essa davvero rischia invece che di aiutare qualsiasi atteggiamento collaborativo e pacifico, di distruggerlo, incitando la fame palestinese di consenso gratuito, il suo sempiterno «no», che ha rifiutato ogni proposta di pace e sostiene il terrorismo.
   Sul Medio Oriente, l'atteggiamento di Francesco a Bari è difficile da capire fuori da schemi «intersezionali « di esaltazione del concetto di oppressione, anche quando diventa obsoleto e inesistente: lo sguardo sul Mediterraneo e il Medio Oriente si è dovuto fare più aguzzo a causa dei mille, complicati conflitti che hanno trascinato il Mare Nostrum in un bagno di sangue con cui Israele non ha niente a che fare. È vero che il conflitto fra Israele e Palestinesi è lungi dal concludersi, ma non ha paragone con le centinaia di migliaia di morti in Siria, con le aggressioni militari turche, con la guerra in Yemen, con l'espansionismo iraniano che non conosce limiti e che arma fino ai denti, oltre al suo esercito, una forza terrorista come quella degli hezbollah. Le responsabilità sono di chi fa la guerra, ed è facile individuarle, senza esoterismi, Il papa accusa l'Occidente di essere la causa remota e sostanziale delle guerre, del terrore ... ma questa tesi sbianchetta le ambizioni dei dittatori e delle milizie terroriste mediorientali, e anche la promessa dell'Iran di cancellare Israele.
   Il Papa condanna, sia pure con parole velate, il piano di pace di Donald Trump: è un peccato che si affretti a farlo mentre comincia a lavorare la commissione che deve ridefinire, in un contatto con le parti, la strada definitiva per un accordo. Di fatto il piano ripristina l'abbandonato concetto della risoluzione 242 dell' Onu sui territori disputati e la sicurezza necessaria per ogni accordo, non ignora che ciò che è accaduto in questi anni disegna un grande rischio per lo Stato Ebraico. Il piano prevede uno Stato Palestinese con capitale a Gerusalemme est, promette swap territoriali che impongono a Israele ritiri da porzioni di terreno entro i confini sovrani. Destina 50 miliardi di investimenti allo Stato Palestinese. Ripristina la verità che il popolo ebraico è nato in Israele, e là è tornato. Il «radicalismo e il terrorismo», «il settarismo» cui Francesco allude devono avere un soggetto, altrimenti l'equivoco è troppo grande. Se il Papa suggerisce che lo scopo di Trump è una trama imperialista e guerrafondaia, Abu Mazen seguiterà nel suo «no» storico, il terrorismo continuerà.

(il Giornale, 24 febbraio 2020)


Il Consiglio Onu per i diritti umani ha colpito ancora

Il Consiglio Onu per i diritti umani ha condannato Israele più di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme. C'è un termine per indicare questo comportamento

Domanda: cosa hanno in comune Eritrea, Mauritania, Somalia, Qatar, Pakistan, Libia e Venezuela? Risposta: sono tutti paesi governati da violatori seriali dei diritti umani più fondamentali. E poi, sì, sono tutti membri del Consiglio Onu per i diritti umani.
Non è una semplice coincidenza. Essere membri del Consiglio Onu per i diritti umani significa non doversi preoccupare del rischio di essere criticati dal Consiglio Onu per i diritti umani. Farne parte comporta anche un ulteriore privilegio: la licenza di diffamare Israele, in realtà l'unico stato in Medio Oriente che garantisce i diritti dei suoi cittadini, che siano ebrei arabi musulmani cristiani o drusi. Il Consiglio Onu per i diritti umani ha condannato Israele più di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme. E non ha mai approvato una sola risoluzione che condannasse Cina, Russia, Cuba o Zimbabwe....

(israele.net, 24 febbraio 2020)



L'ultima generazione «cristiana»?

Nel mondo occidentale attuale, i cambiamenti avvengono così rapidamente che molti credenti ancora non si rendono conto di ciò che sta loro accadendo. Tuttavia l'inevitabile è diventato veramente imminente. Un invito a risvegliarsi.

di René Malgo

Israel Folau è un giocatore di rugby australiano, che è stato espulso dalla squadra nazionale e dalla possibilità di giocare nel rugby league, perché su Instagram ha espresso il pensiero che gli omosessuali praticanti non erediteranno il Regno di Dio. Successivamente, si è iscritto al sito GoFundMe, per raccogliere offerte necessarie a pagare la sua battaglia legale. Che uno sportivo benestante raccolga denaro, può sembrare strano ma è stata molto più inquietante la reazione del sito web. Infatti GoFundMe permette a tutti di raccogliere denaro per qualsiasi idea, sia essa peccaminosa o meno; questa è la loro politica aziendale. Tuttavia, la raccolta di fondi da parte di Folau è stata scartata con il pretesto che egli avrebbe incitato all'odio.
  Negli ultimi anni, i tempi sono rapidamente mutati. Quando Barack Obama nel 2008 lanciò la sua prima campagna elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti, non osò
Quando Barack Obama nel 2008 lanciò la sua prima campagna elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti, non osò perorare la causa del matrimonio fra individui dello stesso sesso. Questa idea era ancora considerata «indecente».
perorare la causa del matrimonio fra individui dello stesso sesso. Questa idea era ancora considerata «indecente». Dieci anni dopo qualsiasi - anche la più moderata - opposizione ai matrimoni e alle relazioni omosessuali è diventata «indecente». Chi nella società occidentale fa anche il minimo cauto accenno alla peccaminosità dell'omosessualità o dubita della scientificità della ideologia gender, deve sempre fare i conti con il disprezzo pubblico e sempre più con la repressione penale.
  È in corso uno sconvolgimento, di cui molti cristiani occidentali nella quotidianità non si avvedono ancora correttamente. Dal punto di vista materiale le cose ci vanno bene. Siamo tutelati e viviamo in una democrazia che si suppone tollerante e pluralista. Le persone che ci circondano sono educate, gentili e per nulla ostili. Anche gli omosessuali che conosciamo personalmente si dimostrano cari ed affabili. Siamo ancora liberi di frequentare le nostre comunità quando, come e dove vogliamo. Gli altri ci lasciano vivere e noi lasciamo vivere gli altri. Potrebbe durare così per sempre ...
  I segni dei tempi mostrano che le cose cambieranno. Nel Washington Post Nathaniel Frank scrive apertamente che l'eredità del movimento di liberazione omosessuale non è soltanto quella di far apparire gay, lesbiche e transessuali normali come tutti gli altri ma anche rendere tutti gli altri un po' più gay, lesbiche e transessuali (usa il termine «queer» che sta per tutta la gamma rappresentata dal c.d. movimento LGBTQ). A giugno soprattutto l'America ha celebrato il Gay Pride Month (mese dell'orgoglio omosessuale). I mezzi d'informazione occidentali, da un lato all'altro dell'Atlantico, hanno trasmesso una serie di notizie positive sulla liberazione degli omosessuali dalla schiavitù della antiquata pruderie.
  Ovunque, anche a Zurigo, sventolavano le bandiere arcobaleno e dominavano i variopinti colori del movimento LGBTQ. La celebrazione occidentale del mese del «Pride» ha avuto chiaramente un carattere religioso. Un tempo la società occidentale digiunava per un mese per prepararsi alla festa di Pasqua o per un mese accendeva candele per prepararsi al Natale, così ora per un mese all'inizio dell'estate si celebrano con dedizione religiosa le opere che Cristo è venuto nel mondo per distruggere. Esattamente come gli Ebrei celebrano la loro liberazione dalla schiavitù in Egitto e come noi cristiani celebriamo la nostra liberazione dalla schiavitù della morte, del peccato, del diavolo, così festeggia ora il movimento LGBTQ la sua liberazione dalla «schiavitù» dei valori cristiani.
  Ciò che è stato allarmante del mese «Pride» non è tanto che non credenti si siano comportati come tali, come scrive il teologo battista Denny Burk ma che numerosi
Chi nella società occidentale fa anche il minimo cauto accenno alla peccaminosità dell'omosessualità o dubita della scientificità della ideologia gender, deve sempre fare i conti con il disprezzo pubblico e sempre più con la repressione penale.
cristiani confessanti hanno pubblicamente espresso la loro approvazione senza riserve. Si sono affrettati ad issare essi stessi bandiere arcobaleno o a proclamare la loro illuminata vicinanza al movimento arcobaleno. Sono stati pronti a piegare le loro ginocchia al cospetto di «Baal».
  Due grandi temi nella nostra società sono diventati la cartina al tornasole dell'ortodossia secolare: aborto e libertà sessuale senza limiti. Chi vuole stare al mondo deve accettare queste cose pubblicamente e con dedizione religiosa. Molti credenti sono pronti a questo pur di preservare il loro benessere e tranquillità.
  Altri - come già detto - ancora non hanno capito che cosa sta tuonando sul loro orizzonte. Si illudono ancora di vivere in un mondo «neutrale», dove si può essere cristiani in tutta tranquillità. Ma ciò non è più vero. Il mondo rimprovera costantemente ai cristiani di girare intorno ai temi dell'aborto e dell'omosessualità. La verità è diversa: la prima cosa che si chiede ad un cristiano non appena egli emerge dall'anonimato è la sua posizione rispetto ad entrambe le questioni. Poiché esse sono gli aspetti principali della nuova religione occidentale.
  Così come i cristiani venivano obbligati nel primo secolo a fare sacrifici all'imperatore romano, così oggi debbono offrire la loro alleanza alla «meretrice Babilonia» sull'altare dell'infanticidio e dell'ideologia gender. Molti lo fanno senza esitare. È come ai giorni dell'imperatore Decio, a metà del III secolo. Un tempo il cristianesimo era una minoranza tollerata ai margini della società. Nella multiculturalità romana andava piuttosto bene ai cristiani. Molti ricoprivano incarichi elevati. Ma improvvisamente esplose una sorprendente persecuzione ed i cittadini di Roma dovettero fare sacrifici all'imperatore e agli dei come segno della loro lealtà. Migliaia di cristiani abbandonarono la loro fede, in parte più in fretta della loro ombra - almeno così parve e venne riportato.
  Oggi ci troviamo in una situazione analoga. Ovviamente, non veniamo minacciati ora con la morte fisica ma sicuramente con quella sociale. Molte professioni non possono più essere esercitate da cristiani che vogliono vivere coerentemente la loro fede. Cosa deve fare ad esempio un poliziotto credente se - come in modo analogo è parzialmente avvenuto in Gran Bretagna - il datore di lavoro pubblico dispone che ogni poliziotto deve sfoggiare sulla divisa la spilla con la bandiera arcobaleno come espressione della sua approvazione dello stile di vita «queer»? Che ne è dei medici che debbono eseguire aborti o cambiamenti di sesso su bambini fisicamente sani?
  La maggior parte di noi vuole soltanto condurre una vita tranquilla, sicura e finanziariamente vantaggiosa. La fede viene intesa in senso terapeutico, come mezzo di
Ciò che è stato allarmante del mese «Pride»non è tanto che non credenti si siano comportati come tali, come scrive il teologo battista Denny Burk ma che numerosi cristiani confessanti hanno pubblicamente espresso la loro approvazione senza riserve.
auto-aiuto. Dio è un extra rispetto alla vita: l'assicurazione - ciò a cui ricorriamo quando le cose vanno storte. Che brutto risveglio ci sarà quando questo Dio onnipotente ora nella realtà e nella pratica ci richiederà di uscire dal campo della perversione mondana e di portare la Sua onta (Ebrei 13,13)? L'allontanamento dalla fede, che è già in atto pienamente, aumenterà ancora ... e non si fermerà neppure davanti alle chiese libere che si affermano conservatrici. Presto, molto presto - se il Signore non interviene - costerà nuovamente qualcosa, per non dire tutto, essere cristiani.
  Non scrivo questo perché amo seminare il panico o perché si tratti del mio tema favorito. Al contrario. Preferirei di gran lunga che lo sviluppo nella società parlasse un'altra lingua. Ma se scrivessi qualcosa di rassicurante sarebbe una menzogna. Nella comunità Chiamata di Mezzanotte, un tempo, predicava sempre un predicatore che quasi in ogni messaggio faceva riferimento a sofferenze e persecuzioni. Una persona mi disse apertamente e sinceramente di non gradire che parlasse costantemente di questi temi. Improvvisamente egli non parlò più di afflizioni. Oggi è in pensione. Questo messaggio non è amato ma è vero. E quanto prima possibile apriamo gli occhi alla realtà, meglio sarà per la nostra vita spirituale.
  Uno storico disse, una volta, che l'ultima generazione pagana dopo che l'impero romano era divenuto cristiano non aveva la più pallida idea che sarebbe stata effettivamente l'ultima. I pagani predicavano tolleranza, andavano d'accordo con i loro vicini cristiani ed ovunque intorno a loro vedevano ancora i loro templi dedicati agli idoli con i loro rituali. Non potevano immaginarsi che ciò sarebbe cambiato. Ma i cristiani la pensavano diversamente da loro. Una manciata di giovani uomini (e donne) zelanti - soprattutto Ambrogio di Milano - fecero di tutto per attuare l'adorazione dell'unico vero Dio in tutto l'impero romano. La loro dedizione incondizionata, per noi oggi in parte incomprensibile, portò frutti. Nel corso di una generazione molti templi vennero chiusi ed il paganesimo eliminato, quanto meno dalla vita pubblica.
  Oggi succede il contrario. Potremmo quasi chiamarla «la vendetta dei pagani». Siamo l'ultima generazione, almeno di nome, cristiana, cosa a cui il giornalista cattolico Rod Dreher (autore del libro "L'opzione Benedetto") non si stanca di far riferimento ... e molti di noi non se ne accorgono neppure. La maggior parte dei giovani progressisti che attivamente lottano per il movimento LGBTQ e l'aborto sono relativamente pochi. Ma essi consacrano tutta la loro forza e la loro vita per i loro «valori». È vero che gli sforzi dei progressisti sono autodistruttivi, ma dall'eredità incendiaria che essi lasciano sorgerà qualcosa di non cristiano, anzi di anticristiano. A differenza dei cristiani rilassati, i combattenti LGBTQ sono pronti a sacrificarsi per la loro causa - ed anche a combattere in modo «sporco» (cosa che naturalmente noi non dobbiamo fare). Qui non si tratta dell'omosessuale cortese e disponibile della porta accanto - che cerca solo di essere
Cosa deve fare ad esempio un poliziotto credente se - come in modo analogo è parzialmente avvenuto in Gran Bretagna - il datore di lavoro pubblico dispone che ogni poliziotto deve sfoggiare sulla divisa la spilla con la bandiera arcobaleno come espressione della sua approvazione dello stile di vita «queer»??
felice - ma degli aggressivi militanti dell'elite politica e mediatica della nostra cultura. Ed essi provocano lo stesso cambiamento radicale che, un tempo tra la fine del IV e l'inizio del V secolo portò alla sostituzione, nella sfera pubblica, dell'antiquato paganesimo ad opera del cristianesimo.
  Cosa possiamo fare contro questo fenomeno? Non possiamo, in senso figurato, fuggire sui monti (cfr. Marco 13, 14). La Chiesa deve nuovamente diventare un'arca del timore di Dio. Noi siamo tenuti ad uscire (interiormente) dalla «meretrice Babilonia» al fine di non prendere parte ai suoi peccati (Apocalisse 18,4). Un tempo Giovanni esortò i cristiani dell'impero romano a fare questo (cfr. Apocalisse 2-3). Questo grido giunge fino a noi:
    «Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l'orgoglio della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno. Fanciulli, è l'ultima ora. E, come avete udito, l'anticristo deve venire, e fin da ora sono sorti molti anticristi; da questo conosciamo che è l'ultima ora» (1 Giovanni 2,15-18).
Ci dobbiamo nuovamente abituare alla verità della Parola di Dio: «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Timoteo 3,12). Dobbiamo adattarci a vivere nella povertà e nella morigeratezza - proprio come quelli che qui sulla terra sono solo stranieri e pellegrini.
  Ci dobbiamo preparare alla sottrazione dei nostri bambini. In Svizzera, ad esempio, vengono approvate sempre più norme che facilitano notevolmente, all'autorità per la protezione dei minori, sottrarre bambini da famiglie che non si piegano ai dettami della società (pubblicamente si parla sempre di «famiglie disagiate» ma alcuni cristiani hanno già una cupa premonizione di come queste regole possano ancora essere applicate). Ci dobbiamo preparare al fatto che anziani e pastori che annunciano tutto il consiglio di Dio senza paura con l'amore finiscano in carcere. Ci dobbiamo preparare ad essere esclusi da posti di lavoro ben retribuiti e prestigiosi. Dobbiamo prepararci a pagare una sanzione pecuniaria dietro l'altra.
  Riassumendo: saremo costretti a vivere di nuovo come i primi cristiani - tuttavia, e ciò è ancora peggio, in una società che un tempo ha conosciuto la fede sana e, consapevolmente e volontariamente, l'ha rigettata. Tuttavia, pare spesso che amiamo più il peccato del Signore e pertanto non vogliamo assolutamente ascoltare la verità. Un
Ci dobbiamo nuovamente abituare alla verità della Parola di Dio: «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati». Dobbiamo adattarci a vivere nella povertà e nella morigeratezza - proprio come quelli che qui sulla terra sono solo stranieri e pellegrini.
abbonamento a Netflix per noi è più importante di sacrificarci per la fede. Una serata al cinema è più importante di raccogliersi in preghiera con altri credenti. Un buon rapporto con il mondo ci sta più a cuore di stare uniti a Dio. La comodità conta per noi di più della consacrazione. Travestiamo la prima come «grazia», e la seconda come «legalismo». Tuttavia «è giunto il tempo che il giudizio cominci dalla casa di Dio, e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di coloro che non ubbidiscono all'evangelo di Dio?» (1 Pietro 4,17). Questo scriveva Pietro a cristiani perseguitati!
  Anche la lettera agli Ebrei fa appello ai credenti oppressi:
    «Voi non avete ancora resistito fino al sangue, combattendo contro il peccato, e avete dimenticato l'esortazione che si rivolge a voi come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non perderti d'animo quando sei da lui ripreso, perché il Signore corregge chi ama e flagella ogni figlio che gradisce». Se voi sostenete la correzione, Dio vi tratta come figli; qual è infatti il figlio che il padre non corregga? Ma se rimanete senza correzione, di cui tutti hanno avuta la parte loro, allora siete dei bastardi e non dei figli. Inoltre ben abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo molto di più ora al Padre degli spiriti, per vivere? Costoro infatti ci corressero per pochi giorni, come sembrava loro bene, ma egli ci corregge per il nostro bene affinché siamo partecipi della sua santità. Ogni correzione infatti, sul momento, non sembra essere motivo di gioia ma di tristezza; dopo però rende un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati esercitati per mezzo suo» (Ebrei 12,4-11).
Riceviamo l'attacco che, con un elevato grado di certezza incombe su di noi, dalla mano del nostro Dio benigno, che possibilmente ci vuole trasformare ad immagine di Suo Figlio, fino al rapimento «sulle nuvole, per incontrare il Signore nell'aria; cosi saremo sempre col Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole» (1 Tessalonicesi 4, 17-18).
  Tuttavia finché siamo qui vale questo:
    «Anche noi dunque, essendo circondati da un cosi gran numero di testimoni, deposto ogni peso e il peccato che ci sta sempre attorno allettandoci, corriamo con perseveranza la gara che ci è posta davanti, tenendo gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede, il quale, per la gioia che gli era posta davanti, soffri la croce disprezzando il vituperio e si è posto a sedere alla destra del trono di Dio. Ora considerate colui che sopportò una tale opposizione contro di sé da parte dei peccatori, affinché non vi stanchiate e veniate meno» (Ebrei 12, 1-3).
Maranatha, Signore nostro vieni!

(Chiamata di Mezzanotte, settembre/ottobre 2019)

 

Israele, nel 2019 gli introiti della commercializzazione di gas e petrolio sono in calo

GERUSALEMME - Gli introiti derivanti dalla commercializzazione del gas naturale, del petrolio e dei minerali in Israele hanno totalizzato 864 milioni di shekel (circa 232 milioni di euro) nel 2019, in diminuzione rispetto agli 878 milioni di shekel (236 milioni di euro). Lo ha reso noto il ministero delle Infrastrutture nazionali, dell'energia e delle risorse idriche. La maggior parte delle entrate proviene dalle royalties sul gas naturale e petrolio. Il ministero ha fatto sapere che la leggera diminuzione deriva da un lato dal rafforzamento della valuta locale, lo shekel, e da una rottura nel pozzo del giacimento Tamar lo scorso aprile. Le royalties sui minerali ammontano a 10,7 milioni di shekel (circa 2,6 milioni di euro). Il ministero delle Infrastrutture nazionali, dell'energia e delle risorse idriche prevede un forte aumento delle entrate nel 2020 in seguito all'avvio della produzione nel giacimento Leviathan. Secondo le stime le entrate nel 2020 dovrebbe toccare 1,5 miliardi di shekel (circa 404 milioni di euro).

(Agenzia Nova, 23 febbraio 2020)


Odio anti-ebraico: libri sauditi incitano a uccidere le "scimmie ebree"

di Sadira Efseryan

Nonostante i tanti segnali di cambiamento nei confronti di Israele e degli ebrei che arrivano dal mondo arabo, nonostante l'imminente svolta nelle relazioni tra Gerusalemme e i Paesi del Golfo, l'odio anti-ebraico è duro a morire, soprattutto in Arabia Saudita.
  Un rapporto pubblicato dalla IMPACT-se, l'Istituto per il monitoraggio della pace e della tolleranza culturale nell'istruzione scolastica, che analizza i contenuti dei libri di testo sauditi per l'anno accademico 2019-2020, rivela infatti che nelle scuole saudite l'odio anti-ebraico non solo è duro a morire ma che addirittura la retorica anti-ebraica si è addirittura accentuata.
  Lo studio ha analizzato circa 200 libri di testo destinati all'insegnamento nelle scuole primarie saudite e il quadro che ne emerge è assolutamente desolante.
  Agli studenti sauditi viene insegnato che i sionisti sono nemici dell'Islam e che il movimento sionista è razzista.
  Israele, che non viene mai nominato nei libri ma viene individuato come "nemico sionista", è accusato tra l'altro di aver danneggiato l'Islam. Alcuni dei 200 libri analizzati menzionano addirittura il "dovere religioso di uccidere gli ebrei" che vengono definiti "scimmie ebree".
  Un libro di testo destinato alle scuole superiori dedica un capitolo a come "combattere gli ebrei" e riporta integralmente una citazione degli Hadith (detti di Maometto) nel quel il Profeta afferma: «il Giorno del Giudizio non verrà prima che i musulmani combattano contro gli ebrei, e gli ebrei si nasconderanno dietro le rocce e gli alberi, ma le rocce e gli alberi diranno: Oh musulmano, oh servo di Allah, c'è un ebreo dietro di me, vieni e uccidilo …».
  Altri libri riportano mappe del Medio Oriente dove al centro c'è solo la Palestina mentre Israele non viene nominato.
  L'odio anti-ebraico viene alimentato in ogni modo. In diversi libri, anche destinati ai più piccoli, viene insegnato che «l'occupazione ebraica lavora giorno e notte per demolire la moschea di Al-Aqsa o bruciarla e danneggiarla».
  Nei libri di testo sauditi non mancano neppure incitamenti all'odio verso gli iraniani che vengono descritti come "radicali che hanno influenzato il Golfo Persico". Nei libri di quest'anno vi sono anche richiami all'odio contro la Turchia che non ha buone relazioni con l'Arabia Saudita.
  Quello che ne emerge è quindi un quadro assolutamente desolante che mostra la vera faccia dell'Arabia Saudita, molto diversa da quella che i sauditi vorrebbero far vedere nella politica internazionale.
  Crescere i propri figli instillando l'odio verso quelli che i sauditi ritengo "nemici" e in particolare verso gli ebrei (non solo verso Israele) è davvero nocivo perché lavora sulle generazioni future.
  Qualche tempo fa persino il presidente Trump chiese all'Arabia Saudita di smettere di instillare odio attraverso i libri di testo scolastico, richiesta prontamente rispedita al mittente da Riad.

