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Notizie 1-15 luglio 2018


Gaza, decine di razzi contro Israele. E lo Stato ebraico bombarda Hamas

Tensione alle stelle. distrutti due tunnel usati dai terroristi e raid sulla striscia. Poi, in serata, l'annuncio di tregua.

 Lo scontro
  Hamas ed Israele sono tornati ieri in rotta di collisione anche se in tarda serata è stata annunciata una tregua dopo colloqui con l'Egitto. Per tutta la giornata di ieri l'aviazione israeliana ha colpito a ripetizione «obiettivi terroristici» a Gaza, e dalla Striscia sono stati lanciati oltre cento razzi verso località israeliane, cosa che ha costretto decine di migliaia di persone a trascorrere la giornata nelle immediate vicinanze di rifugi.
  A Gaza due adolescenti sono rimasti uccisi in un bombardamento israeliano. Il premier Benyamin Netanyahu, da parte sua, ha avvertito che Israele è determinato ad estendere ulteriormente le operazioni militari «se Hamas non cesserà gli attacchi terroristici».

 «Una lezione»
  «Se non ha appreso la lezione oggi, la apprenderà domani», ha aggiunto. Da più parti, affermano i media, si è cercato di fare opera di mediazione poi andata a buon fine. Scambi di messaggi sono intercorsi fra Gerusalemme e Gaza grazie ai buoni uffici dell'emissario dell'Onu Nickolay Mladenove della diplomazia egiziana. Ma dietro alla fiammata di violenza, si afferma in Israele, c'è in realtà l'Iran che secondo questa tesi sospingerebbe l'ala militare di Hamas ad adottare una linea inflessibile.
  Ciò per tenere impegnato Israele a sud, mentre in queste settimane l'Iran continua a sostenere lo sforzo militare di Bashar Assad nel sud della Siria a ridosso del Golan. Chi resta per ora tagliato fuori dagli sviluppi sul terreno è invece il presidente dell' Anp Abu Mazen che ieri era a Mosca per un incontro con Putin e che oggi su suo invito assisterà alla finale dei mondiali di calcio.
  La catena di violenze è iniziata venerdì quando migliaia di palestinesi si sono lanciati da Gaza verso il confine con Israele cercando di aprire una breccia al valico di Karni.
  Là un ufficiale israeliano è stato ferito dal lancio di un ordigno esplosivo. Negli stessi incidenti un ragazzo palestinese di 15 anni è stato ucciso mentre si arrampicava sui recinti di confine. Oggi un suo compagno è morto in ospedale. L'aviazione israeliana è così entrata in azione colpendo due tunnel militari di Hamas nel nord e nel sud della Striscia. Ma nelle ultime settimane i gruppi armati palestinesi hanno adottato una nuova tattica in base alla quale mentre gli aerei israeliani sono ancora in volo, dalla Striscia partono già i primi razzi verso Israele. «Questo è il nuovo deterrente della resistenza» ha ribadito a Gaza un portavoce di Hamas.
  Per decine di migliaia di israeliani è stata una nottata di fuoco. Lungo i 50 chilometri di confine le sirene di allarme sono risuonate in continuazione. Si è così creato un circolo vizioso: l'aviazione ha colpito decine di obiettivi a Gaza, mentre i miliziani hanno lanciato un centinaio di razzi verso Israele. L'episodio più grave è avvenuto quando l'aviazione ha colpito, a Gaza City, un edificio di 5 piani adibito, secondo Israele, ad addestramenti militari. Due ragazzi che giocavano in un campo vicino sono morti sul posto. Altre 25 persone sono rimaste ferite.

(Il Messaggero, 15 luglio 2018)


*


Hamas annuncia la tregua con Israele

Il termine di una giornata in cui l'aviazione israeliana ha colpito a ripetizione «obiettivi terroristici» a Gaza, provocando la morte di due ragazzi, e dalla Striscia sono stati lanciati oltre cento razzi verso località israeliane, che hanno costretto decine di migliaia di persone a trascorrere la giornata nei rifugi, Hamas ha annunciato, ieri sera, di aver raggiunto un accordo per una tregua con Israele su Gaza dopo alcuni colloqui con l'Egitto e altre entità internazionali, come riferisce il Times of Israel. Hamas e la Jihad islamica hanno fatto sapere che si asterranno da ulteriori lanci se lo Stato ebraico fermerà i suoi raid sulla Striscia. Un annuncio che Israele accoglie con riserva: «I fatti sul terreno decideranno se continueremo con la nostra reazione» ha detto un portavoce militare israeliano.

(Corriere della Sera, 15 luglio 2018)


Arabi e ebrei in Israele: hummus e convivenza

ROMA - Il dissacrante spettacolo di teatro e danza contemporanea We love arabs del coreografo israeliano Hillel Kogan della prestigiosa Batsheva Dance Company di Tel Aviv stasera alle 21 di scena al Vascello (via Carini 78, info: 06.5881021 o 06.5898031). Il balletto, insignito dell'Outstanding creator award, con testo e coreografia di Hillel Kogan, anche interprete con Adi Boutrous, porta in scena la storia di un coreografo israeliano che sceglie un ballerino arabo per affrontare il tema della convivenza tra ebrei ed arabi in Israele. Uno show politico portatore di un messaggio di pace e coesistenza, che si interroga sull'identità, e, nel mettere in scena le differenze, si arrende all'uguaglianza tra gli uomini. Nella parodia corrosiva sui cliché coreografici ed etnici, Kogan si ritrova intrappolato nelle stesse idee fuorvianti che cerca di combattere. Gli stereotipi spariscono quando il danzatore propone l'hummus come simbolo della propria identità culturale: un piatto sia israeliano che arabo.

(Corriere della Sera - Roma, 15 luglio 2018)


L'idea di Netanyahu: via le sanzioni a Mosca se rimanda l'Iran a casa

di Fiamma Nirenstein

Mentre si scalda al calor bianco il fronte sud con Gaza, e Israele manda a Hamas un messaggio che si intitola «adesso basta», il nord ha contorni complessi, che si sfumano sui pavimenti disegnati a scacchi su cui Putin ha incontrato mercoledì scorso Netanyahu, in vista dello storico incontro fra Putin e Trump, domani. Il viaggio di John Bolton di qualche giorno fa a Mosca dice che il destino della Siria e del Medio Oriente sono fra le leve decisive dell'incontro, anzi, come ha detto Bolton: «Non credo che Assad sia il centro strategico: è l'Iran a esserlo» e ha aggiunto: «Ci sono le possibilità di un largo negoziato che aiuti a spingere le forze iraniane fuori dalla Siria, a casa loro». E questa è la ragione, il disegno pluriennale per cui Netanyahu ha fatto a Putin ben nove visite: per Israele avere l'Iran insieme agli hezbollah sul proprio confine è impossibile, si tratta del Paese e della milizia che hanno fatto della distruzione di Israele lo scopo principale. Ma l'Iran è molto ambizioso: ha speso in questi anni in Medio Oriente e in particolare in Siria la bellezza di 30 miliardi di dollari mentre la sua gente soffre la fame; senza la sua gestione crudele della guerra Assad non esisterebbe più. Anche la sua ultima vittoria a Daraa nel sud della Siria, che si fregia della guerra contro l'Isis, ha ucciso e sgomberato centinaia di migliaia di sunniti terrorizzati. Tutto questo, tuttavia, gli Ayatollah l'hanno fatto con l'appoggio armato della Russia.
   Netanyahu ha preso un volo El Al nove volte per Mosca, ma anche Putin ha steso nove volte i tappeti rossi per Bibi (stavolta è andato alla partita con la moglie Sara e due bambini malati): la ragione non è una passione sionista. Putin tiene solo per Putin, e pensa che Bibi possa avere un ruolo interessante. Netanyahu a sua volta, proprio nelle ore del Cremlino, ha bombardato la centrale più tecnologica dei mezzi bellici iraniani. Dunque, si può notare un primo accordo: si può attaccare l'Iran senza che la Russia si arrabbi. E se non si arrabbia, dato che a Putin Assad serve, vuol dire che è chiaro che Israele ce l'ha con l'Iran, ma non col dittatore siriano finché non spara. Ma la storia è più scottante e non tutta israeliana: dal 2016, secondo il New Yorker, Mohammed Bin Zayed, principe di Abu Dhabi, sollevò il problema di spingere la Russia lontano dagli ayatollah iraniani, i peggiori nemici. Formò un fronte con i Paesi arabi moderati, che hanno immaginato un affare in grande stile, in cui gli Stati Uniti possano sollevare da Putin le sanzioni comminategli per l'invasione dell'Ucraina in cambio della fuoriuscita iraniana. Nessuno lo può dire con certezza, ma forse Israele è in grado di illustrare a Trump quanto sia essenziale e storico distogliere l'Iran dalla conquista del Medioriente. Questo grosso deal sarebbe, prima del summit di domani, il nodo su cui i due discuterebbero fra gli altri argomenti: Assad resta, l'Iran se ne va, Trump cerca di ottenere che Putin scalzi gli ayatollah.

(il Giornale, 15 luglio 2018)



C'è un campionato del mondo anche per 720 vini "eroici". Debutto per Capo Verde e Israele

In Val d’Aosta il concorso Cervim

di Francesca Soro

Roberto Gaudio, presidente del Cervim, Centro di ricerca e valorizzazione per la viticoltura montana in Valle d'Aosta
AOSTA - Sarà il Salone del Gusto - Terra Madre, ad ospitare la premiazione dei migliori vini eroici del mondo. Il 26o Mondial des vins extrèmes, l'unico concorso enologico dedicato ai vini frutto di coltivazioni in quota, in pendenza o a terrazzamenti, luoghi «difficili», di montagna o di isole, si è appena concluso a Sarre, in Valle d'Aosta. «Terra Madre è il contesto ideale per la premiazione di queste eccellenze frutto di terroirunici, vitigni autoctoni e quindi biodiversità» dice Roberto Gaudio, presidente del Cervim, il Centro di ricerca e valorizzazione per la viticoltura montana con sede in Valle d'Aosta, che organizza il concorso. Quest'anno le etichette in gara sono state 720 provenienti da 277 aziende di 19 paesi vitivinicoli, tra cui new entry come Cile, Capo verde, Israele, Macedonia, Slovacchia e Polonia.

(La Stampa, 15 luglio 2018)


Appendino si occupi della sua città, non di Israele

di Roberto Cota

A mio avviso, i Consigli Comunali dovrebbero occuparsi delle materie di competenza del Comune. In questo modo si eviterebbero perdite di tempo ed infortuni come quello capitato al sindaco Chiara Appendino ed alla maggioranza a Cinquestelle al Comune di Torino con l'approvazione dell'ordine del giorno che conteneva espressioni poco opportune sullo Stato di Israele. Il Consiglio Comunale di Torino era chiamato a prendere in esame «la difficile situazione dei cittadini palestinesi nei territori occupati, con particolare riferimento alla Striscia di Gaza».
   A parte la perdita di tempo della discussione mentre Torino sembra arretrare nella partita dell'assegnazione delle Olimpiadi anche a causa dei problemi interni al Consiglio Comunale, in questi giorni la notizia ha tenuto banco nel teatrino mediatico con la conseguenza di costringere le istituzioni cittadine torinesi ad un giro di chiarimenti a fronte della presenza in città di un'importante comunità ebraica.
   Chi fa il Consigliere Comunale a Torino ha accesso al circuito mediatico, anche perché la stampa piemontese è concentrata a Torino, ma, evidentemente, non ha a disposizione gli strumenti per poter valutare le conseguenze di certe posizioni.Sono stato diplomatico, ma con tutto il rispetto per i cittadini palestinesi, forse sarebbe meglio occuparsi delle condizioni di vita dei torinesi nelle periferie oppure del rapporto prezzo qualità del trasporto pubblico rispetto alle altre città o ancora di più non dividersi sulle Olimpiadi (utili per rilanciare la città). Capisco che le cose sono semplici a dirsi e meno a farsi, ma potrebbe esserci una soluzione intermedia che è quella di riunirsi il meno possibile, così da limitare i danni.

(Libero, 15 luglio 2018)



«Non v’illudete!»

Non sapete che gl'ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v'illudete: né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né oltraggiatori, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio.
Dalla prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 6

 


Odg anti Israele: "Documento del Consiglio comunale fazioso e a senso unico"

La denuncia di Igor Boni (Direzione Radicali Italiani) e Giulio Manfredi (Associazione Radicale Adelaide Aglietta): "Il Sindaco Appendino avrebbe dovuto leggere il testo prima e non dopo il voto".

Igor Boni (Direzione Radicali Italiani) e Giulio Manfredi (Associiazone Radicale Adelaide Aglietta) denunciano: "Il 14 luglio 1938 era pubblicato sul "Giornale d'Italia" il "Manifesto della razza", primo passo verso la rapida adozione delle leggi razziali contro gli ebrei. Purtroppo, il triste anniversario cade in concomitanza con l'approvazione da parte del Consiglio Comunale di Torino di un ordine del giorno (n. 5 del 9 luglio 2018) che ripropone una visione a senso unico del conflitto israelo-palestinese, che riteniamo inaccettabile sia perché oggettivamente falsa sia perché foriera di nuove fiammate antisioniste e antisemite".
   "Nel documento approvato si citano "le proteste pacifiche della popolazione palestinese dei Territori Palestinesi Occupati (TPO)" senza che sia mai scritto il nome "Hamas" (organizzazione che anche ieri ha portato attacchi con mortai e razzi contro Israele), senza che sia mai ricordato che tali proteste sono organizzate nei minimi particolari da un'organizzazione terroristica che ha ancora nel proprio statuto, fra le sue finalità, la distruzione dello Stato di Israele. E come è possibile definire, come fa il documento, "Paese occupante" Israele quando è proprio Israele ad avere deciso di abbandonare unilateralmente la Striscia di Gaza nel 2005?".
   "Si può e si deve criticare la politica del governo israeliano ma questo non giustifica, mai, per nessun motivo, l'avallo (espresso o tacito) a documenti faziosi e unilaterali. Si doveva votare contro un documento siffatto e non cavarsela non presenziando alla votazione, come hanno fatto sia la sindaca sia i consiglieri del PD".
   "Al danno si aggiunge la beffa. Leggiamo la seguente dichiarazione della sindaca: "Mi farò mandare il testo e lo leggerò". Forse era meglio per l'immagine di Torino che la sindaca leggesse il testo prima della votazione e cercasse di far desistere i suoi dal votarlo. Ora la frittata è fatta ed è una frittata avvelenata".

(TorinOggi, 14 luglio 2018)


Jet israeliani colpiscono due volte Gaza in risposta a razzi di Hamas

Le Forze Armate israeliane hanno bombardato due volte la Striscia di Gaza. I raid sarebbero la risposta del Governo Netanyahu al doppio attacco con razzi lanciato da Hamas contro lo Stato ebraico.

di Gerry Freda

Raid aerei di Israele contro obiettivi di Hamas. Video diffuso dall'esercito israeliano
Questa mattina [14 lug] , jet israeliani hanno condotto, in due diverse ondate, raid contro le postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza.
   All'alba, infatti, l'organizzazione terroristica ha lanciato una prima "pioggia" di razzi sullo Stato ebraico e le Israel Defense Forces (Idf) hanno risposto bombardando le basi dei fondamentalisti situate nell'enclave. I terroristi palestinesi hanno quindi reagito colpendo il Sud di Israele con una nuova raffica di missili. I caccia con la Stella di Davide, di conseguenza, hanno sorvolato una seconda volta la Striscia per distruggere altre postazioni degli estremisti.
   Alle prime luci dell'alba, 14 proiettili di mortaio sono stati sparati da Hamas contro le regioni meridionali dello Stato ebraico. Obiettivo dell'attacco erano le comunità di Hof Ashkelon, di Sdot Negev e di Eshkol. Le Idf hanno risposto alla "pioggia" di missili bombardando, nel Nord della Striscia, campi di addestramento e tunnel utilizzati dai terroristi. Nonostante la rappresaglia ordinata da Gerusalemme, l'organizzazione fondamentalista decideva di colpire i territori meridionali di Israele con un ulteriore lancio di razzi. 17 proiettili di mortaio sarebbero stati impiegati da Hamas per il secondo attacco. La nuova raffica, come la precedente, non avrebbe causato vittime tra la popolazione dello Stato ebraico. Una volta cessata la "pioggia" di missili, il Governo Netanyahu ordinava un secondo raid aereo su Gaza. Questa mattina, i jet israeliani sono decollati per dirigersi nuovamente verso l'enclave palestinese. Lo Stato Maggiore di Gerusalemme ha annunciato che, nell'ultima incursione aerea sulla Striscia, sono stati colpiti importanti obiettivi militari. Tra questi vi sarebbero le basi in cui gli estremisti realizzavano aquiloni incendiari e palloncini esplosivi, tutte armi impiegate nelle settimane scorse contro le Idf. I jet israeliani avrebbero anche reso inutilizzabili i tunnel di Hamas situati nel Sud della Striscia. L'organizzazione terroristica avrebbe sparato complessivamente 31 proiettili verso i territori meridionali dello Stato ebraico. Secondo il Governo Netanyahu, il sistema di difesa Iron Dome ne avrebbe intercettati.

(il Giornale, 14 luglio 2018)


Haaretz: Nasrallah ha ragione, gli israeliani non vogliono combattere

Riportiamo questo articolo anti-israeliano ispirato dal giornale anti-israeliano Haaretz. NsI

di Giovanni Sorbello

Con il titolo, "Nasrallah di Hezbollah ha ragione: gli israeliani non vogliono combattere", Haaretz ha ricordato che "il mese scorso nientemeno che il grande nemico di Israele, il leader della Resistenza libanese, Hassan Nasrallah, ha messo in dubbio l'eroismo e la forza degli israeliani".
  In un rapporto dettagliato di Ofrai Ilany, il quotidiano citava Sayyed Nasrallah dichiarando: "L'unica cosa che interessa gli israeliani è seguire le trasmissioni di cucina in televisione". Per lui, questa impressione rafforza il suo famoso detto che Israele è "più debole di una ragnatela". Per Nasrallah, gli israeliani sono diventati edonisti e vulnerabili, forse persino effeminati.
  Il famoso quotidiano ha continuato dichiarando: "Non devi essere il capo di Hezbollah per capire che l'attuale Israele è una società post-eroica". Pareri simili sono espressi anche in Israele, in particolare nei rapporti tra esercito e società. Proprio il mese scorso, l'ombudsman dell'esercito israeliano, Maj. Gen. Yitzhak Brik, avvertito dei problemi disciplinari nell'esercito derivanti dall'uso degli smartphone, Brik ha ammonito che: "Invece di parlare direttamente con i loro soldati, gli ufficiali preferiscono mandare loro dei messaggi di testo, e questo, secondo Brik, erode il comando ethos ed esprit de corps".
  Non molto tempo fa, il giornale israeliano Yedioth Ahronoth ha riportato un altro sintomo di decadenza nei militari dell'entità sionista: "L'uso di droga è diventato diffuso nell'esercito israeliano, anche tra gli ufficiali comandanti e incluso il massiccio traffico di cannabis attraverso l'app Telegramma. Inoltre, ci sono state accuse sul vizio dei disgraziati, che si lamentano con i loro genitori di ogni problema percepito, dal cibo insipido ai materassi scomodi. Con il sostegno dei genitori preoccupati, trattano l'esercito come un fornitore di servizi e recitano la parte di clienti scontrosi". Secondo Haaretz, "anche i sociologi israeliani hanno identificato una "condizione post-eroica nella società israeliana".
  Israele ha anche trasformato la condizione post-eroica in un vantaggio di diplomazia pubblica. Un Paese militarista machista in stile anni '50 non sarebbe molto popolare oggi. Ma l'ansioso, sensibile soldato israeliano che guarda "Master Chef" in televisione e scambia messaggi su WhatsApp con sua madre sta catturando i cuori americani e talvolta anche europei.
  Il quotidiano israeliano ha concluso: "In un'epoca in cui i cecchini e i droni israeliani massacrano le persone scalze sull'orlo della carestia, i soldati eroici sono meno necessari. Al contrario, le persone che sopravvalutano l'eroismo potrebbero erroneamente identificarsi con i palestinesi che a mani nude affrontano lungo il confine di Gaza, l'esercito più armato e brutale del mondo".

(Il Faro sul Mondo, 14 luglio 2018)


"Via gli ebrei dalla Germania". Un'ondata di attacchi antisemiti sciocca il paese

Aggressioni a rabbini, giovani con la kippà, professori israeliani

di Giulio Meotti

ROMA - E' sulla Faz di questa settimana che Michael Hanfeld ha denunciato l'assuefazione tedesca all'antisemitismo: "Nel fine settimana a Berlino, un ebreo è stato picchiato da un gruppo di persone perché indossava una collana con la stella di David. La polizia ha arrestato sette uomini e tre donne, siriani. La vittima ha subìto una lacerazione alla testa. L'atto non ha smosso molti sentimenti. Dopo l'attacco lanciato da due giovani, a Prenzlauer Berg, su un diciannovenne a metà aprile, duemilacinquecento persone si sono ritrovate per la marcia di solidarietà 'Berlino indossa la kippah'. Quasi tre mesi dopo, manca un tale gesto. E anche la risposta dei media all'attacco è bassa. Ciò dimostra quanto sia superficiale la presunta sensibilità all'antisemitismo. L'antisemitismo sta diventando un fenomeno quotidiano".
   In una settimana, la Germania è stata scioccata da ben tre aggressioni antisemite di alto profilo in tre diverse città del paese. Un professore israeliano di cinquant'anni è stato assalito da un tedesco di origini palestinesi che gli ha tolto di testa la kippah e lo ha spinto mentre urlava: "Nessun ebreo in Germania". Prima un rabbino di Offenbach è stato vittima di un assalto fuori dalla sinagoga. "Hanno urlato, 'ebrei di m ... a' e 'Free Palestine' e altre cose contro di me", ha detto il rabbino Menachem Mendel Gurevitch. "Di solito ignoro cose del genere, ma questa volta ho deciso di provare a parlare con loro. Ma più parlavo, più mi urlavano". Poi il rabbino ha confessato: "I miei figli non vogliono camminare con me se indosso una kippah perché sono spaventati".
   Poche ore prima, un ragazzo con la stella di Davide è stato attaccato e colpito in un parco della capitale. Intanto prendeva corpo la storia del bullismo subìto dagli studenti ebrei al liceo d'élite berlinese John F. Kennedy, frequentata dai rampolli della Berlino bene. E non era ancora calata l'indignazione per la sorte subìta dal ristorante israeliano di Feinberg, che aveva ricevuto messaggi di odio e minacce di morte. Ad aprile, un video aveva fatto il giro del mondo. Un ragazzo arabo israeliano si era messo la kippah per vedere cosa sarebbe successo a passeggiare per le strade di un quartiere bene di Berlino. Un ragazzo siriano lo ha colpito a cinghiate al grido di "ebreo".
   Adesso il commissario federale per l'antisemitismo, Felix Klein, vuole che gli incidenti antisemiti siano registrati a livello nazionale. Ieri intanto Margaret Taub, presidente della comunità ebraica di Bonn, ha invitato i correligionari a non indossare più i simboli ebraici in pubblico: "Diventa sempre più difficile essere ebrei in Europa. Se la gente vuole ancora indossarne uno per motivi religiosi, consiglio di indossare un cappello sopra. Per proteggere se stessi e le loro vite, non dovrebbero essere riconoscibili come ebrei". Il governo Merkel ci prova, denuncia come meglio può, stanzia fondi per nuovi programmi di sensibilizzazione, aumenta le misure di sicurezza attorno ai siti ebraici. Ma la sensazione è che siamo di fronte a una diga che ormai è crollata. L'ex presidente tedesco, Joachim Gauck, ha ammesso di essere "terrorizzato dal multiculturalismo" soltanto dopo aver lasciato ogni carica, aggiungendo: "Trovo vergognoso ... quando l'antisemitismo tra la gente dei paesi arabi viene ignorato o se la critica dell'Islam viene immediatamente sospettata di far crescere il razzismo".
   Kein Jude in Deutschland ha gridato uno degli assalitori nei giorni scorsi. Niente ebrei in Germania. E' il 2018, ma sembra il 1938.

(Il Foglio, 14 luglio 2018)


Il carattere «ebraico» della Nazione, la legge che divide Israele e la Ue

di Davide Frattini

La «clausola 7b» è giudicata inaccettabile dal presidente Reuven Rivlin e anche i consiglieri legali del parlamento la considerano difficile da difendere. Perché se dovesse venire votata nella formula attuale permetterebbe «allo Stato di garantire che una comunità composta da persone di una stessa fede o nazionalità resti tale in modo esclusivo». In sostanza - commentano i critici - i leader di un villaggio potrebbero esporre il cartello «qui non si accettano gli arabi musulmani». O - fa notare Rivlin - «qui non si accettano gli ultraortodossi, gli ebrei sefarditi, gli omosessuali». Per il capo dello Stato (che pure viene dallo stesso partito del premier Netanyahu) rappresenterebbe «la fine del progetto sionista».
   Per i promotori la legge nel suo insieme, che in una prima versione è già stata approvata in aprile e dovrebbe essere votata in modo definitivo settimana prossima, servirà a rafforzare il carattere ebraico della nazione: è stata strutturata come un intervento con valore fondante in un Paese che non ha ancora una costituzione e tra l'altro sancisce il primato delle feste e della lingua ebraici sull'arabo parlato dal 20 per cento di arabi israeliani, cittadini a tutti gli effetti.
   Nella lettera di protesta Rivlin scrive di «temere che la norma possa danneggiare gli ebrei nel mondo e in Israele, che venga usata dai nostri nemici come un'arma». Sta già succedendo che a criticare l'iniziativa siano pure gli amici, o almeno i non nemici visto che il rapporto tra Israele e l'Europa è complicato. Netanyahu, che ricopre anche il ruolo di ministro degli Esteri, ha dato ordine di convocare Emanuele Giaufret, perché l'ambasciatore dell'Ue «ha tentato di interferire con la legislazione israeliana, deve ricordarsi che siamo un Paese sovrano». Giaufret ha contattato alcuni deputati per esprimere le preoccupazioni degli europei. Perplessità che ieri sono state ribadite dalla Commissione, intervenuta per difenderlo dopo la chiamata di rimprovero: «Rispettiamo il dibattito interno a Israele, un Paese che si è impegnato a proteggere valori come i diritti dell'uomo e ci aspettiamo che tali valori non vengano rimessi ìn discussione o minacciati».
   E' dal 2013 che il Likud di Netanyahu sta spingendo gli altri partiti della coalizione a sostenere la legge, che da allora ha subito modifiche nella formulazione. Il premier la considera una delle sue priorità, vuole vederla passare prima che la Knesset si fermi per la pausa estiva: «Israele è una nazione ebraica e democratica, negli anni si è creato uno squilibrio tra questi due elementi, a favore dei diritti individuali e a scapito di quelli nazionali», ha dichiarato. E proprio quello che temono gli oppositori: la legge rischia di essere discriminatoria e negare un trattamento paritario ai cittadini non ebrei.

(Corriere della Sera, 14 luglio 2018)


La letteratura ebraica riscopre la Qabbalah per parlare dell'indicibile

Nell'ebraismo non c'è iconografica: la mistica è ciò che più somiglia a un' arte figurativa. Diversi nuovi romanzi si rifanno all'antica dottrina spirituale per decifrare il lato inspiegabile del mondo

di Elena Loewenthal

 
Una rappresentazione qabbalistica delle porte dell'Eden
Lev, uno dei protagonisti del romanzo della canadese Sigal Samuel I mistici di Mile End, è un ragazzino attento alla realtà che lo circonda. Infatti è intrigato dall'albero della conoscenza, quello che costò ad Adamo ed Eva la famigerata cacciata. Che frutto darà mai? Lui stila liste ipotetiche, procedendo per esclusioni: le pesche no, ad esempio, perché «vengono dalla Cina e il Giardino dell'Eden mi sa che era in Israele». Neanche le fragole o i cocomeri, «perché non crescono sugli alberi» ... Nel racconto c'è anche un'altra lista, quella di «tutti i silenzi che conosco e dove si possono trovare»: sono quindici, dalla «biblioteca» a «la mattina presto, quando tutti dormono ancora», per finire con «dopo la pioggia».
   Più degli altri personaggi di questo brillante romanzo, più dell'atmosfera mistica che sta già nel titolo, Lev incarna le grandi domande che l'ebraismo si pone sul mondo e su Dio e soprattutto la consapevolezza che tanto nel mondo quanto in Dio c'è molto più inconoscibile che certezza. Sigal Samuel sa il fatto suo perché è figlia di un professore di Qabbalah e considera la scrittura e la lettura una «pratica spirituale». E non a caso tutto il romanzo, con le sue diverse voci, si snoda intorno a quell'albero atavico che ci ha dato tanti guai, ma anche la vita - e la consapevolezza più fondamentale di tutte: quella di essere mortali. Mangiare quel frutto che è costato tanto, ed è forse anche per questo che l'amore - anche per i ricordi - è la forza che guida tutto ma è sempre, irrimediabilmente, destabilizzante.
   La tradizione ebraica postula quattro diversi metodi interpretativi del testo sacro, cioè dello scrigno in cui la verità sta racchiusa. Questi quattro approcci alla parola biblica formano l'acrostico Pardes-cioè «paradiso» - e procedono dal senso letterale verso quello simbolico, che in ebraico è detto Sod, cioè «segreto». Quest'ultimo è il terreno della Qabbalah, cioè la mistica ebraica: esplorare i mistero del creato e del Creatore, in cerca del senso più profondo da cogliere.
   Qabbalah è una parola che originariamente significa solo «cosa ricevuta» (così si chiede il conto al ristorante in Israele, ad esempio), ma che ha assunto dal Medioevo in poi i connotati di un'esplorazione iniziatica nella parola sacra: tanto è vero che nel Talmud è detto che può affrontarla solo chi ha più di 40 anni ed è maschio. Non tanto per misoginia quanto perché questa disciplina intellettuale deve avere per presupposti una profonda competenza lessicale e una lunga consuetudine di studio.
   Ma i tempi cambiano e oggi la Qabbalah diventa il fil rouge di una narrazione ebraica contemporanea a più voci. Yaniv Izckovits è uno scrittore israeliano, un suo romanzo (Batticuore) è uscito in italiano per Giuntina nel 2010, e oggi Neri Pozza pubblica Tikkun. In questa storia ambientata nella Zona di Residenza, là dove lo zar aveva confinato tutti gli ebrei dell'Impero, ci sono molti colpi di scena. C'è molto sangue. C'è una donna giovane e coraggiosa che viene da una stirpe di macellatori rituali ed è capace di passare il coltello nel punto esatto del collo dell'animale. Ma un giorno parte per un viaggio che deve fare giustizia, anzi riparare un guasto perché, dice la Qabbalah, tutti dobbiamo lasciare un po' migliore di come l'abbiamo trovato questo mondo che nasce dalla «lesione» dell'onnipresenza divina. Bisogna ricomporre i cocci di quella frattura primigenia, perché trionfi il bene. Ma c'è in questo romanzo soprattutto un alone di mistero che tutto circonda, e succedono cose che non è dato capire né con la ragione né con il cuore.
   Proprio come in Satana a Goraj del grande Isaac Bashevis Singer, che Adelphi riporta in libreria in questi giorni, e dove tutto è oscuro, inquietante, inspiegabile. Il mondo è un codice da decifrare, e ai più non è data la chiave. Solo la Qabbalah riesce a descriverlo con le sue vertiginose associazioni, la sua capacità di disegnare usando le parole. Se infatti l'ebraismo non ha una tradizione iconografica, la mistica è ciò che più somiglia a un'arte figurativa: usa le parole per costruire un'immagine del mondo fitta di chiaroscuri e di bellezza.
   Anche nel monumentale Il peso dell'inchiostro (sempre per Neri Pozza) di Rachel Kadish, autrice di Boston non nuova a grandi affreschi storici, la vicenda è intrisa di mistero: ci sono antichi manoscritti da decifrare, c'è una studiosa che viene catapultata dentro il passato attraverso di essi, ne emerge la storia degli ebrei rifugiatasi nella Londra elisabettiana per sfuggire alle persecuzioni. C'è una misteriosa figura femminile che ha con la scrittura un rapporto quasi proibito, eppure molto fecondo. Anche qui la storia tocca punti delicati. Il femminile. La potenza della parola. La tentazione dell'inconoscibile, l'impulso ad andare sempre più giù - o sempre più su - nella conoscenza, anche là dove brucia.

(La Stampa, 14 luglio 2018)


Qualche precisazione filologica. “Il Giardino dell’Eden mi sa che era in Israele”, si dice nel libro, ma tutti sanno che nella Bibbia non è così: il Giardino dell'Eden era in Mesopotamia. Si parla poi di “quell'albero atavico che ci ha dato tanti guai, ma anche la vita”, dimenticando forse, per fantasia artistica o per ignoranza, che nell’Eden gli alberi erano due. Adamo ed Eva hanno preso il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, e per questo a loro è stato interdetto l’accesso all’albero della vita. Così nel mondo è entrata la morte, non la vita. Ma si sa, gli scrittori sono artisti, dunque creatori di una realtà che dev’essere piegata alla loro fertile immaginazione. E se i fatti negano questa immaginifica realtà, “tanto peggio per i fatti”, come disse in altro contesto il famigerato Hegel.
Un mondo come il nostro, aperto a tutto, non poteva che essere aperto anche al diabolico. La Qabbalah non è che la via ebraica all’occultismo, in questo caso presentato in forma letteraria. I non ebrei, anche “cristiani”, hanno altre vie per l'occultismo, ma tutte hanno in comune lo stesso traguardo: un misterioso mondo “oscuro, inquietante, inspiegabile” che alla fine si rivelerà essere nient’altro che il mondo di Satana. Alla fine l’inspiegabile sarà spiegato, ma per molti non sarà una spiegazione gradevole. M.C.


Libero il bimbo arabo-israeliano rapito e portato nei Territori

di Rolla Scolari

Un'automobile chiara è ferma in una strada tranquilla. Due bambini parlano con un passeggero, aprono lo sportello posteriore. Dall'altra parte scende un uomo mascherato, fa il giro del veicolo, spinge il piccolo Karim Jumhour, sette anni, a bordo, e cerca di fare lo stesso con il suo amico, che però riesce a scappare, urlando «Un rapimento!». I due bambini stavano giocando davanti a casa. Più tardi, la polizia israeliana ricostruirà come i sequestratori abbiano utilizzato la stessa targa su due veicoli diversi: uno si è diretto a nord, l'altro a sud, per far perdere le tracce dell'ostaggio. E' accaduto martedì, a Kalansuwa, una cittadina araba di 20mila abitanti nel centro di Israele.

 Le indagini dei servizi segreti
  Le sorti del bambino arabo-israeliano, rapito per motivi ancora ignoti, hanno creato tensione nell'intero Paese, fino a ieri quando è arrivata la notizia della sua liberazione. Nei giorni del sequestro, seguito da giornali e televisioni sia israeliani sia palestinesi, hanno lavorato a localizzare Karim polizia israeliana, nelle ultime ore lo Shin Bet, i servizi segreti interni di Israele, le forze dell'ordine palestinesi e parallelamente, rivela il sito del quotidiano Yedioth Ahronoth, anche elementi della criminalità organizzata arabo-israeliana.
  Sarebbe infatti la famiglia Jarushi, legata a una rete criminale, ad aver assicurato la liberazione del bambino che, dopo il sequestro, sarebbe stato portato nei Territori palestinesi, nell'area di Ramallah. Proprio per questo c'è stata tensione sulle responsabilità dell'operazione tra polizia israeliana e palestinese.
  Il decennale conflitto regionale sembra non avere a che fare con il sequestro, che ha però causato nervosismo tra cittadini arabi e polizia: gli abitanti di Kalansuwa hanno manifestato accusando le forze dell'ordine israeliane di non lavorare abbastanza per la sicurezza della popolazione araba. Secondo alcuni media israeliani, dietro al sequestro ci sarebbe una questione di debiti non regolati del padre dell'ostaggio con una famiglia criminale dell'area. «La polizia israeliana non permetterà che bambini diventino giocattoli nelle mani di conflitti finanziari o di altro tipo», hanno detto i portavoce delle forze dell'ordine. Nel secondo giorno del rapimento, il padre di Karim avrebbe ricevuto una richiesta di riscatto di quattro milioni di shekel, circa due milioni di dollari. La liberazione del bambino, dice la stampa locale, sarebbe però avvenuta senza alcuna somma.

(La Stampa, 14 luglio 2018)


Come affrontare una corsa nel deserto

Come si corre in condizioni estreme come quelle di un deserto? Ce lo spiega Federico Bertone, istruttore di trail running, che è andato in Israele per tracciare il percorso della DM Negev Adventure.

di Paola Nardi

 
Federico Bertone, 39 anni, istruttore di trail running. Corridore di fondo e marciatore nel settore giovanile, si occupa di trail running. Dal 2000 allena fondisti, marciatori e lanciatori. Ha fondato Oltrepò Trail.
Il deserto del Negev, nel sud d'Israele, è una meta particolarmente affascinante. È proprio qui che, a ottobre, si correrà la DM Negev Adventure. Tantissimi runner esperti si sfideranno su un percorso a tappe di 80 km. Cinque le donne selezionate da Donna Moderna per portare la bandiera del nostro magazine. Il coach Federico Bertone, istruttore di trail running c'è già stato, per tracciare il percorso della gara.
Ecco i suoi appunti di viaggio.

 Corri tra le rocce e lo scenario cambia in continuazione
  Pietre scolpite dal vento, gole e crateri: il deserto del Negev è tutto questo. «Qui è piuttosto raro trovare sabbia e corri sempre su terreni sconnessi, per lo più rocciosi» racconta Federico Bertone. «Per certi versi sembra di essere sui sentieri delle Dolomiti. Il fondo è compatto e poco polveroso, disseminato di pietre che rendono il passo incerto e incostante. «I continui saliscendi che si incontrano nei vari crateri del Negev costringono a scambi di passo e di pendenza e bisogna tener conto che si accumula parecchio dislivello lungo il percorso».

 Il panorama è mozzafiato
  Nel Negev è impossibile annoiarsi: le strutture rocciose si alternano sentieri carrozzabili dritti a single track mossi e tecnici che si arrampicano sui bassi rilievi del deserto e l'orizzonte è in continuo cambiamento. «Mentre corri non puoi non restare colpito dagli splendidi crateri che caratterizzano questo particolare deserto» dice Bertone. «La sensazione di meraviglia che si prova all'improvviso è potenziata dallo sforzo fisico. Diventa veramente difficile pensare solo al risultato cronometrico e non fermarsi a riempirsi gli occhi di tanta bellezza».

 Le temperature sono elevate ma non è un caldo umido
  Il Negev è caratterizzato da un clima estremo, nonostante la sua relativa vicinanza geografica al Mar Mediterraneo. Cosa si prova a correre a temperature vicine ai 50 gradi? «Il clima obbliga a certe precauzioni. Il forte caldo e il basso grado di umidità fanno sudare tantissimo. Il problema è che non te ne accorgi, perché l'acqua evapora immediatamente. Più che in altri percorsi, qui è d'obbligo bere tantissimo e tenere sempre la testa coperta con un copricapo inumidito. È anche fondamentale proteggersi dai raggi del sole con prodotti adeguati».

