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Notizie 1-15 gennaio 2022


Covid Israele, prof Qimron al ministro della Salute: "Ammettere il fallimento"

Il professore Ehud Qimron, capo del Dipartimento di microbiologia e immunologia dell’Università di Tel Aviv, scrive al ministro della Salute israeliano e chiede una sola cosa ma ben precisa: "É ora di ammettere il fallimento nella politica di gestione del Covid. Lo stato di emergenza deve finire". Ecco la lettera completa.

LA LETTERA DI QIMRON AL MINISTRO DELLA SALUTE ISRAELIANO

Alla fine, la verità viene a galla, e quella sulla politica del coronavirus sta cominciando a palesarsi. Non resta altro che dire agli esperti che hanno guidato la gestione della pandemia: ve lo avevamo detto. Con due anni di ritardo, vi rendete finalmente conto che un virus respiratorio non può essere sconfitto e che qualsiasi tentativo del genere è destinato a fallire. Non lo ammettete, perché non avete ammesso quasi nessun errore negli ultimi due anni, ma a posteriori è chiaro che avete fallito miseramente in quasi tutte le vostre azioni, e persino i media stanno già facendo fatica a coprire la vostra vergogna. Vi siete rifiutati di ammettere che l’infezione arriva a ondate che svaniscono da sole, nonostante anni di osservazioni e conoscenze scientifiche. Avete insistito nell’attribuire ogni declino di un’ondata esclusivamente alle vostre azioni, e così secondo la vostra falsa propaganda «avete sconfitto la peste». E poi di nuovo l’avete sconfitta, e ancora e ancora.
  Vi siete rifiutati di ammettere che i test di massa sono inefficaci, nonostante i vostri stessi piani di emergenza lo dichiarassero esplicitamente (Pandemic Influenza Health System Preparedness Plan, 2007, p. 26). Avete rifiutato di ammettere che la guarigione dall’infezione è più protettiva di un vaccino, nonostante le conoscenze e le osservazioni precedenti dimostrino che le persone vaccinate hanno più probabilità di essere infettate di quelle che invece hanno incontrato il virus e sviluppato gli anticorpi. Avete rifiutato di ammettere che i vaccinati sono contagiosi nonostante le prove. Sulla base di questo, speravate di ottenere l’immunità di gregge con la vaccinazione - e avete fallito anche in questo. Avete insistito nell’ignorare il fatto che la malattia è decine di volte più pericolosa per i gruppi a rischio, e per gli adulti più anziani, che per i giovani che non sono nei gruppi a rischio, nonostante le conoscenze che venivano dalla Cina già nel 2020.
  Avete rifiutato di adottare la Dichiarazione di Barrington, firmata da più di 60.000 scienziati e medici professionisti, o altre misure di buon senso. Avete scelto di ridicolizzarli, calunniarli, distorcerli e screditarli. Invece delle misure e delle persone giuste, avete scelto professionisti che non hanno una formazione adeguata per la gestione delle pandemie (fisici come consiglieri principali del governo, veterinari, agenti di sicurezza, personale dei media, e così via). Non avete istituito un sistema efficace per segnalare gli effetti collaterali dei vaccini, e i rapporti sugli effetti collaterali sono stati persino cancellati dalla vostra pagina Facebook. I medici evitano di collegare gli effetti collaterali al vaccino, per timore che voi li perseguitiate come avete fatto con alcuni loro colleghi. Avete nascosto i dati che permettono una ricerca obiettiva e corretta. Invece, avete scelto di pubblicare articoli non oggettivi con alti dirigenti Pfizer sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini. Un danno irreversibile alla verità
  Ma dall’alto della vostra arroganza, avete anche ignorato il fatto che alla fine la verità verrà a galla. E comincia a essere così. La verità è che avete fatto precipitare a un minimo senza precedenti la fiducia dell’opinione pubblica nei vostri confronti, e avete eroso la vostra autorità. La verità è che avete bruciato centinaia di miliardi di shekel senza alcun risultato – con  imposizioni mediatiche, test inefficaci, chiusure distruttive e sconvolgendo la vita di tutti negli ultimi due anni. Avete distrutto l’educazione dei nostri figli e minato il loro futuro. Avete fatto sentire i più giovani colpevoli, spaventati, li avete indotti a fumare, bere, diventare dipendenti, abbandonare la scuola, diventare litigiosi, come attestano i presidi delle scuole di tutto il paese. Avete danneggiato i mezzi di sussistenza, l’economia, i diritti umani, la salute mentale e fisica. Avete calunniato i colleghi che non si sono arresi a voi, avete messo la gente l’una contro l'altra, avete diviso la società e polarizzato il discorso.
  Avete bollato, senza alcuna base scientifica, le persone che hanno scelto di non vaccinarsi come nemici del popolo e come diffusori di malattie. Promuovete, in modo inedito, una politica draconiana di discriminazione, di negazione dei diritti e di selezione delle persone, compresi i bambini, per la loro scelta medica. Una selezione che non ha alcuna giustificazione epidemiologica. Quando si confrontano le politiche distruttive che state perseguendo con le politiche sane di alcuni altri paesi - si vede chiaramente che la distruzione che avete causato ha solo aggiunto vittime oltre ai vulnerabili al virus. L’economia che avete rovinato, i disoccupati che avete causato, e i bambini di cui avete distrutto l’educazione: ecco le vittime in eccesso, risultato solo delle vostre azioni. Attualmente non c’è nessuna emergenza medica, ma state coltivando una tale condizione ormai da due anni a causa della brama di potere, dei bilanci e del controllo. L’unica emergenza ora consiste nel fatto che continuate a decidere le politiche e a destinare enormi budget alla propaganda e all’ingegneria psicologica invece di indirizzarli a rafforzare il sistema sanitario.
Professor Ehud Qimron, Facoltà di medicina, Università di Tel Aviv 

(Il Giornale d'Italia, 15 gennaio 2022)


Abbiamo riportato sul nostro sito questa lettera del professor Qimron cinque giorni fa, il 10 gennaio scorso, traendolo su segnalazione da un sito non italiano. Non è strano che una simile notizia sia sfuggita alle grandi testate nazionali, quelle che sul covid sanno dirci tutto, soprattutto quando si tratta di descrivere in toni coloriti le stranezze pericolose dei mostri novax, quegli stupidi terrapiattisti che si oppongono al progresso della scienza? No, purtroppo non è strano, perché su questo argomento più grandi sono le testate nazionali, più grandi sono le menzogne che sanno raccontare o le verità che sanno nascondere. Riuscendo purtroppo a convincere a molti.
E' un po' più strano che non sia emerso nulla neanche dagli ambienti ebraici, soprattutto quelli più vicini a Israele. Ma forse anche questo non è troppo strano, perché l'imperversare del covid ha provocato, nelle prese di posizione pubbliche, un'insolita confluenza tra la sinistra globalista che ora si riconosce appassionatamente nel Draghi fustigatore di novax, con la destra sionista che ora si vanta dell'Israele primo della classe nella guerra contro il covid.
Quello che qui in tutta franchezza possiamo dire, è che abbiamo difeso Israele per amore della verità e su questa linea continueremo. M.C.


Hamas contro i delfini sionisti

Terroristi senza senso del ridicolo. Il portavoce delle truppe d'élite di Gaza accusa Israele di addestrare cetacei da guerra

di Daniel Mosseri 

Scordatevi l'indole giocherellona come anche le storie che dall'alba dei tempi li vedono impegnati a salvare i naufraghi sostenendoli fra le onde e accompagnandoli verso la terraferma. Oggi i delfini sono stati trasformati in micidiali cecchini subacquei. Un'idea così crudele non poteva che venire agli israeliani. Sulla credibilità di chi denuncia il fatto, tuttavia, qualche dubbio è lecito averlo. 
  È stato Abu Hamza, il portavoce del battaglione al Quds di Hamas, a puntare il dito contro Israele. In un video circolato sui social media, un Hamza completamente avvolto in una kefiah rossa, e perciò del tutto irriconoscibile, ha lamentato il fallimento di una missione di uomini rana del Movimento per la resistenza islamica a causa del presunto intervento di un delfino sionista. Il cetaceo sarebbe stato addestrato dal Mossad - e da chi altri se no? - a far fuori i palestinesi. A riprova della veridicità dei fatti riportati, Hamza o chi per lui mostra nel video un largo cinturone - il girovita, si sa, non è il forte di questi mammiferi marini - che sarebbe stato strappato a un delfino killer. Agganciato alla pinna dorsale, il cinturone sostiene una museruola a tronco di cono dentro alla quale il cetaceo infila il suo rostro e sopra alla quale è montata una specie di mitraglietta. 
  Anche Al-Quds, quotidiano gerosolimitano in lingua araba, ha riportato la notizia sottolineando come al delfino, che comunque sarebbe stato catturato da Hamas, sia stato fatto un lavaggio del cervello per trasformarlo in un killer. Molte informazioni, insomma, su quanto Israele avrebbe fatto mentre le fonti palestinesi sorvolano sugli obiettivi che la missione degli uomini rana di Hamas si era data. Già nel 2015 unità navali del movimento islamico al potere a Gaza avevano dichiarato di aver catturato un delfino spia dei sionisti. Ma se l'utilizzo di questi cetacei, specialmente in attività di ricognizione, da parte delle marine militari di alcuni Paesi non può essere escluso a priori, il tema di un'arca di Noè di spie e di killer a disposizione degli odiati sionisti non è nuovo nella regione. 
  Nel 2013 le agenzie batterono la notizia dell"' arresto" in Turchia di un gheppio al soldo dei sionisti. Il piccolo rapace era stato catturato nel villaggio di Altinayya, nella remota provincia turca di Elazig, e il fatto che l'anello a una zampa riportasse la dicitura "24311 Tel Avivunia lsrael", spinse gli abitanti a recapitare l'uccello al governatore locale. Solo dopo un attento esame radiologico si scopri. che il gheppio non portava né chip né telecamere ma era stato inanellato nell'ambito di un programma universitario, quello sì israeliano, per l'osservazione e la protezione dei rapaci. 
  Il sospetto spione fu dunque che aibertà. Processo postumo invece a Gaziantep, sempre in Turchia, nel 2012 ai resti di un piccolo e bellissimo gruccione comune, anch'esso tacciato di sionismo e riconosciuto colpevole di avere narici più larghe del normale, capaci di ospitare ancorché solo potenzialmente delle pulci-spia. A maggiori sospetti aveva indotto l'arresto nel 2011 in Arabia Saudita e nel 2012 in Sudan di altri volatili: due grifoni eurasiatici dotati non solo di anello israeliano ma anche di apparecchiatura GPS per seguire gli spostamenti di questa specie a rischio di estinzione. Per la liberazione di questi rari pennuti, protagonisti di un programma di reintroduzione, si spese l'etologo israeliano Ohad Hatzofe, ricordando a chi non lo avesse notato che si trattava di animali liberi e non di droni per cui dotarli di apparati-spia non avrebbe avuto alcun senso. 
  Prive del senso del ridicolo anche le dichiarazioni rese a dicembre 2010 dell'allora governatore del Sud Sinai, Mohamed Abdul Fadil Shousha. A seguito di una serie di attacchi da parte di squali a danni di turisti europei a Sharrn el-Sheikh, l'alto funzionario dichiarò in televisione che il coinvolgimento del Mossad nella vicenda non poteva essere escluso.

Libero, 15 gennaio 2022)


«L’antisionismo è roba vecchia, buona solo per gli estremisti» 

«Rivangare ancora la questione della legittimità dello Stato di Israele è come polemizzare sulla nascita degli Stati Uniti. Per alcuni serve a camuffare l'antisemitismo. Estrema destra ed estrema sinistra hanno i conti in sospeso con l'ebraismo». Intervista a Claudio Vercelli.

di Umberto De Giovannangeli 

I due volti dell'antisemitismo. Il rapporto tra la diaspora ebraica e Israele. Sinistra e Israele, una ferita ancora aperta. Il Riformista ne discute con Carlo Vercelli, storico, che su questi temi ha una vasta produzione saggistica. Tra i suoi libri, ricordiamo Tanti Olocausti, La deportazione e l'internamento nei campi nazisti (La Giuntina, (2005); Israele. Storia dello Stato. Dal sogno alla realtà (1881-2007), (Giuntina, 2007); Breve storia dello Stato d'Israele 1948-2008, (Carocci, 2008); Storia del conflitto israelo-palestinese (Laterza, 2010); Il negazionismo. Storia di una menzogna (Laterza, 2020); Neofascismo in grigio. La destra radicale tra l'Italia e l'Europa, (Einaudi 2021). Ed è da pochi giorni nelle librerie Israele. Una storia in dieci quadri (Laterza, 2022). 

- Israele e la diaspora ebraica: la totale identificazione non finisce per portare acqua al mulino dell’antisemitismo? 
  Direi di no. Nel senso che l'antisemitismo non si nutre di elementi o di riscontri strettamente razionali. Da questo punto di vista, quand'anche l'ebraismo della diaspora esprimesse, in modo concorde, una dissociazione o comunque un distanziamento dalle politiche dei governi e dello stato d'Israele, l'antisemitismo avrebbe comunque elementi, da parte sua, per giudicare in maniera pregiudizievole gli ebrei in quanto tali, o comunque negherebbe, nel qual caso, qualsiasi riscontro di verità e di realtà. L'antisemitismo da questo versante vive di luce sua propria, nel senso che si crea una sorta di "spettro" dell'ebraismo su cui costruisce le sue deliranti teorizzazioni complottistiche. Mentre invece la domanda ha una sua pertinenza se si rivolge più che all'antisemitismo al discorso sul rapporto tra mondo ebraico, estremamente sfaccettato a livello mondiale come a quello italiano, e politiche di uno Stato, per l'appunto Israele, che si autodefinisce come Stato ebraico ma che è uno Stato che interagisce nel consesso degli altri Stati. A che punto stanno le coscienze ebraiche nella modernità, rispetto a un fattore di forte attrazione identitaria qual è Israele, che rimane uno Stato malgrado tutto. L'antisemitismo è un discorso a sé. Diaspora e il rapporto con Israele è un altro discorso che ha delle implicazioni anche con i non ebrei. In questa ottica, non parliamo più di antisemitismo ma di concezioni e percezioni delle cittadinanze, che è un altro tema molto spinoso. 

- Rimanendo su questo solco. Il Presidente emerito Giorgio Napolitano ebbe ad affermare che l'antisionismo è forma moderna dell'antisemitismo. È ancora così? 
  Asserzioni così impegnative vanno argomentate. Io posso dare la mia opinione. Riscontro che molte manifestazioni, non solo di antisionismo preconcetto ma avverse all'esistenza d'Israele a prescindere da qualsiasi riscontro di fatto, ricalcano a pieno titolo i pregiudizi antisemitici. Diventano da questo punto di vista un modo più "elegante", apparentemente più consono allo spirito dei tempi, per ripetere vecchie formule che non sono mai venute meno. Su questo versante, l'antisionismo senz'altro aderisce all'antisemitismo o comunque ne è una forma coperta. Io francamente trovo anche molto vecchia la polemica nei confronti del sionismo, laddove si ritorna di nuovo a rinvangare sulla legittimità o meno d'Israele. È come se facessimo, per certi aspetti, polemica anche sulla legittimità dell'esistenza della Repubblica italiana. O ancor di più, fatto clamoroso per le sue evoluzioni e le sue trasformazioni, la formazione degli Stati Uniti, dove comunque sono avvenuti processi clamorosi e anche eventi drammatici che hanno comportato frizioni con le popolazioni native fino anche ad eventi particolarmente drammatici. Il punto è: che senso ha dichiararsi oggi antisionisti? Ancora una volta non diventa una copertura rispetto all'effettiva incapacità di tradurre il proprio dissenso in qualcosa di politicamente significativo? Un po' come una volta ci si diceva di appartenere ad una ideologia per poi di fatto avere delle condotte di comportamenti completamente diversi da quell'ideologia che si professava, per fortuna in alcuni casi. Questa polemica è molto vecchia. Non è vecchio, invece, il fatto che l'antisionismo può per certuni diventare un camuffamento dell'antisemitismo. Nella mia esperienza, io ho registrato due aree fortemente antisioniste che rivelano di avere conti in sospeso con l'ebraismo ... 

- Quali sono queste due aree? 
  L'estrema destra, per la quale l'antisemitismo è moneta corrente, un suo tessuto connettivo. Ma anche segmenti di una estrema sinistra che si autodefinisce ancora come terzomondista e antimperialista, fuori tempo massimo, perché il mondo è cambiato, non necessariamente in meglio ma è cambiato, e in questo modo qua ritiene che facendo la guerra al sionismo fa la guerra al capitalismo per interposta figura. E lì c'è uno spazio di grandissima ambiguità. Perché l'anticapitalismo di vecchia data, che attraversa l'800- '900, e che si manifesta come anticapitalismo etnico, antiebraico, che porta con sé una chiara matrice antisemitica, in alcuni piccoli segmenti della sinistra estrema, queste cose, non solo in Italia ma anche in Europa, sono molto presenti e radicate. E il legame tra le due cose ancora sussiste. 

- La Sinistra, Israele e il mondo ebraico. Un rapporto complesso, in certi momenti anche drammatico. Se andiamo indietro nel tempo, la memoria torna a quella manifestazione sindacale del 1982, a cui partecipava anche la Cgil, con quella bara deposta davanti all'antica Sinagoga di Roma ... 
  Dovremmo interrogarci su i soggetti chiamati in causa: la sinistra e gli ebrei. Due soggetti molto eterogenei. Il primo punto da cui partire è la constatazione che non abbiamo a che fare con una sinistra ma con molte sinistre o con qualcosa che non è identificabile in un unico soggetto, tanto più oggi. L'82 è lontano, nel senso che era ancora una rottura che si consumava in un'epoca dove c'erano ancora delle distinzioni storiche che nel corso del tempo sono venute meno, a partire dal bipolarismo proprio della Guerra fredda. Di certo, però, quella vicenda lì dice alcune cose, come altre vicende più o meno eclatanti che si sono ripetute nel tempo. Ci dice che non c'è assolutamente nulla di assodato nel definirsi di sinistra, oggi più genericamente progressisti, e non nutrire sentimenti antiebraici. Lo dico con ancora maggiore nettezza: non è assolutamente un viatico alla lotta contro l'antisemitismo, dirsi progressisti e di sinistra. Lo può essere a certe condizioni. Laddove si fa chiarezza con se stessi oltre che il mondo circostante. Altrimenti, e l'ho riscontrato personalmente in tantissimi incontri fatti nel corso del tempo, possono riemergere in alcune persone atteggiamenti di condotte che rivelano vecchie incrostature che portano a quel tipo di condizione. Sul piano più politico, il cambiamento dei soggetti in campo, a partire dalla sinistra medesima, modifica certe condizioni. All'epoca, nel 1982, la ferita aperta era quella del Libano, dove la divisione era molto netta, non soltanto nell'ambito della sinistra ma anche all'interno d'Israele, nel mondo ebraico, su cosa fare o non fare e così via. Era anche un quadro dove stava emergendo in maniera molto significativa la questione palestinese, una questione relativamente giovane. E aggiungo un'altra cosa: il fatto che il Sud Est asiatico era stato "normalizzato", nel senso che non c'era più passione per le lotte indipendentiste di quei popoli, mentre invece il Medio Oriente era qualcosa che tornava all'attenzione collettiva perché sembrava essere una delle aree dove i movimenti di liberazione nazionale potevano ancora avere uno spazio per manifestarsi, a partire da quello palestinese. E lì c'è stata una identificazione di quella variegata galassia di soggetti che chiamavamo sinistra, o per meglio dire quel mondo militante che pensava di portare avanti le cause degli oppressi, con alcuni aspetti del mondo palestinese. Fraintendendo peraltro cos'era quella storia lì. Che è anche una storia nazionalista, una storia di richiesta di giustizia sociale da parte palestinese etc., ma che non può essere risolta con l'adesione a una concezione manichea, per cui il "giusto" era tutto in una parte, quella palestinese, e "sbagliato" era tutto nell'altro campo, quello israeliano ed ebraico. Oggi abbiamo a che fare con una sinistra che non ha più visioni palingenetiche delle quali farsi portatrice, che non parla più di lotta all'oppressione sociale ma parla più genericamente di temi più terra terra. Molto meno legati all'idea evangelica di trasformare il mondo che un tempo la sinistra aveva. 

- In questi giorni è nelle librerie il suo ultimo libro “lsraele. Una storia in dieci quadri”. Un "quadro" aggiuntivo data 19 luglio 2018, il giorno in cui la Knesset, il Parlamento israeliano, vota a maggioranza la legge su Israele "Stato nazionale del popolo ebraico". Non è questo l'anticamera di una deriva fondamentalista? 
  No. Non è l'anticamera di una teocrazia né di una ex democrazia, ma rischia di dare forma a una democrazia etnica. E non è roba da poco, lo scrivo nel libro, perché può diventare un modello su cui altri Stati possono appoggiarsi. Non è un problema solo per Israele. È un problema delle democrazie. La democrazia si basa su un concetto di cittadinanza che è universale e non particolare. Il secondo passaggio: le democrazie moderne, contemporanee - liberali e sociali - non si basano su di una identità etnicizzante. Si basano invece su una dimensione che non omologa ma che tiene insieme parti diverse, distinte, quand'anche la grande maggioranza delle persone appartenga essenzialmente a una storia comune, condivisa. Da questo punto di vista il problema è di accentuare un elemento che più che unire tende a diventare divisivo. Non solo nei confronti delle minoranze interne, a partire da quella arabo-israeliana, ma anche nei confronti di quella stessa maggioranza ebraica che in realtà è fortemente differenziata dalle sue storie e che vive l'ebraicità d'Israele come un elemento di cittadinanza unificante, non come un elemento distintivo e discriminante, nel senso di affermare che gli altri non ci sono, se non in parte formale e non sostanziale.

(Il Riformista, 15 gennaio 2022)


"Documentando" Nuovi doc sulla Shoah

di Flora Descalzi

Inizio anno davvero ricco per "Documentando. Archivio del Documentario Italiano" la neonata piattaforma digitale di conservazione e visione dei documentari italiani (liberamente accessibile e visibile a tutti), ideata dall'Associazione D.E- R Documentaristi dell'Emilia Romagna in collaborazione con Regione Emilia Romagna e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Dai primi giorni del 2022 "Documentando" ha lanciato in rete sei nuovi documentari che si aggiungono ai 160 film già disponibili nell'archivio online. Inoltre, in occasione della Giornata Internazionale della Memoria (27 gennaio), una selezione di titoli con testimonianze dirette e ricostruzioni storiche, saranno a disposizione di tutti per non dimenticare le violenze della Shoah.
  Tra i nuovi documentari della piattaforma, tre sono a firma di Giulio Filippo Giunti: due di questi raccontano la figura di Giuseppe Dossetti (1913-1996), personaggio chiave del Novecento italiano sul piano politico e spirituale, attraverso un viaggio laico e appassionato nella memoria delle persone e dei luoghi che lo hanno visto protagonista. Sempre tra le nuove acquisizioni, Uno bianca, mirare allo Stato (2019) un documentario d'inchiesta a cura di Roberto Guglielmi e Enza Negroni, con la collaborazione degli studenti del Corso Doc del liceo Laura Bassi di Bologna, che ripercorre una vicenda terroristica senza precedenti, quella della banda della Uno Bianca che per sette anni, da 1987 al 1994, seminò terrore in Emilia Romagna e nelle Marche.
  Completano la sezione dei nuovi titoli, L’Isola delle Rose, la libertà fa paura (2009) di Stefano Bisulli e Roberto Naccari, documentario scritto con Vulmaro Doronzo e Giuseppe Musilli, che racconta l'incredibile vera storia dell'Isola delle Rose, una sorta di isolotto artificiale collocato al largo di Rimini fuori dal territorio italiano, progettato e realizzato dal visionario ingegnere Giorgio Rosa, che lo scorso anno il regista Sydney Sibilla ha portato sul grande schermo nel film L’incredibile storia dell'Isola delle Rose, protagonista Elio Germano. Altro doc molto interessante è Cento italiani matti a Pechino (2008) di Giovanni Piperno, storia del viaggio transcontinentale compiuto da 77 malati mentali e 130 tra operatori, psichiatri, familiari e volontari, in treno da Venezia a Pechino, passando per Ungheria, Ucraina, Russia e Mongolia.
  Tra i tanti, si segnalano due lavori focalizzati sugli orrori della Shoah e dei campi di sterminio: Caserme Rosse - Il lager di Bologna (2009) di Danilo Caracciolo e Roberto Montanari, documentario trasmesso anche da Rai 3 e passato in diversi festival internazionali di cinema, che racconta il lager (dimenticato) delle Caserme Rosse di Bologna, un lager nazista di prigionia e poi di "smistamento" dove transitarono circa 36mila persone tra resistenti, ebrei e altri uomini "sgraditi" alla Germania hitleriana e agli asserviti fascisti italiani. La Trilogia della Memoria (2005) di Primo Giroldini è, invece, una raccolta composta da tre documentari frutto del progetto "Archivi audiovisivi della memoria", realizzato con la collaborazione dell'Isrec di Parma e del progetto "Effetto Notte": Io sono ancora là (sulla deportazione a Mauthausen), Patrioti, ribelli (sulla lotta di liberazione in provincia di Parma) e Eravamo donne ribelli (sulla resistenza al femminile).
  In particolare, Io sono ancora là, miglior documentario al Frontiere Film Festival, racconta attraverso le parole di un testimone, Primo Polizzi, l'esperienza della detenzione nel lager di Mauthausen.

(Avvenire, 15 gennaio 2022)


Fluenzy, la società israeliana per comprendere la rivoluzione del lavoro ibrido

Il mondo del lavoro sta diventando sempre più ibrido. Esperti delle maggiori società di consulenza hanno cercato di aiutare le aziende a comprendere e interiorizzare questa idea per evitare che rimangano indietro. La difficoltà di adattamento alla situazione è evidente nella mancanza di politiche del lavoro ibride delle aziende, che ha portato a un'ondata di dimissioni da record.
  Il giornale israeliano online Ynet ha intervistato Jeff Kahn, CEO e fondatore di Fluenzy, un'azienda dedicata all'informazione, alla formazione e all'individuazione delle soluzioni e degli strumenti necessari per un lavoro ibrido di successo. Secondo Kahn ci troviamo in una “situazione in cui due parti non usano lo stesso linguaggio per comunicare”, il che crea incomprensione, disconnessione e logoramento.
  Il lavoro ibrido ha visto la sua esplosione durante la pandemia, ma “il mondo ha iniziato a muoversi verso il lavoro a distanza anni prima dell’arrivo del COVID. La crisi ha portato a un'accelerazione anormale e forzata”. “La sfida che ora dobbiamo affrontare è aiutare le persone a capire che ci saranno cambiamenti in tutte le aree. – sostiene il CEO di Fluenzy – Ognuno di noi ha bisogno di guardare questi cambiamenti con un punto di vista personale, solo così possiamo capire come avranno un impatto su di noi e su coloro a noi più vicini sia a breve che a lungo termine”.
  Si sta formando un nuovo linguaggio e “la maggior parte delle aziende non ha ancora riconosciuto che la lingua è cambiata”. La stessa terminologia utilizzata sia dai datori di lavoro che dai dipendenti ha subito una trasformazione.
  Il nome scelto per la sua azienda, Fluenzy, indica come il fondatore vede il suo obiettivo. “Abbiamo assistito a un cambiamento nel linguaggio utilizzato tra dipendenti e datori di lavoro. Se vuoi avere successo devi essere fluente nel nuovo linguaggio del lavoro ibrido, e il miglior consiglio è di praticarlo regolarmente", afferma Kahn.
  Attraverso Fluenzy, Kahn vuole fornire formazione online e collegare gli utenti con esperti di consulenza nell'area del lavoro ibrido. La società israeliana ha scelto di avviare una campagna di crowdfunding per raccogliere fondi per la sua piattaforma di mercato. "Il lavoro ibrido è qui per restare e influenzerà il mondo intero nei prossimi anni. Stiamo offrendo agli investitori l'opportunità di far parte dell’ Amazon del lavoro ibrido”.

(Shalom, 14 gennaio 2022)


Stato ebraico, è baby boom Israele ha bisogno di spazi

Entro il 2050 la popolazione raggiungerà i 15 milioni grazie agli ortodossi che hanno in media sei figli. La densità abitativa può scatenare il conflitto-

di  Mirko Molteni 

Galoppa in Israele un "baby boom" che si spera venga assimilato dallo sviluppo economico, escludendo ben altri "boom", quelli degli anni. Battuta non peregrina poiché si prevede che la popolazione del Paese raddoppierà entro il 2050, rendendo ancor più affollato un angusto territorio e rinfocolando, nell'ipotesi peggiore, la voglia d'allargare i confini. Israele s'estende per 22.000 km quadrati, quanto la Toscana. 
  A inizio 2022, la popolazione israeliana è di 9.450.000. La densità è già alta, toccando 429 persone al km quadrato (in Italia è 196). L'Israel National Economic Council prevede nel 2050 una popolazione di 16 milioni, quasi il doppio di oggi. Il tasso di fertilità d'Israele è di 3 figli per donna e proprio le donne ebree hanno recuperato terreno sulle arabe israeliane. 
  Oggi sia fra gli ebrei sia fra gli arabi il tasso medio è di 3, ma vent'anni fa tra gli ebrei si registravano 2,6 figli per donna, fra gli arabi 4,7. Nel 2050 gli arabi conteranno per la medesima percentuale di oggi, circa il 21 %. Raddoppieranno invece gli ebrei ultra-ortodossi, che vantano 6, 7 figli per donna e che oggi sono il 12,6% della popolazione. Nei prossimi trent'anni, la fertilità degli ultra-ortodossi calerà di poco, a 6,2 e nel frattempo essi saranno diventati il 24% degli israeliani, un quarto! 

• Cristiani in calo 
  Le proiezioni non contemplano la voce "cristiani", poiché la maggior parte sono arabi, ma s'arguisce che la loro percentuale diminuirà A fine 2021 i cristiani in Israele erano 182mila, in lieve aumento sul 2020, ma solo l'1,9% della popolazione, con un tasso di 1,9 figli per donna. 
  Il demografo israeliano Eliyahu Ben-Moshe, dell'Ufficio Centrale di Statistica, commenta: «Nella parte più ricca del mondo, ci sono solo due paesi che hanno una densità demografica superiore a quella israeliana, la Corea del Sud e l'Olanda. Ma la densità in sé è qualcosa che possiamo gestire, per esempio mandando la gente ad abitare in zone meno popolate (come il Negev nel Sud o le alture del Golan nel Nord). Ciò che non possiamo gestire sono alti tassi di fertilità. In media una donna ebrea laica partorisce tre figli, molto più che in ogni altro paese sviluppato. Fra le comunità di ebrei ultra-ortodossi e di arabi beduini i tassi di fertilità sono anche maggiori e Israele ne sta già pagando il prezzo», Ben-Moshe evoca, per limitarsi ai problemi più banali, aule scolastiche superaffollate e prezzi delle case alle stelle, e pone il dilemma: «Avremmo potuto investire più soldi in infrastrutture o strade, invece dobbiamo spendere per i bisogni di una popolazione che cresce, soprattutto in servizi educativi e sanitari. Nessun altro paese è riuscito a bilanciare lo sviluppo economico con simili tassi di fertilità, non ce la farà nemmeno Israele. A qualcosa dovremo rinunciare». 
  Allargando lo sguardo sul contesto bellicoso che circonda lo stato ebraico, non è improbabile che future generazioni di israeliani possano essere tentate, dapprima d'intensificare gli insediamenti di coloni in terre contese ai palestinesi, per poi, forse, mirare all' allargamento dei confini, magari sognando il "Grande Eretzlsrael" cantato dalla destra nazionalista. Lo spazio si fa già più stretto. Il 12 gennaio ci sono stati nel Negev scontri fra la polizia e beduini contrari alla piantumazione di alberi su terreni pastorali rivendicati dagli arabi. 

• Convivenza difficile 
  E il giorno prima, i generali della riserva Nitzan Allon, Avi Mizrahi e Gadi Shamni hanno pubblicamente accusato i coloni ultras di minacciare la pace con i palestinesi e con i Paesi arabi con cui Israele ha di recente stretto accordi diplomatici. Hanno detto alla radio militare israeliana: «Gli attivisti di estrema destra rappresentano la minaccia maggiore alla nostra esistenza quale Nazione compatta». Se davvero aumenterà, in un Israele più affollato, la percentuale di ebrei ortodossi, tendenzialmente più nazionalisti e anti-arabi, la lotta per lo "spazio vitale" si farà più dura, sia all'interno della società israeliana, sia sulle frontiere.

Libero, 14 gennaio 2022)


Israeliani e palestinesi scontriamoci su Netflix

Da Shtisel a Fauda, da Omar a 300 nights. sempre più serie tv e film raccontano il conflitto da una parte e dall'altra del muro. Con buon successo di pubblico. e qualche speranza

dì Chiara Clausi

BEIRUT - Il mai sopito conflitto israelo-palestinese non si combatte solo con bombe, razzi, palloni incendiari, carri armati. Ma anche a colpi di film e serie tv. Così uno dei campi di battaglia è diventato Netflix, che ha puntato su autori di una parte e dell'altra, con l'intento di evitare una narrazione a senso unico spesso inevitabilmente carica di pregiudizi .
  Come si sa, sono ormai diverse le serie tv israeliane che hanno guadagnato in breve tempo popolarità anche fuori dal Paese: Our Boys, Unorthodox, ma soprattutto Shtisel, inserita tra i trenta migliori programmi tivù internazionali del decennio dal New York Times. La regina dell'audience resta però Fauda {dal 2015, tre stagioni, la quarta in arrivo), vista in tutto il mondo. È la storia di Doron, ufficiale di un'unità antiterrorismo che opera con reparti speciali che parlano benissimo anche l'arabo e agiscono come infiltrati a Gaza e in Cisgiordania. Il protagonista, l'attore Lior Raz, che è anche l'ideatore della serie, è davvero un ex membro delle forze speciali israeliane. Di qui il realismo di una spy story fitta di scene d'azione e carica di tensione, dove però la violenza non è mai gratuita ma scaturisce da situazioni di emergenza e mette i protagonisti di fronte a difficili dilemmi morali.

• IL CATTIVO STA SEMPRE DI LÀ
  Anche se in Fauda a tratti si avverte lo sforzo di cogliere anche il punto di vista palestinese, resta il fatto che alla fine il "cattivo" è sempre l'altro, il "terrorista H. Un principio ribaltato dalle produzioni palestinesi lanciate sullo stesso palcoscenico di Netflix. Come Omar(2013,regia di Hany Abu-Assad). Il ragazzo che dà il titolo alla serie è un fornaio che si arrampica sulla barriera della Cisgiordania per far visita alla fidanzata,Nadia. Catturato dai soldati israeliani, viene picchiato e umiliato. II racconto è incentrato attorno all'amore tra i due, tormentato e distrutto dal clima di sospetto e tensione. Al punto che Ornarsi trova di fronte a un bivio stretto, che non lascia scampo: diventare un terrorista, oppure una spia.
  Ma il conflitto israelo-palestinese non sempre ha confini netti, e moltissime sono le sfumature. Le coglie bene la miniserie Our Boys (2019), che comincia con il rapimento e l'omicidio di tre adolescenti israeliani da parte di militanti di Hamas. La rappresaglia è inevitabile, con la cattura e l'omicidio di Mohammed Abu Khdeir, un palestinese di sedici anni. «In Our Boys volevo parlare del razzismo e dell'odio sia da parte palestinese che israeliana» spiega l'autore israeliano Hagai Levi. «Gerusalemme è un microcosmo dove sono rappresentati tutti i conflitti. Non c'è solo il bianco e il nero. Il razzismo sta anche all'interno degli israeliani stessi. C'è razzismo tra sefarditi e ashkenaziti, tra religiosi e non religiosi, e tra credenti di sinistra e credenti di destra. Solo la sofferenza e il dolore stanno da entrambe le parti».

• ATTRAVERSO LA BARRIERA
  «Molti israeliani pensano che più pace porterà a più attacchi terroristici. Invece io credo che l'occupazione debba finire, e non importa quello che accadrà dopo» dice il regista israeliano Daniel Sivan che però si tiene lontano dalla stretta attualità. La sua serie documentaristica, Il boia insospettabile, racconta la storia di John Demjanjuk, crudele guardia di campi di sterminio nazista nota come Ivan il Terribile.
  Il sistema di controllo e oppressione nei confronti dei palestinesi viene invece descritto in maniera magistrale negli undici minuti del film indipendente (su Netflix, ma non visibile in Italia) The crossing: Shadi e la sorella Maryam vogliono far visita al nonno costretto a letto che abita dall'altra parte del muro. Per passare il valico si inventano che il nonno è morto e subiscono un interrogatorio molto duro. «Volevo mostrare la vita di tutti i giorni di noi palestinesi» racconta il regista Ameen Nayfeh «il muro costruito da Israele separa le famiglie. I media non lo spiegano mai abbastanza bene, forse non vogliono, ci sono troppi interessi in gioco». E allora ci pensano le fiction. Come 3000 notti (2015, regia della palestinese Mai Masri): racconta la storia (vera) di una giovane insegnante palestinese, arrestata ingiustamente che, nella prigione israeliana, dà alla luce un figlio. Nel buio del carcere insegna al bambino il volo degli uccelli e il valore della famiglia.
  Al centro del film Melograni e Mirra (2008) c'è invece una storia d'amore il cui messaggio è comunque politico. «Tutti e tre i miei lungometraggi, due già su Netflix, Melograni e Mirra e Eyes of a Thief e il terzo Between Heaven and Earth in arrivo, derivano da un bisogno profondo e radicato di rompere le barriere sulla nostra narrazione, imposte sia dagli stereotipi in Occidente, sia dalla narrativa degli israeliani» spiega un'altra regista palestinese, Najwa Najjar: «Come regista e come donna che vive in una no man's land tra Ramallah e Gerusalemme mi sono spesso chiesta quali siano le opzioni quando l'oscurità circonda un popolo e l'aria si addensa al punto in cui il semplice atto di respirare diventa difficile. Il cinema è l'arma che può pompare aria nei nostri polmoni».

• DISINNESCARE L'ODIO
  Il conflitto ovviamente oltrepassa le frontiere, coinvolgendo anche i Paesi vicini. Come nel corto A men returned. (2016, regia di Mahdi Fleifell. In trenta minuti crudissimi racconta di Reda, 26 anni e di un sogno: fuggire dal campo profughi palestinese di AinEl-Helweh, in Libano. Dopo tre anni di prigionia in Grecia tornerà a casa ma non ci sarà happy end.
  Squarci dolorosi, ma in cui spesso fa capolino il tentativo di disinnescare gli odi. In questo senso è esemplare la serie israeliana Shtisel (2013). La vita di ogni giorno di una famiglia ebrea ultraortodossa di Gerusalemme, nel quartiere Geula. Si entra nel loro mondo tra omelette, cetriolini sottaceto, sensali e scuole religiose rigorosissime. Per scoprire che i "fanatici" Haredim sono solo esseri umani con tutte le loro contraddizioni. Riassume bene Anna Winger, una delle ideatrici della miniserie Unorthodox (2020), storia di una ragazza che lascia la famiglia chassidica e scappa a Berlino: «Il messaggio è che a volte hai bisogno di uscire di casa per trovare la tua voce: abbiamo tutti molto in comune gli uni con gli altri, come persone. Nonostante la nostra diversità».

(la Repubblica - il venerdì, 14 gennaio 2022)


La pandemia è diventata una lotteria. La cura ormai è affidata al caso

Anche Draghi, tra obblighi e consulenti confusi, ha perso la rotta della lotta al Covid

di Franco Bechis

Abbiamo numeri di contagi alti, e purtroppo da giorni anche il bilancio dei decessi non è dei più confortanti. Per mesi si è fatta una campagna vaccinale martellante, senza se e senza ma. Prima dose, poi seconda dose. Green pass annuale. Poi si è scoperto che la seconda dose non durava quel che si sperava, e quindi via alla terza dose. Ad almeno sei mesi della prima. Cambio di green pass: durata di nove mesi. Qualche settimana e in Italia - in gran ritardo rispetto ad altri paesi del mondo - si è scoperto che quella protezione di sei mesi era troppo ottimistica. Cambio dei tempi di vaccinazione: cinque mesi. Anche se ormai molti italiani seguendo le indicazioni governative si erano prenotati le terze dosi a sei mesi. Anticipate, bisogna fare prima. Facile dirlo, meno farlo: chi annullava gli appuntamenti previsti non ne otteneva un nuovo anticipato, ma quasi sempre ritardato. Nel frattempo si è capito che i cinque mesi di protezione della seconda dose erano troppi: i benefici venivano meno già al quarto mese. Alla vigilia di Natale anche l'Istituto superiore di sanità ha cambiato il suo bollettino, dividendo gli italiani che avevano completato il ciclo vaccinale da più di 120 giorni da quelli che lo avevano fatto in meno di 120 giorni. Nel frattempo sono circolate le prime ipotesi di durata della efficacia della terza dose: forse solo tre mesi. Quindi in Israele si è iniziato già a fare la quarta, sia pure con una campagna a singhiozzo: prima di corsa, poi frenata, ora ai più fragili. Noi stiamo diligentemente ad ascoltare i consigli degli esperti, ma dopo tutte queste giravolte e i numeri della realtà che procedono in senso diametralmente opposto alle rassicurazioni ricevute, una domanda sorge spontanea: «Esperti? Di cosa?». Perché l'impressione ormai consolidata è che non ne sappiano assolutamente nulla, e infatti ormai a pochi giorni di distanza dicono l'esatto contrario di quello che avevano appena assicurato. Qui brancolano tutti nel buio, e purtroppo anche i principali protagonisti mondiali. Oggi vi raccontiamo le strategie aziendali del gran capo di Pfizer, Albert Bourla, esposte in un incontro con la banca di affari J.P.Morgan lo scorso 10 gennaio. Non sono le stesse strategie illustrate solo quattro giorni prima dallo stesso gran capo il 6 gennaio con la banca di affari Goldman Sachs. In quella occasione Bourla aveva spiegato quello che aveva annunciato a tutto il mondo, e cioè che Pfizer stava studiando un vaccino specifico per Omicron che sarebbe stato disponibile a fine marzo, e in produzione su larga scala a partire dal mese di aprile. Ora spiega di avere cambiato idea, che non serve un vaccino esclusivo per Omicron perché forse la variante se ne va e in gran parte del mondo potrebbero restare le vecchie varianti e arrivarne delle nuove. Per cui si sta pensando a un vaccino che lui battezza «ibrido» e che per rendere l'idea potremmo chiamare «biturbo». In una turbina ha la versione fin qui buona per tutte le altre varianti note, e nell'altra turbina la versione utile per Omicron. Se iniziano a produrlo ad aprile, ora che lo cominciano a consegnare all'Europa e da Bruxelles arriverà in Italia, saremo in piena estate (ad essere ottimisti) e Omicron come sempre è accaduto con il caldo se ne sarà sostanzialmente volata via. Ma nel frattempo saremo stati già tutti a correre per fare la quarta dose della vecchia versione (anche se inutile con la nuova) perché sarà scaduto ai più l'effetto della terza dose.
  Possiamo davvero immaginare di passare così i prossimi mesi e anni e inseguire anche l'ultimo dei no vax scaricando su lui una colpa che è invece evidentemente dell'intero sistema sanitario e politico mondiale? Inutile raccontarci che qui Mario Draghi ha fatto miracoli rispetto al resto del mondo e che le sue politiche anti-Covid sarebbero state un successo. Non è così, e non potrebbero essere altrimenti: Draghi del Covid ne sa quanto chiunque di noi e purtroppo ne sa poco o nulla la pletora di consulenti ed esperti che lo circonda come prima aveva circondato Giuseppe Conte.
  In questa assoluta confusione onestamente la raffica di divieti, obblighi e punizioni non ha più alcun senso. Se si tiene la barra dritta e la si fa capire con buone spiegazioni gli italiani - lo hanno mostrato ampiamente - diligentemente seguono quei consigli senza bisogno di alcun obbligo. Ma se si procede in questo modo a zig zag e ogni giorno si fa più confusione, è impossibile convincere i più di qualcosa che è oscuro perfino a chi dovrebbe insegnarlo agli altri. Non sarà possibile tecnicamente vaccinare 50 milioni di persone ogni tre mesi, e se lo Stato non è in grado di farlo, deve abbandonare anche la strada degli obblighi (bocciati ieri dalla Corte suprema negli Usa) e delle procedure burocratiche perfino per prendere un caffè al bar. Non sono più accettabili in questo quadro.