(Rights Reporters, 23 febbraio 2020)


Il coronavirus e le misure in Lombardia. Israele, direttive per chi arriva dall'Italia

Da Milano a Israele sono state attivate nuove misure precauzionali contro il contagio da coronavirus. Nelle scorse ore la Comunità ebraica di Milano, seguendo le direttive della Regione Lombardia, ha infatti avvisato i suoi iscritti che la Scuola e la Residenza Anziani Arzaga "hanno attivato le prime misure atte a prevenire possibili contagi".
   La scuola della Comunità ebraica, così come tutte le scuole milanesi, in ottemperanza alle ultime disposizioni delle autorità competenti resterà chiusa da domani, lunedì 24 febbraio, per tutta la settimana. In contatto con le autorità sanitarie, dalla Comunità sottolineano come seguiranno "le direttive che dovessero arrivare dai ministeri competenti, ma nessun allarmismo è al momento attuale giustificato" (qui i consigli della Regione Lombardia dove si sono registrati la maggior parte dei casi di coronavirus - il numero verde per avere informazioni riguardo al virus è 800 894545). In queste ore la Regione Lombardia, di concerto con il ministro della sanità, ha predisposto un'ordinanza in cui si prevede: la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico; la sospensione dei servizi educativi dell'infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per gli anziani ad esclusione degli specializzandi e tirocinanti delle professioni sanitarie, salvo le attività formative svolte a distanza; la sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura.
   In Israele intanto il ministro della Salute ha diffuso una direttiva in cui si ordina a chiunque sia stato negli ultimi 14 giorni in Italia, Cina, Hong Kong, Thailandia, Giappone, Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Australia e Macao, e abbia sviluppato sintomi di malattia, di recarsi in una clinica sanitaria o centro medico per essere controllato. Nel novero dei sintomi indicati sul sito del ministero israeliano, febbre a 38 gradi o superiore, tosse, difficoltà respiratorie o qualsiasi altro sintomo respiratorio. Si chiede di avvisare in anticipo e di informare del proprio arrivo le cliniche o centri medici a cui si è deciso di recarsi.
   Israele ha di recente negato l'ingresso ai visitatori provenienti da Cina, Hong Kong, Macao, Thailandia e Singapore e in queste ore sta valutando se estendere il divieto a cittadini non israeliani che sono stati in Sud Corea o Giappone negli ultimi 14 giorni. "Su raccomandazione del Ministero della Salute, in questo momento stiamo discutendo di Giappone e Corea del Sud, ma la situazione è dinamica" ha detto in una conferenza stampa dedicata al coronavirus il direttore dell'amministrazione della Popolazione e dell'Immigrazione Shlomo Mor-Yosef. In un'intervista alla radio dell'esercito, alla domanda se l'Italia possa essere il prossimo paese su cui sarà posto il divieto di arrivi, il capo del Ministero della Salute Moshe Bar Simantov ha spiegato che "l'Italia è uno dei Paesi che seguiamo da vicino e con preoccupazione. Oggi pubblicheremo nuove direttive. Se qualcuno torna da lì sentendosi male, deve essere controllato per coronavirus".

(moked, 23 febbraio 2020)



Israele impone la quarantena: l'Italia come un Paese asiatico

Le autorità israeliane hanno imposto di effettuare controlli a chiunque sia stato a Taiwan, in Australia o in Italia negli ultimi 14 giorni e sviluppi sintomi collegabili al coronavirus.

di Federico Giuliani

Se prima l'unica minaccia sanitaria proveniva dalla Cina, epicentro dal quale è scaturita l'emergenza globale, adesso ci sono altre nazioni che contano sul loro territorio un elevato numero di casi. Tra queste citiamo la Corea del Sud, dove al momento si sono registrati 602 casi e 5 vittime, Giappone (138 e 1 morto) e, appunto, Italia (117 e un decesso all'attivo).
  Israele, ad esempio, ha imposto misure ferree. Una quarantena di quattordici giorni sarà obbligatoria per tutti gli israeliani che ritornano dal Giappone, dalla Cina, dalla Corea del Sud, da Hong Kong, Macao, Thailandia e Singapore. Come se non bastasse, hanno specificato le autorità "chiunque sia stato a Taiwan, in Italia o in Australia negli ultimi quattordici giorni e sviluppi i sintomi della malattia dovrebbe essere esaminato".
  In altre parole gli israeliani che si sono recati nel nostro Paese, e che una volta rientrati in patria dovessero presentare sintomi sospetti, dovranno essere sottoposti a test strumentali per scongiurare il rischio di aver contratto il coronavirus. Insomma, il ministero della Salute di Israele, nel mettere a punto le sue linee guida, ha messo l'Italia sullo stesso piano delle nazioni asiatiche.

 Le mosse del governo israeliano
  In effetti il numero di casi fin qui registrati nel Belpaese è di gran lunga superiore a quello di tutti i Paesi dell'Asia, ad eccezione di Cina, Corea del Sud e Giappone. Giusto per fare un confronto, Singapore e Hong Kong, entrambi a due passi da Pechino, contano rispettivamente 89 e 70 casi. La Thailandia è ferma a 35, Taiwan a 28, la Malesia a 22, il Vietnam a 16. Certo, è doveroso sottolineare come queste siano cifre fredde e soggette a repentini cambiamenti.
  Tornando a Israele, il governo locale ha anche chiesto a circa 200 studenti e insegnanti israeliani di entrare in quarantena perché si trovavano in diversi siti turistici contemporaneamente al gruppo di turisti sudcoreani risultati positivi al coronavirus una volta rientrati in patria proprio da un viaggio in Israele. Il ministero della Salute ha pubblicato sul suo sito web i dettagli delle peregrinazioni dei citati turisti sudcoreani, chiedendo agli israeliani che sono stati in contatto con loro di contattare le autorità sanitarie.
  Ricordiamo inoltre che sabato un aereo proveniente da Seul e contenente circa 200 passeggeri non israeliani non ha ricevuto l'ok per poter sbarcare all'aeroporto di Ben Gurion di Tel Aviv proprio perché il governo ha emesso ferree leggi di ingresso per combattere il coronavirus.

(il Giornale, 23 febbraio 2020)



Il museo di Auschwitz chiede ad Amazon lo stop alla vendita dei libri nazisti per bambini

Il museo di Auschwitz ha chiesto al miliardario americano del commercio online Jeff Bezos di ritirare dalla vendita sulla sua piattaforma Amazon i libri antisemiti per bambini che risalgono all'epoca nazista.
«La propaganda di virulento odio nazista antisemita è messa in vendita non solo su @AmazonUK. Libri di autori come Julius Streicher sono disponibili anche su @amazon e @AmazonDE. Questi libri dovrebbero essere eliminati immediatamente. @JeffBezos @AmazonHelp», ha scritto sul suo profilo Twitter il memoriale di Auschwitz in un post, che riproduce anche schermate dei libri venduti sul sito.
Tra questi, c'è un libro per bambini antisemita intitolato "Il fungo velenoso" scritto dal membro del partito nazista Julius Streicher, originariamente pubblicato nel 1938. Il libro è disponibile su Amazon nella versione tedesca originale (Der Giftpilz), ma anche in inglese, francese e spagnolo.
L'anno scorso, la Lituania ha invitato Amazon ad interrompere la vendita online di prodotti di riferimento sovietico, affermando che il simbolo della falce e martello offende le vittime del comunismo totalitario.
Negli ultimi 18 mesi, secondo il New York Times, Amazon ha ritirato diversi libri di autori di estrema destra, tra cui David Duke, ex leader del Ku Klux Klan, e George Lincoln Rockwell, fondatore del Partito nazista.

(Il Secolo XIX, 23 febbraio 2020)



    Salmo 23
  1. L'Eterno è il mio pastore, nulla mi manca.
  2. Egli mi fa giacere in verdeggianti paschi, mi guida lungo le acque chete.
  3. Egli mi ristora l'anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome.
  4. Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano.
  5. Tu apparecchi davanti a me la mensa al cospetto dei miei nemici; tu ungi il mio capo con olio; la mia coppa trabocca.
  6. Certo, beni e benignità m'accompagneranno tutti i giorni della mia vita; ed io abiterò nella casa dell'Eterno per lunghi giorni.

    --> Predicazione
 Salmo 23
Marcello Cicchese
17 set 2017

 

Per la Corte Penale Internazionale la Palestina non è uno Stato

di Sarah G. Frankl

Lo scorso 20 dicembre 2019 il Procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, annunciava raggiante di avere gli elementi per aprire una indagine contro Israele per presunti crimini di guerra commessi in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza.
L'indagine era stata sollecitata dalla Autorità Nazionale Palestinese credendo che bastasse l'adesione della Palestina allo Statuto di Roma quando in realtà la prima e inderogabile qualità necessaria per rivolgersi alla Corte Penale Internazionale non è l'adesione allo Statuto di Roma quanto piuttosto l'essere riconosciuto come uno Stato.
   Sin da subito sia Israele che gli Stati Uniti avevano sollevato dubbi sulla effettiva possibilità da parte palestinese di avanzare richieste alla Corte Penale Internazionale in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto veniva meno proprio quella qualità necessaria per rivolgersi alla CPI.
   Ma il Procuratore Capo dell'Aia non volle sentire ragioni e affermando che «non vi erano ragioni sostanziali per ritenere che un'indagine non servirebbe gli interessi della giustizia» andò avanti con la prassi per dare il via ad una indagine nonostante Israele non abbia mai aderito allo Statuto di Roma e quindi non rientrasse nel raggio d'azione della Corte e, soprattutto, nonostante i palestinesi non avessero gli attributi necessari a chiedere una indagine.
   Questa settimana è stata la stessa Corte Penale Internazionale a porre un macigno difficilmente removibile sulla richiesta palestinese.
   Procedendo con l'iter avviato dal Procuratore Capo, molti Stati aderenti allo Statuto di Roma, tra i quali anche alcuni che hanno formalmente riconosciuto la Palestina, e moltissimi esperti di Diritto Internazionale hanno espresso parere negativo al proseguimento dell'indagine in quanto non essendo la Palestina uno Stato riconosciuto non può trasferire la giurisdizione criminale riguardante il suo territorio all'Aia.
   Tra questi i più incisivi sono stati la Germania, l'Australia, l'Austria, il Brasile, la Repubblica Ceca, l'Ungheria e l'Uganda i quali hanno chiesto il cosiddetto "amicus curiae" ovvero "amico della Corte" che fornisce loro la possibilità di esprimere una opinione sugli atti della Corte.
   Questo gruppo di Paesi, sostenuti poi anche da altri, hanno quindi espresso la loro posizione negativa rispetto al fatto che la Palestina potesse rivolgersi alla CPI in quanto non essendo uno Stato riconosciuto e quindi in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma non gli è permesso presentare alcunché alla Corte.
   Il fatto curioso e a modo suo eclatante, è che nemmeno quegli Stati che hanno riconosciuto unilateralmente la Palestina hanno fatto opposizione alla giusta indicazione portata all'attenzione della Corte da questi sette Paesi.
   Morale della favola, la Palestina non è uno Stato e non basta aderire a trattati internazionali per avere voce in capitolo.
   Ora spetta a una cosiddetta camera pre-processuale decidere in merito. I tre giudici di questa camera - l'ungherese Péter Kovàcs d'Ungheria, il francese Marc Perrin de Brichambaut e Reine Adélaìde Sophie Alapini-Gansou del Benin - hanno invitato «la Palestina, Israele e le presunte vittime nella situazione in Palestina, a presentare osservazioni scritte» sulla questione entro il 16 marzo.
   Ma appare evidente che l'Aia non ha giurisdizione sulle questioni riguardanti la cosiddetta "Palestina" e che quindi il tutto si concluderà con un nulla di fatto.
   Di «grande vittoria per Israele» parla l'avvocato Daniel Reisner. «È significativo che anche stati come il Brasile e l'Ungheria, che hanno riconosciuto la Palestina nominalmente, sollevino seri dubbi sulla giurisdizione della corte» ha detto Reisner.
   Proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica
   Immediate le proteste dalla Lega Araba e dalla Organizzazione per la Cooperazione Islamica che sembrerebbero voler chiedere lo status di "amicus curiae" in modo da contrastare quanto evidenziato questa settimana. Ammesso che lo possano fare, hanno tempo fino a venerdì prossimo per presentare le loro osservazioni.
   In ogni caso Israele non presenterà nessun documento alla camera pre-processuale per non legittimare un procedimento chiaramente fuori dal contesto del Diritto Internazionale.

(Rights Reporters, 22 febbraio 2020)


Con le scritte antiebraiche l'estrema destra tenta di rafforzarsi e fare proseliti

Lettera a Maurizio Molinari, direttore di “La Stampa”

Caro Direttore,
quando vediamo una «Stella di Davìd» o un «Jude» disegnati su una porta, un portone, un muro; quando notiamo svastiche che deturpano le tombe di un cimitero ebraico; quando sentiamo che è stato profanato il «Giardino dei Giusti»; quando leggiamo un messaggio antisemita, una scritta razzista, una qualsiasi parola offensiva e denigratoria; quando veniamo a conoscenza di atrocità tenute nascoste per decenni, noi tutti, donne e uomini, giovani e anziani, di qualunque colore sia la nostra pelle, il nostro credo religioso e la nostra fede politica, non cadiamo nel tranello di reagire con rancore a tanta cattiveria, ma isoliamo questi virus maligni - che offendono ogni valore di solidarietà e di pace- «incollando» il nostro cuore su tutte le espressioni di odio.
   Tutti noi uomini di buona volontà che crediamo nei valori morali, civili e sociali; tutti noi che mai smetteremo di piangere vittime innocenti - vedi i morti delle foibe, che per oltre settant'anni hanno subito l'umiliazione di coloro che per «esigenze di partito» hanno rimosso quei tragici orrori - ; tutti noi che continueremo ad onorare la memoria sacra dei martiri, degli eroi, di tante persone comuni e sconosciute che si sono immolate per difendere gli ideali di democrazia e di civiltà, isoliamo ogni traccia indegna lasciata da gente deviata e sostituiamola con pensieri e concreti atti d'amore.
Uniamo tutti i nostri cuori per ricordare ai giovani le atrocità commesse nel triste recente passato che tante tragedie hanno provocato. Tutti i nostri cuori straripanti d'amore per guardare al futuro e creare uno scudo impenetrabile a difesa del bene.
Raffaele Pisani



Caro Pisani,
quanto lei esprime e scrive riflette il valore dell'articolo 3 della Costituzione repubblicana che costituisce il vero antidoto ad ogni forma di intolleranza e discriminazione nel nostro Paese. Resta il legittimo interrogativo sul perché un così significativo numero di episodi antiebraici si stia verificando, soprattutto attraverso scritte offensive nei confronti di chiunque. E, in particolare, in una regione come il Piemonte nel cui dna non c'è l'estrema destra ma anzi la lotta partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Credo che la risposta abbia a che vedere con l'identità stessa dell'estrema destra nel nostro Paese. Si tratta di gruppi molto minoritari, quasi catacombali, che operano molto spesso ai margini della vita pubblica e vivono in una situazione di autoisolamento culturale ma si giovano della cornice di una crescente polarizzazione della vita pubblica, che porta all'affermazione degli estremi. Questi estremisti percepiscono così la possibilità di uscire dal buio, tornare in superficie ed ottenere ogni sorta di riconoscimenti. Da qui il loro desiderio di reclutare, fare proseliti, al fine di ottimizzare l'attuale inquieta fase politica per rafforzarsi, acquistare spazio, visibilità e in ultima istanza legittimità. Per tali gruppi provare a fare proseliti significa esaltare la propria ideologia d'odio verso il prossimo e questo spiega il moltiplicarsi delle scritte antisemite così come la scelta di farlo in una regione italiana culla della lotta partigiana.

(La Stampa, 22 febbraio 2020)



«Basta balle, l'antisemitismo in Italia non c'è»

Parla l'ex presidente della comunità ebraica di Roma. Pacifici: il pericolo viene da chi vuole cancellare Israele. E le aggressioni arrivano dalla sinistra e dal mondo islamico.

di Fausto Carioti

 
Riccardo Pacifici e signora
«Lo dico sempre ai miei figli: prima eravamo molto più isolati. Rispetto al 1982, quando ci fu l'attentato alla sinagoga, la situazione è migliorata. Non riconoscere le conquiste fatte, gli amici che abbiamo, è una follia». Riccardo Pacifici è uno dei volti più noti della comunità ebraica italiana. Membro del collegio dei soci fondatori del Museo della Shoah, è stato presidente, per sette anni, della comunità ebraica di Roma. Di quello che legge sui giornali in questo periodo, condivide poco o nulla. «Da settembre in poi, noi ebrei siamo prigionieri di un sistema mediatico perverso. È scattato l'automatismo per cui si deve parlare solo degli ebrei che hanno sofferto, degli ebrei morti».

- E invece?
  «Ringrazio tutti quelli che ci sono vicini e ci inviano messaggi di solidarietà davanti alle minacce e alle scritte antisemite. Ma la narrazione che bisogna fare è un'altra».

- Quale?
  «La società italiana è cambiata. Lo spiega bene il senso della visita appena fatta (ieri, ndr) da Sergio Mattarella. Importante, perché non è stata legata solo all'omaggio a date tristi come il 16 ottobre del 1943, quando avvenne la prima retata. Mattarella ha voluto incontrare i bambini, sui quali abbiamo sempre investito. Vogliamo che crescano con una forte identità ebraica, pronti a confrontarsi con la società circostante senza paura, orgogliosi della nostra identità».

- Vengono sbandierati sondaggi secondo cui in Italia è aumentato il tasso di coloro che negano la Shoah, e di conseguenza l'odio verso gli ebrei.
  «Dissento. Ci sono stati centinaia, migliaia di viaggi della memoria con sindaci, ministri, governatori, ragazzi... Quanti sono gli studenti che hanno sentito parlare gli scampati alla Shoah? Un'intera generazione è cresciuta su questi valori. C'è da tanto fare, ma è assolutamente folle dire che tutto è peggiorato. È segare il ramo sul quale siamo seduti».

- E cosa pensano i giovani italiani degli ebrei?
  «In tutta Italia c'è una gioventù sana, bella e pulita, capace di reagire in modo incredibile. A Pomezia, dopo che sono apparse alcune scritte antisemite fuori da una scuola, tutti gli studenti si sono ribellati. Gli insegnanti hanno preso provvedimenti. Un ragazzo che disegna una svastica non basta a etichettare un'intera scuola, ma degli altri cinquecento alunni che reagiscono non parla nessuno. Non possiamo trovarci in una situazione in cui i giornali gridano all'allarme perché c'è una scritta antisemita sotto casa di un ebreo».

- Cosa c'è di sbagliato?
  «Abbiamo il dovere di misurare il grido d'allarme sulle vicende italiane. In alcune zone della Germania, del Belgio, della Francia, in certi quartieri di Londra, girare con la kippah in testa, come faccio io, è diventato pericoloso. Anche noi avremo la necessità di denunciare e contrastare simili cose, quando si verificheranno».

- Il pericolo di andare in giro con la kippah cresce di pari passo con l'immigrazione islamica, anche se i media fingono che questo legame non esista.
  «Non credo affatto che tutti i musulmani che girano intorno a noi siano potenziali terroristi. Molti, col loro lavoro, contribuiscono al benessere comune. Però non c'è dubbio che questo tipo di aggressioni oggi sia soprattutto di matrice islamica, spesso addirittura islamico-nazista».

- Anche sul piano politico state meglio oggi di allora?
  «Senza dubbio. Quali erano allora le forze che difendevano il diritto di Israele ad esistere dinanzi agli infiniti attentati dell'Olp di Yasser Arafat? I repubblicani, i radicali, i liberali, i socialisti di Pietro Nenni. La loro somma non superava il 7-8 per cento». «L'80% dell'intero centrodestra è filoisraeliano. Gran parte del Pd lo è. Anche dentro Leu non tutti sono ostili a Israele».

- Eppure si parla solo di odio. Di destra.
  «Sicuramente c'è l'odio in Rete, l'odio nei confronti dei diversi, l'odio dei suprematisti che attraversa la Germania ed è presente anche in Australia. Ho pubblicamente criticato Matteo Salvini quando annunciò l'alleanza con Marine Le Pen. Denuncio il suo linguaggio pericoloso, anche se il suo partito, proprio per le sue posizioni filoisraeliane, ha molti sostenitori nella nostra comunità. Però mi dà fastidio l'idea di essere, in quanto ebreo, uno strumento usato per dividere, come accaduto a Gorizia».

- Si riferisce all'ennesimo "caso Segre"?
  «Gorizia è amministrata da un sindaco di Forza Italia. Con spirito genuino, immagino, i consiglieri del Pd hanno proposto una mozione per impegnare l'amministrazione a dare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Il sindaco, sospettando una trappola politica, ha replicato: perché solo la Segre? Diamo la cittadinanza onoraria all'Unione delle comunità ebraiche. E assieme all'antisemitismo condanniamo chi nega il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. La mozione non è passata perché gli eletti del Pd hanno abbandonato l'aula».

- Come se lo spiega?
  «Nel centrosinistra ci sono quelli che promuovono il Bds, il boicottaggio ai danni di Israele in tutti i settori, inclusa la cooperazione scientifica e medica. Una forma palese di antisemitismo. Vogliono cancellare lo Stato d'Israele dalle cartine».

- A Bruxelles va meglio?
  «Nell'era di Federica Mogherini l'Unione europea non ha detto nulla sulle reiterate minacce di distruggere lo Stato di Israele lanciate dal regime iraniano. Avrei voluto vedere dalla Mogherini una reazione che non c'è stata. Lei è stata la delusione più grande. Temo che la Ue attuale non sia molto diversa».