 Qui corri con le gazzelle
  Nel Negev è facile incontrare una gazzella, mentre pascola e bruca indisturbata. «È una cosa che mi ha colpito moltissimo. Nel mio Oltrepò Pavese ho spesso la fortuna di correre con i caprioli, ma ritrovarmi in mezzo alle gazzelle è stata un'esperienza unica. Questi animaletti sono di una bellezza aliena, con la loro magrezza quasi innaturale, la loro grazia e agilità».

 Il percorso di gara è scritto
  Puoi darci qualche anticipazione sul percorso che avete tracciato? «Creare un percorso di gara è lavoro che deve tenere conto di due fattori importanti. In primo luogo viene la sicurezza di chi partecipa alla gara, ma è necessario offrire anche qualcosa di bello e godibile» spiega Bertone. «Con Gianni Maccagni siamo riusciti a dividerci alla perfezione il lavoro: lui si è occupato dell'orientamento e della navigazione e ha interpretato il percorso in base alle problematiche logistiche, mentre io ho potuto scegliere basandomi su aspetti squisitamente tecnici e tenendo conto delle emozioni che vorrei trasmettere a chi parteciperà alla gara».

 La tappa più bella
  Quale sarà il momento più interessante della corsa? «Correre al tramonto ha sempre un fascino particolare, ma questo deserto ne amplifica la bellezza» racconta Bertone. «Abbiamo studiato una tappa notturna dove le concorrenti potranno godere di questo spettacolo da una collina particolare, ovviamente da meritare con una bella salita finale!».
Il modulo per candidarsi

(Donna Moderna, 13 luglio 2018)


Israele pianifica di mandare il secondo astronauta in missione spaziale

Israele prevede di inviare il secondo astronauta in una spedizione spaziale, è stato reso noto dopo la pubblicazione del programma del soggiorno del direttore dell'American Space Agency (NASA), Jim Brydenstein, scrive la rivista newsru.co.il.

È stato riferito che durante la visita, iniziata il 12 luglio, il capo della NASA incontrerà il ministro della Scienza israeliano Ophir Akunis e la direzione dell'Agenzia spaziale israeliana (ISA). Si prevede di firmare una serie di accordi sulla cooperazione tra la NASA e Israele nel campo della ricerca spaziale e scientifica, la parte israeliana intende inoltre sollevare il tema della partecipazione di un secondo astronauta israeliano ad una spedizione spaziale.
Il primo volo di un astronauta israeliano è finito in un disastro. Nel 2003, l'intero equipaggio multinazionale della navetta Columbia, che comprendeva l'israeliano Ilan Ramon, perì durante il ritorno dallo spazio.
Secondo gli osservatori dei media locali, l'interesse degli americani nei nuovi programmi spaziali di Israele è aumentato soprattutto dopo il recente annuncio della compagnia israeliana SpaceIL sui preparativi per il lancio di un rover lunare a dicembre 2018.
Numerose pubblicazioni affermano che il direttore della NASA intende firmare un accordo per espandere la cooperazione con l'agenzia spaziale israeliana.
Secondo le informazioni diffuse precedentemente nei media americani e israeliani, la NASA sta testando una tuta sviluppata dalla società israeliana StemRad per proteggere i cosmonauti dalle radiazioni. Si prevede che le tute saranno indossate da manichini nello spazio profondo sui test della nuova nave spaziale Orion nel 2019. Secondo i giornalisti, il test dei mezzi di protezione contro le radiazioni cosmiche verrà effettuato con l'obiettivo di andare su Marte.

(Sputnik Italia, 13 luglio 2018)


Gerusalemme - Una moneta che 'parla' della rivolta ebraica

Una particolare dicitura indica lo stato d'animo degli ebrei in un difficile momento storico

di Giulia Mattioli

 Perché se ne parla
 
L'antica moneta ritrovata
  A Gerusalemme è stata ritrovata una moneta di bronzo che risale all'epoca della prima rivolta ebraica contro i romani, avvenuta tra il 66 e il 70 d.C. La moneta, rinvenuta presso l'Emek Zurim National Park, al di fuori delle mura della città vecchia, è del 69 d.C., ma la sua particolarità non sta solo nel fatto di essere antica. E' infatti peculiare la dicitura che la moneta porta incisa, in ebraico antico. Le monete coniate negli anni precedenti portavano la scritta 'Libertà per Zion', mentre in questa si enuncia 'Redenzione per Zion'. Secondo gli studiosi, si tratta di un evidente prova della consapevolezza della sconfitta imminente. Gli ebrei non si sarebbero liberati presto dal giogo romano, e lo sapevano. Lo stato d'animo dei ribelli era cambiato, e dal combattere per la 'libertà', erano passati ad auspicare la 'redenzione'.

 Perché andare
  Le guerre giudaiche furono infatti altre due, ma la prima in particolare è ricordata perché al suo termine avvenne la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme da parte dei romani guidati da Tito. Il ritrovamento della moneta coincide con il periodo in cui questo evento viene commemorato. Emek Zurim National Park è un'area archeologica appena fuori Gerusalemme, e la moneta è stata ritrovata in un canale di scolo del City of David Nationa Park, che un tempo passava sotto una strada. E' possibile che venisse utilizzato come tunnel sotterraneo segreto dai ribelli.

 Da non perdere
  L'Emek Zurim National Park offre una speciale iniziativa aperta alla cittadinanza e ai bambini appassionati di storia e archeologia. I volontari possono partecipare agli 'scavi', setacciando il terreno in cerca di antichi tesori, percorrendo i tunnel sotterranei che collegano il sistema idrico antico. E' proprio in occasione di una di queste esperienze che la moneta è stata ritrovata.

 Perché non andare
  La particolare esperienza del diventare 'archeologi per un giorno' è perfetta per le famiglie con bambini, ma gli adulti che viaggiano soli potrebbero avere siti ben più interessanti ed imponenti da scoprire a Gerusalemme.

 Cosa non comprare
  I souvenir a Gerusalemme sono letteralmente migliaia. Tonnellate di oggetti di artigianato tradizionale si confondono però con riproduzioni in serie: siate oculati.

(Turismo.it, 13 luglio 2018)


Israele convoca l’ambasciatore Ue: "Non interferite sulle nostre leggi"

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha dato ordine di convocare l'ambasciatore dell'Unione Europea Emanuel Giaufret per "una seconda conversazione di rimprovero".

Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha dato ordine la scorsa notte al ministero degli esteri di convocare l'ambasciatore dell'Unione europea (Ue) Emanuel Giaufret.
L'invito serve ad "una seconda conversazione di rimprovero" e potrebbe trattarsi solo del primo passo di una serie.
Secondo la stampa questa decisione è giunta dopo incontri che Giaufret avrebbe avuto con diversi deputati per convincerli a modificare una controversa bozza di legge in discussione alla Knesset che definisce Israele quale Stato-nazione del popolo ebraico.
L'ambasciata Ue ha replicato di non poter divulgare il contenuto di conversazioni private avute dall'ambasciatore.
"Come se non bastasse che l'Unione europea finanzia associazioni che minano Israele alle fondamenta ed assiste costruzioni illegali - ha affermato Netanyahu in un comunicato - adesso interferisce anche nella legislazione israeliana. A quanto pare essi non comprendono che Israele è un Paese sovrano".
Il dibattito in questione si riferisce ad una legge fondamentale che mira a stabilire che Israele "è lo stato nazionale del popolo ebraico" e a sancirne i suoi simboli quale l'inno e la bandiera, nonché le feste del calendario ebraico ed il primato della lingua ebraica. Ma una delle critiche espresse in parlamento è che essa altererebbe gli equilibri fra il carattere 'ebraico' e 'democratico' di Israele, a scapito del secondo.
Lo stesso capo dello Stato Reuven Rivlin (Likud) ha espresso opposizione in particolare ad un paragrafo che consentirebbe la creazione di comunità segregate per religione o nazionalità. Ha anche espresso la fiducia che il testo della legge sia modificato per sventare il rischio che essa proietti all'estero un'immagine negativa di Israele.

(swissinfo.ch, 13 luglio 2018)


Israele colpisce postazioni siriane

DAMASCO - A seguito dell'incursione di un drone militare, l'aviazione israeliana ha colpito nella notte tre , postazioni dell'esercito siriano. E quanto ha reso noto un portavoce militare. «Continueremo ad agire con determinazione contro ogni tentativo di attentare alla nostra sovranità o alla incolumità dei nostri cittadini», ha sottolineato il portavoce di Tel Aviv. Secondo la radio militare, gli obiettivi centrati sono situati nella zona di Kuneitra, nel Golan siriano. Il drone, che sarebbe appunto partito dalla Siria, è stato intercettato e distrutto da un missile Patriot mentre sorvolava il lago di Tiberiade, dopo essere penetrato per circa 10 chilometri in territorio israeliano.
   In serata, il primo ministro Benyamin Netanyahu - nel suo incontro a Mosca con il presidente russo Vladimir Putin - ha confermato che i militari israeliani hanno abbattuto il drone e ha assicurato che Israele fermerà ogni tentativo di violare le sue frontiere. «Vorrei sottolineare - ha dichiarato Netanyahu - che stroncheremo ogni tentativo sia dalla terra, sia dall'aria».
   Intanto, le forze governative siriane sostenute dall'aviazione russa proseguono l'offensiva nel sudovest della Siria. Si moltiplicano i bombardamenti con barili-bomba sganciati da elicotteri nella valle del fiume Yarmuk, a ridosso del confine con la Giordania. In particolare, fonti locali hanno riferito che le forze governative puntano a colpire miliziani del cosiddetto esercito Khaled ben Walid, formazione da anni presente sul territorio e che si dice affiliata al sedicente stato islamico.
   Continua, dunque, anche l'esodo di civili da questa zona verso i distretti della regione di Kuneitra, a ridosso delle alture del Golan al confine con Israele.

(L'Osservatore Romano, 13 luglio 2018)


Il ''Made in lsrael'' dal deserto al futuro

Per il settantesimo anniversario della nascita dello Stato, aperta a Gerusalemme "Fashion Statements", la prima esposizione dedicata a un settore in grande fermento. Dalla "divisa" da kibbutz alla nascita dei primi brand fino agli stilisti emergenti. Le ampie forme mediorientali accanto al design europeo più aderente cosi si fondono colori e culture

di Francesca Nunberg

 La mostra
 
Fini Leitersdorf, Desert coat, 1960
Rojy Ben-Joseph, Woman's dress and cape, 1973
Muslim Brothers model
  La domanda è cruciale: esiste davvero una moda israeliana? Di cosa parliamo in un Paese così multietnico, dove si viaggia tra tradizione e modernità, passando dall'estremo della "divisa" da kibbutz shorts e sandali al look da broker della City? Con una certa dose di coraggio i curatori di Fashion Statements hanno spalancato armadi e cassetti organizzando all'Israel Museum di Gerusalemme la prima grande mostra dedicata alla moda, in occasione del settantesimo anniversario della nascita dello Stato. Obiettivo: decodificare e fare conoscere al mondo un settore in grande fermento.

 Le origini
  Gli oltre 150 pezzi tra abiti, accessori, bozzetti e fotografie, esposti fino al 29 aprile 2019, raccontano come ci si vestiva nel periodo pre-sionista di fine '800, la nascita delle prime griffe come Gottex e Maskit e la coesistenza della moda tradizionale sia ebraica che araba. Su un terreno che forse riesce a tenere lontani i conflitti.
  «Si comincia a parlare di moda israeliana all'inizio del '900 - spiega Daisy Raccah-Djivre che ha curato la mostra con Noga Eliash-Zalmanovich e Efrat Assaf-Shapira -Abbiamo voluto mettere in evidenza l'influenza delle due ideologie dominanti: gli ideali socialisti si riflettono in un abbigliamento più pratico e monocromo ispirato alla Bauhaus, mentre quelli liberali nel design della haute couture europea. A caratterizzare la moda israeliana sono stati il clima caldo, i colori, le ampie forme mediorientali e quelle aderenti europee».
  Uno dei primi brand è Maskit, fondato nel 1954 da Ruth Dyan e riemerso in anni recenti grazie a Nir e Sharon Tal e che ancora oggi produce una Desert Collection in cui la silhouette moderna si combina con gli elementi del folklore israeliano. Ecco quindi mantelle, abiti lunghi, forme scivolate, pantaloni larghi e quel Desert Coat che fece innamorare Audrey Hepburn e che ancora oggi è il pezzo forte. «Marchi israeliani come Gotex e Beged Or sono noti anche all'estero - continua Daisy Raccah-Djivre - Tra i loro clienti ci sono state Jacqueline Kennedy, Lady Diana e Sophia Loren. Gli stilisti Tamara Yovel Jones e Vietar Bellaish hanno lavorato per Roberto Cavalli, Alber Elbaz è stato il disegnatore di Lanvin».

 Le ideologie
  Quattro le sezioni della mostra: Holy Land esplora le tradizioni sartoriali provenienti da tutto il mondo, ispirate dal territorio in cui sono confluite: i colori passano dalle tonalità soffici del deserto a quelle sgargianti dell'Asia Centrale. La seconda è Austerity/Prosperity in cui i capi in mostra rappresentano i due ideali estetici di socialismo e liberalismo. La terza racconta il boom del Made in Israel, quando nascono le principali case di moda grazie al supporto governativo; nel 1965 l'Export Institute fonda la Israel's Fashion Week, che mira a trasformare Tel Aviv in una capitale della moda e ad attirare buyer da tutto il mondo. Stilisti come Gideon Oberson, Riki Ben-Ari e Jerry Melitz aprono boutique o atelier indipendenti e nel 1971 viene istituito il prestigioso Shenkar College of Engineering and Design. La quarta sezione è Fashion Now, con gli ultimi sviluppi tra artigianato e tecnologia d'avanguardia: gli abiti diventano tele sulle quali rappresentare idee sociali, a volte si trasformano in opere d'arte.
  Tra i brand presenti spicca Gottex, celebre per i costumi da bagno deluxe indossati da Lady Diana e Liz Taylor, fondato a Tel Aviv nel 1956 dalla designer Lea Gottlieb e oggi presente in sessanta Paesi del mondo. In mostra anche creazioni di Fini Leitersdorf, la decana degli stilisti israeliani morta nell'86 che iniziò a lavorare a Tel Aviv nel 1940 disegnando costumi teatrali, abiti da donna e da uomo, scarpe, gioielli e perfino bottoni, nonché il famoso Desert Coat. E ancora Rojy Ben-Joseph, designer tessile di origine bulgara emigrata in Israele nel 1948: il suo brand continua a produrre stoffe grazie agli artigiani di Hebron e Gaza, testimonianza della fusione di culture. E ci siamo anche noi: la Fashion Week di Tel Aviv negli ultimi anni ha ospitato brand italiani come Cavalli, Moschino e Missoni.


Tel Aviv, antropologia del "sandalo biblico"

Se si parla di "stile israeliano" il pensiero non può che andare ai sandali, simbolo dello spirito pionieristico del Paese ma anche della necessità di comfort contemporanea. Si intitola "The Sandal - Anthropologyof a Local Style" la mostra in corso all'Eretz Israel Museum di Tel Aviv che celebra l'accessorio più semplice: due strisce di cuoio sul piede e una terza allacciata dietro alla caviglia. Si racconta l'evoluzione di questa calzatura che sfida i tempi attraverso i modelli più significativi, quelli fatti a mano dagli artigiani nei kibbutz e quelli delle boutique di DizongoffStreet. Un modello per tutti, il Tanakhi o "sandalo biblico" che fa il paio col cappellino Tembel, divenuto anch'esso un simbolo.


(Il Messaggero, 13 luglio 2018)


Ottant'anni fa le leggi razziali

La svolta con il decalogo anti-ebraico pubblicato nel '38 sul giornale di Mussolini. Il Regime esprime per la prima volta in modo chiaro la sua vocazione apertamente razzista e, soprattutto, dichiara che una minoranza è un corpo estraneo alla comunità nazionale.

di Amedeo Osti Guerrazzi

E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». È il 14 luglio del 1938, e sul Giornale d'Italia appare un articolo anonimo intitolato «Il fascismo e il problema della razza», meglio conosciuto come «Manifesto della razza». Il «Manifesto», poi ripreso da tutta la stampa italiana, è un «decalogo» che, al primo punto afferma che «le razze umane esistono». I punti successivi dichiarano che esiste una gerarchia tra le razze (concetto, quest'ultimo, «puramente biologico»), che esiste una «pura razza italiana», e che «è tempo che gli italiani si dichiarino francamente razzisti». Al punto 9 gli ebrei vengono descritti come «non appartenenti alla razza italiana» e si conclude con il decimo e ultimo punto secondo il quale «I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in alcun modo».
  Tra i firmatari vi sono alcuni dei migliori scienziati italiani, tra i quali Guido Landra, Nicola Pende e Sabato Visco. Anche se sembra che solo Landra sia stato l'autore del testo, nessuno degli altri firmatari si oppone a questa serie di orrori scientifici. Con il loro prestigio, questi docenti universitari «certificano» una serie di affermazioni che nulla hanno a che vedere con la scienza.

 Scienza opportunistica
  È il primo passo degli scienziati italiani in favore del razzismo, voluto da Mussolini per suscitare odio nei confronti di una minoranza e per ottenere consenso attorno a una serie di provvedimenti che, nei mesi e negli anni successivi, escluderanno i cittadini ebrei di religione ebraica dalla società. I motivi che hanno spinto il dittatore a scatenare la campagna antiebraica sono noti: creare un nemico interno contro il quale mobilitare la società, a suo parere ormai troppo «imborghesita», e avvicinarsi ancora di più alla Germania nazista.
  Una politica caratterizzata da uno straordinario cinismo voluta da Mussolini in persona, senza alcuna pressione dall'esterno. Il «Manifesto» ha un effetto molto forte sull'opinione pubblica. Il Regime fascista esprime apertamente per la prima volta la sua vocazione apertamente razzista e, soprattutto, dichiara che una minoranza è un corpo estraneo alla comunità nazionale.

 Sconcerto
  In un primissimo momento, gli italiani osservano queste leggi con un certo scetticismo. Un forte e radicato sentimento antiebraico in Italia non c'è. La comunità ebraica è piccola, perfettamente inserita nella società e nelle istituzioni. Come tutti, gli ebrei hanno partecipato alle guerre, hanno dato il loro contributo alla società, alla cultura e all'economia italiane, e molti hanno anche aderito al fascismo. Si tratta dunque di una trovata propagandistica che non avrà conseguenze?
  E invece alle parole seguono, con ritmo incalzante, i fatti. In agosto gli ebrei sono costretti a dichiarare la propria «appartenenza razziale», cioè censiti. È una operazione che viene giustificata con la necessità di capire le esatte dimensioni del «problema ebraico», per analizzare «l'influenza» degli ebrei sulla società. È un modo per far capire all'opinione pubblica che gli ebrei sono troppi, e che il loro «potere» deve essere limitato.

 Zelanti esecutori
  A settembre segue l'esclusione degli ebrei dalle scuole e dalle università. A novembre le leggi razziali vere e proprie, con la cacciata dagli impieghi pubblici, dalle professioni, dal partito fascista, dall'esercito. Agli ebrei è anche vietato di sposarsi con gli «ariani», come gli italiani stanno scoprendo di essere.
  Una serie di leggi, seguite da una propaganda incessante e pervasiva che, passo dopo passo, deve convincere gli italiani che gli ebrei sono una «razza» e che rappresentano un pericolo per la propria società. Le parole dell'odio, mascherate da argomenti razionali e oggettivi convincono una parte, forse neanche piccola, dell'opinione pubblica che è necessario difendersi contro una minoranza diversa, infida e mai realmente leale nei confronti del paese che li ha accolti. Mussolini ha buon gioco nel resuscitare gli antichi pregiudizi della tradizione cattolica, mentre una parte degli italiani è immediatamente pronta ad approfittare dei posti di lavoro lasciati liberi dai perseguitati.
  La politica antiebraica iniziata nel 1938 non è senza conseguenze, e non soltanto per le vittime.
  Sono molti, troppi gli italiani che, per far carriera, per mettersi in mostra davanti ai gerarchi in camicia nera si dichiarano razzisti, pubblicano articoli antiebraici, rompono i rapporti con amici e colleghi ebrei. Sono tanti, troppi, quelli che fanno il vuoto attorno ai conoscenti e ai vicini di casa ebrei. Ma soprattutto sono tanti, troppi quelli che, durante l'occupazione tedesca, nel 1943-1945, collaborano con i nazisti nella caccia all'ebreo, caccia che si conclude, sempre, ad Auschwitz.
  Una politica nata nel 1938, per volontà di un dittatore, apparentemente innocua, apparentemente «giusta» e «necessaria» per «difendere gli italiani», si trasforma, nel corso degli anni, nell'armamentario politico e ideologico che porta allo sterminio.

(La Stampa, 13 luglio 2018)


Mozione anti-Israele. La sindaca incontra le comunità ebraiche

Appendino: mi farò mandare il testo e lo valuterò

di Fabrizio Assandri

 
Chiara Appendino, sindaca di Torino
Mi farò mandare il testo e lo leggerò. In ogni caso incontrerò la Comunità ebraica e ne discuterò con loro». La sindaca Chiara Appendino sceglie, almeno per ora, di non sbilanciarsi sulla mozione contro Israele definito «Paese occupante», per il quale chiede l'embargo militare. Raggiunta al termine di una conferenza stampa, rilascia solo questo laconico commento: qualunque parola «fuori posto» potrebbe creare forti attriti con la sua maggioranza.

 Il voto
  La mozione, promossa dalla consigliera di Torino in Comune Eleonora Artesio e da Daniela Albano, una delle consigliere grilline anti-Olimpiadi, è stata approvata con i voti compatti dei 5 Stelle, ma non con quello della sindaca, che non ha partecipato al voto. Una mozione che ha suscitato le proteste delle comunità ebraiche. Di quella di Torino, guidata da Dario Disegni, e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con la presidente Noemi Di Segni: hanno spedito alla sindaca una lettera in cui parlano di «sdegno», «narrazione partigiana e lacunosa», «presupposti che non corrispondono minimamente alla realtà dei fatti». E, nell'esprimere la loro «preoccupazione», parlavano di clima «pregiudizialmente ostile a Israele, pur nel più che legittimo confronto di opinioni sulla politica del governo», e chiedevano alla sindaca un incontro per «un indispensabile chiarimento». Incontro accordato: la segreteria di Appendino ha dato la disponibilità per la prossima settimana. «Non so cosa aspettarmi, abbiamo chiesto un incontro e ci è stato concesso», dice Disegni, che ha accusato il Comune di voler «criminalizzare Israele» e ha espresso «sospetti su quello che è un vero e proprio accanimento».

 Le reazioni
  E intanto continuano ad arrivare proteste. L'associazione torinese Italia-Israele, con il suo fondatore Angelo Pezzana e il presidente Dario Peirone, hanno scritto un comunicato durissimo in cui parlano di «pessimo giorno per la nostra città» e di «mozione vergognosa», da cui non traspare «alcun interesse a costruire un dialogo o ad approfondire un possibile ruolo collaborativo del Comune di Torino nel complesso scenario israelo-palestinese. Al contrario è permeato di un aggressivo spirito anti-israeliano, basato su una ricostruzione menzognera della situazione di Gaza». Ma soprattutto, rievocando le parole dell'ex presidente Napolitano, l'associazione fondata da Pezzana sostiene che «l'antisionisrno militante, che fa della disinformazione e della propaganda a senso unico la sua arma contro Israele, è vero e proprio antisemitismo». Il documento plaude a Fabrizio Ricca, l'unico consigliere (della Lega) che ha votato contro la mozione, mentre attacca il «pilatesco comportamento» delle «cosiddette» opposizioni, che si sono limitate a non votare.

 La petizione
  Sulla vicenda interviene anche l'attore Moni Ovadia, che da ebreo non condivide le proteste per la mozione del Comune. Ma, parallelamente alla presa di posizione ufficiale delle Comunità ebraiche, ha già raccolto centinaia di firme la petizione lanciata da Emanuel Segre Amar, del gruppo sionistico piemontese, e da Ugo Volli, docente all'Università di Torino. La petizione parla di «mozione indegna, piena di menzogne, di sconsiderato appoggio a una forza terrorista. Una vergogna per una città Medaglia d'Oro per la resistenza e un insulto per gli ebrei». -

(La Stampa, 13 luglio 2018)


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Sulla mozione anti-Israele approvata dal Consiglio comunale di Torino

Dichiarazione UCEI e Comunità Ebraica di Torino: "Mozione anti-Israele, Appendino chiarisca"

Nei giorni scorsi il Consiglio comunale di Torino ha approvato una mozione di solidarietà alla popolazione di Gaza in cui Israele viene definito paese "occupante" e in cui si sostiene l'embargo militare dello Stato ebraico.
La Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e il Presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni hanno inviato il seguente messaggio congiunto alla sindaca Chiara Appendino.

Signora Sindaca,
La Comunità ebraica di Torino e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non possono che esprimere il proprio sdegno per la mozione su Gaza approvata nei giorni scorsi dal Consiglio comunale di Torino.
Le istituzioni tutte sono chiamate in questa fase così critica ed importante a collaborare in una ottica di cooperazione piuttosto che di isolamento e contestazione, a ricordare sempre che il quadro mediorientale, e la questione israelo-palestinese in particolare, sono complessi ed articolati e non possono essere riassunti in una narrazione partigiana e lacunosa, e su presupposti che non corrispondono minimamente alla realtà dei fatti avvenuti. Fatti che se correttamente narrati evidenzierebbero non solo gli attacchi subiti dalle cittadine israeliane, sottaciuti da media e istituzioni, ma anche il vero dolore e profondo sfruttamento del popolo palestinese ad opera di Hamas e altre logiche di potere.
Ogni giorno ci adoperiamo per promuovere cultura, dialogo e valori e su questa linea deve avvenire ogni confronto, a livello nazionale e comunale.
Nell'esprimere profonda preoccupazione per il clima pregiudizialmente ostile allo Stato di Israele, pur nel più che legittimo confronto di opinioni sulla politica del Governo del medesimo, desidereremmo avere un incontro con Lei per un indispensabile chiarimento.
Voglia gradire, con l'occasione, i nostri migliori saluti.
Dario Disegni, Presidente Comunità ebraica di Torino
Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(Osservatorio Antisemitismo, 12 luglio 2018)


Il Senato irlandese mette al bando le merci israeliane

Il Senato irlandese ha approvato un disegno di legge inteso a vietare le importazioni di beni provenienti dai territori occupati da Israele. Immediate le proteste del Governo di Gerusalemme.

di Gerry Freda

Il Senato irlandese ha votato a favore di un disegno di legge inteso a proibire le importazioni di merci provenienti dai territori occupati da Israele.
Se ci sarà il via-libera definitivo da parte della Camera bassa del Parlamento, tale legge sarà la prima in Europa a imporre un divieto del genere. Il provvedimento mira a bloccare l'acquisto di beni realizzati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Con 25 voti favorevoli e 20 contrari, il Control of Economic Activity (Occupied Territories) Bill 2018, la proposta di legge diretta a modificare radicalmente la politica commerciale di Dublino, ha ottenuto l'approvazione del Senato irlandese. A breve toccherà al Dàil Éireann esprimere un parere sul provvedimento in questione. Il bando nei confronti delle merci provenienti dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est è stato sottoposto al vaglio della Camera alta dal Senatore indipendente Frances Black. Egli ha dichiarato che la sua proposta si ispira alle misure restrittive adottate in passato dall'Irlanda ai danni del Sudafrica dell'apartheid: "Varando tale provvedimento, il Paese dimostrerà di stare dalla parte del diritto internazionale, dei diritti umani e della giustizia". A favore dell'iniziativa di Black hanno votato i Senatori dei principali partiti, ma non gli esponenti del Fine Gael, formazione politica attualmente al Governo. Le autorità di Dublino hanno immediatamente dichiarato di non condividere la decisione della Camera alta. Il Ministro degli Esteri, Simon Coveney, ha cercato di stemperare la tensione creatasi tra Irlanda e Israele: "Anche se venisse approvato in via definitiva, il provvedimento varato dal Senato non potrà mai trovare applicazione. La politica commerciale, infatti, rientra tra le competenze dell'Unione europea. La decisione dei Senatori, quindi, è completamente insensata".

(il Giornale, 12 luglio 2018)


Milanisti ebrei: la civiltà è morta su un muro

di Marco Dell'acqua

MILANO (lo indico solo per dare testimonianza del luogo) - Ho letto questa scritta sul muro: "Milanisti ebrei". La civiltà è stata assassinata.
  La parola ebrei utilizzata come complemento "di disprezzo", so che non esiste, ma credo che renda bene l'idea.
  Sono milanista, e Milano è la città in cui vivo e che amo. Città che si fa fregio della tolleranza, dall'Editto di Costantino del 313 d.c. con cui si sanciva la libertà di religione sino all'accoglienza dei grandi geni dell'Umanità da Einstein (suo padre è sepolto a Milano al Monumentale) a Leonardo, per dirne solo due. Ma anche la città in cui è nato il fascismo e dove c'è il Binario 21, dove ci sono state le deportazioni. La città in cui è nata Liliana Segre, senatore a vita e sopravvissuta ad Auschwitz.
  Mi chiedo se ha senso che oggi ci siano ancora queste scritte oltretutto legate al calcio. Il pallone è divertente se rimane civile, lo sfottò è il sale della rivalità e i milanisti, forse, non saprebbero fare a meno degli interisti (e viceversa). Ma questo messaggio non è tollerabile. Non mi interessa chi lo ha firmato, mi interessa se chi scrive una cosa del genere sa cosa sia la civiltà. Non è una ragazzata, uno sbaglio. No, è qualcosa di strisciante, animato da un pregiudizio, evidentemente, mai sopito. L'idea che ebreo sia un insulto, l'idea di sporcare un muro per esprimere quella che non è nemmeno un'opinione ma una bestialità.
  Le parole sono dure come le pietre, e non so se quelle che sto scrivendo possano essere altrettanto dure di quelle schizzate su quel muro. Certamente vanno condannate, certamente bisognerebbe acciuffare chi fa cose del genere, certamente ci indigniamo, certamente tutti condanneranno (almeno spero), certamente saremo solidali con la comunità Ebraica, certamente si cercherà di minimizzare, certamente, certamente… Quanti certamente sentiremo, quanta fermezza sarà espressa a parole, quante condanne (a parole) ci saranno… Fatto sta, che quella scritta rimane una ferita e una sconfitta per una città come Milano. Milano non credo sia una città razzista, però questi rigurgiti saltano fuori.
  Non so, forse a scuola non si spiega abbastanza bene che bisogna rispettare il prossimo (e che non bisogna sporcare le pareti esterne dei palazzi altrui). Tutto questo è molto, molto triste e qualcuno dovrebbe far sentire forte la sua voce. Non solo per condannare ma anche per agire concretamente: la sinistra, la destra, chi non è né di sinistra né di destra, chi è in maggioranza, chi è in minoranza. Chi è al governo, chi è all'opposizione. La solidarietà, insomma, da sola non è più sufficiente.

(Gli Stati Generali, 12 luglio 2018)


Netanyahu disposto a tollerare Assad al potere in cambio del ritiro degli iraniani

GERUSALEMME - Israele non si oppone alla ripresa del controllo del potere in Siria da parte del presidente Bashar al Assad e alla stabilizzazione del paese, ma agirà per proteggere i propri confini dalle forze militari siriane, se necessario. Lo ha detto oggi il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, prima di partire da Mosca, dove ieri, 11 luglio, ha incontrato il presidente russo, Vladimir Putin. "Non abbiamo avuto problemi con il regime di Assad, per 40 anni neanche un solo colpo è stato lanciato sulle alture del Golan", ha affermato Netanyahu. Il capo dell'esecutivo israeliano ha affermato: "Ho stabilito una politica chiara di non intervento e non siamo intervenuti". Evidenziando cosa ha spinto finora Israele ad agire, Netanyahu ha affermato: "Ciò che ci ha turbato sono lo Stato islamico e Hezbollah e questo non è cambiato. Il nocciolo della questione è preservare la nostra libertà di azione contro chiunque agisca contro di noi. Secondariamente rimuovere la presenza degli iraniani dal territorio siriano". Fonti israeliane hanno dichiarato ad "Haaretz" che la Russia ha lavorato per allontanare l'Iran dal confine israeliano con la Siria e nel frattempo, Israele ha evitato di intervenire e di interrompere gli sforzi di stabilizzazione portati avanti da Assad. Netanyahu starebbe lavorando ad ottenere dalla Russia la garanzia che le forze iraniane lascino la Siria in cambio di un alleggerimento delle sanzioni statunitensi.

(Agenzia Nova, 12 luglio 2018)


Israele intercetta un drone proveniente dalla Siria

Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno annunciato oggi che un missile Patriot ha intercettato un drone proveniente dalla Siria, dopo che le sirene si sono attivate nel nord dello Stato ebraico e alcuni frammenti del velivolo senza pilota sono caduti nel Mar di Galilea. Il drone ha fatto ingresso dalla Siria in territorio israeliano quando è stato abbattuto. Al momento non si registrano vittime o danni. Il 9 luglio il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Liberman, ha avvertito di una "forte risposta" nel caso venga violato l'accordo di cessate il fuoco con la Siria firmato nel 1974.

(Agenzia Nova, 12 luglio 2018)


Svolta nei soccorsi con il super ponte dei walkie talkie inventati in Israele

Prossimo obiettivo: «Un team di pronto intervento, che sia in grado di muoversi nel mondo al bisogno».

di Leonard Berberi

 
«Grazie per quello che avete fatto. Saluti dal Brasile». «Siete i miei eroi». «Siete stati fantastici». Gli apprezzamenti rimbalzano via social da mezzo mondo al civico 2 di via HaPrat a Yavne, tra Tel Aviv e Ashdod, Israele.
   È da questo indirizzo che, il 25 giugno scorso, la compagnia Maxtech Networks ha spedito in Thailandia i diciannove particolari walkie talkie dal valore di circa centomila euro che hanno permesso ai soccorritori di comunicare tra loro e di coordinare le operazioni di salvataggio dei dodici ragazzini e del loro allenatore.
   Non apparecchi qualunque. «Sono dotati di una tecnologia, chiamata "Mesh", che si basa su un algoritmo che ha richiesto dieci anni di lavoro e un team di 20 esperti per consentire le comunicazioni di emergenza in qualsiasi circostanza», ha spiegato nelle varie interviste Uzi Hanuni, 51 anni, amministratore delegato della società. L'idea di un sistema di questo tipo gli sarebbe venuta dopo aver saputo che l'11 Settembre 2001 nei primi minuti molti pompieri sono morti proprio a causa della mancanza di comunicazione.
   Il funzionamento è più semplice della tecnologia contenuta. «I walkie talkie funzionano in un duplice modo: da un lato ricevono e trasmettono voce e dati, dall'altro agiscono come ponti tra gli apparecchi», racconta Hanuni. Alla fine si realizza una trasmissione tra il primo e l'ultimo dispositivo «anche se ogni tanto con qualche secondo di ritardo, ma è normale».
   Quando le forze speciali thailandesi sono arrivate nella grotta si sono accorte che non potevano dialogare: la conformazione della cavità non consentiva il passaggio del segnale radio. «È a quel punto che hanno contattato Moshe Ashkenazi, un nostro rappresentante nel Paese - ricorda Hanuni al sito specializzato Israeì21c -: quel tipo di ostacolo poteva essere superato dalla tecnologia di Maxtech, peraltro già utilizzata non soltanto nello Stato ebraico, ma anche in Italia e India».
   In poche ore Maxtech manda uno dei suoi ingegneri, Yuval Zalmanov, e i walkie talkie le cui batterie durano al massimo una decina di ore. Zalmanov ha pure il compito di insegnare ai soccorritori come utilizzarli. La missione, disperata, è finita nel migliore dei modi per i baby calciatori intrappolati con il loro tecnico. E lui, Hanuni, ora si gode i risultati. «Siamo inondati di richieste da tutto il mondo: negli ultimi giorni il nostro sito web è collassato per le troppe visite», continua l'amministratore delegato.
   Il prossimo obiettivo? «Mettere in piedi un team di pronto intervento, equipaggiato con questa tecnologia, che sia in grado di muoversi nel mondo non appena ce ne sarà bisogno».

(Corriere della Sera, 12 luglio 2018)


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Il moderno Faraone non capisce

"Israele è mio figlio, lascialo andare, perché deve fare una festa in mio onore”, disse l’Eterno al Faraone. Ma il Faraone obiettò dicendo che non conosceva l’Eterno. Fu soddisfatto: l’Eterno si fece conoscere devastando l’Egitto con dieci piaghe, una più tremenda dell’altra. Prima di questo, però, l’Eterno aveva inviato in Egitto un suo uomo, Giuseppe, per mezzo del quale il paese aveva conosciuto una grandiosa benedizione. Forse l’Eterno vuol dire oggi al moderno Faraone costituito dalle nazioni pagane raccolte intorno all’Onu: “Israele è mio figlio, lascialo rimanere nella terra che gli ho assegnata, perché lì un giorno dovrà celebrare una magnifica festa in mio onore”. Il moderno Faraone però resiste, obietta, dice che questa storia del popolo eletto, figlio di un padre che lui non ha mai conosciuto, proprio non la capisce. E per capirla dovrà andare a finire come nel primo caso: l’Eterno si presenterà, e allora saranno guai. Però, prima di questo finale tragico, forse, come nel caso di Giuseppe, l’Eterno sta inviando al mondo qualche segnale per far capire al moderno Faraone che la presenza di suo figlio in mezzo alle nazioni, unite o non unite, non è un disastro, ma una benedizione. Così, quando il vero disastro sarà arrivato, quando le nazioni unite o non unite dovranno passare per il tragico faraonico finale egiziano, non saranno possibili giustificazioni. “Chi ha orecchi per udire oda”. M.C.