(Il Tempo, 14 gennaio 2022)


«Draghi del Covid ne sa quanto chiunque di noi». Il re è nudo, ma guai a chi lo dice. M.C.


"La variante Omicron destabilizza le persone" -

La Dott.ssa Diana Coen racconta il supporto del counseling psicologico dell’Ospedale Israelitico.

di Giorgia Calò

Sin dall’inizio della pandemia il lock down e il distanziamento hanno creato diversi problemi alle persone, che hanno iniziato a risentire psicologicamente di questo improvviso cambiamento del proprio stile di vita: lo smart working, la DAD per i ragazzi, la limitazione, se non la cancellazione degli eventi e delle attività sociali, sono solo alcuni degli elementi che hanno inciso sullo stato d’animo di grandi e piccoli.
  Per dare sostegno a queste persone, sin da subito l’Ospedale Israelitico ha avviato un servizio gratuito di counseling psicologico, diretto dalla Dott.ssa Diana Coen.
  Una equipe di psicologi dell’Ospedale si è messa a disposizione dei pazienti ricoverati o in quarantena e dei familiari, per aiutarli a gestire il forte momento di stress dato dall’isolamento, le ansie e le paure generate dal Covid.
  “Abbiamo creato uno sportello che fosse a disposizione non solo dei pazienti, ma anche del personale e delle persone che da fuori avessero bisogno di un supporto – racconta la Dott.sa Coen- i pazienti affrontavano abbastanza bene la situazione, perché si concentravano sulla guarigione, perciò hanno reagito alla malattia. Non siamo mai dovuti intervenire fisicamente davanti al letto di un paziente, ma abbiamo cercato di offrirgli conforto, un contatto con il mondo esterno e soprattutto indicazioni su come affrontare il disagio del contagio”.
   “Il nostro lavoro – racconta ancora la Dott.sa Coen - consisteva nella validation therapy, ovvero aiutarli a recuperare la dimensione personale di vita fuori: non focalizzarsi sulla malattia ma su chi sono i pazienti al di fuori dell’ospedale. Perciò parlare della loro vita e delle loro famiglie, aiutava ad uscire dal loop della malattia.
  Il vero problema erano i familiari, specie quelli più giovani, che venivano allontanati dal parente malato e vivevano uno stato di incertezza, di paura, di confusione molto forte. Abbiamo sempre cercato di creare un ponte tra il paziente e la famiglia, mettendo a disposizione dei telefoni e tablet, se le persone che venivano ricoverate all’improvviso non ne avevano uno, e soprattutto li abbiamo sempre tenuti informati sulle loro condizioni e sull’andamento del contagio”.
  Un supporto non solo verso i pazienti e i loro cari, ma anche per il personale interno, che si trovava per la prima volta a fronteggiare una malattia ancora poco conosciuta, i lunghi orari, la fatica e soprattutto la sofferenza dei contagiati: “La persona che non respira spaventa. Sta male il paziente, ma sta male anche chi lo accudisce, quindi questa nuova dimensione della malattia era terrificante. La sensazione di impotenza era diventata devastante per il personale – racconta ancora Diana Coen – ci sono stati disagi che hanno caratterizzato i nuovi disturbi dovuti alla pandemia”.
  Un target principalmente di adulti, quello che si è rivolto al servizio di counseling dell’Ospedale Israelitico: uomini e donne tra i 35 e i 40 anni, che hanno visto interrompersi improvvisamente la loro routine lavorativa e si sono dovuti adattare allo smart working, perciò le loro vite hanno subito un forte scompenso.
  Sorprendente è stata invece la reazione dei più giovani, che nonostante la Didattica a Distanza li abbia costretti a casa, senza poter vedere i propri compagni, hanno saputo reagire a questa nuova condizione e si sono subito attivati per poter mantenere i rapporti sociali con gli amici:
  “I ragazzi hanno una grossa capacità di reazione di fronte alle modifiche dell’ambiente; perciò sanno rileggere i disagi in un nuovo modo di vedere la realtà.
  Adattarsi a tutti i dispositivi di sicurezza è stato molto più facile per loro, che per le persone adulte e c’è molto più senso civile da parte dei giovani. Riescono a continuare ad avere una vita sociale nonostante tutto, basta pensare all’utilizzo che fanno dei social: quello è un sistema per continuare ad avere un contatto con gli amici, pur stando a distanza. Si porteranno dietro le difficoltà di questo periodo ma sapranno reagire”, continua la Dottoressa, sottolineando come il Covid abbia avuto effetti psicologici più sugli adulti, che faticano a rimettersi in gioco.
  È tra gli adulti infatti che sono aumentati i disturbi depressivi, in cui vige la sensazione di non uscire dalla pandemia. Una sensazione che, secondo le parole della Dottoressa Coen, va combattuta:
  “La variante Omicron ha distrutto la progettualità a breve termine. È quella che sta destabilizzando di più le persone; mentre prima eravamo tutti impegnati a combattere il virus e c’era la prospettiva del quando le cose finiranno…, con questa nuova ondata è tornata l’incertezza.
  L’essere umano vive di progetti: nelle prime due ondate c’era una prospettiva su cosa fare una volta finita la pandemia; la brutta sensazione nata con quest’ultima variante è che non ci sia un dopo, perché le persone non sanno se domani risulteranno o meno positive al virus.
  Vige la paura che questa situazione duri per sempre e si trasformi in una depressione, che non è fatta di pianti disperati, ma da un senso di rassegnazione, che si manifesta con sintomi come eccessiva stanchezza, stress, insicurezza e isolamento volontario, per evitare contatti.
  Il nostro lavoro consiste nel focalizzarsi sulla prospettiva futura. D’altronde questa pandemia passerà e noi ci ritroveremo reduci di un evento vissuto come catastrofico”.
  Come reagire? Il primo passo per risollevare una persona che si trova in questo stato depressivo è riportarla ad una fase attiva, facendola focalizzare su tutto ciò che può fare semplicemente rispettando le normative di sicurezza. È importante mantenere un atteggiamento positivo. I
  l lavoro dello psicologo in questa situazione consiste sostanzialmente nel ridimensionare le ansie e le paure dei pazienti, creando dei binari su cui le persone possono tranquillamente andare avanti.
  Per i ragazzi che hanno sofferto di disturbo post traumatico da stress, quindi il desiderio di fuggire, agitazione, difficoltà di concentrazione, conflitti con i genitori, il servizio di counseling si rivolge ai genitori, incitandoli ad incoraggiare i propri figli, a tenerli sempre informati su quello che accade e soprattutto di saper ascoltare i timori dei ragazzi senza minimizzarli ed aiutarli ad esprimersi.

(Shalom, 14 gennaio 2022)


Comunità ebraica: alberi in Israele in memoria di Sassoli

Nello Stato di Israele saranno piantati degli alberi in memoria di David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo scomparso lunedì 11 gennaio, di cui questa mattina, venerdì 14, si celebrano i funerali di Stato a Roma. Lo hanno comunicato ai familiari i vertici della Comunità ebraica. «Nella tradizione ebraica – spiegano dalla Comunità di Roma in una nota – la piantumazione degli alberi rappresenta la continuità ideale tra il percorso di vita e le idealità che hanno mosso un’esistenza, affinché la memoria non sia una semplice circostanza ma sia linfa vitale per le generazioni future. Gli ideali e i valori di uguaglianza, rispetto, dialogo che hanno contraddistinto in vita David Sassoli – proseguono – rappresentano un patrimonio comune da non disperdere, da trasmettere il più possibile e costituiscono una grande eredità morale».
  Ieri mattina intanto, si ricorda ancora nel comunicato, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e la presidente della Comunità ebraica della Capitale Ruth Dureghello si sono recati alla camera ardente, in Campidoglio, per rendere omaggio al presidente Sassoli.

(RomaSette, 14 gennaio 2022)


Una rete iraniana reclutata online: Israele «sgomina» le spie-casalinghe

Il loro «manovratore» si è presentato via Facebook come un ebreo iraniano. Il suo nome: Rambod Namdar 

di Davide Frattini

GERUSALEMME - La missione affidata alla fisioterapista era quella di chiedere alla parlamentare Keti Shitrit di lasciarsi fotografare durante il trattamento. A una delle sue tre «complici» - come le definiscono gli agenti dei servizi segreti israeliani - è stato chiesto di provare a ottenere un ruolo da comparsa durante le riprese della serie televisiva «Teheran». A un'altra di disegnare la struttura del palazzo del Comune a Beit Shemesh, nel Nord del Paese, o di recuperare notizie sulle unità dell'esercito. 
  Il fatto che le donne adesso arrestate - più il marito di una di loro - non fossero in grado di ottenere informazioni, tantomeno riservate, non avrebbe scoraggiato il loro manovratore che si è presentato via Facebook come un ebreo iraniano. E i sospetti sull'uomo non hanno fermato le improbabili spie interne - originarie dell'Iran - dal cercare di accontentarlo, forse abbindolate dai regali e dalle piccole somme ricevute in cambio degli sforzi. Gli analisti considerano la vicenda una semi-farsa, i giornali scrivono di «congiura delle casalinghe». Preoccupato è il premier Naftali Bennett che invita «i cittadini a stare all'erta e a diffidare dei tentativi di creare polarizzazione nella società e minare la stabilità politica». Gli 007 dello Shin Bet non dicono se questioni di sicurezza siano state davvero rivelate, vogliono usare gli arresti anche come deterrente: «Queste persone hanno commesso azioni gravi e hanno messo se stesse, le loro famiglie e gli israeliani in pericolo». 
  In un caso, Rambod Namdar - come si sarebbe fatto chiamare l'agente iraniano - ha cercato di convincere il figlio di una delle donne a farsi arruolare nelle squadre di intelligence dell'esercito. La fisioterapista avrebbe chiesto a Shitrit, deputata del Likud, il partito guidato dall'ex premier Benjamin Netanyahu, di aiutarla a trasferire il ragazzo nell'unità 8200, celebre per le incursioni informatiche contro l'Iran. L'agente ha pubblicato una foto sul profilo Facebook - appare giovane, gli occhiali con le lenti colorate, la barba rada - non si è però mai fatto vedere in video dalle donne sostenendo che il suo cellulare fosse rotto. «Questa vicenda alla ispettore Clouseau - commenta il quotidiano Haaretz - prova che gli iraniani non siano per ora riusciti ad arruolare informatori di alto livello e allo stesso tempo dimostra che stanno allargando il più possibile la rete per pescare pesci e informazioni anche piccoli». 
  Durante la campagna elettorale del maggio 2019 il telefono di Benny Gantz, adesso ministro della Difesa, era stato infiltrato dagli hacker iraniani, che non avrebbero avuto accesso a informazioni relative ai quattro anni in cui il leader di Blu Bianco è stato capo di Stato Maggiore. Le operazioni cyber sono un altro fronte dello scontro tra Israele e gli ayatollah: nei mesi scorsi Teheran ha accusato gli israeliani dell'attacco che ha fatto saltare 4.300 stazioni di benzina, l'intervento ha danneggiato il circuito per le carte elettroniche emesse come buoni dal regime causando caos nelle strade. 

(Corriere della Sera, 14 gennaio 2022)


Libia, anche Dabaiba cerca Israele

di Ferruccio Michelin 

Il primo ministro libico potrebbe aver incontrato il capo dell’intelligence israeliana per cercare di costruirsi appoggio e consenso internazionale. L’offerta di normalizzazione dei rapporti è già stata usata da Haftar per ottenere sostegno
  Il direttore del Mossad, David Barnea, e il primo ministro libico, Abdelhamid Dabaiba, si sarebbero recentemente incontrati in Giordania. Il Mossad è molto più dell’agenzia di intelligence che cura le questioni estere: per Gerusalemme è un’arma politica, e infatti i due avrebbero discusso la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Libia e la cooperazione in materia di sicurezza. L’ufficio del premier libico ha smentito, silenzio dallo stato ebraico (che di solito non commenta certe vicende).
  L’ottica allungata dietro a questi movimenti è quella degli Accordi di Abramo, con cui Israele (attraverso la catalizzazione statunitense) sta costruendo relazioni diplomatiche con diversi stati arabi. Da questo fronte sono gli Emirati Arabi Uniti a guidare le dinamiche, e Abu Dhabi è un Paese che ha influenza sul lato orientale della Libia e già nel 2019/2020 aveva provato in passato a costruire da lì un ponte verso Israele.
  Era un modo per cercare di allargare — in forma proxy — la lista di Paesi che dava sostegno al capo miliziano della Cirenaica, Khalifa Haftar, che Abu Dhabi (con l’Egitto, la Giordania e in forma più sfumata l’Arabia Saudita) sosteneva nella sua campagna militare contro il governo onusiano di Tripoli, usando la crisi come sfogo per il confronto contro il blocco islamista del sunnismo rappresentato da Turchia e Qatar.
  A novembre del 2021, era stato invece Saddam Haftar, figlio del signore della guerra della Cirenaica, a volare all’aeroporto Ben Gurion per incontri con funzionari israeliani (con ogni probabilità del dipartimento Tevel del Mossad) a cui aveva offerto la promessa di una normalizzazione se il padre avesse vinto le elezioni: in cambio chiedeva ovviamente sostegno alle presidenziali.
  Il voto è saltato, rinviato al 24 gennaio nonostante da mesi l’Onu invocasse elezioni, fissate da tempo per il 24 dicembre. Val la pena fare una previsione per il contesto: è molto possibile che le elezioni salteranno di nuovo. Ma intanto Dabaiba potrebbe aver deciso di muoversi per accaparrarsi sostegno internazionale. Tecnicamente il primo ministro è decaduto proprio il 24 dicembre (secondo le regole dettate dal Foro di dialogo libico onusiano attraverso cui ha ricevuto l’incarico), e ora è molto possibile che il Parlamento sarà chiamato ad accordare la fiducia a un nuovo esecutivo — frutto di intese est-ovest già in discussione.
  Non è chiaro quanto Dabaiba e tanto meno Haftar figlio possano sostanzialmente portare avanti la normalizzazione con Israele, dato il caos in cui il Paese si trova da anni. Stando ai fatti nessuno è legittimato a portare avanti certi dialoghi, ma tutti cercano di costruirsi una posizione per poter incassare consenso. Israele ne è consapevole, accetta un confronto perché percepisce la necessità di conoscere, pur senza coinvolgimento, l’evolversi della situazione in Libia — tornata di nuovo critica dopo oltre un anno di pace apparente.

(Formiche.net, 13 gennaio 2022)


Netanyahu cerca di patteggiare nel processo

Incontri segreti con il Procuratore generale

TEL AVIV - L'ex premier Benyamin Netanyahu sta tentando di patteggiare nel processo in corso a suo carico a Gerusalemme per corruzione, frode e abuso di potere. Per questo - secondo quanto riporta il quotidiano Maariv - ha avuto incontri riservati con il Procuratore generale Avichai Mandelblit e con altri alti funzionari della procura. Secondo lo stesso giornale, le parti hanno tenuto "segreti" gli incontri con l'obiettivo di arrivare all'accordo prima che questo sia bruciato da indiscrezioni.
  Soprattutto - ha scritto sul giornale Ben Caspit - Netanyahu che ha sempre rivendicato, specie con i suoi sostenitori, che "non ci sarà nulla perché non c'è nulla" e di volersi battere per dimostrare la propria innocenza in tribunale. Al momento, tuttavia le parti sembrano essere distanti: in particolare per l'insistenza dell'ex premier a non avere nel patteggiamento condanne morali che gli impedirebbero di continuare la vita politica.

(ANSA, 13 gennaio 2022)


La guerra delle spie fra Iran e Israele: scoperta una rete iraniana nel centro dello Stato Ebraico

di Ugo Volli

È una storia che sembra uscita dalla penna di John Le Carré, lo scrittore inglese di spy stories che ama raccontare le patetiche e talvolta comiche ma anche tragiche vicende dei pesci piccoli dello spionaggio: quelli che per vanità, ambizione o vendetta si ritrovano presi in una rete più grande di loro, di cui non capiscono niente e che per lo più li lascia nei peggiori guai. Ma questa è una storia vera, che riguarda da un lato quattro donne e un uomo, ebrei iraniani di mezza età immigrati da parecchio tempo in Israele e dall’altro un ragazzo sotto la trentina, che nella foto mostra occhiali pesanti e una barbetta rada, con lo sguardo furbetto e un po’ arrogante, rivolto dritto alla macchina fotografica. Ma nessuno sa se la foto sia vera, perché ai suoi agenti con cui parlava su WhatsApp diceva sempre di avere la fotocamera del telefono rotta.
  Quest’uomo, che si faceva chiamare “Rambod Namdar”, ha contattato le sue vittime inizialmente su Facebook, dicendo di essere anche lui un ebreo iraniano, e ha chiesto loro di svolgere dei piccoli compiti: fotografie dell’ex ambasciata americana a Tel Aviv, di un centro commerciale a Holon, dell’edificio dei servizi sociali nella loro città. Alcuni di questi contatti sono durati tre o quattro anni, solo a un certo punto ai collaboratori di “Namdar” sono incominciate ad arrivare delle piccole somme di denaro, in un caso per esempio in tutto 5000 dollari. Progressivamente le vittime sono diventate complici, hanno iniziato a capire di trovarsi di fronte a una spia e probabilmente anche di essere ricattabili; e hanno ricevuto via via compiti più impegnativi: “Dì a tuo figlio, che deve fare il servizio militare, di arruolarsi nei servizi di informazione militare!” E poi: “fagli prendere dei documenti militari e passami la foto; fotografa la cerimonia del giuramento dove ci sono i suoi ufficiali e fammele avere; organizza nella tua città un club di emigrati persiani e passami le schede di chi si iscrive!” Un altro membro della rete aveva il compito di ricevere del denaro da aiutanti di “Rambod Namdar” che incontrava in Turchia. Poi c’è chi ha fotografato le schede elettorali, chi ha cercato di ottenere fotografie dettagliate della sede dell’ambasciata americana a Gerusalemme, chi è stato incaricato di cercare di contattare qualche deputato.
  Sono tutti compiti poco importanti, ma lo spionaggio dei pesci piccoli inizia così, serve soprattutto ad avere dei collaboratori ricattabili, cui a un certo punto si può ordinare qualcosa di grosso. Per esempio di recapitare una bomba o del veleno, o di fare senza saperlo da bersaglio umano per un attentato. E naturalmente questi contatti insignificanti servono anche a cercare di estendere la rete, sperando di riuscire prima o poi a contattare qualcuno che conti davvero. Lo Shabak, il servizio di controspionaggio interno di Israele, ha smantellato la rete a novembre e chissà da quanto la tallonava. Ora la notizia viene fuori perché evidentemente hanno portato alla luce tutto quel che si poteva scoprire. Senza dubbio anche gli iraniani hanno capito da tempo che i loro contatti erano “bruciati”, come direbbe Le Carrè. Adesso la vicenda viene raccontata, va sui giornali, ne ha parlato perfino il primo ministro Bennett: per uno scopo, diciamo, pedagogico. Si tratta di far capire al pubblico che un pericolo di infiltrazione c’è, che bisogna fare attenzione. Del resto in questi ultimi mesi lo Shabak aveva già rivelato che anche un uomo delle pulizie addetto alla casa del ministro della difesa Benny Gantz era in contatto con i servizi iraniani, o almeno ci aveva provato, offrendosi di inserire un software di spionaggio nel suo computer. Non sappiamo se i contatti fossero davvero iniziati, ma certamente il bersaglio era assai più grosso.
  La verità è che fra Israele e Iran è in atto con intensità crescente quella che viene definita “campagna fra le guerre”, che comprende il tentativo iraniano di portare armi e soldati il più vicino possibile ai confini dello stato ebraico, il suo finanziamento e armamento dei terroristi tutt’intorno a Israele; e che da parte israeliana ha portato ai bombardamenti aerei di basi, fabbriche d’armi, linee di collegamento, per contrastare questa strategia di accerchiamento. Una campagna che si è estesa contemporaneamente anche ai collegamenti marittimi, alla cyber-guerra, al teatro diplomatico e alla mobilitazione dell’opinione pubblica in Occidente e nel mondo arabo. Ma che oggi è soprattutto una guerra di spionaggio. Com’è accaduto nel campo aereo, anche in quest’ultimo ambito Israele è in vantaggio: da quel che si sa, il Mossad è riuscito diverse volte a danneggiare gli impianti nucleari e a neutralizzare gli scienziati che cercano di svilupparli; con un grande colpo da maestro è riuscito a impadronirsi dei documenti che dimostrano la continuità del progetto di armamento nucleare degli ayatollah, che Netanyahu ha esibito al mondo. L’aviazione è in grado di dirigere con straordinaria precisione ed efficacia i suoi bombardamenti contro le spedizioni di armi avanzate in Siria perché i servizi sanno quando e dove queste spedizioni avvengono, dove sono i capi terroristi e gli alti ufficiali iraniani, chi comanda e chi obbedisce.
  Ma anche l’Iran cerca di penetrare i segreti strategici di Israele, di produrre danni e sabotaggi: qualche tempo fa è stato fermato appena in tempo il tentativo di avvelenare l’acqua potabile infiltrando il sistema di disinfezione con cloro. E anche questi ultimi tentativi di infiltrazione per patetici che possano sembrare, indicano che per l’Iran stabilire delle reti di spionaggio in Israele è una priorità assoluta. Come in tutte le guerre di spie, ciò che arriva al pubblico è una parte molto piccola di ciò che accade e non certo la più significativa. Ma anche questi episodi mostrano che la “campagna fra le guerre” si sta scaldando e diventa progressivamente più dura, anche nella più segreta delle guerre, quella delle spie.

(Shalom, 13 gennaio 2022)


In Israele la popolazione cristiana continua a crescere

 La popolazione cristiana d'Israele continua la lieve crescita numerica che la connota fin dalla nascita dello Stato ebraico, ma prosegue anche la sua progressiva riduzione in termini percentuali rispetto alle altre comunità di fede – ebrei, musulmani e drusi – presenti nel Paese. È questo lo scenario di fondo delineato dai dati pubblicati alla vigilia di Natale 2021 dall'Ufficio centrale di Statistica d'Israele e ripresi dall'Agenzia Fides. 
  Secondo i numeri forniti dall'istituzione israeliana, vivono attualmente in Israele 182 mila cristiani, pari all'1,9 per cento della popolazione nazionale. Nel 2020, la popolazione cristiana nello Stato ebraico è cresciuta dell'1,4 per cento rispetto alle rilevazioni precedenti.
  Le statistiche israeliane forniscono anche dati su elementi che connotano la componente cristiana dal punto di vista etnico, anagrafico, professionale e culturale. Nel contempo, per cogliere in maniera appropriata la portata dei numeri forniti, è utile tenere conto di alcuni fattori chiave che condizionano la raccolta dei dati, e confrontare i risultati delle ultime rilevazioni con analoghe statistiche fornite da Israele in anni precedenti.
  Se si considera l'intera tabella della crescita delle diverse comunità di fede registrata nello Stato di Israele fin dal momento della sua nascita, si rileva ad esempio che i cristiani presenti nello Stato ebraico nel 1949 erano 34mila, nel 1970 erano 75 mila, nel 1990 erano quasi 115 mila e nel 2019 erano più di 180 mila.
  Considerando gli stessi intervalli temporali, la popolazione musulmana d'Israele è cresciuta da più 111 mila unità (nel 1949) fino a quasi un milione e 606 mila islamici registrati in Israele nel 2019. Gli ebrei, che nel 1949 erano quasi un milione e 174 mila, nel 2019 erano diventati 6 milioni e 697 mila. 
  I ritmi di crescita della popolazione cristiana in Israele risultano quindi imparagonabilmente più bassi rispetto a quelli registrati nella componente ebraica e in quella islamica della società israeliana. Una certa somiglianza si può registrare solo con i dati di crescita registrati tra i drusi, che erano meno di 15 mila nel 1949 e erano diventati 143 mila nel 2019.
  Secondo i dati appena pubblicati dall'Ufficio centrale di Statistica, relativi al 2020, il 76,7 per cento dei cristiani presenti in Israele sono arabi palestinesi, e la maggior parte di loro vive nella regione settentrionale del Paese (con più di 21 mila battezzati concentrati a Nazareth). La gran parte dei cristiani non arabi è concentrata nell'area di Jaffa e Tel Aviv.
  Ma occorre tener presente che le rilevazioni statistiche israeliane tengono conto soltanto dei cittadini cristiani stabilmente e legalmente residenti nel Paese, escludendo dal computo le decine di migliaia di lavoratori stranieri presenti in Israele per periodi di tempo più o meno lunghi, e che pure rappresentano una componente sempre più rilevante nelle Chiese e comunità ecclesiali di Terra Santa. I cristiani non arabi presenti stabilmente in Israele sono in gran parte immigrati nel corso degli ultimi decenni, giunti nel Paese soprattutto dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, al seguito di congiunti ebrei.
  Nel 2020, le nuove nascite nelle famiglie cristiane sono state 2.497, mentre il numero medio di bambini fino all'età di diciassette anni in una famiglia cristiana era pari a 1,93 unità (tasso di natalità più basso tra tutte le componenti della società israeliana, se si considera che nelle famiglie ebraiche il numero medio di bambini è pari a 2,43, e nelle famiglie musulmane arriva fino a 2,60).
  I cristiani risultano essere la componente con livello medio di istruzione più elevato, soprattutto nella parte femminile della popolazione.
  Tra le percentuali fornite dall'Ufficio centrale di Statistica figura anche quella secondo cui l'84% dei cristiani d'Israele si dichiara “soddisfatto” della propria condizione di vita.
  Dato che acquista interesse anche alla luce delle recenti polemiche seguite alla dichiarazione diffusa a metà dicembre da alti rappresentanti delle Chiese e comunità ecclesiali di Gerusalemme, in cui tra le altre cose si faceva riferimento a “innumerevoli attacchi” perpetrati da gruppi radicali contro chiese, monasteri e rappresentanti del clero, prefigurando dietro a tali violenze e profanazioni un vero e proprio disegno mirante a “espellere” la presenza cristiana da Gerusalemme e dalla Terra Santa.

(AGI, 13 gennaio 2022)


Israele spaccato fra beduini ed ecologisti

In Israele scoppia una crisi di governo per colpa della piantumazione di alcuni alberi. Il Jewish National Fund, ente semi-governativo che sovrintende al 13 per cento della terra di Israele, ha iniziato domenica a piantare alberi su terreni nel Negev. Immediate le proteste dei residenti beduini che sono sfociate in scontri con la polizia.
  Molti beduini del Negev vivono in bidonville non riconosciute sparse nel deserto meridionale di Israele. Il governo ha cercato di trasferirli in città vere e proprie, ma la maggior parte dei nomadi arabi ha rifiutato, insistendo sul diritto di rimanere dove si trovano.
  I leader beduini hanno definito il lavoro di forestazione come l'inizio di un tentativo di espellere alcuni di coloro che vivono nei villaggi non riconosciuti e di impossessarsi delle terre contese. Sarebbe in atto un piano più ampio per spopolare l'area dei beduini.
  Per gli esperti di ambiente l'imboschimento delle terre nazionali è visto invece come un obiettivo ecologico fondamentale. E la maggior parte dell'esecutivo Bennet è d'accordo: «Non c'è espulsione. Queste sono terre nazionali; abbiamo il diritto di proteggerle per tutti i cittadini e un modo per farlo è piantare alberi», ha affermato il parlamentare di Blu e Bianco Alon Tal, noto ecologista.
  Nel governo però non tutti la pensano così: il leader del partito Ra'am, Mansour Abbas, ha annunciato che la sua sigla non avrebbe più votato con la coalizione. Il partito islamista infatti ha una delle sue roccheforti elettorali nelle comunità conservatrici, come quella beduina.

Libero, 13 gennaio 2022)


"Israele è grande". Perché Helen Mirren è perfetta come Golda Meir

La polemica sull'attrice inglese nel suo nuovo film: "non è ebrea".

di Giulio Meotti

ROMA - Ok, la volta scorsa in "Munich" di Steven Spielberg Golda Meir fu interpretata da Lynn Cohen, che è ebrea. Ora tocca a Helen Mirren vestire i panni del primo ministro d'Israele. "Non è un po' troppo Golda Meir per Helen Mirren ?", si domanda il Guardian, mentre l'attrice Maureen Lipman dice che Mirren non può essere Golda perché non è ebrea e in tempi di "appropriazione culturale" questo non va bene. Ma se c'è una grande attrice che può interpretare la donna di ferro di Israele, quella è Mirren. Si è opposta sia agli sforzi dei gruppi filo palestinesi di boicottare Israele sia alla decisione di artisti internazionali di evitare lo stato ebraico. "Penso che l'arte sia un mezzo di comunicazione incredibilmente importante", ha detto Mirren da Gerusalemme. "Non credo assolutamente nel boicottaggio ed eccomi qui". Mirren era nella capitale israeliana per ospitare il Genesis Prize, il "Nobel ebraico" assegnato al violinista israelo-americano Itzhak Perlman.
  Non soltanto Mirren ha interpretato il ruolo di un ex agente del Mossad in "The Debt" e in "Woman in Gold" è stata un'anziana rifugiata ebrea che ha combattuto contro il governo austriaco per un decennio per reclamare un dipinto di Gustav Klimt rubato alla sua famiglia dai nazisti. Il suo legame con Israele risale addirittura al 1967, quando partì volontaria per lavorare in un kibbutz. "La grande cosa che Israele ha sono gli israeliani", ha detto Mirren raccontando della sua vita nel kibbutz Ha Gaon. "Penso a tutte le sofferenze patite dalla popolazione in passato e alle difficoltà presenti e future. Un paese bellissimo, pieno di immaginazione, creatività e di coraggio con gente molto profonda e incredibilmente determinata. Amo Israele da molti punti di vista, è un posto importante nel mio cuore, lo sosterrò sempre e lotterò contro il boicottaggio".
  Il punto dunque non è se Helen Mirren sarebbe una buona Golda Meir, ma se Golda Meir dovesse essere proprio portata sul grande schermo. In Inghilterra la scrittrice bestseller Sally Rooney da poco ha rifiutata di farsi tradurre in ebraico, come John Berger, vincitore di un Booker Prize, e l'altro scrittore inglese Iain Banks. Quasi tutti i colleghi inglesi di Mirren, dall'attrice Emma Thompson al regista Mike Leigh, sono schierati per il boicottaggio dello stato ebraico. In Inghilterra, Israele è talmente radioattivo che l'ambasciatrice Tsipy Hotovely qualche settimana fa è dovuta fuggire con la sua scorta da una conferenza alla London School of Economics e un rabbino si è appena dimesso dalla Bbc accusandola di antisemitismo. "E' vero che abbiamo vinto tutte le nostre guerre, ma le abbiamo pagate", diceva Golda Meir. Per molti inglesi, non è ancora abbastanza.

Il Foglio, 13 gennaio 2022)


Il gruppo israeliano Sapiens punta su Rgi

La multinazionale quotata al Nasdaq è opposta a big come Bain Capital

di Carlo Festa

MILANO - Va alle battute finali la vendita del gruppo Rgi, produttore italiano di software specializzati per il settore assicurativo, passato nel 2018 sotto il controllo del fondo statunitense Corsair Capitai.
  In campo per l'acquisto sarebbero restati, secondo le indiscrezioni, tre fondi di private equity e una multinazionale: quest'ultima sarebbe la società israeliana Sapiens, un fornitore globale di primo piano di soluzioni software per il settore assicurativo.
  La società, che è quotata al Nasdaq, sarebbe da alcuni mesi sul dossier di Rgi, interessata all'acquisto. Principale competitor nel processo sarebbe invece il private equity internazionale Bain Capitai.
  Nella partita sarebbero entrati però anche altri fondi: cioè il gruppo Cvc, molto attivo in Italia e che proprio a fine anno ha chiuso la cessione delle controllate Sisal e Mooney, e un altro grande private equity statunitense, sul cui nome c'è stretto riserbo. Si attenderebbe, ora, un ultimo giro di offerte per arrivare a concedere un'esclusiva.
  Al lavoro, per conto dell'attuale azionista, il private equìty americano Corsair Capitai, è la boutique finanziaria specializzata nel fintech, Arma Partners.
  Uno dei nodi principali resta la valutazione del gruppo Rgi, visto che la richiesta del venditore è sulla base di multipli a due cifre: il valore d'impresa stimato di Rgì, il cosiddetto «enterprise value», secondo alcune indiscrezioni sarebbe attorno ai 500 milioni di euro.
  Il gruppo Rgi è da diversi anni nel portafoglio dei fondi di private equity, che ne hanno garantito la crescita. Nel 2014 erano infatti entrati i fondi di 21 Investimenti e di Quadrivio sgr, che a loro volta avevano delistato la società da Piazza Affari ben 12 anni fa, nel 2009. Erano quindi subentrati i fondi di Ardian e, per ultima, è subentrata proprio Corsair Capitai, tre anni fa.
  Il gruppo Rgi è uno dei principali fornitori di soluzioni digitali «end-to-end» per il mercato assicurativo. L'azienda ha puntato sulla strategia di espansione internazionale: quattro anni fa ha rilevato Kapia Solutions, gruppo che opera in qualità di «competence center» sui mercati locali di Francia e Lussemburgo.
  Successivamente sono stati acquisiti il software provider Novum e la quota di maggioranza nel gruppo Unimatica, leader italiano nelle soluzioni di gestione della firma digitale e nei servizi di archiviazione digitale a norma. Rgi ha comprato inizialmente il 31%, per poi salire al 56 per cento. L'ultima acquisizione c'è infine stata lo scorso aprile, quando Rgi ha rilevato Flexperto, software provider con sede in Germania.

(Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2022)


Covid Israele oggi, nuovo record di contagi: quasi 44.000 in un giorno

Israele registra quasi 44.000 nuovi casi di coronavirus. Secondo i dati del ministero della Salute riportati da Ynet, che scrive di “un altro triste record” e della “variante Omicron che continua a imperversare in tutto il Paese”, ieri sono state accertate 43.815 infezioni su 362.336 test effettuati. L’indice R è a 2.02 e i casi attivi sono 223.000.
  Sono 781 i pazienti Covid ricoverati in ospedale, 254 con sintomi gravi. Ieri, riporta ancora Ynet, sono state ricoverate 72 persone in condizioni “serie”, il dato più alto da fine settembre. Israele segnala un totale di 8.274 decessi per complicanze legate al coronavirus, tre in più rispetto al precedente bollettino.
  Nel Paese, stando ai dati riportati dal Jerusalem Post, circa 425.000 over 60 hanno ricevuto anche la quarta dose di un vaccino anti-Covid.

(Adnkronos, 12 gennaio 2022)


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Israele e Austria, record di contagiati nonostante la quarta dose e il lockdown selettivo

Israele, che sta imponendo la quarta dose – circa 425.000 over 60 l’hanno finora ricevuta – e Austria, che ha obbligato tutti i no vax al lockdown selettivo e che da febbraio imporrà l’obbligo vaccinale a tutti, sono costretti a fare i conti con il record di contagiati mentre l’Africa, a cui sono stati consegnati pochissimi vaccini, e che ha, di conseguenza, pochissimi vaccinati, può vantare numeri di contagi bassissimi.
  È il paradosso di questa Pandemia – o endemia, come l’ha definita l’infettivologo genovese Matteo Bassetti derubricandola a semplice influenza – che sta scombussolando tutte le granitiche certezze di governi, virologi, immunologi, esperti di vario tipo meno uno: Luc Montaigner, lo sbeffeggiato virologo francese che aveva previsto proprio questo mettendo in guardia dal rischio di aumentare i contagi vaccinando durante una pandemia.
  I numeri sono spietati e non mentono. La variante Omicron, che continua a imperversare in tutto il Paese, ha costretto Israele a fare i conti con il record di vaccinati: quasi 44.000 nuovi casi di Coronavirus in un solo giorno.
  Secondo i dati del ministero della Salute israeliano, riportati da Ynet, che scrive di “un altro triste record” e della “variante Omicron che continua a imperversare in tutto il Paese”, ieri sono state accertate 43.815 infezioni su 362.336 test effettuati. L’indice R è a 2.02 e i casi attivi sono 223.000.
  Non solo. I bambini in Israele sono sempre più contagiati dalla variante Omicron del Coronavirus, tanto che lo Sheba Medical Center, il più grande ospedale di Israele, ha deciso di aprire un reparto ad hoc, un reparto Covid solo dedicato ai bambini.
  Moshe Ashkenazi, il direttore del reparto, ha spiegato che ci si sta preparando a una nuova ondata di ricoveri dei più piccoli.
  ”La Omicron sembra essere meno virulenta rispetto ad altre varianti, ma la maggior possibilità di essere contagiati porterà diversi bambini a essere ricoverati in ospedale“, ha detto Ashkenazi al ‘Times of Israel‘, paragonando gli attuali numeri dei contagio a quelli della prima ondata all’inizio del 2020.
  “Abbiamo un senso di deja vu rispetto alla prima ondata e ci stiamo preparando per una guerra, proprio come abbiamo fatto nella prima ondata“, ha detto Ashkenazi.
  “Purtroppo i contagi si stanno diffondendo così velocemente che mi aspetto che questo nuovo reparto si riempia entro 10-14 giorni, quindi dovremo aprirne un altro“, ha aggiunto.
  In Austria, invece, dove il governo ha adottato da tempo  misure drastiche confinando i non vaccinati in un ferreo lockdown selettivo e da febbraio imporrà l’obbligo vaccinale a tutti, è stato registrato il record dall’inizio della pandemia: 18.427 nuovi casi di coronavirus nelle ultime 24 ore. Segno evidente che non possono essere i no vax – chiusi a doppia mandata in lockdown – a contagiare.
  A trainare il contagio, secondo il giornale Kronen Zeitung, è la diffusione della variante Omicron particolarmente contagiosa.

(Secolo d'Italia, 12 gennaio 2022)


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La più grande boiata del secolo?

Il 30 dicembre scorso, a commento di un articolo di delusione sui tentativi israeliani di vincere il covid, avevamo scritto: «Aspettiamo con ansia da Israele la grande notizia: 'Fermate tutto! la vaccinazione contro il virus del covid è stata la più grande boiata del secolo!'. Magari non diranno proprio così, ma è possibile che prima o poi ci arrivino.» Forse ci sono arrivati, proprio da Israele, e come previsto, non proprio così ma quasi. Su segnalazione di un nostro fedele lettore, che qui calorosamente ringraziamo, pubblichiamo, tradotto in italiano, un articolo che riporta il testo di una lettera aperta  inviata al Ministro della Salute israeliano dal capo del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell'Università di Tel Aviv, uno dei principali immunologi israeliani. NsI



«Ministro della Salute, è tempo di ammettere il fallimento»

Alla fine, la verità sarà sempre rivelata e la verità sulla politica del coronavirus sta cominciando a essere rivelata. Quando i concetti distruttivi crollano uno ad uno, non resta che dirlo agli esperti che hanno guidato la gestione della pandemia - ve l'avevamo detto.
  Due anni dopo, ti rendi finalmente conto che un virus respiratorio non può essere sconfitto e che qualsiasi tentativo del genere è destinato a fallire. Non lo ammetti, perché negli ultimi due anni non hai ammesso quasi nessun errore, ma in retrospettiva è chiaro che hai fallito miseramente in quasi tutte le tue azioni, e anche i media stanno già facendo fatica a coprire la tua vergogna.
  Hai rifiutato di ammettere che l'infezione arriva a ondate che svaniscono da sole, nonostante anni di osservazioni e conoscenze scientifiche. Hai insistito per attribuire ogni declino di un'onda esclusivamente alle tue azioni, e così attraverso la falsa propaganda "hai vinto la peste". E di nuovo l'hai sconfitta, e di nuovo e di nuovo e di nuovo.
  Hai rifiutato di ammettere che i test di massa sono inefficaci, nonostante i tuoi piani di emergenza lo affermino esplicitamente (“Pandemic Influenza Health System Preparedness Plan, 2007”, p. 26).
  Hai rifiutato di ammettere che la guarigione è più protettiva di un vaccino, nonostante le precedenti conoscenze e osservazioni dimostrino che le persone vaccinate non guarite hanno maggiori probabilità di essere infettate rispetto alle persone guarite. Hai rifiutato di ammettere che i vaccinati sono contagiosi nonostante le osservazioni. Sulla base di questo, speravi di ottenere l'immunità di gregge mediante la vaccinazione - e anche in questo hai fallito.
  Hai insistito per ignorare il fatto che la malattia è decine di volte più pericolosa per i gruppi a rischio e per gli anziani, che per i giovani che non fanno parte dei gruppi a rischio, nonostante le conoscenze arrivassero dalla Cina già nel 2020.
  Hai rifiutato di adottare la "Dichiarazione di Barrington", firmata da più di 60.000 scienziati e professionisti medici, o altri programmi di buon senso. Hai scelto di ridicolizzarli, calunniarli, distorcerli e screditarli. Invece dei programmi e delle persone giusti, hai scelto professionisti che non hanno una formazione adeguata per la gestione della pandemia (fisici come consiglieri principali del governo, veterinari, agenti di sicurezza, personale dei media e così via).
  Non hai impostato un sistema efficace per segnalare gli effetti collaterali dei vaccini e le segnalazioni sugli effetti collaterali sono state addirittura cancellate dalla tua pagina Facebook. I medici evitano di collegare gli effetti collaterali al vaccino, per non perseguitarli come hai fatto con alcuni dei loro colleghi. Hai ignorato molte segnalazioni di cambiamenti nell'intensità mestruale e nei tempi del ciclo mestruale. Hai nascosto i dati che consentono una ricerca obiettiva e corretta (ad esempio, hai rimosso i dati sui passeggeri all'aeroporto Ben Gurion). Invece, hai scelto di pubblicare articoli non obiettivi insieme ai dirigenti senior di Pfizer sull'efficacia e la sicurezza dei vaccini.