(Libero, 22 febbraio 2020)


«Gli ebrei, un pilastro dell'Italia»

Roma, Mattarella in visita al Tempio. «Dopo 2.000 anni, pochi romani possono dirsi più romani di voi»

di Paolo Conti

«II contributo della Comunità ebraica è un pilastro del nostro Paese. Voglio esprimere riconoscenza per quanto la comunità ha dato all'Italia nella sua storia, nella sua cultura, nella sua arte, nella sua vita sociale. La democrazia esiste perché dà voce alla diversità». Sergio Mattarella, parla dall'alto dell'area absidale del Tempio Maggiore di lungotevere Cenci, davanti all'Aron-Ha-Kodesh che contiene il rotolo della Torà. Ha chiesto lui stesso, pochi giorni fa, di visitare la Comunità ebraica romana. Scelta fortemente simbolica, in una stagione In cui riappaiono svastiche, slogan, simboli legati all'atrocità dello sterminio nazista del popolo ebraico. Seduti tra i banchi, solo i 650 alunni dei diversi gradi della Scuola ebraica di Roma. Accanto alla figlia Laura, il Presidente ha il capo coperto da una kippah bianca, creata appositamente per lui e per lo staff, con il simbolo del Quirinale stilizzato in azzurro.
   Lo accolgono il rabbino capo Riccardo Di Segni, la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello e il vicepresidente Ruben Della Rocca. Prima una visita al Museo Ebraico e un commosso incontro con la famiglia di Stefano Gaj Taché, il bambino ucciso dall'attentato terrorista palestinese alla Sinagoga nel 1982. Poi il Tempio: un fragoroso applauso, le grida dei bambini, il coro che canta «Yomam». Tra gli invitati, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, da sempre accanto alla Comunità ebraica romana nella lotta contro ogni forma di discriminazione. Dureghello saluta il Presidente: «Ci insegna il Talmud che il mondo si regge sul fiato dei bambini. I bambini qui nel Tempio Maggiore sono quelli delle scuole ebraiche. Ora, se il mondo si regge sui fiato dei bambini, il futuro degli ebrei in Italia dipende esclusivamente dagli alunni delle scuole ebraiche. Nei valori millenari della nostra cultura, c'è il significato della nostra diversità, con cui contribuiamo a rendere l'Italia un posto più bello e di cui siamo orgogliosamente parte avendo contribuito a renderla unita. Grazie per averlo ricordato oggi agli italiani». II Rabbino Di Segni rende omaggio «al supremo Magistrato garante della legge, della legalità, di una Costituzione che, dopo anni bui, assicura uguaglianza a tutti i cittadini. Lei ha detto che "quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi". Noi viviamo la differenza di cui siamo portatori come un arricchimento per tutti».
   Mattarella parla dell'articolo 3 della Costituzione «che sigilla la ricchezza delle diversità di ciascuno», rammenta «la vergogna e gli orrori delle leggi razziali», ricorda la millenaria storia della Comunità ebraica («avete 2.000 anni alle spalle, pochi romani possono dirsi più romani di voi»), cita Elio Toaff, Tullia Zevi, Renzo Gattegna. Prima di ricevere il Pane del Sabato, saluta i bambini con un «Lehaim!», alla vita!, e poi «visto che manca poco al tramonto, «Shalom Shabbat».

(Corriere della Sera, 22 febbraio 2020)


Tel Aviv contro il manifesto che «mette in ginocchio» Abu Mazen

Il sindaco ha fatto rimuovere un poster in cui Ismail Haniyeh e il presidente palestinese vengono umiliati. «Incita alla violenza, stesse tecniche dei nazisti e dell'Isis»

GERUSALEMME - Inginocchiati, bendati, le mani e la bandiera bianca alzate in segno di resa: Ismail Haniyeh, leader di Hamas, e Abu Mazen, il presidente palestinese, vengono sconfitti in gigantografia.
   Il manifesto è apparso per le strade di Tel Aviv fino a quando il sindaco Ron Huldai non ha ordinato di rimuoverlo «perché incita alla violenza e ricorda le tecniche di propaganda naziste e dello Stato Islamico». Una legge municipale gli permette di bandire qualunque simbolo o immagine che «offenda il pubblico».
   La sua decisione è stata criticata da Yedioth Ahronoth, il quotidiano più venduto: in un commento ammette che il poster era di cattivo gusto, allo stesso tempo ricorda che «Haniyeh è a capo di un 'organizzazione che vuole sterminare gli ebrei». Haaretz, il giornale della sinistra, ha pubblicato la replica della attivista Nave Dromi che guida l'associazione dietro all'iniziativa dei manifesti: il progetto si chiama Vittoria di Israele e vuole combattere quello che definisce "il disfattismo pacifista". Dromi è contraria a qualunque accordo con i palestinesi (da Oslo in avanti) che non corrisponda al piano presentato da Donald Trump. Eppure perfino gli americani sono convinti che Abu Mazen (o chi gli succederà) debba essere coinvolto nei negoziati e hanno bloccato qualunque mossa unilaterale proclamata dal premier Benjamin Netanyahu come l'annessione a Israele dei blocchi di colonie nei territori arabi e la valle del Giordano.
   Attraverso i mediatori egiziani sempre Netanyahu sta trattando con Hamas per arrivare a una tregua di lungo periodo che fermi i lanci di razzi sulle città israeliane e i leader fondamentalisti stanno cercando di ottenere il più possibile, visto che la politica israeliana è impegnata nella campagna elettorale verso il voto del 2 marzo. Anche la destra parla con i nemici.

(Corriere della Sera, 21 febbraio 2020)



Le donne sfidano i partiti : "Con noi per combattere contro il maschilismo nella Knesset"

Un nuovo partito, "Kol Hanashim" (Voce delle donne) composto da rappresentanti di diversi schieramenti politici si confronterà con Likud e Kahol Lavan nelle prossime elezioni del 2 marzo. Insieme mirano a promuovere i diritti di genere e combattere contro discriminazioni e machismo.

di Chiara Nardinocchi

 
ROMA - Non importa a quale fazione appartieni, l'importante è combattere per i diritti che ti sono negati. È questo il caposaldo di Kol Hanashim, 'Voce alle donne' che il 2 marzo sfiderà i partiti tradizionali che per la terza volta in poco più di un anno si affrontano per cercare di dare un governo stabile e duraturo al paese.

 Diritti e rappresentanza
  Violenza di genere, assistenza sanitaria, superamento del gender gap, ma anche aumento della rappresentanza femminile all'interno delle istituzioni. Con questo programma politico Elana Sztokman, cofondatrice di Kol Hanashim, esorta indecisi e cerca di attrarre chi nella vecchia politica ha perso la fiducia. Lo scontro tra i partiti al potere ha logorato infatti anche la fiducia di una fetta di popolazione che, secondo le sostenitrici potrebbero confluire nel nuovo partito. Un modo anche per fermare il circolo vizioso che ha portato negli ultimi anni ad un aumento costante del potere in mano a ex militari in pensione più o meno conservatori, ma allineati su politiche di stampo machista. Le donne parlamentari, storicamente più presenti nei partiti di sinistra) finiscono per appoggiare i piani dei colleghi maschi ma al momento di sostenere politiche 'femminili' vengono messe in ombra.
  "La situazione delle donne in Israele sta peggiorando - ha detto Sztokman in un'intervista per il quotidiano Haaretz - Il numero di donne nella Knesset è diminuito, molte donne sono state uccise nel 2019 e la disparità di genere aumenta, eppure nessuno ne parla. Tutti questi problemi vengono liquidati come 'riguardanti solo le donne' e nessuno in parlamento se ne interessa".

 Insieme
  Punto di forza di questa nuova realtà è l'inclusione di diverse anime. Dalla destra conservatrice alla sinistra progressista, ortodossi e laici. Per entrare a far parte del governo servono il 3,25% di voti, ovvero 140.000 preferenze. Un obiettivo ambizioso per una realtà appena nata ma che non scoraggia le candidate. "Vuoi porre fine allo stallo politico? Le donne sono la soluzione!", è una dei loro principali slogan della campagna elettorale. "Il primo obiettivo - continua Sztokman - è quello di facilitare la formazione di un governo e farne parte. E quando avremo un posto a quel tavolo, fare quello che riterremo più giusto".
  "Ciò che hanno in comune tutte queste donne - afferma ad Haaretz Pamela Becker, attivista di Kol Hanashim - è che vogliono occuparsi di questioni che incidono sulla vita delle donne e avere voce in capitolo su come gestirle. Non ci stiamo lamentando. Stiamo solo dicendo che meritiamo un posto a quel tavolo e che quindi andremo a prenderlo".

(la Repubblica, 21 febbraio 2020)


Israele, tra instabilità interna e "Piano del secolo"

di Anna Maria Bagaini

Il quadro politico israeliano rimane fortemente incerto e instabile sia a causa del ritorno al voto per la terza volta in un anno sia per le sorti del premier uscente Benjamin Netanyahu, accusato in tre casi per corruzione, frode e violazione della fiducia. Sul piano regionale e internazionale, il Piano di pace dell'amministrazione statunitense ha monopolizzato di colpo l'attenzione politica e l'opinione pubblica nazionale, portando verosimilmente in dote al governo una chance spendibile in chiave elettorale.

Quadro interno
Israele sta vivendo un periodo di forte instabilità politica determinata dagli inconcludenti risultati elettorali del 9 aprile e del 17 settembre 2019, esiti che sembrerebbero molto probabili ripetersi il prossimo 2 marzo, quando l'elettorato israeliano sarà chiamato a votare per la terza volta nell'arco di un anno. Entrambe le elezioni si sono svolte all'ombra delle accuse di corruzione contro il primo ministro....

(ISPIonline, 21 febbraio 2020)


Il presidente Mattarella in sinagoga, prima visita al Tempio maggiore

L'incontro privato con la Comunità ebraica di Roma. Presenti anche i familiari di Stefano Gadi Tachè, bimbo ucciso durante un attentato nell'ottobre del 1982

di Alessandra Ziniti

ROMA - La prima volta del presidente Mattarella alla sinagoga. Una visita privata e inattesa quella che il capo dello Stato ha richiesto alla comunità ebraica una settimana fa e che assume un particolare rilievo in un momento in cui l'Italia e' attraversata da ripetuti episodi di antisemitismo.
Mattarella è arrivato al quartiere ebraico a mezzogiorno accolto dal rabbino capo Riccardo Di Segni e dal presidente Ruth Dureghello. Dopo una rapida visita al museo ha incontrato i vertici della comunità ebraica con i consiglieri e i familiari di Stefano Gadi Tachè il bambino ebreo ucciso in un attentato nel 1982 a cui Mattarella ha fatto riferimento nel suo discorso di insediamento al Parlamento.
Quindi l'ingresso al Tempio maggiore dove il capo dello Stato ha trovato ad attenderlo 700 alunni delle scuole ebraiche.
"Luoghi vivi - ha detto Dureghello - dove vengono formati i cittadini italiani del domani in cui vengono insegnati valori positivi in una società dove l'odio è sempre più presente".
"La differenza di cui siamo portatori - ha aggiunto il rabbino capo Di Segni - la viviamo come un arricchimento per tutti. La società che ha paura del diverso non è più una società libera. Grazie presidente per averlo ricordato a tutti gli italiani".

(la Repubblica, 21 febbraio 2020)


Il 2 marzo - Israele al voto per la terza volta in meno di un anno

Il 2 marzo gli israeliani votano per la terza volta in meno di un anno, non era mai successo nella storia del Paese. I due contendenti Benjamin «Bibi» Netanyahu e Benjamin «Benny» Gantz restano per ora vicini nei sondaggi e il rischio è che anche queste elezioni non indichino il vincitore assoluto. O almeno non permettano a chi le vince di avere i numeri necessari a formare la coalizione di governo. È successo in aprile dello scorso anno (pareggio), è risuccesso a settembre quando Blu Bianco, l'alleanza creata da Gantz, ha conquistato un seggio in più del Likud. L'ex capo di Stato Maggiore non è riuscito a mettere insieme i deputati sufficienti (61 su 120) per avere la maggioranza. Soprattutto non è riuscito a convincere la destra a rinunciare a Netanyahu, che è incriminato per corruzione, abuso d'ufficio, frode ed è in attesa di processo.
   L'ex capo di Stato Maggiore ha ripetuto di essere pronto a un'intesa di unità nazionale con il Likud sotto il comando di un altro leader. La ribellione non è probabile. Netanyahu è il monarca incontrastato del partito da sedici anni e da undici ne garantisce la permanenza al potere: i likudniki gli restano fedeli fino al culto della personalità e alla fine di dicembre lo hanno riconfermato come loro capo con il 72,5 per cento delle preferenze nelle primarie interne.
   Dall'altra parte la sinistra guarda ancora con sospetto Gantz, è consapevole che senza di lui resta impossibile battere Bibi: l'ultimo laburista a diventare premier è stato Ehud Barak, era il 1999, i neomaggiorenni che hanno votato per la prima volta in questo tour da tre elezioni non hanno mai visto un governo guidato dal partito che alle origini costruì la nazione. In Blu Bianco l'ex generale ha cooptato altri due ex capi di Stato Maggiore, uno di loro (Moshe Yaalon) è un fuoriuscito dal Likud ed è stato ministro della Difesa in uno dei governi Netanyahu. Insieme sono riusciti a ottenere il sostegno dei moderati, a questo giro sperano di raccogliere anche gli scontenti della destra, quelli che hanno sempre appoggiato Netanyahu ma non si aspettavano l'incriminazione. Il calendario politico si intreccia a quello giudiziario. La corte deve decidere la data di inizio del processo. Il primo ministro in carica rischia di dover affrontare i magistrati in tribunale e allo stesso tempo essere impegnato negli ultimi giorni della campagna elettorale o nei primi delle trattative con gli altri leader politici dopo l'apertura delle urne.

(Corriere della Sera, 21 febbraio 2020)


*


Benjamin Netanyahu - L'eterna sfida del «mago» che lotta per sopravvivere

di Davide Frattini

VITA
Benjamin Netanyahu, soprannominato Bibi, è nato a Tel Aviv il 21 ottobre 1949. Ha studiato negli Stati Uniti, dove ha frequentato Il Mit e l'Università di Harvard. In Israele è stato militare dal 1967 al 1972 e si è specializzato in antiterrorismo. Sposato con Sara, ex hostess, è padre di tre figli.

POLITICA
Dal 1993 alla guida del partito conservatore Likud, ha vinto le elezioni del 1996, ed è diventato il più giovane primo ministro d'Israele e il primo nato in Israele. È attualmente in carica.
Benjamin e Sara si sono conosciuti su un volo El Al, lui era viceministro degli Esteri, lei una hostess. Durante la sosta all'aeroporto di Amsterdam-Schiphol, Olanda, gli lascia un biglietto con il nome e il numero di telefono. «Tornati in Israele si sono rivisti qualche volta, non c'era grande sintonia», commenta il giornalista Ben Caspit, tra le firme più note e biografo - di sicuro non autorizzato - del leader politico.

 Le regole
  Eppure Benjamin Netanyahu e Sara Ben-Artzi si sono sposati nel 1991 (anche perché lei è rimasta incinta) e da allora continuano a volare insieme, questa volta seduti uno accanto all'altra. Sara lo segue in tutte le trasferte di Stato e le assistenti devono rispettare alcune regole, elencate sul foglio distribuito prima del decollo: il precetto da rispettare con più disciplina - racconta il quotidiano Haaretz - è quello di non rivolgersi direttamente al premier e di comunicare solo attraverso la moglie per qualunque offerta/richiesta, che sia il tè, il caffè, «preferisce il pollo o il vitello?».
Bibi - come lo chiamano amici e nemici - è il primo ministro con il record delle miglia, le sue visite all'estero sono incessanti e anche gli avversari gli riconoscono di aver rafforzato l'immagine internazionale del Paese. Guida il governo senza interruzioni dal 2009, lo scorso luglio con 13 anni e 128 giorni, quattro mandati in totale, ha battuto il primato di longevità al potere detenuto da David Ben-Gurion, considerato il padre fondatore della patria.
I fedelissimi nel partito Likud lo chiamano il Mago per la capacità di estrarre dal cilindro le vittorie elettorali: anche se in settembre ha perso di poco, è riuscito a manovrare perché lo sfidante Benjamin «Benny» Gantz non fosse in grado di mettere insieme una coallzione e gli israeliani sono costretti a tornare a votare il 2 marzo per la terza volta in meno di un anno. È stato il Mago a introdurre nella politica locale le tecniche imparate negli Stati Uniti da ambasciatore alle Nazioni Unite e che lo hanno aiutato a tamponare le falle delle prime apparizioni, quando sudava in abbondanza e i contendenti indicavano le chiazze sulla camicia come macchie sul suo curriculum di capo nascente della destra. Stratagemmi aggiornati all'era digitale: la sua presenza sui social media è dominante, sa come spingere la macchina elettronica fino ai limiti con i consigli del figlio Yair, che è già stato sospeso da Facebook per i messaggi offensivi.
La rivista americana Time, che lo aveva incoronato King Bibi, pochi mesi fa lo ha rimesso in copertina accompagnato dal titolo: «Chi è forte sopravvive». La frase non riecheggia solo la visione pessimista del mondo, ereditata dal padre Ben-Zion che da storico ha studiato per tutta la lunga vita (è morto a 102 anni) le persecuzioni dell'Inquisizione spagnola contro gli ebrei. Il pericolo di un ritorno agli anni bui ha fatto parte dell'educazione di Bibi e ha nutrito la sua battaglia contro il rischio di un Iran con la bomba atomica. La famiglia è stata anche segnata dalla perdita del primogenito Yonathan, ucciso a Entebbe nel 1976 durante il raid per liberare gli ostaggi tenuti dai terroristi palestinesi. Era al comando delle stesse forze speciali in cui ha servito il fratello: è stato quel dolore - «il momento peggiore della mia vita» - a spingere Benjamin a lasciare gli Stati Uniti e a pensare alla carriera pubblica.

 Le accuse
  In questi mesi a essere minacciata è la sopravvivenza politica di Netanyahu: i magistrati hanno depositato l'incriminazione in tre casi per corruzione, abuso d'ufficio, frode, è la prima volta nei quasi 72 anni di storia di Israele
- Bibi ne ha 70 - che un primo ministro in carica viene mandato a processo. Lui ripete che si tratta di un golpe giudiziario, di un complotto ( con la collaborazione dei media) per deporlo e sottrarre il governo alla destra. In un Paese che ancora considera l'austerità un valore e la ricchezza non viene ostentata, i sostenitori sembrano avergli perdonato le scatole di sigari e le casse di champagne rosé recapitate alla residenza ufficiale in via Balfour a Gerusalemme. Da ricchi ammiratori, sostiene la difesa. Da uomini d'affari in cerca di favori, vuole dimostrare l'accusa.

(Corriere della Sera, 21 febbraio 2020)


*


Benjamin Gantz - Il generale «freddo» che riprova a prendersi il paese

di Davide Frattini

VITA
Benjamin Gantz è nato nel villaggio di Kfar Ahim, nel 1959. Ha una laurea al Natlonal Security College, un bachelor in storia dell'Università di Tel Aviv e un master alla National Defense University Usa.
È stato, dal 14 febbraio 2011 al 16 febbraio 2015, capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane. Sposato, è padre di quattro figli.

POLITICA
Nel 2018 ha fondato il partito lsrael Resilience e, nel 2019, si è alleato con Telem e Yesh Atid dando vita a una nuova formazione politica chiamata Blu Bianco.
Nel portafoglio tiene sempre la foto della madre sopravvissuta al campo nazista di Bergen Belsen - il giorno in cui fu liberata pesava 28 chili - e quella del figlio maggiore alla cerimonia di arruolamento nella brigata paracadutisti. «Tra queste due immagini è racchiusa tutta la storia del popolo d'Israele», ripete Benny Gantz. Che in uniforme ha trascorso 38 dei suoi 60 anni: è arrivato a guidare le forze armate da capo di Stato Maggiore e adesso punta a guidare il Paese.

 Al centro
  Alto un metro e novantacinque, i veterani della sua unità ricordano che doveva incurvarsi per riuscire a stare nella jeep. Lo soprannominavano Benny «Huta», gioco di parole che in ebraico suona come «il freddo», una imperturbabilità naturale che gli ha fatto comodo in questo anno di campagna elettorale ininterrotta. Come gli sono serviti i consigli ricevuti al corso per comandanti delle forze speciali, quando gli addestratori lo hanno scaricato da solo in una foresta. Niente bussola, in tasca un suggerimento per uscire dal labirinto di alberi: se continui a muoverti nella stessa direzione, prima o poi ti ritroverai a girare in tondo. Meglio marciare a zig zag.
Così saltando a destra e a sinistra - politicamente è rimasto al centro - è riuscito per ora a evitare le trappole disseminate dagli avversari e a presentarsi a questo terzo voto in vantaggio nei sondaggi sul rivale. Tra gli agguati: il Likud di Benjamin Netanyahu ha messo in discussione la sua «stabilità mentale» perché il quotidiano Maariv ha raccontato che lasciato l'esercito avrebbe visto per quasi tre anni uno psichiatra e gli sarebbero stati prescritti gli ansiolitici.
In una nazione in cui il mestiere di primo ministro è considerato «il più difficile del mondo» e i candidati vengono valutati per la capacità di resistere sotto pressione, Gantz è stato forzato a replicare con una spacconata: «Le uniche pillole che conosco sono 5.56 e 7.62», i calibri dei proiettili più usati dai militari israeliani. Pochi giorni dopo ha scelto di dichiarare che il «colpo basso» contro di lui - ha smentito e querelato il giornalista - dimostrava soprattutto mancanza di rispetto verso chi soffre: «La fragilità psicologica non è una vergogna».
Da ufficiale è stato l'ultimo a chiudersi alle spalle il filo spinato sul fronte libanese - quando Tsahal si è ritirata nel 2000 da quello che è considerato il suo Vietnam - e da capo di Stato Maggiore ha comandato il conflitto contro i fondamentalisti di Hamas a Gaza, il villaggio dove è cresciuto dista pochi chilometri dalla Striscia. In uno dei primi spot elettorali si è vantato dei «1.364 terroristi uccisi» e questa esaltazione bellica ha spinto un palestinese che ha perso sei familiari in quei 59 giorni tra luglio e agosto del 2014 a chiedere ai giudici olandesi di processarlo per crimini di guerra (petizione respinta poche settimane fa per mancanza di giurisdizione). Benny il freddo ci ha messo un mese dall'entrata in politica prima di parlare in pubblico, al punto che qualche commentatore lo ha sbeffeggiato per la sua strategia del silenzio. Sembra rappresentare un leader dell'Israele di altri tempi: impacciato davanti alle telecamere (è migliorato), l'inglese parlato con l'accento graffiante del sabra, che in ebraico significa fico d'India ed è il soprannome dei pionieri cresciuti, spinosi come i cactus del deserto.

 L'America
  Netanyahu è stato ambasciatore alle Nazioni Unite, ha studiato al Massachusetts Institute of Technology, è stato accolto al Congresso americano come pochi altri leader mondiali. A chi lo critica per non avere la stessa statura internazionale, Gantz risponde di essere stato addetto militare all'ambasciata di Washington e di avere attraversato gli Stati Uniti in Harley Davidson (la moto resta una sua passione). Altri suoi hobby conosciuti: il ritrovarsi la sera con gli amici di Rosh Haayin, un sobborgo di villette nel centro di Israele dove vive con la moglie Revital, a intonare in coro vecchie canzoni, la sua preferita è Hareut che celebra l'amicizia tra i compagni d'armi che combatterono nel 1948. Anche la comunità agricola dove è stato tirato su - unico maschio, tre sorelle - porta nel nome Kfar Haim il ricordo di due fratelli ammazzati durante la prima guerra dell'appena nato Stato israeliano.