(Notizie su Israele, 12 luglio 2018)


Gli ultraortodossi israeliani non vogliono fare il militare

Il governo di Gerusalemme vuol togliere loro questo beneficio

di Marta Olivieri

 
Il ministro della sanità, Yaakov Litzman (a sin.), ha annunciato che il suo partito Jut lascerà la coalizione se sarà approvata la legge che toglie agli ultraortodossi il beneficio di non fare il militare
Il servizio militare degli ultraortodossi minaccia la maggioranza del governo di Israele. Una legge li esenta, ma il parlamento di Gerusalemme ha approvato, in prima lettura, un progetto di legge che regolamenta l'esenzione dei giovani che studiano la Torah. In sostanza, vuole togliere loro il beneficio dell'esenzione. Pochi soggetti in Israele suscitano tanta passione quanto l'ineguaglianza nel servizio militare. Gli ultraortodossi godono storicamente di una deroga che permette ai giovani uomini che studiano la Torah nelle scuole religiose di sottrarsi a questo obbligo. Lunedì 2 luglio, con 63 voti contro 37, la Knesset ha adottato in prima lettura un nuovo tentativo di risolvere questo problema, per legge e quote.
   Il progetto invece di costruire consenso minaccia la coalizione di governo. Il testo è stato preparato da un comitato di esperti del ministero della difesa. Per Avigdor Lieberman, titolare del dicastero, era fuori questione sottomettersi alle posizioni massimaliste dei rabbini ultraortodossi.
   Il governo deve trovare una via d'uscita entro settembre, termine stabilito dall'Alta Corte di giustizia nel settembre 2017, quando l'Alta Corte aveva stabilito che il sistema di esenzione per gli ultraortodossi era illegale e illegittimo. In nome di un principio: la rottura dell'uguaglianza tra i cittadini.
   Il consiglio dei saggi della Torah, una fazione del Judaismo unificato de la Torah (Jut), uno dei due partiti ultraortodossi della Knesset, rifiuta ogni compromesso. Ritiene che gli studenti che dedicano la loro vita a Dio e ai testi sacri non possono deviare da questa missione. Il ministro della salute Yaakov Litzman, a capo del partito, ha avvertito lunedì che la Jut potrebbe lasciare la coalizione di governo se il testo sarà approvato in terza lettura. Le due formazioni ultraortodosse sono state messe al riparo dal primo ministro Benyamin Netanyahu dopo il loro ritorno al governo nella primavera 2015. Sanno che un'alleanza così favorevole non si ripresenterà più. I due partiti sperano che gli emendamenti al testo saranno possibili prima della sua adozione definitiva.
   A marzo scorso, la Jut aveva già esercitato una pressione sul premier Netanyahu, minacciando di ritirarsi dal governo se una nuova esenzione collettiva non fosse stata sancita dalla legge. Il primo ministro aveva finito per trovare una via d'uscita dalla crisi anche se aveva esitato per le elezioni anticipate in conseguenza dei casi giudiziari che lo hanno coinvolto insieme alla moglie e il suo seguito.

(ItaliaOggi, 12 luglio 2018)


Questo signore ebreo???

di Valter Vecellio

Questa storia del Rolex di Gad Lerner è decisamente ridicola e avvilente. A suo tempo ridicole e avvilenti erano le storie sui cachemire di Fausto Bertinotti, le scarpe di Massimo D'Alema, la camicia di Walter Veltroni. Sarà che anch'io, col primo sudato stipendio, ho acquistato un Rolex Cellini; che d'inverno mi piace coprirmi con i maglioni di Cucinelli; che da quando avevo 18 anni le mie sono camicie di Brooks Brother's, e apprezzo le Church. Ma è denaro guadagnato, ampiamente tassato, non vedo perché non possa cercare di far convivere il mio esser da sempre radicale con un po' di "chic". Si fa male a qualcuno? C'è qualche legge che lo vieta? No, non c'è nessuna legge che lo vieta; non si fa male a nessuno. Lo scrive anche Vittorio Feltri su Libero: si ribella al moralismo ai quattro formaggi in cui è caduto anche il suo giornale, che opportunamente rampoqna. Solo che per farlo cade in qualcosa di assai peggiore del moralismo d'accatto nei confronti di Lerner. A un certo punto del suo articolo, scrive: « ... questo signore ebreo ... ».
   Mi si gela, letteralmente, il sangue. «questo signore ebreo»? Cosa vuol dire?
In automatico mi viene in mente il monologo di Shylock ne Il mercante di Venezia di Shakeaspeare: «Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano? Se ci pungete non versiamo sangue, forse? ... ». In automatico mi viene in mente il detto: «Si comincia con l'ebreo, o si finisce con l'ebreo; ma dell'ebreo non ci si dimentica mai».
   Sono forse troppo suscettibile? Do forse corpo a dei fantasmi? Perché Feltri, che ha tutto il diritto alla sua foga, alla sua polemica, all'irrisione, perché ha voluto sottolineare: «Questo signore ebreo»? Che c'entra il fatto che uno sia o no circonciso, se va o no al Tempio? Dov'è il Feltri che ho conosciuto e stimato, quando, con pochi altri, difendeva Enzo Tortora; quando pur a volte non condividendole, difendeva Marco Pannella e i radicali per il loro diritto di non essere ostracizzati a prescindere; il Feltri che da "destra" si schierava comunque a favore dei diritti civili, e per una giustizia che sia degna di questo nome ...
   «Mandalo a quel paese e non dargli troppa importanza: provocare è quello che vuole, ignoralo», suggerisce, saggia, un'amica. Forse ha ragione. Forse. Ma quel "signore ebreo" scagliato con disprezzo e malanimo, comunque mi inquieta. E, lo confesso, un po' mi fa paura. Feltri magari dirà che no, è un inciso innocente, uno sberleffo innocuo; che il suo dire è come quando ti scappa: «Tirchio come un ebreo». Se è così, proprio a causa di questa "innocenza", di questo essere innocui, le mie inquietudini e paure crescerebbero ulteriormente.

(Il Dubbio, 12 luglio 2018)


Chi tocca l'islam ''muore"

Fra processi e sospetti, Georges Bensoussan è diventato un mostro morale. La sua "colpa"? Aver denunciato l'antisemitismo islamico che divampa in Francia.

Alla radio disse che l'antisemitismo nelle comunità islamiche "arriva con il latte materno". Due anni
di tormenti.
"Se dovessi pensare di lasciare questo paese sarebbe una sconfitta morale", dice in aula l'ultimo giorno del processo. E' uscito pulito dalla vicenda giudiziaria, ma i suoi accusatori sono riusciti a trasformarlo in un infrequentabile. ll Memoriale, che non lo ha mai difeso, gli ha dato poche ore per liberare l'ufficio. "Mi hanno trattato come un delinquente".

di Giulio Meotti

 
Lo storico Georges Bensoussan, scagionato al processo per 'Istigazione all'odio razziale", è stato estromesso dal Memoriale della Shoah, dove era direttore editoriale

La vita di Georges Bensoussan cambia il 10 ottobre 2015. Il celebre storico francese, direttore editoriale del Mémorial de la Shoah e fra i massimi studiosi di antisemitismo e medio oriente (i suoi libri sono pubblicati in Italia da Einaudi), è ospite della trasmissione radiofonica Répliques su France 2. Si parla di fallimento dell'integrazione nelle banlieue, le periferie francesi, su cui Bensoussan ha curato il libro Les Territoires perdus de la République: "Non ci sarà alcuna integrazione fino a quando non ci saremo liberati di questo antisemitismo atavico", dice Bensoussan. "Il sociologo algerino Smain Laacher, con grande coraggio, ha detto che nelle famiglie arabe in Francia, è risaputo ma nessuno vuole dirlo, l'antisemitismo arriva con il latte materno". Da quel momento, la carriera di Bensoussan subisce una feroce battuta d'arresto.
   Il Movimento contro il razzismo e per l'amicizia fra i popoli, che sull'islam aveva già fatto processare Oriana Fallaci per La rabbia e l'orgoglio, il malpensante Éric Zemmour e Michel Houellebecq, annuncia subito che trascinerà Bensoussan in tribunale per istigazione all'odio razziale: "Il Memoriale è un patrimonio comune che nasce dall'orrore dello sterminio degli ebrei" denuncia il Mrap. "E' scandaloso e atroce che Georges Bensoussan, che ne è responsabile editoriale, abbia usato parole antiarabe e razziste in un servizio pubblico. Chiediamo anche ai responsabili del Memoriale di prendere le distanze dal suo direttore editoriale che ha promosso un razzismo biologico dei più abietti".
   Ma Bensoussan non è un autoesiliato di rango come Oriana Fallaci, non ha la vis polemica di Zemmour né il blasone mediatico di Houellebecq. E' un obiettivo "facile", uno storico serio dal carattere schivo, mite. Condurlo al massacro sarà un gioco da ragazzi. Come in una favola di La Fontaine, era soltanto necessario decidere: appeso o bruciato vivo?
   Bensoussan è trascinato in ben due gradi di giudizio. E' nato anche un libro attorno al suo caso, Autopsie d'un déni d'antisémitisme, con le testimonianze di grandi storici come Pierre Nora, dello scrittore algerino Boualem Sansal e del regista Jacques Tarnero. E' stato creato pure un comitato di sostegno, animato da Barbara Lefebvre. Ad aprile, quando Bensoussan si presenta in appello, in quell'aula di Parigi regna una "atmosfera kafkiana", come la definisce il settimanale Marianne, uno dei pochi grandi media francesi che si schierano a fianco dell'imputato. La petizione portata avanti da Nora denuncia il trattamento inflitto allo storico, gettato nel fango come un razzista volgare. Mediapart, il giornale online di Edwy Plenel, l'intellettuale della gauche islamofila e della soumission ideologica, guida la grancassa mediatica contro Bensoussan.
   Al primo piano del Palais de Justice a Parigi, l'aula è minuscola, appena quindici posti. Ma più di cento persone si sono affollate alla porta, un'ora prima dell'udienza. Erano stati appena uccisi il colonnello Arnaud Beltrame e la sopravvissuta alla Shoah Mireille Knoll (insieme con altri dodici ebrei assassinati, l'antisemitismo spicciolo quotidiano, l'esodo interno delle comunità ebraiche, la fuga a migliaia in Israele). Il clima è teso. Diverse sagome femminili velate aspettano fuori dall'aula. Un'affluenza attesa, dopo tutto, visto che il processo d'appello di Bensoussan è emblematico. Fra gli accusatori dello storico c'è anche la Lega dei diritti dell'uomo, rappresentata da Michel Tubiana, l'ex presidente. Vale la pena ricordare che la Lega fu creata nel 1898 per difendere il capitano ebreo accusato di tradimento Dreyfus. Dall'altra parte, il sostegno di Bensoussan, come al tempo di Dreyfus, è minimo. Il giornalista Philippe Val, l'avvocato Noélle Lenoir (già ministro degli Affari europei), lo storico belga Joel Kotek, si presentano a dargli man forte. L'avvocato Michel Laval smantellerà brillantemente punto per punto l"'impostura giudiziaria" su cui è costruito tutto il caso. "Sono considerato alla stregua di Xavier Vallat, l'uomo dello statuto degli ebrei sotto Vichy" dice Bensoussan in aula. Lo storico ebreo francese di origine marocchina diventa il "Vallat dei musulmani", come il commissario alle Questions Juives durante la Seconda Guerra mondiale. I musulmani sono i nuovi ebrei, i perseguitati, i censiti, gli stigmatizzati, i ghettizzati.
   L'avvocato Noèlle Lenoir, ex giudice costituzionale, assume un tono doloroso: "Esprimo la mia ribellione e la mia costernazione nello scoprire che nella Francia del XXI secolo, un intellettuale può essere portato davanti a un tribunale penale per una citazione sociologica. Questo processo è un altro passo in una strategia di intimidazione rivolta a tutti coloro che denunciano l'ascesa più allarmante di una nuova forma di antisemitismo in Francia e di orribili crimini commessi nel suo nome".
   L'ultimo discorso di Bensoussan, alla fine dell'udienza, è tragico: "Sono francese in tutte le fibre della mia anima. Se dovessi pensare di lasciare questo paese un giorno, sarebbe una totale sconfitta morale. 'Una strana sconfitta', ha scritto Marc Bloch. Non deve succedere". In aula spicca la presenza di Alain Finkielkraut, venuto a testimoniare a favore di Bensoussan. Di fronte al giudice, Fabienne Siredey-Garnier, c'è anche Lila Charef, a capo del dipartimento legale del Collettivo contro l'islamofobia, che indossava il velo islamico. Questo gruppo è un'emanazione della Fratellanza musulmana, che non fa mistero di voler islamizzare i paesi europei e imbavagliare ogni critica sul mondo islamico.
   "Le associazioni antirazziste non sono più in lotta contro il razzismo, il loro obiettivo è di vietare il pensiero, è quello di sottrarre la realtà alle indagini e alle critiche", dice Finkielkraut, che si è dimesso dalla Lega contro l'antisemitismo per aver trascinato Bensoussan in giudizio. "Sono sorpreso di essere qui perché la questione non è se Bensoussan è colpevole: la questione è se ha detto la verità!".
   Al primo processo ha parlato Michel Sibony, docente in pensione, ecumenico di rango, membro dell'Unione ebraica francese per la pace, che ha accusato Bensoussan di "un discorso degno di Drumont" (un famoso ideologo antisemita degli inizi del XX secolo). Dall'Algeria arriva la lettera di sostegno a Bensoussan inviata dallo scrittore Boualem Sansal: "lo stesso ho denunciato la cultura dell'odio instillata nelle famiglie arabe. Dire che l'antisemitismo è all'interno della cultura è semplicemente ripetere ciò che è scritto nel Corano e insegnato in moschea". "La negazione della realtà è un cancro", scrive anche Elisabeth Badinter sul caso Bensoussan.
   Il Consiglio superiore dell'audiovisivo invia un "avvertimento" a France Culture, affermando che "alcune osservazioni di Bensoussan avrebbero potuto incoraggiare comportamenti discriminatori". Il Consiglio castiga anche l'autore del programma, Alain Finkielkraut, reo di non aver "in nessun momento contribuito al controllo dell'emittente".
   Processato, esecrato, adesso Bensoussan è diventato anche una persona non grata allo stesso Mémorial de la Shoah. Lo storico ha inviato una lettera a Danielle Khayat, magistrato in pensione che ha scritto articoli in sua difesa, rivelandole quanto sta avvenendo. Ne siamo venuti a conoscenza.
   "E' stata una vergogna assoluta: la serratura era già stata cambiata". Bensoussan si riferisce al fatto che, dopo che gli avevano comunicato che non poteva più entrare in ufficio a partire dal 2 luglio, che avrebbe dovuto restituire il badge, e che gli avrebbero fatto avere a casa le sue cose, invece ha potuto andare a recuperare le sue cose nel suo ufficio. "Poi dopo alcune ore, sotto semi-sorveglianza, ho potuto ordinare, scegliere, gettare, tenere, riempire otto casse di documenti e di libri. Insomma, la cacciata di un delinquente al quale si concedeva la grazia di alcune ore per recuperare i propri effetti. Dopo 25 anni di lavoro, 65 numeri della Revue de l'histoire de la Shoah, 40 libri pubblicati in coedizione, la creazione del servizio di formazione ... La gestione di un delinquente con metodi dispotici e coperto dai suoi superiori gerarchici in nome dell'ordine, il conformismo di fronte alla doxa (islam e islamofobia come ossessioni del pensiero corretto), le élite ebraiche auto-istituitesi che non rappresentano più che se stesse e finite in questa negazione della giustizia, in questo crimine contro la vita intellettuale la cui missione era la storia della Shoah".
   Bensoussan oggi non può più entrare al Mémorial, che non lo ha mai difeso in questi due anni. Quando gli hanno offerto di pagargli le spese del processo, Bensoussan si è rifiutato. Per due anni, il Mémorial non gli ha consentito neppure di lavorare in Francia (ha potuto svolgere attività soltanto all'estero). In un articolo per il mensile Causeur, Jacques Tarnero ha scritto: "Queste azioni legali fanno parte della panoplia di mezzi da parte degli islamisti per biasimare e mettere a tacere, dopo aver seminato il terrore. Come non riconoscere questi nemici mentre allo stesso tempo è la loro ideologia a ispirare i dilettanti della morte? Se un giorno uno storico esaminerà le ragioni di questa strana sconfitta degli anni Duemila, dovrà guardare gli archivi di questo processo".
   Bensoussan esce pulito dall'azione giudiziaria, ma i suoi oppositori, i taglialingue, hanno ottenuto una vittoria di peso: aver decretato lo storico come infrequentabile sotto il peso dell'accusa di razzismo, facendo in modo che ci si allontanasse da lui, che soltanto pochi parlassero. Così si è fabbricato un mostro morale per ostracizzarlo meglio, per zittirlo. E con esso abbiamo assistito all'ascesa di una nuova grande intolleranza, una nuova parola diabolica inventata per permettere al cieco di rimanere cieco: islamofobia.

(Il Foglio, 12 luglio 2018)


Delegazione di Hamas al Cairo per colloqui con funzionari egiziani

GERUSALEMME - Una delegazione del movimento palestinese Hamas si è recata oggi al Cairo per colloqui con funzionari del governo egiziano. Lo ha riferito il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, spiegando che la delegazione discuterà di relazioni bilaterali e degli ultimi sviluppi nella regione. Da tempo Il Cairo svolge un ruolo di mediazione fra Hamas e il movimento rivale di Fatah, anima dell'Autorità nazionale palestinese, per finalizzare un compromesso. In un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano egiziano "Egypt Today", il coordinatore speciale per il Medio Oriente delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha evidenziato il ruolo dell'Egitto nella riconciliazione intra-palestinese, nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese e nell'accordo del secolo proposto dal presidente statunitense Donald Trump. Il governo del Cairo è sempre stato e continuerà ad essere un attore chiave e vitale del conflitto israeliano, ha affermato Mladenov.
   A tal proposito, le Nazioni Unite stanno facendo quanto in loro potere per sostenere l'Egitto nel suo ruolo rispetto al conflitto in Medio Oriente, ha proseguito il diplomatico. "Sedersi al tavolo dei negoziati e raggiungere un compromesso conveniente sarebbe l'unica soluzione per il conflitto israelo-palestinese", ha affermato Mladenov, aggiungendo che i "rivali Fatah e Hamas devono raggiungere una riconciliazione per porre fine ai loro continui conflitti e unificarsi sotto un governo legittimo". Parlando dello scenario futuro, Mladenov ha affermato che il riconoscimento di Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese è uno dei principi per raggiungere la pace. Inoltre, il futuro Stato palestinese dovrà comprendere per il diplomatico sia la Cisgiordania che la Striscia di Gaza.
   Per quanto riguarda il ruolo della comunità internazionale, Mladenov ha spiegato che adesso "deve impedire che si scatenino nuove guerre nella Striscia di Gaza". Inoltre, "la pace non può essere raggiunta senza la presenza degli Stati Uniti".

(Agenzia Nova, 11 luglio 2018)


Lieberman denuncia l'ipocrisia dell'Europa

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha attaccato i paesi europei per le loro politiche nei confronti dell'Iran, perché vogliono aiutare questo paese mettendolo contro gli Stati Uniti invece di fare pressioni sul regime iraniano. Sul suo account Twitter Lieberman ha scritto: "I paesi europei si permettono di intervenire in ogni questione della politica interna israeliana o sui nostri confini ma non li infastidisce dare soldi al regime degli ayatollah che imprigiona una giovane ragazza che ha avuto il torto di ballare a testa scoperta. Se questi paesi fossero un po 'più diritti e meno ipocriti, romperebbero le loro relazioni con l'Iran fino a quando non ci sarà un cambio di regime".
Il ministro della Difesa si riferiva a Madeh Hojabri, una donna di 18 anni che ha commesso il "crimine" di essere filmata con la testa scoperta. La diffusione di immagini sui social network, seguita da oltre seicentomila utenti di Internet, ha irritato le autorità iraniane che l'hanno arrestata e condannata a 4 anni di carcere e 80 frustate per "atto anti-islamico" ". La giovane donna è stata rilasciata su cauzione e costretta a scusarsi alla televisione di stato.

(LPHinfo, 11 luglio 2018 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Tra passato e presente, la scommessa vinta di Israele

di Niram Ferretti

Tornare in Israele significa ritrovare sempre un paese vibrante e carico di un invincibile ottimismo, proiettato senza sosta nel futuro pur nell'incertezza costante.
   E' il dispositivo ebraico, la progettualità come resilienza e resistenza contro le forze ostili e omicide che nei millenni hanno cercato di distruggere questo indomabile e sempre insoddisfatto anelito.
   Tornare significa ritrovare Tel Aviv con nuovi lavori in corso, cantieri sempre attivi (a ottobre sarà inaugurato il treno veloce che in 28 minuti porterà a Gerusalemme), significa vedere palazzi di 64 piani per una superficie di 118,000 metri di uffici e 10,500 metri di negozi, dove Amazon e Facebook hanno i loro uffici e dove è in progetto una nuova torre di 90 piani per 112,000 metri di superficie. Significa leggere la realtà come una promessa di prosperità nonostante i molti nemici, la perenne fabbrica delle menzogne che racconta di un paese inesistente, malvagio, fondato sul sopruso e il crimine ai danni dei palestinesi, un'entità fittizia che può solo sgretolarsi una volta che gli occhi sanno aprirsi onestamente sulla realtà.
   Questo è il paese che va sempre più veloce perché ha saputo investire se stesso senza riserve, lottare e credere contro ogni speranza che ce l'avrebbe fatta, che avrebbe vinto la scommessa della storia contro un mondo arabo incapace di cogliere la grande opportunità che la rinnovata e sempre più cospicua presenza ebraica, qui, in questo luogo in cui non è mai venuta meno, avrebbe potuto offrire. Ma furono pochi, pochissimi, quegli arabi che capirono, che videro nell'immigrazione ebraica una risorsa, una opportunità per crescere insieme, per arricchirsi dell'esperienza e della conoscenza che gli ebrei portavano con sé dall'Europa, un'Europa che li aveva perseguitati e massacrati. I più, in nome del rifiuto musulmano decisero che gli ebrei erano corpo estraneo in una terra considerata per sempre Dar-al-Islam. Al massimo avrebbero potuto dimorarvi come dhimmi, sudditi di rango inferiore, soggetti all'imperio islamico.
   Ze'ev Jabotinsky lo previde con lucidità e lo scrisse nel suo testo maggiore, Il Muro di Ferro nel 1923. Sapeva che gli arabi non avrebbero mai accettato la presenza ebraica e che era necessario costruire uno Stato forte contornato da un muro che i nemici non avrebbero potuto abbattere. Così è stato ed è.
   Solo dentro la salvaguardia e la protezione può prendere corpo il futuro di Israele, mentre intorno ha continuato per anni e anni a coagularsi l'odio e il desiderio di distruzione di un mondo incapace di dotarsi di slancio e progettualità, ancorato a modelli socioculturali tribali, teocratici, antidemocratici, cleptocratici.
   E' il mondo della morta gora in cui il futuro sfugge senza sosta perché non si è interessati a produrlo, perché si è incapaci di pensarlo. E' il mondo privo di slancio di stati falliti e di satrapie petrolifere, di teocrazie millenariste, e di dittature feroci, è il mondo di clan mafiosi e di integralismi, non solo circostante ma anche quello che Israele si trova in casa in Cisgiordania e a Gaza. E' il mondo di chi ha voluto perdere il treno della storia preferendo ad esso il vittimismo, il risentimento, l'invidia e l'arcaicità.
   Quello che gli ebrei hanno toccato in questa terra è fiorito, è diventato non solo il giardino proverbiale, ma la maggiore e più spedita economia mediorientale. Quello che hanno toccato gli arabi ha prodotto stagnazione e arretratezza culturale, realtà che quando non si sono rivelate autosufficienti come i potentati petroliferi del Golfo sono tenute in vita da sussidi internazionali senza i quali morirebbero in breve tempo.
   Gli aquiloni incendiari di Hamas che hanno bruciato ettari e ettari di coltivazioni israeliane sono la metafora di tutto ciò. Sono, non il segno dell'impotenza, ma la professione di cupo nichilismo di chi, alla vita preferisce la morte e la distruzione. Gaza, quando venne lasciata da Israele, nel 2005, aveva sulla carta la possibilità di trasformarsi nella Singapore del Medioriente. Ha scelto di diventare il recinto oscuro di una setta fondamentalista figliata dai Fratelli Musulmani.
   In che direzione guardare sembra averlo capito il giovane e futuro re saudita, Mohammad Bin Salman, il quale sa che il tempo del petrolio che ha consentito al suo paese una prosperità inaudita e senza meriti, finirà. E sa che dovrà garantirsi un modo di sopravvivere investendo, come Israele fa da sempre, in nuove tecnologie e risorse, se no sarà destinato alla rovina.
   Israele, da sempre senza petrolio a garantirgli un comodo cuscino, questa scommessa sono settanta anni che l'ha vinta.

(L'informale, 10 luglio 2018)


Fassino: Internazionale socialista revochi boicottaggio di Israele

ROMA - "Una grave ferita allo spirito di pace e di dialogo che sempre ha ispirato l'azione della Internazionale Socialista in Medio Oriente". Così Piero Fassino, responsabile PD per la politica estera, ha commentato la decisione della Internazionale Socialista di sostenere il boicottaggio nei confronti di Israele.
"Con il boicottaggio - sottolinea Fassino - non si aiuta certo la riapertura di trattative di pace e anzi si assume un atteggiamento punitivo contro tutti gli israeliani, compresi i tanti che si battono per una soluzione di pace con i palestinesi. E si costringe il partito laburista - il partito di Ben Gurion, Gold Meir, Isaac Rabin e Simon Peres - a lasciare la casa socialista a cui quel partito appartiene da sempre".
"Chiunque voglia in Medio Oriente una pace capace di riconoscere i diritti sia di Israele che dei palestinesi - conclude Fassino - non può che chiedere alla Internazionale Socialista di revocare il suo sostegno al boicottaggio".

(Diario del Web, 11 luglio 2018)


Forse sarebbe meglio chiedere a Fassino di aprire gli occhi.


Israele è l'ottavo paese più potente al mondo per potenza militare e intelligence

di Nathan Greppi

 
Un sondaggio annuale dello US News & World Report, pubblicato lo scorso fine settimana, ha nominato per il secondo anno consecutivo Israele l'8o paese più potente al mondo.
  Secondo il Times of Israel, il sondaggio ha offerto un questionario a 21.000 partecipanti provenienti da 4 continenti. Esso misurava circa 80 paesi dal punto di vista dell'influenza culturale, del potere militare e dell'economia. Per ognuno di essi, si chiedeva quale fosse il miglior paese al mondo. Complessivamente, Israele è arrivata al 30o posto, mentre il primo e il secondo sono andati rispettivamente a Svizzera e Canada. L'Italia invece è arrivata al 15o posto.
   Ma se il nostro paese è considerato di gran lunga migliore dello Stato Ebraico sotto molti aspetti, lo stesso non si può dire per la potenza militare e di intelligence: infatti, qui Israele è all'8o posto, dietro a Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Regno Unito, Francia e Giappone. L'Italia invece è al 18o posto, dopo la Svizzera ma prima della Svezia.
  "Per le sue dimensioni relativamente piccole, il paese ha giocato un grande ruolo nelle relazioni internazionali," spiega il Report che, in seguito alla decisione di Trump, quest'anno ha per la prima volta riconosciuto Gerusalemme come capitale d'Israele. Inoltre, Israele è arrivata al 10o posto tra le economie più dinamiche, mentre i primi tre posti sono andati a Emirati Arabi Uniti, India e Singapore.
  Tuttavia, lo stato ebraico ha raggiunto una valutazione inferiore in tutte le altre categorie: 25o nell'imprenditorialità, 29o come patrimonio culturale, 35o per qualità della vita, 40o come influenza culturale, 64o come apertura agli investimenti.

(Bet Magazine Mosaico, 11 luglio 2018)


Netanyahu: il legame con Putin è importante

GERUSALEMME - "Parto adesso per Mosca per un incontro molto importante con il presidente Putin. Discuteremo di Siria, Iran e delle necessità di sicurezza di Israele". Lo ha detto il premier Benyamin Netanyahu all'aeroporto Ben Gurion prima della partenza per la Russia. "Apprezzo molto il legame diretto, personale ed eccellente che ho con Putin. Questo - ha aggiunto - è importante per la sicurezza nazionale dello stato ebraico". Netanyahu ha ribadito nei giorni scorsi che Israele non accetta la presenza di Teheran "in nessuna parte della Siria". Secondo il programma, il premier israeliano vedrà Putin questa sera stessa a Mosca per un incontro di due ore al termine del quale andrà a vedere la semifinale dei Mondiali tra Inghilterra e Croazia. Netanyahu rientrerà in Israele già domani. Il 14 luglio è in programma l'arrivo a Mosca del presidente palestinese Abu Mazen per una riunione con Putin.

(ANSAmed, 11 luglio 2018)


Il sud di Israele in fiamme: continua l'Intifada degli aquiloni incendiari

di Nathan Greppi

Incendio nella regione della Foresta Be'eri nel sud di Israele, acceso dagli "aquiloni del fuoco" palestinesi
Sono passati più di 100 giorni da quando i terroristi di Hamas hanno iniziato a lanciare da Gaza aquiloni e palloncini incendiari. Complessivamente, hanno causato circa 678 incendi vicino al confine tra la Striscia e Israele, bruciando circa 2.260 acri di vegetazione. Secondo Ynetnews, a questi si aggiungono 1.500 acri di terreni agricoli, completamente bruciati. In totale, il Keren Kayemeth LeIsrael (KKL) ha perso circa 3.700 acri di terreno, a cui però vanno aggiunti quelli che appartengono alle comunità che vivono a ridosso della Striscia di Gaza.
  Solo lunedì 9 luglio, numerosi pompieri, agenti di sicurezza e gruppi del KKL si sono impegnati senza sosta per spegnere 33 incendi nei consigli regionali di Eshkol, Sdot Negev e Hof Ashkelon. I vigili del fuoco sono riusciti a spegnerli quasi tutti nel giro di pochi minuti, eccetto che per uno scoppiato nel Kibbutz Gvar'am, per il quale è occorso più tempo.
  Nonostante l'esercito israeliano abbia annunciato di aver trovato una soluzione di alta tecnologia per risolvere il problema dei palloni, ovvero usando droni per intercettarli, i terreni continuano a subire l'offensiva di Gaza tutti i giorni, e i danni sembrano destinati ad aumentare. Il tutto nel silenzio imbarazzante di tutta la comunità internazionale.

 La reazione del governo Netanyahu
  Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato lunedì pomeriggio, durante un incontro del Likud, che Israele, per rispondere agli attacchi, chiuderà i principali ingressi della Striscia a Kerem Shalom e farà un embargo alla zona di pesca della costa di Gaza. Ha aggiunto inoltre che ha deciso, assieme al ministro della difesa Avigdor Lieberman, di "dare immediatamente un giro di vite al regime di Hamas nella Striscia di Gaza. Con una mossa significativa, da oggi noi chiuderemo l'ingresso di Kerem Shalom".
  Ma queste chiusure non saranno totali: i portavoce dell'esercito hanno dichiarato alla stampa israeliana che l'ingresso di Kerem Shalom rimarrà aperto, ma solo per far entrare quegli aiuti umanitari che sono stati approvati dal governo. Inoltre, la zona di pesca di Gaza non verrà chiusa del tutto, ma sarà ridotta da 17 a 11 km. Hamas ha replicato alle dichiarazioni di Netanyahu affermando che le sue decisioni "sono un nuovo crimine contro l'umanità, che si aggiunge alla lista nera di azioni dell'occupazione israeliana contro la nazione palestinese e gli abitanti della Striscia."

(Bet Magazine Mosaico, 11 luglio 2018)


L'unico piano di pace accettabile dai palestinesi

Il tipo di "pace definitiva" a cui aspirano i palestinesi è una pace che nessuna iniziativa di pace potrebbe mai assicurare: una pace senza Israele

I palestinesi non hanno mai visionato il piano del presidente americano Donald Trump per la pace in Medio Oriente. Non sanno nulla del piano, che non è ancora stato reso pubblico. Questo fatto, tuttavia, non impedisce loro di rifiutare categoricamente il piano annunciato, una posizione che i palestinesi hanno reiterato questa settimana quando gli inviati americani per il Medio Oriente Jared Kushner e Jason Greenblatt si sono recati in Israele e in un certo numero di paesi arabi per discutere l'iniziativa. Il piano di Trump non è nemmeno ultimato e pertanto non è stato presentato ufficialmente a nessuna delle parti del conflitto arabo-israeliano. Kushner e Greenblatt lavorano all'accordo da molti mesi e il loro viaggio nella regione li ha portati in Egitto e in Giordania. Solo i palestinesi boicottano l'amministrazione americana....

(israele.net, 11 luglio 2018)


Israele: i cittadini armati combattono il terrorismo

Israele muta radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti dei cittadini possessori di armi: finalmente si riconosce il loro ruolo fondamentale nel contrasto al terrorismo

 
Israele è uno dei Paesi con la legislazione in materia di armi tra le più restrittive e, in particolare, risulta praticamente impossibile (come in Italia…) ottenere un porto di pistola per difesa personale. Le cose, però, sembra siano destinate a cambiare e anche repentinamente, come peraltro ha annunciato il ministro per la pubblica sicurezza Gilad Erdan, il quale intende consentire a qualsiasi cittadino che abbia ricevuto un livello 07 di addestramento da parte dell'esercito (Idf) di acquisire una licenza di porto d'armi. Le autorità di polizia non si sono opposte alla proposta, chiedendo però che il corso di addestramento obbligatorio passi dalle attuali 2 ore a 4,5 ore. Queste linee guida sono il risultato degli sforzi del parlamentare della Knesset Amir Ohana (Likud), il quale da lungo tempo si batte per una più ampia diffusione delle armi tra i cittadini israeliani, principalmente in funzione di tutela contro il terrorismo. Facendo particolare riferimento agli attacchi terroristici degli ultimi anni, nei quali cittadini israeliani sono stati costretti a reagire alla minaccia con strumenti di circostanza (inclusa una chitarra), Ohana ha dichiarato: "un civile che porta un'arma è più una soluzione che un problema, e raddoppia l'efficacia delle forze di sicurezza. Solo nell'area di Gerusalemme, in 11 attacchi terroristici sono stati i cittadini a neutralizzare la minaccia. Obbligare i cittadini israeliani a proteggere se stessi con bastoni per i selfie, chitarre e ombrelli è un crimine che lo Stato commette contro i propri cittadini. Un cittadino rispettoso delle leggi, che abbia le necessarie abilità di base, è perfettamente in grado di difendere se stesso e chi gli è accanto". Secondo le previsioni di Erdan, nei giorni successivi alla modifica legislativa è possibile che siano decine di migliaia le richieste di porto d'armi.

(Armi e tiro, 11 luglio 2018)


Verso l'incontro Putin-Trump: dal futuro del Medio Oriente dipende quello dell'Europa

Mentre Putin e Trump si apprestano all'incontro di Helsinki dove con molta probabilità si peseranno i rispettivi valori sul campo, sarà proprio il campo a decidere il destino del Medio Oriente e quindi dell'Unione Europea

E' strano come i media occidentali trascurino i pur importantissimi fatti che stanno avvenendo in Medio Oriente, presi come sono a seguire (o a inseguire) le sparate propagandistiche dei vari leader europei su problemi effettivamente non sempre fondamentali. Eppure proprio dal Medio Oriente dipendono molti di quei problemi che l'Europa si trova oggi ad affrontare, a partire da quelli derivanti dal conflitto in Siria che hanno di fatto contribuito a cancellare l'area Schengen.
Ne sono invece ben consapevoli di due maggiori leader mondiali, Donald Trump e Vladimir Putin, che il prossimo 16 luglio terranno un vertice bilaterale nel quale verranno con molta probabilità decisi i futuri assetti in Medio Oriente e conseguentemente quelli del resto del mondo vicino, a partire dall'Europa fino all'Africa....

(Rights Reporters, 11 luglio 2018)


Israele - Progetto per inviare il primo veicolo spaziale privato sulla luna

La missione lunare dovrebbe durare solo due giorni dopo l'atterraggio durante i quali il veicolo trasmetterà immagini e raccoglierà dati sul magnetismo della luna.

di Beatrice Raso

Un'organizzazione israeliana ha dichiarato che spera di diventare il primo ente non governativo a far atterrare un veicolo sulla luna. SpaceIL e Israel Aerospace Industries (IAI) pianificano di lanciare il veicolo senza equipaggio a dicembre. Se tutto andrà secondo i piani, Israele diventerebbe il quarto Paese a far atterrare un veicolo sulla luna, dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina.
   SpaceIL invierà il modulo, ancora senza un nome, a Cape Canaveral, in Florida, a novembre in vista del lancio. Il veicolo da 585 kg, infatti, sarà lanciato dal razzo Falcon 9 di Space X per entrare nell'orbita terrestre e poi realizzerà diversi giri intorno al pianeta prima di raggiungere la luna. Dopo l'atterraggio, il veicolo trasmetterà immagini e raccoglierà dati sul magnetismo della luna per uno studio del Weizmann Institute d'Israele.
   Il progetto da 95 milioni di dollari, in gran parte finanziato dal milionario sudafricano-israeliano Morris Kahn, punta a far atterrare il veicolo sulla luna il 13 febbraio, dopo due mesi di viaggio. L'amministratore delegato di SpaceIL, Ido Anteby, ha affermato che si tratterà del più piccolo veicolo spaziale mai giunto sulla Luna, con un diametro di circa due metri e un'altezza di circa 90 centimetri. Partirà con un peso di 585 kg per sbarcare sulla Luna con 180 kg, dopo aver consumato gran parte del carburante.
   SpaceIL è stata fondata nel 2011 e ha gareggiato nell'ambito del Lunar Xprize di Google, che sfidava compagnie private a mandare un veicolo senza equipaggio sulla luna. La competizione è stata poi cancellata dal gigante tecnologico all'inizio dell'anno quando divenne chiaro che nessuna delle 5 compagnie impegnate avrebbe rispettato la scadenza di marzo.
   L'obiettivo della missione non è solo portare un veicolo israeliano sulla luna, ma è anche quello di ispirare una generazione futura di israeliani a seguire una carriera nella matematica, nella scienza o nell'ingegneria, ha dichiarato Joseph Weiss, presidente e amministratore delegato di IAI. Israele è emerso come gigante della tecnologia negli ultimi decenni, producendo moltissime compagnie di tecnologia e attraverso importanti investimenti internazionali. Gran parte dei computer a bordo del modulo è stata sviluppata e prodotta localmente.
   La missione lunare dovrebbe durare solo due giorni dopo l'atterraggio ma il team di SpaceIL spera che inviare il modulo sulla luna possa aiutare a mantenere lo slancio tecnologico di Israele anche nei prossimi anni. "Quello che stiamo cercando di fare è replicare l'effetto di Apollo sugli Stati Uniti", ha spiegato Kahn, riferendosi all'aumento di interesse nella scienza e nell'ingegneria dopo il programma spaziale statunitense atterrato sulla luna nel 1969.