• Danno irreversibile alla fiducia
  Tuttavia, dall'alto della tua arroganza, hai anche ignorato il fatto che alla fine la verità verrà rivelata. E comincia a rivelarsi. La verità è che hai portato la fiducia del pubblico in te a un livello senza precedenti e hai eroso il tuo status di fonte di autorità. La verità è che hai bruciato centinaia di miliardi di shekel inutilmente - per aver pubblicato intimidazioni, per test inefficaci, per blocchi distruttivi e per aver interrotto la routine della vita negli ultimi due anni.
  Hai distrutto l'educazione dei nostri figli e il loro futuro. Hai fatto sentire i bambini in colpa, spaventati, fumare, bere, diventare dipendenti, abbandonare gli studi e litigare, come attestano i presidi scolastici di tutto il paese. Hai danneggiato i mezzi di sussistenza, l'economia, i diritti umani, la salute mentale e fisica.
  Hai calunniato i colleghi che non si sono arresi a te, hai messo le persone l'una contro l'altra, diviso la società e polarizzato il discorso. Hai bollato, senza alcuna base scientifica, le persone che hanno scelto di non vaccinarsi come nemici del pubblico e come propagatori di malattie. Promuovete, in un modo senza precedenti, una politica draconiana di discriminazione, negazione dei diritti e selezione delle persone, compresi i bambini, per la loro scelta medica. Una selezione priva di qualsiasi giustificazione epidemiologica.
  Quando confronti le politiche distruttive che stai perseguendo con le politiche sane di alcuni altri paesi, puoi vedere chiaramente che la distruzione che hai causato ha solo aggiunto vittime oltre a quelle vulnerabili al virus. L'economia che hai rovinato, i disoccupati che hai causato e i bambini di cui hai distrutto l'istruzione - sono le vittime in eccesso solo come risultato delle tue stesse azioni.
  Al momento non ci sono emergenze mediche, ma da due anni coltivi una tale condizione a causa della brama di potere, budget e controllo. L'unica emergenza ora è che tu continui a definire le politiche e a tenere ingenti budget per la propaganda e l'ingegneria psicologica invece di indirizzarli a rafforzare il sistema sanitario.
  Questa emergenza deve finire!
  Professor Udi Qimron, Facoltà di Medicina, Università di Tel Aviv

Lettera originale in ebraico : N12 News (6 gennaio 2022); tradotto da Google/SPR. Vedi anche: la previsione del professor Qimron di agosto 2020: "La storia giudicherà l'isteria" (INN).

(Swiss Policy Research
, 10 gennaio 2022)


Ormai in Israele l'élite militare più ambita è cyber

di Davide Frattini

Quando il comitato composto da storici e generali si è trovato a dover scegliere i dieci eventi che hanno definito l'aviazione israeliana, hanno inserito al quinto posto lo slogan ebraico Hatovim La' Tays: «I migliori in volo». I piloti come simbolo di una nazione, i jet a proiettare potenza sempre più in alto.
  In un Paese dove la leva resta in teoria obbligatoria per tutti, le scelte delle reclute, le unità a cui aspirano i ragazzi o le ragazze, hanno sempre incarnato quella che non solo i comandanti considerano un'aristocrazia del campo di battaglia: gli agricoltori-soldati dei kibbutz, i sionisti religiosi e le loro spinte messianiche, le famiglie bene di Tel Aviv che non avrebbero accettato niente di meno per i figli dell'arruolamento nelle forze speciali.
  Così il capo di Stato Maggiore Aviv Kochavi - lui stesso un paracadutista d'assalto come lo era stato Ariel Sharon - è rimasto sbigottito dal manifesto apparso per le strade: «I migliori nel cyber». Dal mirino del fucile mitragliatore allo schermo del computer, dalle incursioni in mezzo ai nemici alle infiltrazioni nei sistemi informatici. E ha espresso la sua amarezza proprio alla cerimonia di fine corso per i piloti di caccia: «E' un errore, una perdita di valori in parte della popolazione. I migliori restano quelli che sono pronti a sacrificare le vite per gli altri».
  L'unità 8200 è celebre per aver organizzato i sabotaggi informatici contro il programma atomico iraniano. E' altrettanto famosa - e ambita tra i giovani - per aver prodotto il più alto numero di multimilionari dopo il congedo: fondatori di start-up e innovatori che si portano dietro da civili le conoscenze e i contatti accumulati nella trentina di mesi da soldati.
  Già sessant'anni fa lo slogan «i migliori in aviazione» era stato criticato da quegli intellettuali che riconoscono alle forze armate un ruolo fondamentale nel proteggere l'esistenza dello Stato d'Israele ma si oppongono all'idea che i valori militari definiscano la crescita e la maturazione. L'appello di Kochavi - fa notare il quotidiano Haaretz - arriva fuori tempo massimo: come nel resto del mondo aumentano le spinte per trasformare Tsahal in professionale e in ogni caso l'idea dell'«esercito di tutto il popolo» ha perso sempre più legittimità tra esenzioni religiose concesse agli ultraortodossi e scappatoie sfruttate dai privilegiati (gli arabi israeliani possono non arruolarsi). Il richiamo delle truppe cyber - spiega il giornale della sinistra - non ha eroso la vocazione, anzi ha frenato il calo progressivo nel numero di maggiorenni che vogliono dedicare un periodo della vita alla nazione.

(Corriere della Sera, 12 gennaio 2022)


L'Università di Tel Aviv lancia nello spazio il nano satellite Tausat-3

Proteggerà i sistemi spaziali dalle radiazioni cosmiche

di David Di Segni

Un team di esperti dell'Università di Tel Aviv (TAU) ha recentemente lanciato nello spazio il nano satellite TauSat-3, capace di proteggere i sistemi spaziali dalle radiazioni cosmiche attraverso la “capsula COTS” che contiene all’interno.
  Il sistema è partito dal Kennedy Space Center, Florida (USA), lo scorso 21 dicembre 2021 a bordo del razzo Falcon 9 di SpaceX. Grande circa quanto una scatola da scarpe, il nano satellite è stato installato con successo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e comunica con le stazioni di terra.
  "Attualmente, le apparecchiature elettroniche inviate nello spazio devono essere modificate in modo specifico per prevenire gli effetti indotti dalle radiazioni cosmiche” ha affermato Yoav Simhony, del dipartimento di Ingegneria Elettrica della TAU.
  La capsula sarà inclusa in una serie di oltre quaranta esperimenti che l'astronauta israeliano Eytan Stibbe condurrà durante la sua missione di dieci giorni sulla ISS a febbraio prossimo, nell'ambito della missione "Rakia" guidata dall'ONG israeliana “The Ramon Foundation” e dall'Agenzia Spaziale Israeliana.
  "La COTS-Capsule consentirà l'uso di componenti commerciali pronti all'uso nello spazio, aprendo così la porta all'uso di componenti elettronici avanzati e riducendo significativamente i costi dei prodotti spaziali", ha concluso Simhony. Alla realizzazione del progetto hanno aderito anche astronomi, medici e studenti.

(Shalom, 12 gennaio 2022)


Mostra “1849-1871. Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione

Un percorso espositivo e un video-progetto per raccontare la costruzione dell'Italia unita e il ruolo delle comunità ebraiche italiane.

In occasione dei 150 anni dalla proclamazione di Roma Capitale del Regno d’Italia, la Comunità Ebraica di Roma e la Fondazione per il Museo Ebraico di Roma hanno organizzato la mostra “1849-1871. Ebrei di Roma tra segregazione ed emancipazione”, aperta al pubblico dal 10 novembre 2021 al 27 maggio 2022. L’esposizione si avvale dei prestiti dei più importanti musei italiani del Risorgimento e di prestigiose collezioni private, con lo scopo di far conoscere e raccontare l’impegno e il coinvolgimento degli ebrei italiani nel periodo del Risorgimento. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha prodotto la realizzazione di un video di presentazione della mostra, realizzato da Dario Prosperini, con gli interventi dei curatori Giorgia Calò e Francesco Leone e della direttrice del Museo Ebraico di Roma, Olga Melasecchi.
  Dall’eroica Repubblica Romana del 1849 alla proclamazione di Roma capitale nel 1871, si fece evidente l’identificazione tra lo spirito risorgimentale e la millenaria storia ebraica. Una comune idea di riscatto e orgoglio identitario portò alla costruzione dell’Italia unita e alla liberazione dalla secolare costrizione nei ghetti. In un dialogo tra dipinti, sculture e testimonianze documentarie, la mostra racconta il coinvolgimento del mondo ebraico in queste vicende, con particolare attenzione alla Comunità Ebraica di Roma.
  Il percorso espositivo, composto da 70 opere, tra dipinti, sculture, disegni, incisioni, manoscritti e fotografie, è accompagnato da un’installazione sonora con musiche realizzate in epoca risorgimentale. Sono gli “Inni musicali in omaggio a Vittorio Emanuele“, composti dal noto musicista ebreo romano Amadio Di Segni su parole di Crescenzo Alatri, e “Annoten Teshuà” (benedizione al sovrano), canto tradizionale di Roma armonizzato dal Maestro Amadio Di Segni.

(Ambasciata d'Italia - Bangkok, 12 gennaio 2022)


Islam unito per combattere i nemici (cristiani) del mondo islamico

di Paola P. Goldberger

Nei forum islamici si parla sempre più spesso di Islam unito, inteso come sunniti e sciiti insieme, e sempre più spesso a farlo sono religioni iraniani.
  L’ultimo in ordine di tempo a farlo durante una conferenza sull’unità islamica organizzata dall’Iranian Culture Center nella città orientale di Lahoreè, in Pakistan, è stato l’importante religioso iraniano Hamid Shahriari, segretario generale del Forum mondiale per la vicinanza delle scuole di pensiero islamiche.
  Secondo le fonti nell’occasione era presente anche Molavi Nazir Ahmad Salami, membro dell’Assemblea degli esperti iraniana e fermo sostenitore di quello che si chiama Islam unito.
  Proprio Salami avrebbe messo in guardia i presenti della pericolosità degli infedeli (Tafkir) in merito alle grandi sfide che attendono il mondo, una pericolosità che deriva proprio dalla ricerca dell’unità delle chiese più volte palesata dai leader religiosi cristiani.
  Salami ha poi affermato che l’unità di sciiti e sunniti è la strategia di base per sconfiggere i piani anti-islamici degli infedeli.
  Ha sottolineato che il sacro sistema della Repubblica islamica dell’Iran attribuisce grande importanza al progetto di riavvicinamento e considera il l’unità dei musulmani al di là delle credenze religiose come il miglior fattore per raggiungere obiettivi comuni.
  Come esempio di Islam unito che combatte gli infedeli ha poi citato l’alleanza tra forze sunnite e sciite che stanno combattendo contro Israele, in particolare Hezbollah, Hamas e la Jihad Islamica palestinese.
  Non è un caso che la conferenza si sia svolta in Pakistan, forse in questo momento la nazione islamica insieme all’Afghanistan dove le altre religioni sono più discriminate e dove il concetto di Islam unito per combattere i nemici della fede islamica sta crescendo con più convinzione.
  E non ci si faccia ingannare dal fatto che apparentemente nel mirino di questa “sacra alleanza” vi sia solo Israele e l’ebraismo. Non è così. Lo hanno detto con molta chiarezza durante la conferenza. I nemici dell’Islam sono ebrei e cristiani, forse addirittura più questi ultimi che i primi, almeno per i pakistani.
  Quello che fa rabbia è che da noi in occidente questo pericolo non viene percepito e che nelle sale vaticane si cerca ancora un modo pacifico di far convivere l’islam con il resto del mondo.

(Rights Reporter, 12 gennaio 2022)


Israele: sprovvisto di green pass non può ordinare al fast food

In un video paragona il sistema alla Germania nazista

di David Di Segni

La scorsa domenica, l’emittente Fox News ha condiviso un articolo contenente un video che ha fatto molto discutere. La clip in questione è stata girata in Israele da un uomo che, entrato all’interno del McDonald’s di Beit Shemesh, non riesce ad effettuare l’ordine dagli schermi interattivi disposti all’interno della struttura. Questo perché, dopo aver digitato sulla piattaforma di non possedere il Green Pass, il sistema lo ha rispedito alla schermata principale impedendogli di completare l’operazione.
  Perciò l’uomo ha paragonato il sistema alla Germania nazista. L'account Twitter che ha condiviso il video è autore di altri contenuti critici nei confronti dei vaccini e delle restrizioni governative relative al COVID-19, tra i quali appaiono folli parallelismi come quelli che tentano di equiparare gli hotel di quarantena in Australia e Nuova Zelanda ai campi di concentramento.
  Anche internet, come le piazze popolate dai no-vax e no green-pass, si sta riempendo di pericolose idee che tentano di generalizzare e banalizzare la Shoah. Simbolo questo, di una profonda ignoranza storica che rischia di contagiare i miliardi di connessi alle piattaforme del web. La pandemia ha sdoganato l’odio e gli insulti, ma anche il revisionismo e la generalizzazione sono elementi pericolosi che devono essere contrastati a mezzo di cultura e corretta informazione, ma soprattutto con un potenziamento del sistema d’istruzione. È necessario dare giusto peso alle parole e non permettere di snaturare la tragicità di eventi storici come quello della Shoah, che non può e non dev’essere affiancata ad un certificato di attestata vaccinazione.

(Shalom, 11 gennaio 2022)


Che ci sia profonda ignoranza storica è un fatto, e che questa sia di destra come di sinistra è un altro fatto, ma paragonare risultati non è la stessa cosa che paragonare metodi. Quello che accade adesso non deve essere messo in paragone con i campi di sterminio del 1942, ma eventualmente con il metodo di governo del nazismo che negli anni '30 ha portato poi ai campi di sterminio. Chi ha conoscenza storica può allora paragonare il Doppelstaat (Ernst Fraenkel) del governo nazista prebellico con l'attuale governance draghiana che separa la politica democratica del parlamento dal potere pluto-sanitario-tecnocratico della cabina di regia. E anche la divisione in due dei cittadini di oggi in Italia può essere messa in paragone nei metodi e nei principi (non negli oggetti) con quella della Germania nazista. Gli ebrei non dovrebbero essere i primi ad avere sensibilità a questo riguardo? Si spera naturalmente che i risultati di oggi siano diversi da quelli di ieri , ma il male bisogna saperlo vedere quando è all'inizio, in fase embrionale, non alla fine, quando il disastro ormai è avvenuto. Questo lo sanno fare tutti. M.C.


Covid-19, record di contagi in Israele: quasi 38mila in un giorno

Tra gli ultimi ad aver contratto il virus c'è anche il ministro degli Esteri, Yair Lapid

Israele registra un nuovo record di contagi da coronavirus: quasi 38mila casi accertati in 24 ore, mentre continua la corsa della variante Omicron. Secondo i dati del ministero della Salute, riporta Ynet, ieri sono state accertate 37.887 infezioni su 332.993 test effettuati e i casi attivi sono più di 185.750, con 700 pazienti ricoverati in ospedale, 247 dei quali con sintomi gravi. Lunedì erano 117.
  Da inizio mese, sottolinea Ynet, sono 190.147 i casi confermati tra gli israeliani, un dato che corrisponde al 2% della popolazione. Tra gli ultimi ad aver contratto il virus c’è anche il ministro degli Esteri, Yair Lapid. “Sì, sono risultato positivo al test per il coronavirus – ha twittato – Mi sento bene perché sono vaccinato. Vaccinatevi, indossate le mascherine, affronteremo tutto questo insieme”.
  Sul fronte della campagna vaccinale in Israele sono 367.670 le persone che hanno ricevuto la quarta dose di un vaccino anti-Covid. Dall’inizio della pandemia in Israele si sono registrati 8.271 decessi.

(Adnkronos, 11 gennaio 2022)


Olimpiadi di Monaco, 50 anni fa

I parenti delle vittime non sono stati ancora indennizzati

di Roberto Giardina

BERLINO - Dai bassotti all'attacco dei palestinesi di Settembre nero al villaggio olimpico nel 1972, Monaco si prepara a celebrare il giubileo. Ma si preferisce dimenticare gli atleti israeliani vittime dei terroristi. Perché rovinare la festa? A parte i bavaresi, mentre non si riesce a vincere la lotta contro il Covid, i tedeschi hanno altro a cui pensare.
  Ieri la Süddeutsche Zeitung ha ricordato la sfilata di bassotti per il centro di Monaco, avvenuta il 10 gennaio di cinquant'anni fa, il primo evento dell'anno olimpico. Ottocento Dackel, i cani bassotto, sfilarono per la zona pedonale al guinzaglio di belle signore in pelliccia. Dopo, gli spazzini furono costretti a straordinari per ripulire le strade dai ricordini lasciati dai cani. Il bassotto Waldi fu scelto come mascotte dei giochi, ne furono venduti a migliaia in pelouche, o come soprammobili in legno o ceramica. Allora si discusse a lungo sul simbolo da scegliere. Un bambino in lederhosen, i tipici calzoncini di cuoio? Troppo provinciale. Un cane lupo? Avrebbe evocato ricordi sgradevoli. Blondie, una lupa, era il cane preferito da Adolf Hitler. Vinse Waldi, che apparve sui manifesti dipinto con i colori dell'arcobaleno, un simbolo pacifico e divertente. I bassotti diventarono di moda e lo restarono per anni, il cane preferito dalle famiglie, poi furono dimenticati, in dicembre a Monaco ne erano registrati appena 1.962.
  Andai a Monaco per un reportage sui lavori in corso, che furono completati con puntualità. Lo stadio olimpico era un capolavoro architettonico, oggi è superato e dimenticato. Incontrai anche un gruppo di contestatori che protestavano contro l'Olimpiade, uno spreco capitalistico. Mi regalarono un loro manifesto, con un Waldi anarchico che alzava la corta gambetta sullo stadio. L'ho perduto durante qualche trasloco. Penso che oggi avrebbe un certo valore di antiquariato.
  Alla vigilia avvertii il mio giornale, Il Giorno, che era possibile un attentato durante l'Olimpiade. Pensavo ai superstiti terroristi della banda Baader-Meinhof, i capi erano stati catturati, non ai palestinesi. Mi risposero che i giochi erano una festa dello sport. Forse sospettavano che volessi seguirli, due settimane di quasi vacanza, ma i giochi non li amo. E durante le Olimpiadi di Roma, le ultime a dimensioni umane, me ne andai in vacanza a Londra.
  Quando, all'alba del 5 settembre, otto palestinesi presero in ostaggio gli atleti di Israele, io mi trovavo ad Amburgo, e i miei colleghi inviati erano bravissimi, ma non sapevano il tedesco, e allora non esisteva internet. Gli ostaggi vennero barbaramente torturati, si seppe dopo, e due di loro furono uccisi al villaggio. Le autorità finsero di cedere alle richieste, ma reagirono poco dopo mezzanotte all'aeroporto di Fürstenfeldbruck, quando i palestinesi stavano per imbarcarsi su un aereo insieme con nove israeliani. Un arabo fece fuoco sugli ostaggi, ma alcuni sarebbero stati colpiti dal fuoco amico, insieme con un poliziotto e cinque terroristi. Tre palestinesi furono catturati. Si scrisse che i tedeschi erano sempre nazisti. Ma erano in preda al panico, proprio nel timore di venire accusati di non aver saputo difendere gli atleti ebrei.
  Un ricordo che pesa ancor oggi. E i parenti delle vittime, organizzati in un comitato, protestano perché dopo mezzo secolo non hanno ottenuto un risarcimento, sia pure simbolico. La Germania perde tempo con complicazioni legali, chi è responsabile, il Bund, la federazione, la Baviera, o Monaco? I giochi sono assegnati a una città, non a una nazione. Meglio parlare di bassotti. La Süddeutsche Zeitung, per la verità, ha riportato le proteste dei parenti, sabato scorso, ma non basta.

(ItaliaOggi, 11 gennaio 2022)


La musica della vita, nei campi di sterminio

Francesco Lotoro ha raccolto per anni gli spartiti scritti con mezzi di fortuna durante le prigionie. E’ risalito alle storie di compositori e musicisti. «Queste opere sono state anche una forma di sopravvivenza».

di Roberta Scorranese

Questo è un romanzo lungo trent'anni. Ci sono spartiti, vite dissolte, sopravvissuti, versi imparati a memoria, note composte con l'urgenza di chi sa che quella potrebbe essere l'ultima notte. Un romanzo della perdita e della ricostruzione che oggi il pianista Francesco Lotoro, 57 anni, di Barletta, ha dipanato in un libro-memoir, Un canto salverà il mondo, in uscita il 20 gennaio per Feltrinelli.
  Da oltre trent'anni infatti Lotoro recupera, raccoglie e suona la musica composta nei campi di prigionia, dai lager tedeschi ai gulag sovietici. Un lavoro lungo e articolato che lo ha condotto nell'Europa orientale e in Asia, negli Stati Uniti e in Europa centrale. «Ho cominciato per puro interesse musicale - racconta - ma poi ho visto che le vite di queste persone erano inscindibili dalla loro musica. E così, a mano a mano che incontravo i sopravvissuti o i parenti delle vittime, mi rendevo conto che questa musica ha un valore non soltanto artistico, ma anche umano, culturale, storico». E così è nato questo libro, un viaggio nelle vite delle centinaia di migliaia di compositori, strumentisti, direttori d'orchestra, storici della musica che hanno vissuto la prigionia. A cominciare, naturalmente, dalle vittime dell'Olocausto.

• Generazione perduta
  «Possiamo affermare senza dubbio che dal 1933, anno dell'apertura del lager di Dachau, una intera generazione di musicisti e musiciste che avrebbero potuto cambiare il corso della musica moderna venne sterminata. Naturalmente - spiega Lotoro - la storia non si può immaginare ma solo ricostruire, però faccio due nomi: Émile Goué e Viktor Ullmann. Due grandissimi innovatori del linguaggio musicale, due visionari che avrebbero potuto cambiare il quadro culturale ma che non sono riusciti a farlo».
  Il libro è un rosario di vite che ruotano intorno alla musica. C'è la storia di Gideon Klein, cecoslovacco che «prima di essere internato a Theresienstadt, era stato un cervello musicale tra i più geniali della sua generazione». Ad un certo punto si persero le sue tracce ma la sorella Eliska si dedicherà totalmente a custodire la sua memoria fino alla morte, nel 1999. C'è la storia del praghese Rudolf Karel, che pur trascorrendo la maggior parte delle sue giornate nell'infermeria della prigione di Pankràc, devastato dalla dissenteria, riuscì a comporre numerose opere scrivendo sulla carta igienica con della carbonella yegetale. Con la complicità di un carceriere riuscì a mettere in salvo alcuni spartiti, ma poi il sotterfugio venne scoperto. C'è la storia di Pavel Haas, che fu trasferito a Theresienstadt ma prima del suo arresto, nel 1941, divorziò ufficialmente dalla moglie (non ebrea) per metterla al riparo.

• Il paradosso
  «Poi ci sono le vicende paradossali di coloro che sono riusciti a mettere in salvo le proprie opere e che sono sopravvissuti ai lager nazisti - commenta Lotoro - ma in seguito hanno perso tutto durante l'occupazione sovietica». Intrecciando le storie di uomini e donne dall'Italia alla Moldavia alla ex Unione Sovietica fino alla Germania o alla Francia, il compositore tesse un arabesco commovente, perché la musica qui assume un significato molto più profondo. «Qµalche volta - dice Lotoro - saper suonare uno strumento forse non salvava la vita ma certamente la migliorava, perché si ricevevano razioni di cibo più sostanziose e si evitavano i lavori pesanti». Nel libro c'è anche la storia di una pianista che chiese di entrare in una delle orchestre che venivano istituite nei campi di concentramento. Purtroppo il posto di pianista era già occupato e allora lei chiese di poter avere in mano una fisarmonica. Non sapeva suonarla, ma le bastò osservare i tasti per qualche minuto e imparò a farlo. Suonare, comporre, cantare: una forma di sopravvivenza, anche perché Lotoro annota che in quei casi la consapevolezza di non arrivare al giorno successivo era uno sprone a comporre le opere più belle, più chiare, quelle da ricordare. E, a proposito di memoria, moltissime di quelle composizioni vennero imparate dai parenti delle vittime e così salvate, perché al di fuori dei circuiti musicali ammessi in prigionia era vietato comporre e far circolare musica. Nell'aprile 1943 il violinista ebreo ceco Pavel Kling riuscì a portare a Theresienstadt il proprio strumento; non gli spartiti, poiché aveva interamente memorizzato il repertorio.

• Gli strumenti
  Naturalmente ci si arrangiava con quello che si aveva. «Grazie a deportati falegnami, nel 1938 a Dachau l'austriaco Herbert Zipper costruì strumenti musicali e assemblò un'orchestra clandestina che la domenica pomeriggio si esibiva in una latrina inutilizzata del Lager», ricorda Lotoro. Presso lo Stalag Villa Görlitz il compositore francese Olivier Messiaen scrisse il Quatuor pour la fin du temps nel quale violoncello e pianoforte non suonano mai alcune note perché sugli strumenti in uso a Gorlìtz mancavano le relative chiavette e corde. Particolarmente forte è la storia di Vittorio Longarato, internato presso il Campo britannico di Zonderwater (in Sudafrica): «Costruì un banjo-mandolino montato al contrario - Longarato era mancino - con la struttura in legno ricavata da una panca del campo (i trucioli furono gradualmente smaltiti nelle latrine); la parte superiore della cassa armonica era ottenuta dalla pelle di un coniglio barattata con un operatore esterno al campo in cambio di sigarette (la pelle si deteriorò e fu sostituita al ritorno in Italia), la fascia a forma di corona in metallo era il risultato della fusione della ghiera di una bomba».
  Lunghi capitoli sono dedicati alle donne, un tema che apre un altro grande scenario: gli anni dal 1933 fino al 1953 ( dunque fino alla morte di Stalin) sono anche quelli che hanno falcidiato una generazione di brillanti compositrici, strumentiste, ricercatrici della musica. Chissà, forse la storia culturale del Novecento sarebbe stata diverse se fosse stata data loro l'opportunità di esprimersi attraverso la musica, forse avremmo avuto un secolo più equo, giusto, composto sia di geni al maschile che al femminile.

(Corriere della Sera, 11 gennaio 2022)


Dal Giorno della Memoria al “Festival delle memorie”: una perversione pericolosa della storia

di Ugo Volli

Il Giorno della Memoria ha appena 21 anni. Fu celebrato ufficialmente per la prima volta il 27 gennaio 2001, dopo una legge approvata nel luglio 2000. Nazioni Unite, Unione Europea e altri stati seguirono. È stata una realizzazione importante, ottenuta 55 anni dopo la caduta del nazismo. Che la memoria fosse un dovere, che non si dovesse rimuovere l’immenso crimine di un genocidio compiuto nel bel mezzo dell’Europa con la complicità di governi e anche di popoli, fu difficile da far capire. Ancora oggi non mancano i negazionisti più o meno espliciti. Per ottenere questo risultato, cioè il riconoscimento ufficiale della necessità della memoria, si sono spesi per decenni i sopravvissuti, scrivendo libri come Primo Levi e Elie Wiesel, andando a parlare nelle scuole, guidando visite nei campi di sterminio, testimoniando per film e trasmissioni televisive, rinnovando con dolore il loro personale ricordo: hanno raccontato mille volte la loro esperienza cercando di comunicare il lutto per l’orrore infinito, di spiegare l’unicità della persecuzione subita, di indicarne le cause e i responsabili, di ammonire sul pericolo che il progetto dello sterminio tornasse in vita.
  Il Giorno della memoria è realizzato spesso in maniera un po’ retorica e burocratica, talvolta con degli abusi e dei fraintendimenti, ma quasi sempre rispettando lo scopo stabilito dalla legge istitutiva: “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.” Sui limiti, sugli abusi e sulla necessità di utilizzare bene il Giorno della Memoria ho appena pubblicato un libro (“Mai più”, Editore Sonda, in uscita il 13 gennaio).
  Ora però qualcuno ha pensato di andare al di là di questi problemi e di questi limiti, allestendo in un pubblico teatro finanziato dai contribuenti un’iniziativa intitolata “Festival delle Memorie”. Forse è un mio eccesso di sensibilità, ma devo confessarlo, l’idea di un “Festival” riferito alla Shoà, mi produce una vertigine e un senso fisico di nausea: è possibile accostare la parola “festa” (da cui festival evidentemente deriva) al genocidio, alla strage e alla tortura di milioni di persone? Chi può essere così perverso o così insensibile da pensare a una Sanremo della Shoà?
  Ma il tema vero è un altro. È giusto parlare di “memorie” al plurale? Senza dubbio le atrocità nella storia dell’umanità sono state tante e anche nel secolo scorso i genocidi sono stati numerosi: quello degli armeni, che fornì in parte il modello per la Shoà, quelli paralleli dei Greci e degli Assiri cristiani dell’impero ottomano, quello dei Tutsi, quello tentato di recente dall’Isis su Curdi e Yazidi. Nessun dubbio che vadano ricordati e condannati. Ma vanno messi assieme in un blocco, mescolandone ragioni, responsabilità, modelli criminali? L’odio sparso dai colonialisti in Ruanda, la feroce volontà di omogeneizzare etnicamente e religiosamente la Turchia, l’esito dell’antisemitismo millenario dell’Europa e dell’Islam possono essere mescolati senza perdere senso? Non si smarrisce, in questo festival o minestrone, il senso preciso delle responsabilità storiche? Non si disperde il senso della storia, fermandosi all’apparenza generica della cattiveria umana o della malvagità del potere? Non si rischia soprattutto di rovesciare le responsabilità e di schierarsi, come fa da tempo chi ha concepito questa oscenità chiamata “festival”, con quella linea politico-culturale palestinista che negli anni della Shoà si schierò attivamente con il nazismo per contribuire allo sterminio degli ebrei e oggi reitera questo progetto, sognando una nuova Shoà in Israele e cercando di anticiparla col terrorismo?
  Non sono pericoli astratti. Molti cercano oggi di insinuare un nuovo negazionismo sulla Shoà, quello che punta a presentare la capacità di autodifesa conquistata dagli eredi delle vittime non come la prevenzione della ripetizione del genocidio, ma come la sua nuova attuazione; e che cerca oggi di delegittimare, demonizzare, distruggere l’autodeterminazione nazionale degli ebrei. Anche questa è un’oscenità antisemita, che riprende i temi della propaganda dei nazisti e dei loro alleati di un tempo, come il Gran Muftì di Gerusalemme Amin al Husseini. Combattere ogni forma perversa di mascheramento del Giorno della Memoria è un dovere per tutti coloro che hanno capito davvero che cosa è stata la Shoà.

(Shalom, 11 gennaio 2022)


Addio a David Sassoli, il galantuomo che difendeva gli ebrei

di Marina Gersony

«Perdiamo un grande presidente del Parlamento europeo e un uomo di spessore che incessantemente si è speso per tessere una tela valoriale di altissimo livello, in tutte le tappe della sua vita». Sono le toccanti parole di cordoglio di Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, dopo la scomparsa prematura di David Sassoli, giornalista, conduttore televisivo e politico italiano, nonché presidente del Parlamento europeo dal 3 luglio 2019 fino alla sua morte avvenuta in seguito malattia. Lunedì era stata diffusa la notizia del suo ricovero in Italia per il sopraggiungere di una grave complicanza dovuta a una disfunzione del sistema immunitario. Aveva 65 anni.
  «Il suo agire per la democrazia e la costruzione europea è stato immenso e si è distinto per la costante coerenza – ha dichiarato la Presidente Ucei anche a nome degli ebrei italiani –. Come ci ha ricordato l’Europa unita – ha proseguito Noemi Di Segni – non è un dono dal cielo, ma il risultato di un impegno luminoso di grandi protagonisti ai quali va ad aggiungersi. Un patrimonio di imperativi del narrare, del fare e saper fare per il bene dell’umanità che siamo tutti chiamati a non disperdere. Lo ricordiamo con gratitudine e commozione anche per sua vicinanza al mondo ebraico espressa non solo a parole ma con la forza delle azioni. Sia il suo ricordo di benedizione».
  Un politico, ma soprattutto un uomo misurato e di grande spessore, apprezzato all’unanimità per l’intelligenza, la sensibilità, il garbo e l’autorevolezza morale; un uomo concreto che ha lasciato il segno per l’incessante impegno al servizio dei cittadini mirato a riavvicinarli alle istituzioni europee e nazionali. E sono numerosissime le testimonianze di stima, vicinanza e rispetto nei confronti di colui che viene ricordato come un galantuomo, parole che toccano il cuore e scorrono in un flusso incessante sul web proprio in un momento storico di grandi divisioni su molti temi e che risuonano ancora più toccanti per il sincero cordoglio che esprimono. David Sassoli, come scrivono in moltissimi, lascia un vuoto difficilmente colmabile.
  Con le Comunità ebraiche italiane Sassoli aveva instaurato un rapporto di grande vicinanza, cura e attenzione. Come quando, nell’ottobre del 2019, andò in visita alla Comunità ebraica di Roma, dove ad accoglierlo furono il rabbino capo Rav Riccardo Di Segni, la presidente Ruth Dureghello, Alessandro Ruben per l’European Jewish Congress e numerosi esponenti del Consiglio comunitario.
  «L’antisemitismo è parte della storia peggiore del nostro continente», disse in quell’occasione lanciando un chiaro e forte messaggio che ribadiva la volontà di un’Europa vigile e ferma nel difendere libertà e inclusione, costantemente impegnata a non dare spazio a qualunque forma di odio e discriminazione.  Oppure, come quando nel gennaio del 2020 in occasione del discorso della Senatrice Segre al Parlamento Europeo a Bruxelles durante la cerimonia di commemorazione delle vittime dell’Olocausto, espresse le seguenti parole in un tweet: «È un grande onore averla qui con noi oggi, Senatrice Liliana Segre, e un grande dono. Non dimenticheremo mai le sue parole sugli orrori della Shoah. Con lei, saremo più forti nel sostenere la nostra testimonianza contro l’indifferenza».
  Ed ecco ancora come lo ricordano alcuni esponenti del mondo ebraico.
  Emanuele Fiano, deputato del Partito Democratico e membro della Presidenza del gruppo PD alla Camera dei Deputati: «Addio David, il tuo sorriso e i tuoi valori saranno sempre con noi, oggi è un dolore grandissimo, ti sia lieve la terra che ti accoglie».
  Gabriele Nissim, giornalista, saggista e storico italiano, fondatore e presidente Gariwo: «Grazie David per il tuo grande impegno per la Giornata dei Giusti. Ci mancherai. Speriamo che ci sia qualcuno che abbia il tuo stesso carattere morale e la tua determinazione nel difendere ovunque i diritti dell’uomo e la difesa della dignità umana». (Vedi articolo Addio a David Sassoli, un Presidente dalla parte dei Giusti, il saluto di Gabriele Nissim e della Fondazione Gariwo).
  Ruben Della Rocca, vice presidente della Comunità Ebraica Romana, ricorda David Sassoli in un’intervista realizzata da Alessio Falconio per Radio Radicale (Ascolta audio)

(Bet Magazine Mosaico, 11 gennaio 2022)


Crescono gli affari militari tra Israele e gli Emirati

Esercitazioni militari e condivisione di sistemi di protezione missilistica. Gerusalemme esporta negli emirati i suoi gioielli tecnologici

di Sergio Barlocchetti

Si moltiplicano gli accordi industriali del settore Difesa tra Israele ed Emirati arabi uniti. Soltanto un anno e mezzo dopo la normalizzazione delle relazioni diplomatiche attivate in base agli accordi di Abraham (13 agosto 2020), le due nazioni stanno lavorando insieme in diversi comparti tecnologici. Da allora, infatti, gli Emirati arabi uniti hanno partecipato a un'esercitazione navale congiunta con Israele e il Comando centrale delle forze Usa, mentre le società di difesa di Gerusalemme hanno partecipato per la prima volta alle kermesse internazionali organizzate negli Emirati come in altri Paesi arabi. E seppure accordi in termini commerciali e industriali fossero stati siglati anche precedentemente all'inizio ufficiale delle relazioni, tanto che gli stessi arabi definirono questo accordo “un falso segreto”, ora Elbit system emirates limited, filiale araba del colosso dell'elettronica per la Difesa di Gerusalemme, ha firmato con la Forza aerea emiratina un importante contratto del valore di 53 milioni di dollari, e della durata di cinque anni, per la fornitura di sensori a infrarossi e per sistemi di guerra elettronica destinati alle aerocisterne multiruolo basate su velivoli Airbus Defence A330.
  Elbit Systems Emirates fornirà una configurazione multi-torretta del sistema di autoprotezione J-Music e del sistema di allarme aereo passivo basato su tecnologia a raggi infrarossi che la società israeliana ha già fornito a una ventina di nazioni a partire dal 2019 e installato su 25 tipi di aeromobili. Presentato tre anni fa al Paris Airshow, il J-Music è un sistema ad architettura aperta che integra anche la tecnologia laser e dotato di una telecamera termica e di una torretta, entrambe funzionanti ad alta velocità, che consentono la difesa contro azioni missilistiche basate sulla tecnologia a infrarossi, le più comuni che durante le missioni si possono incontrare ad alta ma soprattutto bassa quota. Infatti Elbit sta registrando una crescente domanda di tali capacità di protezione dalla minaccia costituita dai missili antiaerei lanciati a spalla. Un altro accordo tra Israele e Uae è stato siglato dalla Israel aerospace industries (Iai) con la Difesa emiratina per la realizzazione di congegni di difesa contro attacchi compiuti mediante droni, per la progettazione di imbarcazioni senza pilota che potrebbero anche essere armate e di un centro per la sperimentazione di sistemi elettro-ottici che è stato attivato nel novembre 2021. Infine, la Rafael advanced defense systems di Haifa (Is) ha costituito una joint venture con la società araba Group 42 per dedicarsi insieme allo sviluppo di intelligenza artificiale per l'identificazione di attacchi infornatici e non soltanto.

(Panorama, 10 gennaio 2022)


Immagini e storie del Kazakistan ebraico

di Claudia De Benedetti

La comunità ebraica di Almaty, la più grande città del Kazakistan, ha sospeso in queste ore le proprie attività. Fin dalle prime avvisaglie della gravissima situazione politica e delle violente repressioni, i circa 3.000 ebrei che risiedono nel paese stanno vivendo ore di grande apprensione barricati nelle loro case temendo che i centri comunitari e le otto sinagoghe del Kazakistan possono essere bersaglio di violenti attacchi.
  Il Museo ANU di Tel Aviv custodisce un fondo sul Kazakistan di cui il responsabile Haim Ghiuzeli ha approfondito i contenuti rendendoli disponibili alla consultazione online. Oltre a numerosi alberi genealogici, in cui si intrecciano persone nate e vissute in questo immenso paese con generazioni di ebrei polacchi e ashkenaziti, due immagini appartenenti al Oster Visual Documentation Center, sono di particolare interesse. Una fotografia del 1954, per concessione di Julia Tanchin, ritrae i membri dell’azienda agricola denominata significativamente ‘Le nuove terre’ e in cui il secondo da sinistra è il responsabile Joseph Lisinki. In una seconda fotografia, per concessione di Marina Tatroshvili, senza data certa, ma attribuita alla metà del 1900, sono ritratti alcuni membri della famiglia Orly in esilio ad Almaty ed i loro sguardi sono di straordinaria intensità.
  Le genealogie, come spesso accade per i gli stati dell’ex Unione Sovietica, risalgono alla creazione della Via della Seta. Sul percorso dell'immensa via commerciale si formarono i primi nuclei ebraici nel XVIII secolo; gli ebrei che si stabilirono in Kazakistan in quel periodo furono inviati dagli zar per svolgere mansioni amministrative. Con la Seconda Guerra Mondiale, la popolazione ebraica crebbe con l’arrivo di migliaia di persone in fuga dal nazismo. Il regime comunista costrinse gli ebrei a reprimere ogni segno identitario e a trascorrere decenni nel più totale anonimato. Dal 1991, anno dell’indipendenza del Kazakistan, gli ebrei vivono in relativa stabilità e gli episodi di antisemitismo non sono numerosi. Nel 1999 è stato fondato il Congresso Ebraico del Kazakistan, che riunisce le differenti comunità del paese. Nel 2003 è stata posta la prima pietra di un museo dedicato alle tradizioni ebraiche.
  Un importante e interessante nucleo ebraico, che possiede tratti peculiari rispetto alle comunità askenazite locali, è quello dei Lakhloukh, i cui membri parlano ancora aramaico, sono discendenti degli emigranti che, dall’allora Persia, raggiunsero il Kazakistan, durante la Prima Guerra Mondiale.
  Passato e presente si fondono in un quadro vivido che vuole essere un augurio per un futuro migliore per l’ebraismo del Kazakistan.

(Shalom, 10 gennaio 2022)


L'internazionale del complotto

di Fiamma Nirenstein

I movimenti No Vax contengono un elemento esplosivo di portata internazionale, perché popolano le più svariate parti del mondo e sono formati da persone normali pronte a immaginare che il mondo sia diviso in due parti. Una che intenzionalmente è devota a compiere azioni malvage, perché interferiscono sulla loro salute, violano la libertà a proprio vantaggio, approfittano del loro potere. Una posizione che, stimolata da un feroce incitamento continuo sui promotori della politica pro vaccini, possiede gli elementi per spingere alla violenza, persino al terrorismo, mentre crea dei propri «martiri». Invece, affrontare il Covid richiede soprattutto una quieta dose di buon senso, ignota ai No Vax che si ergono a pilastri di una logica ripetitiva fino alla nausea: ma come, non era il vaccino la soluzione di tutti i mali? Invece, non vedi quanti infettati? Allora il vaccino non è buono? Ammetti, chi ha interesse a mentire? E il green pass dovrebbe salvarci? Tutte scuse, pure fake news ...
  E così sullo sfondo, sventola lo stendardo affaticato della libertà. Nessuno toccherà la mia, dice il No Vax, io sono un uomo libero, che difende la libertà anche tua, e tu povero idiota non ti accorgi che ti riempiono di balle. Il No Vax varia dall'arrabbiatissimo selvaggio, al vicino di casa civile e pratico, uno sospettoso di ciò che il «potere» intende propinargli con chiacchiere, bollette, aumenti inaspettati, politici che fanno i loro interessi. E c'è anche il vicino artistico e colto, anticonformista di stirpe sessantottina. Anche di lui scoprirai che ritiene tutti cretini e si è vaccinato per forza. In genere che il vicino sia No Vax si capisce dopo un poco, e quindi devi stare attento a moderare il linguaggio; d'un tratto scopri che vicino a te è qualcuno, che non ti eri immaginato: hai un nuovo vicino, non è di destra né di sinistra, ma è una pentola in ebollizione anti istituzionale e disfunzionale.
  Il No Vax è un giudice severo, un democratico il cui cervello compie svarioni e salti illogici che lo portano ad abbandonare lo scenario della realtà e a mettersi improvvisamente a fantasticare congiure. Gli estremisti certo sono così, quando dicono Covid dicono anche Cina, o persino «potenze ebraiche» ( sì quelle che hanno organizzato l'attacco delle Twin Towers, che ora possiedono sette compagnie internazionali che profittano sugli infettati), o «antenne 5G nelle iniezioni». Ma non tutti sono pazzi: la mancanza di buon senso è più comune, ma si trasforma presto in rabbia. L'internazionale No Vax è robusta, pronta a diventare un movimento «intersezionale», a unirsi agli «oppressi». Può essere ecologico, arcobaleno, rosa, colorarsi di nero-nazi come in Germania, diventare antisemita come in Belgio e Francia, o comunista. Non è necessariamente di destra, tanto che Orban o Morawiecki lo combattono; né è di sinistra.
  È una creatura a parte, un mostro potenziale che ha radici nella libertà di essere ignoranti della nostra epoca, ma anche nel narcisismo, nell'impazienza, nella prosopopea, nella diffusione iperveloce sui social. Fa parte di quei manicheismi molto comuni oggi che vedono tutto il bene da una parte e tutto il male dall'altra; il nemico è un mostro; i suoi uomini sono pronti a immolarsi per restare No Vax. Proprio a causa della mostrificazione dell'avversario hanno un potenziale di violenza sconfinato, possono diventare terroristi come gli animalisti, gli wheaterman, i ragazzi della rivoluzione sociale e sessuale, i movimenti del terzo mondo. Tutti in lotta per la libertà: solo che non avevano capito come James Fitzjames Stephen, uno dei teorici vittoriani liberali più noti, che «gli effetti dei luoghi comuni sulla libertà hanno avuto il risultato di indurre a obbedire alla prima persona che richiede la loro obbedienza con enfasi senza chiedersi: libertà di fare cosa? E da quale giogo, in cambio, sono stato liberato?».