(Corriere della Sera, 21 febbraio 2020)


*


Voto, la sfida è all'astensionismo

"La terza elezione senza precedenti di Israele in meno di un anno è anche, senza dubbio, la più sonnolenta di sempre" scriveva a un mese di distanza dal voto il quotidiano Haaretz. Il 2 marzo milioni di israeliani saranno chiamati nuovamente a votare dopo aver provato a dare un governo al paese a settembre e ad aprile. con ogni probabilità anche questa terza elezione non avrà esiti diversi dalle precedenti: Kachol Lavan, il partito del capo di stato Maggiore Benny Gantz, è leggermente in vantaggio nei sondaggi ma non in modo così significativo da garantirgli di poter battere il Likud del Premier uscente Benjamin Netanyahu. Anzi, quest'ultimo, nonostante l'incriminazione, continua a tenere stretti i suoi elettori e insegue a stretto giro Kachol Lavan. La presentazione del piano di pace al fianco del presidente usa DonaId Trump e le foto dell'abbraccio con Naama lssachar liberata (la ragazza israelo-americana incarcerata in Russia dall'aprile 2019 per detenzione di 9 grammi di marijuana con una severissima pena di 7 anni) sono stati il coup de théatre di questa volta di Netanyahu. Ma neanche i fuochi d'artificio sono riusciti realmente a scaldare un elettorato stanco di non avere un governo e di politici che litigano.
   Secondo Haaretz sia Netanyahu sia Gantz, i due grandi contendenti, hanno una strategia basata sui sondaggi e il loro obiettivo è farsi votare da un 3% in più di elettori che hanno in precedenza disertato le urne. "Netanyahu è convinto che ci sia una miniera non sfruttata di Likudniki (elettori del Likud) dormienti che non hanno votato nelle ultime due elezioni, e tutto quello che deve fare è svegliarli in qualche modo e trascinarli nei seggi elettorali. Ecco perché sta cercando di organizzare il maggior numero possibile di spettacoli grandiosi nelle ultime settimane della campagna: il piano di pace Trump; l'annessione degli insediamenti; il ritorno da Mosca della backpacker israeliana Naama Issachar, imprigionata a bordo del suo aereo: un accordo da 'paese terzo' con l'Uganda per mandarvi i richiedenti asilo africani dal sud di Tel Aviv. Il piano è di gettare così tanta carne rossa alla base che anche il più pigro Likudnik si alzerà dal suo pigiama party il giorno delle elezioni" scrive Anshel Pfeffer.
   Secondo il giornalista, Gantz invece è impegnato a corteggiare l'ala destra più moderata e scontenta di Netanyahu. "Se solo queste persone possono essere convinte che Kahol Lavan è davvero un partito di destra in abiti centristi, saranno suoi, così continuerà a sostenere il piano di pace di Trump, dicendo che solo a lui può essere affidato il compito di sfruttare l'opportunità storica che è stata concessa a Israele e di attuarla. E ricorderà ripetutamente agli elettori che Netanyahu sarà presto sotto processo in tre distinti casi di corruzione e quindi non ci si può aspettare che funzioni come primo ministro - ma non perché ci sia qualcosa di sbagliato nelle politiche di Netanyahu".
   Gli altri partiti in tutto questo navigano a vista: Avigdor Liberman (Yisrael Beitenu) dopo aver fatto da ago di una bilancia rotta spera di ripetere l'exploit di settembre, ma non ha la stessa carica innovativa e rischia (si presentava come l'outsider della destra dura pura e laica). La sinistra ha raccolto i cocci e si è unita con Laburisti e Meretz insieme. ma il progetto politico manca e difficilmente riuscirà a risvegliare i disaffezionati.

(Pagine Ebraiche, febbraio 2020)



Da Teheran al Libano, l'autostrada fantasma dove passano i tir che portano i razzi anti-Israele

di Gianluca Perino

C'è un'autostrada che sulle mappe turistiche non si trova. E' lunga oltre duemila chilometri e unisce, attraversando Iraq e Siria, l'Iran con il Libano. Secondo i servizi segreti israeliani e statunitensi è il percorso che viene usato per rifornire di armi le milizie sciite Hezbollah e i palestinesi di Hamas, entrambi in guerra permanente con lo Stato ebraico con un unico obiettivo comune: distruggerlo. I camion che attraversano queste strade desertiche sono scortati da combattenti armati e possono contare su due vantaggi: la fondamentale instabilità dei Paesi che attraversano e, cosa ancora più importante, l'appoggio del capo di Damasco, Bashar al Assad, strettamente legato alla Russia ma soprattutto a Teheran.

 Un sistema collaudato e la firma di Soleimani
 
  Lungo il percorso sono stati posizionati in zone strategiche, isolate dai grandi centri, depositi che vengono utilizzati per il carico-scarico di missili a corto raggio e di altri strumenti di morte: un sistema, questo, che ricalca i normali schemi del trasporto merci su gomma ma che muove armi e supporti per la guerra ad Israele e il rafforzamento di Assad, oltre naturalmente ad accrescere il peso di Teheran in tutta l'area. Il progetto, e la sua realizzazione materiale nel corso degli ultimi anni, porta la firma di Qasem Soleimani, potentissimo generale iraniano, ucciso dai missili lanciati da un drone Usa mentre era a bordo di un'auto nei pressi dell'aeroporto di Baghdad il 3 gennaio scorso.

 Gli attraversamenti dei confini
  Uno degli snodi cruciali dell'autostrada delle armi è il valico di Albukamal, situato verso la parte Nord del confine iracheno con la Siria. Negli ultimi mesi l'intelligence ha notato un'intensa attività nell'area, con ruspe, camion e mezzi pesanti impegnati a costruire un valico alternativo (qui sotto la foto di ImageSat International lo conferma), più defilato rispetto a quello regolare. E' proprio da qui, dopo una lunga chiusura, che verso la fine dello scorso anno sono ripresi i passaggi dei camion carichi di missili.

 Il passaggio di Al Tanef e la preoccupazione di Israele
 
  In realtà la strada più comoda e veloce per arrivare a Damasco e quindi in Libano, sarebbe la frontiera di al Tanef, più a sud di Albukamal, che si trova nel triangolo di confine tra Iraq, Giordania e Siria. Ma questa area, almeno per il momento, è controllata dagli Stati Uniti e dalle formazioni ribelli che combattono contro Assad. Il problema è che Donald Trump, nei mesi scorsi, ha deciso di ritirare tutti i suoi uomini dalla Siria. Quindi, al Tanef resterà sguarnita? La preoccupazione di Israele sulla questione è forte, tanto che Netanyahu ha chiesto direttamente alla Casa Bianca di soprassedere: al momento nel presidio americano ci sarebbero tra i 150 e 200 uomini delle forze speciali, ma se Washington decidesse la ritirata completa per Gerusalemme sarebbe un problema. Con quel valico disponibile, infatti, i rifornimenti di armi per Hezbollah e Hamas sarebbero più veloci e consistenti.

 L'arrivo in Libano
  L'ultimo tratto dell'autostrada delle armi è in qualche modo quello più sicuro (teoricamente) per i camion e per i loro carichi. Il passaggio tra Siria e Libano avviene infatti nella zona della Beeka Valley, un'area sotto il controllo degli Hezbollah. Vicino all'attraversamento c'è anche una fabbrica dove i terroristi sciiti assemblavano missili di precisione, obiettivo colpito dai raid israeliani.

 Le bombe per distruggere i depositi
 
  Le immagini satellitari di ImageSat International (qui sotto) dimostrano che di recente alcuni dei depositi dove i camion caricano le armi sono stati oggetto di attacchi portati da aerei o droni, probabilmente effettuati da Israele e Stati Uniti (ipotesi però mai confermate ufficialmente). Uno degli ultimi, verso la fine dell'estate scorsa, ha colpito un magazzino nei pressi della base aerea di Balad, ottanta chilometri a nord di Baghdad; un altro, invece, ha completamente distrutto un deposito di munizioni grande 25mila metri quadri della milizia sciita Hashd al-Shaabi a sud ovest della capitale irachena. Gli sforzi di America e Israele per bloccare questo ponte tra Iran e Libano sono costanti.

 La soluzione pacifica
  Ma non c'è soltanto la via militare per chiudere l'autostrada. Gli Stati Uniti, e i loro alleati, stanno cercando di realizzare un piano di assistenza e investimenti a favore dello sviluppo economico dell'Iraq, così da rendere Baghdad indipendente dall'Iran, al quale è quasi completamente legata soprattutto per la fornitura di energia elettrica. Tagliando questo cordone ombelicale, il passaggio di mezzi carichi di armi in viaggio verso il Libano sarebbe molto più complicato ed oneroso.

(Il Messaggero, 21 febbraio 2020)


I 'silenzi' di Pio XII sull'Olocausto: una polemica che dura da 60 anni

di Giacomo Kahn

E' una polemica lunga quasi 60 anni quella sui 'silenzi' di Papa Pio XII sullo sterminio nazista degli ebrei. Tutto cominciò, di fatto, esattamente nel 1963 con la pubblicazione del testo teatrale ''Il Vicario'', scritto dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth: fu rappresentato in prima mondiale da Erwin Piscator a Berlino e il successo fu tale che ben presto approdò a Broadway e quindi a Parigi (con Michel Piccoli) e Londra. ''Il Vicario'' fu subito al centro di grosse polemiche internazionali, perché per la prima volta Papa Eugenio Pacelli, che aveva governato la Chiesa dal 1939 al 1958, era accusato di concorso colposo negli stermini nazisti. Quel testo di Hochhuth fece deflagrare il sospetto che il pontefice avesse taciuto volontariamente sull'Olocausto, pur essendo informato delle atrocità commesse dai nazisti nei campi di concentramento.
   Lo scrittore Hochhuth aveva 14 anni quando Adolf Hitler si suicidò nel bunker di Berlino il 30 aprile 1945. ''Come tutti i giovani tedeschi - ha raccontato il drammaturgo - mi sono chiesto come sia stato possibile commettere lo sterminio del popolo ebreo nel nome della Germania. Non ho mai smesso di chiedermi come mi sarei comportato se fossi stato abbastanza grande da poter fare qualcosa. Questo mi ha indotto a cercare di capire quanto aveva fatto il rappresentante supremo della misericordia cristiana dinanzi all'Olocausto''.
   Ovunque le comunità cattoliche, in occasione della rappresentazione teatrale di ''Il Vicario'' tra il 1963 e il '64 gridarono allo scandalo. In Italia il dramma rischiò addirittura di provocare un incidente diplomatico tra lo Stato e la Santa Sede. Il 13 febbraio 1965 funzionari statali, appellandosi alle norme del Concordato (la cui applicazione era stata richiesta dal Vaticano) vietarono la messa in scena organizzata dal gruppo di attori guidati da Gian Maria Volontè in un locale del centro di Roma messo a disposizione da Gian Giacomo Feltrinelli, l'editore che aveva pubblicato il testo di Hochhuth. L'editore 'rosso' Feltrinelli aveva stampato il libro nel 1964 con una prefazione di Carlo Bo, l'ex senatore a vita morto nel 2001, intellettuale di spicco del mondo cattolico.
   Non era mai accaduto che un testo teatrale cambiasse, di fatto, il corso della storia successiva. ''Il Vicario'' di Rolf Hochhuth lasciò, invece, il segno in Vaticano, nel mondo ebraico e nel campo degli studi storici, aprendo la strada della riflessione e delle polemiche infinite.
   Già nel 1964, un anno dopo l'uscita del dramma, vennero pubblicati tre libri di storici che indagavano il rapporto tra Pio XII e il Terzo Reich. Nel 1965, per replicare alle accuse infamanti, Papa Paolo VI decise di avviare il processo di beatificazione del suo predecessore, peraltro ancora in corso. Allo stesso tempo Paolo VI decise di divulgare con largo anticipo il contenuto degli archivi vaticani relativi agli anni 1939-1945, proprio per smentire le calunnie su Pio XII. Papa Montini affidò a tre storici gesuiti il compito di raccogliere gli atti e documenti della Santa Sede relativi alla Seconda guerra mondiale, pubblicati in undici volumi dal 1966 al 1981. Da allora le accuse contro Pio XII sono andate aumentando con un fiorire continuo di una pubblicistica, che si è sviluppata in modo particolare nei Paesi di lingua inglese. Si stimano in circa 400 i libri che finora si sono occupati di questo tema.
   Nell'ultimo ventennio gli attacchi al ''tacito silenzio'' del Papa sono cresciuti di intensità, anche per la pubblicazione di una serie di pamphlet, tra cui quello dello scrittore inglese John Cornwell (1999), diventato un bestseller internazionale. Nel suo libro ''Il Papa di Hitler'', Cornwell, fratello di John Le Carré celebre romanziere di spy stories, sostiene, sulla base di documenti, che Pacelli avrebbe segretamente favorito l'ascesa al potere in Germania del dittatore nazista, fin da quando era nunzio in terra tedesca. Contro questo testo il Vaticano prese ufficialmente posizione, accusando Cornwell di ''propalare menzogne'' e sostenendo che lo scrittore aveva manomesso i documenti originali pur di dimostrare la sua ''infamante tesi''.
   Sempre nel 1999 lo Stato di Israele ha chiesto ufficialmente al Vaticano la sospensione del processo di beatificazione di Pio XII per almeno 50 anni. Una moratoria necessaria, all'epoca secondo le autorità israeliane, per consentire agli storici di diradare le ombre che gravano sui presunti 'silenzi' di Pacelli.
   Nella primavera del 2002 le accuse contro Papa Pacelli sono state rilanciate presso il grande pubblico dal film ''Il Vicario'' del regista Costa Gavras (ispirato dall'omonimo testo di Hochhuth), pubblicizzato da una locandina dove si vedeva una croce confondersi con una svastica.

(Shalom, 21 febbraio 2020)


Sinistra spagnola antisemita: ama i migranti e odia gli ebrei

Podemos ottiene l'appoggio socialista per far passare una mozione che impegna 58 municipalità a boicottare Israele e a interrompere i rapporti col popolo ebraico

di Daniel Mosseri

Boicottaggi diretti e indiretti, annullamenti di eventi culturali, mozioni di sindaci e consigli comunali contro un solo nemico: Israele. Non stiamo parlando delle ultime iniziative del governo iraniano - ogni regime teocratico e rivoluzionario che si rispetti ha diritto ai propri nemici esterni - ma della democratica Spagna. In particolare di molte amministrazioni locali e regionali guidate da Podemos spesso con il sostegno dei socialisti del Psoe. Partito della sinistra populista, anti Ue e di ispirazione chavista, Podemos è la formazione spagnola più attivamente impegnata nel "Bds", il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro lo stato ebraico, diventato il nemico pubblico numero uno, e accusato di praticare l'apartheid contro i palestinesi.

 La campagna Bds
  Sono ormai decine i comuni spagnoli guidati dalla sinistra che hanno aderito alla rete Elai (Spazio libero dall'apartheid israeliano), declinazione spagnola del movimento Bds. Comuni fra i quali Cadice, Badalona, Corvera e Santiago de Compostela che hanno adottato risoluzioni in cui l'amministrazione «si impegna a non consumare prodotti che siano stati coltivati, elaborati o fabbricati in condizione di apartheid nei territori occupati da Israele ed espropriati illegalmente al popolo palestinese». E poi a seguire impegni solenni a sostenere l'Elai, tutto ovviamente in nome della solidarietà al popolo palestinese. Non è chiaro tuttavia quali benefici siano giunti alla popolazione di Gaza che vive sotto la dittatura di Hamas o a quella della Cisgiordania dove le ultime elezioni risalgono al 2006 dall'annullamento, decretato due anni fa dal sindaco di Cadice, di una rassegna di cinema israeliano. Subodorando puzza di razzismo un imprenditore spagnolo, Angel Mas, ha messo in piedi un'organizzazione chiamata Acom (Azione e comunicazione in Medio Oriente) per portare davanti ai giudici spagnoli le azioni apertamente antisemite delle municipalità spagnole guidate dalla sinistra populista. Perché quando si applicano doppi standard, prendendo di mira solo la politica israeliana e ignorando le decine di altri conflitti territoriali di cui è costellato questo pianeta, oppure quando si boicotta in toto lo Stato degli ebrei, delegittimandolo, si compie un atto di antisemitismo.

 Le sentenze
  In mesi recenti, sia il Parlamento tedesco che alcuni giudici in Francia hanno equiparato il Bds a un movimento che fomenta l'odio e la discriminazione. Sentimenti che la sinistra spagnola equa e solidale dovrebbe aborrire ma che invece nutre e distribuisce generosamente quando l'interlocutore è l'odiato ebreo israeliano. Un mese fa Acom ha celebrato una sentenza con cui un tribunale in Cantabria ha annullato 55 accordi istituzionali siglati fra l'Elai e i comuni della regione ritenendo che le norme approvate eccedessero le competenze delle amministrazioni locali. Gli accordi, ha scritto il giudice, «incidono sul diritto all'uguaglianza che si riflette nell'articolo 14 della Costituzione spagnola» poiché mirano a impedire qualsiasi relazione commerciale o istituzionale con lo Stato di Israele. Le goffe azioni antisioniste dei comuni spagnoli rischiano però di avere ricadute sulle relazioni fra la Spagna e lo Stato ebraico. Perché, come ha ricordato Acom al canale israeliano i24news, «lungi dall'essere un caso isolato, il boicottaggio di Israele e dei suoi cittadini è stata una politica abituale del partito del secondo vicepresidente del governo spagnolo». Ossia di Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos, e ministro degli Affari Sociali del secondo esecutivo guidato dal socialista Pedro Sanchez, un esecutivo di minoranza tutto spostato a sinistra. Agli israeliani, gente pratica, non piace dare troppa importanza al Bds. Ecco perché fonti vicine al ministero degli Esteri a Gerusalemme hanno ricordato a Libero che le iniziative dei Comuni in questione appartengono ormai al passato e che la situazione è in via di miglioramento anche grazie a una serie di sentenze dei giudici spagnoli. Un modo elegante per sottolineare che forse anche Pablo Iglesias, uno che fino a pochi mesi fa definiva Israele «uno Stato illegale» e che aveva un suo programma (Fort Apache) su HispanTv, canale televisivo iraniano in lingua spagnola, si è reso conto che per entrare a pieno titolo nel circolo dei rappresentanti del mondo sedicente civile era il caso di dare una ripulita al linguaggio antisionista così diffuso nel suo partito.

(Libero, 20 febbraio 2020)



"Moishe House, calore e inclusione". I giovani ebrei romani si raccontano

di Raffaele Rubin e Alessandro Sermoneta.

 
Accoglienza, calore, identità. Ma anche continuità e responsabilità. Sono tante le parole chiave di Moishe House, progetto internazionale che, nato in California nel 2006, conta oggi su una significativa rete di nuclei abitativi in tutto il mondo. Ci vivono giovani adulti, dai 20 ai 35 anni, che hanno il compito di organizzare momenti di incontro e aggregazione ebraica per i loro coetanei. In cambio Moishe House paga loro metà dell'affitto e copre le spese legate agli eventi, oltre a fornire un'assistenza continua su questioni di vario genere. Ad oggi si contano 125 Moishe Houses, per un totale di 25 Paesi coinvolti. Da qualche mese anche l'Italia fa parte della rete. Merito in particolare della Consigliera UCEI Sabrina Coen, rappresentante dell'Unione presso lo European Council of Jewish Communities, che è partner di Moishe House, e che in questa sede ha promosso un'esperienza di condivisione anche a Roma.
   Un luogo animato dal novembre scorso da tre giovani amici: Valentina Calò, Alessandro Gai, Alessandra Sabatello. Diciotto finora le iniziative organizzate dentro e fuori la casa: lezioni di Torah, attività legate allo Shabbat, alle feste, alla cucina ebraica.
   "È un progetto bellissimo che aiuta a creare riferimenti ebraici per i giovani, dando loro la possibilità di avere un ruolo attivo e di responsabilizzarsi. Un nuovo modello aggregativo efficace e con una visione" sottolinea Coen, promotrice di una serata a porte aperte rivolta a un pubblico eterogeneo. Un'occasione, per i tre protagonisti del progetto, per raccontare qualcosa del loro percorso e delle loro scelte.
   "Grazie a Moishe House sento di aver raggiunto un diverso grado di coinvolgimento ebraico. È molto bello e gratificante" ha esordito Alessandro, ricordando la sfida ma anche il piacere di mettersi in gioco in mezzo ai tanti altri impegni della quotidianità. "Dopo sei anni trascorsi lontano da Roma - ha detto Valentina - ho avvertito un senso di smarrimento. Mi serviva un nuovo spazio, un nuovo canale per sentirmi partecipe e attiva anche in campo ebraico. L'ho trovato". Sensazioni vissute anche da Alessandra, che ha parlato di progetto nel segno della massima inclusione. "Anche per questo - ha affermato - la casa è completamente kasher. Per poter accogliere tutti, rispettando i diversi livelli di osservanza".
   Prima di loro a prendere la parola era stato Adam Rossano, direttore internazionale del progetto, che ha raccontato come Moishe House abbia cambiato la sua vita di giovane ebreo inglese cresciuto a Bournemouth, città con una esigua presenza ebraica, e poi ritrovatosi a condividere una casa a Londra. "Moishe House - ha osservato - mi ha permesso di rapportarmi in modo nuovo e più intenso all'ebraismo. È un progetto che fa crescere senso di appartenenza e consapevolezza in una fascia d'età delicata, che rischia talvolta di perdere un legame forte con l'ebraismo". Roma rappresenta in questo senso un investimento importante. Potenzialmente la prima di altre case che potrebbero essere supportate in Italia. Prima però, spiega Adam, andrà fatta una valutazione di sostenibilità. "La volontà di crescere comunque c'è" conferma Coen, che ha parlato di vera e propria community in consolidamento attorno a questa iniziativa.
   Presenti alla serata inaugurale, conclusasi con l'affissione della mezuzah, diversi esponenti dell'ebraismo italiano e romano: la presidente UCEI Noemi Di Segni, i rabbini rav Benedetto Carucci Viterbi e rav Amedeo Spagnoletto, l'assessore dell'Unione Livia Ottolenghi, che è anche Consigliere della Comunità ebraica di Roma, i Consiglieri dell'Unione Guido Coen e Davide Jona Falco, gli assessori della Comunità romana.

(moked, 20 febbraio 2020)


Defez, memorie di un ebreo napoletano

In un volume il racconto in prima persona di uno dei protagonisti delle Ouattro giornate

di Anna Marchitelli

Le pagine della grande storia sono scritte dagli uomini comuni. Uno di questi è Alberto Defez, ebreo napoletano, vittima delle leggi razziali, che a vent'anni impugna la pistola e con il fratello Leo partecipa alle Quattro giornate di Napoli, rischiando per due volte la vita.
   Animato da coraggio e amor di patria, successivamente si arruola nel battaglione San Marco partecipando alla liberazione d'Italia. A narrare una vita così intensa è la voce stessa di Defez attraverso un dattiloscritto che custodiva la moglie Lilliana Compagnoni e che ha scelto di affidare a Suzana Glavas, curatrice del volume Raccolte di memorie, edito da La Mongolfiera. Verrà presentato domani alle 17.30, nella libreria Ubik di via Benedetto Croce. Con la curatrice interverranno Giuseppe Mosca, Ciro Raia, Giovanni Spedicati e saranno proiettate scene dell'intervista filmata a Defez, prodotta dalla Shoah Foudation di Steven Spielberg. Nel volume compaiono anche le Memorie di Bruno Hennann, altro ebreo napoletano che aveva consegnato all'amico Alberto la sua testimonianza di perseguitato razziale. Un volume prezioso non solo per le vite eroiche di Alberto e Bruno, ma perché ricompone la mappa della città durante gli anni della guerra.
   Il giovane Alberto frequenta le elementari alla Vanvitelli e il ginnasio al Sannazaro, ma nel 1938 per via delle leggi razziali non può frequentare il primo anno di liceo. Nel 1943 tutti membri della famiglia di Alberto devono presentarsi all'Ufficio delle Corporazioni per essere avviati ai campi di lavoro. Nel giorno stabilito si recano all'appuntamento ma l'edificio di via Santa Lucia è stato raso al suolo dall'incursione americana del giorno prima. Ricevono indicazioni per presentarsi altrove il 26 luglio, ma il 25 luglio al giornale radio si apprende che Mussolini è stato arrestato. Tra il 25 luglio e 1'8 settembre, giorno dell'armistizio, i tedeschi sono ancora alleati dell'Italia e il loro comportamento non è mutato. Tant'è che il 26 settembre il Colonnello Sholl proclama: «Tutti coloro che non si sono presentati al bando di precettazione sono nemici del III Reich. I militari tedeschi hanno ordine di deportare i disertori».
   L'effetto del manifesto è immediato e nel giro di poche ore la popolazione si organizza per la sommossa. Nelle caserme abbandonate restano a disposizione di chiunque fucili, mitragliatrici munizioni, bombe a mano, finanche cannoni: hanno inizio le Quattro Giornate. «Al 30 settembre - scrive Defez - i tedeschi avevano abbandonato Napoli: ci sentivamo liberi ma non tranquilli», fino a quando, la mattina del 1o ottobre, nel mare di Napoli pare non esserci più spazio tanto numerose sono le navi americane.