(Meteoweb, 11 luglio 2018)


Il trend macroeconomico di Israele

di Claudio Vercelli

L'economia israeliana continua ad offrire buone performance nel suo insieme. I dati complessivi relativi all'anno appena trascorso sono destinati ad essere non solo confermati ma addirittura superati in quello corrente. La crescita del Prodotto interno lordo, che nel 2017 è stata del 4,3% , nel primo trimestre di quest'anno ha raggiunto il 4,5% . Gli indicatori di tendenza lasciano sperare che l'andamento complessivo su base annua potrà essere, a conti chiusi, del 5%. Aumenta anche l'importazione di merci e servizi, al momento rispettivamente del 20,7% e dell'l 1,2% . Se ciò indica una maggiore propensione al consumo, sia individuale che collettivo, tuttavia conferma ancora la difficoltà che il Paese ha sul versante della bilancia dei pagamenti, dovendosi rivolgere all'estero per soddisfare la domanda interna. Tradizionalmente questa voce, insieme all'inflazione (oggi irrilevante) e alla crescita del debito pubblico (negli ultimi due decenni in parte ridimensionata con una secca politica di privatizzazioni e di tagli alla spesa), ha costituito il tallone di Achille dell'economia israeliana.
   Interessanti sono anche altri indicatori, sempre riferiti al breve periodo, cioè al primo trimestre di quest'anno. A tale riguardo, la spesa per l'acquisto di autoveicoli è triplicata, rivelando una forte propensione alla motorizzazione, opzione che invece le famiglie tradizionalmente rinviano in tempi di scarsità di budget. E' non meno vero che questa impennata fa seguito ai decrementi - non però di pari intensità - che si erano registrati nel 2017. Simile trend è quello relativo ai consumi personali, come orologi, gioielli, piccolo arredamento domestico, vestiario e divertimenti, con variazioni di segno positivo dall'l al 10%, a seconda dei settori e dei beni presi in considerazione. La composizione della spesa tra i consumatori israeliani deve tenere conto di una molteplicità di fattori che in questi ultimi trent'anni sono andati crescendo di peso. Ad un mercato fortemente vincolato (soprattutto dalla modestia delle risorse a disposizione delle famiglie, dalla preponderanza del settore pubblico e dalla posizione geografica del Paese), così com'era fino alla fine degli anni Settanta, è poi subentrato un lungo periodo di trasformazioni, che ha aperto la società agli influssi e alle sollecitazioni provenienti dall'estero.
   La differenziazione sempre più marcata nella stratificazione sociale ha poi contribuito a moltiplicare i gusti, le preferenze e quindi le stesse strategie di consumo. Gli anni Novanta, con l'ultima grande immigrazione, quella degli ebrei russi, hanno rafforzato questa tendenza di fondo. La modernizzazione, particolarmente pronunciata di alcune aree del Paese, a partire dal distretto produttivo e tecnologico di Tel Aviv, ha fatto il resto. I benefici di un tale mutamento non si sono tuttavia redistribuiti nella stessa misura tra la popolazione. La polarizzazione nell 'accesso alla ricchezza sono particolarmente tangibili nel caso delle dinamiche abitative nelle aree urbane, laddove molti lavoratori, soprattutto se giovani, hanno serie difficoltà ad affittare anche solo modesti alloggi nelle grandi città.
   La questione di fondo, anche per Israele, è quindi quella tipica di molti paesi a sviluppo avanzato: a fronte di un'intensificazione delle capacità economiche, e di prospettive sostanzialmente confortanti, permane il problema dell'accesso al dividendo della crescita, fortemente differenziato a seconda dei segmenti e dei gruppi sociali presi in considerazione.

(Pagine Ebraiche, luglio 2018)


Zurigo: attacco con il coltello a una famiglia ebraica

Una famiglia ebraica ortodossa è stata attaccata da un uomo con un coltello a Zurigo, in Svizzera, questo fine settimana, secondo quanto riportato dai media locali.
Secondo un rapporto del quotidiano zurighese Blick, l'incidente è avvenuto nella serata di sabato 7 luglio nel 3o distretto di Zurigo, quando un uomo con un coltello si è buttato su una famiglia ebraica ortodossa. Quando le sue potenziali vittime sono fuggite, l'attaccante le ha inseguite, lanciando insulti antisemiti mentre li inseguiva.
L'aggressore è stato in seguito arrestato e trasferito per essere interrogato, ha detto la polizia di Zurigo.

 La dinamica dell'attacco
  Un rapporto di LOOK afferma che l'incidente è iniziato in un parco giochi quando l'aggressore ha iniziato a guardare un gruppo di bambini.
Quando il padre dei bambini si è avvicinato all'uomo chiedendogli se avesse bisogno di aiuto, il "ragazzo ha reagito in modo molto aggressivo e si è alzato davanti a me", ha dichiarato il padre. "Non volevo problemi, così ho preso i miei figli e me ne sono andato. "
L'uomo ebreo e la sua famiglia sono andati verso casa, credendo che fosse la fine della faccenda. Quando però sono usciti mezz'ora dopo, per andare alla sinagoga, l'uomo li stava aspettando con un coltello.
La famiglia ha cercato di allontanarsi rapidamente dall'uomo con il coltello, ma l'aggressore "improvvisamente ha iniziato a correre verso di noi", ha detto il padre. Un passante, che è anche un membro della comunità ebraica locale, è riuscito a controllare l'aggressore fino all'arrivo della polizia. L'assalitore è stato identificato come un "locale" che, secondo la polizia, non è né un musulmano radicale né un membro noto di un movimento neonazista.
La polizia ha trattenuto il sospettato durante la notte, ma lo ha rilasciato domenica 8 luglio.
Le autorità hanno giustificato il rilascio in una dichiarazione, sostenendo che all'epoca l'uomo era sotto l'influenza dell'alcool, e non si è mai avvicinato abbastanza alle sue vittime da ferirle.
"Un uomo si è avvicinato a un gruppo di ebrei ortodossi e ha fatto osservazioni antisemite", ha detto il portavoce della polizia Marco Cortesi. "Portava con sé un coltello, ed era ovviamente in uno stato di ubriachezza molto avanzato. Ma l'uomo non rappresentava un vero pericolo per loro perché era troppo lontano dalla famiglia. Non c'è una ragione chiara dietro l'incidente perché non è né nazista né islamista".

(Bet Magazine Mosaico, 10 luglio 2018)


La prima astronave israeliana sarà lanciata nello spazio a dicembre

ROMA - Il primo veicolo spaziale israeliano sarà lanciato nello spazio verso la luna a dicembre. Ad annunciarlo oggi è l'organizzazione israeliana che si occupa del progetto destinato a rafforzare le ambizioni estraterrestri e di alta tecnologia dello Stato ebraico. La navicella spaziale senza equipaggio, a forma di baccello e del peso di circa 585 chilogrammi al momento del lancio, atterrerà sulla luna il 13 febbraio 2019 se tutto andrà secondo i piani, come hanno detto ai giornalisti gli organizzatori del team israeliano della SpaceIL. Il veicolo sarà lanciato da un razzo dell'azienda spaziale dell'imprenditore americano Elon Musk e la sua missione includerà la ricerca sul campo magnetico della luna. Il suo primo compito sarà tuttavia quello di piantare una bandiera israeliana sulla luna, come hanno detto gli organizzatori.
   Il progetto è iniziato come parte del Google Lunar XPrize, che aveva offerto 30 milioni di dollari in premi per incoraggiare gli scienziati e gli imprenditori a realizzare missioni lunari relativamente economiche. Una squadra israeliana che in seguito divenne nota come SpaceIL decise di unirsi al progetto in collaborazione con Israel Aerospace Industries. Il premio Google è scaduto a marzo senza che un vincitore abbia raggiunto la luna, ma il team israeliano ha promesso di andare avanti.
   L'iniziativa privata dovrebbe costare complessivamente circa 95 milioni di dollari, ampiamente sostenuta dal miliardario israeliano Morris Kahn. "Mostrerà la strada per il resto del mondo" per inviare un veicolo spaziale sulla luna ad un costo ragionevole, ha detto Ofer Doron dello IAI.

(Tiscali, 10 luglio 2018)


La Sala Rossa ora è contro Israele e le sue "politiche di occupazione"

La sindaca non vota, solo la Lega dice no

TORINO - Un impegno a promuovere la «sospensione delle forniture di armi e attrezzature militari» e a impegnare governi ed Europa affinché «promuovano un canale umanitario» per supportare gli ospedali e la popolazione della striscia di Gaza. Il Consiglio comunale di Torino prende posizione a favore della popolazione palestinese e contro la politica, definita «di repressione», di Israele. Lo fa con una mozione presentata dalla capogruppo di Torino in Comune Eleonora Artesio e della consigliera Cinquestelle Daniela Albano, votata compattamente da tutto il Movimento 5 Stelle, da Artesio e anche dal capogruppo della Lista Civica Francesco Tresso. Nella votazione finale spuntano anche i sì di Monica Canalis ed Elide Tisi, consigliere del Pd. Un errore, chiariscono poco dopo le due, stoppando sul nascere quello che in breve sarebbe diventato un caso. Alla fine 27 voti a favore (comprese le due sviste) e un contrario (Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega). Tutti gli altri - minoranze e sindaca - non hanno partecipato al voto.
Resta il documento che - seppur privo di alcuna valenza pratica - ha una forte connotazione politica. E che fa assumere al Consiglio comunale di Torino, espressione della Città, una posizione durissima nei confronti di Israele, definito «paese occupante» dei territorio palestinesi.
   Dal 30 marzo scorso, ricorda la mozione, sono già oltre cento i civili palestinesi uccisi (e oltre 10 mila i feriti) dalle forze armate israeliane durante le manifestazioni provocate dall'apertura della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. Nel testo si parla di «durissima repressione delle forze armate israeliane delle proteste pacifiche della popolazione palestinese», di «politiche di occupazione israeliana», di «blocco illegale israeliano della striscia di Gaza».
   Si stigmatizza anche la decisione degli organizzatori dell'ultimo giro d'Italia di far partire la corsa ciclistica da Israele, scelta che « ha di fatto contribuito a sostenere la posizione di quel paese avallata dagli Stati Uniti, che rivendica Gerusalemme unificata come propria capitale in contrasto con il diritto internazionale». Si citano poi le risoluzioni Onu che condannano l'uso della forza e chiedono una commissione di verifica indipendente su quanto si sta verificando nella Striscia di Gaza
   Il documento chiede, infine, ai governi europei ed alle Ong di promuovere la realizzazione di un canale umanitario con lo scopo di fornire farmaci e materiale medico agli ospedali locali per supportarli nella cura degli abitanti della Striscia di Gaza.

(La Stampa - Torino, 10 luglio 2018)


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Torino antisionista: il consiglio comunale vota un ordine del giorno contro Israele

Il Consiglio comunale di Torino ha approvato, con 27 voti favorevoli e 1 contrario, un ordine del giorno "riguardante la difficile situazione dei cittadini palestinesi nei territori occupati, con particolare attenzione alla Striscia di Gaza", chiaramente di critica alle "politiche di occupazione israeliane". Nel documento il consiglio comunale fa appello alla comunità internazionale per "fare assumere ad Israele, quale Paese occupante, la responsabilità per il trattamento della popolazione civile" e al governo italiano e all'Ue "di sospendere la fornitura di armi e attrezzature militari ad Israele, come già più volte richiesto dall'organizzazione umanitaria Amnesty International".
  Il documento, presentato da Eleonora Artesio (Sinistra in Comune) e Daniela Albano (M5s), è passato con i voti a favore della maggioranza pentastellata, della stessa Artesio, di Francesco Tresso (Lista Civica per Torino) e di due esponenti Pd, l'ex vicesindaco Elide Tise e Monica Canalis. Unico contrario il leghista Fabrizio Ricca, che in un articolato intervento smonta pezzo per pezzo quanto riportato nell'ordine del giorno. Una posizione ambigua, quella del gruppo dem: quasi tutti i consiglieri al momento del voto sono fuori dall'aula, compresi il capogruppo Stefano Lo Russo e Piero Fassino; restano in Sala Rossa solo Tisi e Canalis che si esprimono favorevolmente "a causa di un malinteso e di un difetto di comunicazione" afferma successivamente Lo Russo, secondo il quale "nel testo approvato vengono espresse considerazioni su Israele che non possono essere condivise e che non rappresentano la nostra posizione politica".

 Il testo dell'ordine del giorno contro Israele
  "Il provvedimento - recita una nota nel comune di Torino -nel ricordare che dal 30 marzo scorso sono già oltre cento i civili palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane durante le manifestazioni provocate dall'apertura della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme, chiede che la comunità internazionale si adoperi, in base al diritto internazionale umanitario, per fare assumere ad Israele, quale Paese occupante, la responsabilità per il trattamento della popolazione civile.
  L'ordine del giorno propone, anche, al Governo italiano e all'Unione Europea di sospendere la fornitura di armi e attrezzature militari ad Israele, come già più volte richiesto dall'organizzazione umanitaria Amnesty International.
  Il documento chiede, infine, ai governi europei ed alle ONG di promuovere la realizzazione di un canale umanitario con lo scopo di fornire farmaci e materiale medico agli ospedali locali per supportarli nella cura degli abitanti della Striscia di Gaza.

(Bet Magazine Mosaico, 10 luglio 2018)


religione…

Riportiamo da moked, il portale dell’ebraismo italiano, questo interessante articolo che sembrerebbe discostarsi da quell’«ebraismo moderno» che si esprime in prevalenza sulle pagine del “portale dell’ebraismo italiano”. NsI

di Paolo Sciunnach

"Questa è la Chukkah (Statuto non comprensibile razionalmente) della Torah (Chukkath HaTorah) che D-o ha comandato" (Bemidbar 19, 2) ["Questo è lo statuto della legge che l'Eterno ha comandato" (Numeri 19:2)].
   Or HaChaym (1696 - 1743) si chiede come mai il verso non si esprima diversamente, avrebbe dovuto dire: "questa è la Chukkah della Parah", oppure "questa è la Chukkah della purificazione". Or HaChaym da una risposta inequivocabile: è scritto "Questa è la Chukkah di tutta la Torah", cioè: Tutte le Mitzvoth della Torah devono essere applicate come Chok per volontà Divina, senza basarsi su un significato razionale.
   L'ebreo medio della nostra generazione non si sente di accettare il metodo dell'obbedienza come via per avvicinarsi al mistero della Volontà Divina. La sua situazione culturale non tende ad un atteggiamento di fede, di abbandono spirituale. Né egli è disposto a sacrificare la propria presunta "libertà intellettuale" sull'altare della fedeltà allo spirito interpretativo dei Maestri della Halachà. Egli sarà pronto a rispondere soltanto se gli si dimostra che ciò che si pretende da lui ha un significato comprensibile razionalmente. La difficoltà maggiore che egli incontra dipende dall'incapacità di comprendere l'origine Divina della Torah e di intuire la presenza del significato Divino nell'adempimento della Halachà.
   L'ebraismo moderno ha cercato di trovare spiegazioni razionali del significato dell'osservanza della Torah: l'osservanza contribuisce al bene della società e alla sopravvivenza del popolo; l'osservanza accresce la nostra sensibilità morale e spirituale; l'osservanza aiuta a realizzare il bene.
   È vero, la Halachà abbraccia l'esistenza nel suo complesso: si preoccupa del bene della società e dell'individuo, come pure della sopravvivenza del popolo ebraico, della salvezza etico-spirituale di tutti gli uomini, ma tutte queste ragioni non possono essere ritenute sufficienti a giustificare l'osservanza di tutte quelle Mitzvoth rituali che non rientrano in una di queste spiegazioni. Vi è una sola ragione che sta alla base del significato profondo dell'osservanza della Halachà così come interpretata dai Saggi nella Torah Orale: l'osservanza è la volontà di D-o e non occorre nessun'altra giustificazione. La società etica dipende dalla fedeltà a D-o; la sopravvivenza del popolo ebraico sta nel fatto che esso partecipa ad un Patto con D-o; la salvezza etico-spirituale di tutti gli uomini dipende dalla loro sollecitudine nel servire la Sua Volontà.
   La religione non consiste nell'appagamento di una necessità personale. Fino a che l'uomo considera la religione una fonte di soddisfazione per i suoi propri bisogni sulla base della propria comprensione razionale, non sarà per D-o che egli opera, ma per se stesso.

(moked, 10 luglio 2018)


Ad un rabbino una volta fu chiesto: “Come può un uomo moderno arrivare a capire il significato dello Shabbat”? Risposta: “Mettendolo in pratica”. Ho sentito questa risposta molti anni fa, ed è stato forse uno dei primi contributi che ho ricevuto dal mondo ebraico. Tranquilli, non osservo il sabato in nessuna forma, né sento l’obbligo di farlo. Ma è un fatto che nel processo di trasmissione della Parola da Dio all’uomo, spesso l’ubbidienza precede la piena comprensione. Ma dev’essere davvero Parola di Dio, non parola di uomini considerati portavoci di Dio. M.C.


Gli "eroi" di Abu Mazen

La TV dell'Autorità Palestinese celebra i terroristi che parteciparono all'atroce linciaggio dei riservisti israeliani trucidati a Ramallah nel 2000-

RAMALLAH - Nell'ottobre 2000 due riservisti israeliani, Vadim Nurzhitz e Yossi Avrahami, entrarono per sbaglio a Ramallah, città sotto il controllo dell'Autorità Palestinese, e vennero selvaggiamente linciati da una folla palestinese che li trucidò e ne mutilò orrendamente i corpi. Il mondo restò scioccato di fronte alle immagini di quel crimine, e in particolare alla foto di uno degli assassini che si affacciava alla finestra della locale stazione della polizia palestinese, da cui erano stati appena scaraventati due israeliani, esibendo trionfante alla folla di fanatici le sue mani macchiate del sangue delle vittime. Quel palestinese, Aziz Salha, venne successivamente arrestato e condannato da un tribunale israeliano, ma nel 2011 è stato scarcerato nell'ambito del ricatto di Hamas per la liberazione dell'ostaggio Gklad Shalit....

(israele.net, 10 luglio 2018)


Il Sud visto da Israele

Il risveglio del Meridione, e in particolare i progetti relativi alla valorizzazione della storia ebraica di Palermo, dove sorgerà in futuro una sinagoga a molti secoli dalla cacciata degli ebrei dall'isola, continuano a suscitare un forte interesse. L'ha tastato con mano l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Oren David, in visita nel capoluogo assieme tra gli altri al vicepresidente UCEI Giulio Disegni e alla delegata della Comunità ebraica di Napoli per la sezione palermitana Evelyne Aouate.

- Ambasciatore, che impressioni ha ricavato da questa missione?
  È stato un viaggio molto interessante. La comunità ebraica a Palermo ha una storia molto antica, era una comunità prospera e mi sembra ci sia nostalgia di questo passato. Adesso la comunità è molto piccola, ma ha tanti amici e desidera rivitalizzare la sua presenza, rafforzare il suo legame con Israele e portare l'attenzione sul passato ebraico in Sicilia. Il turismo israeliano in Sicilia è in crescita negli ultimi anni e questo anche grazie ai voli diretti che collegano l'isola ad Israele. Il gesto di monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, di concedere alla comunità ebraica l'uso dell'oratorio di S. Maria del Sabato che sorge nell'area un tempo occupata dagli antichi borghi ebraici della ''Guzzetta'' e della ''Meschita'' è molto bello ed ha un grande valore simbolico di amicizia tra le due comunità.
Palermo ha un passato multietnico e di convivenza. In quanto capitale della cultura nel 2018, la città di Palermo ha scelto come logo la sua lettera iniziale ''P'', scritta anche in lingua Ebraica ף e poi in greco, arabo e fenicio.

- Su quali temi si è confrontato con monsignor Lorefice?
  L'incontro con l'arcivescovo è stato molto cordiale e piacevole. Ho appreso che è stato in Israele e abbiamo espresso la speranza che possa presto ritornarci. Abbiamo condiviso idee e speranze per un continuo accrescimento dei rapporti tra Israele e il Vaticano e tra le due religioni. Il suo gesto di amicizia verso la comunità ebraica di Palermo permetterà la nascita di nuove iniziative della comunità sul territorio, favorendo così il suo accrescimento e rinnovamento. L'arcivescovo ha inoltre parlato del suo desiderio di promuovere il dialogo con le diverse religioni in Sicilia e infatti al cerimoniale della sua ordinazione episcopale ha invitato i rappresentanti religiosi presenti sul territorio
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- Nel corso della sua visita anche incontrato degli studenti. Di cosa avete parlato?
  Ho incontrato degli studenti dell'istituto gesuita Gonzaga con cui ho parlato a lungo della Shoah e della sua unicità Si è parlato di come, forse, le cose sarebbero state diverse se gli ebrei avessero avuto un paese dove rifugiarsi, ma Israele è nato solo 70 anni fa e il passato non si può cambiare, solo conoscere. Ho trovato questi ragazzi molto interessati e mi ha piacevolmente stupito la loro preparazione sull'argomento. Mi hanno rivolto diverse domande non banali. Volevano sapere che cosa possiamo imparare dalla Shoah, ma hanno trattato anche argomenti sensibili e attuali come il negazionismo e le nuove leggi polacche. a.s.

(Pagine Ebraiche, luglio 2018)


«Troppi attacchi incendiari con gli aquiloni», Israele chiude il valico commerciale di Gaza

«In accordo con il ministero della Difesa, agiremo con mano pesante contro il regime di Hamas nella Striscia»: così il premier israeliano Benyamin Netanyahu Israele che ha deciso di chiudere il valico commerciale con Gaza "Kerem Shalom" a causa «del lancio degli aquiloni incendiari e altri tentativi terroristici». L'esercito ha poi fatto sapere che la chiusura del valico è a partire da oggi.
Il valico di "Kerem Shalom" - unico transito commerciale da e per la Striscia - resterà aperto «solo per prodotti umanitari, inclusi cibo e farmaci, che saranno approvati su base individuale» dal Cogat, l'organo di controllo israeliano dei Territori palestinesi. «Nessuna esportazione o commercio di beni sarà portato fuori dalla Striscia». Come altra misura contro il lancio degli oggetti incendiari, l'esercito ha anche annunciato che «finisce da oggi l'espansione della zona di pesca da sei a nove miglia marine che è stata in vigore per tre mesi durante l'estate». «Israele - ha continuato - aspira e agisce per migliorare la realtà economica della Striscia in molti modi. Tuttavia alla luce della situazione in cui l'organizzazione terroristica di Hamas sfrutta i residenti di Gaza e lancia palloni, aquiloni incendiari e ordigni esplosivi verso le comunità adiacenti alla Striscia, Israele ha assunto queste misure». E lo ha fatto - ha proseguito - perché l'attuale situazione «non consente ai residenti del sud di Israele di mantenere la loro routine. Dovesse continuare questa situazione, le misure resteranno e si intensificheranno». «L'organizzazione terroristica di Hamas - ha concluso - è responsabile per le attività nella Striscia e per le conseguenze, e sta trascinando i residenti in un abisso».

(Il Messaggero, 9 luglio 2018)


Siria: Homs, militari iraniani uccisi in un attacco alla base aerea T-4

ROMA - L'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra, ha dichiarato che un bombardamento missilistico ha ucciso un numero imprecisato di "combattenti iraniani e filo-regime siriano" presso la base T-4 vicino alla provincia centrale di Homs, in Siria, il 9 aprile. Rami Abdel Rahman, responsabile dell'Osservatorio, ha dichiarato che i raid "potrebbero essere israeliani". I media di stato siriani hanno anche accusato Israele di prendere di mira la base aerea, sostenendo che le sue difese hanno colpito un jet coinvolto nell'attacco. "Le nostre difese aeree hanno risposto a un'aggressione israeliana e intercettato un certo numero di missili che erano diretti sull'aeroporto, colpendo uno degli aerei aggressori e costringendo il resto a lasciare lo spazio aereo", ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale "Sana" citando una fonte militare.
   Oltre all'armata siriana, secondo l'Osservatorio, anche i soldati iraniani e le truppe libanesi di Hezbollah sono di stanza nella base aerea. Dall'inizio della guerra civile in Siria nel 2011, Israele ha ripetutamente preso di mira le posizioni dell'esercito siriano e del movimento sciita libanese Hezbollah.
   Di solito Israele non rivendica i propri raid, ma da tempo ha affermato che non permetterà all'Iran di stabilire una presenza militare in Siria. La base T-4 è stata colpita lo scorso 9 aprile da un attacco missilistico che ha ucciso almeno 14 persone tra militari e miliziani, tra cui sette iraniani. La base aerea era stata colpita anche il 10 febbraio, dopo che Israele aveva accusato le forze iraniane di stanza nella base T-4 di aver inviato un drone in territorio israeliano. Dopo aver bombardato le unità iraniane in Siria per rappresaglia, un F-16 israeliano è stato abbattuto dal fuoco antiaereo siriano. A partire dal mese di maggio è iniziata un'escalation di tensione senza precedenti tra Israele e Iran in Siria, con l'esercito israeliano che ha affermato di aver colpito più volte obiettivi militari iraniani in risposta al lancio di razzi sulle alture del Golan.

(Agenzia Nova, 9 luglio 2018)


Gli accademici italiani alla corte di Hezbollah

La recente visita da parte di una delegazione italiana di accademici alla corte di Hezbollah in Libano, che è da più parti considerata un'organizzazione terroristica. Che cosa ne pensano i nostri ministeri dell'Istruzione e degli Esteri?

È con viva preoccupazione che abbiamo appreso della recente visita da parte di una delegazione italiana di accademici alla corte di Hezbollah in Libano. La notizia è stata divulgata nel corso di un telegiornale trasmesso da Al Manar, l'emittente di Hezbollah, e il commento del conduttore durante il servizio video fornisce sufficienti informazioni sui contenuti dell'incontro svoltosi a Beirut tra lo Sheikh Ali Rizq, Capo del Dipartimento di Relazioni internazionali di Hezbollah, e gli accademici nostrani provenienti nondimeno che dall'Università La Sapienza di Roma.
  Oltre a sviscerare tematiche inerenti all'attuale situazione libanese e mediorientale, "la delegazione italiana ha presentato alcune proposte e piani di cooperazione accademica e scientifica". Inoltre, "[gli accademici] hanno invitato lo Sheikh Rizq a visitare l'Italia e ad aprire canali di cooperazione tra le due parti". La docente che guidava la delegazione - con l'immancabile capo velato -, si è detta "felice di questo incontro con Hezbollah. Quando ritorneremo in Italia, diremo all'Occidente la verità su Hezbollah, di cui molti non sono consapevoli". Nell'attesa, "abbiamo parlato di stabilire, il più presto possibile, relazioni eccezionali con le università libanesi, in particolare con l'Al Maaref University", naturalmente legata a Hezbollah. "Abbiamo raggiunto accordi verbali durante questa visita, e sigleremo accordi scritti il più presto possibile", ha concluso fieramente.
  Le motivazioni che hanno indotto degli accademici italiani, come in altre circostanze giornalisti e politici, a porsi come fiancheggiatori di Hezbollah sono di natura ideologica e risiedono nel velo "antimperialista" che continua a ingannare la vista sulle cose del Medio Oriente, e non solo a sinistra. La visita in questione, tuttavia, non può essere derubricata semplicemente come uno dei tanti casi di spiccata propensione verso la cosiddetta e presunta resistenza, termine che chiama direttamente in causa il regime khomeinista iraniano, di cui l'Hezbollah libanese è la principale propaggine regionale.
  La visita presenta bensì elementi che non possono non interessare le autorità nazionali competenti: Hezbollah, in estrema sintesi, è da più parti considerata un'organizzazione terroristica; ha svolto e svolge tuttora un ruolo contraddittorio in Siria - dove ha sì combattuto efficacemente l'ISIS, ma è stato anche catalizzatore del conflitto; è accusato di supportare militarmente i miliziani Houthi, che a ben vedere sono la causa principale della regionalizzazione della crisi nello Yemen e degli scontri attualmente in corso; tiene in ostaggio il processo politico libanese da almeno un quindicennio.
  Su questo sfondo, "gli accordi verbali" raggiunti durante la visita e l'intenzione di ratificarli in forma scritta "il più presto possibile", non possono non essere oggetto di indagine e approfondimento, a cominciare dal Ministero dell'Istruzione. Perché cooperare con l'università di Hezbollah? Non si tratta di ordinaria cooperazione accademica tra istituti di due paesi diversi e ad essere implicata è la più grande università pubblica italiana. Inoltre, a che titolo degli accademici invitano in Italia il Capo del Dipartimento di Relazioni internazionali di Hezbollah, offrendosi di aprire canali di cooperazione tra le due parti? Che ne pensano al Ministero degli Affari Esteri?
  La comunità sciita libanese è composta anche da figure laiche e religiose moderate, non legate a Hezbollah e di comprovate qualità accademico-scientifiche: è ora di stabilire "relazioni eccezionali" con loro.

(La Nuova Bussola Quotidiana, 9 luglio 2018)


Per la strada, allo stadio, sui social. I nuovi volti dell'antisemitismo

TORINO - «Se ne parla poco, ma oltre all'antisemitismo di destra, che periodicamente torna in auge, ci sono un antisemitismo di sinistra e uno islamico». Ha molte facce e correnti, anche opposte, l'odio verso gli ebrei. Che continua a manifestarsi. Dagli striscioni con Anna Frank allo stadio, ai siti negazionisti o i profili social secondo cui Hitler avrebbe dovuto finire l'opera. Fino alle aggressioni anche mortali: da Parigi molti, non sentendosi sicuri, sono fuggiti. Per parlare dei volti dell'antisemitismo, a 80 anni dalle leggi razziali e dalla «notte dei cristalli», Emanuel Segre Amar, già vicepresidente della Comunità ebraica di Torino e fondatore del Gruppo Sionistico Piemontese, ha organizzato l'incontro «Vecchio e nuovo antisemitismo», oggi alle 19 al Circolo dei Lettori (via Bogino 9). David Meghnagi, professore di Psicologia clinica e della religione all'Università di Roma Tre, tra i relatori, aveva già partecipato all'incontro voluto all'Università di Torino, dove le conferenze su Israele organizzate da collettivi di studenti sono diventate un caso. «Israele era sempre "lo Stato dell'apartheid" - dice Segre - senza contradditorio. Anche questo è antisemitismo». Non si può essere in disaccordo con le politiche di Israele senza essere antisemiti? Segre: «Il governo israeliano, come ogni governo, deve poter essere criticato. Il problema è che quando le informazioni sono a senso unico e si alimentano fake news». Si parlerà anche dell'efficacia della normativa e della giurisprudenza contro l'antisemitismo.
All'incontro, al Circolo dei Lettori per coinvolgere non solo la comunità ebraica ma la cittadinanza, parteciperanno anche Roberto Mazzola, docente di diritto ecclesiastico e interculturale all'Università del Piemonte Orientale, Vittorio Bendaud Robiati, del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia e Alberto Somekh, rabbino della Comunità di Torino. Sarà trasmesso in streaming sul profilo Facebook di Emanuel Segre Amar. F. Ass.

(La Stampa - Torino, 9 luglio 2018)


Israele, riservisti restituiscono medaglie per protesta

Venti soldati riservisti che hanno combattuto nella guerra di Gaza del 2014 hanno manifestato di fronte alla residenza del premier israeliano Benjamin Netanyahu restituendo le medaglie ricevute durante il conflitto insieme a quelle di altri 380 altri militari. La manifestazione sarebbe stata indetta per protestare contro il "fallimento" del governo nell'ottenere i resti di due loro commilitoni uccisi in quella guerra e trattenuti da Hamas.

(TGCOM24, 9 luglio 2018)


Handball - Coppa Interamnia: Vince Israele, Italia al secondo posto

 
L'Italia U20 chiude al 2o posto il Grand Prix FIGH (Federazione Italiana Giuoco Handball) disputato al Palasannicolò di Teramo, nell'ambito della 46^ edizione dell'Interamnia World Cup. A trionfare è Israele, l'unica delle tre partecipanti al torneo qualificata agli Europei U20, che nella sfida decisiva di stasera (domenica ndr) batte gli azzurrini col risultato di 31-24 (p.t. 14-15). Azzurrini bene nei primi 30', ma a decidere le sorti del confronto e del torneo è una ripresa in crescendo di Israele, più concentrato in difesa e abile a sfruttare il calo di prestazione della compagine italiana.
  L'Italia inizia nel modo giusto ed è subito avanti sul 2-0. Al 9' primo tentativo di fuga sul 5-2 e massimo vantaggio al 21' sull'11-6. Chiave del vantaggio, le buone parate di Colleluori - aiutato da Leban dai 7 metri - e la precisione al tiro di Angiolini e Dainese in un paio di occasioni cruciali. Ma Israele non sta a guardare e replica. Al 25' time-out chiamato dalla panchina italiana sul +2. E con un vantaggio ancor più risicato, di una sola rete, si va negli spogliatoi.
  Ripresa. Inizio da incubo. Subito 2-0 israeliano e primo vantaggio della partita per la squadra allenata da Brkovic. Parità, 19-19 al 39'. Poi l'accelerazione: israeliani in vantaggio sul +3. A 15' dalla fine l'Italia trova una reazione che vale il -2 sul 22-20. Manca però la forza per affondare il colpo fino in fondo. Mancano i gol al momento giusto, manca la compattezza difensiva. Israele ne approfitta al massimo. Trascorrono 6' di digiuno italiano, che portano, al 56', al 29-22 in favore degli avversari. Non ci sono più margini per la rimonta. Israele vince 31-24.
La classifica finale del Grand Prix FIGH:
1o - Israele (5 pti)
2o - Italia (4)
3o - Grecia (2)
4o - Finlandia (0)

(certastampa.it, 9 luglio 2018)


Beverly e le 12 tribù d'Israele. Un'artista (pacifista) per Nir l'uomo che sfiderà Netanyahu

A casa della pittrice e del marito, il sindaco «duro» di Gerusalemme

di Davide Frattini

 
 
 
 
Beverly Barkat
GERUSALEMME - Le conchiglie raccolte sugli scogli che da secoli sostengono la fortezza di Acri danno un bianco rosato. Le rocce dei canyon giù nel deserto sono rossastre e dure da macinare. Quasi quanto la pietra di Gerusalemme che non si lascia frantumare come i contrasti della città più complessa al mondo. In questo studio i dissidi vengono però lasciati fuori, entra solo tanta luce e a tratti il rumore del traffico.
   Beverly Barkat porta il cognome del marito, che da un decennio guida la metropoli considerata dagli israeliani - e ormai da Donald Trump - la loro capitale. Lascia a lui il ruolo «di dare risposte, è quel che tocca ai politici»: «Io sono un'artista, il mio tentativo è creare domande, aprire un dialogo». Per la sua seconda mostra personale in Italia, inaugurazione il 9 ottobre, ha scelto di ispirarsi alle antiche dodici tribù di Israele, di portare nelle sale del museo Boncompagni Ludovisi a Roma i colori delle terre dove hanno abitato, le sfumature delle pietre preziose che - racconta la Bibbia - i loro sacerdoti indossavano sul pettorale durante la preghiera.
   Ha ristudiato l'ebraismo che aveva imparato da ragazzina, dopo essere immigrata con i genitori dal Sudafrica a dieci anni - oggi ne ha 52; ha girato il Paese per raccogliere argilla, ciottoli, sabbia da pestare nel mortaio con le gemme di topazio od onice e crearsi così una sua tavolozza di tonalità da associare ai dodici figli di Giacobbe e ai loro discendenti. Questi pellegrinaggi non l'hanno portata in Cisgiordania («non sono stata neppure in Siria o Giordania, dove pure le tribù erano arrivate»), quella che il marito Nir chiama con il nome biblico di Giudea e Samaria e che proclama di non voler mai restituire ai palestinesi: «La soluzione dei due Stati è finita», ha detto pochi giorni fa alla britannica Bbc. In marzo ha annunciato la decisione di non ricandidarsi per il terzo mandato da sindaco di Gerusalemme, punta alla politica nazionale, a conquistare un seggio con il Likud e da lì - pronosticano gli analisti - spera di togliere il comando della destra e del governo al primo ministro Benjamin Netanyahu.
   L'installazione «After the Tribes» è alta quattro metri - dodici cerchi in Pvc, dipinti su un lato, i colori e i segni visibili anche dall'altro - e vuole risultare lontanissima da qualsiasi slogan da manifesto elettorale. «All'inizio ho pensato alla varietà di paesaggi che abbiamo in Israele, da lì sono arrivata alle regioni dove vivevano le tribù e più in profondità a chi sono io: come persona, come ebrea che ha scelto di vivere qui e di crescere qui le mie tre figlie, il mio legame con questa terra e il suo passato. La mia identità ebraica non è nazionalistica, non vuole schiacciare chi è in disaccordo. Allo stesso tempo per accettare veramente gli altri dobbiamo sentirci forti nella nostra identità».
   Come l'anno scorso per Palazzo Grimani a Venezia - dove adesso alcune sue opere fanno parte della collezione permanente dopo la mostra durante la Biennale - il tondo delle «tele» in materiale trasparente rimanda all'architettura, la forma delle finestre, nella residenza Boncompagni Ludovisi. Ritorna la parola dialogo: «Cerco sempre il dialogo con i luoghi o con le persone. Questa opera è così importante per me perché in quel "Alter" c'è il senso del seguire i passi delle tribù e il dopo, l'Israele di oggi. Dove tutti devono poter sentirsi ugualmente importanti: i palestinesi, certo, gli ebrei (ultraortodossi o laici che siano), i cristiani, i musulmani. Io ho il diritto di vivere qui quanto loro hanno il diritto di vivere qui e dobbiamo trovare insieme il modo. Soluzioni da offrire non ne ho, purtroppo».

(Corriere della Sera, 9 luglio 2018)


Thailandia, soccorsi al via con il supporto di Israele

Gli occhi del mondo puntati sulla Thailandia, dove sono in svolgimento le operazioni di salvataggio dei 13 ragazzi intrappolati da diversi giorni all'interno di una grotta.
Un'operazione messa a punto nei dettagli, grazie al coraggio di tanti soccorritori accorsi sul posto e a dotazioni tecnologiche in grado di affrontare le tante sfide e complessità che questo salvataggio richiede.
Tra gli strumenti che sono utilizzati anche alcuni strumenti di comunicazione d'emergenza donati dalla compagnia israeliana Maxtech NetWorks.
Il CEO della compagnia, Uzi Hanuni, ha dichiarato alla stampa israeliana che sono state le autorità thailandesi a richiedere un supporto. "Si sono rivolti al nostro rappresentante nel paese, manifestando un interesse specifico per questa tecnologia. Abbiamo dato loro i nostri dispositivi, per utilizzarli nella grotta. L'abbiamo fatto volontariamente. È il nostro contributo - ha sottolineato - un contributo israeliano".
A offrire un supporto, anche nel solco delle tante iniziative intraprese nel passato in scenari di crisi, è stato direttamente anche il governo di Israele. Sul posto si è infatti recato l'ambasciatore dello Stato ebraico in Thailandia, Meir Shlomo, su incarico del Primo ministro Netanyahu.

(moked, 8 luglio 2018)



Umanesimo

Poi l'Uomo disse: "Facciamo dio a nostra immagine e somiglianza, ed abbia il dominio su ogni sorta di città, popoli e nazioni". E l'Uomo creo dio a sua immagine; lo creò a immagine dell'Uomo; lo creò di destra e di sinistra. E lo chiamò democrazia.