(il Giornale, 10 gennaio 2022)


Tra vicini: «L'hai visto il nuovo vicino del terzo piano - Sì, perché? - Sembra uno normale, come tutti noi, e invece... - E invece? - Invece è un no vax! - Ma no! - Sì, sì, è un no vax, te l'assicuro, l'ho sentito parlare con un altro vicino. Ma tu, se l'incontri, sta' attenta a come gli parli, perché sai, quelli lì sono strani. Sì, è vero, non sono tutti pazzi, ma la mancanza di buon senso è cosa comune fra di loro e si trasforma presto in rabbia. Quando l'incontri, quindi, ricordatelo: non è come uno di noi, è una creatura a parte, un mostro potenziale.»
A una scena come questa deve aver pensato l'autrice quando ha scritto, oltre a tutto il resto: "In genere che il vicino sia No Vax si capisce dopo un poco, e quindi devi stare attento a moderare il linguaggio; d'un tratto scopri che vicino a te è qualcuno, che non ti eri immaginato: hai un nuovo vicino, non è di destra né di sinistra, ma è una pentola in ebollizione anti istituzionale e disfunzionale".
Sinceramente, non si pensava che Fiamma Nirenstein potesse arrivare a questo punto. Quando le capiterà di scrivere ancora qualcosa di sensato sulla politica di Israele e Medioriente, saremo contenti di leggerlo e riportarlo sul nostro sito. Quanto al resto, l'antinovaxismo ormai non sorprende più: è diventato ecumenico. Si legga l'articolo che segue. M.C.


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Anatema del vescovo ai sacerdoti No Vax: «Non potete distribuire la comunione»

Monsignor Cirulli vieta anche a laici e diaconi -furbetti» le attività in presenza

di Serena Sartini

Vade retro, parroco no vax. Chissà cosa penserà don Tarcisio Colombo, sacerdote della provincia di Pavia, che recentemente ha fatto un'intera omelia contro i vaccini, della decisione del vescovo della diocesi di Teano-Calvi che ha stabilito - con un decreto - che i preti non vaccinati non possono distribuire la comunione?
  La decisione di mons. Giacomo Cirulli, peraltro laureato in medicina, è senza se e senza ma. «Proibisco - si legge in una lettera indirizzata a tutta la comunità di fedeli - la distribuzione dell'Eucaristia da parte di sacerdoti, diaconi, religiosi e laici non vaccinati». Una posizione netta e chiara, presa in seguito a una «situazione pandemica Covid-19 in costante e grave peggioramento», sottolinea il vescovo. Quella di Teano-Calvi, la cui diocesi comprende 46 comuni in provincia di Caserta, è la seconda che dispone un simile divieto. Il 4 gennaio, infatti, era stato il vescovo di Salerno, mons. Andrea Bellandi, a «esigere» che l'ostia «non venga distribuita» dai sacerdoti non vaccinati. Piuttosto, prevede il vescovo di Salerno, «autorizzo che, per la distribuzione, venga scelta ad actum una persona di fiducia (religiosa o catechista) dotata di avvenuta vaccinazione».
  L'indole del medico «mancato» monsignor Cirulli emerge dal decreto dettagliatissimo diffuso dalla diocesi, nel quale si stabilisce che durante la messa «le ostie sull'altare devono essere tenute rigorosamente coperte nei previsti vasi sacri». «Inoltre - prosegue la nota - dispongo la sospensione, a partire da domenica 9 gennaio, fino a nuova comunicazione di ogni attività pastorale, catechistica e formativa in presenza».
  Il vescovo invita «a rispettare e a far rispettare rigorosamente le norme di profilassi e igienizzazione per il contenimento della pandemia all'interno delle nostre chiese e nei locali di pertinenza». Non può mancare un invito finale alla vaccinazione. «Vaccinarsi con vaccini autorizzati dalle autorità competenti - afferma il prelato riprendendo le parole del Papa - è un atto d'amore. E contribuire a far sì che la maggior parte della gente si vaccini è un atto d'amore, per se stessi, per familiari e amici, per tutti i popoli».
  Cirulli era già intervenuto il 29 dicembre scorso con un decreto in cui vietava nelle chiese della diocesi «ogni manifestazione artistica come concerti o altri eventi» e in cui disponeva che l'ingresso fosse consentito «solo ad un numero di persone già stabilito in base alla capienza della chiesa», con obbligo di mascherine Ffp2.
  Chissà se i sacerdoti richiamati all'obbedienza dal vescovo seguiranno l'esempio di Garibaldi con Vittorio Emanuele II, proprio a Teano.

(Corriere della Sera, 10 gennaio 2022)


Covid: Israele teme tra 2 e 4 milioni positivi, 40% popolazione

Oggi 21mila nuove infezioni, crescono malati gravi

TEL AVIV - Israele potrebbe affrontare nei prossimi tempi tra i 2 e i 4 milioni di positivi (quasi il 40% della popolazione se si calcola il secondo dato) nella quinta ondata della pandemia causata nel Paese dalla variante Omicron.
Lo ha detto il premier Naftali Bennett commentando l'attuale situazione in Israele.
Secondo i dati di oggi, nelle ultime 24 ore si sono avuti 21.500 nuove infezioni rispetto a 175mila test con un tasso di morbilità del 12.31%. A questi dovrebbero essere aggiunti i 10 mila positivi che risultano, secondo i media, dai test antigenici. Se così fosse, il totale salirebbe a oltre 30 mila. In aumento anche i malati gravi che ora sono 222.
Gli Israeliani over 60 che fino ad ora hanno avuto la quarta dose sono circa 250mila.

(ANSA, 10 gennaio 2022)



Complottismo biblico

impauriti, ingannati, sedotti e schiavizzati
il diavolo sta preparando il mondo
ad accogliere l'anticristo

 
Ideologie al tramonto: il Marocco fa shopping di droni e missili in Israele

di Antonio Mazzeo

Il Marocco acquisterà in Israele batterie di missili terra-aria a medio raggio e droni armati per potenziare il proprio arsenale militare schierato contro la confinante Algeria e il Fronte Polisario nell’ex Sahara spagnolo.
  Secondo il sito specializzato Israel Defense le autorità di Rabat avrebbero avviato un negoziato con IAI – Israel Aerospace Industries, la principale holding militare-industriale israeliana, per l’acquisizione del sistema missilistico “Barak 8” (fulmine in ebraico). A condurre la trattativa il direttore marketing di IAI per i paesi del Golfo, Sharon Bitton, già colonnello delle forze armate ed ex responsabile del Coordinamento delle attività di governo nei Territori occupati (COGAT).
  Il sistema missilistico “Barak 8” è stato sviluppato dalle forze armate e dalle industrie belliche di Israele e India e viene utilizzato in ambito terrestre e navale. Alla sua progettazione e realizzazione oltre a IAI – Israel Aerospace Industries hanno concorso, tra gli altri, la società aerospaziale Rafael Advanced Defense Systems Ltd. di Haifa e il gruppo industriale Tata di Mumbai.
  Con una velocità massima di Mach 2 (580 metri al secondo) e una capacità di carico sino a 60 kg, il sistema missilistico superficie-aria ha un raggio operativo di 70 km circa. “Il Barak 8 è in grado di neutralizzare minacce aeree come caccia nemici, missili, elicotteri e droni e può colpire multipli obiettivi simultaneamente, anche in condizioni meteorologiche avverse”, riferiscono i manager di IAI.
  Nei mesi scorsi le forze armate marocchine avevano inaugurato la prima base interamente preposta alla “difesa aerea” a lungo raggio, nei pressi della città di Sidi Yahia el Gharb, nella regione settentrionale di Rabat-Sale-Kenitra. Nella base sono state installate quattro batterie di missili del sistema FD-2000B, acquistate in Cina nel 2017. Presumibile pertanto che il nuovo dispositivo bellico made in Israel possa essere destinato proprio all’installazione di Sidi Yahia el Gharb.
  In aggiunta al “Barak 8”, il Marocco sarebbe intenzionato ad acquistare da IAI anche una partita di droni kamikaze (velivoli senza pilota armati di bombe ed esplosivi che si fanno esplodere al momento dell’impatto con l’obiettivo) del tipo “Harop”, con una spesa di 22 milioni di dollari. L’“Harop” è un aereo senza pilota di piccole dimensioni (è lungo 2,5 metri), ma può trasportare un carico di esplosivi di 20 kg e volare per sette ore consecutive sino a 1.000 kilometri di distanza. Il drone è stato impiegato dalle forze armate israeliane nei raid a Gaza, in Libano e Siria e dall’Azerbaijan nel recente conflitto in Nagorno-Karabakh.
  Secondo i media israeliani, l’ok alla trattativa per missili e droni tra il Marocco e IAI sarebbe giunto durante la visita a Rabat del ministro della difesa israeliano Benny Gantz, il 23 e 24 novembre 2021. In quell’occasione è stato sottoscritto un accordo di cooperazione militare e di scambio di intelligence tra le due parti. Il Marocco, con Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Sudan, aveva normalizzato le relazioni diplomatiche e commerciali con Israele nell’ambito dei cosiddetti Accordi di Abramo, promossi dall’amministrazione Trump alla vigilia della fine del suo mandato. Dopo l’accordo formale sottoscritto da Rabat e Tel Aviv il 10 dicembre 2020, gli Stati Uniti avevano anche riconosciuto la “sovranità” del Marocco sui territori dell’ex Sahara spagnolo illegalmente occupati nel 1973.
  In occasione della missione ufficiale del ministro Benny Gantz sarebbe stata presa pure la decisione di realizzare in Marocco due stabilimenti per la produzione di droni da guerra, il primo in territorio nord-orientale, il secondo a sud. Ad ottobre i media internazionali avevano riportato la notizia che l’holding aerospaziale Israel Aerospace Industries, attraverso la propria controllata BlueBird Aero Systems, avrebbe fornito al Paese nordafricano il know how e le tecnologie necessarie alla realizzazione di micro e minidroni e di velivoli senza pilota auto esplodenti.
  Il Marocco aveva già ricevuto in passato droni di produzione israeliana. Secondo il quotidiano Times of Israel, il 26 gennaio 2020 erano stati consegnati all’aeronautica marocchina quattro velivoli senza pilota MALE (Medium Altitude Long Endurance) “Heron TP” di produzione IAI, del costo complessivo di 48 milioni di dollari. L’“Heron” può svolgere un ampio ventaglio di missioni strategiche (sorveglianza, riconoscimento e intelligence, acquisizione di dati sugli obiettivi da colpire, ecc.), ma può essere facilmente convertito in drone d’attacco con il lancio di missili aria-superficie.
  Nel 2017 l’aeronautica militare marocchina si era fornita di tre droni tattici “Hermes 900” prodotti da un’altra grande azienda aerospaziale israeliana, Elbit Systems Ltd.. Questi velivoli sarebbero attualmente schierati nelle basi aeree di Meknès e Dakhla, a disposizione delle unità d’intelligence. A fine novembre 2021 è trapelata da Tel Aviv la notizia della firma di un contratto tra le forze armate marocchine e la società israeliana Skylock Systems Ltd. per la fornitura del sistema d’individuazione e neutralizzazione anti-droni “Skylock Dome”. “Questo sistema è equipaggiato con dispositivi di monitoraggio ottico e termico e un radar che monitorizza e traccia tutte le attività sospette”, affermano i progettisti di Skylock Systems Ltd.
  “Rabat aveva già acquistato sofisticati sistemi da ricognizione elettronica allestiti dalle industrie israeliane che sono in via di installazione a bordo di cellule Gulfstream G550 modificati negli Stati Uniti per compiti ISR (intelligence, sorveglianza e riconoscimento) e SIGINT (spionaggio di segnali elettromagnetici, nda)”, annota il portale italiano Ares Difesa. “Più vicini alla firma tra Rabat e Tel Aviv sembrano essere pure i programmi d’acquisto dei nuovi radar di sorveglianza e scoperta nonché l’ammodernamento con avionica ed armamento israeliano dei caccia bombardieri leggeri Northrop F-5E, in servizio con la Forces Royales Air in circa 25 esemplari tra monoposto e biposto”.
  Rilevanti e inquietanti pure le relazioni tra Rabat e Tel Aviv nel settore della sorveglianza e dello spionaggio militare. A luglio 2021 la Direzione Nazionale Cyber d’Israele ha annunciato che il suo responsabile, Yigal Unna (già capitano della 8200 Intelligence Unit, l’unità israeliana d’eccellenza di spionaggio militare), ha sottoscritto un accordo con le autorità marocchine per “consentire il trasferimento di saperi e tecnologie da parte delle aziende israeliane”. Il Marocco, insieme a Messico, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita è stato inoltre uno dei maggiori clienti della compagnia di cyber security and intelligence NSO Group Technology, con quartier generale a Herzliya, realizzatrice dello spyware Pegasus che consente di sorvegliare da remoto gli smartphone.
  “La tecnologia sviluppata dalla compagnia israeliana è stata impiegata dal governo marocchino per spiare il giornalista Omar Radi, critico delle violazioni dei diritti umani in Marocco”, ha denunciato Amnesty International. “Il cellulare del professionista è stato sottoposto a numerosi attacchi con la nuova tecnica sofisticata Pegasus. Gli attacchi sono avvenuti nel periodo in cui Radi è stato ripetutamente molestato dalle autorità marocchine, e alcuni di essi pure qualche giorno dopo che NSO Group Technology aveva promesso che i suoi prodotti non sarebbero stati più utilizzati per abusi dei diritti umani. Essi sono invece continuati almeno per tutto il mese di gennaio 2020”.
  Oltre a Omar Rady ci sarebbero stati altri sette giornalisti marocchini posti sotto “controllo” da Pagasus: Taoufik Bouachrine, Aboubakr Jamai, Hicham Mansouri, Soulaimane Raissouni, Ali Amar, Omar Brousky e Maria Mokrim. In un articolo pubblicato il 27 luglio 2021, Nigrizia ha evidenziato che le autorità governative del Marocco avrebbero utilizzato l’applicazione di NSO Group Technology per spiare pure due cittadini francesi, Claude Mangin e Philippe Bouyssou.
  Mangin è la moglie del detenuto politico saharawi Naama Asfari, condannato a 30 anni di prigione per aver partecipato nel 2010 ad alcune proteste popolari scoppiate nell’accampamento di Gdeim Izik, nel Sahara Occidentale; Philippe Bouyssou è il sindaco di Ivry-sur-Seine, città che ha promosso progetti di solidarietà con il popolo saharawi. Secondo Radio France, anche i cellulari dell’avvocato francese Joseph Breham e del rappresentante del Fronte Polisario in Europa, Oubi Bachir Bouchraya, sarebbero stati “intercettati” dai servizi segreti marocchini.
  Pure il settore tecnologico-scientifico dual use (civile-miliare) vede il fiorire di accordi di cooperazione tra le università marocchine e quelle israeliane. La Tel Aviv University ha attivato borse di studio e stage formativi a favore di studenti provenienti dal paese nordafricano. Inoltre, un paio di mesi fa, la Mohammed VI Polytechnic University di Rabat ha sottoscritto un memorandum di collaborazione con la Ben-Gurion University of the Negev (uno dei centri accademici israeliani più coinvolti nella ricerca di nuovi sistemi d’arma e nello sviluppo delle tecnologie nucleari) e con la Reichman University (IDC Herzliya), la maggiore istituzione universitaria privata in Israele, fondata nel 1994 da Uriel Reichman, già sottufficiale della Brigata Paracadutisti durante la guerra dei Sei giorni nel 1967 e dello Yom Kippur del 1973.
  Per la cronaca la Mohammed VI Polytechnic University di Rabat è l’ente accademico con cui la Fondazione Med-Or di Leonardo S.p.A. ha sottoscritto recentemente un accordo di collaborazione che consente agli studenti marocchini di accedere alle borse di studio finanziate dal gruppo industriale italiano produttore di sistemi bellici presso la LUISS “Guido Carli” di Roma. A firmare l’intesa per Fondazione-Leonardo, il presidente Marco Minniti, ex parlamentare Pd e ministro dell’Interno della Repubblica italiana con il governo Gentiloni (dicembre 2016-giugno 2018).

(Africa ExPress, 5 gennaio 2021


Israele riapre i confini, ma i contagi aumentano

Per entrare nel Paese è richiesto un ciclo completo di vaccinazione

Da oggi Israele riapre i propri confini agli stranieri purché siano vaccinati o guariti dal Covid. È stata infatti abolita la lista dei Paesi rossi da cui era proibito l'ingresso nel territorio nazionale. Anche gli israeliani potranno recarsi all'estero senza permessi speciali, ma le autorità sconsigliano i viaggi.
  Per entrare nel Paese è richiesto un ciclo completo di vaccinazione, purché non siano trascorsi più di sei mesi dalla somministrazione dell'ultima dose. I guariti devono aver ricevuto almeno una dose di un vaccino. I turisti che entrano nel Paese devono presentare un test negativo effettuato entro 72 ore prima del viaggio, sottoporsi a un tampone all'arrivo in aeroporto e restare in quarantena fino a un risultato negativo.
  La variante Omicron è diffusa in tutto il Paese e ha causato un'impennata di contagi. Il ministero della Sanità ha registrato un forte aumento di pazienti ricoverati con sintomi gravi, 205 in un giorno. Il 31 dicembre erano circa 93 i pazienti Covid gravi in ospedale. Nell'ultima giornata, inoltre, sono stati 17.521 i nuovi casi di coronavirus segnalati dal ministero della Salute.
  In Israele è in atto per tutti gli over 60 la quarta vaccinazione che ha riguardato finora oltre 200mila persone. Il premier Naftali Bennett ha convocato per martedì prossimo una riunione del governo dedicata alla situazione sanitaria.

(RaiNews, 9 gennaio 2022)


Volantini nelle vie del centro di Lucca: “Ai no vax Zyklon B”

Una citazione macabra del gas utilizzato per sterminare gli ebrei.

Nel centro di Lucca
Volantini choc contro i no vax nelle strade del centro. Sono apparsi in nottata e non hanno mancato di indignare i molti che li hanno visti. Recitano precisamente Ai no vax Zyklon B. Una rievocazione macabra, inopportuna e del tutto fuorviante rispetto al dibattito in corso del gas utilizzato nei lager nazisti per uccidere centinaia di migliaia di ebrei.
  “La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi, ha detto Mario Rigoni Stern – commentano un gruppo di cittadini – Vogliamo aprire con questa frase sulla memoria, la condanna a chi oggi in due vie principali di Lucca (una è via Pescheria, ndr) si è vergognosamente operato ad incollare cartelli con la scritta ai no Vax zyklon B”.
  “Vogliamo ricordare proprio a questi individui – si legge ancora – quanto odio, quanta meschinità, quanta infame cattiveria hanno usato in una semplice frase. Indicare tale “punizione” è oltraggioso verso i morti, oltraggioso verso quella parte sana ed ancora civile di Umanità che vive il nostro oggi, vogliamo ricordare che le scelte diverse in una società moderna e che si definisce inclusiva, devono essere accolte ed anche contestate, ma che la minaccia e l’augurio di morte è qualcosa di deplorevole ed assolutamente da condannare. Questo può nascere solamente in un clima di grande ignoranza e terrore, in qualcosa che non vogliamo chiamare nazismo perché questo accade ora, adesso e non settantacinque anni fa. Questa non è condanna politica, ma arbitraria violenza ed istigazione ad essa, che è evidente ormai non conosce colore o bandiera, ma che istiga ad aggredire l’altro, ad escludere, a distruggere quanto è stato conquistato negli ultimi decenni”.
  “Bene, ci uniamo nel condannare questo atto, questo cartello apposto volutamente nelle vie principali della nostra città, una città che si vanta di essere democratica ed onesta – conclude il commento del gruppo di cittadini arrivato alla nostra redazione –  La città che dovremmo attraversare in sicurezza, la città nella quali i nostri bimbi devono crescere, la comunità che dovrebbe cooperare e comunque tutelare i cittadini. Chiediamo formalmente un atto di scuse pubbliche che sia l’incipit vero di un confronto sano e la ripresa di una coscienza collettiva in un momento di grande necessità di dialogo e di informazione”.

Sul tema anche il Comitato Scuola Consapevole Toscana: “Dopo le recenti parole accusatorie di Macron, le minacce di arresto dell’ex coordinatore del Cts Miozzo e due anni di propaganda infamante nei confronti di coloro che, lo ripetiamo, hanno legittimamente scelto di non aderire alla terapia sperimentale, passeggiare nella città di Lucca e leggere questo augurio di morte di stampo nazista appeso in bella vista lungo due principali vie è un’ulteriore coltellata non solo alla recente memoria storica, ma soprattutto ai valori di quella democrazia che in Italia giace ormai  senza vita sotto le spoglie della nostra Costituzione. Ai no vax Zyklon B, il gas usato per sterminare gli ebrei, una frase piena di odio e di meschinità che non è dei dissidenti, dei cittadini disobbedienti, no, Arriva da parte di quella popolazione che ha deciso di ‘vaccinarsi’ per il bene dell’altro, per la comunità, da parte di coloro che si sono sacrificati per salvare i più deboli, quelli non egoisti, che pensano solo al bene comune: la tortura e la morte secondo il  metodo della soluzione finale del regime nazista”.
  “Ci si dovrebbe chiedere – prosegue la nota – perché siamo arrivati a questo punto? Perché questa cattiveria, ignoranza e  pregiudizio?  Nonostante il 90% e oltre degli italiani siano vaccinati, è evidente che i contagi dilagano sia tra vaccinati che non, che le attività sono in crisi non tanto per la malattia in sé, che viene efficacemente curata anche con le terapie domiciliari, quanto per le regole e le limitazioni adottate; nonostante non ci sia un vero e proprio obbligo per legge, nonostante si voglia asserire di vivere in uno stato democratico in cui  dovrebbe vigere la pluralità delle opinioni e la libertà di pensiero, il clima di odio e di meschinità è al  culmine e il rischio di guerra civile dietro l’angolo. Come siamo arrivati a questo punto? Fino ad ora se parte della popolazione ha protestato contro il green pass, definendolo una tessera discriminatoria come lo era stato il pass nazista e la tessera verde fascista (perché impedisce di lavorare,  di prendere mezzi pubblici e di svolgere qualsiasi altra forma di attività), si è gridato allo scandalo: non si devono e non si possono fare paragoni con la storia di 75 anni fa. Ora non siamo in dittatura e non ci sono discriminazioni. A questo punto, dopo la lettura di questi cartelli di morte, secondo i metodi nazisti, nessuno grida più allo scandalo? Il silenzio non è ammissibile”.
  “Tutti coloro che ricoprono un ruolo a livello amministrativo, politico, nella comunicazione, nella scuola, nelle istituzioni pubbliche e private – conclude il comitato – hanno una grande responsabilità nell’aver creato attraverso la comunicazione unidirezionale questo clima di terrore, divisione sociale, istigazione allo scontro e alla lotta contro quella minima percentuale che è diventata il capro espiatorio su cui far ricadere la colpa di un sistema economico al collasso.  Il Comitato Scuola Consapevole Toscana condanna senza se e senza ma questo riprovevole gesto e tutta la propaganda contro una parte della popolazione italiana che sta lottando per i diritti civili di tutti noi. Chiediamo formalmente alle autorità cittadine di esprimersi con una condanna in merito a tale indecente gesto; il loro non esporsi sarebbe una forma di complicità e approvazione inaccettabile dello stesso. Ci auguriamo che sia questa l’occasione che faccia aprire gli occhi sulla gravità della situazione sociale, già tante volte da noi denunciata, e segni l’inizio di un nuovo modo di fare comunicazione: è necessario dare spazio a un’informazione corretta, al dialogo aperto alla pluralità delle idee e delle posizioni al fine di raggiungere un nuovo clima di tolleranza e accettazione dell’altro nel rispetto della persona umana”.

(La Gazzetta di Lucca, 9 gennaio 2022)


L'avevamo già scritto: non è che i novax assomigliano agli ebrei, sono gli antinovax che assomigliano agli antisemiti. L'antinovaxismo, stimolato dalla recenti decisioni del governo, comincia a diventare inquietante. M.C.


F-35, Leonardo e non solo. Tutte le sinergie Italia-Israele

Cosa ha detto l’ambasciatore israeliano a Roma Dror Eydar riguardo il rapporto tra Italia e Israele

di Chiara Rossi

Sempre più saldo l’asse Italia-Israele.
  “Le relazioni con l’Italia sono eccellenti, anche sul Covid. Ma collaboriamo in diversi settori. Nel campo della sicurezza e dell’intelligence, nella sfera del cyber, tra gli eserciti”. Lo ha sottolineato Dror Eydar, ambasciatore israeliano a Roma, in una recente intervista al Messaggero.
  “Lo scorso giugno sono stato ad Amendola, dove si è svolta una esercitazione delle nostre forze aeree con F-35, insieme alle forze americane e britanniche. La società israeliana Tower sta per investire mezzo miliardo di euro nella costruzione di un centro di produzione nel nord Italia. Lavoriamo in collaborazione con Confagricoltura e il Ministero dell’Agricoltura, insieme al comune di Napoli, per realizzare un polo per l’innovazione tecnologica nel campo dell’agricoltura, dell’acqua e dell’energia, nella speranza che di anno in anno questo possa richiamare tutti i Paesi del Mediterraneo e dell’Europa” ha spiegato il diplomatico israeliano.
  Tutte le sinergie tra Italia e Israele a partire dal campo della difesa e sicurezza e non solo.

• INTESE NEL CAMPO SICUREZZA, CYBER E INTELLIGENCE
  Per il punto sulle relazioni tra Italia e Israele, l’ambasciatore israeliano Dror Eydar cita per primo il fronte della sicurezza con accenno alla sfera cyber. E proprio dinnanzi la recente minaccia di Log4Shell, la vulnerabilità di Java che ha allertato ricercatori di sicurezza informatica di tutto il mondo, Roma e Tel Aviv hanno fatto fronte comune. Secondo quanto riportato Formiche.net, un convegno a Bari dello scorso 16 dicembre “è diventato il pretesto per un incontro operativo e dietro le quinte tra l’Acn [Agenzia per la cybersicurezza italiana] e la sua “gemella” israeliana, il Direttorato nazionale cyber israeliano (Incd)”. “Al centro un piano d’azione per fare i conti con Log4Shell” appunto secondo Formiche.net.

• F-35 E NON SOLO
  Ma oltre il campo della sicurezza, anche nella difesa sono strette le relazioni tra i due Paesi.
  L’ambasciatore ha menzionato infatti l’esercitazione delle due forze aeree con F-35 ad Amendola di questa estate. Per la prima volta in Europa infatti, si sono addestrati insieme, con assetti F-35, personale di volo e tecnico specializzato di quattro diverse nazioni: Italia, Usa, Regno Unito e Israele. Iniziata il 7 giugno scorso, la Falcon Strike 2021 è un’esercitazione multinazionale e multi-dominio basata su aeromobili di quinta generazione stealth F-35 Lightning II che operano in uno scenario di quinta generazione. L’esercitazione ha coinvolto oltre 50 velivoli e circa 600 persone provenienti da tutte le nazioni partecipanti.
  “Si tratta della più grande e più lontana esercitazione a cui hanno mai preso parte questi nostri velivoli”, aveva commentato a Times of Israel un ufficiale dell’aeronautica israeliana.
  Inoltre, subito dopo la Falcon Strike, dal 6 al 9 luglio, il 32° Stormo di Amendola ha ospitato, per la prima volta in Italia, l‘F-35 Users Group Working Group (UGWG) meeting, forum internazionale a cui hanno partecipato circa 50 rappresentanti dei Paesi utilizzatori del velivolo F-35, tra cui Belgio, Danimarca, Olanda, Stati Uniti, Israele e Italia appunto.

• LA COLLABORAZIONE NEL SETTORE DIFESA
  Ma la collaborazione militare tra Italia e Israele non si esaurisce con gli F-35.
  Come ha scritto Aurelio Giansiracusa di Ares Difesa, “È stato presentato in Parlamento alle competenti Commissioni Difesa di Camera e Senato per l’acquisizione del relativo parere il programma pluriennale di ammodernamento e rinnovamento A/R n. SMD 37/2021, configurantesi quale pianificata 2° tranche del già avviato ed approvato programma di A/R n. SMD 03/2020 (“Piattaforma Aerea Multi-Missione, Multi-Sensore”).
  “Tale programma è finalizzato alla progressiva implementazione di modifiche strutturali e integrazione del sistema di missione CAEW (Conformal Airborne Early Warning) su velivoli Gulfstream G-550 acquistati in versione “green” volte al raggiungimento della Full Mission Capability, nei segmenti strategici della caratterizzazione, sorveglianza e monitoraggio della situazione tattico-operativa, supporto decisionale di livello strategico e operativo, Comando e Controllo (C2) multi-dominio e protezione elettronica” ha spiegato Giansiracusa.
  Come è noto — ha ricordato l’esperto — “l’Italia, nell'ambito di un accordo intergovernativo di cooperazione e collaborazione militare siglato nel 2003 con Israele, a fronte della fornitura di 30 velivoli d’addestramento avanzato Leonardo M-346 alla Israeli Air Force, ha ottenuto dalla controparte israeliana una fornitura di pari valore, consistente in due velivoli G-550 CAEW ed un satellite di osservazione e controllo OPSAT 3000”.

• GLI ELICOTTERI DI LEONARDO
  E proprio Leonardo con i suoi M-346 è tornato protagonista questa primavera in Israele.
  Lo scorso aprile Grecia e Israele hanno annunciato un maxi-accordo nel settore della Difesa e che comprende un contratto da 1,65 miliardi di dollari per l’istituzione e il funzionamento di un centro di addestramento per l’aeronautica militare greca (Greek International Flight Training Center) da parte dell’appaltatore israeliano della difesa Elbit Systems per 22 anni.
  Il centro sarà dotato anche di 10 velivoli di addestramento M-346 di Leonardo. Stando alle stime di Banca Akros tale commessa può valere per Leonardo più di 300 milioni.

• INVESTIMENTO DELLA ISRAELIANA TOWER PER I SEMICONDUTTORI
  Dalla sicurezza e difesa arriviamo all’innovazione tecnologica nel campo dei semiconduttori. Come ha sottolineato l’ambasciatore Eydar, “la società israeliana Tower sta per investire mezzo miliardo di euro nella costruzione di un centro di produzione nel nord Italia”.
  Il chip-maker franco-italiano StMicroelectronics si è alleato infatti con Tower Semiconductor, attiva nella produzione di wafer di silicio per dispositivi a semiconduttore per conto terzi (foundry).
  A giugno le due aziende hanno siglato un accordo in base al quale Stm ospiterà Tower nella fabbrica Agrate R3 da 300 mm attualmente in costruzione nel suo sito di Agrate Brianza, in provincia di Monza Brianza.
  Stm e Tower uniranno quindi le proprie risorse per accelerare la crescita delle attività di produzione, ovvero il cosiddetto ramp-up, fattore chiave per raggiungere un alto livello di utilizzo degli impianti e, di conseguenza, un costo competitivo per wafer di silicio.
  I prodotti fabbricati in Agrate R3 supporteranno i mercati dell’auto, dell’industrial e della personal electronics. “In un’ottica di medio-lungo termine, contribuiranno ad attenuare le tensioni sul lato dell’offerta in una vasta gamma di applicazioni” secondo il numero uno di Stm.
  “La produzione partirà a fine 2022 e a regime un impianto del genere potrebbe valere 2mila posti di lavoro. Un terzo dei quali grazie a noi” aveva dichiarato al Sole 24 Ore Ilan Rabinovich, manager di Tower Semiconductor.

• IL POLO PER L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA
  Infine, l’asse italo-israeliano nel campo dell’innovazione tecnologica si rafforza anche con l’agritech hub di Napoli.
  Il polo per l’innovazione tecnologica nel campo dell’agricoltura, dell’acqua e dell’energia avrà luogo a Napoli con il contributo di Confagricoltura e il Ministero dell’Agricoltura.
  Proprio sul fronte della ricerca, il sindaco di Napoli Manfredi aveva evidenziato lo scorso novembre quanto sia ”salda” la cooperazione tra il sistema della ricerca napoletano e campano e il sistema israeliano che ”potrà essere ulteriormente rafforzata anche in virtù di tanti nuovi progetti che dovranno partire tra il grande progetto dell’applicazione della tecnologia all’agricoltura con l’istituzione a Napoli del Centro nazionale”.

(Start Magazine, 9 gennaio 2022)


Tu Bishvat – La festa e le sue parole

Tu Bishvat-  טוּ בִּשְׁבָט – Capodanno degli alberi – רֹאשׁ הַשָּׁנָה לָאִילָנוֹת

Il Tu Bishvat è una festa ebraica in cui si festeggia il Capodanno degli Alberi.
Il nome Tu Bishvat significa semplicemente il 15 del mese di Shevat, la data in cui avviene questa festa. TU (ט”ו), che è il numero quindici nella Ghimatria; “be” – בּ – significa “in”; Shvat – è il mese Shvat del calendario ebraico, che cade a gennaio o a febbraio nel calendario gregoriano.
Il 15 del mese di Shvat celebra il momento in cui in Israele, dopo il periodo invernale, spuntano le prime gemme sugli alberi e la frutta comincia a maturare. Questo indica l’arrivo della primavera e l’inizio di un nuovo ciclo di vita della natura.

Albero – Ez – עֵץ
Capodanno – Rosh Ha Shana – רֹאשׁ הַשָּׁנָה
Frutta – Perot – פֵּרוֹת

Tu Bishvat proviene dalla Mishna (l’insieme della Torah orale e il suo studio) dove è indicato come il Capodanno degli alberi. Non è una festa stabilita nella Torah scritta, come Pesach, Shavu’ot e Succòt; e non è come le feste di Hanukkah e di Purim, le due feste principali nell’ebraismo, la cui fonte non è dalla Torah. La celebrazione di Tu Bishvat è legata alla tradizione...

(corsoebraico.com, 9 gennaio 2022)


L’acqua e la geopolitica del futuro Medio Oriente

Oltre 2,5 trilioni di dollari di Pil vengono prodotti in aree del Medio Oriente e Nord Africa ad alto rischio per via della diminuzione delle disponibilità idrica. Un elemento ulteriore di instabilità

di Emanuele Rossi 

Il 6% per cento della popolazione mondiale vive in una regione in cui è contenuto solo l’1% di risorse idriche: il Medio Oriente. Gli effetti di questa situazione, destinati a peggiorare con il procedere del global warming e la crescita demografica, sono stati già subiti dall’Iran con la stagione di proteste contro l’establishment a cui ha dato il via la crisi idrica in alcune aree del Paese, ma si sono mostrati anche sull’accordo dall’alto valore geopolitico tra Giordania, Emirati Arabi Uniti e Israele.
  Nel giro di meno di quattro decenni, la quantità di acqua dolce a disposizione di un residente nell’area MENA (Middle East and North Africa) è stata dimezzata, da 3mila metri cubi a persona a 1500, in gran parte a causa della rapida crescita della popolazione, ma anche a causa di un sensibile inizio di riduzione delle risorse idriche. Vale la pena ricordare che la media sulla Terra è di 7mila metri cubi. Al momento, 16 dei 25 paesi dei Paesi con livelli di stress idrico più pronunciato si trovano nella regione.
  Il cambiamento climatico ridurrà la quantità e la qualità dell’acqua nella maggior parte delle regioni aride e semiaride, oltre ad aumentare la frequenza di inondazioni e siccità in tutto il mondo e l’area MENA risentirà di questo in modo molto pronunciato in relazione al numero di abitanti e alla concentrazione di piani di sviluppo lanciati da Paesi come gli Emirati, l’Arabia Saudita, il Qatar, o Israele e l’Egitto. Entro il 2050, la scarsità d’acqua potrebbe costare qualcosa stimabile tra il 6 e il 14% del Pil dell’intera regione ogni anno: secondo un’analisi della World Bank, nell’area la domanda idrica quintuplicherà entro il 2050.
  Intervistato dalla CNN, il Segretario Generale dell’IDA, Shannon McCarthy, spiegava che gli impianti di dissalazione si concentrano soprattutto nei paesi del Golfo Persico, dove in alcuni casi l’acqua trattata raggiunge il 90% di quella utilizzata per usi domestici. Il 48% di questo genere di impianti si trova nell’area, raccogliendo investimenti che nel 2022 toccano i 4 miliardi di dollari. La dissalazione è una risorsa nella risorsa e uno dei pochi metodi per permettere una forma di equilibrio.
  Come successo con la riapertura delle relazioni tra Giordania e Israele, questo genere di impianti per accedere all’acqua sono già motore di relazioni intra-regionali e internazionali. Allo stesso tempo portano nella regione investimenti dall’esterno: ora la dissalazione è molto più conveniente del passato – un tempo un metro cubo di acqua dissalata costava 10 dollari, ora è sotto i 50 centesimi.
  Ci sono inoltre opportunità non sfruttate per aumentare la sicurezza idrica nell’area MENA. Circa l’82% delle acque reflue della regione non viene riutilizzato; sfruttare questa risorsa genererebbe una nuova fonte di acqua pulita. Circa l’84% di tutte le acque reflue raccolte nei ricchi paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) viene trattato a livelli di sicurezza igienica, ma solo il 44% viene riutilizzato.
  Secondo uno studio condotto dal World Resource Institute e della Banca Mondiale, ci sono tre opzioni per evitare stress idrici ulteriori: aumentare l’efficienza agricola, tramite sementi che richiedono meno acqua, irrigazioni di precisione, investimenti per aumentare la produttività e l’efficienza, oltre che consumi più sostenibili; investire in infrastrutture grigie e verdi, ossia infrastrutture costruite (come i tubi e gli impianti di trattamento) e le infrastrutture verdi (come le zone umide e gli spartiacque sani) possono lavorare in tandem per affrontare i problemi di approvvigionamento idrico e di qualità dell’acqua; trattare, riutilizzare e riciclare per creare nuove fonti d’acqua.
  Il 71% del Pil della regione Medio Orientale e Nord Africana viene prodotte in zone in cui la carenza di risorse idriche è molto elevata (in controtendenza con la media mondiale, dove è il 22% a trovarsi in condizioni simili). In valore assoluto è stato stimato che 2,5 trilioni di dollari di Pil sono attualmente prodotti in zone da considerarsi a rischio per via di una diminuzione costante della disponibilità idrica. Si tratta di un ulteriore fattore di instabilità in un’area che sta faticosamente cercando equilibri

(Formiche.net, 9 gennaio 2022)


Preghiere durante la pandemia

Intervista a Rav Jacov Di Segni

La pandemia ha cambiato completamente il nostro stile di vita, anche nella sua componente culturale. Un fenomeno che si è già verificato anche durante le epidemie nel passato, come emerge dai documenti dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, quando il distanziamento imponeva le chiusure dei luoghi pubblici, incluse le sinagoghe. Le preghiere venivano così recitate dai rabbini affacciati alle finestre delle proprie abitazioni. Oggi come allora, in casi come questo che stiamo vivendo, si usa comporre o riprendere delle preghiere che evochino la salvezza e la guarigione. Lo spiega a Shalom Rav Jacov Di Segni, Direttore dell’Ufficio Rabbinico di Roma.
  “Abbiamo deciso di introdurre queste tefillòt quando è divenuto evidente che la pandemia stesse mietendo numerose vittime, e che non si trattasse di una malattia passeggera. L’idea è partita dall’Italia e poi è stata pubblicizzata da vari rabbini in Israele. Personalmente ne avevo proposte alcune nel tempio che frequento, quello spagnolo, che poi si sono diffuse anche altrove”.
  Tra le preghiere aggiunte, alcuni versi di Avinu Malkènu, che solitamente si recita nei giorni penitenziali tra Rosh Ha Shanà e Kippur, quando viene scritto il destino delle persone. La sua origine risale ad un antico periodo di siccità. “Si racconta che nella terra di Israele non pioveva da tempo: Rabbi Akivà salì sulla tevà (l’altare) e ne recitò tre versi. Poi scese la pioggia”.
  Dunque una preghiera molto forte, di cui sono state riprese tre parti. “La prima chiede al Signore «[…] manda una guarigione completa ai malati del tuo popolo». È riferita al “tuo popolo”, però ovviamente ci si riferisce a tutta l’umanità. Nella seconda si dice «[…] frena e interrompi l’epidemia dalla tua eredità», dove per eredità ci si può riferire o al popolo d’Israele, che appartiene al Signore, o alla terra d’Israele. La terza afferma «[…] interrompi la pandemia e la fame». Questo verso è stato molto sentito, perché in tanti hanno perso il lavoro e si sono trovati in difficoltà anche solo per sostenere le spese di prima necessità”.
  Anche nella Roma ebraica del passato si riscontrano simili preghiere, alcune delle quali risalgono all’800. Finora si è preferito utilizzare tefillòt classiche note a tutti, ma in altri Paesi ne sono state composte alcune proprio contro il Covid. “Un’altra Tefillà che ho sentito da Rav Lau, il padre del Rabbino Capo d’Israele, diceva di pregare sia per la guarigione dei malati che per il mantenimento dell’integrità dei sani” conclude Rav Jacov Di Segni.
  La preghiera, secondo alcuni, è la cura dell’anima. Uno strumento che permette alle persone di avere un contatto diretto col divino, nella speranza che tutto, un giorno, possa finalmente dirigersi verso una “nuova” normalità.

(Shalom, 9 gennaio 2022)



Il mio servo Giobbe (4)

di Marcello Cicchese

Riflessioni sul libro di Giobbe.

CAPITOLO 30
  1. E ora servo di zimbello a dei più giovani di me, i cui padri non mi sarei degnato di mettere fra i cani del mio gregge!
  2. E a che mi sarebbe servita la forza delle loro mani? Gente incapace a raggiungere l'età matura,
  3. smunta dalla miseria e dalla fame, ridotta a brucare nel deserto, la terra da tempo nuda e desolata,
  4. strappando erba salsa presso ai cespugli, ed avendo per pane radici di ginestra.
  5. Sono scacciati di mezzo agli uomini, la gente grida lor dietro come dietro al ladro,
  6. abitano in burroni orrendi, nelle caverne della terra e fra le rocce;
  7. ragliano fra i cespugli, si sdraiano alla rinfusa sotto i rovi;
  8. gente da nulla, razza senza nome, cacciata via dal paese a bastonate.
  9. E ora io sono il tema delle loro canzoni, il soggetto dei loro discorsi.
  10. Mi detestano, mi fuggono, non si trattengono dallo sputarmi in faccia.
  11. Non hanno più ritegno, mi umiliano, rompono ogni freno in mia presenza.
  12. Questa gentaglia insorge alla mia destra, m'incalzano, e si appianano le vie contro di me per distruggermi.
  13. Hanno sovvertito il mio cammino, lavorano alla mia rovina, essi che nessuno vorrebbe soccorrere!
  14. Avanzano come attraverso un'ampia breccia, si precipitano innanzi in mezzo alle rovine.
  15. Terrori mi si rovesciano addosso; l'onore mio è portato via come dal vento, è passata come una nube la mia felicità.
  16. Ora l'anima mia si strugge in me,
  17. giorni d'afflizione m'hanno colto.
  18. La notte mi trafigge, mi stacca le ossa, e i dolori che mi rodono non hanno posa.
  19. Per la grande violenza del mio male la mia veste si sforma, mi si serra addosso come la tunica.
  20. Dio m'ha gettato nel fango, e rassomiglio alla polvere e alla cenere.
  21. Io grido a te, e tu non mi rispondi; ti sto dinanzi, e tu non mi consideri!
  22. Ti sei mutato in nemico crudele verso di me; mi perseguiti con la potenza della tua mano.
  23. Mi levi per aria, mi fai portare via dal vento, e mi annienti nella tempesta.
  24. Io lo so, tu mi conduci alla morte, alla casa di convegno di tutti i viventi.
  25. Ma chi sta per perire non protende forse la mano? e nell'angoscia sua non grida al soccorso?
  26. Non piangevo io forse per chi era nell'avversità? l'anima mia non era forse angustiata per il povero?
  27. Speravo il bene, ed è venuto il male; aspettavo la luce, ed è venuta l'oscurità!
  28. Le mie viscere ribollono e non hanno requie, sono arrivati per me giorni d'afflizione.
  29. Me ne vado tutto annerito, ma non dal sole; mi alzo in mezzo all'assemblea e grido aiuto;
  30. son diventato fratello degli sciacalli, compagno degli struzzi.
  31. La mia pelle è nera, e cade a pezzi; le mie ossa son calcinate dall'arsura.
  32. La mia cetra non dà più che accenti di lutto, e la mia zampogna voce di pianto.
    "Beato l’uomo che Dio castiga! E tu non disdegnare la correzione dell’Onnipotente; perché egli fa la piaga, ma poi la fascia; egli ferisce, ma le sue mani guariscono, In sei distrette egli sarà il tuo liberatore e in sette il male non ti toccherà" (Giobbe 5:17-19).