(Corriere del Mezzogiorno, 20 febbraio 2020)


Il Canale di Suez è un disastro ambientale marino

Un'autostrada che porta le specie aliene nel Mediterraneo. I ricercatori israeliani: per fermare l'invasione si potrebbero utilizzare i dissalatori che sta costruendo l'Egitto.

 
Il 17 novembre l'Egitto ha celebrato il 150esimo anniversario del Canale di Suez, inaugurato nel 1869, ma secondo lo Steinhardt Museum of Natural History dell'università di Tel Aviv c'è ben poco da festeggiare: «Sin dalla sua apertura, il Canale di Suez è servito non solo per il suo scopo benefico per il trasporto di merci ma, esempio storico dei pericoli di conseguenze indesiderate, il Canale è stato anche il veicolo per l'introduzione di organismi del Mar Rosso nel Mar Mediterraneo». E negli ecosistemi costieri del Mediterraneo israeliano, questi organismi alloctoni rappresentano sempre di più delle serie minacce per la biodiversità autoctona che i ricercatori israeliani dicono che sono «per lo meno comparabili a quelle esercitate dai cambiamenti climatici, dall'inquinamento e dalla pesca eccessiva».
  Attualmente, lungo le coste mediterranee israeliane si contano almeno 400 specie esotiche provenienti dal Mar Rosso, un numero più che raddoppiato negli ultimi 30 anni. Allo Steinhardt Museum evidenziano che «Questa invasione biologica sta causando una drammatica ristrutturazione delle comunità biotiche, alterando le funzioni degli ecosistemi e compromettendo la disponibilità di risorse biologiche, i servizi ecosistemici e la salute umana. Le fitte popolazioni di pesci coniglio erbivori del Mar Rosso hanno trasformato i letti di alghe native in terreni sterili con un drammatico declino della complessità dell'habitat, della biodiversità e della biomassa; gli sciami estivi di meduse nomadi dissuadono i bagnanti con le loro punture»
  E il recente massiccio ampliamento del canale di Suez e l'aumento della temperatura e della salinità dell'acqua del Mediterraneo degli ultimi decenni avvantaggiano gli organismi invasivi provenienti dal Mar Rosso che hanno maggiori probabilità di colonizzare il bacino, stabilirvi popolazioni vitali e diffondersi in nuovi habitat.
  Infatti, come prevedevano biologi e ambientalisti, l'afflusso di specie aliene è aumentato significativamente da quando l'Egitto, nel 2015, ha aperto il "Nuovo canale di Suez" e secondo Bella Galil, una biologa marina dell'università di Tel Aviv che studia il Mediterraneo da più di 30 anni, «Gran parte del danno ecologico è irreversibile. Ma con i pesci invasivi e i crostacei che sfruttano il riscaldamento delle temperature dell'acqua e in rapida diffusione verso le coste europee, sono necessarie azioni urgenti per ridurre al minimo il suo impatto a lungo termine». Secondo la scienziata israeliana, «Il continuo ampliamento e approfondimento del canale ha creato un "acquario mobile" di specie che, se non controllate, potrebbero rendere le acque costiere inospitali per l'uomo».
  Israele sta già affrontando un'ondata senza precedenti di meduse urticanti che ha danneggiato le prese d'acqua dei dissalatori e le centrali elettriche costiere e spaventato i bagnanti e i turisti. Diverse altre specie velenose, tra cui il vorace pesce scorpione (Pterois volitans) leone creato colonie permanenti, ma l'arrivo più preoccupante è stato quello del pesce palla argenteo (Lagocephalus Sceleratus), un pesce osseo estremamente velenoso.
  Secondo la Galil, la metà dei pesci pescati e quasi tutti i crostacei in Israele appartengono a specie invasive. E questa invasione proveniente da est ha ormai raggiunto la Spagna e diversi Paesi mediterranei europei, a partire dall'Italia, sono di fronte a rapidi cambiamenti nella comunità vivente marina. La Galil sottolinea che «Le nuove specie hanno causato "una drammatica ristrutturazione" dell'ecosistema, mettendo in pericolo varie specie locali e spazzando via le cozze, i gamberi e le triglie autoctone».
  Il ministero israeliano per la protezione ambientale ha dichiarato che sta monitorando questa invasione con preoccupazione, consapevole che le sue coste di Israele sono solo la "prima tappa" per l'espansione delle nuove specie nel Mediterraneo, ma fa notare che «Israele non ha potuto fermare il fenomeno da solo, ma sta promuovendo una regolamentazione per proteggere gli habitat marini più vulnerabili». Dato che Israele dipende sempre di più dal Mar Mediterraneo per dissalare acqua potabile, il ministero ha affermato che «La protezione dell'ambiente marino del Paese è ora più importante che mai».
  Recentemente, alcuni scienziati libanesi dell' American University di Beirut hanno scritto che «Non riuscire a mitigare i rischi ecologici associati all'espansione del canale di Suez metterebbe a rischio gran parte dell'ecosistema mediterraneo», un'opinione condivisa dai biologi marini di tutto il Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Tunisia.
  La Galil ha detto all'Associated Press e al Times of Israel che una soluzione relativamente semplice per tenere sotto controllo i danni potrebbe venire dagli impianti di desalinizzazione finanziati dal Qatar che l'Egitto sta costruendo lungo il canale, il primo dei quali dovrebbe entrare in funzione entro la fine dell'anno. «Se realizzati correttamente - ha detto la scienziata israeliana - gli scarichi di salamoia degli impianti potrebbero essere incanalati in una precisa area del Canale per ricreare una "barriera di salinità" che potrebbe arginare il flusso di specie da sud a nord. I Grandi Laghi Amari, circa 45 chilometri (30 miglia) a nord di Suez, un tempo creavano un tale ostacolo. Ma man mano che il canale si allargava e le città e le fattorie egiziane scaricavano le acque reflue agricole nei laghi, quel baluardo è scomparso».
  Egitto e Israele nel 1979 hanno firmato un accordo di pace e recentemente hanno sottoscritto un gigantesco accordo per importare gas naturale, ma il regime del Cairo ha respinto gli avvertimenti degli scienziati israeliani sul disastro ecologico del Canale di Suez definendoli « politicamente motivati». E Moustafa Fouda, consigliere del ministro dell'ambiente dell'Egitto, in un'intervista all'Ap ha minimizzato: «Le specie invasive sono una categoria enorme e non specifica. Possono persino essere produttive, sostituendo le specie che sono sovra-sfruttate, apportando benefici economici o semplicemente adattandosi al nuovo ambiente. Meno del 5% degli invasori potrebbe essere considerato "dirompente" e la maggior parte dei gamberetti, dei molluschi, dei pesci palla e dei granchi non ha causato danni. Anche gli invasori velenosi, come il pesce scorpione, sono commestibili se le loro spine velenose vengono rimosse».
  Ma gli esperti egiziani negano persino che le invasioni derivino direttamente dall'espansione di Suez e sostengono che le vere cause sono da ricercare nell'aumento delle temperature dell'acqua provocato dal riscaldamento globale e dalle acque di zavorra non trattate che vengono scaricate dalle navi mercantili. Una tesi sostenuta con forza da Tarek Temraz, professore di biologia marina all'Università del Canale di Suez e autore della valutazione d'impatto ambientale del governo egiziano sull'espansione del canale. Secondo lui, «Le invasioni sono una tendenza globale a causa dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici, il cui risultato naturale è che ogni specie sta lottando per sopravvivere e cerca il suo ambiente ottimale».
  La Suez Canal Authority, l'agenzia governativa egiziana che gestisce il canale, dice semplicemente che «Le preoccupazioni ambientali relative al suo allargamento sono state sopravvalutate. Il volume d'acqua che scorre nel Mediterraneo è aumentato del 4%, creando un piccolo impatto sul flusso d'acqua e sul movimento del plancton». Inoltre, all' Authority affermano che stanno «monitorando attentamente la migrazione delle specie, imponendo regolamenti alle navi che traghettano involontariamente creature invasive e limitano la contaminazione dell'acqua nella speranza di ripristinare la salinità nei laghi». La Suez Canal Authority asserisce che un recente tentativo di deviare le acque reflue agricole dai Laghi Amari «negli ultimi anni ha aumentato con successo la salinità del 3%».
  Ma la Galil ribatte che «Non è abbastanza: la salinità deve aumentare in modo significativo per costituire una barriera efficace contro i nuovi arrivati» e, di fronte alle minimizzazioni egiziane, conclude: «Un giorno ci sveglieremo con un cambiamento competitivo e irreversibile e sapremo che c'era qualcosa che avremmo potuto fare al riguardo, se solo fosse stato fatto in tempo».
  Eppure, in tutto il mondo, gli esempi negativi non mancano: Science Post, riprendendo l'allarme degli scienziati israeliani, cita quello della lampreda marina, arrivata nel 1938 nel Lago Ontario, in Nord America, attraverso il canale navigabile che lo aveva collegato all'Atlantico, e che nei decenni seguenti ha decimato specie autoctone di grande valore commerciale come la trota, lo storione e il salmone.
  E anche per quanto riguarda il Mediterraneo la Galil smentisce la tesi di Temraz: «Non è come se queste specie avessero aggiunto valore economico. Hanno rimpiazzato numerose specie autoctone che avevano un valore più elevato per il consumatore delle specie alloctone. I pescatori ne stanno soffrendo».

(Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile, 20 febbraio 2020)


Le onorificenze a Segre e la distruzione di Israele

Lettera al direttore di Libero

Caro direttore,
tutti devono conoscere e ricordare sempre la tragedia dell'Olocausto, però ho la fondata impressione che si stia esagerando con le benemerenze e le onorificenze alla senatrice Segre. Sono tantissimi quelli che come Lei hanno subito le stesse torture e sofferenze nei lager nazisti, ma nessuno si ricorda di loro. Tutte queste celebrazioni fanno comodo alla sinistra che sa parlare solo di antirazzismo e antifascismo. Possibile che la signora succitata non sappia che coloro che la incensano stanno dalla parte dei palestinesi che vorrebbero far sparire Israele? A questa campagna discutibile partecipano, con entusiasmo, anche il presidente Mattarella e papa Bergoglio.
Giancarlo Testi

(Libero, 20 febbraio 2020)


Humor e misericordia. L'arte ebraica del narrare

Un saggio di Castellari indaga il singolare manifestarsi del sorriso umano e della pietà divina nei romanzi di grandi autori ebrei del Novecento come Abraham Yehoshua, David Grossman, Joseph Roth, Israel J. Singer o Elie Wiesel.

di Roberto Righetto

Umorismo e misericordia. Ma anche angoscia e rabbia. E tanto, tantissimo dolore. Sono alcune delle caratteristiche di gran parte della narrativa ebraica. Prendiamo il romanzo Il responsabile delle risorse umane di Abraham Yehoshua (Einaudi 2004), dove il protagonista deve svelare il mistero di un'ex dipendente dell'azienda, morta in un attentato terroristico a Gerusalemme e il cui corpo giace all'obitorio senza che nessuno l'abbia riconosciuto.D'accordo col proprietario dell'impresa, accusata da un giornale scandalistico di disumanità per aver dimenticato la donna, egli con un atto di magnanimità e fra mille peripezie conduce la salma di Julia nel Paese da cui era venuta, uno dei tanti dell'ex Urss. E qui scopre le origini ebraiche della vittima e, dopo averne incontrato i parenti, compie una scelta spiazzante: decide di riportare il corpo a Gerusalemme assecondando la richiesta della madre. Yehoshua mantiene un approccio laico alla vicenda e nel romanzo manca l'elemento della misericordia divina, ma c'è tanta compassione umana. Come non rassegnarsi all'orrore e far spazio all'accoglienza dell'altro, anche se non lo conosciamo? A queste e a tante altre domande poste dalla letteratura ebraica cerca di rispondere un libro di Daniele Castellari, Non so se il riso o la pietà prevale, edito da Aliberti (pagine 190, euro 18; con prefazione di Moni Ovadia), che prende in esame sette romanzi del secolo scorso. Umorismo e misericordia nel romanzo ebraico del Novecento è il sottotitolo del volume: nel caso di Yehoshua giustamente si annota come, in una vicenda che assume spesso toni grotteschi, il senso di responsabilità verso l'altro emerga a poco a poco nella coscienza dei personaggi coinvolti.
  Così anche in altre due opere contemporanee, Vedi alla voce: amore di David Grossman (Einaudi 1999) e La scatola nera di Amos Oz (Feltrinelli 2002). In Grossman sembra prevalere l'humour nero, precisamente nel patto fra lo scrittore ebreo autore di novelle per bambini, prigioniero nel lager, e l'aguzzino nazista che ne ha ucciso la moglie e la figlia. Scoperte le qualità del prigioniero, il comandante tedesco vuole sfruttarne le abilità e lo costringe a comporre nuovi racconti, che poi farà leggere alla compagna, che l'ha lasciato a causa delle sue efferatezze, nella speranza che ritorni. Ma cosa spinge Anshel Wasserman ad accettare quella che ci pare una scandalosa sfida? Egli medita una vendetta paradossale: indurre a poco a poco il carnefice dei suoi cari a credere nella compassione. Con la storia che scrive riesce a «iniettare la belva nazista di umanità», come commenta Castellari. Allo stesso modo i tanti personaggi del romanzo epistolare di Oz, incentrato su una famiglia in cui il rancore dell'uno verso l'altro sembra avere la meglio, si ritrovano avvolti sempre più nella logica del perdono. Non è un caso che Amos Oz più volte nelle sue interviste abbia dichiarato che il vero antidoto al fanatismo è il senso dello humour.
  Nell'articolata introduzione, Castellari distingue l'umorismo dall'ironia e ricorda come secondo il teologo André Neher il riso costituisca una sorta di pietrificazione capace di rendere inoffensivo il silenzio di Dio, tema di cui molto si parla in queste pagine in riferimento alla Shoah. Che è sempre presente negli altri romanzi esaminati, scritti da Joseph Roth, Israel Joshua Singer, Vasilij Grossman e Elie Wiesel. Di quest'ultimo l'autore ha preferito analizzare Il testamento di un poeta assassinato (Giuntina 1981) invece che altre opere più note del premio Nobel per la pace dell'86, come La notte. Nel volume il riso si manifesta nella figura del guardiano del poeta padre del protagonista, incarcerato dai nazisti e poi dai comunisti. È il suo diario del gulag che Viktor preserva e grazie al quale egli ritrova, quando Paltiel Kossover (alter ego di Peretz Markish, figura realmente esistita a cui Wiesel di ispira) viene messo a morte, la capacità di ridere come riappropriazione della propria umanità. Il poeta e il suo custode in tal modo riescono a beffare il crudele regime sovietico, permettendo al figlio Grisha di conoscere la vera storia del genitore. A sua volta il romanzo di Singer La famiglia Karnowski (Adelphi 2013), che si snoda attraverso tre generazioni, ristabilisce un clima di pietà e perdono al termine di lunghe tribolazioni.
  Lo stesso accade nelle due opere più famose prese in considerazione, Giobbe di Roth (Bompiani 1987) e Vita e destino di Grossman (Adelphi 2008). Mendel Singer, il primattore inventato dal più grande scrittore della Mitteleuropa, dopo immani sofferenze, esattamente come il personaggio biblico, recupera la pace e il senso di tutto il suo calvario. Singer voleva «bruciare Dio», fino al ritrovamento del figlio Menuchim di cui aveva perduto le tracce e che incontra per caso a New York senza riconoscere. L'aveva abbandonato perché gli pareva un idiota, ma è divenuto un musicista di talento e si è costruito una famiglia. «Mendel si addormentò. Si riposò così dal peso della felicità e della grandezza dei miracoli» sono le ultime parole del romanzo. Per non parlare di Vita e destino, una delle opere più importanti del '900. Nella messa a nudo delle efferatezze dei totalitarismi, pressoché gemelli come emerge mirabilmente nel dialogo fra il comandante delle Ss Liss e il suo prigioniero russo Mostovskoj, Grossman riesce ad enucleare una teologia della bontà. Condensata in una scena drammatica che si svolge dopo l'assedio di Stalingrado e la vittoria sovietica, allorché una donna russa offre un pezzo di pane a un ufficiale tedesco fatto prigioniero, mentre il nazista sta per essere linciato. Ma in vari altri episodi traspare «l'umanità semplice dei vecchi e dei bambini», «la bontà umile», come dice Castellari, una bontà che si esprime in gesti apparentemente illogici ma non è che il segno del «sollievo umoristico della misericordia».
  Alcuni critici hanno notato che Kafka, a Praga, mentre leggeva agli amici La metamorfosi, rideva fino alle lacrime e indubbiamente rimane un mistero la presenza del comico all'interno del tragico. Proprio per questo Milan Kundera, nel saggio L'arte del romanzo (Adelphi 1993), cita un proverbio ebraico: «L'uomo pensa, Dio ride». Il sorriso e lo humour sono uno dei volti della misericordia, come ben precisa Moni Ovadia.

(Avvenire, 20 febbraio 2020)


1938. Giornalisti ebrei radiati dall'Albo. La simbolica reiscrizione

di Giorgia Calò

 
Il 19 febbraio presso la Fondazione Paolo Murialdi si è tenuto l'incontro dal titolo "Riscriviamo all'Albo i giornalisti ebrei Radiati dal Fascismo", in memoria di quei giornalisti ebrei che in seguito alla promulgazione delle Leggi Razziali del 1938 sono stati estromessi dall'Albo professionale, perdendo così la possibilità di esercitare la professione giornalistica.
   All'incontro sono intervenuti Vittorio Roidi, Presidente della Fondazione Murialdi, Enrico Serventi Longhi il relatore che ha riportato in un excursus storico le vicende dei giornalisti ebrei, perfettamente integrati nelle redazioni dei giornali italiani e che con un decreto legislativo si sono trovati costretti a dare le dimissioni; presenti anche Massimo Finzi Assessore alla Memoria della Comunità Ebraica di Roma, Silvia Haia Antonucci Responsabile dell'Archivio storico della Comunità Ebraica di Roma e Paola Spadari: Presidente del Consiglio Regionale Ordine dei Giornalisti del Lazio.
   "Questa cerimonia di reiscrizione all'Ordine dei Giornalisti dei Colleghi ebrei che furono radiati dall'Albo, segue analoghe manifestazioni organizzate dall'Ordine degli Architetti e dall'Ordine degli Avvocati, probabilmente seguiranno anche quelle dell'Ordine dei Medici" ha detto l'Assessore Massimo Finzi.
   "Coltivare la memoria ci permette di restituire l'identità rubata e ridotta ad un numero marchiato sul braccio delle vittime; noi non solo dobbiamo restituire dignità alle vittime, ma anche capire chi furono i responsabili e i salvatori, che fecero una scelta non facile perché rischiarono la vita: chi aiutava un ebreo, collaborava con il nemico e rischiava la pena di morte. Oggi vediamo riaffiorare segnali di rifiuto del diverso, dell'antisemitismo, anche se mascherato da antisionismo. Tutti segnali che rievocano il passato e che con una diffusa disinformazione appaiono sempre più frequenti, e si abusa di termini come genocidio, persecuzione e finiscono col prendere il loro vero significato".
   "Questa mattina celebriamo una memoria che si proietta negli anni: vanno ancora elaborati questi avvenimenti e i ricordi vanno coltivati, perciò giornate come questa possono servire a preservare e rafforzare la memoria" ha concluso Paola Spadari.
   "Molti di questi colleghi sono morti, di altri abbiamo perso le tracce, ma nello scorso consiglio è stata fatta una delibera simbolica di inserimento di queste persone, e qualora dovessero uscire nuovi nomi, gli altri presidenti regionali sono pronti a fare la loro parte . Le ferite si sanano anche dopo, l'importante è farlo.

(Shalom, 19 febbraio 2020)



L'esercito israeliano creerà una nuova direzione militare per far fronte alla "minaccia iraniana"

Le forze armate di Tel Aviv sono pronte a dare il via ad un progetto di profondo rinnovamento che garantisca ad Israele il mantenimento della superiorità tecnologica, aerea e d'intelligence nella regione.
Le forze armate israeliane (IDF) si preparano a creare una nuova direzione militare per fronteggiare quella che viene definita la "minaccia iraniana".
A riferirlo, in un annuncio, è il generale di brigata Hidai Zilberman, portavoce dell'IDF:
"La direzione presterà maggiore attenzione alla strategia militare e si concentrerà sullo sviluppo e la pianificazione di una campagna militare in relazione all'Iran", ha spiegato l'alto ufficiale.
La formazione di questo nuovo organo è stata già approvata dal ministro della Difesa Naftali Bennett e si iscriverà all'interno di una più generale riorganizzazione dei dipartimenti dell'apparato bellico di Tel Aviv, come pianificato dal Capo di stato maggiore Aviv Kochavi e che avrà inizio a partire dalla prossima estate.
"I cambiamenti sono motivati dalla necessità di rafforzare le difese israeliane alla luce della crescente minaccia posta dall'Iran, oltre che dal bisogno di riorientare l'esercito al fine che esso possa essere in grado di gestire questioni di carattere strategico", ha sottolineato ancora Zilberman.
Come riportato dal quotidiano locale The Times of Israel, il nome del nuovo dipartimento dovrebbe essere "Direzione strategica e dell'Iran" e sarà diretta da un alto ufficiale dell'esercito israeliano in possesso del grado di general maggiore.
Uno degli obiettivi principali del progetto di riorganizzazione, a quanto si apprende, è quello di far sì che le forze armate israeliane mantengano la propria superiorità a livello aereo, di intelligence e soprattutto dal punto di vista tecnologico.
A tal proposito, tale progetto fa parte di un più ampio piano pluriennale di rinnovamento, definito Momentum Plan, che è stato presentato la scorsa settimana.

(Sputnik Italia, 19 febbraio 2020)


L’uso delle virgolette per indicare la “minaccia iraniana” dice qualcosa su questa fonte di notizie.


Delegazione di Hamas incontra il presidente del parlamento iraniano

Una delegazione di alto livello di Hamas guidata dal capo dell'Ufficio per le relazioni internazionali, Musa Abu Marzuk, lunedì ha incontrato il presidente dell'assemblea consultiva islamica iraniana (Parlamento), Ali Larijani, nella capitale libanese, Beirut.
La delegazione comprendeva anche membri dell'ufficio politico di Hamas, Husam Badran e Maher Obeid, nonché il rappresentante del movimento per Tehran, Khaled al-Qaddumi, e il suo rappresentante in Libano, Ahmed Abdul-Hadi.
Le due parti hanno discusso degli ultimi sviluppi politici nelle arene palestinesi e regionali, in particolare l'Affare del Secolo degli Stati Uniti, e hanno anche parlato delle relazioni bilaterali tra il movimento e l'Iran.
Da parte sua, Larijani ha ribadito il rifiuto, da parte del suo paese, dell'Affare del secolo e il suo sostegno incrollabile al popolo palestinese e alla sua resistenza, affermando l'entusiasmo della leadership iraniana nel promuovere i legami con Hamas.