 


Perché Francesco se la prende con Israele

Il Papa critica aspramente le decisioni del governo dello Stato ebraico. È il segnale di uno scontro di potere in atto in Vaticano sulla politica mediorientale.

di Alessandro Meluzzi

Papa Bergoglio ha riservato parole molto severe verso la politica di Israele. In verità, lo Stato ebraico non è citato esplicitamente ma si parla di atteggiamenti e di occupazioni territoriali di popoli, che riteniamo essere palestinesi, che per il papa sembrerebbero sommamente ingiuste. Trattasi probabilmente di una tra le dichiarazioni più severe dai tempi di Monsignor Capucci e Paolo VI, dopo un lungo periodo in cui la politica dello Stato d'Israele e quella dello Stato Vaticano sono sempre apparse fortemente allineate.
Che cosa sta accadendo? È in corso una nuova divaricazione con un taglio terzomondista sinistrese della linea neo-conciliare e progressista in stile bergogliano in riferimento alla teologia della liberazione? Oppure è qualcosa di più? Propenderei per la seconda ipotesi senza troppe dietrologie politiche. Certamente la partecipazione del Cardinale, segretario di Stato, Parolin al vertice di Bilderberg a Torino e anche un sostanziale allineamento della politica vaticana ad una strategia mondialista-globalista-migrazionista sembrerebbero presagire ad una rappresentazione geopolitica del mondo voluta da Soros, che effettivamente è il volto visibile di un mondo finanziario non lontano dall'ebraismo come quello di Rothshild e fino ad ora vicino alla tradizione sionista di Netanyahu.
   Ed è proprio qui che si apre una prima divaricazione all'interno del mondo politico dell'ebraismo che ha fatto considerare un ebreo rothschildiano come Soros un avversario conclamato dello Stato d'Israele. Effettivamente, gli interessi della lobby globalista-mondialista si sono intravisti anche negli anni recenti della storia israeliana. La vignetta, disegnata dal figlio di Netanyahu nei confronti della sopracitata lobby, fa pensare che tra Israeliani, che considerano Israele una terra con confini definiti e interessi geopolitici chiari, e una rappresentazione, invece, culturale-globalista in stile Bilderberg si sia aperta per la prima volta una faglia, in cui si inserisce certamente l'elezione di Trump negli Stati Uniti, determinata anche dalla presenza di Kushner, marito della figlia del Presidente, e i suoi amici ebrei super-ortodossi che tanta importanza hanno avuto nell'ascesa del magnate americano in chiave ovviamente opposta alle lobby sorosiane che appoggiavano Obama e il mondo Dem.
   In questa interessantissima divaricazione che apre spazi di libertà tra questi poteri fortissimi si inserisce probabilmente anche la frase di papa Bergoglio. È chiaro che si tratta di un'illazione ma ci dice qualcosa di più su uno scontro che sta avvenendo tra i poteri planetari. Insomma, tra una certa rappresentazione di quella dimensione psico-spirituale del mondo che vorrebbe un ecumene globalizzato, aperto ad una migrazione totale e indistinta, ed una visione più da realpolitik, come quella di Netanyahu pronto a trattare con la Turchia, l'Arabia Saudita e persino con la Russia di Putin per la propria sicurezza, anche in riferimento alla questione siriana, si inseriscono le dichiarazioni di Bergoglio che, forse, non ama l'idea di una stabilizzazione di questa natura, che premia soggetti a lui non vicini come Trump. La politica vaticana si allinea ancora una volta con il mondo dem, cui si deve probabilmente la deposizione di papa Benedetto e l'insorgere del potere del papa gesuita argentino.
   Anche lo straordinario mondo ebraico, che tanto ruolo ha avuto soprattutto negli ultimi cinque secoli di storia dell'Occidente, si avvia ad un'importante distinzione che può cambiare i destini del mondo: tra qualcuno che vede il mondo israelitico come un popolo una terra una nazione e un destino tra popoli e nazioni e qualcun altro - banchieri e finanzieri in testa - che si ostina a pensarlo come una sorta di loggia super-lobby illuminata al di sopra e al di sotto di ogni trama invisibile della storia. Superfluo indicare a quale delle due rappresentazioni il Vaticano bergogliano sia più vicino, soprattutto dopo l'inchino a Bilderberg.

(Il Tempo, 8 luglio 2018)


Molto interessante!


Ottant'anni dopo le leggi razziali e dopo la "Notte dei Cristalli"

Lunedì 9 luglio, ore 18 - Via Bogino, 9 Torino
a cura di Gruppo Sionistico Piemontese e Circolo dei lettori
Tavola rotonda con

Roberto Mazzola, Diritto ecclesiastico e Diritto interculturale - Università del Piemonte Orientale,
David Meghnagi, Psicologia clinica e Psicologia della religione - Università Roma Tre,
Vittorio Bendaud Robiati, coordinatore Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia
Alberto Somekh, Rabbino Comunità Ebraica di Torino.

Ottanta anni dopo le leggi razziali e dopo la "Notte dei Cristalli", in un mondo pur mutato, il dialogo, la maggiore "scoperta umanistica", è sostituito dalla sopraffazione? Vi sono gli oppositori del dialogo e i manipolatori del dialogo. Esiste oggi un'emergenza antisemitismo in Europa, in Italia e a Torino? Antisemitismo non solo di destra, antisemitismo attraverso i social, antisemitismo del quale si preferisce non parlare, antisemitismo di importazione e le radici dell'antisemitismo islamico.
L'attenzione delle istituzioni nazionali ed europee negli ultimi decenni sul problema dell'antisemistimo e del negazionismo è aumentata. La normativa e la giurisprudenza è efficace? Da quale modello e da quale concenzione di antisemitismo muovono le istituzioni nel loro agire?

(Gruppo Sionistico Piemontese e Circolo dei lettori, 8 luglio 2018)


Giampiero Mughini: "Parto per Israele per capire cos'è l'essere ebreo"

Giampiero Mughini non è persona nota per la sua religiosità. Eppure, ha preso carta e penna (tastiera e mouse) e scritto una commovente letta a Roberto Dagostino, nel giorno del suo 70esimo compleanno, nè ai funerali (aggiunge poi) di Carlo Vanzina. "Domani mattina salgo su un aereo in direzione di Israele. Un viaggio che avrei dovuto fare già parecchi anni fa, un viaggio in cui cercherò disperatamente di capire che cos'è l'essere ebreo. Se innanzitutto lo sono loro o se siamo noi a guardarli in quanto "ebrei". Per me che non distinguo e non separo niente dal niente, e a parte la distinzione fondamentale tra le persone intelligenti e i cretini, è difficilissimo afferrare "l'identità" ebraica. Eppure contro questa identità nei secoli e nei millenni sono stati compiuti dei massacri, a decine o centinaia di migliaia alla volta. Non solo Adolf Hitler, tutt'altro. Ho passato questi ultimi giorni a leggere fatti e date e numero di vittime. E con tutto ciò Israele è l'ottavo Paese al mondo in fatto di laicità. Interessante, no?"

(Libero, 8 luglio 2018)



Sovrana eccellenza della carità

Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non sono nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
La carità non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse verranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito.
Quand'ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo; ma quando son diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia: ora conosco in parte; ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto.
Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità.

Dalla seconda lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi, cap. 13

 


Onu: quasi completo il rientro degli sfollati dal confine con la Giordania

AMMAN - Il rientro degli sfollati siriani dal confine tra il governatorato di Deraa in Siria sud-occidentale e la Giordani è "quasi completo". Lo ha reso noto Anders Pedersen, rappresentante delle Nazioni Unite e coordinatore degli aiuti umanitari dell'Onu in Giordania. In un comunicato, Pedersen afferma che quasi tutti gli sfollati siriani insediatisi alla frontiera siro-giordana sono rientrati nelle località di provenienza nel governatorato di Deraa. Dal 16 giugno scorso, la regione è teatro di un'offensiva dell'esercito siriano, sostenuto da gruppi paramilitari e reparti iraniani con la copertura dell'aeronautica russa. L'obiettivo dei lealisti è riprendere il controllo del governatorato di Deraa e dei confini sud-occidentali della Siria con Giordania e Israele. Il 6 luglio scorso, i reparti siriani hanno ripreso il valico di Nasib alla frontiera siro-giordana, presso il quale, secondo gli ultimi dati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), erano accampati circa 60 mila dei più di 320 mila sfollati di Deraa.

(Agenzia Nova, 8 luglio 2018)


Siria, i ribelli si consegnano ai russi mentre Israele colpisce in Golan

Nel Sud della Siria sta avvenendo qualcosa di molto importante. Le truppe di Bashar Al Assad stanno ormai completando la conquista delle ultime sacche ribelli e si preparano all'assedio finale su Daraa. Ma nel frattempo, i ribelli si stanno accordando con i russi per consegnarsi prima che la battaglia finale abbia inizio.

 I ribelli depongono le armi
  Secondo le agenzie di stampa, i ribelli del Sud hanno deciso di deporre le armi. L'accordo è arrivato oggi ed è un accordo a due fra i ribelli e la Russia. Non vogliono consegnarsi direttamente all'esercito siriano, ma hanno accettato di farlo con i mediatori di Mosca.
Hussein Abu Shaimaa, uno dei portavoce dei ribelli, ha spiegato all'agenzia di stampa turca Anadolu cosa prevede l'accordo. Non c'è solo la consegna delle armi, ma anche un patto secondo cui sarà la polizia militare russa a controllare l'area al confine con la Giordania e non direttamente l'esercito di Damasco. Esercito che potrebbe anche decidere di ritirarsi da alcune località ritornate sotto il suo controllo dopo che i ribelli hanno promesso di interrompere i combattimenti.
Come riporta Reuters, le fonti ribelli hanno detto che l'accordo consentirebbe ai civili di tornare nei loro villaggi sotto la protezione delle forze di Mosca, e che i russi avrebbero anche garantito un patto tra governo e forze ribelli per una sorta di amnistia in cui i miliziani assicurano di accettare di vivere sotto il governo di Assad in cambio della salvezza ma anche della risoluzione del loro "status", che per la giustizia siriana è naturalmente quello dei criminali.

 L'esercito conquista Nassib, ma l'accordo è come con la Ghouta
  Secondo alcune fonti, sarebbe stato avvistato un carro armato con la bandiera russa nei pressi del valico di frontiera di Nassib, sull'autostrada che collega la Giordania alla Siria. Quest'immagine, testimoniata da molte persone lì presenti, dimostrerebbe la presenza russa al confine siro-giordano come garanzia del cessate-il-fuoco e dell'assenza di ulteriore problemi fra esercito e ribelli.
L'esercito siriano avrebbe già preso il controllo delle strade. E di fatto, il confine con la Giordania sarebbe tornato ufficialmente sotto il controllo del governo.
La conferma dell'accordo raggiunto fra ribelli e Russia significherebbe la vittoria da parte dell'esercito siriano. Ma con un unico grande punto interrogativo. Secondo alcuni, coloro che non accetteranno la ripresa del potere da parte del governo di Damasco, potrebbero essere autorizzati a lasciare le città per trasferirsi nelle roccaforti jihadiste del nord-ovest della Siria. In pratica, gli esuli andrebbero a riempire la sacca di Idlib, dove da tempo infuria una sanguinosa battaglia fra forze terroriste e, allo stesso tempo, fra ribelli e aviazione russa. Insomma, il problema si sposta a nord, come avvenuto subito dopo la caduta della Ghouta orientale.

 Assad punta Quneitra e Israele bombarda in Golan
  Mentre nei dintorni di Daraa i russi si accordano con i ribelli, l'esercito di Assad può puntare sulle ultime roccaforti avversarie, in particolare Quneitra. Ma qui il problema è ancora più complesso: poco oltre la zona cuscinetto delle Alture del Golan, c'è Israele.
Secondo le ultime informazioni provenienti direttamente dalle Israel defense forces (Idf), le forze armate israeliane hanno colpito una postazione siriana. Ad annunciarlo sono state le stesse forze armate attraverso l'account Twitter dell'ufficio del portavoce: "Le Idf hanno colpito un avamposto militare siriano da cui era stato lanciato un proiettile e che è caduto nella zona cuscinetto, adiacente ad est della barriera di sicurezza. Il lancio è stato parte dei combattimenti interni in Siria".
Israele teme che dietro l'offensiva dell'esercito siriano ci possa essere l'intenzione di entrare nel Golan, che lo Stato ebraico ha annesso da decenni. Per questo motivo, da giorni ha rafforzato la presenza militare nel nord del Paese ed è pronta a ogni evenienza. Difficile che dia inizio a un'incursione. Se i patti reggono, Israele vuole la certezza che non ci siano forze di Hezbollah e di milizie legate all'Iran nell'offensiva a Sud dell'esercito siriano.
Ma tutto dipenderà dal superamento della linea del Golan da parte delle forze di Damasco. Israele ha imposto una linea rossa insuperabile, che nessuno metta a repentaglio le linee tracciate dagli accordi del 1974. La guerra si deciderà in base ai movimenti delle forze siriane e russe verso Daraa e Quneitra e a come sarà la reazione israeliana.

(Gli occhi della guerra, 7 luglio 2018)


"Difesa e cyber-sicurezza, l'Italia è in ritardo di 10 anni"

L'esperto della Tel Aviv University: «Criminalità, terrorismo ed esercito, è in gioco la sicurezza nazionale»

di Chiara Giannini

 
Garantire la sicurezza nazionale attraverso i nuovi sistemi cibernetici è la frontiera del domani, anche per il contrasto al terrorismo internazionale.
Lior Tabansky, coordinatore di tutte le ricerche del principale centro di Cybersecurity e Cyber Defence della Tel Aviv University, ne è certo. È a lui che, nel 2009, Netanyahu ha affidato il compito di far diventare Israele una grande potenza digitale.

- Quanto è importante la cyber security in un mondo che ormai si basa quasi totalmente sul digitale?
  «La Difesa nazionale cambia per diverse motivazioni. I dati sono spesso di libero accesso, ma le informazioni non lo sono. Molte delle nuove fonti del potere dipendono proprio dalle informazioni e serve qualcuno che abbia le capacità di analizzarle e comprenderle. Basta guardare alle aziende più quotate nel mondo e capire come tutto si sia modificato negli ultimi dieci anni».

- Quali sono i cyber attacchi più frequenti?
  «Le tipologie di attacchi sono mutati. Aria, mare, terra, sono elementi fisici. Oggi giorno, le capacità cibernetiche riescono a raggiungere l'obiettivo direttamente, senza incontrare alcun tipo di difesa fisica. Essi, attualmente, non sono ancora molto frequenti, ma quando si viene esposti a tale esperienza ci si rende conto immediatamente che la concezione di superpotenza o Paese debole che conosciamo attualmente non è più valida».

- Israele è all'avanguardia in questo campo. Cosa può imparare l'Italia da voi?
  «L'Italia ha tutti le risorse per avere delle capacità sulla sicurezza cibernetica: conoscenza, tecnologia, risorse umane, capacità militari e industria. Quello che manca al vostro Paese è un altro aspetto importante: la strategia, ovvero una prospettiva per i prossimi 10 anni e le modalità per raggiungerla. La sicurezza cibernetica è divenuta un bisogno trasversale, l'aspetto militare è solo uno di questi, mentre quelli più importanti derivano da elementi non direttamente legati alla difesa dello Stato. Gli obiettivi sono diversi, quali lo sviluppo sociale tramite l'analisi di grandi quantità di dati, città intelligenti e l'incremento della crescita economica tramite l'ingresso e l'utilizzo di nuovi modelli di business, attraendo investimenti stranieri e potendo loro assicurare la sicurezza cibernetica».

- Quali sono le misure attualmente a disposizione per bloccare i terroristi? Si può fare di più?
  «Il miglior modo di difendersi da questo tipo di minacce è quello di investire in personale con conoscenze nel campo dell'intelligence e condividere le informazioni tra le diverse organizzazioni e Paesi con le stesse modalità, in modo da poter agire più velocemente ed efficacemente».

- E le strategie da mettere in atto in Italia?
  «La separazione tradizionale tra Forze militari e di polizia non è produttiva nel campo della sicurezza cibernetica. Nelle azioni di anticriminalità la polizia ha spesso meno risorse di quelle in possesso delle organizzazioni militari e questo è antiproduttivo, in quanto le organizzazioni criminali sono spesso quelle più capaci di approfittare dell'ambiente cibernetico. Già adesso le organizzazioni criminali hanno il controllo e traggono benefici da tutto quello che deriva dal crimine cibernetico. Spesso le stesse lavorano con gli Stati o per gli Stati ed è per questo che c'è bisogno di spostare più risorse e capacità di difesa in questo campo».

- Si spieghi meglio..
  «Il calcolo e la conoscenza sull'Al e quantum sono la prossima sfida nella rivoluzione digitale. L'Italia è uno dei Paesi leader per la ricerca scientifica su Al e quantum. Ma anche qui nasce il problema di sviluppare una strategia cercando di capire cosa si vuole veramente ottenere e perché. Solo allora si potrà veramente pensare a come poterlo fare».

(il Giornale, 7 luglio 2018)


Giordania, proseguono lavori gasdotto con Israele

AMMAN - Sono in corso i lavori di costruzione di un gasdotto tra Israele e Giordania per il trasferimento di gas a partire dal 2020 per un valore di 10 miliardi di dollari. Lo riferisce un funzionario del governo di Amman citato dal quotidiano giordano "Jordan Times". I contraenti stanno lavorando per la costruzione di un gasdotto di circa 65 chilometri che si estende dai confini nord del regno fino al governatorato di Mafraq. Dopo il completamento dell'infrastruttura, il gasdotto sarà collegato a Mafraq e il gas sarà distribuito alle centrali elettriche nel paese, ha dichiarato Abdel Fattah Daradkeh, direttore del National Electric Power Company (Nepco). "Il gasdotto sarà completato entro la fine del 2019 e siamo stati informati da Noble Energy che il gas inizierà a fluire verso la Giordania all'inizio del 2020", ha aggiunto il funzionario. A settembre 2016, la Nepco ha firmato un accordo di 15 anni con Noble Energy, una società con sede a Houston, che detiene la quota di maggioranza nel giacimento israeliano di gas Leviathan, per l'acquisto di approvvigionamenti di gas naturale per 10 miliardi di dollari. Il governo di Amman ha poi detto che avrebbe importato 250-300 milioni di piedi cubi di gas naturale al giorno da Noble Energy, prevedendo di risparmiare circa 700 milioni di dinari giordani (circa 843 milioni di euro) all'anno. Nell'ambito dell'accordo, la Giordania riceverà 3 miliardi di metri cubi di gas all'anno.

(Agenzia Nova, 7 luglio 2018)


Tel Aviv, velodromo in arrivo

 
Il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai
Segnatevi questa data: 2021. Dopo la partenza del Giro d'Italia il prossimo obiettivo, per Israele, sono i Mondiali giovanili di ciclismo su pista. La candidatura è stata avanzata, facendo anche leva su un contenitore d'eccezione, un velodromo all'avanguardia, il più avanzato del Medio Oriente, che sarà ufficialmente inaugurato in autunno e che è frutto degli sforzi del principale artefice del sogno rosa vissuto appena pochi mesi fa: il mecenate di origine canadese, ma naturalizzato israeliano, Sylvan Adams; sarà un gioiello, un progetto dalla grande funzionalità e modernità'' annuncia a proposito del nuovo impianto, su cui ha già avuto modo di pedalare anche in compagnia del sindaco di Tel Aviv Ron Huldai. La notizia è un po' passata in sordina, nei giorni del Giro, ma proprio a maggio il cantiere è stato interrotto per qualche ora per lasciare spazio alla visita di giornalisti e addetti ai lavori. Duecentocinquanta metri di circonferenza, così da rispettare gli standard olimpici, il velodromo potrà ospitare circa 600 spettatori. "vorrei che qui crescessero i nostri campioni, i campioni del futuro" sottolinea Adams. Che, come vi avevamo già raccontato, per la bicicletta in Israele ha progetti ambiziosi. "Vorrei - sogna a occhi aperti - che questa città diventasse un po' la Amsterdam d'Oriente". Il progetto non è di semplice riuscita, ne è consapevole. Ma, ammonisce Adams, "ln questo paese di pragmatici sognatori 70 anni di storia ci raccontano che tutto è possibile''.

(Pagine Ebraiche, luglio 2018)


Clima: se Israele ruba le nuvole all'Iran

Secondo il capo della protezione civile iraniana, la siccità che sta colpendo il paese avrebbe un solo colpevole

di Marta Buonadonna

Ora che anche il clima-scettico capo dell'Agenzia per la protezione ambientale del governo americano Scott Pruitt si è dimesso, travolto da vari scandali di natura pecuniaria, possiamo dirlo nuovamente forte e chiaro: il cambiamento climatico è causato dalle attività umane. L'effetto però non è proprio immediato. O forse sì?
  Sembra pensarlo il generale iraniano Gholam Reza Jalali, capo dell'Organizzazione per la protezione civile dell'Iran, che qualche giorno fa parlando a una conferenza sull'agricoltura a Teheran ha affermato che Israele starebbe estraendo umidità dalle nuvole dirette verso l'Iran, privando il paese di pioggia e neve.

 Furto con destrezza
  A sostegno della sua tesi il generale ha citato uno studio che mostrerebbe come oltre i 2.200 metri tutte le aree montuose tra l'Afghanistan e il Mediterraneo siano coperte di neve, ad eccezione dell'Iran. E' ovvio che sotto ci debba essere un complotto mirato. "Forse hanno documenti in questo senso, che non hanno condiviso con me, ma sulla base delle informazioni meteorologiche, non c'è possibilità che un paese rubi neve o nuvole", ha commentato il direttore generale delle previsioni meteorologiche e dell'Ufficio di allerta presso l'Organizzazione meteorologica Iraniana, Ahad Vazife.
  Vazife ha affermato che l'intera regione è stata colpita da siccità, non solo l'Iran. E ha aggiunto che se fosse possibile per un paese rubare le nuvole, gli Stati Uniti non soffrirebbero a loro volta di un problema di carenza d'acqua, perché a Washington basterebbe rubarla da altri paesi nella sua forma di vapore.
  Il primo a suggerire l'ipotesi del furto di nuvole era stato già nel 2012 l'allora presidente conservatore iraniano Mahmoud Ahmadinejad, amante delle teorie del complotto, secondo cui i crescenti problemi di siccità del paese sarebbero stati ascrivibili in parte a cause involontarie e in parte a deliberate operazioni di distruzione delle nuvole in movimento verso il paese da parte di forze ostili.

 Emergenza reale
  Se l'idea che sia Israele a privare l'Iran della sua sacrosanta dose di pioggia annuale suona quantomeno fantasiosa, il problema della mancanza d'acqua è invece dolorosamente reale e ha già causato violente proteste in alcune città meridionali dell'Iran i cui residenti sono scesi in strada lamentandosi dell'acqua salata e fangosa che esce dai rubinetti di casa al posto di quella potabile.
  Sulla graticola c'è il governo, accusato di non riuscire a gestire le forniture d'acqua mentre la domanda da parte della popolazione in crescita è in aumento e le temperature hanno superato i 50 oC. Come si sa, accusare un nemico esterno è una strategia furba per scrollarsi di dosso scomode responsabilità, e le accuse a Israele sembrano andare proprio in questa direzione.
  Tra i due paesi le relazioni sono tese da tempo a causa delle presunte attività nucleari dell'Iran e del suo aiuto al presidente siriano Bashar al-Assad nella guerra civile in Siria, dove l'Iran ha schierato milizie sciite musulmane che Israele ha accusato di danneggiare la sua sicurezza nazionale.
  Ma sollevare simili dubbi sulle cause di un problema come la siccità, spiega il capo meteorologo iraniano, "non solo non risolve nessuno dei nostri problemi, ma ci impedirà di trovare le giuste soluzioni". Che l'Iran si è invece impegnato a cercare, di concerto con tutti gli altri paesi del mondo, esclusi gli Stati Uniti, firmando l'accordo sul clima di Parigi.

(Panorama, 7 luglio 2018)


La fuga dalla Siria verso gli ospedali del «nemico»

Decine di migliaia premono al Golan: Israele apre (con cautela) le porte e cura i feriti

di Fiamma Nirenstein

Un camion attraversa il confine tra Israele e Siria dopo aver consegnato donazioni raccolte in villaggi israeliani sulle alture del Golan
L'urlo del vento non è il solito, sulle alture del Golan. Parla di dolore e proviene dalle tende di tutti i colori raggruppate dove ci sia un filo di ombra a pochi metri dal confine di filo d'acciaio. Siamo vicino ai villaggi di Bir Ajam e al Briqa, ma potremmo essere ovunque sul confine guardato a vista dai soldati di Israele. L'armistizio con la Siria del 1974 prevede una breve area vuota. Subito oltre, stanno arrivando decine di migliaia di persone, si dice circa 60mila che stanno ammonticchiandosi lungo il confine israeliano, e centinaia di migliaia sono in movimento: l'offensiva in corso a Deraa, e poco più a nord a Harah e Kuneitra, dove ieri i ribelli hanno preso l'iniziativa, sta scalzando dal sud la popolazione e spingendo via senza casa, feriti, affamati cui la malasorte ha dato la Siria come patria. Il vento urla sul Golan israeliano e chiede aiuto per una massa in fuga da Assad, dagli hezbollah e dagli iraniani che spazzano il terreno con la loro ancestrale ferocia, dagli attacchi aerei russi dell'ultima settimana.
   Il mondo al solito tace, resta solo la pietà israeliana. E così qui si consuma una messa in scena ultimativa del tema che domina il mondo, quello dei profughi che bussano alla porta. La gente disperata si presenta fra le querce del Golan all'antico nemico, in zona di guerra. Ieri lo scontro ha investito Kuneitra, e se le forze iraniane dovessero farsi vive al confine israeliano, Israele non potrebbe stare a guardare. Ma per ora va avanti l'operazione «Buoni vicini» che è diventata, nei sette anni di guerra, sempre più poderosa: sono tonnellate di cibo, vestiti, giocattoli, attrezzature da campo, generatori, tende, coperte, casse di medicinali richiesti dalle telefonate con i disperati medici siriani. Nottetempo, sempre con i criteri di una cauta azione militare, i soldati di Israele aprono i cancelli e portano tutto oltre il confine. E là, spesso in emergenza, caricano i feriti e i malati, sulle camionette e sugli elicotteri.
   All'ospedale di Nahariya arrivano i feriti più gravi, quelli per cui diresti che non c'è più niente da fare. Un team di chirurghi incredibili, fra cui incontriamo il dottor Eyal Sela che ci mostra immagini inusitate. Qui si impara che un uomo può salvare un altro essere vivente anche quando sembra ormai perduto. Abbiamo visto facce cui erano rimasti solo la fronte e gli occhi: ricostruite dal niente col naso, la bocca, il mento reinventati; occhi spazzati via e recuperati, arti spappolati e protesi innestate. Trapianti, estensioni, invenzioni al computer. Eyal Sela, otorino e chirurgo del collo, determinato e di buon umore spiega: «Io ho un sogno, che i siriani svenuti sotto le bombe che si sono svegliati qui e hanno pensato «aiuto, gli israeliani», raccontino ora alle loro famiglie e a tutti gli arabi che le paure sono infondate, l'odio assurdo... che da noi ha incontrato medici e infermieri per metà ebrei e per metà arabi, che li abbiamo curati con amore».
   I siriani qui all'ospedale sono quaranta, non possiamo dire i nomi veri, potrebbero essere considerati spie. Nawras, 22 anni di Quneitra, raccolto dopo aver perso le mani e un occhio il 3 di giugno, ha un'aria triste ma quieta: ha già al posto delle mani due protesi innestate. «Quelli che mi hanno soccorso mi hanno detto: gli unici che ti possono aiutare sono gli israeliani, andiamo al confine, non è come ci dicono. La dinastia degli Assad insegna fin dalla scuola a odiare gli ebrei, da piccolo quando non vuoi mangiare la mamma dice: se non mangi viene un sionista e succhia tutto il tuo sangue». Nawras si guarda i monconi: «Invece gli essere umani, la vita, sono sacri qui, da noi la morte è normale».

(il Giornale, 7 luglio 2018)


Hamas ha piratato i soldati israeliani

di Ettore Bianchi

L'operazione Broken Hearts mira a proteggere i soldati israeliani dall'attacco dei loro telefoni cellulari da parte di forze nemiche. L'esercito israeliano ha presentato la sua nuova campagna di sensibilizzazione davanti a questo pericolo ricorrente. Secondo un funzionario del dipartimento per la sicurezza delle informazioni, gli informatici di Hamas hanno recentemente cercato di attrarre i militari israeliani dispiegati lungo la Striscia di Gaza proponendogli di scaricare sul loro telefonino delle applicazioni di incontri piuttosto che una piattaforma dedicata ai risultati della Coppa del mondo di calcio. Qualcuno ci è cascato e ha lasciato che degli hackers di Hamas si introducessero nel loro telefonino con software maligni. Non contenti di aver avuto accesso alla loro rubrica, alle loro foto, e ai loro messaggi gli hackers sarebbero riusciti a controllare anche la loro fotocamera e il loro microprocessore. Un tentativo di infiltrarsi senza che però la sicurezza di Israele sia stata minacciata, ha fatto sapere l'esercito israeliano, secondo quanto ha riportato Le Figaro. Alcuni soldati israeliani presi di mira sarebbero stati identificati grazie alle loro app utilizzate da loro e una volta in possesso del loro numero di telefono gli hackers di Hamas hanno allacciato contatti e incoraggiato questi soldati israeliani a scaricare quello che sarebbe stato un cavallo di Troia. Gli esperti israeliani di cybersicurezza si sono detti sorpresi del realismo dei profili Facebook creati dagli hackers di Hamas per adescare le loro prede e della facilità con la quale hanno messo il loro software pirata a disposizione del pubblico sulla piattaforma Google PlayStore.

(ItaliaOggi, 7 luglio 2018)


Dopo 50 anni trovato l'orologio della spia. È di Eli Cohen, l'agente ucciso a Damasco

Sotto falso nome si fingeva uomo d'affari e stringeva rapporti con politici e generali. Il premier Netanyahu: «Era in mani nemiche». La vedova lo lascia al Mossad.

di Davide Frattini

 
L'orologio appartenuto Eli Cohen
GERUSALEMME - Anche i siriani ormai dicono di non sapere più dove sia seppellito, quando è stato impiccato in piazza a Damasco, al potere non c'era ancora il clan degli Assad, i nemici erano gli stessi: gli israeliani che erano riusciti a infiltrare quella spia, un ricco arabo che dava feste, offriva champagne e prostitute, beveva meno di tutti e ascoltava tutto.
   Il tempo per la vedova di Eli Cohen si è fermato come sull'orologio che i servizi segreti sono riusciti a riportare a casa, da decenni cercano il corpo, i parenti - e la famiglia estesa del Mossad - aspettano ancora di potergli dare la sepoltura da eroe. Le informazioni raccolte da questo ebreo immigrato dall'Egitto nel 1957 - e tre anni dopo mandato in missione - hanno permesso ai comandanti israeliani di arrivare alla Guerra dei Sei giorni preparati a vincerla.
   Postazioni, ordini di battaglia, struttura dell'esercito: con il falso nome di Kamel Amin Thaabet e la vera ricchezza dei fondi del Mossad - si fingeva un uomo d'affari siriano appena rientrato milionario dall'Argentina - Cohen è riuscito a diventare amico di generali e politici, a spingerli a confidarsi con lui che tornava dai viaggi all'estero con regali per tutti. Orologi di lusso come l'Omega che - è sicura l'intelligence israeliana - ha indossato fino al giorno della morte, il 18 maggio del 1965.
   Per cinque anni era riuscito a ingannare il regime di Damasco, a trasmettere i suoi dispacci che contenevano anche dettagli sulle relazioni con l'Unione Sovietica e pettegolezzi di potere sulla borghesia siriana. «Sotto la pressione dei capi in patria e forse troppo fiducioso sulla tenuta della copertura - spiega Ronen Bergman, esperto di servizi segreti israeliani, sul New York Times - ha cominciato a mandare bollettini in codice Morse quasi tutti i giorni usando l'apparecchio telegrafico che teneva nascosto nell'appartamento. Ma il trasmettitore ha causato un'interferenza con la radio dello Stato Maggiore siriano acquartierato dall'altra parte della strada».
   Catturato, torturato, processato, condannato a morte. Dopo l'impiccagione il corpo è stato lasciato per un giorno a penzolare sopra le urla di gioia della folla e poi seppellito nel cimitero ebraico, da dove è stato spostato «perché temevano che gli israeliani mandassero l'esercito per riprenderselo» come ha raccontato Monjer Motsley, ex
   assistente di Hafez Assad, il capostipite della dinastia. «Nessuno è più in grado di dire dove siano le ossa, è probabile che sulla fossa senza nome siano state costruite case, strade».
   Il mistero non ha fermato i tentativi del Mossad di recuperare i resti. L'operazione si è intensificata dopo la rivolta del 2011, il governo ha chiesto anche l'aiuto dei russi alleati degli Assad, il caos della guerra civile è stato usato per cercare di ottenere notizie, indagini clandestine che hanno portato al ritrovamento dell'orologio. «Era in mani nemiche», spiega il premier Benjamin Netanyahu. Che non aggiunge dettagli.
   Ci sono voluti diciotto mesi - ricostruisce una fonte dell'intelligence a Bergman - per ottenere la cassa dell'Omega, il cinturino è scomparso: era stata tenuta per anni da uno dei siriani che hanno partecipato all'arresto di Cohen.
   La parte più complessa è stata verificare che fosse davvero il suo orologio: sono stati rinvenuti i documenti della vendita in Svizzera e l'oggetto è stato analizzato dagli esperti della scientifica fino alla certezza. Solo allora il ritrovamento è stato annunciato alla vedova, che per ora ha deciso di lasciarlo al quartier generale del Mossad dove è esposto. Nadia spera sempre di poter seppellire il marito in Israele: «Questo orologio è così importante - dice emozionata al telegiornale locale - perché è stato a contatto con la sua pelle».

(Corriere della Sera, 7 luglio 2018)


In quell'ospizio di Tel Aviv si ricompone la fuga senza fine

Una pensionante passa le giornate a raccontare la sua diaspora tra Uzbekistan, Afghanistan, India. Emerge il mondo sconosciuto delle comunità ebraiche che vivevano in Asia sulla Via della Seta.

di Elena Loewenthal

Sonia è molto anziana. Vive in una confortevole casa di riposo di Tel Aviv, dove a disposizione degli ospiti c'è una ricca gamma di attività ricreative. Sonia è un po' diversa dagli altri, all'ospizio Ben Gurion. Non perché sia un tipo solitario e si tiri indietro, anzi. E' socievole, chiacchierona, curiosa. Però la storia che ha da raccontare è molto diversa da quella che avrebbero da raccontare gli altri ospiti, se la raccontassero: loro vengono dalla Shoah, dall'Europa. Per lo più tacciono, del resto.
   Sonia invece è arrivata in Israele tanti anni prima, ma dalla direzione opposta: Uzbekistan. E le piace molto raccontare. Tanto che lo fa per tutte le quasi quattrocento pagine de Il pane del Ritorno, il romanzo di Franca Cancogni che Bompiani manda in libreria in questi giorni. Classe 1920 e una penna ancora disinvoltamente fluviale, Franca è la sorella ed è stata anche coautrice di Manlio: insieme firmarono nel 1978 il fortunato romanzo Adua. Ha lavorato come sceneggiatrice e firmato decine di traduzioni, tra cui Joyce, Lawrence e Conrad.
   Autrice semiesordiente, dunque, e non propriamente giovane: eppure Franca Cancogni sembra mettere in queste pagine e nella storia di Sonia tutto l'entusiasmo passibile. Il romanzo è in prima persona, la voce narrante di questa anziana donna sta al centro della storia, che però è sempre attorniata da una folla di parenti, famiglie acquisite, popoli di passaggio. Sonia e sua sorella approdano a Bukhara, Uzbekistan, perché sono rimaste sole al mondo e per vie molto traverse. Trovano una specie di famiglia a casa del ricco mercante Asherov, dove Sonia si ritrova in una condizione a mezza strada fra la servetta e la figlia. L'agiatezza economica e il calore della casa durano per un po', sino a quando la situazione diventa critica per gli ebrei e tutta la tribù si avvia a una lunga fuga, o forse viaggio, che durerà anni, li porterà in India e in Afghanistan e in Iran, lasciando per strada ampi pezzi di famiglia, seminando luoghi e tempi di gioie e dolori.
   Sonia approderà infine alle spiagge della Terra Promessa, prima al campo di raccolta di Atlit, dove incontrerà i primi profughi dell'Europa devastata dalla Shoah, poi a Gerusalemme e Tel Aviv. Intanto si è sposata, ha avuto dei figli. Ma le peregrinazioni continuano, sia nello spazio geografico sia avanti e indietro dalla tana dei ricordi. E così lei comincia a raccontare, rivolgendosi di tanto in tanto al suo lettore con quella confidenza che hanno gli anziani socievoli, quelli che hanno ancora tanta voglia di chiacchierare.
   Cancogni racconta questa storia con una grande dovizia di tutto: volti, vicende, paesaggi. A volte ci si perde un po' nel racconto, a volte si sentirebbe l'esigenza di fermarsi un attimo in questa abbondanza di cose. Sonia racconta di sé, dei propri familiari, degli affetti che la circondano, delle figure che vanno e vengono vorticosamente nella storia, ma tutto sembra lontano da lei, che immaginiamo accomodata in poltrona in casa di riposo, con tutto il tempo del mondo a disposizione. Racconta soprattutto di un mondo ancora molto poco conosciuto, quello delle comunità ebraiche che vivevano, magari da molti secoli, al di là dell'Europa, verso l'Asia Centrale, lungo la via della seta. Un mondo ricco di colori forti, di orizzonti a perdita d'occhio, ma anche di una solitudine quasi metafisica, a volte. Sonia riesce a vivere intensamente tutto questo, e con la sua memoria prodigiosa lo racconta come fosse una specie di fiaba, non sempre briosa e non sempre confortante, ma ancora viva nella voce narrante malgrado la lontananza nel tempo, nello spazio geografico e in quello dell'anima.

(La Stampa ttL, 7 luglio 2018)


Italiani in Israele: a settembre il seminario di Limmud Italia

GERUSALEMME - Promuovere l'identità ebraica aiutando chiunque a percorrere il proprio cammino culturale e spirituale. Questo l'obiettivo del multi-seminario "Limmud Italia Days Gerusalemme" in programma il 26 e 27 settembre prossimi a Gerusalemme.
La due-giorni organizzata da Limmud Italia è rivolta agli italkim già inseriti nella società israeliana, ai nuovi olìm, arrivati da poco, e a coloro che in Israele sono interessati alla cultura ebraica specificatamente italiana.
Nei due giorni ci saranno 3/5 sessioni in ogni fascia oraria, con decine di presentazioni, lezioni, workshop, musica. La formula - spiega Limmud Italia - è sempre quella del multi-seminario, ovvero tanti interventi, lezioni, tavole rotonde dedicati a un tema ebraico e che spaziano fra Torà, scienza e filosofia, storia, arte, attualità, cucina.
"In questo evento - spiegano gli organizzatori - verrà dedicato spazio anche alla storia e alla realtà israeliana, inclusi interventi sulle difficoltà e le opportunità dell'integrazione di nuovi olìm. Non chiedeteci "qual è il programma dell'evento?": come in tutti gli eventi Limmud il programma non è prefabbricato, ma è costruito mettendo insieme le proposte di tutti i partecipanti! Ad ogni partecipante sarà data la possibilità di presentare una sessione del programma e di costruire il proprio percorso scegliendo le sessioni di suo maggior interesse. La nostra sfida continua a essere quella di superare lo schema dell'insegnamento cattedratico, proponendo un approccio bidirezionale nel quale ogni ebreo è studente e maestro e può offrire una propria presentazione su un qualsiasi argomento purché connesso con la cultura e l'identità ebraica".
Il programma integrale dell'evento è disponibile all'indirizzo www.limmud-italia.it dove è possibile scaricare anche il modulo per le iscrizioni.

(aise, 7 luglio 2018)


E' proprio vero che Israele assedia la Striscia di Gaza? Guardiamo i fatti.