Sono le parole con cui Elifaz di Teman cerca nel suo primo intervento di convincere Giobbe a riconoscere i suoi peccati, umiliarsi davanti a Dio  e aspettare fiducioso il Suo perdono, nella certezza di essere un giorno pienamente ristabilimento. 
  Ma né lui né i suoi compagni riescono a smuovere Giobbe. Nell'ultima delle tre tornate di interventi, il secondo degli amici, Bildad di Suach, dice soltanto poche parole, mentre il terzo, Tsofar di Naaman, rinuncia del tutto a intervenire.
  Alla fine Giobbe rimane il totale padrone del campo, e in assenza di oppositori si lancia nel suo ultimo appassionato discorso. Che svolge in tre tempi, con due interruzioni alla fine dei capitoli 26 e 27, come volesse lasciare a qualcuno degli amici la possibilità di intervenire ancora; cosa che però non accade. 
  Dopo l'intermezzo del capitolo 28, nei capitoli 29, 30, 31,  Giobbe conclude in piena solitudine la sua arringa davanti a un Dio che si mantiene ostinatamente silenzioso e a cui ogni tanto  rivolge la parola. Ma da cui non riceve risposta.
  Nel capitolo 29 Giobbe riporta alla memoria un passato stupendo. Quello che Giobbe nostalgicamente ricorda non è usuale: rimpiange il tempo in cui Dio gli era amico, quando l'Onnipotente stava ancora con lui (29:4). Da Dio aveva ricevuto  l'incarico di svolgere il prezioso servizio di amministrare per Suo conto la società degli uomini con giustizia e misericordia. 
  Al fine di svolgere bene questo incarico, Dio gli aveva dato energia, saggezza e decisione; e per sostenere la sua autorità davanti agli empi e ai ribelli gli aveva concesso qualcosa che in seguito darà anche a Israele: il potere di spandere il terrore dell'Eterno intorno a lui..

    "Il terrore dell'Eterno s'impadronì di tutti i regni dei paesi che circondavano Giuda, al punto che non mossero guerra a Giosafat"  (2 Cronache 17:10).

Qualcosa del genere accadeva infatti anche intorno a Giobbe. Anche i malfattori, anche i meno convinti della sua autorità e della giustizia della sua opera, avevano dovuto adattarsi alle sue decisioni e piegare il capo. Giobbe non scherzava, lo ricorda lui stesso molto bene:

    "Spezzavo la ganascia all’iniquo, e gli facevo lasciare la preda che aveva fra i denti" (29:17).
Si può immaginare allora quello che avranno provato quegli iniqui con la ganascia rotta quando hanno visto Giobbe rotolarsi nel fango.

    Ora io sono il tema delle loro canzoni, il soggetto dei loro discorsi. Mi detestano, mi fuggono, non si trattengono dallo sputarmi in faccia. Non hanno più ritegno, mi umiliano, rompono ogni freno in mia presenza (30:9-11).

Avranno ricordato il tempo in cui Giobbe andava da loro e  si sedeva come capo e come re (29:25). Allora i malfattori avevano dovuto piegarsi e tacere, ma adesso... adesso che a quanto pare il Dio di Giobbe ha trovato qualcosa da ridire anche su di lui e l'ha scaricato, adesso loro vogliono prendersi le dovute soddisfazioni.
  Giobbe confidava di morire nel suo nido e diceva:

    "la mia gloria sempre si rinnoverà" (29:20);

adesso invece, mentre si rigira nella melma è costretto a dire:

    "Dio mi dà in balìa degli empi, mi getta in mano dei malvagi" (16:11).

E non può aggiungere niente, non può obiettare, perché deve riconoscere, sulla base di quello che lui stesso aveva insegnato, che

    "questo testimonia contro di me, la mia magrezza si leva ad accusarmi in faccia" (16:8).

Ecco allora il dramma lacerante di Giobbe: Dio gli aveva dato gloria ponendogli sul capo la corona di re, e adesso l'amara realtà da riconoscere è questa:

    "Dio ... m'ha spogliato della mia gloria, m'ha tolto dal capo la corona" (19:10-11);
    "l'onore mio è portato via come il vento"
    (30:15).

Il suo problema è Dio. Certo, la sua situazione personale è disastrosa, alla sofferenza morale del disprezzo subito dagli uomini si aggiunge una tremenda sofferenza fisica:

    Le mie viscere bollono e non hanno requie, sono venuti per me giorni d’afflizione. Me ne vado tutto annerito, ma non dal sole; mi levo in mezzo alla radunanza, e grido aiuto;  son diventato fratello degli sciacalli, compagno degli struzzi. La mia pelle è nera, e cade a pezzi; le mie ossa sono calcinate dall’arsura. La mia cetra non dà più che accenti di lutto, e la mia zampogna voce di pianto (30:27-31).

Ma il tormento più grande è di sapere che tutto quello che gli arriva proviene da Dio. Era un amico, ma Dio si è trasformato in nemico. Perché? perché? Giobbe vorrebbe saperlo, quello che gli dicono gli amici non lo convince affatto. Allora s'interroga: "Avrò forse commesso qualche errore involontario, di cui non mi sono accorto?" Ma non riesce a trovare nulla:

    "Il mio piede ha seguito fedelmente le sue orme, mi sono tenuto sulla sua via senza deviare; non mi sono scostato dai comandamenti delle sue labbra, ho riposto nel mio seno le parole della sua bocca" (23:11-12).

Questi comandamenti non sono come i precetti di Mosè, né sono norme generali della coscienza di cui Dio provvede ogni uomo: queste sono precise disposizioni di servizio comunicate per voce da Dio a Giobbe.  
  E questo parlare di Dio col suo servo di ciò che è bene e ciò che è male, questa possibilità per Giobbe di entrare in una comunione personale con Lui, il Creatore e Signore di tutte le cose, certamente è stato vissuto da Giobbe come un grande onore e un'ineffabile esperienza d'amore con Dio.
  E adesso il crollo totale, inaspettato:

    "Dio m’ha gettato nel fango, e rassomiglio alla polvere e alla cenere" (30:19).

E di nuovo la domanda: perché? perché? Vorrebbe saperlo, lo chiede implorante a Dio. Ma... silenzio.

    "Io grido a te, e tu non mi rispondi; ti sto dinanzi, ma tu non mi consideri!" (30:20).

Ecco allora l'amara conclusione:
    Ti sei mutato in nemico crudele verso di me; mi perseguiti con la potenza della tua mano. Mi levi per aria, mi fai portar via dal vento e mi annienti nella tempesta (30:21-22).

E infine la cupa visione di ciò che lo aspetta:

    "Io lo so, tu mi conduci alla morte, alla casa di convegno di tutti i viventi" (30:23).

La morte per Giobbe non aveva il semplice significato di una vita che termina, come è comune a tutti i mortali. Morire in quel modo significava per lui, e per tutto il mondo intorno a lui, cadere in modo totale e definitivo sotto i colpi della maledizione di Dio; significava la piena sconfessione di tutto il suo operato; significava uscire  dalla terra dei vivi per entrare da maledetto nel "convegno di tutti i viventi", sapendo che dopo di lui il suo nome sarebbe rimasto in maledizione di chi lo ricorda.
  Si capiscono allora i primi tormentati "perché?" con cui Giobbe dà inizio alle sue invettive:

    Perché non morii nel seno di mia madre?
    Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
    Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare?
    (3:11-12)

"Se mi volevi far morire in questo modo, perché mi hai fatto nascere?" chiede Giobbe a Dio dal fondo della sua angoscia. 
  Già, perché?
   

(4) continua

(Notizie su Israele, 9 gennaio 2022)


 



Super green pass e obbligo vaccinale, Draghi e Speranza citati in giudizio

Comunicato del Partito Libertario che oggi ha depositato un atto di citazione per dichiarare illegittimi, sotto il profilo costituzionale, il green pass e l’obbligo vaccinale. 

Oggi il Partito Libertario ha depositato l’atto di citazione con ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma contro il Presidente del Consiglio, il Consiglio dei Ministri e il Ministro della Salute per fare dichiarare l’illiceità costituzionale e sotto il profilo del diritto europeo della dichiarazione dello stato di emergenza, del green pass rafforzato e dell’obbligo vaccinale.
  Hanno proposto l’azione numerosi cittadini, tra i quali tutti i dirigenti del Partito Libertario, nonché l’Associazione di tutela dei diritti del cittadino “Diritto e Mercato”, presieduta dall’Avv. Fabio Massimo Nicosia, presidente altresì del Partito Libertario.
  L’atto è stato predisposto dall’Avv. Nicosia insieme ai difensori Avv.ti Francesco Giunta e Salvatore Ceraulo, a loro volta dirigenti del Partito Libertario.
  Con questo atto, si praticano le strade giuridiche più aggiornate e innovative in materia di illeceità costituzionale, secondo un orientamento giurisprudenziale recentissimamente ribadito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, orientamento che consente, insieme all’invocazione della violazione del diritto eurounitario, di evitare la strettoia dell’elevazione della questione di costituzionalità, al fine di fare dichiarare immediatamente l’illegalità degli atti impugnati.
  Si è denunciata in particolare la persecuzione del gruppo sociale “non vaccinati”, in atto da mesi da parte dei vertici istituzionali e dei mass-media filo-governativi, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, il quale include tali persecuzioni tra i “Crimini contro l’umanità”.
  Si è sottolineata l’illegalità dell’attuale dichiarazione di stato di emergenza per scadenza dei termini ultimi, stante anche la dichiarata rivendicazione del governo del potere, del tutto abusivo, di proclamare stati di emergenza a piacere, al di fuori di alcuna previsione costituzionale o normativa.
  Si è denunciata l’illegalità del meccanismo estorsivo, per il quale si sottraggono diritti umani e fondamentali ai cittadini, per poi graziosamente “restituirglieli” per il caso che accettino di vaccinarsi, anche contro coscienza e volontà, subendo la minaccia.
  Si è denunciata la ripetuta violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, nonché la totale assenza dei presupposti previsti dalla stessa Corte Costituzionale, per potersi procedere all’obbligo vaccinale, stante l’inefficacia dimostrata dei vaccini e la grande quantità di reazioni avverse denunciate al sistema dell’eurovigilanza.
  Si è evidenziato come anche solo i 16 morti, di cui l’AIFA ha riconosciuto la correlazione vaccinale, sono sufficienti a negare legittimità giuridica e morale a qualsiasi costrizione vaccinale, di fatto o formale.
  Si è inoltre sottolineato come la necessità di prescrizione medica, prevista per questi vaccini, contrasti radicalmente con l’idea stessa che essi possano essere resi obbligatori, così come si sono lamentate le numerose violazioni dei principio del cosiddetto “consenso informato”, che, per la precisione, è “consenso libero e informato”, quando questa “libertà” di coscienza è sistematicamente violata dal sistema di minacce posto in essere dai decreti-legge impugnati e, in particolare, dal meccanismo del green pass rafforzato.

(NicolaPorro, 8 gennaio 2022)



Israele riapre a partire dal 9 gennaio

Nuove regole  in vigore per l’ingresso in Israele anche per i cittadini stranieri provenienti da un Paese arancione.

Il Primo Ministro di Israele, i Ministri degli Affari Esteri, della Sanità, degli Affari interni, del Turismo e dei Trasporti hanno congiuntamente definito che a partire da domenica 9 gennaio 2022 agli stranieri vaccinati e/o guariti, (secondo la definizione del  Ministero della Salute) provenienti da Paesi definiti * arancioni *, come di fatto è considerata l’Italia, sarà consentito l’ingresso in Israele.
La procedura di ingresso prevede:

  • compilazione di un modulo online per ogni singolo cittadino straniero che programma l’ingresso in Israele, info: https://new.goisrael.com/it/
  • un test PCR (entro le 72 ore prima dell’ingresso in Israele) o un test antigenico (entro le 24 ore prima dell’ingresso in Israele) da effettuarsi nel Paese di provenienza, in questo caso in Italia;
  • esecuzione di un test PCR al momento dell’arrivo in Israele con conseguente ingresso in isolamento  per 24 ore o fino a quando non perverrà la comunicazione dell’esito negativo del test medesimo.

E’ attualmente in via di aggiornamento e definizione l’elenco dei Paesi arancioni.

(cronacheturistiche.it, 8 gennaio 2022)


Ripartire in medio oriente vent’anni dopo le torri gemelle

«Con il denaro si può comprare tutto. Anche la pace».

di Alberto Benzoni 

A vent’anni data dall’attentato alle Torri gemelle, e dopo tre successive “missioni”, l’una più disastrosa dell’altra, l’America di Biden ritorna in Medio Oriente con l’obbiettivo assai più modesto di “non avere grane”. Leggi, di evitare le guerre riducendo i livelli e le cause di conflittualità.
    In questo troverà, davanti a sé un campo aperto. Ma perché pieno di rovine. Rovine di popoli; causa che, almeno per ora, non interessa a nessuno. Ma anche rovine, e questo interessa tutti, di tutti quei disegni, partoriti nell’area , in nome dei quali i popoli sono stati portati alla rovina.
    Vediamoli, allora, uno per uno. A cominciare da quello di Netanyahu, per circa una generazione “re d’Israele”. Sotto la sua guida il paese ha raggiunto, da ogni punto di vista, risultanti strabilianti.
    Il suo errore è stato però la pretesa di continuare a vivere in uno stato di guerra permanente. Contro tutti e tutto: in un clima di perenne possibile catastrofe che solo lui era in grado di impedire.
    Una narrazione che però è stata la causa prima della sua, molto probabilmente definitiva, sconfitta. All’interno perché incompatibile con la convivenza stessa delle varie “tribù” che compongono la società israeliana così come tra israeliani e palestinesi. All’esterno, perché non più in fase con i processi in atto in tutto il Medio oriente e nelle sue propaggini.
    Qui a dominare è la stanchezza e l’esaurimento. Che coinvolge, in forme diverse, governanti e governati. E che, come dire, porta ad una “pausa di riflessione”, suscettibile di dar luogo agli esiti più diversi ma in cui il ricorso alla violenza sta diventando, a poco a poco, una scelta di ultima istanza. Mentre tutto sembra spingere verso la ricomposizione dei conflitti.
    Ecco, allora, il ritorno della Siria nella Lega Araba, all’interno di un dialogo a tutto campo. E il corrispettivo abbozzo di dialogo tra i regimi del Golfo e l’Iran. Ecco le mediazioni qatariote. La fine, ancora per esaurimento, delle guerre siriane e libiche. Gli abbozzi di un possibile dialogo tra i regimi del Golfo e l’Iran. Le mediazioni a tutto campo in atto nel Caucaso. E, ancora, lo stesso pressante ricorso agli aiuti internazionali da parte dei talebani, posti di fronte a problemi drammatici che non sono in grado di gestire.
    Questa non è una tregua momentanea in attesa del riaccendersi del conflitto. E’ piuttosto un momento di riflessione. Dove si comincia a capire non solo che i conflitti non si possono vincere; ma anche che le Cause per le quali sono stati combattute non sono più credibili. E agli occhi stessi di coloro in nome dei quali sono state promosse.
    Qui al fallimento delle già ricordate missioni statunitensi fa il paio con quelle del radicalismo islamico: che si tratti dei Fratelli Musulmani, del binomio al Qaeda/Isis (portato a spostare la sua azione fuori dal Medio oriente) e, infine della rivoluzione iraniana e delle sue propaggini politiche /militari esterne.
    E qui veniamo al nodo della questione. Che è quello che interessa più direttamente i lettori dell’Avanti! e i nostri amici libanesi. E che si riassumono nel fatto che, oggi, l’Iran, o meglio il suo regime sono molto più sicuri sul piano militare/strategico; ma, nel contempo, molto più deboli su quello sociale e politico.
    Più sicuri (e noi con loro…) perché in grado di gestire i negoziati di Vienna nei tempi necessari; in una situazione in cui Washington non può assumere impegni né imporre sanzioni; mentre esclude drasticamente l’ipotesi di ricorrere alle armi (messaggio recepito da “chi di dovere”, vedi intervista di Lapid al New York Times”).
    Più deboli, perché non in grado di adempiere in alcun modo agli impegni assunti al momento della comparsa sulla scena mediorientale: rappresentare un’alternativa di governo rispetto ai regimi esistenti (sul piano religioso, morale e sociale); e nel contempo combattere e sconfiggere il nemico esterno, leggi gli Stati Uniti e l’”Entità sionista”.
    Da qui il loro crescente discredito. Che porta i popoli destinatari della promessa non solo a ritenerla del tutto irrealizzabile, ma, peggio ancora, ad attribuire i loro infiniti mali non solo al sullodato nemico esterno ma anche ai loro stessi dirigenti.
    E, ancora, da qui il generale disfacimento delle posizioni dell’Iran, prima nelle aree interne della “Mezzaluna fertile e ora, anche in Palestina e in Libano. Parliamo della vittoria del nazionalista anti iraniano (ma anche antiamericano…) Moqtada al Sadr in Iraq; e dell’incapacità delle milizie sciite di contestarla. Parliamo della già citata reintegrazione della Siria nel blocco sunnita, con annesso isolamento di queste milizie esposte alle continue spedizioni punitive israeliane. E parliamo, soprattutto, dell’area compresa tra il Giordano e il mare dove, a condurre la partita, è l’asse sempre più solido tra Biden e il nuovo governo di unità nazionale nato poco dopo l’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti.
    Un asse fondato sul convincimento che i palestinesi – in Israele come nei territori e a Gaza- siano più interessati al miglioramento delle loro, spesso intollerabili, condizioni, individuali e collettive, di vita che alle Cause per le quali sono, da decenni, chiamati a combattere; siano esse quelle dello stato palestinese o delle battaglie di Hamas (o di Hezbollah) contro la fu “entità sionista”. Ed è sulla base di questo convincimento il nuovo governo israeliano ha annunciato: un vasto programma di sostegno economico per gli arabi di Israele; uno di analoga se non addirittura superiore portata, per gli abitanti di Gaza, in cambio dell’accettazione, da parte di Hamas, di una tregua illimitata nel tempo; e, infine, un alleggerimento dei controlli soffocanti cui sono sottoposti gli abitanti dei territori occupati (controlli, per inciso, che, nel corso di questi ultimi vent’anni hanno comportato mancati guadagni per oltre 50 miliardi di dollari).
    L’indirizzo, almeno a parere di chi scrive, è quello giusto. Ma è anche destinato a trovare, ben presto, tre ostacoli oggi come oggi insormontabili- il no di Hamas, etero diretto da Teheran (che fa il paio con quello di Hezbollah alle riforme); le resistenze feroci della destra israeliana (siamo arrivati a tacciare di “tradimento dei principi del sionismo” la proposta di allacciare alle reti idriche ed elettriche insediamenti palestinesi esistenti da anni all’interno di Israele ); e, infine, un regime di sanzioni che penalizza (vedi ancora Libano, ma non solo) i governati per le colpe di chi li governa.
    E, allora, perché le cose cambino, occorre introdurre sulla scena un altro personaggio: il denaro. E coloro che ne dispongono: dai paesi del Golfo, alle istituzioni finanziarie internazionali, ai tanti detentori pubblici e privati di risorse in attesa di essere utilizzate. Aiuti immediati per il Libano che sta morendo, come per gli abitanti di Gaza, gli afghani, le popolazioni siriane; per tutti coloro che si affollano alle nostre frontiere e che ci affrettiamo a respingere. Insomma un nuovo piano Marshall.
    Un atto dovuto. Un atto di riparazione. L’alternativa è la guerra permanente. Mentre con il denaro si può comprare tutto. Anche la pace.

(Avanti!, 7 gennaio 2022)


«Con il denaro si può comprare tutto. Anche la pace». Anche le anime di quelli che le hanno messe in vendita. E Mammona sta facendo campagna acquisti. M.C.


La Polonia ammette l’acquisto del software spia Pegasus

Jaroslaw Kaczynski, il capo di Law and Justice (PiS), il partito nazionalista al governo in Polonia, ha ammesso che il suo paese aveva acquistato il software spia israeliano Pegasus, secondo estratti da un’intervista pubblicata venerdì (7 gennaio). Kaczynski, tuttavia, ha respinto le accuse secondo cui Pegasus sarebbe stato utilizzato contro l’opposizione politica.
  Queste accuse sull’uso di questo software hanno scosso la Polonia nelle ultime settimane. Lo scandalo ha messo a confronto l’inchiesta sullo scandalo Watergate, che ha portato alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon nel 1974.
  Installato in un telefono cellulare, Pegasus consente di accedere alla messaggistica e ai dati dell’utente, ma anche di attivare il dispositivo da remoto per acquisire suoni o immagini. “Sarebbe un male se i servizi polacchi non disponessero di questo tipo di strumento”, ha detto al settimanale Kaczynski, che è anche vice primo ministro Sieci. Alla domanda se il governo avrebbe usato il software per spiare l’opposizione, il signor Kaczynski ha assicurato che questo programma era “Utilizzato dai servizi anti-crimine e corruzione in molti paesi”.

“UNA SVOLTA AUTORITARIA”
  Nell’intervista, che dovrebbe essere rilasciata lunedì, ha sottolineato che qualsiasi uso di questo strumento lo era “Ancora sotto il controllo di un tribunale e della procura”. Ha respinto a titolo definitivo le accuse dell’opposizione, chiamandole “tanto rumore per niente”.
  Citizen Lab, un laboratorio di monitoraggio della sicurezza informatica con sede in Canada, ha confermato l’uso di Pegasus contro tre persone in Polonia, tra cui Krzysztof Brejza, senatore del principale partito di opposizione, Piattaforma civica (PO), mentre coordinava la sua campagna durante le elezioni legislative del 2019 .
  John Scott-Railton, ricercatore senior presso Citizen Lab, ha detto in precedenza ad Agence France-Presse (AFP) che gli usi rilevati di Pegasus erano solo “La punta dell’iceberg” e che il suo uso ha mostrato “Una svolta autoritaria” Polonia. Secondo il signor Brejza, l’hacking del suo telefono ha influenzato il risultato del ballottaggio, vinto dal PiS.
  Per il signor Kaczynski, l’opposizione “Perso perché ha perso”. “Nessun Pegasus, nessun servizio, nessuna informazione di alcun tipo ottenuta segretamente ha avuto alcun ruolo nella campagna elettorale del 2019”, Egli ha detto.
  Contattato da AFP, il proprietario israeliano di Pegasus, NSO Group, ha detto che è stato solo venduto“Alla legittimazione delle forze dell’ordine, che utilizzano questi sistemi sotto mandato per combattere criminali, terroristi e corruzione”.

(Isolanews.net, 7 gennaio 2022)


Gigantesco tornado d'acqua minaccia la costa della città di Ashdod

La sorpresa di Capodanno è stata presentata dal tempo agli abitanti di Israele. Lunedì 3 gennaio, i residenti di Ashdod hanno potuto osservare un insolito fenomeno naturale nel mare vicino alle spiagge della città: un enorme tornado d'acqua. Di solito in Israele, i tornado possono essere visti in mare durante i mesi invernali, quando ci sono bruschi cambiamenti nelle condizioni meteorologiche. I video dell'evento sono apparsi sui social network.
  La colonna del vortice era ben visibile nella città stessa, così tanti residenti hanno filmato il tornado direttamente dai balconi dei propri appartamenti. Cielo scuro, vento e un imbuto gigante in mezzo al mare. La situazione si aggrava nel momento in cui un enorme vortice d'acqua inizia a muoversi verso la costa.
  Per una fortunata coincidenza, all'ultimo momento, il tornado, a quanto pare, ha deciso di cambiare i suoi piani e, non raggiungendo mai la costa, ha superato la città. La distruzione fu evitata e gli abitanti fuggirono con un leggero spavento. La fortuna sorrise anche ai marinai locali. Nonostante il fatto che ci fossero diverse navi nella rada nell'area colpita dal vortice, la tragedia è stata evitata. La spedizione durante il tornado è stata temporaneamente sospesa.

(ilMeteo, 6 gennaio 2022)


Duri scontri al Parlamento israeliano sulla “legge elettrica” che avvantaggia le abitazioni illegali arabe

di Ugo Volli

Forse sei mesi fa in Israele qualcuno si era illuso che la costituzione di un nuovo governo composto da sinistra estrema e moderata, destra e anche da un partito arabo (in sostanza tutti i nemici di Netanyahu, con l’esclusione del Likud e dei religiosi), avrebbe finalmente portato a una gestione tranquilla della vita politica e alla diminuzione delle tensioni fra i partiti. Ma questa speranza, già messa a dura prova da sei mesi di aspri conflitti politici, è certamente caduta nei giorni scorsi, quando la Knesset, il parlamento israeliano, è stato teatro di uno scontro durissimo.
  L’occasione è stata la votazione di una legge che consente l’allacciamento alla rete elettrica delle abitazioni illegali costruite soprattutto nel Negev dai beduini e in certe città arabe della Galilea. E’ un prezzo politico pagato dalla maggioranza per l’appoggio determinante del partito arabo Ra’am, che ha minacciato di far cadere il governo se non fosse stata approvata. Ma è anche di fatto un incentivo all’edificazione illegale, che è uno dei problemi urbanistici gravi nel territorio tradizionale di Israele e soprattutto in Giudea e Samaria. Ed esso contribuisce a normalizzare uno stato endemico di illegalità nella parte araba di Israele che è fra le questioni più urgenti che lo stato deve affrontare. Oltre a questo vi è naturalmente il tema del conflitto nazionale: dando via libera a una sorta di sanatoria per il settore arabo si produce un’evidente impressione di debolezza della maggioranza ebraica.
  L’opposizione e in particolare il Likud aveva cercato di bilanciare questa scelta proponendo che anche ai cosiddetti “avamposti”, cioè gli insediamenti prevalentemente giovanili non autorizzati in Giudea e Samaria fosse concessa un analogo allacciamento alla rete, ma il partito Ra’am ha posto il veto a ogni modifica della sua “legge elettrica” e la maggioranza si è piegata, incluso il partito del primo ministro Bennett, “Yamina”, che pure si era presentato alle elezioni come il movimento più vicino agli insediamenti. Ne è nato un tumulto parlamentare grave, con insulti e minacce tanto che l’opposizione abbandonato l’aula, minacciando di boicottare del tutto i lavori della Knesset.
  La polemica non si è spenta finora e vi si aggiungono altre divisioni. Ieri è uscita una presa di posizione del viceministro dell’economia Yair Golan, del partito di estrema sinistra Meretz, in cui in mezzo ad altri insulti definiva “subumani” i giovani degli avamposti, suscitando la richiesta di dimissioni del Likud e un rimprovero da parte di Bennett. Il primo ministro però appare incapace di contenere il disordine e le spinte estremiste nella sua coalizione, anche perché la rappresentanza parlamentare del suo partito è molto bassa (6 su 120 deputati) e nei sondaggi appare ancora in diminuzione, mentre il governo va avanti con un solo voto di maggioranza, rendendo determinante ogni singolo deputato.
  Mentre gli altri leader della maggioranza e candidati a sostituirlo prima o poi, cioè Benny Gantz e Yair Lapid, si dedicano a incontri diplomatici e trattative che spetterebbero forse al primo ministro, Bennett si logora a tenere assieme un governo che produce decisioni, certamente indigeste ai suoi elettori. Nel frattempo è in atto un duro scontro fra il ministro per gli affari religiosi, Matan Kahana, anche lui di Yamina e il rabbinato, che non gradisce le sue proposte di riforma del sistema delle conversioni e della certificazione di conformità religiosa (kasherut) degli alimenti. Insomma, la crisi politica in Israele non è affatto finita e presto potrebbe esplodere di nuovo, appena un partito della maggioranza sarà abbastanza sicuro della convenienza di abbandonarla per formare un nuovo governo col Likud o per andare a nuove elezioni.

(Shalom, 7 gennaio 2022)


Sondaggio: cala la fiducia degli israeliani nelle istituzioni del paese, ma in grande maggioranza sia ebrei che arabi non lo cambierebbero con nessun altro

Cresce la fiducia dei cittadini arabi nel governo, ma cresce anche la domanda generale di un leader forte che non si faccia condizionare da partiti e mass-media

Dopo che Israele ha approvato la prima legge di bilancio in più di due anni ponendo fine a ricorrenti cadute del governo e ripetute elezioni, la fiducia dell’opinione pubblica nel governo sembra leggermente aumentata, ma la fiducia complessiva nelle istituzioni statali rimane bassa. E’ quanto emerge dal 19esimo sondaggio annuale pubblicato dall’Israel Democracy Institute, che è stato consegnato giovedì nelle mani del presidente d’Israele, Isaac Herzog, dal presidente dell’Israel Democracy Institute Yohanan Plesner e dalla professoressa Tamar Hermann, direttrice del Viterbi Family Center for Public Opinion and Policy Research.
  Significativo appare l’aumento della fiducia nel governo, nei partiti e nella Knesset da parte degli arabi israeliani, tradizionalmente più diffidenti verso le istituzioni statali: uno sviluppo verosimilmente legato all’ingresso per la prima volta nella coalizione di maggioranza di un partito arabo islamico. Il rapporto, suddiviso in quattro temi principali (valori democratici, sistema giuridico, fiducia, soddisfazione generale) ha rilevato “un quadro complesso per quanto riguarda il livello di fiducia del pubblico nelle istituzioni, la fiducia nel servizio civile del paese e la forza complessiva della democrazia israeliana”, affermano in una nota gli autori della ricerca....

(israele.net, 7 gennaio 2022)


Gerusalemme, il direttore dell’ospedale: “Gennaio sarà tra i mesi più difficili della storia”

In un’intervista al quotidiano israeliano Yediot Aharonot, il direttore di un ospedale di Gerusalemme ha detto che gennaio sarà uno dei mesi più difficili non solo dall'inizio della pandemia Covid-19, ma della storia di Israele, prevedendo che i pronto soccorso saranno pieni di pazienti.
  Omer Merin, direttore dello Shaare Zedek Medical Center nella capitale israeliana, ha detto al quotidiano che gli ospedali si stanno preparando per una massiccia ondata di pazienti che hanno contratto la variante Omicron.
  «Gennaio sarà uno dei mesi più difficili di sempre nell'intera storia del sistema sanitario. Quindi sono preoccupato». Merin ha notato che la stagione influenzale di quest'anno, a differenza della stagione 2020-2021, quando sono stati segnalati pochi casi di influenza, ha già presentato una serie di focolai.
  «Ci aspettiamo che le cose peggiorino al pronto soccorso, ci troveremo in imbarazzo. – ha detto il direttore - Anche i corridoi degli ospedali saranno completamente pieni. Non parlo più nemmeno dei letti».

(Shalom, 7 gennaio 2022)


Perché non si osa dire l'evidente verità che è sotto gli occhi di tutti, cioè che le inoculazioni (è questo il termine corretto) non hanno debellato il contagio del virus e non hanno reso immune la popolazione? Questi sono fatti, nudi fatti che la vera scienza avrebbe preso in seria considerazione come stimolo a ricercare i propri errori e tentare nuove forme di approccio. La "scienza" politicizzata invece vuole piegare i fatti agli scopi prefissati forzandoli a rientrare a tutti i costi nelle decisioni prese per motivi che solo strumentalmente si presentano come scientifiche. Difendersi con frasi come "ma non si può dire quanto peggio sarebbe stato se non si fossero fatte le inoculazioni" è puerile, perché nessuno può dirlo. Oppure tutti possono dire qualcosa; si potrebbe dire per esempio che senza le inoculazioni le cose sarebbero andate molto meglio. E che "stavamo meglio quando stavamo peggio!" Ma fare la figura dell'apprendista stregone non piace a nessuno, vero supervirologi? Quindi avanti tutta: quanto più si dimostrerà che le inoculazioni non funzionano, tanto più bisognerà imporre con legge ferrea che l'inoculazione coatta sia estesa a tutti. M.C.


Libano Sud: attacco a forze Unifil a confine israeliano, Onu chiede indagine

BEIRUT – L’ONU ha chiesto alle autorità libanesi di condurre un’indagine rapida e approfondita su un attacco avvenuto all’inizio della settimana contro le forze di pace Unifil che mantengono la sicurezza e la stabilità nel sud del paese. Nell’attacco il contingente italiano che fa parte della Forza di interposizione delle Nazioni unite in Libano non è stato coinvolto, secondo quanto ha dichiarato ad “Agenzia Nova” Pierluigi Zara, tenente colonnello dell’Arma dei carabinieri e capo dell’Ufficio della pubblica informazione del task force responsabile del settore occidentale del Libano.
  Un gruppo dell’Unifil  – di cui non è stata resa nota la nazionalità – è stato attaccato nel sud del Libano, al confine con Israele. Gli aggressori, che avrebbero vandalizzato alcuni veicoli e rubato parte dell’attrezzatura, sono ancora sconosciuti. Secondo quanto diffuso dai media locali, i residenti della città hanno accusato le forze di pace irlandesi di scattare fotografie ad alcune case private. L’addetto stampa dell’Unifil, Kandice Ardiel, ha smentito le accuse riferendo che le forze di pace erano in città per incontri con militari locali.
  Dal 7 agosto 2018, l’Italia ricopre, per la quarta volta, l’incarico di Head of mission e Force commander di Unifil, sotto la responsabilità del generale Stefano Del Col, alle cui dipendenze lavorano più di 10 mila militari provenienti da 45 Paesi
  “Contrariamente ad alcune successive disinformazioni dei media, le forze di pace non stavano scattando foto e non erano su proprietà private. Stavano andando a incontrare i colleghi delle forze armate libanesi per una pattuglia di routine”, ha confermato il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric ai giornalisti a New York.
  La missione Unifil è stata notevolmente rafforzata dopo i combattimenti del 2006 per supervisionare la cessazione delle ostilità tra Israele e il gruppo militante libanese Hezbollah.  Dujarric ha affermato che la limitazione della libertà di movimento dell’UNIFIL e qualsiasi aggressione contro coloro che servono la causa della pace è inaccettabile e viola l’accordo sullo status delle forze tra le Nazioni Unite e il governo libanese.
  La risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata nel 2006, richiede che la missione abbia accesso pieno e senza ostacoli in tutta la sua area di operazioni, ha aggiunto. “Chiediamo a tutte le parti interessate di rispettare la libertà di movimento delle forze di pace, che è fondamentale per adempiere al mandato dell’UNIFIL ai sensi della risoluzione 1701 e chiediamo alle autorità libanesi di indagare rapidamente e a fondo e perseguire tutti i responsabili di questi crimini”, ha detto Dujarric.
  Il mese scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha compiuto una visita ufficiale nel paese, dove ha riconfermato la solidarietà con il popolo libanese.
  Il paese continua ad affrontare numerose sfide, tra cui sconvolgimenti politici, una crisi economica e finanziaria e gli impatti devastanti dell’esplosione dell’agosto 2020 nel porto della capitale, Beirut.

(OnuItalia.com, 7 gennaio 2022)


Siti di lancio iraniani in Siria distrutti dagli USA

Gli stati Uniti hanno appena reso noto di aver distrutto diversi siti di lancio usati dalle milizie filo-iraniane in Siria per colpire obiettivi statunitensi o legati agli USA.
  Il Pentagono non ha fornito moltissime informazione, né come sono stati colpiti i siti di lancio, né quanti essi siano e neppure la loro collocazione precisa.
  Il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha affermato che «uno dei motivi per cui questi siti sono stati colpiti è che avevamo motivo di credere che sarebbero stati utilizzati come siti di lancio per attacchi a Green Village».
  Kirby ha aggiunto che il pericolo di attacchi contro le basi USA nella regione rimane molto alto. Green Village si trova appena ad est dell’Eufrate ed è una struttura utilizzata dalle SDF con alcuni dei consulenti statunitensi co-locati con loro in Siria.
  Lunedì scorso in occasione dell’anniversario dell’uccisione del capo della Forza Quds Iraniana, Quassem Soleimani, due droni di fabbricazione iraniana sono stati intercettati e abbattuti poco prima che colpissero una base in Iraq che ospita militari americani, mentre altri attacchi sono stati sventati dall’intelligence.
  Martedì scorso altri due droni di fabbricazione iraniana sono stati distrutti mentre si avvicinavano alla base aerea di Ain al-Asad, situata nella provincia occidentale di Al-Anbar nell’Iraq centrale.
  Secondo il Pentagono gli attacchi alla Combined Joint Task Force – Operation Inherent Resolve (CJTF-OIR), da parte di milizie legate a Teheran sono in aumento tanto che il personale non indispensabile che opera nelle basi americane della regione è stato trasferito in Giordania.
  «La Coalizione si riserva il diritto di difendere se stessa e le forze partner da qualsiasi minaccia e continuerà a fare tutto ciò che è in suo potere per proteggere quelle forze» ha detto il comandante della CJTF-OIR, il maggiore generale John Brennan.

(Rights Reporter, 7 gennaio 2022)


Storia degli ebrei. Viaggio nel tempo dai faraoni a oggi

I grande racconto di un popolo nel libro curato da Pierre Savy ed edito da Laterza

di Paolo Battifora

Dalla stele del faraone Merenptah, risalente al XIII secolo a.e. e in cui compare, per la prima volta, la menzione del popolo d'Israele, al cartiglio - "Dio dei nostri padri vogliamo impegnarci in un'autentica fraternità con il popolo dell'alleanza" - posto nel Muro del pianto a Gerusalemme da Giovanni Paolo II, in occasione del viaggio in Medio Oriente compiuto nel 2000. Sono oltre tremila anni ad essere ripercorsi in "Storia mondiale degli ebrei" (Laterza), libro collettaneo curato da Pierre Savy e pubblicato lo scorso anno in Francia che viene proposto al pubblico italiano in un'edizione rivista e adattata da Anna Foa. Il criterio adottato per un'impresa di questa portata è l'individuazione di una serie di date significative - in tutto sono novanta - attraverso le quali illustrare le vicissitudini degli ebrei nel corso della storia: la scansione in agili capitoletti di quattro/cinque pagine ciascuno, affidati a specialisti e comprensivi di una minimale bibliografia, consente a ogni lettore, come scrive Pierre Savy nell'introduzione, di "piluccare e girovagare nel libro a proprio piacimento". Savy e i suoi compagni d'avventura non rimpiangono certo impostazioni storiografiche giustamente criticate, nel secolo scorso, dalla scuola delle Annales: la loro opzione è unicamente dettata da ragioni di funzionalità e chiarezza espositiva.
  Una storia mondiale degli ebrei. Già, ma cosa si intende esattamente con questa espressione? Legittimo attribuire una specifica identità che, nel corso dei secoli anzi dei millenni, avrebbe accomunato individui vissuti in contesti geografici diversi e differenti tra loro per estrazione sociale, cultura, lingua, usi, costumi, idee politiche? Questione di non poco conto, su cui sono stati (e continuano ad essere) scritti innumerevoli libri. Evidente il rischio di oscillare tra due poli opposti: da un lato la concezione dell'ebreo come soggetto collettivo atemporale e immutabile, sorta di iperuranica ipostasi tetragona ai venti della Storia, dall'altro la riduzione dell'ebreo a prodotto dello sguardo altrui, ovvero "un uomo - come voleva Sartre - che gli altri considerano ebreo". Essenzialismo o dissoluzione identitaria.
  Consapevole del dilemma, il curatore dell'opera delinea le quattro linee portanti- appartenenza a uno stesso popolo, professione religiosa, condivisione di una condizione di minorità e marginalità storica ( con tutto quel che ne è conseguito) e comunanza di valori- alla luce delle quali risulta plausibile, dal punto di vista storiografico e culturale, parlare di una millenaria storia degli ebrei, non certo riducibile alle varie fasi dell'antisemitismo, agli stereotipi imposti e alle persecuzioni subite, ma neppure interpretabile in una chiave teleologica atta a leggere un passato quanto mai articolato, complesso e tutt'altro che lineare in funzione del presente. Parlare di ebrei, sottolinea con forza Pierre Savy, significa imbattersi non in una univoca cultura ebraica bensì in "tante culture, tanti giudaismi, che si incarnano in Sefarditi e Ashkenaziti, Ebrei tedeschi, francesi, ucraini, argentini o israeliani, viventi a Mosca, a Gerusalemme, a New York o a Sarcelles, al punto che- incredibile e affascinante -questa diversità è indissociabile dall' ebraismo". Tra le date salienti, analizzate da un'ottantina di studiosi di prevalente area accademica francese - nell' edizione italiana compaiono i contributi, per citarne alcuni, di David Bidussa, Anna Foa, Andrea Riccardi, Guri Schwarz, Claudio Vercelli-, non mancano, com'è ovvio, gli eventi cruciali della storia ebraica, dal periodo biblico sino al ventesimo secolo: a essere passati in rassegna, per fornire qualche esempio, sono il regno di Davide, la cattività babilonese, la distruzione del Tempio ad opera dell'imperatore Tito, i massacri in Germania in occasione della prima crociata, l'espulsione dalla Spagna nel 1492, la nascita del ghetto a Venezia nel 1516. E poi ancora l'emancipazione nell'Europa dell'Ottocento, il primo congresso sionista del 1897, la dichiarazione Balfour del 1917, gravida di conseguenze, le leggi razziste dell'Italia mussoliniana, la conferenza di Wannsee e l'insurrezione del ghetto di Varsavia.
  Tra le date significative del dopoguerra compaiono quelle inerenti la nascita di Israele, la Guerra dei Sei Giorni, l'operazione Salomone, relativa al trasferimento nel 1991 in Israele degli ebrei etiopici (i cosiddetti "falascià"), gli accordi di Oslo, la proclamazione, nel 2006, del 27 gennaio Giornata europea della memoria. Ma ancor più interessanti risultano quelle date che, esulando da acclarati fatti militari e politici, si riferiscono a eventi e personaggi dalla notevole rilevanza culturale e religiosa ma scarsa conoscenza presso il grande pubblico: mi limito a segnalare i capitoletti dedicati alla redazione del Talmud a Babilonia alla fine del V secolo, a Maimonide, grande filosofo del XII secolo fautore del razionalismo ebraico, e Baal Shem Tov, fondatore nel XVIII secolo del hassidismo, alla conferenza di Czernowitz del 1908 sulla lingua yiddish, a Regina Jonas, prima donna ad essere ordinata rabbino, nell'ambito del rabbinato liberale di Germania, nel 1935 e morta ad Auschwitz. Uno spazio è riservato anche alle vicissitudini editoriali di "Se questo è un uomo" di Primo Levi, opera destinata a divenire "un testo universale".