(InfoPal, 19 febbraio 2020)


Bibi a processo due settimane dopo le elezioni

Il premier sarà in aula il 17. marzo. Il fattore-tempo è dalla sua: potrebbe ritentare con l’immunità. In tanti già temono «un quarto voto».

di Fiammetta Martegani

Il processo a Benjamin "Bibi" Netanyahu comincerà il 17 marzo. Il premier dovrà presentarsi al Tribunale di Gerusalemme per rispondere di tre incriminazioni: corruzione, frode e abuso di fiducia. La buona notizia per il primo ministro è che il procedimento si terrà due settimane dopo la chiamata alle urne che attende gli israeliani il prossimo 2 marzo, il che significa che Bibi, anche stavolta, è riuscito ad avere il fattore-tempo dalla sua. E nel caso dovesse vincere le elezioni, potrebbe persino guadagnarne altro: quello necessario a cambiare il suo destino, cioè a fare passare una legge sull'immunità parlamentare. Nel frattempo, è, «quarto voto» ufficialmente, il primo premier israeliano in carica a finire sotto processo. Mentre si avvicina il giorno del voto, tra gli alleati nel blocco di destra c'è anche chi si diverte a fare "proselitismo" a suon di musica. Si tratta della lista nazional-religiosa Yamina di Naftali Bennett e Ayelet Shaked, che ha riadattato l'italiana "Bella Ciao" (diventata famosa in Israele grazie a una serie televisiva spagnola) a modo suo: a cantare e ballare sono un gruppo di rabbini e coloni che, in questa versione, incoraggiano a «tornare a casa», «a Yamina», ovvero a destra, «verso la vittoria». In realtà, stando agli ultimi sondaggi, Israele non va né a destra, né a sinistra, e nessuno dei candidati, per la terza volta consecutiva in meno di un anno, sembra avere i numeri per vincere. Non pochi temono già di dover tornare alle elezioni per il quarto giro consecutivo. A danno, prima di tutto, dell'economia del Paese, e anche di tutte le riforme, bloccate da un anno.

(Avvenire, 19 febbraio 2020)


La sinagoga di Alessandria ha riaperto le sue antiche porte

 
La sinagoga Eliyahu Hanavi di Alessandria
«I'm very proud of what my country has done, and it symbolizes living together - said Magda Haroun, head of Cairo's Jewish community, according to Haaretz -. Today, there is no difference between Muslims, Christians and Jews in Egypt».
«Sono molto orgogliosa di cosa ha fatto i mio paese e questo simboleggia la convivenza - ha dichiarato Magda Haroun, capo della comunità ebraica de Il Cairo, al giornale Haaretz -. In questo giorno, non ci sono differenze tra musulmani, cristiani ed ebrei in Egitto»
.

Con queste parole Haroun commenta la riapertura, dopo un lungo restauro, della sinagoga Eliyahu Hanavi, una delle due rimaste delle 12 che componevano la vita ebraica ad Alessandria. Costruita nel 1354, bombardata nel 1798 quando Napoleone invase l'Egitto, venne poi ricostruita da un architetto italiano nel 1850, momento di massimo splendore per le comunità ebraiche egiziane.
   Poi è stata progressivamente abbandonata, insieme alla presenza ebraica sul territorio: se si contava una comunità di circa 40mila ebrei alla fine dell'800, dal 1948 si è registrato un progressivo abbandono e ad Alessandria attualmente si contano circa 20 ebrei, stando a quanto riporta il Jerusalem Post. Il crollo di una parte del tetto ha segnato il declino inesorabile dell'edificio, esposto agli elementi e gravemente danneggiato nel corso degli anni. Così nel 2012 venne chiuso per ragioni di sicurezza. Il restauro, iniziato nel 2017, fa parte del programma governativo di recuperare le radici ebraiche del paese, in accordo con il World Monuments Fund.
   A festeggiare la riapertura di una delle più grandi sinagoghe del Medio Oriente sono stati circa 180 ebrei di origini egiziane, atterrati da tutto il mondo ad Alessandria per l'occasione. Perché Eliyahu Hanavi è un simbolo. Per gli ebrei della diaspora, un emblema dell'eredità della comunità; per l'Egitto, un segno del crescente interesse nella conservazione del patrimonio delle minoranze; per i residenti e le autorità locali, rappresenta la pluralità storica del luogo, quando diverse comunità lavoravano e vivevano insieme nel rispetto della libertà religiosa.

(JoiMag, 19 febbraio 2020)


Le prospettive del piano Trump

MILANO - Un piano che parte dalla situazione sul terreno e che costituisce una rottura rispetto alle iniziative di pace precedenti. Così il giornalista Renato Coen, responsabile Esteri di Sky, e Stefano Magni, docente dell'Università degli Studi di Milano, hanno descritto il progetto "Peace to prosperity" proposto dall'amministrazione Trump per risolvere il conflitto israelo-palestinese. Nel corso di una serata organizzata al Noam di Milano su iniziativa di Raffaele Turiel, Coen e Magni si sono soffermati ad analizzare i diversi punti delle 181 pagine del Piano Trump e il quadro geopolitico in cui si inserisce.
   Moderati da Davide Romano, i due relatori hanno sottolineato come di fatto dal 2007 - dalla proposta Olmert con la mediazione del presidente Bush - non ci sia stato un vero nuovo piano di pace e come la situazione mediorientale d'allora sia profondamente cambiata. Oggi, ha rimarcato Magni, le primavere arabe prima, l'Isis e l'espansionismo iraniano hanno cambiato gli equilibri con la nascita di uno schieramento che vede i paesi sunniti alleati con gli Stati Uniti e - più o meno palesemente - con Israele. Questa distensione dei rapporti tra Gerusalemme e paesi come l'Arabia Saudita potrebbe, nella lettura di Magni, permettere una nuova pressione sui palestinesi affinché si siedano alla tavola per discutere un piano - quello di Trump - già rifiutato.
   "Senza l'appoggio dei paesi arabi nessuno progetto può avere un futuro", concorda Coen, che ha ricordato alcuni degli elementi del progetto dell'amministrazione Usa: la creazione di uno Stato palestinese tra Cisgiordania e Gaza, con l'unione dei due territori attraverso tunnel e ponti; la concessione a Israele di annettere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania; la previsione per i palestinesi, a fronte della totale demilitarizzazione e di un impegno alla lotta alla corruzione , di 50 miliardi di dollari per lo sviluppo economico.
   A questi elementi - spiegava Magni - si aggiunge la creazione di una capitale palestinese in sobborghi di Gerusalemme, lasciando fuori la Città Vecchia; il no all'idea di concedere ai rifugiati palestinesi sparsi per il mondo il diritto al ritorno e la cancellazione dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa proprio (e solamente) dei rifugiati palestinesi.
   Sia per Coen che per Magni il piano Trump ha il merito di riportare il tema in superficie, proponendo un percorso non battuto in passato. "Le alternative sono o il mantenimento dello status quo - affermava Coen - ma credo danneggi soprattutto gli israeliani. O la creazione di uno stato binazionale e democratico, ma così Israele perde il suo carattere ebraico dovendo assimilare 4,5 milioni di palestinesi; o Israele estende la sua sovranità e nazionalizza tutti gli insediamenti che fino al giorno prima erano illegali, non concede parità di diritti ai palestinesi ma così si ha uno stato non democratico. Oppure si crea uno stato democratico palestinese a fianco di quello israeliano".
   Per Coen però serve una nuova leadership israeliana: Israele è nella condizione più difficile perché tra i contendenti è considerata la parte forte ed è quindi quella a cui si fanno meno sconti, mentre i palestinesi hanno più libertà, riflessione del giornalista di Sky, "ma non vedo attualmente leader illuminati in Israele che sappiano gestire la situazione".

(moked, 19 febbraio 2020)


Visiblezone: gli angoli ciechi non esistono più

La rivoluzionaria tecnologia arriva dall'Israele

di Manuel Magarini

Sulle auto arriva la tecnologia militare. O, per voler essere più precisi, a bordo delle normali vetture sono in procinto di entrare in funzione alcune caratteristiche finora prerogativa dei supereroi. Già, la fantasia e la realtà stanno per unirsi e ne trarrà beneficio l'intera classe degli automobilisti.
Se l'occhio vuole la sua parte e gli strumenti di infotainment fanno presa soprattutto sui giovani adulti, il versante della sicurezza solitamente finisce in secondo piano. Quasi che conti meno, nonostante tutti sappiano come la priorità dei mezzi di trasporto sia proprio di garantire l'adeguata protezione. Sulla strada tanti pericoli fanno rimanere con il fiato sospeso i guidatori, naturalmente preoccupati per la loro incolumità, anche se lo danno talvolta poco a vedere.

 Visiblezone, vista a "raggi X": legge il pericolo in anticipo
  L'innovazione proviene dall'Asia, da Visiblezone, aziende israeliana costituita pochi mesi a Gerusalemme su iniziativa dei tre fondatori Shmulik Barel, Gabi Ofir ed Eliq Oster. Questi tre "cervelloni" si sono coalizzati per spingersi fin dove nessun'altro ci era prima di oggi riuscito. Del resto le loro qualifiche mica si trovano facilmente sul mercato.
  Anzi, addirittura Oster proviene direttamente dal gruppo di ricerca operativo del ministero della Difesa. Sul sito ufficiale della compagnia viene presentato nientepopodimeno che come il leader del team di ricerca presso l'unità governativa e fisico sperimentale in un laboratorio nazionale. Oltre 13 gli anni di esperienza nella ricerca data-driven.
  Nella sua ultima posizione, ha amministrato la divisione dati in Fisica dei Consumatori (creatore di SCiO, lo spettrometro portatile) e gestito le attività relative al database: raccolta dati, analisi e creazione di modelli, machine learning e ricerca di fattibilità. Conseguito un MSc (Master of Science) e un BSc (Bachelor's Degree) in Fisica presso l'Università Ebraica si è laureato al programma d'élite "Talpiot".

 Talpiot: programma d'eccellenza
  Per farvi capire quale sia la portata di Talpiot e gli eccezionali professionisti formati, sicuri protagonisti del domani, ci rifacciamo al libro Laboratorio Israele di Saul Singer e Dan Senor. È l'unità maggiormente selettiva e quella che sottopone i suoi uomini al corso d'addestramento più lungo delle forze di difesa israeliane. Il programma, sorto nel 1973 all'indomani della débâcle dello Yom Kippur, prosegue senza soluzione di continuità da oltre tre decenni.
  Ogni anno il 2 per cento dei migliori studenti delle scuola superiore nazionale viene chiamato alle selezioni, pari a duemila ragazzi. Di questi appena uno su dieci riesce a passare la batteria dei test, in prevalenza di fisica e matematica. Infine, la formazione accademica prosegue velocissima: si studia di più e in minor tempo. Il concetto è quello di dare una visione panoramica dei principi chiave nell'esercito, in cambio i reclutati sottoscrivono l'accordo di trascorrervi nove anni, anziché i canonici tre.
  Sul partner Shmulik Barel è dato invece sapere che ha conseguito la laurea in Informatica presso la Technion e un MBA presso la Recanati School of Business Administration dell'Università di Tel-Aviv. Oltre 15 gli anni di esperienza nella gestione di unità di business e di prodotto leader in aziende hi-tech nella loro fase di ipercrescita.
  Nel corso della carriera, ha guidato team multidisciplinari su larga scala, tra cui BizDev, Product, R&D & Customer success e le relazioni con i principali clienti e partner. Ha forti capacità di esecuzione e assume un ruolo importante nel plasmare la strategia aziendale e nel convertirla in un piano concreto.

 La vision perseguita da Visiblezone
  Alla voce vision, l'imprese spiega qual è l'obiettivo perseguito: risolvere il problema degli incidenti automobilistici, la prima causa di morti innaturali in tutto il mondo, con oltre 1,4 milioni di morti e 30 milioni di feriti in più ogni anno. Tra questi, quasi uno su quattro è un pedone. E nonostante tutti i progressi che sono stati compiuti nei trasporti, manca ancora una risposta adeguata.
  Viziblezone è stata fondata con il proposito di proteggere i pedoni sfruttando una tecnologia innovativa. Ha introdotto un "Rilevatore" integrato nel mezzo, coperto da brevetto e all'avanguardia. Il sistema identifica, segue e salvaguarda le vittime, pure quando non vengono rilevate da un conducente in rapido avvicinamento. Lo strumento è progettato per funzionare in qualunque condizione atmosferica avversa e di visibilità, sia di giorno che di notte.

 Fase sperimentale
  In particolare, la sperimentazione prevede di vedere attraverso gli oggetti. Mira ad evitare la collisione tra vettura e pedoni esclusivamente grazie all'integrazione di un nuovo codice software sul veicolo e negli smartphone. Pur privo di componenti aggiuntivi, ancor prima che il pedone inizi ad attraversare la strada, la vettura diventa capace di avvistarlo, addirittura se è celato alla vista del guidatore da un ostacolo, quale un muro o un veicolo commerciale parcheggiato. Rendere visibile l'invisibile, questa è la missione che, anche se sa tanto di magia, sta già dando buoni risultati nei test su strada effettuati a Gerusalemme.
  Il sistema è concepito per poter lavorare in ogni circostanza climatica e senza vincoli di luminosità, con un raggio d'azione di 180 m ampiamente sufficiente a frenare ed arrestare la macchina nella larga prevalenza delle situazioni. Affinché sia efficace richiede esclusivamente l'installazione dell'app Visiblezone su uno smartphone. La tecnologia è fondata sullo scambio di segnali radio tra il telefono del pedone e il mezzo in arrivo. Il segnale è emesso mediante la frequenza di 2,4 GHz, la stessa capitalizzata dalla rete wireless.

 Applicazione ancora attesa
  Attualmente l'applicazione non è disponibile e nessuna auto equipaggia ancora il software, eccetto la piccola flotta sperimentale già menzionata. Ma la Hyundai, tramite la propria controllata Hyundai Cradle di Tel Aviv dedicata proprio a individuare nuove realtà nelle quali investire, e altri importanti costruttori studiano, fortemente interessati, la soluzione e le prospettive lasciano immagine che il lancio sia imminente.

(ClubAlfa.it, 19 febbraio 2020)


"Valdesi ed ebrei, una storia comune"

di Daniel Reichel

"Siamo profondamente preoccupati per le nuove forme di antisemitismo, radicate in secoli di pregiudizi e intolleranze. L'Italia non ha elaborato a fondo quello che è successo durante il Novecento e serve oggi una riflessione più ampia. Sappiamo bene poi cosa succede in Medio Oriente, dove sentimenti profondamente antisemiti si sono radicati. Questo tipo di pregiudizio è la cartina di tornasole dell'intolleranza presente in ogni società. Per questo come Chiesa valdese, oltre alla storica vicinanza che ci lega alla comunità ebraica, vogliamo che si analizzi e combatta il fenomeno dell'antisemitismo guardando al suo volto contemporaneo".
   Lo spiega a Pagine Ebraiche Patrizia Mathieu, presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Torino, a margine delle iniziative organizzate da comunità valdese ed ebraica in ricordo dell'Emancipazione conferita dai Savoia alle due minoranze nel 1848. Per ricordare quel momento storico di libertà, la Chiesa protestante ha deciso quest'anno di dedicare le celebrazioni a riflettere sul pericolo dell'antisemitismo.
   "Il Giorno della Memoria è un momento fondamentale ma c'è il rischio di circoscrivere i temi che porta con sé a un solo periodo dell'anno. Noi crediamo, anche alla luce dei gravi episodi avvenuti a Torino e nel Paese, che le analisi del fenomeno antisemita debbano proseguire".
   Sulla vicinanza tra le due comunità, Mathieu sottolinea come sia "la storia a parlare per noi: ci sono tratti comuni tra la nostra e quella ebraica. Come minoranze abbiamo subito vessazioni e persecuzioni e abbiamo raggiunto insieme la libertà. A Torino la nostra è anche una vicinanza geografica e da tempo c'è una collaborazione proficua".
   Rispetto alle persecuzioni, la presidente del Concistoro di Torino sottolinea come "i valdesi abbiano avuto la fortuna di non diventare il capro espiatorio o di subire la vergogna del segno distintivo, simbolo di annientamento della dignità personale, ma siamo consapevoli di cosa significhi. In epoca recente ci sono stati esempi di solidarietà concreta come il Comune di Rorà, nelle valli valdesi, dove diversi ebrei trovarono rifugio dalle persecuzioni nazifasciste".
   Rispetto al ruolo dei valdesi nella società, Mathieu spiega l'importanza di spiegare al grande pubblico il significato di essere altro, "di essere comunità di minoranza e dei valori che questo rappresenta. Per questo preferisco concentrarmi sui temi etici, sul cosa abbiamo da dire alla società mentre cerco di stare lontana da iniziative più folkloristiche".
   Tra le battaglie di oggi, ricorda la creazione dell'associazione Articolo 0 "che si batte per promuovere temi di laicità e libertà di coscienza nel nostro paese, dalla scuola al fine vita. Tutti ambiti in cui noi sentiamo di dover portare la nostra voce".

(moked, 18 febbraio 2020)



La solidarietà del Piemonte a Israele per l'antisemitismo

Nel corso dell'incontro tra il presidente e l'ambasciatore si è parlato anche della possibilità di creare nuove sinergie con il Piemonte.

L'incontro avuto con l'ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, ha consentito al presidente della Regione di ribadire la condanna nei confronti delle recenti scritte antisemite apparse nei giorni scorsi a Mondovì e Torino e di invitarlo al Salone del Libro per condurre un approfondimento culturale ed educativo sul proprio Paese.
   All'ambasciatore è stato inoltre annunciato che presso la sede della Regione Piemonte a Bruxelles è stato deciso di diffondere a ciclo continuo l'intervento tenuto dalla senatrice Liliana Segre al Parlamento europeo ed è stata consegnata una lettera con la quale il Comune di Mondovì ribadisce la propria condanna per la frase comparsa sulla porta di casa di Lidia Rolfi.
   La Regione ha poi aderito alla manifestazione contro l'antisemitismo e la violenza promossa dal Comune di Torino per il 17 febbraio, dove è stata rappresentata dall'assessore alle Attività produttive.
   Nel corso dell'incontro tra il presidente e l'ambasciatore si è parlato anche della possibilità di creare nuove sinergie con il Piemonte. A questo proposito è stato concordato di organizzare in autunno la visita di una delegazione di aziende e centri di ricerca piemontesi in Israele e di favorire la partecipazione di industrie israeliane all'edizione del VTM (Vehicle and Transportation Technology Innovation Meetings), che vedrà i massimi operatori ed esperti dell'automotive e dell'innovazione nella mobilità incontrarsi a Torino l'1 e 2 aprile prossimi. In progetto anche una partnership per dare supporto formativo alle aziende agroalimentari piemontesi nel conseguimento della certificazione Kosher (l'insieme di regole religiose che governano la nutrizione degli ebrei osservanti), in modo da favorire l'export di prodotti piemontesi verso il mercato ebraico.

(Cuneo24, 18 febbraio 2020)


L'apertura degli archivi vaticani su Pio XII è una difficile prova per gli storici

Lettera di Riccardo Di Segni* al direttore di La Stampa.


Caro Direttore,
l'apertura degli Archivi vaticani per il pontificato di Pio XII, che avverrà il 2 marzo 2020, è un evento decisamente importante. Inizia una nuova fase di studio e di interpretazione sulla base di documenti finora inaccessibili. Non sarà un processo rapido e semplice. La quantità dei documenti messi a disposizione degli studiosi è enorme. Gli argomenti trattati sono disparati, coinvolgendo ogni tipo di attività vaticana, dalla religione alla politica alla assistenza sociale in tutto il mondo. Non è materia per dilettanti, si richiedono competenze sofisticate di tipo storico, politico, archivistico, diplomatico. Alla fine rimarrà a lavorare sul campo una pattuglia esigua di studiosi impegnati per anni. Le difficoltà tecniche sono complicate dalla natura stessa del materiale che riguarda un periodo storico drammatico sul quale le interpretazioni e le passioni non si sono mai spente. Gli storici ideali dovrebbero lavorare come se fossero in una camera sterile ed isolata, liberi da qualsiasi pregiudizio e influsso, concentrati sui loro documenti e quello che significano. Ma vai a trovare storici di questo tipo per la materia di cui parliamo. Da un lato ci sono gli apologeti a ogni costo, dall'altro gli accusatori inflessibili, ognuno con i suoi argomenti. Per amore della verità sarebbe utile trovare prove decisive in un senso o nell'altro, e potersi ricredere in base ai dati oggettivi; ma già è stato detto, e a ragione, che se ci fossero stati documenti decisivi da proporre, sarebbero stati divulgati da molto tempo, e che se ci sono effettivamente documenti decisivi non pubblicati non ci sono garanzie che vengano messi a disposizione degli studiosi.
   L'ampiezza temporale del pontificato di Pio XII e la drammaticità del periodo rendono in ogni caso preziosissimo tutto il materiale finora inaccessibile. Perché certamente Pio XII non è stato solo il Papa dei giorni dell'occupazione nazista a Roma, ma il Papa di prima e di dopo, e in particolare di questo «dopo», il tempo della guerra fredda e della rigidità dottrinale e politica di Pio XII, si parla molto meno.
   Ci vorranno anni per arrivare a qualche conclusione nuova, e chissà se sarà super partes e condivisibile. Ma nel frattempo bisogna stare attenti ad evitare che la linea difensiva diventi l'unica chiave di lettura a tutti i costi. Nel messaggio inviato da Papa Francesco per i 150 anni di Roma capitale è stato ricordato il 16 ottobre 1943, quando «si sviluppò la terribile caccia per deportare gli ebrei». «Allora, la Chiesa, fu uno spazio di asilo per i perseguitati: caddero antiche barriere e dolorose distanze». Ora, se è innegabile l'asilo dato a molti perseguitati nelle case religiose, e la gratitudine per questo, è anche innegabile l'altra parte della storia, quando non ci fu, proprio il 16 ottobre e nei mesi seguenti, nessuna opposizione al rastrellamento e alla deportazione. Il quadro degli eventi è molto più complesso e non si riassume in una semplificazione autoassolutoria. Quella su Pio XII non è una «leggenda nera», piuttosto una storia grigia, fatta di atti e segnali diversi. L'amicizia e la fraternità tra ebrei e cristiani alla quale siamo arrivati faticosamente e che desideriamo tutti mantenere e promuovere non può cancellare le complessità della storia precedente.

*Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma

(La Stampa, 18 febbraio 2020)


Israele: ferrovia fino al Muro del Pianto

Sarà sotterranea. La stazione dedicata a Trump. Amman protesta.

TEL AVIV - La Commissione nazionale per le infrastrutture ha approvato ieri l'estensione della linea ferroviaria Tel Aviv-Gerusalemme con un nuovo tratto, interamente sotterraneo, che arriverà fin sotto al Muro del Pianto. Quella stazione, riferisce Israel ha-Yom, sarà dedicata a Donald Trump, in un gesto di riconoscenza per il trasferimento della ambasciata Usa a Gerusalemme. Si troverà 50 metri sotto alla superficie e sarà collegata da scale mobili alla Spianata del Muro del Pianto. Tuttavia il progetto desta obiezioni fra gli ambientalisti israeliani, che già avevano criticato la costruzione di una cabinovia diretta verso il Monte Sion, oltre le mura dalla Città Vecchia.