Il fantomatico "assedio" di Gaza non esiste, se non per la propaganda antisraeliana

di Ugo Volli

Non solo i cittadini comuni ma anche politici e giornalisti pensano alla politica e in particolare al Medio Oriente col filtro di luoghi comuni. Negli ultimi anni questi luoghi comuni si manifestano spesso come "meme" sui social media, ma comunque contribuiscono potentemente a modellare le reazioni e le credenze comuni. Uno dei luoghi comuni più diffusi sul Medio Oriente è che vi sarebbe un assedio israeliano stretto intorno a Gaza, che opprimerebbe la popolazione e ridurrebbe la Striscia a una "prigione a cielo aperto". Qualcuno, particolarmente confuso o in malafede, ha addirittura azzardato il paragone con Auschwitz. Sulla base di questa idea si giustificano iniziative che altrimenti sarebbero insostenibili, come i tunnel di Hamas, gli assalti di massa alle frontiere, i palloni carichi di esplosivi o micce incendiarie, le varie "flottiglie" che dichiarano di voler "rompere l'assedio".
  Certe volte i luoghi comuni sono veri, certe volte invece no; comunque vanno sempre verificati. Dunque bisogna chiedersi se è vero che Gaza sia "assediata" da Israele. Innanzitutto, che cos'è un assedio? La Treccani lo definisce così "Insieme di operazioni militari (accerchiamento, attacco diretto con armi idonee e materiale di artiglieria, ecc.), che vengono svolte intorno a una piazzaforte per determinarne la resa […] Schieramento di persone che si collocano intorno o davanti a un luogo per tenerlo isolato, o per impedire il passaggio, o per controllare le entrate e le uscite". Invece l'"assedio economico" è "l'isolamento di un paese dal mercato mondiale perché non possa più vendere o rifornirsi all'estero."
  E' questa la situazione di Gaza? Incominciamo col dire una cosa: Gaza non confina solo con Israele a nord e a est, ma ha anche un lungo confine marittimo a ovest (che è sottoposto a blocco marittimo dalla marina di Israele). Ma confina anche a sud con l'Egitto. Dunque Israele non è in grado di "accerchiare" Gaza, ogni "assedio" deve avere la corresponsabilità dell'Egitto. In secondo luogo, nonostante quel che dicono i giornali Israele non cerca affatto di "attaccare" Gaza, ma risponde solo agli attacchi di artiglieria (razzi, mortai ecc.) che provengono dalla Striscia. Non c'è stata una singola occasione, in molti anni, che Israele abbia iniziato uno degli scontri che molto di frequente si svolgono ai confini di Gaza. La ragione è semplicissima: Israele non ha alcun progetto di riprendere il governo della Striscia, non ha rivendicazioni territoriali, ne ha abbandonato il territorio volontariamente dieci anni fa. Invece Hamas, che governa Gaza, ha il proposito espresso nel suo statuito e continuamente riaffermato, di conquistare tutto il territorio di Israele e di espellere o uccidere tutti gli ebrei. Hamas ha interesse alla guerra, è un movimento nato intorno all'idea di far la guerra agli ebrei. Israele non vi ha alcun interesse, si limita al dovere di difendere il suo territorio e i suoi cittadini.
  Inoltre, a torto o a ragione, i vertici dello Stato Ebraico non ritengono opportuno abbattere Hamas. Vogliono contenerla, sì, esercitare deterrenza, costringerla a non usare le armi; ma ritengono che l'anarchia che seguirebbe a un crollo del regime sarebbe peggiore della situazione attuale. Non esiste un'alternativa politica pacifica nella Striscia, solo altri movimenti terroristi in concorrenza con Hamas. Di conseguenza le operazioni contro Gaza, anche le più importanti, non hanno mai mirato né alla riconquista del territorio, né all'abbattimento del regime, cioè alla "resa" di cui parla la definizione. Dunque non vi è assedio neppure sotto il profilo del tentativo di produrre la resa. Lo sforzo è solo quello di impedire ai movimenti terroristi l'accesso ai rifornimenti bellici. Questo spiega il blocco navale e anche il fatto che i trasporti sono perquisiti prima di entrare a Gaza. A questo schema d'azione collabora anche l'Egitto, il quale conosce benissimo il fatto che dalla Striscia partono molti degli attacchi islamisti nel suo territorio del Sinai e non vuole che armi e uomini si muovano liberamente fra le due zone. Ancora l'altro ieri, l'Egitto ha fatto saltare alcuni tunnel di contrabbando che univano Gaza e il Sinai.
  Ma almeno vi è un assedio economico? Israele sta cercando di isolare Gaza " dal mercato mondiale perché non possa più vendere o rifornirsi all'estero"? Assolutamente no. Dal ritiro Israeliano vi sono tre valichi di confine fra Gaza e l'esterno: quello di Rafah con l'Egitto, quello di Eretz e quello di Kerem Shalom con Israele. Rafah è quasi sempre chiuso, non permette il traffico commerciale e solo raramente si apre per i passaggi di persone. Kerem Shalom, al Sud della Striscia è il varco di passaggio delle merci. Transita in direzione di Gaza il contenuto di 11.000 Tir in media (circa 500 al giorno per i 22 giorni di apertura medi), più circa 600 camion di prodotti umanitari (30 al giorno). Inoltre vi passano 18 milioni di litri di combustibile (benzina e diesel) al mese e 6500 tonnellate di gas. Dal valico di Eretz passano in media 8000 persone al mese (400 al giorno di apertura). I dati analitici dell'agenzia dell'Onu per l'azione umanitaria (UNOCHA) si trovano qui. Attenzione questi sono i dati medi dei passaggi da Israele a Gaza, l'Egitto quasi sempre non lascia passare niente e nessuno. E' anche Israele che assicura quel po' di esportazioni che Gaza è in grado di produrre, nonostante l'orribile economia di guerra che Hamas impone.
  Bisogna considerare che questi passaggi sono stati consentiti anche dopo che è stato scoperto e distrutto un tunnel d'attacco sotto Kerem Shalom e dopo che i terroristi di Hamas hanno più volte devastato e incendiato il valico negli ultimi mesi. Qui del resto nel 2006 venne rapito Gilad Shalit. E' un assedio questo, economico o militare che sia? Un assedio in cui il presunto assediante è colui che assicura i rifornimenti all'assediato? In cui chi sigilla la frontiera sono i "fratelli" egiziani e non i nemici ebrei? In cui i soli beni che non passano alla frontiera sono quelli che Hamas sfrutta come armi (per esempio di recente vi si è aggiunto l'elio usato per i palloni incendiari)? E' difficile sostenerlo sulla base dei fatti. Sarebbe meglio che almeno le persone che hanno un minimo di rispetto della realtà rinunciassero a questo luogo comune propagandistico.

(Progetto Dreyfus, 6 luglio 2018)


Emirati Arabi Uniti: delegazione in Israele per esaminare caccia F-35

Una delegazione militare degli Emirati Arabi Uniti (UAE) si è recata in Israele, il 4 luglio, per una visita ufficiale. i24News ha riferito che alcuni funzionari dell'esercito israeliano hanno ospitato la delegazione emiratina per esaminare le prestazioni di alcuni caccia di fabbricazione statunitense. Il Paese arabo non ha ancora confermato la visita in Israele, con il quale non ammette di avere relazioni diplomatiche.
   La visita arriva quando gli Emirati Arabi Uniti cercano di acquistare la propria flotta di F-35, costruiti dal colosso statunitense, Lockheed Martin. A conferma di ciò, secondo quanto riporta The New Arab, gli Stati Uniti, all'inizio del 2018, avrebbero approvato la vendita di attrezzatura militare agli Emirati Arabi Uniti per il valore di 270,4 milioni di dollari.
   Israele ha ricevuto il primo, degli attuali 50, F-35 statunitensi nel dicembre 2016. Lo Stato ebraico è altresì l'unico Paese mediorientale a possedere tale tecnologia. A maggio 2018, l'aviazione israeliana ha rivelato di aver usato i suoi caccia in operazioni di combattimento, rendendo Israele il primo Paese al mondo ad effettuare un "attacco operativo" usando l'aereo.
   Sebbene gli Emirati Arabi Uniti e Israele non abbiano relazioni pubbliche, gli Stati del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e il Bahrain, stanno uscendo sempre più allo scoperto come alleati di Israele, a causa di una convergenza di interessi, tra i quali spicca l'influenza dell'Iran nella regione. Un rapporto pubblicato dalla rivista New Yorker ha altresì dettagliato una profonda cooperazione tra il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e le potenze del Golfo, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Sottolineando, inoltre, la trasformazione delle relazioni, definite sempre più decadenti, tra Israele e Stati Uniti, specialmente negli ultimi anni dell'amministrazione dell'ex presidente Barack Obama.
   Riguardo alla questione nucleare, Israele, Arabia Saudita, Egitto, Bahrein e Emirati Arabi Uniti sono tutti a favore della decisione dell'attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Tale provvedimento ha portato gli USA ad abbandonare l'intesa, l'8 maggio. Alla luce di ciò, Netanyahu ha ripetutamente affermato che gli Stati sunniti si sono mostrati aperti nei confronti di Israele, vista la minaccia mutualmente percepita dell'Iran, il potere sciita predominante del Medio Oriente. Tutti i Paesi in questione accusano la Repubblica Islamica sciita di alimentare i conflitti regionali sostenendo delegazioni armate in Siria, Iraq, Yemen e Bahrain.

(Sicurezza Internazionale, 6 luglio 2018)


La società greca Energean attende da Cipro il via libera per l’import gas da giacimenti israeliani

NICOSIA - La società energetica greca Energean attende l'approvazione da parte delle autorità di Cipro del progetto per la costruzione di un gasdotto per connettere i giacimenti di sua proprietà nell'offshore israeliano con l'isola del Mediterraneo Orientale. Tale infrastruttura sarebbe in grado di importare verso Cipro quantitativi di gas tra lo 0,5 e 1 miliardo di metri cubi l'anno. "Abbiamo presentato una proposta per vendere il gas dal Fpso (Floating Production Storage and Offloading facility) verso Cipro. L'abbiamo inviata la scorsa settimana", ha dichiarato l'amministratore delegato di Energean, Mathios Rigas, parlando alla stampa internazionale come riportato oggi dai media di Nicosia. Il ministero dell'Energia cipriota al momento non ha commentato le dichiarazioni sul progetto, che consisterebbe nella realizzazione di un gasdotto di circa 200 chilometri per collegare i giacimenti offshore israeliani di Energean con Cipro.

(Agenzia Nova, 6 luglio 2018)


La Spagna, epicentro del movimento anti-israeliano in Europa

di Soeren Kern*

  • Il proliferante attivismo anti-israeliano, animato dall'ascesa al potere dell'estrema sinistra politica, sta rendendo la Spagna - paese membro dell'UE - più ostile nei confronti dello Stato ebraico.
  • Secondo l'organizzazione madrilena Acción y Comunicación en Oriente Medio (ACOM), che contrasta in Spagna il movimento anti-israeliano BDS, la mozione di Valencia è antisemita e incita all'odio.
  • "Il movimento BDS in Spagna ha acquisito la sua attuale virulenza con la comparsa di Podemos, un partito "chavista" di estrema sinistra finanziato da Venezuela e Iran. (...) Man mano che Podemos assumeva il controllo delle amministrazioni comunali nelle principali città spagnole, il movimento anti-israeliano aveva accesso a molteplici risorse economiche, umane e organizzative. (...) Podemos ha motivato più di 90 dichiarazioni di questo tipo in giurisdizioni spagnole che si estendono a una popolazione di oltre otto milioni di persone." - Ángel Màs, presidente dell'ACOM.

Valencia, la terza città più grande della Spagna, ha approvato una mozione a sostegno del boicottaggio di Israele e volta a denigrare lo Stato ebraico, dichiarando la città una "zona libera dall'apartheid israeliana". Questa iniziativa è arrivata pochi giorni dopo che la Navarra, una delle 17 comunità autonome della Spagna, aveva annunciato una misura simile. Complessivamente, più di 50 città e regioni spagnole hanno approvato delle mozioni che condannano Israele. Il proliferante attivismo anti-israeliano, animato dall'ascesa al potere dell'estrema sinistra politica, sta rendendo la Spagna - paese membro dell'UE - più ostile nei confronti dello Stato ebraico.
  La mozione adottata a Valencia, votata e proposta dal partito di estrema sinistra València en Comò, è stata approvata il 31 maggio scorso durante una sessione plenaria del Consiglio comunale. Questa iniziativa, che impegna la città ad astenersi dall'avviare contatti commerciali con le autorità o con le aziende israeliane o dal coinvolgerle in eventi culturali, è volta a far sì che Valencia diventi un "riferimento globale per la solidarietà con i palestinesi".
  La mozione, che definisce in modo diffamatorio Israele "un regime di apartheid", accusa lo Stato ebraico di "colonialismo", "razzismo", "pulizia etnica", "tirannia" e "genocidio".
  La misura, che afferma di tenere conto della "dignità, della solidarietà e della giustizia" del popolo valenciano, è stata introdotta da Neus Fàbregas Santana, un consigliere comunale il cui feed di Twitter rivela una ossessione di demonizzare e delegittimare Israele.
  Santana lavora a stretto contatto con un gruppo chiamato BDS País Valencia, la sezione locale di un movimento mondiale che cerca di delegittimare Israele, l'unica democrazia in Medio Oriente.
  Il BDS País Valencia sta attualmente promuovendo il documentario spagnolo sulla Striscia di Gaza "Gas the Arabs", un titolo che afferma a torto che gli ebrei in Israele fanno oggi agli arabi ciò che i nazisti fecero in Germania agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
  Un'attivista del BDS País Valencia, Mireia Biosca, ha dichiarato che la mozione di Valencia ha tre obiettivi:
"Il primo è smantellare il muro dell'apartheid ed evitare il ritorno ai confini del 1967. Il secondo consiste nel porre fine all'apartheid sia in Palestina sia in Israele, e il terzo è il diritto al ritorno".
La Biosca ha anche affermato che il BDS País Valencia lavorerà per impedire che l'edizione 2019 dell'Eurovision Song Contest si tenga in Israele:
"C'è una posizione molto chiara: innanzitutto, assicurare che gli Stati non partecipino al festival e ovviamente una campagna per impedire che la kermesse musicale si svolga a Gerusalemme. A mio avviso, occorre boicottarla anche se si decide che l'Eurovision si terrà a Tel Aviv...".
Secondo l'organizzazione madrilena Acción y Comunicación en Oriente Medio (ACOM), che contrasta in Spagna il movimento anti-israeliano BDS, la mozione di Valencia è antisemita e incita all'odio. ACOM ha affermato che sta valutando l'ipotesi di muovere un'azione legale contro il Consiglio comunale di Valencia per aver violato la Costituzione spagnola e incoraggiato la discriminazione basata sulla religione, l'origine etnica o sulla nazionalità:
"La dichiarazione è piena di menzogne, manipolazioni e diffamazioni, visto che esorta la città ad aderire formalmente al movimento BDS e a dichiararsi 'libera dall'apartheid israeliana' (un noto eufemismo in Spagna che sta per Judenrein [libero dagli ebrei], e ad ogni presunto simpatizzante dello Stato ebraico si chiede di denunciare pubblicamente le politiche della sola e unica democrazia del Medio Oriente per essere ammesso alle attività sociali, politiche, economiche o civiche del Comune)...
"Abbiamo informato la stampa locale dell'illegalità della campagna del BDS, circostanziando decine di procedimenti giudiziari vinti dall'ACOM nei tribunali spagnoli che hanno dimostrato l'incostituzionalità delle misure di esclusione".
L'ACOM ha intentato più di venti azioni legali contro i consigli comunali e provinciali che avevano adottato una mozione per boicottare Israele.
  Gran parte delle attività del BDS in Spagna è promossa da Podemos, un partito neo-comunista fondato nel marzo 2014 per protestare contro le misure di austerity messe in atto dopo la crisi del debito in Europa. Podemos ha ottenuto più del 20 per cento dei voti nelle elezioni politiche tenutesi il 20 dicembre 2015 e ora è il terzo partito in parlamento.
  Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, e il suo vice, Íñigo Errejón, sono stati consiglieri del defunto presidente venezuelano Hugo Chàvez, e sono stati accusati di aver ricevuto più di 7 milioni di euro da Chàvez per finanziare le loro attività politiche in Spagna. Podemos è stato inoltre accusato di aver ricevuto finanziamenti dalla Repubblica islamica dell'Iran.
  Iglesias ha una lunga storia di antisemitismo. Ha minimizzato l'Olocausto, definendolo "una decisione amministrativa e burocratica"; ha paragonato la Striscia di Gaza al ghetto di Varsavia e ha parlato dei poliziotti spagnoli che catturano gli immigrati illegali come se fossero guardie delle SS.
  Iglesias conduce il programma televisivo "Fort Apache" che viene trasmesso su HispanTV, un canale televisivo via cavo in lingua spagnola appartenente al governo iraniano. È stato accusato di usare il suo programma per reiterare teorie e tropi cospirativi antisemiti.
  In una intervista del 7 giugno a RTVE, la radiotelevisione pubblica spagnola, Iglesias ha detto che Israele è un paese "illegale": "Dobbiamo agire con più fermezza contro uno stato illegale come Israele. Le azioni di Israele sono illegali. Le politiche di apartheid di Israele sono illegali".
  València en Comò, il partito politico promotore della mozione a sostegno del BDS a Valencia, è una propaggine locale di Podemos. La mozione è stata approvata con l'appoggio di Compromís, una coalizione di sinistra, e del Partito socialista operaio spagnolo (PSOE), il cui leader di recente è diventato il nuovo premier del governo centrale di Madrid.
  Altre mozioni a sostegno del BDS sono state approvate a: Abrera, Alcoi, Alhaurín de la Torre, Artés, Badalona, Barberà del Vallès, Barcellona, Benlloch, Campillos, Casares (Malaga), Castrillón, Castro del Río, Catarroja, Concentaina, Córdoba, Corvera, El Prat, Gijón, Gran Canaria, La Roda Llangreu, Los Corrales, Madrid, Mairena del Aljarafe, Molins de Rei, Montoro, Muro, Navalafuente, Navarra, Oleiros, Olesa de Montserrat, Onda, Pamplona, Petrer, Ripollet, Rivas-Vaciamadrid, Sabiñànigo, San Fernando, San Roque, Sant Adrià del Besòs, Sant Cebrià de Vallalta, Sant Celoni, Santa Eulària (Ibiza), Sant Boi de Llobregat, Sant Feliu de Llobregat, Sant Pere de Ruidebitlles, Santiago de Compostela, Sant Quirze del Vallès, Seville, Telde, Terrassa, Trebujena, Velvez-Màlaga, Viladamat, Viloria del Henar, Xeraco e Saragozza.
  Il presidente dell'ACOM Ángel Màs spiega così le dinamiche che stanno dietro la crescita del movimento BDS in Spagna:
"Il BDS è un fenomeno globale che nasce dall'ammissione da parte dei moderni antisemiti dell'improbabilità di sconfiggere Israele attraverso gli scontri armati o gli attacchi terroristici. L'obiettivo è lo stesso: la distruzione della patria ebraica 'dal fiume al mare'. Ma ora, il BDS cerca di indurre la comunità internazionale a condannare Israele come stato paria e ostracizzare tutti coloro che lo sostengono: i sionisti, gli ebrei.
  "Quelli che lo delegittimano, come vecchi bigotti, mascherano la loro criminalità, mostrandosi come vittime e nascondendo le loro vere intenzioni. Essi fanno appello all'opinione pubblica contro l'oppressione o gli abusi e alla solidarietà nei confronti degli oppressi e delle minoranze sofferenti.
  "Il movimento BDS in Spagna ha acquisito la sua attuale virulenza con la comparsa di Podemos, un partito "chavista" di estrema sinistra finanziato da Venezuela e Iran. Nelle elezioni amministrative del 2015, Podemos ottenne il 25 per cento dei voti. Prima di allora, il BDS era una confederazione marginale di piccoli gruppi che concentravano l'attenzione sui boicottaggi accademici e culturali di Israele. Il gruppo ristretto che formava Podemos era stato attivo per anni nelle iniziative del BDS, e l'ostilità contro Israele era una priorità assoluta nel loro programma politico.
  "Man mano che Podemos assumeva il controllo delle amministrazioni comunali nelle principali città spagnole, il movimento anti-israeliano aveva accesso a molteplici risorse economiche, umane e organizzative. Quando questi gruppi di estrema sinistra occupavano le istituzioni pubbliche, non facevano distinzione tra il loro programma settario e quello di governo.
  "Le amministrazioni locali (provinciali e municipali) si sono unite formalmente al movimento BDS e hanno dichiarato i loro territori 'liberi dall'apartheid di Israele'. In pratica, Judenrein. Sono stati distribuiti adesivi da esporre nei negozi e negli uffici; alle aziende pubbliche è stato chiesto di non lavorare con le aziende israeliane né con i privati israeliani; e ai cittadini spagnoli sospettati di essere collegati allo Stato ebraico o di esserne sostenitori è stato detto di ripudiarlo pubblicamente per non essere esclusi dalla vita sociale, politica, economica e civile.
  "Podemos ha motivato più di 90 dichiarazioni di questo tipo in giurisdizioni spagnole che si estendono a una popolazione di oltre otto milioni di persone. Il suo piano era quello di creare un'ondata di odio che raggiungesse la maggior parte della Spagna in 18 mesi. Ciò costituiva una minaccia esistenziale, e noi dovevamo agire...
  "Nessun boicottaggio locale è troppo limitato per essere ignorato. I gruppi BDS manipolano con cura le informazioni di cui sono destinatari i responsabili politici, investono enormi risorse nelle campagne mediatiche e sono maestri di intemperanza sui social media. In generale, i gruppi pro-Israele sono in ritardo rispetto all'applicazione di analisi e azioni in questi ambiti".


* Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York

(Gatestone Institute, 6 luglio 2018)


Come si fa a non accorgersi che dietro così tanto odio, variamente motivato e insistentemente riproposto, ci deve essere davvero qualcosa di unico in questo Stato di Israele? E’ un richiamo all’unicità di Dio: Israele c’è perché Dio c’è. Chi non crede che Dio c’è, dovrà un giorno amaramente ricredersi. Chi invece crede che c’è, dovrà forse un giorno, altrettanto amaramente, esclamare: “Ah però, sapevo che c’è, ma non credevo che fosse così”. M.C.


Gal, l'israeliana che porta aiuti (di nascosto) alle famiglie siriane

La sua ong agisce in Stati nemici. E ha conquistato la fiducia di militari

di Davide Frattini

 
Gal Lusky
GERUSALEMME - C'è stata la notte in cui ha rivelato chi fosse e da dove venisse, nessuno lo sapeva. E le tante notti in cui tutti sapevano che cosa facesse e nessuno le chiedeva chi fosse. Perché Gal Lusky portava cibo, medicine, coperte da un Paese che è ancora nemico, attraversava un confine che è ancora di guerra. Di nascosto: ai siriani che soccorreva e soccorre, agli israeliani che l'avrebbero arrestata. Gli ufficiali di Tsahal sono stati informati solo nel 2016 e sabato hanno chiesto ancora una volta aiuto a lei e agli altri volontari: usare gli stessi percorsi, gli stessi contatti, affidarsi alle stesse mani strette in questi anni per distribuire centinaia di tende, taniche d'acqua, latte in polvere, olio ai quasi 20 mila rifugiati che si stanno ammassando dall'altra parte delle postazioni militari.
   Famiglie scappate dai bombardamenti che martellano la città di Deraa e le campagne attorno: il regime di Damasco sostenuto dai russi vuole riprendere il controllo del sud, della piana che scende verso Israele e la Giordania. La maggior parte - le Nazioni Unite calcolano almeno 270 mila profughi in meno di una settimana - ha raggiunto i valichi ( ormai sprangati) con il regno hashemita. Gli altri cercano riparo dove sono convinti che le truppe lealiste non oseranno avvicinarsi. Loro lo sperano, i generali israeliani lo impongono: la zona smilitarizzata - rimasta tale dalla fine del conflitto nel 1973 - è considerata un limite invalicabile, i carrarmati ammassati sul Golan da domenica scorsa servono a concretizzare le minacce del premier Benjamin Netanyahu: «Difenderemo la frontiera con ogni mezzo». La strategia del governo resta la stessa decisa nel marzo del 2011 con le prime manifestazioni pacifiche, proprio per le strade di Deraa, contro il dittatore Bashar Assad: evitare il coinvolgimento in quella che da allora è diventata una guerra civile.
   Gal ha deciso di essere coinvolta da subito perché la sua organizzazione Israeli Flying Aid è specializzata nelle missioni in nazioni che non hanno rapporti diplomatici con Israele - è intervenuta anche in Paesi come il Sudan, Pakistan - e perché come recita il mandato: «Da ebrei non possiamo restare a guardare mentre viene commesso un genocidio. Da cittadini di uno Stato fondato all'indomani dell'Olocausto aspiriamo a essere la voce di chi non ha voce».
   Ha cominciato a muoversi in una situazione che diventava caotica tra brigate fondamentaliste e spie del regime: «Abbiamo mandato in missione solo persone che parlassero l'arabo come madre lingua, non potevamo rischiare che degli israeliani fossero arrestati o rapiti in Siria. Sarebbe stato irresponsabile anche nei confronti del nostro Paese, avremmo costretto il governo a una trattativa per provare a liberarci».
   Ha svelato la sua identità solo dopo tre anni e mezzo, quando il convoglio sui cui viaggiava è finito sotto attacco: «Se fossimo stati colpiti, feriti, portati via, i siriani che lavorano con me sarebbero anche stati accusati di tradimento. Avevano il diritto di sapere quale altro rischio correvano oltre a quelli che condividevamo».
   Durante un incontro in un albergo fuori dalla Siria ha detto ai suoi contatti di essere israeliana, un comandante dei ribelli si è alzato e se n'è andato: «Dopo Assad, la faremo finita con te». Gli altri hanno scelto di accettare questo abbraccio inaspettato.

(Corriere della Sera, 6 luglio 2018)


Legge sulla Shoah. YadVashem critica l'accordo con Varsavia

di Rolla Scolari

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è nuovamente al centro di una controversia. Questa volta però non per accuse di corruzione e casi giudiziari. «Lo Yad Vashem contro Bibi», titolava ieri il sito del quotidiano liberal Haaretz. Il Memoriale della Shoah di Gerusalemme, quel museo dell'Olocausto adagiato su una delle colline che circondano la Città Santa, ha infatti attaccato la dichiarazione congiunta che una settimana fa è stata firmata dal premier israeliano e dal collega polacco. Il documento tentava di mettere fine a una lunga crisi diplomatica attorno al tema più delicato per Israele. Lo scontro era nato all'inizio dell'anno, quando la Polonia ha presentato una controversa legge che prevedeva il carcere per chiunque suggerisse responsabilità della nazione europea nei crimini nazisti.

 La memoria delle vittime
  Gli esperti del Memoriale della Shoah che hanno studiato per giorni la dichiarazione si rallegrano del fatto che l'emendamento proposto dalla Polonia elimini l'arresto per chi accusa il Paese di complicità con i nazisti, ma chi ha analizzato il testo dice che questo non è abbastanza: resta la possibilità infatti d'essere perseguiti civilmente - non più penalmente - e questo potrebbe andare a danno di ricercatori e accademici. A fare insorgere gli storici dello Yad Vashem sono anche alcune frasi contenute nella dichiarazione, definite «altamente problematiche». La squadra di studiosi parla di «gravi errori»: il documento contiene una narrativa che gli storici internazionali non sostengono da tempo, cioè che il governo polacco in esilio a Londra durante la Seconda guerra mondiale e le forze della resistenza abbiano fatto il possibile per far sapere all'esterno ciò che stava accadendo agli ebrei e per salvarli. Gli studiosi dello Yad Vashem rispondono così: «Decine di anni di studi rivelano un quadro differente: l'aiuto dei polacchi agli ebrei durante l'Olocausto fu relativamente raro e gli attacchi contro di loro, omicidi compresi, furono un fenomeno diffuso».
  La controversia investe il premier Netanyahu politicamente, anche dall'interno della sua stessa coalizione. Il ministro dell'Educazione Naftali Bennett, suo stretto alleato, ha preso le distanze dalla dichiarazione, definendola un «tradimento di quanti sono morti nella Shoah. Una disgrazia carica di bugie», e ha chiesto di affrontare la questione in parlamento. Dal centro, l'avversario Yair Lapid ha detto che il documento firmato dal premier «svilisce la memoria delle vittime».

(La Stampa, 6 luglio 2018)


La parola che dice l'indicibile. Così ci ha costretti a fare i conti con l'orrore del genocidio

Morto l'autore di "Shoah", il film-documentario che ha dato voce ai testimoni.

di Elena Loewenthal

 
Claude Lanzmann
Considerava la morte una bruttura, un'ingiustizia assoluta: «La cosa che mi scandalizza di più al mondo è che si debba morire. Non mi piace la musica e non mi piace morire». Se ne è andato così, ingiustamente, a quasi 93 anni, Claude Lanzmann. Era nato il 27 novembre 1925 a Bois Colombes, nei pressi di Parigi, ma veniva dal profondo di quel mondo ebraico dell'Est Europa di cui raccontò lo sterminio nel filmmonumento Shoah: la sua famiglia era arrivata in Francia alla fine del XIX secolo, in fuga dai pogrom. Dell'antisemitismo il giovane Claude aveva avuto un assaggio nel 1938, assistendo alle violenze ai danni di un compagno di liceo che si chiamava Lévy, senza trovare il coraggio di reagire.
   Durante la guerra era stato nella Resistenza e da allora la militanza divenne per Lanzmann una compagna di vita. Le Riflessioni sulla questione ebraica di Jean-Paul Sartre, pubblicate nel 1947, furono per lui un momento di svolta ideologica e biografica: all'epoca insegnava a Berlino, dove avviò un seminario sull'antisemitismo.

 Tra Sartre e De Beauvoir
  Nel 1949 denunciò la mancata denazificazione della Germania, e lasciò il Paese. Tornò a Parigi, entrò nel comitato di redazione di Temps modemes, si «innestò» nella coppia Sartre-De Beauvoir: fu il compagno di quest'ultima tra il 1952 e il 1959.
   Il suo impegno politico non è mai stato convenzionale, ma sempre condito di un individualismo mentale difficile da incastonare in qualsivoglia ideologia. È stato scrittore, reporter, cineasta. Fu in Corea del Nord nel 1958 (ha raccontato di quel viaggio nel film Napalm uscito l'anno scorso), denunciò la repressione in Algeria, si schierò sempre al fianco del Dalai Lama e di Israele. Si racconta nell'appassionante mémoir intitolato La lepre della Patagonia (uscito per Gallimard nel 2009 e l'anno successivo in traduzione da Rizzoli): il romanzo di una vita poliedrica, mai stanca di esperienze fisiche e intellettuali, sempre pronta a riflettere sul presente con quell'autonomia critica che era il suo unico comandamento.
   Ma è pur vero che è conosciuto in tutto il mondo soprattutto per Shoah: nove ore e mezzo di documentario realizzato a partire da più di trecento ore di girato, tra il 1974 e il 1981. Il film è uscito nel 1985 ed è non soltanto una pietra miliare della cinematografia contemporanea ma anche, e forse soprattutto, la scoperta di quel passato da parte dell'Europa. La presa di coscienza che bisognava farci i conti. Lanzmann ha portato sullo schermo lo sterminio nazista per mettere lo spettatore nelle condizioni di «riconoscere» quella storia, di dover ammettere che gli appartiene, che non riguarda solo i volti muti delle vittime e le voci pesanti dei testimoni.
   È proprio vero che Lanzmann è riuscito a «dire l'indicibile» sul genocidio, usando la parola. Le scene, l'orrore, i camion di gas a Chelmo, Treblinka, le baracche di Auschwitz, il ghetto di Varsavia sono lo sfondo della parola, che è il mezzo con cui quell'orrore diventa un racconto interminabile, che va ben al di là delle sue nove ore e mezzo. Certo, dopo Shoah è venuto l'indimenticabile Schindler's List, è venuto l'impegno a raccogliere le testimonianze da parte di Steven Spielberg e altri, sono venuti tanti film e una quantità ormai incalcolabile di libri, documentari, rivisitazioni. Ma nulla è vagamente paragonabile a questo film, all'impatto che provocò, all'avvicendarsi di volti, voci, paesaggi sullo schermo. Shoah è stato e rimane l'abc dell'indicibile. Proprio perché Lanzmann si è sempre rifiutato di cercare le ragioni dello sterminio, e considerava osceno come la morte porsi la domanda sul perché, perché quel male non ha un perché, perché l'orrore è tale e basta.

 Indignato dall'ingiustizia
  Ma anche se ancora di recente aveva lavorato a Les quatre soeurs, quattro film andati in onda nel gennaio scorso sul canale francese «Arte», dedicati a quattro donne travolte dallo sterminio, Lanzmann non è stato solo l'autore di Shoah: è stato un intellettuale eclettico, vitale, sanguigno, sempre coinvolto nel presente, sempre indignato dall'ingiustizia, da qualunque parte provenisse. Chissà che direbbe del Barukh dayan haemet, «benedetto il Giudice di verità» che pronunciamo oggi in ebraico alla sua memoria, lui che era così innamorato della vita da non sentirsi certo «sazio di giorni» come il paziente Giobbe quando lasciò questo mondo.

(La Stampa, 6 luglio 2018)


Scambi tra Molise e Israele

In visita a Palazzo Vitale il portavoce del Congresso mondiale ebraico

 
Fabio Perugia (sin.) e Donato Toma
Incontro istituzionale questa mattina a Palazzo Vitale tra il presidente della Regione Molise, Donato Toma, e il portavoce in Italia del Congresso mondiale ebraico e vicepresidente dello 'Jewish Economic Congress', Fabio Perugia. Un confronto in cui sono state gettate le basi per un eventuale protocollo d'intesa fra Regione Molise e mondo ebraico. Perugia ha invitato il presidente Toma a visitare la Sinagoga e il Museo ebraico di Roma, incontrare le massime autorità religiose e i rappresentanti politico-amministrativi della Comunità ebraica della Capitale. Si è parlato anche della opportunità di un viaggio del presidente Toma in Israele, al fine di procedere ad una ricognizione dello sviluppo tecnologico raggiunto dal Paese in diversi settori produttivi nella Silicon Wadi, con particolare riferimento alla water technology.
    "L'incontro di oggi è il primo step di un percorso che, sono sicuro - ha commentato Toma - sarà foriero di interesse reciproco per la comunità molisana e quella ebraica".

(ANSA, 6 luglio 2018)


Normalità adulta

di Rav Alberto Moshe Somekh

Ho recentemente assistito a un Bar Mitzwah a Torino. In una Comunità piccola è ormai una rarità. Ma di questa Comunità in particolare apprezzo grandemente la sobrietà anche negli eventi più lieti: a mio avviso dovrebbe essere presa a esempio dagli altri. A cominciare dagli inviti. La famiglia ha scelto di non stampare cartoncini di partecipazione. In questa occasione si è limitata a diramare un messaggio via e-mail e whatsapp. Il risultato è stato che chi doveva esserci, chi veramente è vicino al festeggiato, c'era. Le Tefillot si sono potute svolgere con grande calore, ma senza la gazzarra di chi interviene senza capire, per puro dovere sociale e finisce presto per annoiarsi. Ma soprattutto senza l'imbarazzo del "vengo anch'io? No, tu no" perché non hai ricevuto l'invito formale. Questo complesso è tanto più sentito quanto più piccola è la Comunità: qui può accadere che frequentatori abituali disertino addirittura la Tefillah se sanno di un invito che non hanno ricevuto. Al Qiddush tutti i presenti erano indistintamente invitati.
   Ma andiamo con ordine. Per la mattina di Shabbat il Bar Mitzwah ha degnamente preparato due chiamate della Parashah. L'indispensabile per fare una figura più che dignitosa. Spesso il Bar Mitzwah è sentito come una gara di abilità fra chi si limita alla lettura di pochi versetti ("poverino"!) e chi invece è in grado di fare sfoggio dell'intera pericope settimanale.
   Peccato che in molti casi l'obbligo sociale che il proprio figlio non sia da meno degli altri o addirittura li superi non solo vada a detrimento di una preparazione "vera" al Bar Mitzwah, ma risulti per lui in una
Circumcision Set of the Torres Family - 1827 and 1866 - The Jewish Museum, New York

fatica improba senza senso. Molti ragazzi leggono con fatica l'ebraico pur frequentando le Scuole ebraiche e accumulare chiamate nella loro testa richiede uno sforzo immane. Una volta ho chiesto esplicitamente a uno di loro poco dopo il Bar Mitzwah: "ne prepareresti un'altra?" "Noooo" è stata la comprensibile risposta. Meno male che il Bar Mitzwah dovrebbe servire ad avvicinare i nostri figli al Bet ha-Kenesset!
   Al termine della lettura della Parashah il Bar Mitzwah ha tenuto una Derashah di commento. A mio avviso è questo un momento di grande importanza formativa sotto almeno tre diversi aspetti. 1) Deve studiare per preparare il discorso; 2) deve trasmettere gli insegnamenti ricevuti e 3) deve parlare in pubblico. I rabbini presenti gli hanno fatto eco con le loro prolusioni augurali e questo dovrebbe aver contribuito, almeno nelle intenzioni, a creare un'atmosfera di Torah intorno a lui. Il tutto si è concluso in modo assai sobrio con la Berakhah sul capo del Bar Mitzwah. Molti ritengono che questo momento vada enfatizzato oltre misura, facendolo oggetto quasi di una cerimonia nella cerimonia. Sono personalmente persuaso che ciò non sia opportuno, per non meno di tre diversi motivi. 1) Senza nulla togliere alla sua festa, si deve parimenti abituare il Bar Mitzwah al fatto che il ruolo da lui assunto quel giorno non è qualcosa di unico, eccezionale, ma semmai la prima di innumerevoli volte. Egli entra in quella che dovrebbe essere la sua normalità di persona adulta e partecipe. 2) Si ha l'impressione che l'enfasi sia dovuta anche alla consapevolezza non dichiarata che il Bar Mitzwah sia vissuto come l'ultimo evento del ciclo della vita prima del proprio funerale. Francamente mi rifiuto di pensarla così. Continuo a credere che prima o poi questo ragazzo si sposerà con un'ebrea e che vi sia spazio e tempo per nuovi e anche più intensi festeggiamenti. 3) Assistendo a certe cerimonie del genere in passato vi ho visto una brutta copia delle confermazioni riformate. Su questo punto ogni commento è superfluo: non è ciò che vogliamo. L'uscita dall'Egitto è il Bar Mitzwah del popolo ebraico. Il Bar Mitzwah è un momento di grande euforia in senso religioso. Si indossano i Tefillin, si promettono mari e monti, sarò un buon ebreo, ecc ecc .. I nostri Maestri spiegano che mentre lo Yetzer ha-Ra', l'Istinto del Male è presente nel bambino fin dalla nascita, lo Yetzer ha-Tov, l'Istinto del Bene entra in noi per la prima volta al Bar Mitzwah. E come non destinargli un'accoglienza degna del suo nome? Ma gli idilli, si sa, sono destinati a durare poco. Il dissidio fra il vecchio e il nuovo inquilino, fra lo Yetzer ha-Ra' e lo Yetzer ha-Tov così diversi fra loro è ben presto destinato a degenerare in una vera e propria guerra. L'Istinto del Male è simboleggiato da 'Amaleq.
   Questa guerra non è più affrontata in modo soprannaturale, come ai tempi dell'Egitto, ma impegna, se la si vuole vincere, tutte le nostre forze. La scoperta dell'età adulta comporta allettamenti, tentazioni, lusinghe, pigrizie alle quali dobbiamo sapere resistere.
   Non tutti ci riescono, perché non sono sufficientemente corazzati nell'affrontare la guerra di 'Amaleq e si perdono strada facendo. Dobbiamo sapere trovare nel nostro intimo una via di accesso alla Torah. Ma per arrivare a questo occorre un impegno costante di studio e di applicazione. E stolto chi pensa che l'impegno verso l'Ebraismo finisca con il Bar Mitzwah. Solo chi farà sua la Torah vincerà la guerra contro 'Amaleq e farà proprio il dono della Torah. Per questo i Dieci Comandamenti sono scritti al singolare. Si deve arrivare al punto che ciascuno di noi dica: osservo la Torah perché ci credo e la sento mia, non perché me lo dicono i genitori, gli insegnanti di scuola, il rabbino. Solo così facendo ci garantiremo un futuro ebraico.