(Il Secolo XIX, 7 gennaio 2022)


«Non è ebrea, non faccia Golda Meir»

L' attrice britannica Maureen Lipman contesta la scelta di affidare alla collega non ebrea Helen Mirren il ruolo di Golda Meir, l'unica donna ad aver ricoperto la carica di primo ministro in Israele. «Sarà una splendida interpretazione - ha detto Lipman al Jewish Chronicle riferendosi al film sulla Meir ambientato durante la guerra dello Yom Kippur - ma il punto è un altro: avrebbero chiesto a un pur grande attore come Ben Kingsley di fare Nelson Mandela? Mai e poi mai».
Si riaccende così una polemica innescata da una lettera pubblicata nel 2019, in cui diversi personaggi dello spettacolo mettevano in discussione le scelte di casting per quanto riguarda figure di religione ebraica, per cui non varrebbero le attenzioni riservate dal produttori ad altre minoranze. Il regista Patrick Marber rileva che si dovrebbe badare più alle doti degli attori piuttosto che all'«esperienza vissuta».

(Corriere della Sera, 7 gennaio 2022)


Se la popstar israeliana prende in giro le immigrate russe

Eccessi alcolici e sessuali; il brano di Omer Adam diventa un caso politico. Mosca: compatriote umiliate.

di Davide Frattlnl

GERUSALEMME - Da dove è arrivata? / Ripete che l'ebraico è difficile / Tutto il tempo dice solo «nyet»e «da».
  Le matrioske animate ballano al ritmo dance e delle parole che Omer Adam canta storpiando l'accento russo. Il brano della più ascoltata pop star di Israele - in testa alle classifiche digitali - è stato pubblicato nel giorno di Novy God, il Capodanno celebrato dal milione e duecentomila immigrati dall'ex Unione Sovietica. Festa rovinata: Adam ha riempito la sua Kakdila di stereotipi contro le ragazze «russe», dagli eccessi alcolici a quelli sessuali.
  Al punto che Merav Michaeli, leader laburista e ministra dei Trasporti, li ha definiti «i tre minuti più volgari che mi sia toccato sentire». L'attrice Yulia Plotkin - arrivata dalla Bielorussia quand'era bambina - incita al boicottaggio e se la prende con la modella Anna Zak, nata a Sochi, perché ha elogiato il brano sostenendo che sia «divertente»: «Sei una ragazza intelligente. Che cosa c'è di divertente? Sfrutta le donne "russe" e ride di loro».
  Evgeny Sova da parlamentare di Yisrael Beitenu (il partito fondato proprio per dar voce agli immigrati dalle ex repubbliche sovietiche) è riuscito a ottenere che una radio pubblica non trasmettesse più il singolo e spinge tutte le emittenti finanziate dallo Stato a metterlo al bando. Ha ricordato ad Adam di essere originario del Caucaso: «Là saresti stato costretto alle scuse pubbliche». Anche perché Vladimir Putin si è proclamato protettore della diaspora all'estero e dei russofoni in tutto il mondo.
  Così la Komsomolskaya Pravda, un tempo organo ufficiale della gioventù comunista, ha bollato la canzone come «un'umiliazione per i compatrioti».
  Omer Adam non si è per ora scusato, ha risposto a Michaeli «di darsi una calmata e occuparsi dei trasporti» e le ha ricordato che il suo compagno Llor Schleìen ha scritto i testi del programma satirico «Eretz Nehederet» (Un Paese meraviglioso) che parodiava il cattivo ebraico e i modi spicci della cassiera Luba. Anche allora lo show era stato criticato dai politici di Yisrael Beitenu: «I nostri immigrati lavorano nei supermercati ma hanno lauree in ingegneria o in economia».
  Come spiega il quotidiano Haaretz i «russi» - tra i pochi gruppi ad avere i loro giornali e canali televisivi - sono visti come poco integrati dagli altri israeliani: «Quando sono arrivati in massa dopo la caduta dell'Unione Sovietica, il governo aveva ormai ammorbidito le pretese verso gli Immigrati: dimenticate la vostra lingua e le vostre origini. Sono stati i primi a mantenere e mostrare con orgoglio l'attaccamento ai Paesi di origine».

(Corriere della Sera, 7 gennaio 2022)



Brancolano nel buio, barcollano come ubriachi

Dal libro di Giobbe, cap. 12
  1. In Dio risiede la sapienza e la forza,
    a lui appartiene il consiglio e la prudenza!
  2. Egli abbatte, e non si può ricostruire,
    imprigiona, e non si può liberare.
  3. Trattiene le acque, e tutto si secca,
    le lascia andare, e devastano la terra.
  4. Da lui potenza e abilità,
    a lui chi inganna e chi è ingannato.
  5. Rende stolti i consiglieri,
    e fa impazzire i giudici;
  6. scioglie la cintura dei re
    e cinge i loro fianchi di catene.
  7. Manda scalzi i sacerdoti
    e rovescia i potenti.
  8. Priva della parola gli eloquenti
    e toglie il discernimento ai vecchi.
  9. Sparge disprezzo sui nobili,
    e scioglie la cintura ai forti.
  10. Strappa i segreti dalle tenebre
    e porta luce sull'ombra di morte.
  11. Fa grandi i popoli e li distrugge,
    estende le nazioni e le abbandona.
  12. Toglie il senno ai capi dei popoli della terra
    e li fa vagare in solitudini senza strade,
  13. brancolano nel buio, senza luce,
    e barcollano come ubriachi.

Esiste Dio? No, Dio non esiste, ha detto pubblicamente un filosofo di grido di oggi, uno di quelli che sono intervistati in televisione e si ascoltano le loro parole come fossero oracoli. No, Dio non esiste - ci ha spiegato il filosofo -, ma l'uomo è l'unico essere che sa formarsi l'idea di un dio e da questa idea trae forza e ispirazione. E' un modo come un altro per spiegare che cosa può essere oggi l'idolatria: la formazione di un'idea. Non per nulla i termini idea e idolo hanno la stessa radice. Lo stesso filosofo - sia detto per inciso - oggi vorrebbe che il non vaccinarsi diventi reato. Gli idoli infatti chiedono adorazione e schiavizzano.
  Dio invece esiste. E non si limita ad esistere per rimanere lì da una parte, senza infastidire troppo. Dio parla ed agisce. Ma l'uomo non vi bada; continua deciso per la sua strada, convinto che solo lui sa qual è il suo vero bene. E tira diritto. Ma poi va a sbattere. E il botto fa male. Però può anche far bene, se l'uomo si sveglia e si chiede se, forse, magari, potrebbe anche essere che ci sia davvero un Dio in cielo, e che sia anche un po' arrabbiato per quello che gli uomini stanno facendo qui sulla terra. E chissà se quello che sta capitando adesso non solo a me, ma un po' a tutti e in tutto il mondo, con questa piaga della pandemia, non sia un modo con cui Dio è costretto a farsi sentire da un'umanità molto laboriosa e interessata a tutto, salvo a quello che veramente conta. Un Dio che ha mandato dieci piaghe a un popolo grande e potente come l'Egitto di una volta, potrebbe anche averne tenuta una di riserva per il mondo di oggi.
  Tra le parole che Dio ha detto nel passato, e si trovano scritte in quel libro unico che si chiama Bibbia, c'è anche il brano del libro di Giobbe che abbiamo riportato sopra. Non sono parole di consolazione, tutt'altro, ma possono esserne una premessa, se si resta in posizione di ricerca.
  All'uomo orgoglioso e sicuro di sé le parole sopra riportate ricordano quello che può fare Dio quando vuole distruggere. Abbatte, e non si può ricostruire, trattiene le acque, e tutto si secca. Ma la parte più grande e più temibile riguarda quello che Dio può fare contro gli uomini. I consiglieri? Dio li rende stolti. I giudici? Dio li fa impazzire. I potenti? Dio li rovescia. E per quanto riguarda la politica, popoli diventati grandi che non si erano accorti che era stato Dio a permetterlo, si scuotono quando Dio li distrugge, Nazioni che si erano estese e andavano fiere dei loro successi, vanno in confusione quando Dio le abbandona.
  Ma le parole più adatte a descrivere quello che sembra essere oggi l'azione di Dio su popoli e nazioni nell'attuale situazione di pandemia mondiale si legge negli ultimi due versetti di questa serie.

    "Toglie il senno ai capi del popoli della terra".
Il dubbio viene. Il male più grosso che colpisce oggi la terra non è il contagio del virus, ma il contagio di stupidità che sta cogliendo i capi dei popoli della terra nella loro pretesa di trovare il rimedio al male. Pretendono di conoscere la strada che si deve prendere e in quale direzione si deve andare, e Dio
    li fa vagare in solitudini senza strade".
Si muovono con decisione, guidati da una "scienza" che fa luce sul loro cammino, e non s'accorgono che
    brancolano nel buio, senza luce.
Sembrano procedere con sicurezza, ben piantati sulle loro gambe, e invece, come molti ormai cominciano a vedere,
    barcollano come ubriachi.
No, non è complotto. E' molto peggio: è follia. Spirituale follia che serve a far ricordare che esiste un Dio che "toglie il senno ai capi del popoli della terra".
   Che fare? non sarà certo qui che si troveranno indicazioni politiche, ma abbiamo detto che queste parole minacciose possono essere una premessa a parole di consolazione, se si resta in una posizione di ricerca. E l'oggetto della ricerca si trova ancora una volta nelle parole della Scrittura.
    Cercate l'Eterno, mentre lo si può trovare;
    invocatelo, mentre è vicino.
    Lasci l'empio la sua via,
    e l'uomo iniquo i suoi pensieri:
    e si converta all'Eterno che avrà pietà di lui,
    al nostro Dio che è largo nel perdonare.
    Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
    né le vostre vie sono le mie vie, dice l'Eterno.
    Come i cieli sono alti al di sopra della terra,
    così sono le mie vie più alte delle vostre vie,
    e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri.
    (Isaia 55:6-9)                             
M.C.

(Notizie su Israele, 6 gennaio 2022)

 

Israele: la delusione del ricercatore per la quarta vaccinazione contro il Corona

Nonostante il ritardo nella segnalazione, il numero di contagi da corona è superiore rispetto alla settimana precedente. “La trasformazione di Omikron che temevamo è arrivata”, afferma Olaf Gersmann, capo delle attività di WELT. L’obiettivo di raggiungere una quota di vaccinazione dell’80% non può essere raggiunto entro la fine di gennaio. 
  Il capo di uno studio israeliano sull’efficacia della quarta vaccinazione contro il corona ritiene che l’aumento di cinque volte osservato degli anticorpi sia “buono, ma non sufficiente”. “Vediamo un certo aumento degli anticorpi, ma l’aumento non è impressionante”, ha detto mercoledì il professor Gili Regev del sito di notizie israeliano Ynet sui risultati preliminari dello studio. 
  Subito dopo la quarta vaccinazione, ha detto Regev, è tornata allo stesso livello di anticorpi poco dopo la terza vaccinazione. Sperava di ottenere di più dalla seconda vaccinazione di richiamo . L’obiettivo non può essere quello di vaccinarsi contro il coronavirus ogni quattro mesi circa. 
  Regev si è detta felice che le popolazioni in pericolo di estinzione come gli immunocompromessi e gli ultrasessantenni in Israele abbiano già ricevuto la quarta dose . “Ma non sono davvero sicuro se dovrebbe essere dato a tutti ora. Abbiamo bisogno di più informazioni. “ 
  Regev ha anche sottolineato l’enorme importanza della prima vaccinazione di richiamo: “Coloro che hanno ricevuto la prima e la seconda dose dovrebbero ricevere urgentemente la terza dose”. Ha consigliato a coloro che non avevano ancora ricevuto una dose di richiamo di “correre” alla stazione di vaccinazione. 
  Un altro tentativo con una quarta dose del vaccino contro il coronavirus è iniziato mercoledì allo Sheba Hospital. 150 partecipanti riceveranno la quarta vaccinazione con Moderna dopo tre dosi del preparato da Biontech/Pfizer. “La combinazione di vaccini potrebbe essere migliore”, ha detto Regev. È il primo tentativo mondiale di vaccinazione IV con vaccini combinati . 
  Solo il 61 per cento circa dei 9,4 milioni di israeliani è ancora considerato completamente immune. Sono vaccinati due volte fino a sei mesi dopo la seconda vaccinazione e nelle persone che hanno una vaccinazione di richiamo. Il 30 percento della popolazione non è mai stato vaccinato e il nove percento della vaccinazione è scaduto. Secondo il Ministero della Salute, più di quattro milioni di israeliani hanno ricevuto la terza dose e più di 70.000 hanno ricevuto la quarta. 

(Italnews, 6 gennaio 2022)


Agenzia di stampa palestinese “Wafa” rilancia versione del sito in ebraico

GERUSALEMME - L’agenzia di stampa palestinese “Wafa” ha rilanciato oggi la versione del suo sito in lingua ebraica. Lo rende noto la stessa agenzia di stampa, secondo la quale la versione in ebraico, rivolta ai lettori israeliani, “includerà notizie su Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza”. “Il sito trasmetterà la visione strategica e le posizioni della politica palestinese e vuole informare l’opinione pubblica israeliana direttamente, senza alcuna censura”, prosegue il comunicato. L'agenzia di stampa ufficiale dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) pubblica in arabo, inglese e francese, mentre la versione in ebraico era stata sospesa nel 2016.

(Agenzia Nova, 6 gennaio 2022)


Un film documenta la vita degli ebrei in un villaggio polacco prima della Shoah

di Michelle Zarfati

VIDEO
Alle volte la memoria ha il potere di ritornare, casualmente, per rivelarsi e raccontare spaccati del passato che sembravano essere dimenticati. Cancellati dalla polvere della storia. Così Glenn Kurtz, ha ritrovato casualmente la bobina di film amatoriale nel 2009, in un angolo dell'armadio dei suoi genitori a Palm Beach Gardens, in Florida.
  Un contenitore di alluminio ammaccato, che il calore e l'umidità della Florida avevano quasi solidificato, ha detto Kurtz. Ma qualcuno, negli anni ’80 aveva trasferito buona parte del contenuto, su un nastro VHS.  Kurtz ha infatti realizzato subito il contenuto della bobina: un filmato amatoriale intitolato "Il nostro viaggio in Olanda, Belgio, Polonia, Svizzera, Francia e Inghilterra, 1938". A riportare la notizia è il New York Times.
  Il film di 16 millimetri, realizzato da suo nonno, David Kurtz, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, mostrava le Alpi, i pittoreschi villaggi olandesi e tre minuti di riprese di una vivace comunità ebraica in una città polacca, nel 1938, prima ancora che le atrocità della Shoah si abbattessero su di loro.
  Vecchi uomini in kippah, ragazzi magri con il berretto, ragazze con le trecce lunghe, tutti ripresi a ridere e scherzare. Gente che si riversa attraverso le grandi porte di una sinagoga. C'è qualcuno che spinge in un caffè, e poi il filmato si interrompe bruscamente.
  Kurtz, ha compreso sin da subito l’immenso valore che il materiale poteva avere: una prova della vita ebraica in Polonia poco prima della Shoah. Ci sarebbe voluto quasi un anno per capirlo, ma Kurtz ha scoperto che il filmato raffigurava Nasielsk, il luogo di nascita di suo nonno, una città a circa 30 miglia a nord-ovest di Varsavia che circa 3.000 ebrei erano soliti chiamare casa prima della guerra. Di quella città, infatti, solo cento sarebbero sopravvissuti all’inferno nazista.
  Ora, la regista olandese Bianca Stigter ha deciso di servirsi del filmato frammentario per creare  “Three Minutes: A Lengthening", un lungometraggio di 70 minuti in grado di narrare ulteriormente le vicende di quella città dimenticata. "È un breve filmato, ma è incredibile quanto riesca a riprodurre e rappresentare- ha detto Stigter in un'intervista ad Amsterdam- Ogni volta che lo vedo, noto qualcosa che non ho mai visto prima. L’avrò rivisto migliaia di volte, ma riesco comunque a vedere un dettaglio che era sfuggito alla mia attenzione prima".
  Un lungo viaggio è quello che lo spettatore fa attraverso il filmato. Da quasi dimenticata all'interno della sua famiglia, la videocassetta è stata trasferita su DVD e inviata successivamente al Museo della Shoah degli Stati Uniti a Washington nel 2009, rappresentando un pezzo unico nel suo genere.
  Il museo è stato in grado di restaurare e digitalizzare il film e ha pubblicato il filmato sul suo sito web. All'epoca, Kurtz non aveva idea di dove fosse ambientato il filmato, né conosceva i nomi delle persone riprese nella città. Suo nonno, emigrato dalla Polonia negli Stati Uniti da bambino, era morto prima che lui nascesse, non lasciando nessuna testimonianza di quella realtà. È iniziato così un lungo processo investigativo durato quattro anni, che ha portato Kurtz a scrivere un acclamato libro, "Tre minuti in Polonia: alla scoperta di un mondo perduto in un film per famiglie del 1938", pubblicato da Farrar, Straus e Giroux nel 2014.
  Stigter ha fatto affidamento sul libro per completare il film, coprodotto da suo marito, Steve McQueen, l'artista britannico e regista premio Oscar di "12 anni schiavo", e narrato da Helena Bonham Carter.
  Nasielsk, una piccola città che da secoli ospitava ebrei, fu conquistata il 4 settembre 1939, tre giorni dopo l'invasione tedesca della Polonia. Tre mesi dopo, il 3 dicembre, l'intera popolazione ebraica fu rastrellata ed espulsa. Le persone furono costrette a salire su carri bestiame viaggiando per giorni senza cibo e acqua verso le città di Lukow e Miedzyrzec, nella regione di Lublino, nella Polonia occupata. Da lì, furono per lo più deportati nel campo di sterminio di Treblinka.
  Stigter si è imbattuta casualmente nel filmato nel 2014 grazie a Facebook, trovandolo immediatamente affascinante, soprattutto perché gran parte di questo era stato girato a colori. "La mia prima idea era solo quella di prolungare l'esperienza di vedere queste persone- ha detto la regista alla stampa- Ma mi sono accorta poi, soprattutto per quanto riguardava i bambini, che volevano essere visti e osservati. Sembrava guardassero davvero, cercando di rimanere nell'inquadratura della telecamera”.
  "Three Minutes: A Lengthening” non raffigura di certo Nasielsk com'è oggi. Stigter rimpicciolisce, ingrandisce, ferma, e riavvolge; si intrufola sui sampietrini di una piazza, sui tipi di berretti indossati dai ragazzi, e sui bottoni di giacche e camicie, che venivano realizzati in una vicina fabbrica di proprietà di ebrei. Crea ancora ritratti di ciascuno dei 150 volti, non importa quanto vaghi o sfocati, e dà nomi ad alcuni di essi.
  Maurice Chandler, è tra questi. Un sopravvissuto di Nasielsk che oggi ha novant'anni, è proprio uno degli adolescenti che sorridono nel filmato. È stato identificato da sua nipote, a Detroit, lo ha riconosciuto fortuitamente in una clip digitalizzata sul sito web del museo della Shoah.
  Chandler, all'anagrafe Moszek Tuchendler, ha perso tutta la sua famiglia nella Shoah. Ha detto che il filmato lo ha aiutato a ricordare la sua infanzia perduta. Scherzando, ha aggiunto che poteva finalmente dimostrare ai suoi figli e nipoti "che non veniva da Marte". Il suo contribuito è stato estremamente prezioso, poiché è riuscito a identificare altre sette persone presenti nel film.

(Shalom, 6 gennaio 2022)


Ariston fa shopping in Israele 

Conclusa l'acquisizione di Chromagen per 130 milioni di shekel (37 mln euro) in contanti. E attraverso una filiale entra nel mercato australiano. 

di Giovanni Galli

Ariston ha completato il closing dell'acquisizione di Chromagen per 130 milioni di shekel (37 mln euro) in contanti. E questo in seguito al soddisfacimento di tutte le condizioni sospensive, inclusa l'approvazione dell'Antitrust Israeliana. Chromagen sviluppa, produce e commercializza soluzioni rinnovabili per il riscaldamento dell'acqua, con un'esperienza distintiva nella tecnologia solare termica. L'azienda ha sede in Israele e ha due filiali in Australia e in Spagna, oltre a una rete di distributori in 35 paesi. Nel 2020 ha realizzato ricavi per 400 milioni di shekel (114 mln euro) e un margine ebit adjusted intorno al 5%. 
  Ariston ha rilevato il 100% delle azioni e dei diritti di voto di Chromagen. Questa operazione permette ad Ariston di consolidare la sua posizione nel mercato israeliano, sostenuto da un'economia in crescita e da un solido trend di sviluppo della popolazione, dove la maggior parte delle abitazioni soddisfa il fabbisogno di acqua calda attraverso il solare termico. Ariston è presente sul mercato israeliano dal 2017 grazie all 'acquisizione di Atmor, azienda specializzata nella produzione di scaldacqua elettrici istantanei. In Australia Ariston ha acquisito le azioni possedute dal Kibbutz Shaar Haamakim, confermando sia l'attuale management sia la struttura di governance con gli attuali azionisti di minoranza. 
  L'acquisizione in Israele permetterà ad Ariston di entrare in un mercato rilevante per l' acqua calda, basandosi sulla solida posizione di Chromagen Australia nel segmento dei costruttori, con un forte focus sulle soluzioni rinnovabili. «Siamo entusiasti di accogliere Chromagen in Ariston Group», ha affermato Paolo Merloni, presidente esecutivo di Ariston. «Chromagen è perfettamente in linea con la nostra vision di portare il comfort sostenibile a tutti. L'operazione è anche una testimonianza della capacità di Ariston di completare operazioni di m&a, pilastro della nostra strategia, anche in un anno caratterizzato da una forte crescita organica e dalle attività di listing». 
  «Iniziamo il 2022 rafforzando ulteriormente la posizione del gruppo nel mercato israeliano ed entrando nel mercato australiano con una value proposition distintiva, basata sulle tecnologie rinnovabili», ha aggiunto Laurent Jacquemin, amministratore delegato di Ariston. «Ora lavoreremo insieme ai nuovi colleghi per generare valore per tutti gli stakeholder», 

(ItaliaOggi, 6 gennaio 2022)


90.000 discendenti di ebrei sefarditi diventano cittadini di Portogallo e Spagna

di Michelle Zarfati

Il Portogallo e la Spagna hanno approvato una serie di leggi che offrono la possibilità di compiere un processo di naturalizzazione per i discendenti di ebrei sefarditi.
  Sono almeno 90.000 discendenti di ebrei sefarditi ad esser diventati ufficialmente cittadini del Portogallo o della Spagna dal 2015, da quando i paesi hanno approvato una serie di leggi che offrono un processo di naturalizzazione per tali richiedenti. Le leggi, avevano lo scopo di “espiare” l'Inquisizione, ovvero quella buia parentesi di persecuzione religiosa, scatenata alla fine del XV secolo, nei confronti di centinaia di migliaia di ebrei che avevano abitato la penisola iberica per secoli. La Spagna ha ricevuto almeno 153.000 domande di cittadinanza, mentre il Portogallo ne ha ricevute 86.000, secondo quanto riportato dai dati pubblicati di recente dai media spagnoli e portoghesi nell'ambito dei rapporti annuali sulle tendenze dell'immigrazione.
  La Spagna ha concesso la cittadinanza a 36.000 richiedenti, ovvero circa il 23% del totale di coloro che hanno presentato la domanda inziale. Mentre il Portogallo, ha concesso la cittadinanza al 63% dei richiedenti, ovvero più di 54.000 persone. Molte migliaia di domande sono ancora in attesa di revisione da parte di entrambi i paesi.
  Secondo un articolo apparso domenica sul quotidiano Observador di Lisbona, più di due terzi dei richiedenti in Portogallo sono israeliani. In Spagna, la quota di israeliani era inferiore al 5%, secondo i dati stimati alle fine del 2019.
  Tuttavia, per quanto riguarda il Portogallo, gli ultimi dati non includono i numeri aggiornati relativi al 2021. La Spagna sembra però aver respinto almeno 3.019 domande, tutte tranne una nel 2021. La procedura per la naturalizzazione è stata inasprita a causa dei timori nei confronti di alcuni richiedenti. Il paese ha anche rifiutato di decidere su molti casi, suscitando proteste da parte dei richiedenti all'estero. Il Portogallo ha respinto solo poche centinaia di individui.
  La finestra per completare la domanda di neutralizzazione, per i discendenti degli ebrei espulsi dalla Spagna, si sta chiudendo. La legge sulla cittadinanza spagnola inizialmente consentiva domande solo per tre anni, ma il governo ha prorogato la scadenza due volte, incluso lo scorso settembre per tenere conto di questioni burocratiche legate alla pandemia.
  Per quanto riguarda la Spagna, la legge del 2015, ha anche acceso un dibattito sull'opportunità di dare la cittadinanza ai discendenti dei musulmani che furono anch’essi cacciati durante l'Inquisizione.

(Shalom, 5 gennaio 2022)


Israele - Maternità surrogata alle coppie gay

La maternità surrogata sarà estesa dalla settimana prossima in Israele anche alle coppie dello stesso sesso, ai singoli e ai transessuali. Lo ha annunciato il ministro della Sanità Nitzan Horowitz, accogliendo così il parere della Corte Suprema. Finora le coppie gay dovevano recarsi all'estero per una gravidanza surrogata. La battaglia legale era partita 11 anni fa, con un primo ricorso alla Corte Suprema da parte di una coppia di omossessuali.

(Avvenire, 5 gennaio 2022)


Un doppio abominio annunciato dallo stesso Ministero della Sanità che gestisce altri insani interventi come le vaccinazioni. Lati oscuri che Israele ha in comune con le nazioni da cui nel progetto di Dio avrebbe dovuto distinguersi. M.C.


Dopo il Pd, anche la Lega apre all’invito di Israele in campo cyber

Yigal Unna, capo delle cyber-spie di Gerusalemme, aveva auspicato l’ingresso dell’Italia nel Global Cyber Cabinet. L’europarlamentare Dreosto dice sì. A favore anche il dem Pagani

di Gabriele Carrer 

L’invito all’Italia per far parte del Global Cyber Cabinet lanciato da Yigal Unna in un’intervista con Formiche.net – l’ultima rilasciata a un giornale prima della fine del suo mandato quadriennale come direttore generale dell’Israel National Cyber Directorate – “deve essere ascoltato e auspico che il nostro Paese possa unirsi a Israele, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Emirati Arabi Uniti in questa importante alleanza in campo cibernetico”. Lo ha dichiarato in una nota Marco Dreosto, europarlamentare della Lega e componente titolare della commissione Inge (contrasto alle ingerenze straniere in Europa).
  “La cybersicurezza è un tema che deve essere affrontato dall’Italia come priorità”, spiega Dreosto, sottolineando che la creazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale diretta dal professor Roberto Baldoni “va nella giusta direzione. Ma non è sufficiente”, sostiene l’europarlamentare leghista. Secondo lui, “è necessario creare legami con i nostri alleati e delle collaborazioni, con continui scambi di informazioni, per poter contrastare interferenze e attacchi provenienti da Paesi terzi”. Inoltre, serve “creare un fronte comune per contrastare i colossi orientali, come la Cina, in un campo in cui loro sono all’avanguardia. Per questo è necessario promuovere collaborazioni tra Stati alleati, come il Global Cyber Cabinet, per non perdere l’occasione di mantenere alcuni vantaggi e rinforzare le alleanze strategiche”, conclude nella nota.
  Intervistato da Formiche.net, Alberto Pagani, capogruppo del Partito democratico in commissione Difesa della Camera e membro dell’Assemblea parlamentare Nato, rispondeva così alla seguente domanda: il governo italiano dovrebbe accettare l’invito di Israele?

    «Io credo proprio di sì. Il rango del nostro Paese ci impone di esserne all’altezza e di partecipare. Ammiro molto come gli israeliani hanno saputo organizzarsi per cavarsela da soli, quando hanno capito che nessuno avrebbe garantito la sicurezza al posto loro. Anche grazie all’aiuto dei militari italiani, gli israeliani hanno imparato meglio dei loro maestri come affrontare ogni giorno le mille minacce e a cui è sottoposto un Paese circondato da vicini ostili. Bisogna riconoscere che un piccolo e giovane Stato, di soli nove milioni di abitanti, ha fatto i miracoli e ha insegnato al mondo intero come fare di necessità virtù. Il fatto che oggi siano proprio loro ad invitarci a collaborare nel campo della cybersecurity per me vale doppio.»
(Formiche.net, 5 gennaio 2022)


Un pesce rosso può guidare un'auto. Scoperta-choc all'università del Negev

La ricerca israeliana dimostra come dopo alcuni giorni di addestramento l'animale possa indirizzare un veicolo robotico verso l'obiettivo preferito.

TEL AVIV - Un pesce rosso ha guidato con successo un'auto robotica nell'ambito di una nuova ricerca dell'Universita' Ben-Gurion del Negev, Israele. L'obiettivo dello studio, e del relativo esperimento, era quello di valutare se le capacita' di navigazione innate degli animali fossero universali o limitate ai loro ambienti domestici. Per la realizzazione dell'esperimento i ricercatori hanno posto una serie di ruote sotto un acquario per pesci rossi con un sistema di telecamere per registrare e tradurre i movimenti del pesce in comandi di "avanti", "indietro" o di movimento laterale indirizzati alle ruote.
  In tal modo, hanno scoperto che le capacita' di navigazione di un pesce rosso vanno al di la' del suo ambiente acquatico. I loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista peer-reviewed "Behavioral Brain Research".  I ricercatori hanno testato se il pesce stesse davvero indirizzando il particolare mezzo verso un obiettivo ben preciso esterno all'acquario posizionando un bersaglio chiaramente visibile sulla parete di fronte alla vasca. Dopo alcuni giorni di addestramento, il pesce si e' diretto verso l'obiettivo. Inoltre, non e' stato ingannato dai falsi bersagli posti dai ricercatori.
  Shachar Givon, del team di ricerca ha dichiarato: "Lo studio suggerisce che la capacita' di navigazione e' universale piuttosto che specifica per l'ambiente. In secondo luogo, mostra che i pesci rossi hanno la capacita' cognitiva di apprendere un compito complesso in un ambiente completamente diverso da quello in cui si sono evoluti. Come chiunque abbia cercato di imparare ad andare in bicicletta o a guidare un'auto sa, all'inizio e' una sfida". Lo studio e' stato condotto da Givon, da Matan Samina, del Dipartimento di Ingegneria Biomedica della Facolta' di Scienze dell'Ingegneria, dal Prof. Ohad Ben Shahar del Dipartimento di Scienze Informatiche e capo della Scuola di Scienze e Cognizione del Cervello, e dal Prof. Ronen Segev dei Dipartimenti di Scienze della Vita e Ingegneria Biomedica.
  La ricerca e' stata supportata da The Israel Science Foundation - First Program (sovvenzione n. 555/19), Israel Science Foundation (sovvenzione n. 211/15), una sovvenzione della Human Frontiers Science Foundation RGP0016/2019, The Lynne and William Frankel Center for Computer Science, e l'Helmsley Charitable Trust attraverso l'Iniziativa di Robotica Agricola, Biologica e Cognitiva dell'Universita' Ben-Gurion del Negev. 

(Il Giorno, 5 gennaio 2022)


Scoperta choc o scoperta scioc?


Aerospazio, ordine da 100 milioni da Israele per Laer di Benevento 

Intesa con la israeliana Iai: l'azienda italiana riconvertirà aerei civili in velivoli merci Esposito: «Ora possiamo assorbire il personale in cassa e fare assunzioni»

NAPOLI - Una boccata di ossigeno per la campana Laer, azienda che costruisce grandi componenti per l'aeronautica civile. Ha infatti firmato un contratto - per una commessa da 100 milioni - con la lai, primaria azienda israeliana del settore, specializzata nella conversione di velivoli da civili a cargo. 
  Ed è proprio di conversioni di questo tipo che dovrà occuparsi l'azienda beneventana con sede principale ad Airola, da qui ai prossimi quattro anni, realizzando tutti i componenti necessari a modificare la struttura di circa 70 esemplari di Boeing777-300Ersf: metà fusoliera, separazione dalla cabina di pilotaggio, pavimento rafforzato e molto altro. La prima consegna è prevista a gennaio 2023. 
  Il prodotto, sarà realizzato per lai (Israel Aerospace Industries Ltd) Aviation Group, la principale industria aeronautica israeliana, anche leader mondiale nella trasformazione cargo dei velivoli passeggeri. 
  La firma del nuovo contratto ha portato una ventata di ottimismo negli stabilimenti di Laer e non solo. L'intero polo aeronautico campano soffre di una grave crisi causata dalla lunga pandemia: calano ancora gli ordini di nuovi velivoli da parte delle compagnie aeree, il gruppo Leonardo ha avviato il 3 gennaio un periodo di cassa integrazione di 13 settimane che coinvolge 3.443 dipendenti degli stabilimenti di Pomigliano, Nola, Grottaglie e Foggia. Leonardo ha rassicurato che «non c'è stato mai disimpegno dal business delle aerostrutture». Il polo campano, dopo aver subito perdite di fatturato nell'ordine del 60% nel 2020 e del 60% nel 2021, vede il 2022 ancora con molte preoccupazioni. 
  E si tratta di un distretto dai numeri molto significativi. In Campania sono presenti circa cento imprese con 10 mila dipendenti e con un indotto che tocca i 40mila. Queste operano soprattutto nel comparto dell'aeronautica civile (pari al 22% del totale della produzione italiana) che è quello più colpito dalla crisi. Per questi motivi, la Campania soffre più di altre regioni. 
  Anche per Laer il 2020 e il 2021 sono stati anni molto difficili. «Nel periodo 2020-21 abbiamo perso il 60% del fatturato - raccontava un mese fa Andrea Esposito amministratore unico di Laer - dal 2020 in poi abbiamo subito numerosi tagli di ordini da parte di Leonardo che è il nostro principale cliente. Oggi abbiamo 300 dipendenti di cui circa cento in cassa integrazione». 
  Dopo la partnership con l'azienda israeliana lo scenario è mutato. «Oggi - aggiunge Esposito - possiamo assorbire il personale in cassa e avviare assunzioni. Soprattutto di profili manageriali da coinvolgere sin da subito nella fase di progettazione». «Grazie a questa acquisizione - continua Esposito - Laer vola oltre la pandemia e si conferma azienda di riferimento per il mondo della subfornitura aeronautica non solo in Italia ma nel mondo. 
  La commessa è per noi molto importante in quanto rappresenta l'apertura del rapporto con la principale industria aeronautica di Israele, e ci consente di contribuire allo sviluppo del territorio con una notevole ricaduta industriale, questo ci rende molto orgogliosi. La resilienza che abbiamo dimostrato, in un momento buio per il nostro settore, e le giuste scelte strategiche messe in campo, sono state premiate». 
  Laer è presente, oltre che ad Airola. anche ad Acerra dove produce parti di aerei in materiale composito e ad Albenga (in provincia di Savona) con la controllata Laer H, che nel 2014 ha rilevato un ramo d'azienda di Piaggio Aero. 

(Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2022)


Israele ridurrà dal 9 gennaio le restrizioni sui viaggi nel paese

di Ilaria Ester Ramazzotti

Lo Stato di Israele ha annunciato lo scorso 3 gennaio che la chiusura delle frontiere che limita l’ingresso di turisti nel paese, messa in atto dal mese di novembre per contrastare la diffusione della variante Omicron, sarà allentata a partire dal prossimo 9 gennaio. A partire da questa data, i turisti provenienti da alcune nazioni potranno entrare in Israele, se completamente vaccinati, presentando documentazione sanitaria e sopponendosi al tampone. Continuerà ad essere tuttavia escluso chi arriverà da paesi classificati come ‘’rossi’’ a causa degli alti tassi di infezione da Covid 19. Fra questi, sono elencati Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Etiopia, Regno Unito, Tanzania, Messico, Svizzera e Turchia.
  Italia, Australia e Irlanda saranno invece rimossi dall’elenco dei ‘’paesi rossi’ e i viaggi internazionali saranno in questi casi ammessi, alle condizioni previste dalla normativa. Anche altre nazioni saranno classificate ‘’arancioni’’, a basso rischio, come Sudafrica, Nigeria, Spagna, Portogallo, Francia e Canada.
  Se da un lato Israele ha questa settimana registrato 6.562 nuovi casi della malattia, il numero più alto da settembre, dall’altro il divieto d’ingresso ai viaggiatori stranieri è stata una questione controversa e molta dibattuta. Il ministro israeliano per la Diaspora Nachman Shai ha dichiarato il 2 gennaio in un tweet di aver sollevato la questione in una riunione di gabinetto, affermando che il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha promesso un imminente “allentamento delle politiche” sulle restrizioni ai viaggi.

(Bet Magazine Mosaico, 4 gennaio 2022)


Israele, le recenti innovazioni che hanno cambiato la chirurgia

di Jacqueline Sermoneta

Robot chirurgici e cuffie digitali: queste sono solo alcune delle innovazioni sviluppate dalla tecnologia israeliana, dove robotica e intelligenza artificiale si combinano, creando una nuova realtà nel campo della medicina e della chirurgia.
  Israele, Paese da sempre all’avanguardia nell’ambito della medicina moderna, punta sul mercato dei robot chirurgici, che, come cita il Jpost, nel 2020 ha superato i 4,6 miliardi di dollari, in previsione di una crescita del 17,4% tra il 2021 e il 2027.
  Lo sviluppo di nuove tecnologie in campo medico, in particolare in quello chirurgico, ha consentito non solo la massima precisione negli interventi ma anche ricoveri più brevi.
  L’azienda israeliana Human Xtensions, per esempio, ha sviluppato un piccolo robot che permette al chirurgo di eseguire con la massima precisione operazioni molto complesse nella cavità addominale, in aree di difficile accesso. La società è quotata alla Borsa di Tel Aviv e ha l’approvazione della FDA per la commercializzazione dei prodotti negli Stati Uniti.
  La start up Beyeonics, con sede ad Haifa, ha prodotto cuffie digitali per chirurghi oculisti, ortopedici e neurochirurghi. Il sistema combina la realtà aumentata, l’imaging 3D e l’elaborazione di dati, ottenuti grazie all’intelligenza artificiale, supportando il processo decisionale del chirurgo.
  L’azienda Medtronic, colosso del settore medico, applica l’ingegneria biomedica per la progettazione e la produzione di apparecchiature che aiutano ad alleviare il dolore cronico e contribuiscono al benessere di milioni di persone in 150 Paesi. Inoltre, tra le tecnologie sviluppate dalla società, c’è l'impianto valvolare aortico transcatetere (TAVI), una procedura mini-invasiva adottata per sostituire la valvola aortica in pazienti affetti da stenosi aortica severa. Il dispositivo metallico inserito, grazie ai materiali da cui è composto (nichel e titanio), si adatta maggiormente alle caratteristiche anatomiche della persona. In passato, i pazienti dovevano sottoporsi ad intervento chirurgico invasivo, a cuore aperto. Attualmente, la procedura TAVI dura circa trenta minuti. Subito dopo il paziente resta sotto supervisione pochi giorni, per poi tornare alla vita normale.

(Shalom, 4 gennaio 2022)


Anniversario della deportazione degli ebrei di Roma

Dureghello: «La ricerca dei nomi deve continuare»

«Oggi ricordiamo i cittadini romani deportati nei lager. Su questo muro al Cimitero del Verano ci sono i nomi di queste persone. Non tutti purtroppo. La ricerca deva continuare nel nome della continuità e del ricordo» così la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello a margine della commemorazione della deportazione dei cittadini romani nei campi di sterminio nazisti al Cimitero del Verano.

(Vista, 4 gennaio 2022)


«Italia, difendi Israele se vuoi salvare la civiltà occidentale» 

Va protetta anche dall'antisemitismo dell'Onu. L'antisionismo, forma moderna dell'antisemitismo, dilaga persino nelle istituzioni. Ogni anno l'Onu vota tra le 25 e le 30 volte mozioni anti-israeliane. E gran parte del mondo democratico si presta a questa vergogna morale. Intervista a Dror Eydar.

di Umberto De Giovannangeli

Dall'antisionismo che continua ad attecchire in Italia e in Europa, alle incerte prospettive del processo di pace in Medio Oriente. Dalle attese politiche per l'anno appena iniziato, alla comune lotta contro il Coronavirus e le sue varianti. È una intervista davvero a tutto campo quella concessa a Il Riformista dall'Ambasciatore d'Israele in Italia, Dror Eydar.

- Signor Ambasciatore, alla luce del presente ma guardando anche indietro nel tempo, anche a tragici episodi che hanno colpito le comunità ebraiche in Italia e in Europa, ritiene ancora attuale quanto ebbe ad affermare il Presidente emerito Giorgio Napolitano, e cioè che "l'antisionismo è la forma moderna dell'antisemitismo". L'antisionismo è così forte in Italia e in Europa? 
  Il popolo ebraico è rimasto fedele alla sua antica terra anche nei secoli successivi alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel primo secolo. Per generazioni il sogno è stato quello di tornare a casa, a Sion, come promesso dalle profezie bibliche. Il sionismo è l'espressione politica del sogno di tornare a Sion, a casa. L'opposizione al sionismo è opposizione all'autodeterminazione degli ebrei come popolo con dei diritti sulla propria patria storica. Dopo la prima guerra mondiale, quando l'Impero ottomano crollò e il Medio Oriente cadde nelle mani delle potenze vincitrici, le superpotenze si riunirono nell'aprile 1920 a Sanremo, dove riconobbero i diritti del popolo ebraico sulla propria terra. L'Italia ha avuto il privilegio di ospitare sul suo territorio questo evento di portata biblica, e l'allora Presidente del Consiglio, Francesco Nitti, fu tra i firmatari del mandato affidato alla Gran Bretagna, di adempiere alla Dichiarazione Balfour relativa all'istituzione di un focolare nazionale per il popolo ebraico nella sua terra. 
  Nella storia abbiamo errato per tutta l'Europa, e anche se abbiamo contribuito allo sviluppo dell'umanità e dei popoli fra cui abbiamo dimorato, alla fine ai loro occhi eravamo sempre solo degli ospiti per un momento o per qualche generazione, fino alla espulsione successiva. 
  Il culmine è arrivato durante l'Olocausto. Anche nei giorni più terribili per noi, non c'era nessuno ad accoglierci o a proteggerci. Abbiamo capito il messaggio e siamo tornati a casa, perché la piena esistenza ebraica si realizza in una nazione indipendente che risiede nella propria terra e non fa affidamento sulla benevolenza degli altri, come era stato prima della fondazione di Israele. Il nucleo ideologico dell'antisemitismo storico è l'esclusione del popolo ebraico e la sua estromissione dalla famiglia delle nazioni. Quello che spetta agli altri popoli, non spetta ad esso. Più di una volta questa idea è stata portata all'estremo e ci hanno privati dello stesso diritto alla vita. 
  Ma anche l'annuale teatro dell'assurdo all'Onu, in cui ogni anno l'Assemblea Generale vota un pacchetto di risoluzioni anti-israeliane (tra 15 e 20) che presentano Israele come il centro del male mondiale, e di fatto non ci giudicano secondo gli standard applicati al resto del mondo, è anch'esso una forma di antisemitismo. 
  Sfortunatamente, gran parte del mondo democratico occidentale si presta a questa vergogna morale. Per loro è solo un gioco di interessi. Per noi, colpire lo status di Israele sulla scena internazionale, incoraggia i nostri nemici e porta a un incremento dei casi di antisemitismo nel mondo. Spero che l'Italia aiuti a cambiare questa assurda situazione all'Onu, e sono incoraggiato dalle molte voci nel Parlamento italiano che chiedono un cambiamento in tale direzione. 