(ANSAmed, 18 febbraio 2020)


Protestanti ed ebrei uniti nel ricordo

Tanti eventi fra il 16 e il 23 febbraio

di Donatella Coalova

Il 17 febbraio 1848 re Carlo Alberto firmò le lettere patenti con cui concedeva ai valdesi tutti i diritti civili e politici. Poco dopo, il 29 marzo, riconobbe anche agli ebrei le stesse libertà. Era così sancito per queste minoranze il diritto di accedere alle scuole pubbliche e agli ospedali, di intraprendere carriere prima precluse, come l'insegnamento e il servizio militare, e di risiedere dovunque volessero, anche fuori dai ghetti. Il decreto del re, pur non innovando nulla riguardo all'esercizio del culto, apriva di fatto la via alla libertà religiosa.
   Gli storici sono concordi nell'affermare che Carlo Alberto non era sicurissimo di voler firmare questo decreto. Ma gli fu impossibile tirarsi indietro. A desiderare davvero questo provvedimento, unicamente per motivi di umanità e giustizia, era stato il marchese Roberto d'Azeglio. E anche il conte Camillo Benso di Cavour, ma più per saggezza politica che per ragioni ideali. Sia d'Azeglio sia Cavour, insieme a seicento altre persone (fra cui settantacinque ecclesiastici cattolici), avevano firmato una petizione a favore dei valdesi. Con la risposta positiva del re, tante speranze venivano finalmente realizzate. E la popolazione valdese accese nelle valli numerosi falò, come segno di gioia e anche per diffondere velocemente la buona notizia.
   Nel ricordo di questi eventi, nei giorni a ridosso del 17 febbraio, ogni anno i protestanti celebrano la Settimana della libertà con una ricca serie di manifestazioni, fuochi all'aperto, culti, conferenze, concerti, rappresentazioni teatrali, pranzi comunitari. Numerosi i momenti con un taglio ecumenico o interreligioso. La sera del 16 febbraio, a Pinerolo, intorno al tradizionale falò, sono intervenuti la moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta, e il vescovo locale, monsignor Derio Olivero. A Torino le iniziative sono state organizzate insieme dai protestanti e dalla comunità ebraica. Il 16 febbraio si è tenuto il convegno «No all'antisemitismo, un impegno senza fine», al quale è seguito il concerto di Piero Nissim. Sulla Mole Antonelliana in questi giorni viene proiettata la scritta «17 febbraio: valdesi ed ebrei NO all'antisemitismo».
   Il 17 febbraio, a Pisa, il pastore Daniele Bouchard introduce il tema dei prossimi incontri: «Dobbiamo o possiamo rinunciare a qualcosa per l'unità visibile?». Gli appuntamenti del gruppo di impegno ecumenico continuano il 2, il 16 e il 30 marzo; è aperto a tutti anche il coro ecumenico.
   A Rimini il pastore Lothar Vogel e il rabbino Luciano Caro dialogano su «Porgi l'orecchio e ti narrerò ciò che mi è stato narrato».
   A Roma il 19 febbraio studio biblico ecumenico sul capitolo 4 di Giovanni, e il 23 febbraio incontro sul tema «Contro l'antisemitismo e la deriva dell'odio». Parleranno il pastore Luca Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, il pastore Paolo Ricca, emerito della Facoltà valdese di teologia, il pastore Daniele Garrone, docente alla Facoltà valdese di teologia, Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia.
   Durante la Settimana della libertà al pastore Ricca è anche stato chiesto di offrire il suo ricordo di Maria Vingiani, fondatrice del Segretariato attività ecumeniche, a un mese dalla sua scomparsa. A «L'Osservatore Romano» il pastore ha offerto alcune anticipazioni del suo intervento: «Maria Vingiani è stata la pioniera assoluta dell' ecumenismo in Italia. Nessuno, in nessuna Chiesa, ha fatto qualcosa di analogo a quello che ha fatto lei. Fra l'altro ella comprese che la più grave divisione è quella fra i cristiani e gli ebrei. Questa è la più grande rottura dell'unità del popolo di Dio. Non si può impostare correttamente la questione dell'unità dei cristiani se in parallelo non si affronta la divisione fra Chiesa e Sinagoga».

(L'Osservatore Romano, 18 febbraio 2020)


Cirio invita l'ambasciatore di Israele al Salone del libro

TORINO - La condanna delle recenti scritte antisemite e la presenza al prossimo Salone del Libro sono stati al centro di un incontro tra il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, e l'ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar. Dopo aver espresso la solidarietà del Piemonte per le scritte antisemite apparse nei giorni scorsi a Mondovì e Torino, Cirio ha invitato al Salone del Libro per un momento di approfondimento culturale ed educativo l'ambasciatore. La Regione ha aderito alla manifestazione di ieri sera in Comune cui era presente l'assessore Andrea Tronzano, nelle stesse ore in cui l'assessore Fabrizio Ricca è in missione istituzionale in Israele, dove ha portato la solidarietà della Regione alle istituzioni.

(La Stampa - Torino, 18 febbraio 2020)

Quando il cinema racconta Israele tra temi e tabù

La lezione all'Istituto Stensen di Firenze

di Maria Cristina Carratù

FIRENZE - Al centro di conflitti che affondano le loro radici in epoche lontane, Israele è - forse proprio per questa sua costante instabilità esistenziale - una vera fucina della creatività contemporanea. Non fa eccezione il cinema, che fin dall'inizio accompagna e riflette la complessa opera di elaborazione dell'identità collettiva nazionale, ed è forte, ad oggi, di oltre mille lungometraggi che testimoniano l'eccezionale complessità di storie, identità etniche, culturali, linguistiche, religiose e politiche, di cui pullula il piccolo Stato nato nel 1948. Ed è proprio del contributo dato dal cinema alla formazione dell'immaginario collettivo israeliano, contribuendo a diffondere non solo i valori dell'ideologia sionista, ma anche a consolidare in una popolazione composta essenzialmente di immigrati una cultura comune, nonché l'uso di un'unica lingua (l'ebraico), che parlerà oggi all'Istituto Stensen (ore 18,30, ingresso libero fino a esaurimento posti) uno dei massimi studiosi della materia, lo storico e docente di cinema all'Università ebraica di Gerusalemme Asher Salah, nella lezione-conferenza intitolata "Cinema israeliano: temi e tabù", curata dalla Scuola di studi e cultura ebraici Shemah di Firenze (info shemah.it). Nel corso della lezione sarà proiettata una decina di spezzoni di film che coprono l'intera storia della cinematografia israeliana dagli anni '30 ad oggi, prodotti in Terra d'Israele e, nei primi decenni, concepiti per la distribuzione esterna, soprattutto in Europa e in America, come veicolo di propaganda sionista. Ma che via via documentano l'evoluzione dello sguardo su alcune figure centrali dello storytelling nazionale: il soldato, l'arabo, il sopravvissuto della Shoah, le relazioni fra askenaziti e sefarditi, le questioni di genere, le minoranze sessuali. Fino alle opere contemporanee, in cui, dice Salah, «la cinematografia israeliana, sempre più polifonica, porta sul grande schermo figure e temi inediti, come la realtà degli ambienti ebraici ortodossi e quella degli immigrati dall'ex Urss (con film in lingua russa), la condizione degli arabi israeliani e quella delle minoranze omosessuali, mappando per immagini le trasformazioni della società israeliana nell'arco degli ultimi cento anni».

(la Repubblica - Firenze, 18 febbraio 2020)


Jan e Chiune, diplomatici per caso consumano le mani a firmar visti per gli ebrei

Nella Lituania contesa tra russi e nazisti, l'uno è un dirigente olandese della Philips, l'altro un giapponese. Prima indifferenti, metteranno in piedi una catena di solidarietà e salvezza, oggi sono Giusti fra le nazioni. Si legge come un romanzo ma è di più: ricostruisce le vite dei salvatori e dei salvati.

di Elena Loewenthal

Anime Baltiche di Jan Brokken, giornalista olandese appassionato di storiografia, è stato un libro che ha lasciato il segno. Un po' memoir un po' narrazione pura, ma sempre sul filo di una perfetta aderenza ai fatti storici e soprattutto di una empatia straordinaria, questo libro dal genere indefinibile ha commosso e appassionato tantissimi lettori.
   I giusti, nella traduzione di Claudia Cozzi e in uscita in questi giorni sempre per la benemerita Iperborea, è una sorta di seguito naturale della avventura narrativa in quell'angolo dell'Europa Nord Orientale, dopo alcune parentesi di rievocazione storica che hanno portato Brokken sulle tracce di altri eroi, da RudyTruffino e Dostoievski. E ancora una volta in quest'ultimo libro si rivela la sua straordinaria, anzi alchemica capacità di unire in un unico tessuto in cui trama e ordito sono indistinguibili le sorti individuali e quelle della grande Storia.
   Brokken riesce ad accompagnare il suo lettore in minuziose descrizioni domestiche che però risultano sempre perfettamente incastonate in un racconto collettivo che tutti ci coinvolge. In questo libro è difficile capire chi sta al centro, proprio perché al centro si trova un'umanità variegata. Accomunata, con qualche eccezione, dal rifiuto di «vedere l'incombere di un olocausto. Si lasciavano scivolare addosso le informazioni frammentarie in cui si imbattevano, come se fossero sporcizia in un fiume in piena. A non guardare da vicino, l'acqua sembra ancora abbastanza pulita. Se sentivano qualcosa, si voltavano subito dall'altra parte, oppure si concentravano su un diversivo piacevole».
   Non è così per gran parte dei personaggi - reali - di questo libro, corredato da un significativo apparato di fotografie. Non è così in primo luogo per Jan Zwartendijk, un intraprendente manager olandese distaccato a Kaunas, Lituania, sin dalla fine degli anni Trenta, a dirigere lo stabilimento della Philips. Da un giorno all'altro Mr Radio Philips si ritroverà, senza alcuna ragione precisa, a fare anche il console onorario dei Paesi Bassi in quella regione che sta per diventare un tragico crocevia di forze belligeranti, fra i russi dell'Armata Rossa e i nazisti del Terzo Reich in avanzata. Senza alcuna pretesa di passare per eroe, senza una particolare spinta morale che non sia quella di intuire il pericolo non per sé ma per il prossimo, Zwartendijk comincerà di sua iniziativa a rilasciare visti per le Indie Occidentali e Curaçao, territori d'Oltremare dell'impero olandese, agli ebrei in fuga.
   Non è così soprattutto per Chiune Sugihara, diplomatico giapponese che a quell'epoca era viceconsole in Lituania. Grazie a una incredibile catena della solidarietà, Sugihara preparava per quei profughi un nulla osta per l'ingresso nel suo paese: ogni documento gli costava una gran fatica calligrafica, sua moglie doveva regolarmente massaggiargli le mani dopo lunghe sequenze di otto, nove righe di ideogrammi per ogni pezzo di carta.
   Figura leggendaria con dei trascorsi assai avventurosi, dallo spionaggio filo polacco a una passione per la Russia segnata dalla precoce conversione al cristianesimo ortodosso e da un primo matrimonio con una donna di Mosca, Sugihara salvò migliaia e migliaia di ebrei, traghettandoli dall'Europa al Paese del Sol Levante lungo la Ferrovia transiberiana, poi per nave e per terra in diverse città del Giappone, prima fra tutte Kobe, ma anche Shangai.
   Il libro di Brokken si legge come un romanzo, ma è ben di più. L'autore ricostruisce per filo e per segno le esistenze tanto dei salvatori quanto di molti salvati. Fa emergere un'umanità multiforme, una geografia che spazia per mondi diversi. Racconta vite vissute come se le avesse di fronte. Come quel giorno in cui, uscendo da un negozio per comprare delle caramelle ai suoi figli, Sugihara «si trovò davanti un bambino che sembrava aver perso la gioia di vivere». Era il piccolo Solly, che si apprestava a celebrare una triste Hanukkah, senza neanche «un soldo per comprarsi le caramelle». Di lì cominciò un'amicizia, perché Sugihara fu invitato a celebrare la festa ebraica a casa di Solly e poco tempo dopo capì che bisognava muoversi, fare qualcosa per salvare tante vite in pericolo. Del resto, lui era nato il primo gennaio del 1900 e «nella mitologia giapponese un bambino che viene al mondo in una notte di gelo è benedetto da qualità speciali e la sua vita sarà diversa da quelle dei comuni mortali».
   Brokken racconta questa vita straordinaria - immortalata in un francobollo commemorativo emesso recentemente dalla Lituania e insieme a quella di Zwartendijk inserita fra i «giusti fra le nazioni» (Sugihara è l'unico giapponese in questo elenco). Racconta soprattutto il mondo che ruota intorno ai due eroi in quegli anni terribili in cui potevano anche avverarsi storie come queste, piene di vita e di speranza, nonostante tutto.

(La Stampa, 18 febbraio 2020)


Spazio aereo non più off-limits per i voli provenienti da Israele

Un aereo di linea israeliano ha sorvolato per la prima volta il Sudan lo scorso fine-settimana, sulla base di un accordo tra Gerusalemme e Khartum. Lo ha annunciato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che la settimana scorsa era in missione in Sudan per avviare un percorso di normalizzazione nei rapporti tra i due Paesi. Il volo era diretto in America Latina. «I turisti israeliani avranno adesso tre ore di volo in meno per raggiungere Brasile e Argentina, non dovendo più passare dalla Spagna e attorno all'Africa», ha detto Netanyahu.

(Avvenire, 18 febbraio 2020)


Preghiera al Muro del Pianto per la Cina colpita dal Coronavirus

All'orazione, recitata anche in mandarino, hanno partecipato decine di cinesi, che hanno cantato assieme agli ebrei israeliani: Questo è il tempo della misericordia».

Migliaia di persone si sono radunate al Muro del Pianto ieri sera a Gerusalemme per una veglia di preghiera in favore della Cina colpita dal coronavirus, nonostante la pioggia battente. L'iniziativa, unica nel suo genere al mondo, è stata organizzata dal rabbino Shmuel Eliyahu e dall'Unione Ortodossa guidata dal rabbino Avi Berman e altre organizzazioni religiose. Alla preghiera, recitata anche in mandarino, hanno partecipato decine di cinesi, che hanno cantato assieme agli ebrei israeliani "Questo è il tempo della misericordia".
   Israele ha importanti rapporti economici con la Cina e la presenza di piccole comunità ebraiche è secolare. Alla preghiera hanno partecipato anche parenti di passeggeri della Diamond Princess, la nave da crociera bloccata in porto in Giappone, dove centinaia di persone hanno contratto il virus. Raphael Dahan, che ha i genitori ancora a bordo, ha rivelato di non sapere se mamma e papà hanno contratto il virus, e di essere "in attesa di notizie: sono qui per queste bellissima iniziativa e prego per la salute dei miei cari e per il benessere di tutti gli israeliani, che possano tornare a casa in salute".
   Il rabbino Shmuel Eliyahu ha sottolineato come "così tante persone sono arrivati qui, ma molte altre hanno pregato nelle sinagoghe e nelle scuole. Il popolo cinese deve sapere che il popolo ebraico è vicino e sta pregando. Quando questo tipo di amore esiste nel mondo Dio onnipotente apre le porte del Paradiso a tutte le preghiere e le accoglie: che questa epidemia cessi e sparisca per la Cina e per tutto il mondo".

(La Stampa, 17 febbraio 2020)


La strategia di Hamas: hackerare i cellulari dei soldati israeliani con account di "belle ragazze"

I finti account di belle ragazze esortavano i soldati a scaricare delle app, che infiltravano poi i cellulari dei militari con i malware di Hamas.

di Gerry Freda

Hamas ha finora messo in atto una strategia "sexy" per hackerare i cellulari dei soldati israeliani.
   L'esercito di Netanyahu, riferisce The Independent, ha infatti in questi giorni comunicato di essere riuscito al terzo tentativo, dopo tre anni e mezzo di insuccessi, a mandare all'aria il piano degli estremisti palestinesi, diffondendo contestualmente ai media i particolari dell'offensiva informatica condotta fino a oggi dai miliziani.
   La strategia di Hamas, evidenzia il quotidiano londinese citando il tenente-colonnello delle forze armate di Gerusalemme Jonathan Conricus, era "altamente avanzata e sofisticata" e avrebbe consentito ai membri di tale sigla di infiltrare con malware i dispositivi mobili di dozzine di militari israeliani.
   Il piano dei terroristi, spiega l'organo di informazione d'Oltremanica, funzionava nel modo seguente: i miliziani creavano dei finti profili su Telegram, WhatsApp, Facebook e Instagram, intestati formalmente ad "avvenenti ragazze".
   Usando appunto false foto di giovani e provocanti fanciulle per impaginare gli account in questione, gli estremisti provavano a suscitare l'attenzione dei soldati dello Stato ebraico, per farli poi cadere nella loro "trappola informatica".
   I membri di Hamas nascosti dietro i finti profili delle ragazze, ricostruisce la testata, adescavano gli internauti appartenenti all'esercito di Netanyahu spacciandosi per graziose "donne immigrate" con difficoltà a parlare fluentemente la lingua ebraica e impossibilitate a comunicare con le altre persone parlando al telefono.
   Le false giovani, per rendere più credibile la loro storia personale e per conquistare la fiducia dei soldati contattati sul web, inviavano quindi dei generici messaggi vocali agli smartphone dei malcapitati, in cui una voce femminile, realizzata in realtà dai terroristi in maniera artificiale, rispondeva alle domande postate sui social dai militari dicendo nient'altro che "Sì" oppure "No".
   Una volta accattivatesi le simpatie dei membri delle Israel Defense Forces (Idf), i profili-truffa delle ragazze invitavano i primi a scaricare delle app di condivisione di immagini, così da potere inviare sui cellulari delle reclute adescate, ad esempio, delle "foto nude".
   I software che i soldati interessati a rimanere in contatto con le avvenenti giovani dovevano scaricare erano, riporta The Independent, sostanzialmente tre, simili a SnapChat: Catch&See, ZatuApp e GrixyApp.
   Dietro i nomi di questi programmi si celavano dei virus ideati dai tecnici della formazione terrorista, progettati per penetrare nei dispositivi mobili delle truppe di Gerusalemme e dare così agli esperti informatici della sigla palestinese libero accesso agli sms, ai dati e alle informazioni salvati sui telefonini dei militari. Una volta installati, i malware incriminati consentivano anche di accedere e di controllare la videocamera e il microfono degli smartphone.
   Il piano "sexy" dei miliziani è stato però alla fine vanificato dalla reazione delle Idf, che hanno messo in campo, ha precisato il tenente Conricus citato dalla testata britannica, tecnologie adeguate a interrompere l'infiltrazione di virus nei telefonini delle truppe di Netanyahu.
   L'hackeraggio orchestrato da Hamas non avrebbe causato, sostiene l'ufficiale, sottrazioni massicce di informazioni importanti, anche se sarebbero ancora in corso indagini da parte dello Stato maggiore di Gerusalemme per valutare gli effetti della strategia attuata finora dai miliziani sfruttando finti account di belle ragazze.

(il Giornale, 17 febbraio 2020)



Il deserto che fiorisce una volta all'anno è uno spettacolo

Chi visita il deserto del Negev tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio può pensare di avere un miraggio. Non è così.

Chi visita il deserto del Negev tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio può pensare di avere un miraggio. Non è così.
Ogni anno, in questo periodo, a Nord del deserto israeliano dall'arida terra spunta l'erba che si colora con migliaia di anemoni rossi. Succede al termine della stagione delle piogge, quando la terra, colma di acqua, rilascia i suoi frutti.
L'anemone è un fiore molto comune in Israele, ma vederlo d'inverno e per di più in mezzo al deserto è un'esperienza unica. La fioritura del deserto è però una bellezza fragile: una volta raggiunto il massimo splendore, non dura più di una settimana.
Questo spettacolo della natura viene celebrato con il festival Darom Adom (dall'ebraico "Sud Rosso") che coinvolge i vari centri della regione di Eshkol, nel Nord del Paese. Il festival è nato nel 2007 per dare risalto non solo al deserto fiorito, ma anche ai centri abitati che hanno la fortuna di ospitare questo straordinario fenomeno.
Così, ogni fine settimana, si svolgono tante attività per le famiglie, i turisti e i tantissimi escursionisti che attraversano il Negev. Ci sono dalle attività in mountain bike agli spettacoli di musica dal vivo, per rendere ancora più magico il Negev in fiore.
Una delle attività più divertenti tra i tanti turisti che vengono ad assistere a questo spettacolo è sicuramente il pic-nic, l'ideale per godersi al massimo il mite inverno israeliano e al tempo stesso lo splendido paesaggio fiorito. Tra i punti migliori dove fermarsi per ammirare la distesa di prati rosso ci sono a Re'im o i kibbutz di Kissufim e Ruhama, a circa 160 chilometri da Gerusalemme e 180 da Tel Aviv.

(Si viaggia, 17 febbraio 2020)


La Bibbia ebraica spiegata dal rabbino. Con tante sorprese

Un dialogo fra l'autore Rabbino Haim Fabrizio Cipriani, Andrea Ravasco (IssrLiguria) e Roberto Bisio (Centro Culturale San Paolo) alla scoperta guidata dei testi biblici della Torà, i primi cinque libri della Bibbia. La Libreria San Paolo di Genova ospita oggi alle 17.30, un incontro di presentazione del libro I settanta volti. Leggiamo la Bibbia ebraica con un rabbino.
Il rabbino Rav Cipriani conduce i suoi discepoli, ebrei e cristiani, a leggere i testi biblici della Torà, i primi cinque libri della Bibbia. Una sorpresa e una rivelazione, poiché «partendo dalla lettera dello scritto biblico, ne svela la fecondità che genera ramificazioni inattese ed efflorescenze», come spiega Ravasi. Un lavoro che nasce da situazioni di vita vissuta e di spiritualità condivisa.

(la Repubblica - Genova, 17 febbraio 2020)


Lo studente contestato: «Di destra e democratico»

L'Università La Sapienza di Roma incontrerà Liliana Segre

di Erica Dellapasqua

Rivendica di essere di destra ma non per questo, dice, deve rinunciare a parlare dal palco in rappresentanza di tutti i ragazzi, come invece gli chiedono gli studenti più di sinistra: «Condivido pienamente la battaglia contro l'odio della senatrice Liliana Segre, l'odio non ha colore politico e, in piccolo, lo sto sperimentando anche io proprio in questo momento».
   Si difende così Valerio Cerracchio, lo studente di Ingegneria - e del movimento giovanile di destra Generazione Popolare - che domani, durante l'inaugurazione dell'anno accademico e in occasione del conferimento del dottorato Honoris causa a Liliana Segre, rappresenterà tutti i ragazzi tenendo un discorso che, però, precisa già lui, non avrà connotazioni particolari: «Non ha nulla di politico, verterà sulle difficoltà e la solitudine che uno studente può incontrare nel proprio percorso di studi. Mi dispiace di essere etichettato senza che le persone conoscano i miei contenuti, è un tentativo di strumentalizzazione: io non ho nulla a che fare con il fascismo che appartiene a un'altra epoca, credo nella democrazia e nei principi della Costituzione, anche le battaglie che porto avanti fuori dall'università vanno dalla tutela dell’ambiente al sociale». L'occasione è ufficiale, ci saranno anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro dell'Università Gaetano Manfredi, così il caso, quando gli studenti di sinistra hanno giudicato inopportuna la scelta di Cerracchio, è diventato - chiaramente - subito politico. C'è tutta una parte della Sapienza, quella da sempre più vicina alle iniziative appunto di sinistra e che già portò in ateneo il sindaco di Riace Mimmo Lucano, che vorrebbe che il rettore ci ripensasse, e che la Segre incontrasse comunque anche una rappresentanza «antifascista».
   La Sapienza cerca di tirarsi fuori dalle polemiche ribadendo che si è come sempre seguita la prassi, che cioè si è scelto questo studente secondo il criterio di rotazione, che lui fa parte della giunta di facoltà ed è nella lista più votata: tutto qua.
   Con Cerracchio, in ogni caso, si schiera Antonio Lodise, rappresentante degli studenti nel Cda dell'ateneo eletto con Sapienza in Movimento, uno studente che si racconta «di sinistra»: «Nella nostra lista siamo apartitici, non apolitici, ci battiamo per gli studenti e l'obiettivo è il superamento delle posizioni che impediscono il dialogo, una democrazia si basa sul confronto... ».