(Pagine Ebraiche, luglio 2018)


Alture del Golan. Aiuti da Israele. «Una zona sicura per i profughi»

Per «Haarez» il governo israeliano avrebbe rivisto la strategia regionale: Assad «utile» per sradicare la presenza di Teheran.

GERUSALEMME - Il capo di Stato maggiore dell'esercito israeliano' Gadi Eisenkot, ha fatto visita ieri alla divisione «Bashan» di stanza sulle Alture del Golan, nel nord del Paese, dove ha tenuto una riunione sulla situazione al confine con la Siria, alla luce dei combattimenti che avvengono dall' altra parte della frontiera. L'esercito - ha fatto sapere un portavoce militare - è sempre pronto «ad ogni scenario, in modo da garantire la sicurezza nell'area» e «continuerà a fornire aiuti umanitari ai siriani sul posto». Ma, è stato ribadito, non verrà consentito l'ingresso nel territorio dello Stato ebraico agli sfollati siriani.
   Il sito israeliano Walla ha riportato che Israele avrebbe anche avviato colloqui con l'Onu per la creazione di una «zona sicura» nella Siria meridionale per le centinaia di migliaia di persone in fuga dai bombardamenti governativi (secondo l'Onu, sono 270mila profughi arrivati da metà giugno al confine con Israele e la Giordania). Alla questione siriana ha dedicato un approfondimento il quotidiano israeliano Haaretz in cui viene evidenziata una rimodulazione della strategia regionale del governo Netanyahu. Secondo l'analista Zvi Bar'el, Israele potrebbe considerare "utile" la permanenza al potere del presidente siriano Bashar al-Assad, nonostante la storica inimicizia, in considerazione del suo potere di leva indiretto, attraverso la Russia. Israele sin dal 2011 ha mantenuto una posizione neutrale rispetto agli avvenimenti in Siria, fornendo comunque assistenza e cure ospedaliere a formazioni ribelli che stazionavano vicine al confine. Citando fonti del ministero degli Esteri, Bar'el scrive che l'esecutivo israeliano è sempre stato diviso su Assad, e che questa indecisione prolungata avrebbe ora convinto i leader delle formazioni ribelli a ritenere che Israele sia tutto sommato favorevole alla sua permanenza al potere. Un progressivo scivolamento strategico sarebbe determinato dai rinnovati rapporti con Mosca, il più importante alleato di Assad. La Russia, scrive Bar'el, ha dato mano libera agli israeliani in Siria, permettendo loro di attaccare le posizioni iraniane e di Hezbollah in territorio siriano. E l'obiettivo israeliano di sradicare la presenza iraniana in Siria può essere raggiunto solo attraverso un accordo con Assad mediato dalla Russia.

(Avvenire, 5 luglio 2018)


Israele ammonisce la Siria sul Golan: chi entra nella zona cuscinetto sarà attaccato

Pesante e incisivo messaggio dell'esercito israeliano a Bashar al-Assad: «chiunque entri nella zona cuscinetto sarà considerato da Israele un target legittimo». Potranno entrare solo i profughi per ripararsi dagli attacchi dell'esercito siriano.

Quando si tratta di garantire la propria sicurezza Israele non scherza, soprattutto quando si parla del complicatissimo fronte nord. Ieri un alto funzionario della difesa israeliana attraverso la TV israeliana Channel 10 ha fatto avere ad Assad un messaggio inequivocabile: «se militari siriani o di altre formazioni armate riconducibili alla Siria o, peggio, all'Iran entreranno nella zona cuscinetto saranno considerati legittimi target»....

(Rights Reporters, 5 luglio 2018)


Salvini riceve l'ambasciatore di Israele Ofer Sachs

Ottima collaborazione su sicurezza che conto di rafforzare

 
Salvini e Sachs alla festa per i 70 anni dalla fondazione dello Stato di Israele
ROMA - "Auspico un bilaterale tra i nostri governi per rafforzare a tutto campo i rapporti di amicizia tra i due stati. Con Israele sussiste già un'ottima collaborazione in tema di sicurezza che conto di rafforzare. Una visita in Israele, al massimo entro il prossimo autunno, è tra le priorità della mia agenda internazionale". Così il vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'Interno Matteo Salvini al termine dell'incontro tenutosi questo pomeriggio al Viminale con l'ambasciatore dello Stato d'Israele in Italia, Ofer Sachs. Cybersicurezza, cooperazione in materia di lotta al crimine, processi migratori e contrasto al terrorismo internazionale i temi al centro dell'ampio scambio di vedute. "Israele è un paese attento a tutte le questioni che interessano l'area del Mediterraneo centrale, che segue con attenzione anche lo scenario geo-politico libico" - ha continuato Salvini - Plaudo a tutte le iniziative che possano portare pace e stabilizzazione in queste aree e so che Israele punta molto sulla collaborazione con i paesi africani". Durante l'incontro si è anche parlato del rafforzamento della cooperazione di polizia improntata sullo scambio reciproco di informazioni. "Esistono già impegni di collaborazione bilaterale - ha aggiunto il titolare del Viminale - che hanno dato ottimi risultati e che intensificheremo per prevenire e contrastare la criminalità nelle diverse forme e manifestazioni".

(askanews, 4 luglio 2018)


Israele crea una task force per tracciare i pagamenti dell’Autorità palestinese a terroristi

GERUSALEMME - Israele ha creato una task force incaricata di combattere il finanziamento al terrorismo e tracciare i pagamenti dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) ai terroristi condannati e alle loro famiglie. Lo ha annunciato oggi il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Liberman. La task force, denominata National Bureau for Counter Terror Financing, avrà il compito di attuare la nuova legge israeliana che prevede il taglio di fondi all'Anp per lo stesso importo versato ai terroristi. La legge è stata approvata ieri, 2 luglio, dal parlamento israeliano, la Knesset. Il nuovo ufficio sarà responsabile anche del monitoraggio dei finanziamenti ai gruppi terroristici in Israele e all'estero, così come del coordinamento tra ministeri del governo e agenzie di sicurezza. "La guerra al terrore poggia su due gambe: sicurezza ed economia. Stiamo lavorando per spazzare via il terrore con mezzi militari e al tempo stesso prosciugare le fonti del suo finanziamento", ha detto Liberman. L'ufficio sarà diretto da Paul Landes, ex capo del dipartimento riciclaggio e divieto di finanziamento al terrorismo del ministero della Giustizia, e sarà composto da rappresentanti delle Forze di difesa israeliane, del ministero della Difesa, dell'ufficio del primo ministro, della polizia israeliana, e dell'autorità antiriciclaggio. I sostenitori della nuova legge accusano il presidente dell'Anp, Mahmoud Abbas, di incoraggiare il terrorismo con i pagamenti ai terroristi e sostengono che la legislazione eliminerà gli incentivi per effettuare attacchi. Da parte sua, l'Anp si è rifiutata di interrompere i pagamenti e ha definito la legge una "dichiarazione di guerra". Altri hanno avvertito che la ritenuta delle entrate fiscali potrebbe far fallire l'Anp.

(Agenzia Nova, 4 luglio 2018)


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Terroristi palestinesi in carcere. L'Anp: "Continueremo a sostenerli"

L'Anp continuerà a versare un indennizzo ai cittadini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per terrorismo e ai loro familiari. A comunicarlo è il Ministero delle Finanze di Ramallah, in risposta alla legge che si ispira allo statunitense "Taylor Force Act", dedicato a un giovane americano ucciso nel 2016 da un terrorista palestinese, che è stata approvata lunedì dalla Knesset, il Parlamento di Israele, e che stabilisce la decurtazione di tali somme (corrisposte in proporzione alla pena: maggiore è la pena, maggiore è il sostegno finanziario) dai trasferimenti di denaro previsti dallo Stato ebraico all'Autorità.
   "La leadership palestinese, con a capo il Presidente Mahmoud Abbas, non abbandonerà i prigionieri e le famiglie dei martiri, che hanno sacrificato le loro vite per il bene della patria" si legge in una comunicazione delle scorse ore. Contestualmente l'Anp ha annunciato l'intenzione di dar battaglia anche in sedi internazionali affinché tale legge sia invalidata.
   "L'avevamo promesso, e oggi questa promessa è stata mantenuta. D'ora in poi ogni shekel (la moneta israeliana) che Abu Mazen pagherà ai terroristi e agli assassini sarà dedotto dal budget complessivo a disposizione dell'Autorità" aveva subito commentato il ministro israeliano della Difesa Avigdor Lieberman.
   Mentre Stuart Force, il padre di Taylor, invitato alla Knesset in occasione del voto, aveva detto: "Il mio augurio è che d'ora in poi, anche in altri paesi, cresca la consapevolezza sulla destinazione di aiuti che vengono destinati con ben altre intenzioni rispetto a quella di foraggiare dei terroristi".

(moked, 4 luglio 2018)


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In nome della pace, basta con la politica dei "pagati per uccidere"

L'Autorità Palestinese diffonde un messaggio molto chiaro: violenza e spargimenti di sangue pagano e arricchiscono, pace e riconciliazione no. La nuova legge israeliana punta a fermare questa assurdità.

Nel suo bilancio 2018, approvato a marzo dal presidente Abu Mazen, l'Autorità Palestinese ha destinato circa 360 milioni di dollari - pressappoco il 7% del suo budget - a due istituzioni che premiano terroristi condannati che scontano pene detentive in Israele, terroristi scarcerati e famiglie di terroristi: è quella che chiamiamo la politica del "pagati per uccidere".
Quelle poche righe di bilancio apparentemente innocue, che potrebbero facilmente sembrare una banale questione amministrativa, vanno in effetti al cuore stesso del motivo per cui il conflitto israelo-palestinese non riesce a trovare una soluzione. Ciò che indicano quelle poche righe di bilancio, e i massicci fondi che vi stanno dietro, sostenuti da finanziamenti provenienti da tutto il mondo, compresi Stati Uniti e Israele, è che l'Autorità Palestinese, benché sostenga ufficialmente di perseguire la pace, in realtà finanzia e promuove il meccanismo del rifiuto violento e del conflitto interminabile, un conflitto che ha già mietuto troppe vite da entrambe le parti....

(israele.net, 4 luglio 2018)


Il presidente slovacco: grandi possibilità di cooperazione con Israele nel settore informatico

BRATISLAVA - Israele è un leader mondiale nella tecnologia informatica, della protezione dei dati e della sicurezza informatica e percepisce la Slovacchia come un possibile oggetto di interesse per investimenti e cooperazione in questi settori. Lo ha detto il presidente del parlamento slovacco Andrej Danko dopo aver incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nel corso della sua visita ufficiale nel paese del Medio Oriente. Come riferisce l'agenzia di stampa "Tasr", Danko ha affermato di aver avuto "una buona discussione sulla cooperazione futura" con il premier israeliano. "La Slovacchia è percepita come un partner strategico e stabile per lo sviluppo della tecnologia", ha aggiunto il presidente del parlamento, aggiungendo poi che gli israeliani vedono possibilità di cooperazione anche nel settore automobilistico. Danko ha citato anche l'opportunità di collaborare con Israele in altre aree, come il turismo. Il presidente ha menzionato a questo proposito che ogni anno quasi 40 mila turisti arrivano da Israele in Slovacchia.

(Agenzia Nova, 5 luglio 2018)


Ex deportato ebreo: "Chi paragona noi ai clandestini è nauseante"

David Tuck è un deportato ebreo polacco che vive negli Usa. Gli è stato chiesto, alla luce dell'emergenza immigrazione e dei paragoni che in America e nel mondo vengono fatti tra deportati ebrei e clandestini attuali, cosa ne pensasse.
Gli è stato chiesto se, davvero, abbia senso il paragone tra i 'centri migranti' e i "campi di concentramento".
"Paragone nauseante. Non potete fare dei paragoni; ogni volta che sento questo paragone è nauseabondo… Ascoltatemi, io ci sono passato. Per favore. Questi non sono campi di concentramento; loro sono liberi. Ho fatto una ricerca su questi posti e mi sono detto… Tutti i materassi, il cibo, qualsiasi cosa… A quel tempo (quando è stato imprigionato dai nazisti) avrei potuto pensare che questi fossero dei country club".

(VoxNews, 4 luglio 2018)


Stop ai fondi per i palestinesi

Finanziano i terroristi. I governi di Usa e Australia contro Abu Mazen: neanche un dollaro a chi sostiene i kamikaze.

di Daniel MosserI

Il governo australiano ha interrotto i trasferimenti di denaro nelle casse di quello palestinese guidato da Mahmoud Abbas. L'annuncio è arrivato dalla ministra degli Esteri dell'Australia, Julia Bishop: «Il 29 maggio ho scritto all'Autorità palestinese (Ap) per ricevere garanzie che i nostri aiuti non siano utilizzati per assistere i palestinesi condannati per crimini motivati da violenza politica». Evidentemente Ramallah non ha saputo rassicurare Canberra. Il governo di Abbas -presidente dell'Autorità palestinese, dell'Olp e di Fatah - finanzia attivamente la violenza terroristica contro cittadini israeliani. Ad Abbas, meglio noto con il nome di battaglia di Abu Mazen, non fa differenza se i suoi concittadini attaccano e uccidono gli israeliani al di qua o al di là della Linea Verde, se accoltellano militari o investono civili: quel che conta è fare fuori gli ebrei. Secondo il Jerusalem Center for Public Affairs, a un accoltellatore arrestato spettano 400 dollari al mese, che schizzano a 3.400 se il «martire» ha ucciso un ebreo. In caso di condanna, la famiglia riceve altri 1.500 dollari e l'entità dell'emolumento cresce al crescere degli anni di carcere. La famiglia di un terrorista ucciso riceverà 100 dollari e la vedova 250 dollari mensili.
   Gli israeliani denunciano da anni l'ipocrisia di chi parla di pace all'Onu per poi finanziare il terrore, ma da oggi anche l'Australia guidata dai Liberali (conservatori) di Tony Abbott respinge il doppio gioco dell'Ap. E alla ministra Bishop piace parlare chiaro: «Qualunque supporto fornito dall'Olp a persone condannate per violenza politica è un affronto ai valori australiani». Il taglio dei trasferimenti vale 1 O milioni di dollari australiani all'anno, pari a 6,3 milioni di euro. Bishop ha anche aggiunto che il governo Abbott resta impegnato a favore dei palestinesi più vulnerabili, per cui i fondi saranno versati all'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. «Il 75% della somma», ha detto Bishop, «sarà speso a Gaza dove la situazione umanitaria continua a peggiorare».
   L'annuncio di Canberra fa il paio con un voto trasversale del Parlamento israeliano che ha appena approvato 87 a 15 un taglio dei trasferimenti da Israele ali' Ap pari ali' ammontare che questa versa alle famiglie dei terroristi. Secondo fonti della Difesa israeliana, Ramallah investe 198 milioni di dollari all'anno nel «Fondo per i famigliari dei martiri» e 160 milioni nel «Club dei prigionieri palestinesi», investendo il 7% del proprio bilancio.
   Fra i primi a sanzionare la politica dell'Anp ci sono alcuni deputati Usa che nel 2016 proposero il Taylor Force Act, un progetto di legge dedicato alla memoria del cittadino americano 29enne Taylor Force ucciso a coltellate durante un viaggio di studi in Israele da un «martire» palestinese. Approvata con voto bipartisan lo scorso marzo, la legge taglia i fondi Usa ali' Ap fintanto che questa finanzia il terrorismo.

(Libero, 4 luglio 2018)


Le mani turche su Gerusalemme. I Paesi arabi avvertono Israele

di Giordano Stabile

La Turchia di Recep Tayyip Erdogan estende la sua influenza su Gerusalemme Est e a mettere all'erta Israele sono i Paesi arabi e la stessa Autorità nazionale palestinese, preoccupata di vedersi estromessa in quella che è la battaglia simbolica più importante nel mondo islamico. Il leader turco è stato il più determinato a opporsi al trasferimento dell'ambasciata americana nella Città Santa e nel giro di sei mesi ha riunito due volte l'Organizzazione per la cooperazione islamica a Istanbul per tracciare la sua «linea rossa» a difesa dei luoghi santi sulla Spianata delle Moschee.
   Alla retorica panislamica erano seguiti, in apparenza, pochi fatti, a parte il richiamo dell'ambasciatore da Israele. Ma sotto traccia l'azione turca c'è stata: donazioni ad associazioni islamiste vicine ai Fratelli musulmani che operano a Gerusalemme Est, acquisto di proprietà in città, organizzazioni di tour «turistici» da parte di organizzazioni islamiste legate all'Akp, il partito di Erdogan, che hanno portato alla partecipazione alle proteste di migliaia cittadini turchi. Attivisti turchi, hanno confermato i servizi israeliani a Haaretz, «sono diventati una presenza regolare durante le manifestazioni del venerdì e negli scontri con le forze di sicurezza davanti alla Moschea di Al-Aqsa».
   L'attività turca però non è sfuggita ai servizi palestinesi, giordani e sauditi, che hanno avvertito le autorità israeliane. Le maggiori preoccupazioni sono ad Amman, che ha accusato Israele di «dormire in piedi» davanti al fenomeno. Re Abdullah è il «custode» della Spianata delle Moschee e teme di essere scavalcato e delegittimato: «Erdogan vuole mettere le mani sulla questione di Gerusalemme», è l'avvertimento. I servizi israeliani hanno replicato di «essere al corrente» della situazione che «seguono da vicino».
   La Giordania è convinta che la reazione israeliana sia «morbida» per via dell'accordo di riconciliazione del 2016, che ha messo fine a sei anni di crisi seguiti all'incidente sulla Mavi Marmara del maggio 2010 e per questo le forze di sicurezza non agiscono contro i cittadini turchi coinvolti nelle attività. Ma in realtà sia la Giordania che l'Autorità palestinese temono di perdere consensi fra la popolazione palestinese. A Ramallah e in Cisgiordania continuano le manifestazioni contro «l'accordo del secolo» proposto da Donald Trump e la «svendita» di Gerusalemme. E sono sempre più numerosi i ritratti di Erdogan branditi come nuova bandiera della causa palestinese.

(La Stampa, 4 luglio 2018)


Iran, la guerra della pioggia. «Israele ci ruba le nuvole»

Nel Paese la siccità sta mettendo a dura prova alcune zone. E spuntano le proteste A Teheran il generale Jalali denuncia: ci sono cambiamenti climatici «sospetti» Le montagne persiane non sono innevate, ma il servizio meteo frena: «nessun complotto»

di Franca Giansoldati

 
ROMA - La danza per la pioggia è ormai roba da preistoria. Oggi funzionano benissimo le sofisticate tecniche per inseminare le nuvole, capaci di provocare piogge e temporali laddove serve. Sicuramente una manna dal cielo per aree funestate dalla siccità, ma anche motivi per scatenare contenziosi di natura diplomatica. Proprio quello che sta accadendo tra Israele e Iran, due Stati contrapposti da sempre, caratterizzati da rapporti tesissimi e burrascosi, continuamente sull'orlo di una guerra.

 Le accuse
  «Israele ci sta rubando le nuvole». A lanciare l'allarme è stato un generale iraniano, comandante della difesa passiva, che ha denunciato senza mezzi termini Tel Aviv di agire in modo scorretto per appropriarsi di tutte le nuvole che si vanno formando in cielo. Secondo il generale di brigata Gholam Reza Jalali, i cambiamenti climatici che in questo ultimo periodo stanno mettendo a dura prova diverse regioni iraniane, a suo parere sarebbero quanto meno «sospetti». L'affermazione è stata fatta durante la conferenza nazionale sulla protezione delle persone e subito messa in risalto dall'agenzia Isna. La siccità che ha colpito tante città iraniane sarebbe frutto dell'azione malvagia del nemico, un complotto, anche se il servizio meteo nazionale ha in seguito corretto il tiro. Ma il generale Jalali ha insistito e confermato che «l'interferenza straniera è sospettata di aver influito sul cambiamento climatico. I nostri centri scientifici hanno condotto uno studio e il loro risultato conferma l'ipotesi». Non solo. Secondo il generale Israele avrebbe squadre congiunte che lavorano per assicurare che le nuvole che entrano nel cielo iraniano non siano in grado di scaricare la pioggia. «Siamo di fronte a un fenomeno di furti di nuvole e di neve», ha aggiunto Jalali che rincarando la dose ha citato una indagine interna che mostrerebbe che oltre i 2.200 metri di altitudine tutte le aree montane tra l'Afghanistan e il Mediterraneo sono coperte di neve, tranne che in Iran. Insomma un complotto a tutti gli effetti. Chissà se l'Iran ha davvero in mano documenti del genere ma sulla base delle conoscenze meteorologiche disponibili è il direttore dell'Istituto Meteo iraniano, Ahad Vazife, a ridurre un po' la portata dell'accusa spiegando che un paese non può rubare le nuvole, perché se così fosse «negli Usa non ci sarebbe una polizia dell'acqua e gli americani ruberebbero nuvole da altri paesi». La spiegazione fa riferimento al fatto che in California è stata istituita da oltre un secolo una speciale authority per controllare la conservazione delle risorse idriche dello stato californiano. «Il fatto è che l'Iran soffre di una prolungata siccità, e questa è una tendenza globale. Sollevare queste domande non solo non risolve nessuno dei nostri problemi, ma ci impedirà di trovare le giuste soluzioni» ha chiuso la polemica il direttore del servizio Meteo iraniano.

 Le tensioni
  Tuttavia la carenza d'acqua e i problemi legati alle risorse idriche stanno mettendo a dura prova la popolazione. Da circa tre settimane in alcune città del Sud - Khorramshahr e Abadan - sono state teatro di diverse manifestazioni di protesta per la cattiva qualità dell'acqua potabile. L'esasperazione ha portato a scontri tra i manifestanti e la polizia, e l'ultima volta è finita in una sassaiola. In tv il ministro dell'Interno ha però smentito che vi siano stati dei feriti. Fare piovere a comando è però ormai possibile. Non è fantascienza. Da una decina d'anni è stata sviluppata una tecnologia che riesce nell'intento e sta facendo fare quattrini a palate ad una azienda svizzera, la Meteo System International. Un tempo c'erano le danze della pioggia o le benedizioni del parroco, oggi per avere un bell'acquazzone si ricorre all'inseminazione delle nuvole. I leader di questa tecnologia sono gli israeliani, i cinesi e gli americani.

(Il Messaggero, 4 luglio 2018)


Per fermare l'Iran Israele crea la figura di "project manager"

di Vincenzo Nigro

L'esercito israeliano ha nominato un "project manager" per contrastare la presenza iraniana in Siria e in Libano. Il capo di stato maggiore Gadi Eisenkot ha affidato l'incarico al generale Nitzan Alon, che ha appena lasciato l'incarico di capo delle operazioni di Idf. La prima missione di Alon è stata accompagnare il capo di Stato maggiore in un viaggio negli Usa per incontrare i vertici militari. È la prima volta che Israele crea un posto di "project manager" nel suo esercito, il che conferma che la minaccia iraniana viene vista come il pericolo maggiore per il Paese. Alon sarebbe in corsa per diventare sottocapo di Stato maggiore. Sarà interessante capire quali operazioni di contenimento o anche offensive Israele vuole includere in questo progetto-Iran.

(la Repubblica, 4 luglio 2018)


Profughi siriani al confine con Israele

Duecentomila persone in fuga dai combattimenti a Dar'a

DAMASCO - Una crisi umanitaria difficile da contenere si sta profilando nel sud della Siria, in particolare al confine con Israele, dove - secondo l'Onu - sono circa 270.000 i civili in fuga dall'offensiva governativa nell'area di Dar'a, contro territori da anni fuori dal controllo di Damasco. Per altre fonti i profughi sarebbero più di 300.000. Mancano di tutto: non sanno dove dormire, non hanno nulla da mangiare, mancano di un'adeguata assistenza medica.
   Le autorità israeliane hanno lanciato una campagna chiedendo ai residenti nella regione delle alture del Golan, al confine con la Siria, aiuti di qualsiasi genere per i profughi che negli ultimi giorni si sono accampati dall'altra parte della frontiera. Già nei giorni scorsi l'esercito israeliano è intervenuto con aiuti alimentari di diverse tonnellate e 300 tende destinate ai profughi nell'operazione chiamata "Buon vicinato". I medici israeliani hanno anche curato sei siriani, di cui quattro bambini, feriti nelle battaglie. «I rifugiati - ha detto Eli Malka, capo del consiglio regionale del Golan - sono arrivati senza equipaggiamento di base. Accanto all'azione umanitaria dell'esercito, ho dato ordine di aprire i centri per la raccolta di aiuti supplementari in modo da far vivere ai rifugiati una vita dignitosa».
   La situazione è critica anche al confine con la Giordania. Amman ha detto di non poter accogliere altri profughi dopo averne ospitati circa 600.000 negli ultimi sette anni. Finora le autorità hanno inviato aiuti e medici oltre la frontiera come gesto di buona volontà. Il premier giordano, Omar Razzaz, si è recato ieri di persona al confine con la Siria; il ministero degli esteri di Amman ha confermato l'intenzione di coordinarsi con la Russia per cercare di trovare una soluzione politica alla crisi.
   Sul terreno continua l'offensiva lealista. Ma continuano anche i negoziati bilaterali tra delegazioni di Damasco e dei ribelli per negoziare una resa che possa risparmiare il maggior numero di civili. Le trattative sono iniziate venerdì, ma sono già saltate tre volte, fanno sapere i media. L'agenzia governativa San'a ribadisce che l'offensiva è contro «i terroristi» e non contro i civili, che vengono invece «protetti» e invitati ad abbandonare le aree in mano dei miliziani attraverso «quattro corridoi sicuri a nord e ad est di Dar'a». Tuttavia, le Nazioni Unite affermano che negli attacchi aerei e di artiglieria governativi finora sono stati uccisi almeno 46 civili e diversi sono stati feriti. L'Osservatorio siriano dei diritti umani (voce dell'opposizione in esilio a Londra) parla invece di 132 vittime tra i civili.

(L'Osservatore Romano, 4 luglio 2018)


Hamas spia Israele usando app di incontri

L'ultima trovata di Hamas per spiare i soldati israeliani è
convincerli a scaricare due false app di dating e una sui Mondiali di calcio che consentivano al gruppo pieno accesso ai dati dello smartphone. Lo strumento utilizzato per le app è Google Play. Sono stati almeno un centinaio i militari a cadere nella trappola. Nei falsi profili sui social network i miliziani di Hamas chattavano in ebraico e si fingevano donne attraenti.

(Corriere della Sera, 4 luglio 2018)

Netanyahu minaccia Hamas: "prezzo insostenibile" in caso di escalation

GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha minacciato il movimento palestinese Hamas di un "prezzo insopportabile" se scatenerà un conflitto con lo Stato ebraico. Nel corso di una cerimonia per i caduti della guerra Hamas-Israele del 2014, Netanyahu sottolinea che il gruppo che amministra la Striscia di Gaza dal 2007 non è riuscito a realizzare uno dei suoi obiettivi principali: "Isolare Israele sulla scena internazionale". Per il capo dell'esecutivo israeliano "non solo non è successo, ma è successo esattamente l'opposto. Anche gli Stati arabi - o i principali Stati arabi - si sono identificati con la nostra posizione e oggi ho ragione di credere che sia doppiamente vero". Infine, Netanyahu ha detto: "Raccomando ai leader di Gaza di scegliere con calma. Se scelgono l'escalation, il prezzo che pagheranno sarà per loro insopportabile".

(Agenzia Nova, 3 luglio 2018)


Qatar annuncia trattative indirette tra Hamas e Israele

Il movimento palestinese di Hamas è in trattative indirette con Israele per trovare una soluzione alla crisi di Gaza, secondo quanto ha riferito un diplomatico del Qatar, domenica 1 luglio.
   "L'amministrazione statunitense è a conoscenza dei colloqui", ha riferito all'agenzia di stampa cinese Xinhua il presidente del comitato qatariano per la ricostruzione a Gaza, l'ambasciatore Mohammed al-Emadi. Quest'ultimo, a seguito di una visita nella Striscia di Gaza, ha riferito che nessuna intesa è stata ancora raggiunta, ma i negoziati sono in corso e mirano a stabilire un "accordo globale" per alleviare la crisi umanitaria nel territorio, che si trova sotto un blocco israeliano di terra, mare e aria dal 2007.
   Occorre ricordare che in seguito alla vittoria elettorale di Hamas nella Striscia di Gaza, dal giugno 2007, Israele ha imposto un blocco terrestre, navale e aereo su tale territorio. Più di 2 milioni di palestinesi vivono all'interno della Striscia, in una situazione che si è fatta sempre più problematica in occasione di scontri tra Israele e gli abitanti dell'enclave. Gli scontri più recenti sono quelli iniziati il 30 marzo, data dell'inizio delle proteste definite come Marcia del Ritorno. Durante tali manifestazioni, durate sette settimane, con l'obiettivo di protestare per il ritorno della popolazione palestinese nei territori persi a seguito delle guerre arabo-israeliane, sono stati uccisi 129 palestinesi, inclusi 15 bambini, e sono state ferite più di 12.000 persone. Gli scontri al confine hanno raggiunto il picco il 15 maggio, quando 40.000 abitanti di Gaza hanno protestato lungo la recinzione, risultando nella morte di almeno 60 palestinesi. Tali accadimenti si sono verificati il giorno dell'apertura dell'ambasciata statunitense a Gerusalemme.
   L'ambasciatore qatariano ha aggiunto che gli Stati Uniti hanno recentemente presentato alcune iniziative per alleviare la crisi nella Striscia di Gaza, come parte del cosiddetto piano di pace del presidente americano Donald Trump, definito come "l'accordo del secolo". Al-Emadi ha riferito che i progetti sono stati presentati dal consigliere di Trump, Jared Kushner, e dall'inviato statunitense in Medio Oriente, Jason Greenblatt, durante le loro recenti visite ufficiali in Israele, Qatar, l'Arabia Saudita, l'Egitto e la Giordania. In questo tour mediorientale non hanno fatto tappa nei Territori Palestinesi.
   Emadi ha dichiarato che le iniziative previste per Gaza includeranno la fornitura di beni di prima necessità come l'elettricità, la desalinizzazione dell'acqua potabile, un aumento delle opportunità di impiego e il rilancio della produzione nella Striscia. "Abbiamo chiesto di rimuovere il blocco su Gaza e abbiamo sottolineato agli americani e agli israeliani la necessità di raggiungere questo obiettivo, e stiamo lavorando su questo, ma finora non abbiamo raggiunto alcun risultato", ha dichiarato Emadi. L'ambasciatore qatariano ha, inoltre, evidenziato che il Qatar aspetterà l'approvazione dell'Autorità palestinese per l'attuazione di qualsiasi progetto nella Striscia di Gaza. "Non interferiremo senza il consenso e la presenza dell'Autorità palestinese", ha sottolineato.

(Sicurezza Internazionale, 4 luglio 2018)


L'esercito israeliano ferma hacker di Hamas

Usate app su incontri, fitness e Mondiali

L'esercito israeliano ha sventato, con un'operazione denominata 'Cuore Infranto', il tentativo di Hamas di hackerare i telefoni di centinaia di soldati israeliani di stanza intorno a Gaza. Il cavallo di Troia erano app di incontri, di fitness e anche dei Mondiali di calcio, attraverso le quali si ottenevano informazioni sensibili sull'esercito e su alcune delle sue basi attorno alla Striscia. Le app - secondo i media - consentivano ad un software maligno controllato da Hamas di inserirsi negli smartphone con il sistema Android permettendo alla fazione di accedere a foto, numeri di telefono ed indirizzi email dei soldati ed anche di controllare da lontano le camere e i microfoni del cellulare stesso. In alcuni casi - hanno aggiunto i media - Hamas è stata in grado di filmare ciò che avveniva nelle basi militari israeliane senza che i soldati lo sapessero. Una delle app usata da Hamas era dedicata agli incontri e un'altra si chiama 'Golden Cup' e fornisce in tempi reali notizie sui Mondiali.

(ANSAmed, 3 luglio 2018)


La rete dei porti tra Campania e Israele

I porti della Campania sono collegati già oggi con il sistema portuale israeliano.

di Pietro Spirito*

L'economia israeliana continua a manifestare un elevato dinamismo: realizza un Pii pro-capite superiore a quello italiano, continua a crescere al ritmo del 4% annuo, gli investimenti diretti esteri hanno superato i 100 miliardi di dollari ed incidono per oltre il 36% sul Pii. Il valore del commercio tra Italia ed Israele è pari a quasi 4 miliardi di dollari, con una bilancia commerciale attiva per il nostro Paese per quasi due miliardi. L'Italia ha una quota di mercato sulle importazioni israeliane pari al 5,3%. Il Mezzogiorno d'Italia contribuisce all'export italiano in Israele solo per poco più di 200 milioni di dollari anno, pari al 7,7% del totale delle esportazioni italiane. Su questo fronte si può certamente intensificare l'attività per rafforzare i legami commerciali. Tel Aviv è considerato il miglior ecosistema per le start-up a livello mondiale, con 4mila nuove imprese tecnologiche e circa 300 centri di ricerca di grandi player mondiali. In vista dell'avvio della Zona economica speciale per la Campania, centrata sui porti di Napoli, Salerno e Castellammare, si può delineare un modello di collaborazione fondato sulla industrializzazione delle start up di successo israeliane, contando da un lato sulle competenze tecnologiche israeliane e dall'altro sui vantaggi di localizzazione che la Zes determina, anche dal punto di vista delle misure italiane per il sostegno ad Industria 4.0. Va in questa direzione anche il recente annuncio del presidente della Regione, Vincenzo De Luca, che ha sottolineato di star lavorando con fondi sovrani esteri per aprire un centro di ricerca e di produzione per droni con tecnologia israeliana nei pressi dell'aeroporto di Grazzanise.
   Lo sviluppo dell'economia israeliana dipende dalla efficienza dei porti e dei collegamenti. Il trasporto marittimo vale 157 miliardi di dollari. Le connessioni marittime garantiscono il 99% degli scambi in volume, e 1'80% in valore. I due principali porti sul Mediterraneo - Haifa ed Ashdod - intercettano oltre il 90% dell'intero traffico cargo del Paese.
   Nel 2005 è stata realizzata in Israele una riforma portuale che ha introdotto una nuova struttura organizzativa, fondata su cinque strutture di gestione: l'Administration ofshipping and ports (Asp), che regola il traffico marittimo, le infrastrutture e gli operatori; l'Israeli ports development & Asset Company (IPC), proprietario dell'infrastruttura e responsabile per lo sviluppo commerciale dei porti di Haifa, Ashod ed Eilat; le tre società di gestione dei tre principali porti del Paese, che rispondono all'IPC (Haifa Port Company, Ashdod Port Company, Eilat Port Company). Il Porto di Eilat è stato privatizzato nella gestione dal 2012, per un periodo di 15 anni, rinnovabile per altri 10: il gestore è Papo Maritime Ltd. Sono in corso consistenti investimenti per il potenziamento delle principali infrastrutture portuali strategìche pubbliche, con un ruolo significativo dei cinesi nella realizzazione e nella gestione: la China Harbour Engeneerìng Cornpany (CHEC) ha firmato il contratto per la costruzione del nuovo terminal container di Ashdod, che è stato affidato in gestione per 25 anni al Gruppo MSC, mentre la Shangai International Port Group ha ottenuto la concessione per la gestione per 25 anni del nuovo terminal container in Haifa. Tra Haifa Bayport e Ashdod Southport sono previsti investimenti complessivi per 4 miliardi di dollari, tra investimenti pubblici ed attrezzaggio privato dei terminal: la capacità produttiva del traffico contenitori passerà dagli attuali 3 milioni a 6 milioni di Teus anno.
   Già per supportare questa prima fase di crescita sono previsti investimenti per l'adeguamento della rete ferroviaria nelle connessioni tra i due principali porti ed il resto del Paese. Sono in costruzione due nuove linee ferroviarie; la Jezreel Valley Railways, per connettere Haifa con le zone industriali ed agricole del Paese, ed una per assicurare il collegamento tra Tel Aviv ed Eilat sul Mar Rosso. Successivi programmi in fase di studio da parte del governo israeliano prevedono di portare la capacità produttiva dei terminai container sino a 10 milioni di teus su base annua: diventeranno ancora più strategici i collegamenti stradali e ferroviari, in assenza dei quali non potranno essere realizzati incrementi di traffico di tali dimensioni.
   I porti della Campania sono collegati già oggi con il sistema portuale israeliano. Con la rete delle Autostrade del Mare il Gruppo Grimaldi assicura un servizio settimanale da Salerno per Ashdod. Per i servizi container esiste un servizio settimanale da Napoli per Ashdod ed un servizio settimanale da Salerno per Haifa. Esistono quindi le condizioni per servire in modo adeguato uno sviluppo delle esportazioni campane verso Israele.
   Nel corso della recentissima missione effettuata in Israele tra il 24 ed il 27 di giugno, abbiamo ragionato con le autorità locali su possibili intensificazioni di rapporti, che si basano innanzitutto su una maggiore cooperazione nell'ambito della ricerca connessa all'economia marittima, soprattutto dal punto di vista della digitalizzazione e dello sviluppo tecnologico. Nel Mediterraneo c'è spazio per una maggiore integrazione delle attività e dello sviluppo economico.