- Lei sa che la posizione dell'Europa in merito al negoziato israelo-palestinese si fonda sulla soluzione "a due Stati". E questa è anche la posizione ufficiale dell'Italia. Ritiene che questa strada sia ancora praticabile? 
  Non si può sapere. Bisogna essere in due per ballare il tango. Finora, tutte le proposte di compromesso offerte ai palestinesi negli ultimi cento anni sono state da loro respinte. Anche quelle più generose. Inoltre, tutti i media e le istituzioni educative dell'Autorità Palestinese sono dediti al furto della memoria storica del popolo ebraico e dell'invenzione di una storia per i palestinesi, basata sulla storia conosciuta del popolo ebraico. Nelle mappe dei libri di testo dell'AP non compare Israele, nemmeno entro confini ristretti. Di base, "Palestina" è il nome imposto dall'imperatore Adriano nella metà del II secolo d. C., dopo una serie di rivolte degli ebrei. Voleva recidere il legame tra gli ebrei e la loro terra, così ordinò che in tutti i documenti ufficiali romani il nome "Giudea" o "Israele" fosse sostituito da "Siria-Palestina", o Palestina. Fu preso il nome dai Filistei, uno dei popoli del mare che vissero fino al VII secolo a.e. nella fascia costiera del nostro Paese, e poi sono scomparsi. Lo stesso Gesù visse da ebreo nel primo secolo in Galilea e in Giudea. Reiterati tentativi di mistificazione della storia da parte dei palestinesi impediscono loro di accettare compromessi e di prendersi cura della propria vita, perché si autoconvincono che presto gli ebrei scompariranno. Non nascondo che anche il supporto automatico che essi ricevono dal mondo, per le assurde proposte di risoluzioni presso le istituzioni Onu, li incoraggia a non scendere a compromessi. In ogni caso, vale la pena ricordare che la soluzione non è solo a "due Stati", ma "due Stati per due popoli". Gli accordi di Oslo si basavano sul presupposto che alla radice del conflitto vi fossero due movimenti nazionali. Ma mentre noi abbiamo riconosciuto il movimento nazionale palestinese e le sue richieste, i palestinesi non hanno mai riconosciuto il movimento nazionale del popolo ebraico e la legittimità delle nostre richieste di autodeterminazione nella nostra patria. Non per niente i loro portavoce non menzionano mai la seconda parte dell'idea. Stanno attenti a dire solo "due Stati" e a non menzionare i "due popoli". Non è casuale. L'articolo 20 della Carta nazionale palestinese respinge ogni connessione storica o religiosa tra gli ebrei e la "Palestina", ossia la biblica Terra di Israele, e afferma inoltre che l'ebraismo è solo una religione e non un'identità nazionale. Come ho già spiegato in passato, negare il carattere nazionale di un popolo così antico come il nostro, e il nostro diritto all'autodeterminazione, è evidente antisemitismo. Ma, nello spirito del Natale, aggiungo che negare il legame degli ebrei con la loro patria storica, vuol dire negare necessariamente le radici cristiane in Terra Santa. Una delle assurde risoluzioni delle Nazioni Unite ha affermato che gli ebrei non hanno diritto alla sovranità a Gerusalemme e ha chiamato il Monte del Tempio solo con la sua denominazione musulmana "Hamm al-Sharif. Abbiamo ripetuto più volte ai nostri colleghi in Occidente che questa definizione non è un problema nostro, ma loro, in quanto nega le radici del cristianesimo in quel luogo. Per quanto ne sappiamo, Gesù ha operato sul "Monte del Tempio" e non nel "Hamm al-ShariF, ha camminato a Gerusalemme e non in "Al Quds", e in generale ha vissuto in Giudea e Galilea e non in "Palestina". Un compromesso storico inizia con un riconoscimento storico della legittimità delle nostre rivendicazioni nazionali e del legame vivo e chiaro del popolo ebraico con il proprio paese. Questo è il significato dell'altra metà della soluzione: " ... per due popoli", anche per il popolo ebraico.

- Alcune settimane fa c'è stato lo storico viaggio del Primo ministro israeliano Naftali Bennett negli Emirati Arabi Uniti, il primo nella storia dalla nascita d'Israele. La via maestra da seguire per la stabilità della regione è dunque quella di implementare gli "Accordi di Abramo" e l'Europa come potrebbe contribuire a questo? 
  Gli Accordi di Abramo, sostenuti anche dall'Italia, hanno cambiato il vecchio paradigma in Medio Oriente sotto diversi aspetti. Per prima cosa, gli Stati arabi moderati ora capiscono che, contrariamente alla propaganda di vecchia data contro di noi, Israele non è il problema in Medio Oriente, ma la soluzione e la speranza per la stabilità nella regione. Vedono che, in tutti i luoghi del Medio Oriente in cui la stabilità è stata minata, si posso- no trovare le mani dell'Iran o dei suoi emissari. Per la prima volta dalla fondazione dell'Islam nel VII secolo, c'è ora una ininterrotta mezzaluna sciita o sotto l'influenza sciita - dall'Iran, attraverso l'Iraq, la Siria, il Libano, fino al Mediterraneo. Pertanto, è importante rafforzare la coalizione tra Israele e gli stati arabi moderati, alla luce delle mire di egemonia dell'Iran e dei suoi tentativi di minare i regimi di questi paesi. 
  Un'altra questione legata al vecchio paradigma è l'affermazione che non possa esserci progresso nella normalizzazione delle relazioni di Israele con gli stati arabi senza progressi nel processo di pace con i palestinesi. Ebbene, come ho detto prima, anche gli Stati arabi hanno capito che i palestinesi rifiutavano qualsiasi offerta e quindi ponevano un veto permanente sul futuro della regione. Sono sempre di più le voci che si sentono nei paesi del Medio Oriente e che si chiedono perché dovrebbero ipotecare il loro futuro al costante rifiuto palestinese di scendere a compromessi. Lo abbiamo sentito anche dall'ambasciatore saudita Bandar Bin Sultan in un'intervista dell'ottobre 2020. Gli Accordi di Abramo sono un accesso e una porta per la prosperità economica, la sicurezza e la fioritura del deserto, per lo scambio di informazioni e tecnologia. 
  L'Europa può aiutare a portare ancora più paesi nel cerchio della pace. Può anche spingere i palestinesi a scendere a compromessi, se capiscono che non riceveranno più un sostegno (quasi) fisso per le loro decisioni anti-israeliane. Sarebbe bene che l'Europa controllasse dove vanno a finire le sue donazioni e i suoi aiuti (molte volte, in un modo o i un altro, vanno a finire a sostegno di organizzazioni terroristiche), soprattutto alla luce del fatto che l'Autorità Palestinese paga gli stipendi alle famiglie dei terroristi che hanno ucciso gli ebrei. I libri di testo palestinesi, poi, sono intrisi di odio e istigazione contro gli ebrei, e l'Europa, che contribuisce a finanziare il Ministero dell'Istruzione dell'Anp e l'Unrwa, dovrebbe impedire che ciò possa accadere. Dovremmo anche imparare tutti dall'esperienza degli stati arabi moderati. Forse vedono qualcosa che ci aiuterà a sbloccare lo stallo in Medio Oriente, dopo circa cento anni di conflitto. 

- Signor Ambasciatore, non ritiene che una identificazione assoluta tra l'ebraismo della diaspora e Israele sia dannosa o comunque semplificatoria? 
  Dalla prima distruzione di Gerusalemme nel 586 a.C., gli ebrei sono dispersi in tutto il mondo, anche quando il centro del mondo ebraico si trovava in Israele. Le comunità ebraiche sono autonome e indipendenti, la loro identità non dipende dalla misura del loro legame con Israele. La comunità ebraica in Italia è antichissima e le sue radici risalgono al II secolo a.C. Gli ebrei sono gli eterni testimoni del passato di questa gloriosa terra, e hanno contribuito molto all'unificazione d'Italia e per essa hanno sacrificato la vita sui campi di battaglia. Coloro che cercano di mettere in discussione la loro identità o il grado del loro impegno per la prosperità e la sicurezza dell'Italia sono gli antisemiti. Questo è ciò che hanno fatto in tutte le generazioni: hanno mosso verso gli ebrei sospetti di slealtà nei confronti dell'autorità preposta. La realtà era, ovviamente, esattamente l'opposto. I nemici dello Stato di Israele cercano obiettivi da attaccare, e quindi cercano di identificare gli ebrei con Israele. Questo è assurdo. Da una parte usano dire: non abbiamo nulla contro gli ebrei, ma solo contro il sionismo e Israele. Dall'altra parte, identificano gli ebrei con Israele e poi li attaccano. Questo è un noto atteggiamento antisemita. Nel XIX secolo, quando gli ebrei combattevano per i diritti civili, gli antisemiti si opposero, sostenendo che gli ebrei fossero un popolo e non solo una religione, e quindi la concessione dei diritti civili sarebbe stata una sorta di istituzione di uno stato all'interno dello stato. Per questo gridavano: "Ebrei, andate in Palestina". E quando gli ebrei lasciarono l'Europa e stabilirono uno stato nella loro antica patria, gli antisemiti iniziarono a esclamare: "Ebrei, andate via dalla Palestina", perché siete solo una religione e non un popolo. 

- C'è una "guerra" che dovrebbe vedere l'intero pianeta unito: è la guerra al Covid. Israele è tra i Paesi che meglio hanno agito in questo senso. È un modello esportabile? 
  In effetti, la lotta contro il Coronavirus presenta molti parametri simili a una guerra mondiale. Il mondo ha imparato a cooperare, anche tra paesi nemici, per salvare la vita dei civili. Abbiamo anche imparato l'importanza dell'abilità scientifica. Dall'inizio della pandemia Israele è in prima linea a livello mondiale, sia riguardo all'isolamento all'inizio, sia poi nella vaccinazione della popolazione e anche nella ricerca. Ora stiamo discutendo di un quarto vaccino. Allo stesso tempo, condividiamo con il mondo le informazioni scientifiche e l'esperienza acquisita in Israele. In particolare le condividiamo con l'Italia. Già dalle prime ondate abbiamo stabilito un incontro settimanale tra i due ministeri della salute, quello israeliano e quello italiano. La scorsa settimana si è ripreso. In piena seconda ondata, nel dicembre dello scorso anno, abbiamo portato una delegazione medica dell'ospedale Sheba in Israele - uno dei migliori al mondo - per aiutare il Piemonte a combattere il virus. Quando si vedono le dimensioni della pandemia, si capisce perché viene trattata come una guerra mondiale. 
  Ma c'è un'altra guerra in corso negli ultimi decenni, una guerra molto importante per la nostra esistenza: la guerra per la civiltà occidentale e i suoi valori. Qui, in particolare, Israele funge da avamposto in difesa dell'Occidente. Il sostegno a Israele è quindi una scelta di vita per l'Italia e per l'Occidente. 

(Il Riformista, 4 gennaio 2022)


Israele: «Non puntiamo all’immunità di gregge con Omicron: non sappiamo abbastanza»

La risposta al direttore del ministero della Salute, Nachman Ash, che aveva dichiarato: «Con la variante Omicron si potrebbe raggiungere l’immunità completa della popolazione».

«Non abbiamo alcuna politica che punti all’immunità di gregge. Non vogliamo che tutti vengano contagiati, ci mancherebbe altro». È la risposta del coordinatore israeliano alla lotta al Covid, il professor Salman Zarka, sulla polemica sollevatasi quando Nachman Ash, direttore del ministero della Salute, aveva dichiarato che la variante Omicron avrebbe potuto far raggiungere l’immunità di gregge in Israele, nonostante «il prezzo sarebbe quello di numerosissime infezioni». La notte scorsa, parlando all’emittente televisiva pubblica Kan, Zarka ha chiarito la questione: «Qui c’è un virus nuovo, che non conosciamo in maniera sufficiente. Non sappiamo quali potrebbero essere le sue conseguenze future. Pertanto è opportuno che tutti andiamo a vaccinarci, che teniamo le mascherine e ci proteggiamo». Non ci sono basi scientifiche che l’immunità di gregge funzioni, ha detto Zarka, secondo quanto riportato da Haaretz, aggiungendo che non si può essere sicuri che «chi sia stato contagiato dalla variante Omicron sia poi effettivamente protetto». Intanto il numero dei contagi è cresciuto in Israele con grande rapidità. Ieri sono stati oltre 10 mila, su 220 mila tamponi. Ma il premier israeliano, Naftali Bennett, ha espresso soddisfazione per l’immediata risposta al suo appello rivolto agli over 60 a somministrarsi la quarta dose di vaccino Pfizer, se sono trascorsi almeno quattro mesi dalla terza. «In un solo giorno – ha affermato – 100 mila israeliani si sono subito vaccinati o hanno almeno fissato un appuntamento. Si tratta di un grande successo». Oggi, a ricevere la quarta dose, è stato anche lo stesso Nachman Ash. Finora, secondo il sito Ynet, la nuova dose booster è stata somministrata a circa 25 mila israeliani.

(Open, 4 gennaio 2022)


Cosa sta succedendo veramente in Israele a proposito di pandemia

di Jonathan Pacifici

Lo stato ebraico è stato sin dalle prime ore della pandemia un modello di efficienza ed organizzazione ed al netto degli inevitabili errori ha messo in piedi una delle più efficaci campagne vaccinali della storia. Ha stupito il mondo con i tracciamenti cellulari ed una fantascientifica gestione dei dati. Eppure, tutto ciò non è bastato a sconfiggere il virus. Nella confusione delle ultime settimane, con repentini cambiamenti delle disposizioni volte ad arginare lo tsunami Omicron, si rischia di perdere d'occhio la strategia fondamentale, che invece non è affatto cambiata: minimizzare i decessi ed al contempo garantire la maggior apertura possibile dell'economia. Questo sottile equilibrio ha funzionato benissimo con la variante delta: bassissima ospedalizzazione e forte ripresa economica. Ed ora? Omicron ha improvvisamente cambiato le regole del gioco. Il premier Naftali Bennet è stato il primo a chiudere il Paese all'Africa e conseguentemente all'ingresso degli stranieri. Questo tempo, ha spiegato, è fondamentale per incrementare il tasso di vaccinazione dei bambini che questa volta saranno molto più esposti. In un Paese con una popolazione molto giovane, ancora poco vaccinata nonostante le incessanti richieste, questo aspetto è fondamentale. Ora l'onda d'urto di Omicron sta colpendo anche Israele, rappresenta oltre la metà dei 3.227 contagiati di mercoledì. La buona notizia è che il tasso di ospedalizzazione è ancora molto basso: solo 8 infettati Omicron sulle 89 attualmente ospedalizzate, tutti non vaccinati. Ma i numeri cambiano rapidamente e la velocità di Omicron rende ineluttabile il contagio di massa. E proprio per questo che ora Israele punta tutto sulla gestione dei casi gravi e, come al solito, è la prima a sperimentare nuovi strumenti. Mercoledì sono infatti atterrate in Israele le prime 100.000 dosi della pillola anti-Covid della Pfizer Paxlovid, come concordato da Bennet con il ceo della Pfizer Albert Bourla. Il Paxlovid ha ricevuto l'approvazione della Fda la scorsa settimana dopo aver dimostrato in studi clinici di fase II/III che riduce le malattie gravi, l'ospedalizzazione e la morte dell'89% quando i pazienti vengono trattati precocemente. Domenica il ministero della Sanità israeliano ha fornito l'autorizzazione di emergenza e nelle prossime ore dovrebbe iniziare l'impiego nel sistema sanitario. Il farmaco, somministrato in compresse, deve essere assunto da pazienti in condizioni da lievi a moderate entro i primi tre giorni dall'insorgenza dei sintomi. Il trattamento è una volta ogni 12 ore per cinque giorni. La vera sfida è dunque ora nell'individuazione dei soggetti a maggior rischio che riceveranno il trattamento ed ancora una volta sarà fondamentale la qualità e la fruibilità del database nazionale. Mentre ci apprestiamo ad entrare nel terzo anno di pandemia è ragionevole affermare che la velocità e la flessibilità di Israele nell'affrontare le fasi pandemiche ha premiato l'economia nazionale. Il pil 2021 segnala un incremento del 7%, ben oltre la media Ocse, al traino di un settore tecnologico che macina record. Negli ultimi undici mesi le società tech israeliane hanno raccolto finanziamenti per 25 miliardi di dollari con 33 nuovi unicorni (aziende private sopra il miliardo) ed exit per oltre 84 miliardi di dollari. Si tratta di un incremento del 136% rispetto al già straordinario 2020. L'export nazionale ha raggiunto quota 140 miliardi di dollari (+ 18.5%). Evidentemente anche in Israele non è stato un buon anno per tutti. Il settore turistico continua a soffrire gli effetti della pandemia ed il governo sta progressivamente riducendo i sussidi spostandoli su programmi di riqualificazione della forza lavoro. Il ministro delle Finanze Lieberman lo ha detto con il suo stile poco politically correct scatenando un mare di polemiche: «Se lavori nel turismo, cambia mestiere».

(MF, 4 gennaio 2022)


Una valutazione entusiastica dei successi di Israele anche in questo campo: ammirazione per la velocità con cui si è cercato i incrementare il “tasso di vaccinazione” dei bambini e spinta al miglioramento della “qualità e fruibilità del database nazionale”, cioè della tracciatura completa di tutti i cittadini. Un primato tecnocratico che si conferma funesto per tutti, a cominciare da Israele. Ma per il momento ancora non si vede. M.C.


Tutte le persone che verranno ricordate nel giardino dei giusti di Milano

Si tratta di nove persone, il loro nome verrà iscritto nel memoriale dedicato alle persone che si sono opposte ai genocidi

Sono stati scelti i 9 nomi che il prossimo 6 marzo verranno iscritti nel giardino dei giusti sul Monte Stella di Milano, memoriale dedicato alle persone che si sono opposte ai genocidi e ai crimini contro l'umanità.
  Si tratta di 10 persone, "uomini e donne che, in tempi e luoghi diversi, hanno speso la loro vita nel tentativo di porre un argine all'odio e alla violenza nel mondo", ha precisato la presidente del consiglio comunale di Milano Elena Buscemi.
  "Con i Giusti che onoreremo quest’anno lanciamo a tutto il Paese un grande segnale per la prevenzione dei genocidi, nello spirito della Convenzione delle Nazioni Unite approvata nel dopoguerra per merito del giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, che cercò di unire il mondo attorno alla mobilitazione contro ogni atrocità di massa", ha dichiarato residente della Fondazione Gariwo, Gabriele Nissim. Lo sguardo è quindi alle sfide del mondo contemporaneo: "Mentre oggi in Russia viene messa fuori legge Memorial, l’organizzazione che ha documentato i gulag, abbiamo voluto rendere omaggio ad una scrittrice straordinaria come Evgenija Solomonovna Ginzburg che fu una delle grandi anime della resistenza morale al totalitarismo sovietico. Il giardino di Milano non vuole rimanere in silenzio di fronte a questa pericolosa distorsione della memoria. Ricordiamo inoltre la resistenza morale degli uiguri di fronte ai campi di rieducazione, dove si tenta di cancellare la loro identità storica. Per questo rendiamo omaggio al docente universitario Ilham Tohti, oggi condannato all’ergastolo per la denuncia che ha fatto al mondo".

PERSONE CHE VERRANNO ISCRITTE
Raphael Lemkin. Ebreo polacco, ideatore della definizione di genocidio, ha ricordato al mondo che la prevenzione di tali crimini è responsabilità dell’umanità intera. Ha dedicato tutti i suoi sforzi, contattando personalmente i leader mondiali nelle loro lingue, all’approvazione di una convenzione contro il reato internazionale di genocidio, da lui redatta e approvata il 9 dicembre 1948 dall’Onu.
Aristides de Sousa Mendes. Console portoghese a Bordeaux, disobbedì agli ordini del suo governo e fornì visti di transito agli ebrei perseguitati, perdendo per questo il lavoro, il sostentamento e la reputazione nel suo Paese. A chi non poteva pagare per i visti consegnò gratuitamente i documenti e istituì un ufficio nel consolato dove riasciava permessi di ingresso. Tra il 15 e il 22 giugno 1940, Sousa Mendes emise un totale di 1.575 visti.
Henry Morgenthau. Ambasciatore americano nell’Impero Ottomano, testimone del genocidio armeno, raccolse fondi per gli orfani sopravvissuti e lavorò per il rimpatrio degli armeni sopravvissuti che continuavano a morire di fame e di epidemie. Scelse di denunciare la tragedia del Metz Yeghern, rendendo pubbliche le documentazioni e i rapporti sul massacro degli armeni, tenendo conferenze, scrivendo analisi sulla metodologia genocidaria.
Ilham Tohti. Docente uiguro, è stato condannato all’ergastolo per aver denunciato le discriminazioni verso le minoranze in Cina, al termine di un processo lampo durato due giorni. Ha sempre rifiutato la violenza e incoraggiato il dialogo, creando anche, a questo scopo, un sito web per promuovere il dialogo tra la minoranza uigura e il resto della popolazione cinese. Conosciuto come il "Mandela della Cina", sta scontando la propria pena nonostante i numerosi riconoscimenti internazionali attribuiti alla sua azione.
Evgenija Solomonovna Ginzburg. Testimone della vertigine dei campi di lavoro sovietici, subisce la cella di isolamento, i lavori massacranti, la tortura, per la sua opposizione alla logica distruttrice del totalitarismo nei confronti della dignità umana. Durante la sua lunga resistenza nell’inferno dello stalinismo, rielabora la propria esperienza nella ricerca della verità: il suo libro Viaggio nella vertigine rimane una testimonianza drammaticamente straordinaria di una protagonista del ‘900.
Godeliève Mukasarasi. Sopravvissuta al genocidio dei tutsi in Ruanda, nonostante le minacce e l’uccisione di sua figlia e suo marito scelse di testimoniare nel processo Akayesu, contribuendo alla prima condanna al mondo per genocidio. Oggi è ancora impegnata nell'organizzazione Sevota da lei creata, che riunisce 80 associazioni con oltre 2000 membri e promuove la riconciliazione tra hutu e tutsi. Tra le iniziative in cui è maggiormente impegnata c’è l’assistenza medica per le sopravvissute alla violenza sessuale durante il genocidio.
Achille Castelli, imprenditore comasco e membro del PNF, salvò antifascisti ed ebrei nascondendoli in casa propria, rifiutandosi anche di consegnare i propri dipendenti che sarebbero stati trasferiti in Germania. Tra di loro, Matilde Steiner Covo e la famiglia ebrea Esckenasi, che Castelli nascose nella propria abitazione.
Patriarca Kiril di Bulgaria - Konstantin Markov Konstantinov, che nel 1943 e 1944 ebbe un ruolo fondamentale nel fermare i treni diretti ai campi di sterminio. Il patriarca difese gli ebrei davanti alla polizia locale, si oppose apertamente contro la politica governativa nei confronti degli ebrei in Bulgaria e insistette implacabilmente per far sì che non fosse negato loro il diritto al lavoro e al sostentamento, contribuendo a impedire la deportazione. Nel 2002 è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem.

(Milano Today, 4 gennaio 2022)


Progetto Influencers: come Israele utilizza la comunicazione per contrastare l’odio in rete

di David Di Segni

Un progetto ambizioso ed innovativo, che usufruisce dei nuovi sistemi di comunicazione. Israele lancia il “progetto influencers”, il corso di formazione per insegnare ai grandi dei Social Media come contrastare antisemitismo ed antisionismo nel web. A renderlo noto, il quotidiano israeliano Arutz Sheva.
  L'idea è quella di fornire i mezzi necessari per combattere le fake news che su internet, ogni giorno, tentando di delegittimare lo Stato ebraico. Tik Tok, Facebook, Instagram e Twitter: piattaforme diverse, ognuna con propri sistemi di approccio.
  “Sono felice che gli influencer si siano uniti allo sforzo per migliorare l'immagine di Israele nel mondo, collaboreranno con il Ministero degli Affari Esteri per diventare ambasciatori sui social network - ha detto Idan Roll, Viceministro degli Affari Esteri israeliano – Con il loro talento naturale nel raccontare storie sulle reti e con la formazione del ministero, saranno una parte importante della guerra alla delegittimazione di Israele nel mondo". Tra gli influencer che prenderanno parte al progetto, Alex Korotaev di TikTok, il modello Orin Julie e il cantante Stephane Legar.
  Quello degli influencer è un mondo ormai riconosciuto ed affermato. Si fanno chiamare “creatori di contenuti digitali” e sono gli opinion leader delle reti virtuali. Conquistando il grande pubblico nelle maniere più disparate, diventano i punti di riferimento dei “followers”, i seguaci, che accrescono la loro visibilità con continue interazioni (condivisioni, like, commenti). La quotidianità con cui vengono pubblicati i contenuti ed il diretto approccio con chi li segue da dietro lo schermo, conferiscono agli influencer un potere sociologico di estrema importanza: sono capaci di indirizzare, modulare e influenzare il pensiero dei followers, come un grande radiofaro che emette frequenze in tutte le direzioni.
  Mentre molti denigrano questo mestiere, definendolo un “finto lavoro” per sottolineare l’importanza delle professioni tradizionali, altri Paesi ne hanno colto l’importanza e la risorsa che può celarsi all’interno. In primis l’hanno compreso gli antisemiti, che da sempre, e ancor di più durante il conflitto Guardiani delle Mura, hanno utilizzato ogni strumento possibile per fare propaganda di odio.
  Israele è al passo coi tempi e per questo ha deciso di sviluppare le risorse umane per diffondere non fake news, ma le verità sulla propria storia e sulle proprie azioni. Tenterà così di limitare l'antisemitismo che dilaga su internet.

(Shalom, 3 gennaio 2022)


Casherut, la riforma prende il via

Il ministro degli Affari Religiosi Matan Kahana ha lanciato un ambizioso progetto di riforma del sistema della casherut in Israele. L'obiettivo è quello di aprire questo settore alla concorrenza e sottrarlo al monopolio del Gran Rabbinato. Quest'ultimo però ha espresso aspre critiche nei confronti del piano, che ha ottenuto il via libera con la Legge di Bilancio.

Secondo la riforma della casherut approvata nel quadro della legge di Bilancio, il Primo gennaio 2023 questo mercato sarà aperto in Israele alla piena concorrenza. Gli enti privati autorizzati potranno concedere le certificazioni casher e competere tra di loro e con i concili religiosi. Chi vorrà fornire agli esercizi commerciali i certificati potrà scegliere tra due standard di casherut (una più stringente e una meno), che saranno determinati dal Gran Rabbinato, che svolgerà non più un ruolo diretto ma una forma di controllo dall'alto su tutto il procedimento. Sarà vietato acquistare da enti non autorizzati che offrono prodotti con il marchio casher. I rabbini nominati nei territori municipali (consigli religiosi) potranno rilasciare attestati di vigilanza anche a imprese che non si trovano nel loro territorio comunale per ampliare la concorrenza. I supervisori di casherut dovranno ricevere il via libera dal Gran Rabbinato e l'esercizio della professione sarà aperto alle donne.
  "Chiunque abbia buon senso può vedere che il nostro sistema di casherut è molto malato, e deve essere messo in ordine" ha dichiarato il ministro degli Affari Religiosi Matan Kahana in un'audizione alla Knesset, il Parlamento d'Israele. "Il mio piano metterà ordine nel sistema, lo aprirà alla concorrenza, e lo metterà sotto la regolamentazione del Gran Rabbinato, sotto la sua supervisione come avviene all'estero. Così, più persone mangeranno casher". Non è di questo avviso però il Gran Rabbinato, secondo cui questa modifica creerà solo confusione. I consumatori, afferma l'autorità d'Israele in materia di Legge ebraica, non saranno tutelati sulla qualità della supervisione delle regole alimentari e, di conseguenza, sull'effettivo rispetto della casherut. "Questa non è una riforma, non è una correzione" ha dichiarato il rabbino Eliezer Simcha Weiss, membro del Consiglio del Gran Rabbinato. "Rovinerà tutto il cibo casher in Israele, ogni tipo di organizzazione deciderà di dare cibo casher e nessuno saprà il loro status e quanto sono casher. Queste sono cose su cui bisogna riflettere con i rabbini". Una posizione condivisa anche da una lettera firmata da alcuni rabbini del mondo sionista religioso israeliano, tra cui Haim Druckman, Yaakov Ariel e Shmuel Eliyahu. Figure considerate punto di riferimento del partito di cui fa parte Kahana (Yamina del Primo ministro Naftali Bennett). Intanto il ministero delle Finanze stima che il nuovo sistema potrebbe far risparmiare al consumatore israeliano decine di milioni di shekel all'anno, con un abbassamento dei costi delle licenze e, di conseguenza, dei prodotti. E anche all'estero, nelle comunità ebraiche della Diaspora, si guarda con attenzione alla proposta Kahana. "Il piano potrebbe potenzialmente portare anche a prezzi più bassi per le merci israeliane vendute all'estero", sostiene Haaretz. "I negozi casher in Europa, Nord America e Australia vendono tutti prodotti israeliani, che sono particolarmente importanti nei mercati più piccoli". Parlando al quotidiano israeliano, rav Moché Lewin, vice presidente della Conferenza dei rabbini europei e consigliere del rabbino capo francese Haim Korsia, ha evidenziato come i cambiamenti nella casherut in Israele riguardino "tutto il popolo ebraico nel mondo".
  Alle resistenze interne, Kahana (le cui proposte di riforme hanno portato a minacce tali da dovergli garantire un servizio di sicurezza) ha cercato di rispondere con diversi mezzi. Dai colloqui diretti con i Gran rabbini d'Israele - in particolare con il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef a cui è affidata la gestione del tema delle regole alimentari - a video pubblicati online per raggiungere i consumatori. In uno di questi il ministro dichiara che il costo di ogni certificato casher raggiunge migliaia di shekel al mese e non è sostenibile dagli esercenti. Questi ultimi devono dare un compenso al supervisore, che è impiegato direttamente nel ristorante. Una situazione che crea un conflitto di interessi, che il Controllore di Stato e l'Alta Corte hanno chiesto di modificare. E così avviene nella riforma, con i supervisori assunti dagli enti privati che forniscono le certificazioni.
  Questi ultimi, si diceva, devono ricevere il via libera o direttamente dal Gran Rabbinato o l'approvazione di tre rabbini dell'area in cui operano. L'obiettivo di questa doppia possibilità è dare un'alternativa su questioni in cui il Rabbinato è considerato particolarmente severo, come i ristoranti il cui cibo è casher, ma che sono aperti il sabato. Finora, tali ristoranti non hanno ricevuto la certificazione dal Gran Rabbinato. Con la nuova disposizione potranno riceverne una ufficiale, che è leggermente diversa da quella normalmente esposta. Tutto il sistema dovrà in ogni caso essere implementato e l'orizzonte temporale per mettere la nuova macchina in moto è di un anno. Nel frattempo Kahana sta portando avanti un'altra riforma importante: quella legata alle conversioni. Anche qui si andrebbe a modificare quello che viene descritto come un monopolio gestito dal Gran Rabbinato con contrasti e resistenze. "Vogliamo trovare il modo di aiutare chi si converte, stabilire tribunali che li vedano come una risorsa e come un potenziale", le parole del ministro. "Un sistema di conversione attivo che richiami gli israeliani di origine ebraica a tornare all'interno del popolo ebraico". Per il ministero degli Affari religiosi si prospetta dunque un 2022 impegnativo.

(Pagine Ebraiche, 3 gennaio 2022)


Se il democratico cileno Boric partecipa alla demonizzazione di Israele

di Pierluigi Battista

Certo, esultiamo per il giovanissimo presidente cileno Gabriel Boric che ha battuto l’orrido seguace di Pinochet, intoniamo El pueblo unido, rifocilliamoci l’anima con gli Inti Illimani, un deferente e commosso saluto a Salvador Allende assassinato alla Casa Rosada. Poi però disperiamoci un po’ perché Boric il nuovo esige con infinita arroganza che gli ebrei cileni, che mai avrebbero votato per il candidato dell’estrema destra, prendano umilmente le distanza da Israele.
  Lasciamoci pure afferrare dallo sgomento perché un giovane politico di sinistra debba dire castronerie sull’apartheid in Israele ed esorti al boicottaggio sistematico dei prodotti israeliani; chiediamoci ancora una volta perché un leader democratico debba tessere l’elogio dei tiranni e dei tagliagole che vogliono annientare l’unica democrazia del Medio Oriente.
  Deve essere una maledizione, la sinistra che non riesce a liberarsi degli stereotipi più consunti, che precipita sempre nello stesso errore, che fa suoi i furori dell’antisionismo più cieco oramai strettamente intrecciato, fino alla fusione in molti casi, con l’antisemitismo di marca antica.
  Sarà pure un ribelle, il giovane presidente cileno, ma non riesce proprio a ribellarsi alle idiozie e ai luoghi comuni con cui una sinistra ammuffita, dogmatica, così poco liberale tratta con odio la democrazia di Israele. Spiace per gli ebrei del Cile, che pure hanno votato in massa per Boric (e come non avrebbero potuto, di fronte al candidato fascista), sottoposti a un diktat infame. La democrazia, stavolta, non abita alla Casa Rosada. Per gli Inti Illimani, un’altra volta.

(L'HuffPost, 3 gennaio 2022)


QUALCHE MESE FA

Covid, Israele vede la luce: da domenica addio mascherine

17 febbraio 2021 - Lo ha annunciato il ministro della Sanità: "Tasso d'infezione molto basso grazie al successo della campagna di vaccinazione".

A partire da domenica gli israeliani non dovranno più indossare la mascherina all’aperto, grazie ai buoni risultati della vaccinazione contro il Covid-19. Lo ha annunciato il ministro della Sanità Yuli Edelstein, mentre si concludono questa sera le celebrazioni della festa dell’Indipendenza.
  “Il tasso d’infezione in Israele è molto basso grazie al successo della campagna di vaccinazione, per questo possiamo allentare ulteriormente le restrizioni. Vi chiedo ancora di portare la mascherina negli spazi chiusi. Insieme manterremo basso il tasso d’infezione”, si legge in un comunicato citato dal sito Ynetnews.

• Israele avanguardia
  Del resto Israele, grazie al basso numero di abitanti ed alla capacità di approvvigionamento di dosi vaccinali, ha registrato una efficacia del 93% col vaccino Pfizer, garantendo una quasi totale protezione contro il virus: lo aveva annunciato giovedì 11 febbraio il fornitore di servizi sanitari del Paese, confermando risultati positivi anche su un enorme campione di persone, confermando il successo delle campagne vaccinali su larga scala.

• Zero decessi per Covid su 523 mila soggetti trattati con il vaccino Pfizer in Israele
  Il Maccabi Health Services, noto come Kupat Holim Maccabi, una delle quattro organizzazioni sanitarie attive e operanti in Israele, ha affermato di aver immunizzato circa 523 mila persone grazie alla somministrazione di entrambe le dosi del vaccino Pfizer. Dal monitoraggio ufficiale, inoltre, è emerso che solo 544 persone – lo 0,1% – hanno poi successivamente contratto il coronavirus, sette o più giorni dopo aver ricevuto la seconda dose, ma di queste nessuna è morta. Su 523 mila soggetti vaccinati solo 15 sono stati ricoverati in ospedale: otto in condizioni lievi, tre in condizioni moderate e quattro in condizioni gravi, ma nessuno ha perso la vita a seguito dell’infezione.
  “Questi dati dimostrano in modo inequivocabile che il vaccino è molto efficace e non abbiamo dubbi che abbia salvato la vita a molti israeliani”, ha affermato Miri Mizrahi Reuveni, funzionario senior del Maccabi, al Times of Israel. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, invece, sulla base dei risultati raggiunti ha promesso che l’intero Paese sarà completamente immunizzato entro marzo.

• Vaccinazioni e riaperture
  E del resto, proprio in virtù della velocità con cui si è fatta la campagna vaccinale, il Paese aveva infatti già riaperto i musei, i teatri, le palestre e gli hotel a coloro che avevano ricevuto entrambe le dosi del vaccino contro il Covid-19 esibendo un certificato ad hoc, o ”pass verde”. La decisione era stata presa dopo che il ministero della Sanità israeliano ha detto di ritenere altamente efficace la copertura offerta dal vaccino Pfizer/BioNTech.

(Qui Finanza, 17 febbraio 2021)

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Coronavirus, Netanyahu: “In Israele la pandemia è alle spalle.

«Siamo il primo paese al mondo a emergere dal Covid”»

5 marzo 2021 - La sua campagna vaccinale è riconosciuta come la più efficiente e meglio organizzata al mondo e la velocità nella somministrazione delle dosi – pagate più del doppio rispetto all’Europa per assicurarsele prima – sta permettendo a Israele di riaprire gradualmente e in sicurezza teatri e ristoranti, dopo ben tre lockdown. I risultati per il premier Benjamin Netanyahu sono evidenti:. “Attenzione – ha aggiunto – non penso che ne siamo fuori completamente. Dovremo indossare la mascherina ancora per un po’ di tempo. Ma la pandemia è dietro di noi”.
  Il premier, che si è vaccinato a favor di telecamera lo scorso 20 dicembre, ha ricordato anche che il ‘Green Pass’, la certificazione che attesta l’immunità da vaccino o da guarigione da Covid-19, “si può andare al ristorante, nei teatri, agli eventi sportivi. Questo è. Ne stiamo uscendo”. Sono 4.859.948 le persone che finora hanno ricevuto la prima dose (oltre la metà dell’intera popolazione), e di questi 3.576.379 hanno avuto anche la seconda. Secondo il professore Eran Segal del Weizmann Institute, circa l’87% di tutti gli israeliani over 16 – e che non sono né ebrei ortodossi, né arabi – hanno ricevuto almeno una inoculazione. Gli ortodossi sono invece al 72% mentre gli arabi israeliani più indietro, al 64%.
  Il mantenimento delle misure anti-contagio, che includono mascherine e distanziamento, era stato specificato anche da autorità ed esperti sanitari, che in un briefing via zoom hanno ribadito che l’immunità di gregge non può essere raggiunta al momento, visto che il 30% della popolazione di Israele che è under 16 non può ricevere le iniezioni del farmaco. Studi sono in corso per capire se sarà possibile o meno.
  Intanto i dati continuano a esaltare i risultati della campagna vaccinale: per la prima volta da dicembre scorso il numero dei casi gravi di Covid in Israele è sceso sotto i 700 confermando così un andamento positivo. Le nuove infezioni registrate nelle ultime 24 ore sono 4.143 (su 82.670 tamponi), i casi gravi 699 e di questi 224 in ventilazione. Almeno il 50,1% delle nuove diagnosi positive riguardano adolescenti e bambini e solo il 5,4% gli over 60: dato che indica – hanno osservato gli esperti – l’efficacia della vaccinazione. Le vittime – da inizio pandemia – sono arrivate a 5.815. Il fattore R (che indica la capacità di infettare per ogni singolo positivo) è sotto l’1 (0.99). Intanto prosegue la campagna vaccinale di massa a partire dai 16 anni di età.

(il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2021)


OGGI


Covid: Israele, assalto a centri tamponi drive through

3 gennaio 2022 – Lunghe code sono registrate anche oggi in Israele nei centri ‘drive through’ per i tamponi di Covid ed il personale – riferiscono i media con toni allarmati – denuncia di essere ormai vicino allo stremo. Ieri le casse mutue hanno avuto ordine dal ministero della sanità di avviare appena possibile la campagna di somministrazione di una quarta dose di vaccino Pfizer a quanti hanno superato i 60 anni e hanno ricevuto la terza dose oltre quattro mesi fa. Anche il personale sanitario è sollecitato ad assumere la quarta dose. Intanto la pandemia continua a diffondersi a ritmo accelerato. Ieri i contagi sono stati 6.562, circa il 5 per cento dei tamponi effettuati. Il tasso R di contagio è salito a 1,88. I malati gravi sono 110. Si tratta delle cifre più elevate registrate in Israele dal periodo settembre-ottobre 2021. Ieri il premier Naftali Bennett ha avvertito che molto presto si arriverà a 20 mila contagi quotidiani e che in seguito quella cifra potrebbe raggiungere quota 50 mila.

(La Voce, 3 gennaio 2022)


E la "scienza"? Che fa la "scienza"? Israele è stato il primo a dire di essere emerso dal covid, adesso è il primo a dire che dal covid non si emerge più. Sempre di primato si tratta. M.C.


Gaza, Israele colpisce obiettivi militari di Hamas dopo il lancio di razzi dalla Striscia

Torna a salire la tensione dopo il cessate il fuoco che ha posto fine alla guerra nel maggio scorso. Negli ultimi mesi si sono intensificati gli attacchi contro cittadini israeliani in Israele. La Jihad islamica minaccia un'escalation se non verrà liberato un prigioniero palestinese
  Torna a salire la tensione nella striscia di Gaza, governata da Hamas, dopo che sabato alcuni razzi sono stati sparati in direzione di Israele. L'esercito israeliano ha risposto domenica colpendo obiettivi militari nella Striscia, a Khan Younis, nel sud.
  Gli attacchi hanno preso di mira anche un impianto di produzione di razzi di Hamas, che Israele considera responsabile delle violenze che provengono dal territorio che controlla.
  I due razzi lanciati sabato da Gaza erano finiti in mare, non è chiaro se fossero destinati a colpire Israele o se incece fossero un test, visto che i gruppi armati che operano nella Striscia spesso testano missili sparandoli verso il mare.
  Lo scambio di colpi si era arrestato a maggio, da quando un cessate il fuoco ha posto fine a una guerra di 11 giorni tra Israele e Hamas. La tregua mediata dall'Egitto appare però fragile. Negli ultimi mesi si sono intensificati gli attacchi cittadini israeliani in Israele.
  Hamas accusa Israele di non avere compiuto passi seri per alleviare il blocco imposto a Gaza con l'aiuto dell'Egitto quando il movimento islamico ha preso il controllo dell'enclave costiera nel 2007.
  La tensione è alta anche perché altri gruppi come la Jihad islamica, una formazione più piccola di Hamas ma ancora più integralista e radicale, minacciano un'escalation militare se Israele non pone fine alla detenzione amministrativa di un prigioniero palestinese che è in sciopero della fame da oltre 130 giorni.
  Mercoledì, militanti palestinesi a Gaza hanno sparato e ferito leggermente un civile israeliano vicino al recinto di sicurezza e Israele ha risposto con il fuoco di carri armati contro diversi siti di Hamas nel primo scontro diretto da mesi.

(la Repubblica, 2 gennaio 2022)


L’Italia si unisca al Global Cyber Cabinet. L’invito di Unna, cyber-capo di Israele

Nella sicurezza informatica “siamo sulla stessa lunghezza d’onda”, spiega il direttore generale dell’Israel National Cyber Directorate reduce da un evento a Bari con l’omologo italiano Roberto Baldoni

di Gabriele Carrer

Per alcuni anni, anche quelli in cui ha ricoperto incarichi di vertice nello Shin Bet, è stato semplicemente “Y”. Con l’inizio del 2022, Yigal Unna ha festeggiato i suoi quattro anni da direttore generale dell’Israel National Cyber Directorate. CTech, il sito in lingua inglese del giornale economico israeliano Calcalist che si occupa di tecnologia, l’ha definito “l’uomo che guida le cyberguerre di Israele”. Ma è anche una delle figure di spicco nell’“ecosistema” cibernetico – definizione che chiunque abbia frequentato il mondo informatico israeliano ha sentito nominare diverse volte – dello Stato ebraico.
  Nei giorni scorsi ha partecipato a una conferenza organizzata a Bari dall’Università di Bari “Aldo Moro” e dal centro studi israeliano Jerusalem Institute for Strategy and Security. Prima di lui, sul palco, è intervenuto il suo omologo italiano, il professor Roberto Baldoni, direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che, come la struttura israeliana, è posta alle dirette dipendenze del capo del governo.