(Corriere della Sera - Roma, 17 febbraio 2020)



Ennesima strumentalizzazione istituzionale e successivo tentativo di strumentalizzazione antifascista dell’«icona Segre». L’insensatezza di aver creato, favorito e gettato nella mischia politica una pedina che porta il simbolo della Shoah. M.C.



Medio Oriente: la crisi d'identità palestinese che fa sperare

di Sadira Efseryan

 
In Medio Oriente stiamo assistendo a cambiamenti epocali, cambiamenti che solo i palestinesi non riescono a cogliere.
  Mentre i grandi Stati Arabi del Golfo, compreso il Qatar, si stanno lentamente ma inesorabilmente avvicinando a Israele anche attraverso trattati di carattere militare, mentre la popolazione araba della regione, l'uomo della strada, capisce che Israele è una risorsa e non un nemico, gli unici che ancora rimangono ancorati a vecchi stereotipi e a situazioni di 70 anni fa sono i palestinesi.
  In realtà sono i leader palestinesi più che la popolazione palestinese. Con il tempo e fatte le giuste eccezioni, appare sempre più chiara la distanza che c'è tra le necessità della popolazione palestinese e quello che decidono i loro leader, che siano a Ramallah o a Gaza.
  Non stiamo parlando degli arabo-israeliani che lo hanno capito ormai da un pezzo e che vivendo come cittadini israeliani hanno gli stessi Diritti dei loro connazionali di religione araba o cristiana, a dispetto di quanto raccontano gli avvelenatori di pozzi del Movimento BDS e i loro sodali europei.
  Stiamo parlando degli arabi palestinesi che vivono in Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza. Fino a qualche tempo fa nessuno di loro si sarebbe permesso di sostenere che in Israele si viveva meglio o che potevano vivere decentemente grazie ad un lavoro in Israele (almeno quelli che non vivono a Gaza).
  Oggi invece la propaganda del regime palestinese (si, un regime dato che Abu Mazen governa senza essere passato da elezioni e il suo mandato è scaduto nel 2008) non attecchisce più come una volta o comunque non attecchisce tra i tanti palestinesi che a vario titolo lavorano in Israele e vedono cosa hanno i loro "fratelli" con cittadinanza israeliana.
  Insomma, i palestinesi hanno iniziato a ragionare con la propria testa e a fare paragoni e così in tanti si sono accorti che alla loro leadership conviene tenerli in condizioni miserevoli pur di continuare con lo storytelling anti-israeliano.
  Uno studio del Israeli Democracy Institute risalente a fine 2019 rivela che tra gli arabi-israeliani, quindi con cittadinanza, il 70% non crede che vi sia conflitto tra l'identità palestinese e l'essere cittadini israeliani. Il 63% si dice addirittura orgoglioso di essere israeliano.
  Lo stesso studio rivela che tra gli arabi non israeliani provenienti da Giudea e Samaria ma che lavorano in Israele, oltre l'80% apprezza la democrazia israeliana e si trova bene a lavorare fianco a fianco con gli israeliani.
  Per farla breve, i palestinesi che hanno assaggiato la democrazia israeliana, che siano residenti o meno, la preferiscono di gran lunga alla dittatura della Autorità Palestinese e non credono più alle favolette raccontate dai suoi leader.
  Questo crea quello che la scrittrice Irit Linur ha definito "la crisi d'identità araba", una crisi molto lenta nella sua evoluzione ma che sta creando non pochi problemi alla Autorità Palestinese tanto che tutte le voci dissidenti (giornalisti e scrittori) sono state messe a tacere senza tanti complimenti negli ultimi mesi.
  E più passa il tempo, più questa crisi diventa profonda. La propaganda della Autorità Palestinese viene sempre più spesso superata dai media arabi che parlano sempre più apertamente di «relazioni con Israele». Gli arabi che lavorano in Israele quando tornano a casa raccontano quello che vedono. In queste condizioni è difficile per la AP continuare con lo storytelling anti-israeliano.
  Certo, rimane uno zoccolo duro (durissimo) legato in parte ad Hamas e in parte alla OLP, per lo più gente che vive in miseria e che non ha accesso alle informazioni, ma quello "zoccolo duro" diventa sempre più piccolo.
  Dopo la presentazione del piano di pace americano sembrava che in Giudea e Samaria dovesse scoppiare il finimondo. Lo temevano anche gli israeliani. Invece le proteste sono state risibili rispetto a quello che ci si aspettava. I palestinesi non sono più disposti a credere a tutto quello che raccontano i loro leader. Hanno imparato a fare di conto e hanno capito che vivere pacificamente a fianco di Israele non è poi così male.

(Rights Reporters, 17 febbraio 2020)


Foibe, la reticenza dei negazionisti

di Pierluigi Battista

Davvero non si capisce, a 75 anni di distanza, un'eternità, questo ottuso residuo negazionista di una parte della cultura di sinistra sulle foibe. Questa incredibile e testarda minimizzazione sulle migliaia e migliaia di italiani infoibati, sull'orrore della famiglie sterminate, sul filo di ferro che legava a gruppi i polsi delle vittime sulla sommità di quelle voragini per risparmiare sui proiettili: si sparava a uno e se ne ammazzavano dieci. Questa spessa coltre di imbarazzo che ancora oggi, ma perché?, impedisce di vedere la verità storica, non sa comprendere il senso del linciaggio e dell'isolamento con cui quasi trecentomila istriani e dalmati - poche cose raccolte nella fuga, il terrore stampati negli occhi dei bambini, nessuna notizia sui parenti spariti nelle foibe - vennero oltraggiati dall'Italia, messi al bando, accolti dall'ostilità alla stazione di Bologna perché non avevano voluto trasformarsi in sudditi del comunismo di Tito, il capo dei massacratori, o forse perché semplicemente volevano salvare la loro vita dalla strage in corso nelle loro case. Ed è tutto così chiaro, invece: è chiara la pulizia etnica che colpì gli italiani in quanto italiani, fascisti, antifascisti, solo italiani. E' chiara la volontà delle truppe di Tito di sancire in quelle carneficine chi dovesse comandare, e in nome di quale ideologia. Dicono, imbarazzati, come se fosse un'attenuante: ma la violenza snazionalizzatrice del fascismo, la repressione degli slavi, le umiliazioni e le violenze? Certo, ma non fu quella la specificità dell'infoibamento di massa lungo il confine orientale, geografico ma anche politico. Chissà perché i reticenti negazionisti non si chiedono come mai orrori paragonabili a quelli delle foibe non si verificarono in Sud Tirolo, dove il fascismo italiano si macchiò di una repressione altrettanto feroce, basta leggere il libro di Marco Balzano «Resto qui» (Einaudi) per saperlo. Non se lo chiedono perché ne verrebbe demolito lo schemino ideologico, la memoria manipolata, con cui quella tragedia, così nascosta in tutti questi anni, viene banalizzata. Ma perché? Che bisogno c'è di negare ancora? Cosa vogliono difendere, occultare, minimizzare? E' davvero triste che la semplice ricostruzione dei fatti debba conoscere tanti ostacoli per farsi strada La pigrizia intellettuale, e l'arroganza politica, sono davvero così coriacei da resistere tanto tempo? Peccato.

(Corriere della Sera, 17 febbraio 2020)



Il gioco del Consiglio Onu per i diritti umani è truccato e spudoratamente fazioso

La lista nera, voluta dai campioni mondiali di violazione dei diritti umani, è faziosa e mal compilata. Ma può essere dannosa.

La pubblicazione mercoledì scorso, da parte del Consiglio Onu per i diritti umani, della lista nera delle aziende che operano in Giudea e Samaria (Cisgiordania) ha colto di sorpresa Gerusalemme. Non che qualcuno si sia particolarmente sorpreso per il contenuto: la lista era un esito scontato sin da quando nel 2016 il Consiglio Onu per i diritti umani (UNHRC) aveva incaricato della sua compilazione l'Ufficio dell'Alto Commissario Onu per i diritti umani (OHCHR). Ma l'Ufficio dell'Alto Commissario non ha dato a Israele nessun avvertimento. Anzi, la Commissaria Onu per i diritti umani Michelle Bachelet si è rifiutata di incontrare rappresentanti israeliani per oltre un anno. Anche solo questo fatto lascia capire quanto quello del Consiglio Onu per i diritti umani sia un gioco truccato ai danni di Israele....

(israele.net, 17 febbraio 2020)


Quando la screditata Onu supera il nazismo

di Ugo Volli

Il boicottaggio nazista del commercio ebraico iniziò ufficialmente il 1 aprile 1933, solo due mesi dopo la presa del potere da parte di Hitler. Beninteso i nazisti dichiararono che era giusto e difensivo, perché gli ebrei affamavano i tedeschi e cercavano di danneggiare la Germania nazista. In realtà fu la prima azione intrapresa dai nazisti per eliminare il popolo ebraico. Il 7 aprile fu approvato il licenziamento degli impiegati pubblici ebrei, sempre in aprile aprirono i primi lager, nel 1935 ci furono le leggi di Norimberga, nel '38 la notte dei cristalli. Ma il boicottaggio rimase il primo atto di ogni politica antisemita anche nei paesi alleati e poi occupati dalla Germania. In Italia iniziò nel '38. Dopo settant'anni, nel 2002, la storia ricomincia: i nemici di Israele chiamano al boicottaggio per appoggiare la sanguinosa campagna terroristica chiamata "seconda intifada". Lentamente il movimento si diffonde e prende un nome, BDS, con l'appoggio anche di qualche ebreo di estrema sinistra, focalizzandosi sugli insediamenti nei territori contesi. La settimana scorsa c'è stato un passo avanti: nella campagna per boicottare gli ebrei di Giudea e Samaria è entrato l'Onu, in particolare la sua screditatissima "commissione per i diritti umani". La sua presidente, l'ex presidente cileno Bachelet, che pure per via della sua origine dovrebbe ricordare di quel che significa avere a che fare con un governo terrorista (dato che il terrorismo palestinista non è certo da meno di quello di Pinochet) ha deciso di accogliere la richiesta dell'Autorità Palestinese di pubblicare la lista delle aziende che lavorano con gli ebrei degli insediamenti: un centinaio di nomi, esposti al boicottaggio internazionale. In questa maniera ha superato anche il nazismo, che si limitava a boicottare gli ebrei, mentre l'Onu se la prende anche con coloro che dagli ebrei comprano merci, o vendono loro servizi e materiali.

(Shalom, 16 febbraio 2020)




Erdogan si fa beffe della Nato e gli Usa non sanno più come fermarlo

di Paolo Vites

 
Venerdì un elicottero militare delle forze aeree siriane è stato abbattuto nell'area di Idlib, l'ultima provincia della Siria nord-occidentale rimasta fuori dal controllo del governo di Bashar al Assad e dove nel corso della guerra contro l'Isis venivano trasferiti tutti i miliziani sconfitti e le loro famiglie. Adesso le forze armate di Damasco insieme a quelle russe stanno cercando di liberare anche quest'ultimo territorio. Ma oltre a contrastare Assad, la Turchia, che in Siria ha sempre fatto il doppio gioco, sta sostenendo i ribelli jihadisti in modo sempre più esplicito. La notizia dell'abbattimento infatti è stata riferita dall'agenzia stampa turca Anadolu, citando fonti legate ai ribelli antigovernativi che dominano l'area. L'elicottero è stato colpito mentre sorvolava la provincia occidentale di Aleppo, in una zona che rientra nell'area di sicurezza pattuita tra Turchia e Russia per favorire un abbassamento della tensione. In questo quadrante Ankara sostiene i gruppi ribelli di Idlib, tra i quali le milizie legate al cartello jihadista Hayat Tahrir al Sham. Lo scorso 11 febbraio un altro elicottero militare siriano è stato colpito dalle forze armate della Turchia nella provincia di Idlib.
   È una situazione fuori controllo: né russi, né americani e tantomeno l'Europa, ci ha detto il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore dell'aeronautica e della difesa, oggi vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali, fanno qualcosa per fermare l'espansionismo di Erdogan che come sappiamo arriva oggi fino alla Libia con l'intenzione, ci ha spiegato, di garantirsi le risorse del Mediterraneo e un posto vantaggioso nel futuro governo libico. E l'Italia?

- Due elicotteri dell'esercito siriano abbattuti in pochi giorni dai ribelli sostenuti dalla Turchia in Siria. Si può dire che Erdogan stia ricalibrando la sua politica nell'area, anche in considerazione del suo espansionismo nel Mediterraneo?
  Personalmente sono molto preoccupato dell'atteggiamento e delle politiche turche degli ultimi anni, anche perché sono in netta antitesi con la carta della Nato a cui la Turchia aderisce.

- Sembra difficile considerare Ankara ancora un membro della Nato, nonostante lo sia dal punto di vista formale.
  Se si legge il preambolo della carta dell'Alleanza Atlantica, i paesi firmatari devono per prima cosa rispettare i diritti umani al loro interno, cosa che la Turchia fa molto poco. Se si procede con la lettura si vede che i paesi aderenti si impegnano a non minacciare o utilizzare le proprie forze armate in situazioni internazionali controverse o espansione territoriali.

- Tutte cose che la Turchia invece sta facendo, giusto?
  Infatti. E non in situazioni occasionali. È un problema politico serissimo, l'alleanza non può più contare su questo, tra virgolette, alleato.

- Quindi?
  Quello che sta facendo in Siria è una politica chiaramente espansionistica. Abbiamo condannato la Russia quando si è annessa la Crimea, non abbiamo detto nulla quando Erdogan ha annesso un pezzo di Siria durante l'invasione contro i curdi. Non è un atteggiamento coerente.

- Come mai può fare tutto quello che vuole?
  Manca la volontà politica di porre dei limiti all'espansionismo turco da parte dei singoli paesi. Gli Usa per bocca di un sottosegretario hanno detto proprio in questi giorni che sono allineati con le politiche di Ankara. Dall'altra parte c'è la Russia con cui hanno un rapporto molto ambiguo. Ci sono momenti in cui ci sono convergenze e momenti di divergenze, ma quando si parla di forze armate le convergenze e le divergenze non sono questioni di parole. Anche la Francia, dal canto suo, si muove con autonomia rispetto all'Unione Europea.

- E l'Italia cosa fa?
  Siamo completamenti assenti, al di là di qualche visita turistica del nostro ministro degli Esteri. Non si vede una politica che possa coagulare attorno a interessi comuni condivisi la diplomazia, l'economia e anche le forze armate.

- Si è detto che Russia e Turchia vogliono spartirsi la Libia. Vale anche per la Siria?
  Assad è rimasto al potere grazie a Mosca e anche alle milizie iraniane. Non credo sia una spartizione, alla Russia interessano punti di appoggio per garantirsi l'accesso al mare mentre in Libia l'attività russa è opportunistica.

- In che senso?
  C'è un vuoto politico e Putin molto abilmente si è inserito in questo vuoto dimostrando che la Russia è ancora una grande potenza. I turchi invece hanno mire chiarissime sulle risorse del Mediterraneo e agiscono con disinvoltura per garantirsi in futuro posizioni di vantaggio e la futura gestione del potere libico.

- L'Iran invece che è stato determinante per la sconfitta dell'Isis in Siria, sembra sparito dai giochi internazionali. L'uccisione da parte degli americani di Soleimani ha ottenuto l'effetto voluto?
  Si tratta di una conseguenza collaterale. Il problema iraniano è di ordine economico e di gestione della situazione del paese che è economicamente drammatica, come dimostrano le manifestazioni popolari violentemente represse. L'Iran oggi ha il problema di guardarsi in casa invece che alimentare una politica espansionistica.

(ilsussidiario.net, 16 febbraio 2020)



Il filo spezzato tra noi e gli ebrei

Riflessionni intorno al saggio di Alessandra Tarquinì sul rapporto tra la sinistra italiana e il mondo ebraico. L'atteggiamento ostile a Israele è di lungo corso, e fu con la Guerra dei sei giorni che tutto cambiò. In peggio.

di Franco Camarlinghi

Gli italiani sono una percentuale notevole dei turisti che percorrono le strade e visitano i luoghi della memoria di Berlino. Non sono molti, però, quelli che si possono incontrare a Wannsee, nella Villa della Conferenza, dove, il 20 gennaio del 1942 Reinhard Heydrich diresse la riunione in cui fu pianificato lo sterminio degli Ebrei europei.
   Adolf Eichmann redasse il protocollo del progetto di soluzione finale che fu ritrovato nel 1947 negli atti del Ministero degli esteri della Germania di Hitler. Ebbene, nelle stanze della Villa della Conferenza, nel pensare a quel 20 gennaio di quasi ottant'anni fa, si può capire meglio che altrove la specificità e l'incomparabilità del genocidio degli ebrei. Il libro di Alessandra Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992 (il Mulino 2019), mi ha prima di tutto fatto tornare in quelle stanze, percorse nel ricordo di una partecipazione alle vicende della sinistra in Italia che non ha mai posto con chiarezza a sé stessa la questione ebraica.
   Della storia della sinistra che ho vissuto personalmente un momento particolare del rapporto con gli ebrei fu certamente quello della Guerra dei sei giorni. L'atteggiamento ostile a Israele (con le conseguenti venature antisemite, inevitabile, ancorché negate) non nasce improvviso, ma affonda le sue radici in tutta la storia della sinistra dalla fine dell'Ottocento in poi e, in particolare, negli anni Cinquanta dopo l'iniziale entusiasmo per la risoluzione dell'Onu del 1948.
   Ha ragione Alessandra Tarquini, ma nella memoria personale di un giovanissimo militante del Pci di quel 1967 c'è qualcosa che allora sembrò una novità. Nei quartieri popolari di Firenze, come erano nel dopoguerra quelli del centro, l'antisemitismo era stato certamente presente, ma la sinistra e in particolare il Pci, che via via era diventato la forza decisiva nei sentimenti della gente comune, aveva ereditato dalle rivelazioni sullo sterminio un atteggiamento di partecipazione alla drammatica storia degli ebrei.
   Anche in Santa Croce, non c'era casa di gente di sinistra dove non si avesse fra i pochi libri uno di quei volumi di fotografie dove si documentava la liberazione dei lager, in particolare di quello di Auschwitz da parte dell'Armata rossa. Non si sentiva antagonismo di qualsiasi tipo con gli ebrei e se ne conoscevano le perdite anche a Firenze. Certo, pochi avrebbero saputo dire che cosa fosse stato l'affare Dreyfus, che cosa avesse significato anche in Italia la questione ebraica, il tema dell'assimilazione, oppure il sionismo, ma l'Olocausto era entrato nella testa del popolo di sinistra, al di là del dibattito o meglio delle reticenze che riguardavano i partiti e gli intellettuali di riferimento.
   Tutto cambiò in quei giorni di giugno del 1967. L'anno prima, in novembre, a Firenze c'era stata l'Alluvione, il centro era appena in ripresa, profondamente ferito, ma ancora vissuto e in Santa Croce l'Arco di San Piero e la piazza omonima erano un luogo che non aveva mai conosciuto, e per un poco avrebbe continuato a non conoscere, la differenza fra il giorno e la notte.
   A un certo punto della sera la piazza si trasformava in un'assemblea di gente che discuteva di politica, che celebrava una Resistenza che in gran parte non aveva fatto e in cui la primazia apparteneva per il momento al Pci: i movimenti alla sua sinistra non avevano ancora peso determinante.
   Nessuno aveva mai sentito qualcosa contro Israele e gli ebrei, anzi: quei giorni di giugno cambiarono radicalmente il discorso pubblico sul Medio Oriente del popolo di San Pierino. Improvvisamente venne fuori il rancore contro uno Stato che intendeva far parte del mondo occidentale e che non voleva essere adepto dell'Urss; venne fuori un filoarabismo di base di cui prima non si era avvertito il peso. Si sentivano auspici di interventi dei sovietici direttamente contro Israele, addirittura lamentazioni che ciò non avvenisse.
   Da questo al passo successivo, al mettere sotto accusa gli ebrei in quanto ebrei, non sarebbe passato che un attimo di tempo. Fu una novità in una piccola enclave popolare, ma veniva al dunque la relazione di fondo che la sinistra aveva avuto con la questione ebraica, o come la si voglia chiamare per non rifarsi troppo a Marx.
   Come dimostra Alessandra Tarquini, in una prima, ma lunga fase la sinistra italiana dalla fine dell'Ottocento aveva interpretato il problema degli ebrei secondo l'interpretazione che ne aveva dato la Seconda internazionale e poi, all'indomani della Seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, legando i propri atteggiamenti al rapporto con gli schieramenti avversi della guerra fredda. Questo lo si vede con chiarezza nei documenti e nei comportamenti che riguardano i gruppi dirigenti dei partiti della sinistra (per non dire degli intellettuali), ma lo stesso accadde nel modo di avvertire la questione ebraica da parte dei militanti, in special modo del Pci: la conseguenza fu di aprire uno spazio largo alle aberrazioni di una sinistra cosiddetta diffusa violentemente in contrasto con Israele e alla fine con gli ebrei.
   Le considerazioni fatte riguardano solo pochi elementi di una ricerca che affronta in maniera esaustiva cento anni di storia italiana, di un libro che merita di diventare un livre de chevet, per qualsiasi lettore che voglia capire qualcosa di una delle grandi questioni del nostro tempo.

(Corriere fiorentino, 16 febbraio 2020)



Roma - Lite in Ateneo: «C'è Segre, no allo studente di destra»

È di nuovo scontro politico tra studenti alla Sapienza. Quando martedì mattina il rettore Eugenio Gaudio conferirà il dottorato honoris causa alla senatrice a vita Liliana Segre, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro dell'Università Gaetano Manfredi, salirà sul palco in rappresentanza degli studenti Valerio Cerracchio. E stato scelto in quanto rappresentante della lista più votata nella giunta dell'Università: quest'anno tocca ad uno studente di ingegneria, in base alla rotazione di prassi per gli eventi di questo rilievo. Ma Cerracchio, che è stato eletto nel listone «Sapienza in movimento», fa parte anche di un'associazione della galassia della destra giovanile romana che ultimamente strizza l'occhio alla Lega, «Generazione popolare». Cosa che non è passata inosservata tra gli studenti di sinistra, da Link al gruppo che lo scorso anno portò Mimmo Lucano, il sindaco di Riace emblema dell'antisalvinismo a parlare nell'Ateneo. «Aderisce ad organizzazioni di stampo neofascista», scrivono in una lettera aperta e chiedono al rettore di ripensarci e a Liliana Segre di incontrare gli studenti «antifascisti» dopo la cerimonia perché non si sentono rappresentati. G.Fre.

(Corriere della Sera, 16 febbraio 2020)




«Sotto un giogo che non è per voi»

Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele? E che armonia c'è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio:
«Abiterò e camminerò in mezzo a loro,
sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
Perciò, uscite di mezzo a loro
e separatevene, dice il Signore,
e non toccate nulla d'impuro;
e io vi accoglierò.
E sarò per voi come un padre
e voi sarete come figli e figlie»,
dice il Signore onnipotente.

Dalla seconda lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 6




Notizie archiviate



Le notizie riportate su queste pagine possono essere diffuse liberamente, citando la fonte.