- Le economie di Italia e Israele sono spesso definite complementari. Come definirebbe il rapporto tra i due Paesi nel contesto informatico?
  Ricopro questo posizione dal 2018, e già prima avevo ottimi rapporti con le mie controparti in Italia. Devo dire che fino a poco tempo fa, non abbiamo trovato nessuna controparte rilevante a causa della mancanza di un’agenzia come la nostra in Italia. Non vedevo l’ora che arrivasse, perché abbiamo un modo di pensiero simile in materia di sicurezza nazionale, tecnologia e partenariati. Nella mia breve visita a Bari, è stato fantastico parlare con il professor Baldoni e vedere che siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

- Nell’attuale contesto geopolitico caratterizzato dal confronto tecnologico tra Stati Uniti e Cina, come possono due Paesi come Israele e Italia, il cui principale alleato sono gli Stati Uniti, lavorare per rendere sicure le loro infrastrutture?
  Entrambi abbiamo buone relazioni economiche e commerciali – e vogliamo che crescano – con tutti, anche con un gigante come la Cina. Ci rendiamo conto delle tensioni del mondo attuale. E questo spinge ancor di più i Paesi più piccoli a unirsi e lavorare insieme e in maniera più stretta. Un esempio che faccio anche a porte chiuse: nell’aviazione commerciale, dopo che Boeing ha preso una posizione più forte decenni fa, l’Europa si è presentata con Airbus portando più di un Paese insieme. Ora è quasi un duopolio. Questo può essere un buon modello per gestire il 5G e altre cose: più trasparenza, più partnership, quindi meno sospetti.

- Sotto l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti sembrano aver maggiore sensibilità su questi temi. Pensiamo, per esempio, alla Counter Ransomware Initiative e al Summit per la democrazia. È ancora possibile parlare di un mondo occidentale unito anche nell’arena cibernetica?
  Oh sì, assolutamente. Penso che sia inevitabile. Tutti i “cattivi” lavorano da Paesi terzi e le nostre agenzie per la sicurezza cibernetica non sono forze dell’ordine. La Counter Ransomware Initiative, per esempio, ha cercato di colmare le lacune tra i Paesi – è tutta una questione di velocità e connessione. Abbiamo bisogno di partnership 24 ore su 24, sette giorni su sette. È una questione che riguarda tutti i Paesi democratici. Condividere informazioni, lavorare insieme, a prescindere dai confini: questo deve essere il nuovo modello di lotta contro questa pandemia. Ed è per questo che abbiamo un Global Cyber Cabinet, un club guidato da Israele con i vertici delle agenzie di sicurezza cibernetica e di cui vorremmo che l’Italia facesse parte aggiungendosi a Paesi come Stati Uniti, Germania, Giappone, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti.

- Ecco, gli Emirati Arabi Uniti… Questo è uno dei risultati degli Accordi di Abramo.
  Ero sullo storico, primo volo diretto tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti nell’agosto 2020. È stata la prima volta che una figura del settore cyber si è unita a un volo di questo tipo per la nascita di relazioni formali tra due Paesi. Simboleggia come la sicurezza informatica sia parte di tutto l’essenziale e collega i Paesi. Abbiamo una fantastica amicizia, affrontiamo le stesse minacce, purtroppo, e dobbiamo lavorare insieme.

- Minacce come l’Iran?
  Per esempio, l’Iran. Ma ci sono anche aspetti di innovazione legati alla vita quotidiana. È un’amicizia, non solo una partnership.

- La stretta attualità ci porta a parlare di Log4Shell, che alcuni esperti del settore hanno descritto come l’apocalisse informatica. Quanto è grave questa vulnerabilità?
  In 32 anni in questo settore, ho sentito troppe volte parlare di apocalisse, catastrofe e giorno del giudizio. Log4Shell è una delle più gravi vulnerabilità scoperte. Ma purtroppo non è la più grave e non sarà l’ultima. Noi, il fattore umano, siamo l’anello più debole della sicurezza informatica. Il lavoro principale delle nostre agenzie è quello di essere i primi a rilevare queste vulnerabilità e i più veloci a risolverle.

(Formiche.net, 2 gennaio 2022)


Israele-Iran. La guerra psicologica delle minacce

di Fabiana Magrì

Nel conflitto non dichiarato tra Israele e Iran, le regole di ingaggio prevedono l'utilizzo di ogni strategia, tranne, per ora, lo scontro in campo aperto. Azioni e reazioni nell'ombra e mai rivendicati, atti di spionaggio, attacchi informatici che oltre ai danni concreti, hanno un impatto psicologico a cui si attribuisce una rilevanza sempre maggiore. E' una sorta di guerriglia a colpi di intimidazioni e avvertimenti che i due avversari non si risparmiano, ormai quasi quotidianamente. Anche le insoddisfazioni per il tenore dei colloqui sul nucleare a Vienna diventano occasione per scambiarsi una serie di messaggi, tutt'altro che velati.
  In una escalation di dichiarazioni, Israele ha minacciato un'azione militare per distruggere il programma nucleare iraniano, se necessario. A settembre il generale Aviv Kochavi, capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, ha reso note le intenzioni di investire una buona fetta del budget militare nella preparazione di un attacco contro l'Iran. All'inizio di dicembre il capo del Mossad David Barnea ha sostenuto che Israele farà «tutto il necessario» per impedire a Teheran di fabbricare una bomba nucleare. Nelle ultime settimane il ministro della Difesa Benny Gantz non ha perso occasione per ribadire che Tzahal si sta preparando per un possibile attacco militare all'Iran. Non sono rimaste in silenzio le Guardie rivoluzionarie, che hanno preannunciato attacchi distruttivi contro tutti i centri e le basi militari dello stato ebraico e dei Paesi che si prestassero a fornire lo spazio aereo per un'aggressione israeliana. E una prima pagina del Teheran Times di inizio dicembre ha titolato «Solo una mossa sbagliata!», un articolo di avvertimento che si concludeva con la frase «Tieni le mani a posto!»,e si accompagnava a una mappa di bersagli militari in Israele.
  I toni, tuttavia, non sembrano convincere gli analisti. Da un lato, funzionari della difesa israeliana hanno dichiarato che Israele non avrebbe la reale capacità, almeno per i prossimi due anni, di passare alla guerra aperta con il regime degli ayatollah. Dall'altro, lo scenario dipinto dal Teheran Times è decisamente improbabile, con gli innumerevoli "obiettivi" sulla mappa di Israele in posizione apparentemente casuale. Alcuni perfino in Cisgiordania. Le popolazioni però sono esposte e subiscono la pressione psicologica di un'aggressività sbandierata. Senza avere necessariamente tutti gli strumenti per farvi fronte.

(Specchio, 2 gennaio 2022)


Addio a Piero Dello Strologo, il ricordo dell’Anpi: “Figura di riferimento dell’antifascismo”

Già presidente della comunità ebraica genovese, aveva fondato il centro culturale Primo Levi.

GENOVA - È morto ieri a Genova Piero Dello Strologo, padre di Ariel (che gli è succeduto nel ruolo di presidente della comunità ebraica genovese) e fondatore del centro culturale Primo Levi. Tra pochi giorni avrebbe compiuto 86 anni. Attivo nel campo del commercio e della cultura, era stato anche membro del Consiglio di amministrazione del Porto Antico di Genova.
  “Una notizia tristissima – commenta in una nota l’Anpi di Genova -. Era una figura forte e di riferimento nell’impegno antifascista e nel mantenere viva la memoria della Shoah. Vogliamo ricordare con gratitudine anche le iniziative comuni, come la marcia in ricordo del rastrellamento degli ebrei genovesi, e il suo costante impegno in difesa dei valori della Costituzione”.
  “Se ne va un uomo che avremmo voluto ancora a lungo con noi, con la sua intelligenza e la sua pacata determinazione. Ai figli Ariel e Emanuele e a tutta la grande famiglia di Piero, l’abbraccio e le condoglianze di tutta l’Anpi provinciale di Genova”, aggiunge l’Anpi.
  “Intelligente, inquieto, Piero non sopportava i discorsi banali e le idee preconcette. Per lui, essere di sinistra, significava esplorane i limiti e le frontiere (era un uomo di frontiera, a pensarci bene), non accontentarsi mai di quello che aveva ottenuto e dei propri successi, ma andare oltre, anche con una certa dose di impazienza”, lo ha ricordato Wlodek Goldkorn, giornalista che per molti anni è stato responsabile culturale de L’Espresso.

(la Repubblica, 2 gennaio 2022)


Sulle tracce dei più importanti ghetti ebraici italiani

A seconda della località in cui si insediavano e del paese di provenienza, le comunità ebraiche italiane hanno sviluppato tradizioni e usanze diverse, contribuendo all'evoluzione della cultura e alla crescita economica di diverse città italiane. Sulle tracce della loro storia, riscopriamo alcuni dei quartieri ebraici più importanti d'Italia.

di Marina Gemma

Il termine "ghetto", nasce in Italia, nel 1516, quando il governo della Serenissima stabilí che la comunità ebraica cittadina, sempre più popolosa, dovesse risiedere in un'unica zona e pagare pesanti tasse per ricevere in cambio protezione e libertà di culto. Negli edifici riuniti intorno alle vecchie fonderie, in veneziano geti, nacque, cosí, il primo ghetto della storia. Diverse città svilupparono, nei secoli successivi, quartieri dedicati alle comunità ebraiche locali, instaurando con queste a volte un rapporto di alienazione, altre volte di collaborazione. Fu solo con le conquiste napoleoniche che la differenza tra cittadini italiani e cittadini ebrei venne abolita, ma, comunque, diverse famiglie giudaiche rimasero legate a quei quartieri custodi dell'identità della loro comunità. Ancora oggi, in molte città italiane, è possibile apprezzare la peculiare toponomastica dei ghetti ebraici, un'occasione per conoscere meglio la loro storia e il peso che questa ha avuto nella cultura locale, ma anche italiana. 

• ROMA
  Nonostante l'istituzione del ghetto romano sia avvenuta quarant'anni dopo la costituzione di quello veneziano, la comunità ebraica, nella Capitale, ha una storia bimillenaria, una delle più antiche al mondo, fortemente caratterizzata dal rapporto altalenante con la Chiesa Cattolica. Non bisogna dimenticare, infatti, che alcune delle attività cardine della comunità, il commercio di tessuti e l'attività bancaria, derivano proprio dalla bolla papale con cui Papa Paolo IV dispose la costituzione del ghetto originario, a ridosso del Tevere: agli ebrei era vietato possedere beni materiali e commerciare qualsiasi merce, al di fuori degli stracci e dei vestiti usati. Anche se oggi molti di loro abitano in diverse zone della citta, fulcro della comunità resta il Tempio Maggiore di Roma, sede della Gran Sinagoga e del Museo Ebraico, a due passi da Largo 16 ottobre 1943, epicentro dell'operazione di rastrellamento nazista, e da via del Portico d'Ottavia, strada che racconta, nella sua architettura poliedrica, la stratificazione costruttiva dell'area e dove è possibile gustare la varietà dei piatti della cucina tradizionale romano-giudaica, dal brodo di pesce al famoso carciofo alla giudia.

• VENEZIA
  Al centro del Campo di Ghetto Novo, è possibile osservare gli alti palazzi di otto piani, un'anomalia per Venezia, caratterizzata dalla poca resistenza del terreno sabbioso, ma che testimonia lo sviluppo edilizio della zona, dovuto al crescente aumentare della popolazione ebraica, nei secoli. Qui si svolgeva gran parte della vita quotidiana della comunità, ancora oggi, al n. 2912 del campo, è possibile trovare l'insegna del Banco Rosso, il banco di pegno principale, mentre, al n. 2874, sette formelle in bronzo costituiscono il Monumento all'Olocausto dello scultore Arbit Blatas. La comunità ebraica veneziana è una parte viva della città, dal Campo di Ghetto Novo, è possibile accedere a tre delle cinque sinagoghe e visitare il Museo Ebraico di Venezia, dove sono esposti importanti oggetti di arte orafa e diversi documenti della vita della comunità giudaica, nella laguna.

• FERRARA
  La presenza degli ebrei, nella città di Ferrara, risale al XII secolo, sempre più in aumento, grazie alla politica aperta degli Estensi, al punto tale che, quando nel 1492, gli ebrei spagnoli e portoghesi furono espropriati dalle loro terre, furono invitati a trasferirsi in città. Le cose cambiano con l'annessione di Ferrara allo Stato della Chiesa che, nel 1627, instaurerà il ghetto: da questo momento in poi, la vita della comunità ebraica di Ferrara ha attraversato momenti difficili, alternati ad altri più distesi, fino ad arrivare ai giorni nostri, ancora attiva e promotrice di una fervente vita culturale. Da Piazza Trento e Trieste si dirama via Mazzini, arteria principale dell'antico ghetto, in cui vi erano la maggior parte dei commerci della comunità e in cui, ancora oggi, è possibile visitare l'antica Sinagoga e ammirare le caratteristiche facciate in cotto dei palazzi. Oltre al Museo Ebraico, ospitato nella Sinagoga, non molto lontano da via Mazzini, passando davanti alla Cattedrale di Ferrara, è possibile visitare il "Meis - Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah", dove vengono ripercorsi più di duemila anni di storia delle varie comunità ebraiche, in Italia. 

• PITIGLIANO
  Il quartiere ebraico di Pitigliano, nel grossetese, è valso a questo piccolo comune di poco più di tremila abitanti, nella lista dei Borghi più Belli d'Italia, l'appellativo di "Piccola Gerusalemme". Prima che venisse istituito il ghetto, voluto dalla famiglia Medici, la presenza ebraica nel paese era già una realtà consolidata, grazie alla tolleranza della famiglia Orsini che comandava sul territorio. L'antico ghetto si trova proprio al centro della città antica, al di sotto della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, partendo da vicolo Marghera, è possibile visitare la Sinagoga, edificata nel 1598 e recentemente restaurata, che ospita una mostra permanente, dove sono aperti i locali tipici di ogni ghetto: il locale per il bagno rituale, la tintoria, il forno delle azzime, il macello e la cantina kasher. Agli ebrei di Pitigliano non fu mai vietato il possesso di beni immobili, persino sotto il dominio mediceo, ricordato, ancora oggi, con il dolce tipico dello "sfratto", dalla forma allungata, in memoria dei messi che battevano coi loro bastoni alle porte delle case per intimare lo sfratto e il trasferimento delle famiglie ebraiche nel ghetto. La profonda integrazione degli ebrei con i pitiglianesi è dimostrata anche dal fatto che, durante il periodo delle leggi razziali, molte famiglie vennero salvate, grazie all'intervento degli abitanti del borgo.

(EasyViaggio, 2 gennaio 2022)



Il mio servo Giobbe (3)

di Marcello Cicchese

Riflessioni sul libro di Giobbe
    «L'Eterno disse a Satana: 'Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male'» (Giobbe 1:8).

In una lettura teocentrica della Bibbia, la prima attenzione è rivolta al personaggio principale, cioè Dio. Nel versetto citato sopra sta scritto: "L'Eterno disse a Satana: hai tu notato il mio servo Giobbe?" Per chi crede alla Scrittura questa frase ha lo stesso valore di verità di quella in cui si dice

    «L'Eterno gli apparve quella stessa notte, e gli disse: 'Io sono l'Iddio di Abraamo tuo padre; non temere, poiché io sono con te e ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie per amore di Abraamo, mio servo(Genesi 26:24)

Giobbe e Abraamo sono entrambi servi di Dio, e ad ogni suo servo Dio dà un incarico. Nel suo rivolgersi a Satana, Dio avrebbe potuto presentare la domanda in questo modo: "Hai tu notato che bel servizio svolge per me Giobbe?" Satana non chiede spiegazioni, perché ha visto molto bene lo zelo che Giobbe ha per Dio (e si suppone che ne sia stato tremendamente infastidito), ma nella lotta in corso tra lui e il Creatore decide di puntare sulla carta della correttezza tra duellanti. "Non vale", dice in sostanza a Dio: "Non l'hai tu circondato di un riparo?"  (1:10). Riparo da che cosa? Dagli assalti di Satana, che vede in Giobbe, servo di Dio, un uomo che opera per conto del suo nemico.
  Concentriamoci allora sulla posizione che Giobbe  aveva prima di essere dato nelle mani di Satana. In quanto servo, Giobbe aveva un rapporto di parola con Dio: "io invocavo Dio ed Egli mi rispondeva" (12:4). Non è cosa di poco conto. Ricorda infatti un privilegio che avrà in seguito un altro importante servo di Dio: "Or l'Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico" (Esodo 33:11).
  Si capisce allora lo strazio di Giobbe quando questo colloquio s'interrompe bruscamente,  proprio mentre è  sotto i colpi di Satana, e su di lui cade il silenzio totale, ostinato, inspiegabile di Dio: "Io grido a te, ma tu non mi rispondi; ti sto davanti, ma tu non mi consideri!" (30:20).
  La spiegazione di quella che era la posizione di Giobbe prima della sfida di Satana con Dio si trova nella  sua ultima replica, contenuta nei capitoli 29, 30, 31 del libro. Nel capitolo 29 Giobbe ricorda quello che era; nel capitolo 30 osserva quello che è adesso;  nel capitolo 31 trae le sue conclusioni su di sé e sull'avvenuto, prende posizione e si dichiara pronto sottoporsi a testa alta al giudizio di Dio: "Gli renderò conto di tutti i miei passi, mi avvicinerò a lui come un principe!" (31:37).
  Esaminiamo allora attentamente il capitolo 29, perché nella sua interpretazione si trova il punto chiave  della tesi che qui si vuole sostenere.

  1. Giobbe riprese il suo discorso e disse:
  2. 'Oh fossi io come nei mesi d'un tempo, come nei giorni in cui Dio mi proteggeva,
  3. quando la sua lampada mi risplendeva sul capo, e alla sua luce io camminavo nelle tenebre!'

I commentari di solito presentano questo capitolo come lo sfogo di un disperato che una volta stava tanto bene e adesso sta tanto male. Presentata così, la cosa non è affatto fuori del comune: tralasciando gli aspetti contingenti legati alla situazione particolare del personaggio, resta la descrizione di uno stato d'animo che vede il passato a tinte rosa e il presente a tinte nere. Molto umano, naturalmente, e sull'esame di questo aspetto si sbizzarrisce a tutto spiano la lettura antropocentrica, che facilmente scivola nella psicologia, appunto perché riguarda la psiche, l'aspetto umano per eccellenza.
  In questo caso però l'elemento essenziale che entra in gioco è Dio. Ma anche per questo caso lo psicologismo ha la sua risposta pronta: fare il nome di Dio nell'affrontare problemi personali non è che un particolare linguaggio con cui si esprimono i propri pensieri e stati d'animo. E anche Dio ripiomba nella psiche.
  Ma per Giobbe il semplice nominare Dio è una cosa seria. "Dio mi proteggeva", dice agli amici nella sua ultima replica; e se questo non fosse stato vero, Giobbe avrebbe potuto essere incolpato di "millantato credito", cosa che non avrebbe mai osato fare. Dice  infatti: "E invero mi spaventava il castigo di Dio, ed ero trattenuto dalla maestà di lui" (31:23).
  Dunque è proprio vero che Dio proteggeva Giobbe, e Satana stesso, sia pure probabilmente a malincuore, è costretto a riconoscerlo: "Non l'hai tu circondato di un riparo?" (1:10). Ancora una volta è Dio che agisce: decide di mettere una siepe di protezione intorno a Giobbe. Ma non è generica provvidenza: Dio fa così perché Giobbe è il suo servo, e in quanto tale riceve la protezione necessaria per svolgere l'incarico che gli è stato affidato, come Dio fa con ogni suo servo. E tra questi si può citare proprio Israele: "Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà" (Salmo 121:4); Dio lo protegge perché lo ama e perché gli ha affidato un compito da svolgere. E la stessa cosa fa Dio con Giobbe.
  Anche il riferimento alla lampada che risplende sul suo capo fa risaltare la posizione di Giobbe come servo di Dio, in analogia a quanto dice il servo Davide: "Sì, tu sei la mia lampada, o Eterno, e l'Eterno illumina le mie tenebre" (2 Samuele, 22:29).

  1. Oh fossi com'ero ai giorni della mia maturità, quando il consiglio di Dio era sulla mia tenda,
  2.  quando l'Onnipotente stava ancora con me, e avevo i miei figli dintorno;
  3.  quando mi lavavo i piedi nel latte e dalla roccia mi fluivano ruscelli d'olio!

Il versetto 4 è tradotto in vari modi. Invece di maturità, alcuni traducono giovinezza, altri ancora autunno, termine che  traduce letteralmente l'ebraico charof (חרף). La mia tenda nominata da Giobbe può essere paragonata alla tenda di convegno del santuario. Non era quindi una tenda qualsiasi, perché su di essa vegliava (come qualcuno traduce) il consiglio di Dio. Gli amici di Giobbe gli rimproverano allora quello che invece era una realtà: "Hai tu sentito quel che s'è detto nel consiglio di Dio? Hai tu fatto incetta della sapienza per te solo?" (15:8).
  Il latte in cui il servo Giobbe si lavava i piedi e la roccia da cui fluivano ruscelli d'olio possono essere messi a confronto, anche nella forma linguistica, col paese dove scorre latte e miele (Esodo 33:3) promesso al servo Israele. In entrambi i casi sono espressione dell'abbondanza di benedizioni terrene che Dio aveva riservato ai  suoi servitori.

  1. Allorché uscivo per andare alla porta della città e mi preparavano il seggio sulla piazza,
  2. i giovani, al vedermi, si ritiravano, i vecchi s'alzavano e rimanevano in piedi;
  3. i maggiorenti cessavano di parlare e si mettevano la mano sulla bocca;
  4. la voce dei capi diventava muta, la lingua s'attaccava al loro palato.

Questa descrizione è una conferma di quello che all'inizio del libro si dice di Giobbe: era il più grande di tutti gli Orientali. Dunque nella società umana di quel tempo Giobbe era il primo cittadino, il più grande, la persona più importante. Proprio questo viene sottolineato nei versetti sopra riportati; Giobbe dava ordini (v.7); veniva onorato con segni di rispetto da giovani e vecchi (v.8); notabili e capi, cioè persone che avevano altri sotto di loro ed erano abituati a prendere decisioni e dare ordini, quando si trovavano davanti a lui chiudevano la bocca, il che significa che non avevano autonomo diritto di parola. L'espressione la lingua s'attaccava al loro palato fa capire che avevano addirittura paura di parlare, e se anche avessero tentato di farlo, non ci sarebbero riusciti.
  A questo punto il lettore deve decidere:  come dev'essere considerata una descrizione tutta al superlativo come questa? Se non è vera, allora Giobbe è un fanfarone che si era montato la testa; le sue frecce polemiche contro gli amici e le sue invettive contro Dio perdono quell'alone di sublime e tormentata misteriosità che molti ci trovano e le sofferenze che subisce se le merita tutte. Se invece è vera, allora bisogna seriamente chiedersi chi era questo Giobbe prima dell'attacco satanico, e da dove proveniva l'autorità che mostrava di avere con tanta sicurezza e che gli era riconosciuta da tutti.
  La risposta che qui si propone è questa: Giobbe era  in quel tempo e in quella società  il servo di Dio scelto per svolgere il compito di manifestare concretamente agli uomini la Sua autorità, la Sua misericordia, la Sua giustizia.
  Nei versetti 4-6 Giobbe riceve da Dio saggezza, benedizione familiare e abbondanza di beni.
  Nei versetti 7-10 riceve da Dio suprema autorità di governo sull'intera società.
  Ma passiamo agli altri versetti.

  1. L'orecchio che mi udiva mi diceva beato; l'occhio che mi vedeva mi rendeva testimonianza,
  2. perché salvavo il misero che gridava aiuto e l'orfano che non aveva chi lo soccorresse.
  3. Scendeva su di me la benedizione di chi stava per perire, facevo esultare il cuore della vedova.

Qui vediamo Giobbe esercitare l'autorità ricevuta da Dio per compiere azioni di misericordia verso i deboli della società. Se nei versetti 7-10 Giobbe è la voce di Dio in terra, nei versetti 11-13 è il braccio di Dio in terra. Un braccio che soccorre l'orfano e la vedova perché sta scritto che “Dio è padre degli orfani e difensore delle vedove” (Salmo 68:5) e Giobbe in questo tempo ha il compito di manifestare concretamente queste caratteristiche di Dio in una società ancora priva di altre rivelazioni.

  1. La giustizia era il mio vestito e io il suo; la rettitudine era come il mio mantello e il mio turbante.
  2. Ero l'occhio del cieco, il piede dello zoppo;
  3. ero il padre dei poveri, studiavo a fondo la causa dello sconosciuto.
  4. Spezzavo la ganascia al malfattore, gli facevo lasciare la preda che aveva fra i denti.

Qui si vede Giobbe indossare la toga del magistrato che esercita per delega la giustizia di Dio sulla terra. Una giustizia che secondo l'uso biblico contiene una spinta verso la parità: ciechi e zoppi vanno aiutati perché mancanti di qualcosa che altri hanno, ma ai malfattori che vogliono rubare ad altri ciò che a loro appartiene la giustizia richiede che si compia una punizione esemplare. E dicendo che spezzava la ganascia al malfattore, Giobbe fa capire che era pronto a farlo. Non si può negare inoltre che il riferimento a ciechi e zoppi ha un tono messianico che si manifesterà in seguito nell'azione di Gesù: "Allora vennero a lui, nel tempio, dei ciechi e degli zoppi, ed egli li guarì” (Matteo 21:14).

  1. E dicevo: 'Morrò nel mio nido, e moltiplicherò i miei giorni come la rena;
  2. le mie radici si stenderanno verso l'acque, la rugiada passerà la notte sui miei rami;
  3. la mia gloria sempre si rinnoverà, e l'arco rinverdirà nella mia mano'.

Qui si vede Giobbe che pensa alla sua morte. La rivelazione di Dio su ciò che avviene dopo la morte, se esiste ancora una vita e di che qualità è, non era ancora stata data, perché legata all'avvenimento fondamentale della visita di Dio in terra nella persona del Messia. Ma in ogni caso, nella ferma convinzione di essere vissuto in piena comunione con Dio, di averlo servito con diligenza e onestà, Giobbe era certo che la fine della sua vita avrebbe espresso, anche nella forma, quella benedizione di Dio che durante la sua vita si era riversata su di lui nell'abbondanza di beni e consolazioni che aveva ricevuto. Vedeva le sue opere al servizio di Dio come radici piantate in terra che a suo tempo avrebbero dato buoni frutti a gloria sua e in benedizione a tutti. E' un modo di sentire che in qualche modo si può ritrovare nella sobria e significativa formula con  cui gli ebrei si riferiscono a una persona scomparsa che ha operato bene in vita: "il suo ricordo sia in benedizione".
  Si può capire allora il lacerante sconcerto che prova Giobbe quando, dopo un certo tempo, si accorge che sta avviandosi verso una morte ignominiosa, che nella sua forma lercia e repellente provoca disgusto ed esprime il totale rigetto da parte di Dio. Non è dunque generica paura della morte, quella di Giobbe. E' molto di più.

  1. Mi ascoltavano, aspettavano il mio parere, e tacevano per udire il mio consiglio.
  2. Quando avevo parlato, non replicavano; la mia parola scendeva su di loro come una rugiada.
  3. Mi aspettavano come la pioggia, aprivano la loro bocca come a una pioggia di primavera.
  4. Se a loro sorridevo, non osavano crederlo, e non potevano oscurare la luce del mio volto.
  5. Quando andavo da loro, mi sedevo come capo; ero come un re tra le sue schiere, come un consolatore in mezzo agli afflitti.

In questo passo ci sono due soggetti: io e loro. L'io che parla è Giobbe, ma chi sono i "loro"? Sono tutti gli altri, tutti quelli che il libro presenta come Orientali, che come abbiamo detto sono la totalità degli uomini che soggiornavano dopo il diluvio in oriente e poi si sono messi in marcia  verso la pianura di Scinear. Ma in ogni caso, anche se questa spiegazione non fosse del tutto soddisfacente, si può dire che questi Orientali costituiscono l'unica forma di società umana che Dio ha preso in considerazione per esercitare in essa la sua opera, in un tempo in cui non c'erano ancora popoli e nazioni. E in questa società, Giobbe era il primo in assoluto.
   I versetti poco sopra riportati spiegano in che senso Giobbe era "il più grande di tutti gli Orientali" (1:3). Si può presumere che egli descriva i momenti in cui andava alla porta della città, saliva sul seggio preparato per lui sulla piazza (29:7) e si rivolgeva al popolo che pendeva dalle sue labbra. Loro ascoltavano in silenzio, aspettavano che lui dicesse il suo parere, e una volta uditolo non replicavano, ma lo consideravano come una pioggia di benedizione che scendeva su di loro. Se chi lo stava guardando incontrava il suo volto sorridente, quasi stentava a credere che si rivolgesse proprio a lui. Ma il volto di Giobbe rimaneva in ogni caso luminoso, perché neanche la tristezza  che in qualche caso poteva leggere sui loro visi sembrava poter oscurare la luce del suo volto. Anche questo particolare richiama a un altro fatto biblico: Mosè che scende dal Sinai col volto raggiante perché aveva parlato con Dio (Esodo 34:29-35).
  Ma il versetto decisivo che descrive la posizione di Giobbe in quella società è l'ultimo di questa serie, che esprime in modo sintetico e chiaro il rapporto tra lui (Giobbe) e loro (gli altri). Giobbe andava da loro, il che significa che non era uno dei tanti, lui si sedeva, cioè occupava una posizione elevata, perché sedeva come capo (rosh, ראש), come re (melek, מלך) e come consolatore degli afflitti.
  Con queste parole Giobbe termina la rievocazione di quello che lui era una volta agli occhi di Dio per il servizio agli uomini. Tanto più amare appaiono allora le parole con cui inizia il capitolo successivo:

    "E ora servo di zimbello a dei più giovani di me, i cui padri non mi sarei degnato di mettere fra i cani del mio gregge!" (30:1).

Se dunque in quel tempo e in quella società Giobbe era "il più grande" nel senso spiegato in questo passo, e se la sua posizione è legittimata dalle parole "il mio servo Giobbe" con cui Dio l'ha presentato a Satana, allora bisognerà riprendere in mano il libro dall'inizio, e invece di porsi la domanda antropocentrica "perché Giobbe soffre?" si dovrà porre la domanda teocentrica: "perché Dio ha lasciato che Giobbe soffrisse sotto l'azione di Satana?" Ma per rispondere a questa domanda non basterà leggere soltanto il libro di Giobbe.

(3) continua

(Notizie su Israele, 2 gennaio 2022)


 


La saggezza grida

Dal libro dei Proverbi, cap. 1
La saggezza grida per le vie, fa udire la sua voce per le piazze; negli incroci affollati essa chiama, all'ingresso delle porte, in città, pronunzia i suoi discorsi: «Fino a quando, ingenui, amerete l'ingenuità? Fino a quando gli schernitori prenderanno gusto a schernire e gli stolti avranno in odio la scienza? Volgetevi ad ascoltare la mia riprensione; ecco, io farò sgorgare su di voi il mio spirito, vi farò conoscere le mie parole".
Poiché, quand'ho chiamato avete rifiutato d'ascoltare, quand'ho steso la mano nessuno vi ha badato, anzi avete respinto ogni mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere, anch'io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando lo spavento vi piomberà addosso; quando lo spavento vi piomberà addosso come una tempesta, quando la sventura v'investirà come un uragano e vi cadranno addosso l'afflizione e l'angoscia.
Allora mi chiameranno, ma io non risponderò; mi cercheranno con premura ma non mi troveranno. Poiché hanno odiato la scienza, non hanno scelto il timore del Signore, non hanno voluto sapere i miei consigli e hanno disprezzato ogni mia correzione, si pasceranno del frutto della loro condotta, e saranno saziati dei loro propri consigli.
Infatti il pervertimento degli insensati li uccide e la prosperità degli stolti li fa perire; ma chi mi ascolta starà al sicuro, vivrà tranquillo, senza paura di nessun male».

La saggezza di Dio grida sulle pubbliche piazze rivolgendosi a tutti, non sussurra in luoghi appartati rivolgendosi nel segreto a pochi eletti. Sono i servi di Satana quelli che offrono sapienza a pagamento in misteriose stanze semibuie; sono i falsi Cristi quelli di cui si dice che sono "nelle stanze interne" (Matteo 24.26). L'uomo reso saggio dalla parola di Dio non dirà mai di seguire consigli segreti arrivati a lui personalmente per vie speciali; alla resa finale dei conti si vedrà che il saggio ha fatto uso di un bene pubblico messo a disposizione di tutti. E chi non ne ha fatto uso si accorgerà dell'immensità della sua stoltezza.
  La saggezza non invita le persone interessate a recarsi in un luogo adatto dove possano ricevere, nella dovuta calma, qualche lezione di vita. La saggezza vuole raggiungere anche le persone non interessate. Per questo va nei luoghi dove si svolge la vita attiva: negli incroci affollati, all'ingresso delle porte, in città. E qui essa non grida soltanto, ma chiama; cioè non si limita a presentare le cose così come sono, ma rivolge un appello personale ad ogni ascoltatore invitandolo a prendere una decisione. Se vogliamo, è l'atteggiamento tipico di un propagandista; ma mentre questi pensa soltanto al suo proprio interesse, la saggezza di Dio è mossa dall'amore. Le riprensioni, le correzioni, le minacce della saggezza hanno un'unica fonte: l'amore di Dio per l'uomo prigioniero della sua stoltezza.
  Gli stolti però credono sempre di avere molte cose importanti a cui pensare, quindi non hanno tempo di ascoltare gli altri. Tanto meno se si tratta di rimproveri. Ma la saggezza è combattiva e insiste per cercare di guadagnare l'attenzione di coloro a cui vuole fare del bene. Annuncia la riprensione, ma ad essa fa seguire due promesse preziose: il dono del suo spirito e la conoscenza delle sue parole. Promesse che saranno pienamente mantenute nella persona del Signore Gesù, che ai suoi discepoli dirà: "Chi crede in me ... fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Giovanni 7.38) e "Le parole che vi ho dette sono spirito e vita" (Giovanni 6.63). La sapienza che viene da Dio è vita che si nutre di parole di verità.
   La parola che gli uomini stolti respingono non è un ordine, ma un invito alla riflessione e alla comunione. L'uomo dunque comincia a peccare nei pensieri, e il suo peccato si esprime proprio nel rifiutarsi di ascoltare le parole della saggezza e nel far finta di non vedere che Dio lo chiama a ravvedimento invitandolo a considerare l'insensatezza del suo modo di pensare. "Lasci l'empio la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; si converta egli al Signore che avrà pietà di lui, al nostro Dio che non si stanca di perdonare" (Isaia 55.7). "Ho steso tutto il giorno le mani verso un popolo ribelle che cammina per una via non buona, seguendo i propri pensieri"(Isaia 65:2).
   Ma saggezza alla fine deve prendere atto che i suoi consigli e la sua correzione sono stati dichiaratamente respinti dagli stolti, il che vuol dire che sono stati presi in considerazione e ad essi è stato risposto un secco "No". E' difficile capire come l'onnipotente Creatore possa tollerare che la Sua creatura gli resista in faccia e continui ad esistere, anche se per un tempo determinato. La spiegazione sta nel fatto che Dio ama, e il terreno su cui può avvenire un autentico rapporto d'amore è quello della libertà. Dio accetta molti "no" dalle Sue creature per avere la gioia di un vero scambio d'amore con coloro che liberamente gli rispondono "sì".
  Dio ha parlato e gli uomini non hanno ascoltato. Che succederà? Può essere che tutto resti come prima? E' possibile che la parola di Dio sia vanificata semplicemente non ascoltandola? No, non è possibile. Ogni invito di Dio contiene in sé una minaccia. La parola che non si adempie come invito deve adempiersi come minaccia. E la minaccia è questa: lo spavento vi piomberà addosso. L'uomo spaventato è molto attento, teso a capire quello che sta succedendo, disposto ad ascoltare chi gli propone una via di uscita. Ma chi non vuole ascoltare la parola che Dio gli rivolge come invito, dovrà ascoltare la parola che Dio gli rivolge come scherno.
  E' difficile adattarsi all'idea che Dio possa schernire gli uomini ribelli, e tuttavia questo viene detto nella Scrittura (Salmi 2.4; 37.13). Ma è difficile anche adattarsi all'idea che Dio si possa vendicare dei suoi nemici, e tuttavia anche questo è scritto (Naum 1.2; Ezechiele 25.14; 2 Tessalonicesi 1.8). Forse la difficoltà sta nel fatto che si pensa a Dio come a un superuomo, come all'uomo più buono di tutti, e non si considera che Dio è Dio e non un uomo, e che a Lui competono azioni che agli uomini sono interdette. La vendetta, per esempio, è qualcosa che gli uomini non devono fare, ma soltanto perché deve essere lasciata a Dio, e non perché, come pensa qualcuno, non deve essere mai fatta da nessuno, tanto meno da Dio (Romani 12.19).
  Lo scherno è la vendetta che ricade su coloro che si credono saggi per conto proprio. Hanno le loro ferme convinzioni, confidano nei loro pensieri, trascurano e deridono le esortazioni e gli avvertimenti della sapienza. Un giorno, quando vedranno lucidamente dove li ha condotti la loro propria "saggezza", i loro occhi si apriranno e prenderanno coscienza della loro sconfinata stupidità. La voce della sapienza di Dio avrà allora il suono agghiacciante della derisione.
   Sullo stolto che si crede saggio la sciagura si abbatterà violenta e improvvisa. La catastrofe arriverà inaspettata (Luca 21.34; 1 Tessalonicesi 5.3). Non ci sarà più tempo per riorganizzare i pensieri e modificare le azioni: sarà troppo tardi. Quando la parola di Dio espressa in forma di minaccia si avvera, il presente e il futuro non sono più a disposizione. Resta soltanto la possibilità, anzi l'obbligo, di ricordare quello che la sapienza ha detto nel passato e dolorosamente si avvera nel presente.
   Se la sapienza chiama e gli uomini non rispondono, prima o poi le parti si invertono: sono gli uomini che chiamano e la sapienza non risponde. Arrivano i guai seri e l'uomo si sente molto meno sicuro di sé, non si compiace più della sua propria saggezza. Comincia a temere di non averne abbastanza e allora la chiama, nel senso che cerca affannosamente qualche illuminazione che lo aiuti a risolvere i suoi problemi. La sapienza non risponderà. L'uomo continuerà a cercare, e non troverà. Freddamente nel testo la sapienza passa dal "voi" al "loro", quasi a confermare l'avvenuta rottura di un rapporto diretto. Se all'inizio aveva implorato con calda passione: Volgetevi ad ascoltare la mia riprensione, adesso dichiara con gelido distacco: Mi chiameranno ... mi cercheranno ... ma non mi troveranno. Il tempo non è una grandezza reversibile: non si può tornare indietro. L'uomo non può pretendere che Dio gli parli quando vuole lui. Chi non accoglie oggi (Ebrei 3.12-15) la parola di saggezza che il Signore gli rivolge, domani potrebbe non trovarla più (Amos 8.11-12).
   Gli stolti non sono vittime del destino. A loro è stata offerta la scienza, cioè la giusta conoscenza delle cose, ed essi l'hanno odiata, cioè respinta con risoluta determinazione. Per volontaria scelta non hanno scelto il timore del Signore. Hanno rivendicato la libertà di non tener conto della parola di Dio, e ciò è stato loro concesso. Hanno espresso la loro propria volontà, e questa si è compiuta. Di che cosa potrebbero lamentarsi?
   Il consiglio di Dio è un'indicazione positiva, un invito a fare qualcosa di giusto; la correzione è un'indicazione negativa, cioè un invito a smettere di fare qualcosa di sbagliato. I consigli non sono stati voluti, perché giudicati inutili; le correzioni sono state disprezzate, perché considerate ridicole. Gli stolti si sono dunque posti su un piano di superiorità che li ha resi irraggiungibili dalla parola della sapienza. Dovranno ascoltare il linguaggio dei fatti. Si può essere liberi di compiere un'azione, ma non si è liberi di sceglierne le conseguenze. Il contadino può scegliere la semenza che vuole seminare, ma non può decidere il raccolto che ne nascerà. "Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà" (Galati 6.7).
  "Poiché hanno odiato la scienza, non hanno scelto il timore del Signore, non hanno voluto sapere i miei consigli e hanno disprezzato ogni mia correzione, si pasceranno del frutto della loro condotta". L'immagine qui usata è quella del cibo. Con le sue convinzioni e le sue scelte di vita lo stolto cucina con le sue stesse mani una pietanza disgustosa che poi dovrà mangiare. E non potrà lasciare nulla nel piatto: sarà costretto a mandare giù tutto fino ad esserne stomacato. Al dolore materiale si aggiungerà la sofferenza morale, perché lo stolto dovrà riconoscere, con amarezza, che la situazione penosa in cui si trova è il frutto dei suoi propri consigli, è il punto di arrivo della sua precedente condotta. In quel momento le parole della sapienza udite nel passato ritorneranno alla sua mente e avranno il suono beffardo della derisione.
   Gli insensati sono persone colpevolmente ingenue. Quando odono parole di saggezza che li invitano a percorrere la via della vera vita, con molta calma se le lasciano scivolare addosso e continuano tranquillamente per la loro strada, che sembra essere molto più comoda, e quindi anche più giusta. La loro scelta è un pervertimento della verità, perché non è vero che in fondo alla loro strada troveranno vita e felicità. Al contrario, troveranno dolore e morte.
  Il passaggio che forse rende meglio il significato della prosperità di cui si parla in questo versetto si trova in Geremia 22.21:
  "Io ti ho parlato al tempo della tua prosperità, ma tu dicevi: Io non ascolterò".
  La prosperità dello stolto lo spinge ad un atteggiamento di noncurante sicurezza che gli fa dire:
  "«Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti»" (Luca 12.19).
  Lo stolto non ritiene necessario fermarsi ad ascoltare le parole di saggezza che Dio gli rivolge, perché per il momento a lui le cose vanno bene ed è convinto che sarà così anche in futuro. Perché preoccuparsi? Perché stare a sentire tutti quei pessimisti che sembra si divertano a infastidire chi sta bene con previsioni minacciose. Ma la prosperità unita al disinteresse per la parola di Dio non è stabile. Chi non avrà voluto ascoltare la parola di grazia in forma di riprensione, prima o poi dovrà ascoltare la parola di giudizio in forma di condanna.
   I sinistri avvertimenti non sono l'ultima parola che la sapienza di Dio rivolge agli uomini. Le terribili minacce di Dio, nella loro verità ineluttabile, hanno lo scopo di portare gli uomini al ravvedimento, affinché possano aprirsi a ricevere i beni eterni contenuti nelle sue promesse. Le parole intimidatorie della sapienza si propongono di accrescere enormemente i sentimenti di paura di coloro che ascoltano, affinché siano attenti alle parole rassicuranti che promettono la liberazione radicale dalla paura. Chi si sente tanto sicuro di sé da non voler ascoltare nessuno perché crede di sapere già qual è il suo bene, deve essere disorientato affinché capisca che soltanto chi ascolta le parole della sapienza starà al sicuro. Chi non è intimorito dal male che sta per abbattersi su di lui deve essere solennemente avvertito con parole raggelanti, affinché capisca che soltanto chi ascolta le parole della sapienza vivrà tranquillo, senza paura di nessun male.
  I severi ammonimenti della Parola di Dio mirano a suscitare uno spavento preventivo davanti a un male ancora evitabile, prima che piombi addosso lo spavento definitivo per un male non più evitabile.

M.C.

(Notizie su Israele, 1 gennaio 2022)

 

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