* L'autore è presidente della Autorità di Sistema del Mar Tirreno Centrale

(la Repubblica - Napoli, 3 luglio 2018)


La bandiera di Israele al raduno. Il populismo non è antisemita

I più ostili verso gli ebrei sono sempre stati i progressisti

di Fiamma Nirenstein

 
Se qualcuno facesse vedere a Jeremy Corbyn o a Tayyip Erdogan la bandiera d'Israele che sventolava a Pontida, i due, ciascuno per la sua strada, avrebbero che dire: il primo lo giudicherebbe un colpevole segno del nesso fra Israele e la destra il nazionalismo e il populismo; il secondo lo vedrebbe come un segno di islamofobia e di evidente odio antipalestinese e quindi antiarabo. Quanto agli ebrei italiani ed europei, il mio popolo, di certo in gran parte si domandano come allontanare da sé questo amaro calice per seguitare a bere da quello della sinistra. Perché ebrei e sinistra sono stati per molti decenni, ovvero dalla battaglia contro il nazifascismo e le persecuzioni, mutualmente legati, moralmente dipendenti, e anche dopo che la storia ha preso tante strade, compresa quella dello stalinismo antisemita omicida, stentano a strappare il cordone ombelicale. Cosicché gli ebrei sono sempre molto attenti ai segnali di antisemitismo di destra (e fanno bene), ma (e fanno male) non sono per niente all'erta di fronte al quotidiano, assordante, attacco antisemita che, travestito da critica a Israele, ogni giorno proviene da sinistra e dal mondo islamico in Italia.
   Salvini ha detto più volte di essere amico di Israele: è un fatto da apprezzare e da mettere alla prova. Sono tutti in prova, ma una buona prova, non una trappola: Sebastian Kurz d'Austria sembra sincero quando dichiara che i suoi conterranei devono assumersi la responsabilità per i loro crimini contro gli ebrei e dichiara il suo sostegno allo Stato ebraico; anche l'Ungheria si è schierata contro le ignobili operazioni di labeling dei prodotti israeliani adottate dall'Unione europea; i polacchi si sono molto impegnati fino a tornare indietro in parlamento dalla risoluzione che li assolveva dai crimini della Shoah; la Romania, la Repubblica ceca, la Slovacchia, l'Ungheria e forse la Polonia meditano abbastanza esplicitamente di portare le loro ambasciate a Gerusalemme.
   Sono Paesi alieni dall'antisemitismo? Direi di no. Nemmeno l'Italia lo è, questo non vuol dire che Salvini ne sia parte solo perché è della Lega. I governi di destra sono privi di elementi antisemiti? Certo che no. Ma sfido a indicare un solo Paese europeo in cui il mostro sia stata eliminato in seno alle classi dirigenti, di destra e di sinistra. Parola di ebrea. Romano Prodi nel 2004 bloccò la pubblicità di un'indagine sull'antisemitismo perché l' antisemitismo islamico ne usciva come un'idra spaventosa. Quell'idra ha seguitato a perseguitare e uccidere ebrei in Francia, Belgio, Inghilterra, Paesi Bassi.
   In Europa c'è antisemitismo? Di certo. È opera della destra? No, è israelofobia antisemita di sinistra. Chi teme che dal populismo possa uscire un'ondata antiebraica non tiene conto del fatto che qui mancano molti degli elementi che ne hanno fatto nel secolo scorso un movimento di massa: gli ebrei non sono ritenuti i responsabili del fallimento dell'euro o dell'Ue, non sono cospiratori stranieri antioccidentali sospettati di avere creato malessere, non hanno a che fare con la vicenda dell'immigrazione in Europa, semmai sono sempre accusati da sinistra di essere troppo occidentali, familisti, conservatori, mai connessi al declino delle nascite, o alla crisi della famiglia ... Insomma a temi interessanti per gli antisemiti di destra.
   Con questo, certamente la destra ha i suoi odiatori di ebrei, eccome, in alcuni casi possono essere ultrà, neonazisti, violenti e pericolosi, ma i movimenti e i governi eurocritici oggi come oggi non possono essere visti come un pericolo antisemita in sé e per sé, in quanto esistenti, mentre la terribile onda di antisemitismo che spazza l'Europa, senza precedenti da dopo la guerra, ha tutt'altre origini.

(il Giornale, 3 luglio 2018)


Siria, 270.000 profughi ai confini con Israele

Dopo l'offensiva cli Assad centinaia di tendopoli in pochi giorni. La Giordania e lo Stato ebraico non aprono le frontiere

di Giordano Stabile

Una città di tende, baracche, pezzi di lamiera appoggiati uno sopra l'altro è sorta all'improvviso, nel giro di pochi giorni ed è cresciuta a dismisura, 10, 30, 70 mila abitanti. Migliaia di famiglie che premono al posto di frontiera di Nassib, il più importante fra Siria e Giordania, preso d'assalto dalle truppe di Bashar al-Assad. È l'ultima crisi umanitaria siriana, dopo quelle nelle province di Homs, Aleppo, che negli anni scorsi hanno creato milioni di profughi. Ora è la volta della provincia di Daraa, nel Sud-Ovest del Paese, un triangolo strategico a cento chilometri da Damasco e incuneato fra il confine giordano e le Alture del Golan. Dopo la conquista della Ghouta orientale, era il principale obiettivo del raiss. L'offensiva, cominciata 10 giorni fa, è andata spedita, con decine di villaggi e cittadine riconquistati. Oltre metà dell'area è ora nelle mani del regime ma 270 mila persone sono rimaste senza casa, in fuga.
  La Giordania ha accolto soltanto una dozzina di bambini, con gravi ferite, che saranno curati e poi rimandati in Siria. L'esercito israeliano ha fornito tende, cibo, medicinali e ha evacuato alcuni feriti, civili. Ma sia la Giordania che Israele hanno detto chiaramente che «non accoglieranno profughi».

 Crisi e rischio jihadisti
  Il governo di Amman, contestato per le misure di austerità imposte dalla crisi e dal Fondo monetario, già non sa come fronteggiare le esigenze di 670 mila rifugiati siriani, che affollano immensi campi profughi, come quello di Zaatari, quasi centomila persone in due chilometri quadrati. Il regno hashemita, come Israele, teme però anche infiltrazioni di jihadisti. La provincia di Daraa era controllata dall'Esercito siriano libero ma anche dal gruppo islamista Hayat al-Tahrir al-Sham.
  Le difese ribelli sono state travolte dai raid dell'aviazione siriana e russa e dalle avanguardie corazzate della Quarta divisione meccanizzata e dell'unità d'élite Qawat al-Nimr, le Tigri. Assad vuole chiudere la partita in poche settimane. Dopo la provincia di Daraa toccherà a quella di Quneitra, adiacente al Golan, dove Israele ha già inviato rinforzi, compresi reparti corazzati. Ma la rapidità dell'avanzata ha sorpreso anche le organizzazioni umanitarie. «Ci aspettavamo al massimo 200 mila sfollati - ha ammesso Mohammed Hawari, portavoce dell'Agenzia Onu per i rifugiati in Giordania-, siamo già arrivati a 270 mila». Le Nazioni Unite hanno confermato che 70 mila sono al valico di Nasib, con «scarso accesso ad acqua e cibo», mentre le truppe governative sono arrivate ad appena tre chilometri. «Gli abitanti di Daraa sono in trappola, nel costante timore di essere colpiti - ha precisato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International -: il confine giordano è l'unica strada verso la salvezza». Ma Amman, fino a ieri sera, sembrava irremovibile.

(La Stampa, 3 luglio 2018)


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Trump e Putin trattano il ritiro Usa dalla Siria, i curdi si accordano con il regime

di Giordano Stabile

La Siria sarà al centro del colloqui nel vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin a Helsinki il 15 luglio. Secondo il Frederic Hof, ex consigliere del Dipartimento di Stato per la transizione in Siria, citato dalla Nezavisimaia Gazeta, il presidente americano sarebbe pronto a ritirare le truppe americane dal Nord-Est della Siria, dove stazionano oltre 2000 militari, e in cambio otterrebbe il ritiro dei consiglieri iraniani e delle milizie sciite libanesi e irachene dal Sud-Ovest, vicino al confine con Israele.

 Fascia di sicurezza di 80 km
  Il possibile accordo, con la creazione di una zona cuscinetto profonda 80 chilometri, senza "presenza iraniana", è stato anticipato anche da media israeliani come Haaretz e Jerusalem Post, ed è stato discusso dal premier Benjamin Netanyahu con Putin e Trump nei suoi incontri bilaterali con i leader delle due potenze. Mosca avrebbe garantito a Netanyahu che non interferirà con eventuali raid israeliani su postazioni militari iraniane, in caso di mancato rispetto degli accordi.

 Assad avanza nel Sud-Ovest, 270 mila sfollati
  L'evoluzione sul terreno è altrettanto rapida. Le truppe di Bashar al-Assad hanno conquistato quasi tutta la provincia di Daraa, nel Sud-Ovest, e sono ora a soli tre chilometri dal posto di frontiera di Nasib, il più importante con la Giordania, dove passa l'autostrada Damasco-Amman. I ribelli dell'Esercito libero siriano si sono arresi in massa, mentre i jihadisti vicini ad Al-Qaeda si sono sostati nella parte occidentale della provincia e in quella di Quneitra, a ridosso del Golan. Le operazioni e i raid hanno causato però oltre 270 mila sfollati, ammassati alla frontiera.

 Le mosse dello Ypg
  Per questo Israele, oltre ad aver inviato rinforzi nel Golan, ha chiesto garanzie a Washington e Mosca. Ma l'evoluzione diplomatica e militare ha messo in allarme anche i curdi dello Ypg, che costituiscono gran parte delle Forze democratiche siriane e sono sostenuti dagli Stati Uniti. Una delegazione è arrivata a Damasco nelle scorse settimane e ha concluso con il regime una bozza di accordo per una eventuale "riconciliazione".

 I punti della "riconciliazione"
  Il pre-accordo non prevede che le Forze democratiche siriane (80 per cento curdi) siano integrate nelle forze armate regolari. Ai combattenti saranno riconosciuti gli anni passati nelle file delle Sdf, come se avessero fatto il militare, e quindi la maggior parte potranno tornare a casa. I simboli del Pkk/Ypg, come i ritratti di Abdullah Ocalan, saranno rimossi. I posti di frontiera di Tal Kojar e Simalka, a confine con l'Iraq, e Al-Darbasiyah e Ras Al-Ayn, alla frontiera turca, passeranno sotto controllo dell'esercito. Ai curdi sarà concesso l'uso del curdo come seconda lingua ufficiale e nelle scuole. Al ministero del petrolio siederà un rappresentante curdo.

 Garanzie nei confronti della Turchia
  Fonti vicine al governo di Damasco sostengono che l'accordo sarà applicato in parte già nei prossimi giorni, con pattuglie congiunte fra Ypg ed esercito regolare nella città di Hasakah, dove è sempre rimasto presente un contingente dell'esercito regolare. Il pre-accordo serve ai curdi dello Ypg come garanzia in caso di ritiro americano, ma anche come mezzo di pressione nei confronti di Washington, in modo da avere protezione anche dagli Stati Uniti nei futuri equilibri in Siria, specie nei confronti delle minacciate operazioni da parte della Turchia.

(La Stampa, 2 luglio 2018)


Israele, venti di guerra: artiglieria pesante al confine con la Siria

di Ada Oppedisano

GERUSALEMME, - Domenica, il portavoce del Comando settentrionale dell'IDF (Forze di difesa israeliane), alla luce di una valutazione della situazione siriana, ha annunciato che l'esercito israeliano ha rafforzato la presenza delle proprie truppe sulle alture del Golan, vicino al confine con la Siria, dove sono state schierate forze d'artiglieria pesante e mezzi corazzati a seguito degli sviluppi bellici a sud del territorio siriano, dove le forze di Assad si avviano verso la conquista definitiva della zona. L'IDF attribuisce "grande importanza al mantenimento dell'accordo di separazione del 1974 tra Israele e Siria" ha affermato il portavoce. "Mentre l'IDF continuerà a mantenere il principio di non coinvolgimento nella guerra civile siriana, continuerà a sua volta una politica di ferma reazione limitatamente ai casi in cui la sovranità israeliana venga messa in discussione e i civili israeliani siano minacciati", ha poi aggiunto il portavoce dell'IDF.
   Nel frattempo, il primo ministro Benjamin Netanyahu, all'inizio della riunione settimanale del gabinetto, ha annunciato che Israele darà il maggior aiuto umanitario possibile ai rifugiati siriani vicino al confine nella parte meridionale delle alture del Golan, ma non permetterà loro l'ingresso in Israele. "Continueremo a proteggere i nostri confini", ha sottolineato Netanyahu.
   Secondo stime dell'intelligence israeliana in Siria sono migliaia i consiglieri iraniani e gli ufficiali della Guardia Rivoluzionaria iraniana, circa 9.000 i combattenti della milizia sciita (provenienti dall'Afghanistan, dal Pakistan e dall'Iraq) e altri 7.000 di Hezbollah. E' questo il reale timore di Israele: l'offensiva dell'Esercito Arabo Siriano nella Siria sudoccidentale, potrebbe avvicinare le truppe della milizia iraniana e sciita ai confini settentrionali di Israele, una linea rossa per Tel Aviv. Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Liberman ha sottolineato, infatti, che l'obiettivo di Israele è rimuovere le forze iraniane e di Hezbollah da tutta la Siria e ha ribadito che Israele agirà immediatamente contro qualsiasi tentativo di trinceramento da parte delle forze sciite che supportano il legittimo governo di Bashar Al Assad.

(Il Primato Nazionale, 2 luglio 2018)


"Negoziati indiretti" tra Hamas e Israele

ROMA - Da qualche giorno proseguirebbero negoziati indiretti tra i leader di Hamas e del governo israeliano, mediati dal Qatar e dall'Egitto, per trovare una soluzione alla crisi di Gaza. A confermarlo all'agenzia di stampa cinese 'Xinhua', l'Inviato speciale delle Nazioni Unite per Gaza, il qatarino Muhammad al-Amadi, il quale ha aggiunto che "gli Stati Uniti sono al corrente" dei negoziati.
   La notizia circolava sulla stampa mediorientale già da qualche giorno in modo ufficioso. I colloqui punterebbero a porre fine al blocco commerciale imposto da Israele su Gaza nel 2007 e all'implementazione di un cessate il fuoco. Da fine marzo, nelle ripetute marce di protesta al confine con Israele, secondo stime dell'Onu avrebbero perso la vita oltre cento palestinesi.
   La stampa araba oggi riporta inoltre che Mahmoud Abbas, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), avrebbe incontrato nei giorni scorsi l'ex-primo ministro Salam Fayyad, per convincerlo a formare un governo di Unità nazionale tra Hamas e Fatah, i partiti che amministrano rispettivamente la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.
A riferirlo sono fonti vicine ad Abbas citate dal quotidiano arabo 'Asharq Al-Awsat', secondo cui la mossa servirebbe a riunire le autorità dei due territori, e indire al più presto le elezioni politiche. In questo modo, Abbas punterebbe a rendere politicamente più forti i Territori palestinesi, in modo da contrastare l'iniziativa degli Stati Uniti di trasformare Gaza e Cisgiordania in due entità politiche distinte, come contenuto nell'accordo di pace proposto recentemente.
   Stando alle stesse fonti, il colloquio sarebbe durato oltre due ore, e alla fine Salam Fayyad avrebbe acconsentito ad assumere l'incarico di primo ministro, una volta che i vertici di Hamas e Fatah si saranno espressi favorevolmente.

(Dire, 2 luglio 2018)


Primi risultati per nuovo progetto Xplora Seat in Israele

Dopo una selezione tra 100 startup, Seat lavora in Israele su 8 progetti high tech

 
Dopo una selezione tra 100 startup, Seat lavora in Israele su 8 progetti high tech
ROMA - Conclusa, a nove mesi dall'avvio,la prima fase del progetto Xplora avviato in Israele da Seat e da Champion Motors Ltd, l'importatore del marchio spagnolo del Gruppo Volkswagen in quel Paese. Xplora ha l'obiettivo di favorire la relazione con start up e attori del settore della mobilità in Israele e identificare progetti innovativi che possano sfociare in nuove soluzioni e modelli di business per Seat. ''Questa prima tappa è stata al contempo entusiasmante e intensa - ha commentato Matthias Rabe, vicepresidente ricerca e sviluppo Seat - abbiamo incontrato oltre 100 aziende analizzandone 40 in profondità e abbiamo deciso di intraprendere con 8 di esse delle prove di concetto. Stiamo studiando con i nostri partner in che modo poter adattare le loro tecnologie alle auto e ai sistemi di Seat, per poter apportare innovazioni reali. La decisione di compiere questo importante passo è mossa da motivazioni strategiche - ha concluso Rabe - poiché ambiamo a essere riconosciuti come impresa tecnologica promotrice della mobilità e non solamente come costruttori di auto''. Il progetto entra ora nella seconda fase, iniziata con la definizione di nuovi Xplorers, tra cui spiccano uno specialista in tema di digital key e cybersicurezza nell'area dello sviluppo tecnico e tecnologico e un esponente del team di business development della neonata Xmoba. Con quest'ultima l'attività degli esperti si concentrerà sull'identificazione di nuove soluzioni di mobilità ed esperienze migliorate per il Cliente in aree quali assistenza alla guida, mobilità intesa come servizio, soluzioni per auto elettriche, cybersicurezza o ancora industria 4.0. ''Applicazioni ottimizzate di hardware - ha spiegato Arantxa Alonso, direttore esecutivo di Xmoba - possono portare valore per migliorare l'esperienza di guida, mentre le nuove soluzioni a livello di software possono essere sfruttare per sviluppare una mobilità migliore. Tra i progetti sottoposti alla prova di concetto come possibili soluzioni di mobilità, ne spicca uno mirato alla sostituzione dei biglietti per i trasporti pubblici con un sistema digitalizzato di riconoscimento del passeggero che permetterebbe di implementare una modalità di tariffazione personalizzata, oltre a fornire ai gestori delle infrastrutture informazioni rilevanti sui modelli di mobilità.
   Punta invece al miglioramento dell'esperienza di guida un progetto legato ad una nuova utilizzazione dei vetri dell'auto: Seat sta infatti analizzando un sistema di proiezione laser che consenta di utilizzarli come display. Nel contempo, la Casa automobilistica sta vagliando delle soluzioni legate al sistema di informazione e comunicazione all'interno dell'auto. Si tratta di una tecnologia all'avanguardia che permette di far arrivare il suono direttamente all'udito del conducente o dei passeggeri in maniera diretta e individualizzata. La sua possibile implementazione è attualmente sotto analisi con l'obiettivo di essere integrata nell'auto nel breve periodo. La percorribilità di ciascuno di questi progetti è attualmente oggetto di analisi attraverso prove di concetto e sarà determinata nei prossimi mesi.

(Giornale di Sicilia, 2 luglio 2018)


Per il 77% degli israeliani il piano di Trump fallirà

Il 74% degli israeliani ritiene che il piano di pace che il presidente Donald Trump si appresta a presentare sia destinato al fallimento, nonostante il 77% dello stesso campione ritenga il capo della Casa Bianca il miglior sostenitore degli interessi dello stato ebraico. Lo rivela un sondaggio del 'Peace Index of the Israel Democracy Institute' e della 'Tel Aviv University' pubblicato oggi. Sulla situazione in corso a Gaza, l'83% degli israeliani ebrei pensa che l'esercito debba sparare direttamente a chi da Gaza lancia i palloni incendiari che solo ieri hanno appiccato 25 roghi nelle comunità israeliane vicino alla Striscia. Sulla recente incriminazione di Sarah Netanyahu, moglie del premier, il 47,5% lo ha ritenuta giusta contro un 32.5% convinta che lei e la sua famiglia siano perseguitati dalla stampa. In ogni caso la maggioranza del campione, il 55%, crede che Benyamin Netanyahu sia stato a conoscenza delle azioni della moglie, mentre un 28% non concorda.

(ANSA, 2 luglio 2018)


Generale iraniano: Israele "ruba nuvole" per impedire pioggia da noi

"Interferenza inlluisce su cambio clima", meteo smentisce militare

ROMA - Un generale iraniano ha praticamente accusato Israele, nemico giurato di Teheran, di "rubare" le nuvole per impedire le piogge nel suo Paese. Una curiosa affermazione subito smentita subito dal servizio metereologico nazionale come riportano media ufficiali locali.
   "Il cambiamento climatico dell'Iran è sospetto", ha detto il generale di brigata Gholam Reza Jalali, comandante della difesa passiva iraniana, in una conferenza nazionale sulla protezione delle persone, come ha riferito l'agenzia di stampa Isna proprio mentre l'Iran sta affrontando a un grave siccità. "L'interferenza straniera è sospettata di aver influito sul cambiamento climatico. I centri scientifici del paese hanno condotto uno studio su questo argomento e il loro risultato conferma" l'ipotesi, ha aggiunto l'ufficiale.
   Secondo quanto riportato da Isna, "Israele e un altro paese della regione hanno squadre congiunte che lavorano per assicurare che le nuvole che entrano nel cielo iraniano non siano in grado di scaricare la pioggia". "Oltre a questo, siamo di fronte a un fenomeno di furti di nuvole e di neve", ha aggiunto il generale Jalali.
   Secondo l'agenzia di stampa Isna, l'ufficiale ha citato "un'indagine quadriennale" che mostrebbe che oltre i 2.200 metri di altitudine tutte le aree montane tra l'Afghanistan e il Mediterraneo sono coperte di neve, tranne che in Iran.
   Il generale Jalali "probabilmente ha documenti su questo argomento di cui non sono a conoscenza, ma sulla base delle conoscenze meteorologiche, non è possibile per un paese rubare neve o nuvole", ha detto il direttore dell'istituto meteorologico nazionale, Ahad Vazife, citata sempre da Isna.
   "Un paese non può rubare le nuvole, se così fosse, non ci sarebbe la polizia dell'acqua negli Stati Uniti perché gli americani ruberebbero nuvole da altri paesi e non avrebbero bisogno di una polizia dell'acqua", ha aggiunto.
   Negli Stati Uniti, la California ha istituito alcuni anni fa una "polizia dell'acqua" incaricata ad assicurare la conservazione delle risorse idriche di questo stato abituato alla siccità. Secondo Vazife, "l'Iran soffre di una prolungata siccità, e questa è una tendenza globale che non si applica solo all'Iran". "Sollevare queste domande non solo non risolve nessuno dei nostri problemi, ma ci impedirà di trovare le giuste soluzioni", ha affermato il direttore.

(askanews, 2 luglio 2018)


Qualche notizia che difficilmente troverete sui mass-media internazionali

Bambini palestinesi e siriani curati gratis in Israele, e il giornalista giordano che dice: Magari le galere arabe fossero come i penitenziari israeliani

 
Akiva Tamir, direttore di Save a Child's Heart presso il Wolfson Medical Center, in Israele
 
Un gruppo di medici israeliani che ha salvato migliaia di bambini cardiopatici sia palestinesi che di altri 57 paesi è stato insignito la scorsa settimana alle Nazioni Unite dell'UN Population Award per il salvataggio di giovani vite, in particolare nei paesi devastati dalla guerra e in via di sviluppo.
  "La nostra attività è internazionale, non politica e non religiosa" ha affermato Sion Houri, co-fondatore dell'organizzazione "Save a Child's Heart" (Salva il cuore di un bambino), con sede a Holon, poco a sud di Tel Aviv, che ha ricevuto l'onorificenza martedì insieme ai colleghi Lior Sasson e Akiva Tamir.
  L'organizzazione no-profit, finanziata principalmente da donatori privati con alcuni contributi governativi, ha eseguito interventi chirurgici su quasi 5.000 bambini da quando è decollata vent'anni fa.
  Tra questi, oltre 2.000 bambini palestinesi provenienti da Cisgiordania e striscia di Gaza, e 300 da Iraq e Siria.
  Gli altri provenivano da Africa, Sud America, Europa, Asia e altri paesi in tutto il Medio Oriente. L'organizzazione esegue gli interventi su base volontaria senza farsi pagare dai pazienti.
  Attualmente sono 44 i bambini in cura presso l'Edith Wolfson Medical Center di Holon.
  I primi pazienti, negli anni '90, provenivano dall'Etiopia. Tra loro, un ragazzo di 15 anni che viveva in strada con una condizione cardiaca potenzialmente letale.
  Dopo il recupero, il ragazzo è tornato a casa e successivamente ha aperto una scuola per bambini senzatetto.
  E di recente ha accompagnato in Israele un giovane cardiopatico perché fosse operato al cuore dalla stessa organizzazione che lo aveva salvato.
  "Molti diranno che sono un ingenuo - ha dichiarato Sasson - ma noi pensiamo che curare un bambino con una malattia cardiaca sia come piantare un seme di pace".
  Sasson ha spiegato che questi bambini, benché affetti da patologie cardiache curabili, "per la maggior parte sono destinati a morire prima dei 20 anni a causa della mancanza di strutture e di medici" nei loro paesi d'origine.
  I medici di "Save a Child's Heart" stanno ora formando nuovi team di professionisti destinati a operare in
Cisgiordania, Etiopia, Kenya, Cina, Romania, Moldavia e Tanzania.  Sei civili siriani gravemente feriti nei combattimenti in corso nella parte meridionale del paese tra ribelli e forse del regime di Damasco sono stati trasferiti lo scorso fine settimana dalle Forze di Difesa israeliane in ospedali all'interno di Israele.
  Tra i feriti, quattro bambini fra i 6 e i 14 anni, le cui famiglie risultano tutte uccise nei combattimenti.
  Venerdì notte le unità mediche del Comando Nord delle forze israeliane sono state chiamate alla recinzione di confine nella parte meridionale delle alture del Golan dove hanno prestato i primi soccorsi d'emergenza ai siriani feriti.
  Poco dopo, con una complessa operazione transfrontaliera, i soldati della 366esima Divisione hanno trasferito i feriti in ospedali del nord d'Israele.
  Durante tutta la guerra civile siriana, le Forze di Difesa israeliane hanno garantito assistenza medica vitale a civili siriani presi nel fuoco incrociato degli scontri, sempre evitando di interferire nei combattimenti. Secondo i dati del portavoce militare, dal 2013 le Forze israeliane hanno portato in ospedali israeliani oltre 3.500 uomini, donne e bambini siriani feriti per esservi curati gratuitamente.
  Dal 2016, oltre 1.300 bambini malati siriani sono stati portati in Israele per cure di un giorno. Un nuovo ospedale da campo, creato dalle Forze israeliane in collaborazione con alcune organizzazioni umanitarie internazionali nel Golan meridionale, ha curato circa 6.000 pazienti dalla sua apertura nell'agosto 2017.
  In totale oltre 4.800 siriani, per la metà bambini, hanno ricevuto cure mediche in Israele. Giovedì scorso, inoltre, le Forze di Difesa israeliane hanno consegnato circa 60 tonnellate di aiuti umanitari ai civili sul versante siriano delle alture del Golan.
  Durante l'operazione speciale, che si è svolta di notte, sono stati trasferiti in Siria, attraverso quattro diversi passaggi di confine, circa 300 tende, 13 tonnellate di cibo, 15 tonnellate di alimenti per l'infanzia, tre pancali di attrezzature mediche e medicinali e circa 30 tonnellate di vestiti e scarpe.
  Nel frattempo, a causa dell'approssimarsi dei combattimenti interni siriani alla zona di confine con Israele, il Comando settentrionale delle Forze di Difesa israeliane ha deciso domenica di rafforzare le presenza sul Golan di forze corazzate e d'artiglieria.
  Aprendo la riunione settimanale del governo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato: "Continueremo a proteggere i nostri confini.
  Continueremo a garantire aiuti umanitari, ma non permetteremo a nessuno di entrare nel nostro territorio. Sono costantemente in contatto con il Cremlino e la Casa Bianca su questo tema".
  I militari israeliani ritengono che Assad, quando avrà completato la conquista della regione di Deraa, invierà forze per riconquistare il Golan siriano, sostenute da milizie sciite filo-iraniane. Israele ha più volte chiarito con russi e americani che non intende accettare alcuna presenza di forze straniere sul Golan siriano in violazione degli Accordi di disimpegno del 1974. (Da: YnetNews, 30.6 e 1.7.18)
  Il giornalista giordano Yousef Alawnah ha scontato 30 mesi in un carcere israeliano per contrabbando di esplosivi. Successivamente ha scritto per molti anni per la stampa kuwaitiana, finché nel 2016 è stato
espulso, a quanto pare per aver criticato il leader sciita iracheno ayatollah Al-Sistani.
  Ecco cosa ha detto lo scorso 12 giugno, in un'intervista all'emittente saudita 24 TV:
  Yousef Alawnah: "Mi vergogno del confronto tra le prigioni israeliane e quelle arabe. Ci sono 30-40mila libri nella biblioteca di un carcere israeliano".
  Intervistatore: "In arabo?"
  Yousef Alawnah: "Sì, certo. Hanno tutti i libri importanti, libri di storia, libri contro Israele e contro il sionismo… C'è persino il Mein Kampfdi Hitler. In prigione abbiamo avuto l'opportunità di farci una cultura, leggere e studiare molte cose. La prigione era come un istituto d'istruzione. Certo, i primi detenuti avevano fatto sacrifici, ma rispetto alle prigioni arabe, mi dispiace dirlo… Non sono solo le carceri. Si consideri cosa si sono fatti a vicenda gli arabi. Se gli ebrei occupassero la Siria o l'Iraq, farebbero tutte quelle cose? Forse che gli ebrei hanno ucciso tanti siriani, palestinesi, egiziani, giordani, libanesi e altri quanti ne hanno uccisi le milizie iraniane a Mosul o ad Aleppo? No […] Forse che i carcerati sunniti in Iraq hanno libri da leggere? I prigionieri detenuti nelle segrete del regime siriano… C'è una prigione in Siria che ha sopra un cimitero. La galera è sotterranea, e tra questa galera e la superficie c'è uno strato di terreno in cui le persone vengono sepolte, e quando i carnefici scavano per seppellirle, quelli sotto lo sanno. Pensa che abbiano libri?". (Da: Memri, 12.6.18)
  Ha scritto Kheir Allah, sul giornale panarabo edito a Londra Al-Arab: «A circa otto chilometri dal centro di Damasco c'è un grande campo palestinese chiamato Yarmouk. Fondato nel 1957 per ospitare profughi palestinesi, il campo si trasformò rapidamente nell'epicentro della comunità palestinese in esilio che viveva in Siria, nonché di altre comunità di sfollati. Purtroppo, ha anche subito una massiccia distruzione.
  Nell'aprile 2015 le forze dello Stato Islamico sono entrate nel campo attaccando i ribelli dell'Esercito Libero siriano che vi si erano posizionati.
  Nel giro di pochi giorni il campo fu completamente conquistato dai miliziani dell'ISIS, che iniziarono a giustiziare i cittadini per le strade. Si stima che oltre 10.000 palestinesi siano fuggiti dal campo, mentre centinaia di altri sono stati uccisi.
  Il campo venne posto sotto durissimo assedio per molti mesi.
  Si tratta di una delle più grandi tragedie della storia palestinese, che dovrebbe suscitare condanne e denunce ovunque. Eppure il resto del mondo, e persino la dirigenza palestinese, sono rimasti in silenzio.
  Il caso peggiore è quello del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, che si è spinto al punto di definire il regime siriano "custode dei diritti palestinesi". Facendo una dichiarazione così vergognosa, Haniyeh ha svelato quanto Hamas non si preoccupi affatto dei diritti dei palestinesi.
  E poi, cosa ancora più preoccupante, se Hamas se ne infischia dalle condizioni dei profughi palestinesi all'estero, perché dovrebbe preoccuparsi di coloro che vivono nella striscia di Gaza? Infatti, da quando dieci anni fa ha preso il controllo di Gaza, Hamas non ha fatto assolutamente nulla per migliorare le condizioni di vita della popolazione che controlla. L'unica cosa che la popolazione di Gaza ha visto, sotto il dominio di Hamas, è l'aumento della miseria e dell'isolamento.
  Hamas ha scelto di allinearsi con l'Iran e la Siria, tagliando fuori in questo modo la striscia di Gaza non solo dalla Cisgiordania, ma anche dal resto del mondo. La spaccatura fra Hamas e Autorità Palestinese, unita all'insistenza di Hamas per affiliarsi ai peggiori regimi della regione, non ha portato altro che morte e distruzione alla popolazione palestinese».

(Debug Lies, 2 luglio 2018)


Slovacchia: il presidente del parlamento Danko in visita in Israele

BRATISLAVA - Una delegazione slovacca guidata dal presidente del parlamento Andrej Danko inizia oggi una visita ufficiale di tre giorni in Israele. La missione fa seguito al viaggio a Bratislava dell'omologo israeliano, il presidente della Knesset, Yuli-Yoel Edelstein, che ha avuto luogo esattamente un anno fa, la prima visita di una delegazione parlamentare israeliana in Slovacchia dal settembre 2004. L'agenzia "Tasr" riferisce che oltre a Edelstein, Dnako dovrebbe incontrare il presidente israeliano Reuven Rivlin e il premier Benjamin Netanyahu. "Israele rimane un importante attore regionale e globale; le relazioni tra Bratislava e Tel Aviv sono amichevoli da lungo tempo" ha detto prima di partire il presidente del parlamento. I colloqui bilaterali dovrebbero concentrarsi sullo sviluppo di interazioni a livello di organi legislativi, la promozione della cooperazione economica e nel campo delle tecnologie della scienza, ricerca, innovazione, informazione e comunicazione. Oltre alla visita di Danko, attualmente si trova in visita in Israele anche il presidente del senato ceco Milan Stech.

(Agenzia Nova, 2 luglio 2018)


Golan, Israele si prepara alla guerra

Le sirene sono tornate a suonare nell'Alta Galilea. Netanyahu in costante contatto con la Casa Bianca e il Cremlino

di Umberto De Giovannangeli

Le sirene sono tornate a suonare nell'Alta Galilea. I rifugi sotterranei sono stati allestiti, mentre le Idf, le Forze di difesa israeliane, spostano sul Golan mezzi corrazzati e reparti scelti. L'esercito israeliano ha rafforzato oggi la propria presenza sulle alture del Golan, vicino alla linea di demarcazione con la Siria. Lo riferisce un portavoce delle Forze di difesa (Idf). "Le Idf attribuiscono grande importanza al mantenimento dell'accordo di disimpegno del 1974 tra Israele e Siria", si legge nella nota, aggiungendo che mentre "le Idf continueranno a mantenere il principio di non coinvolgimento nella guerra civile siriana, e risponderanno in modo risoluto alla violazione della sovranità dello Stato di Israele e alla creazione di un rischio per i suoi residenti".
  Nei giorni scorsi alcuni villaggi nel sud-ovest della Siria in mano ai ribelli hanno accettato l'accordo di riconciliazione, facendo avanzare l'esercito governativo impegnato a riconquistare aree strategiche al confine con la Giordania e le alture del Golan. Un portavoce dell'esercito israeliano ha anche affermato che continuerà l'aiuto umanitario ai rifugiati che si avvicinano al confine. Nonostante le rassicurazioni, la tensione resta alta. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affrontato la situazione in Siria durante la riunione domenicale del governo: "Continueremo a difendere i nostri confini, forniremo aiuti umanitari nel miglior modo possibile, non consentiremo l'ingresso nei nostri territori e esigeremo una stretta adesione al 1974 Accordo sul disimpegno con l'esercito siriano", dichiara il premier.
  Netanyahu ha aggiunto che è in costante contatto con la Casa Bianca e il Cremlino, come lo sono il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e il capo di stato maggiore dell'Idf Gadi Eisenkot, con li loro omologhi negli Stati Uniti e in Russia. Dopo la riunione del governo, Netanyahu ha riunito il Gabinetto di sicurezza, allargato ai vertici delle Idf e a capi dei servizi di intelligence: segno che la situazione rischia di precipitare. L''esercito israeliano ha aumentato il suo schieramento al confine con la Siria inviando ulteriori tank e cannoni. Lo ha detto il portavoce militare spiegando che ad essere rafforzato è stata la 210/a Divisione Bashan che è a guardia delle Alture del Golan.
  "È stato fatto - ha spiegato - come parte dei preparativi dell'esercito visti gli sviluppi nelle Alture del Golan siriane vicino al confine". Dall'altra parte della frontiera è in corso nella zona l'offensiva dell'esercito di Bashar al-Assad e delle forze russe contro i ribelli. L'esercito israeliano ha ribadito di essere pronto "a una ferma risposta" ad ogni colpo deliberato o accidentale che colpisca Israele dal territorio siriano.
  Il flusso di rifugiati in fuga dai campi di battaglia nel sud della Siria verso i confini con la Giordania e Israele si è gonfiato lo scorso fine settimana, mentre il loro numero è salito a 160.000, secondo le Nazioni Unite. L'Idf ha fornito aiuti umanitari agli accampamenti di tende in cui i rifugiati si sono ammassati sulle Alture del Golan. Aiuti sì, ma nessun ingresso: "Continueremo a difendere le nostre frontiere, cercheremo di offrire aiuto per ciò che sarà possibile ma non autorizzeremo ingressi sul nostro territorio", ribadisce il premier israeliano al termine della riunione del Gabinetto di sicurezza. Netanyahu ha ottenuto, con la mediazione del presidente russo Vladimir Putin, che dalle operazioni militari in atto nell'area della Siria confinante con Israele fossero esclusi miliziani sciiti stranieri e consiglieri militari iraniani. Ma l'intesa fra Russia e Israele già vacilla. Mosca è preoccupata che lo scambio reciproco di fuoco fra Israele e Iran sul territorio siriano e gli attacchi aerei su iniziativa israeliana sulla Siria possano provocare un conflitto regionale su vasta scala.
  A dichiararlo è il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, durante un'intervista rilasciata all'emittente israeliana Kan. "Questo scambio di attacchi e soprattutto gli attacchi di iniziativa da parte dell'aviazione israeliana su alcune strutture situate in Siria, potrebbero sfuggire al controllo e portare a un grave deterioramento della situazione nella regione in generale, penso che questo, ovviamente, non sia nell'interesse né della Russia né di Israele", ha affermato Bogdanov. Nel suo intervento Bogdanov ha sostenuto che l'Iran è presente in Siria con consiglieri militari che assistono i siriani nella lotta contro il terrorismo. "Per quanto ne sappiamo, le truppe iraniane non sono presenti sul territorio siriano, ci sono militari iraniani, consiglieri, penso che il loro numero, anche se non lo so per certo, sia piuttosto limitato", ha concluso. Israele è di avviso opposto: secondo rapporti di intelligence, almeno 40mila miliziani sciiti, coordinati sul campo dai Guardiani della rivoluzione iraniani e dagli Hezbollah libanesi, combattono a fianco dell'esercito di Assad. I ribelli siriani hanno denunciato la violazione degli accordi da parte dei miliziani sciiti addestrati dai Pasdaran, probabilmente libanesi e iracheni.
  L'intelligence israeliana ha informazioni attendibili in merito a possibili infiltrati di Hezbollah tra i profughi siriani. Per questo il ministero della Difesa israeliano ha deciso il potenziamento dell'apparato militare lungo tutta la parte meridionale delle alture del Golan in modo da blindare il confine. Il think-tank di Tel Aviv "Debka" avverte: chi è disperato può fare di tutto. Anche essere reclutato per una manciata di dollari, e la promessa di aiuti per la sua famiglia, per trasformarsi in "bomba umana", come è già avvenuto alla frontiera siro-giordana. Ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto di nuovo che le milizie armate di qualsiasi schieramento lascino immediatamente la zona cuscinetto di competenza della Unidof (United Nations Disengagement Observer Force) in modo da evitare una ulteriore escalation nella zona. Israele ha infatti più volte ammonito che non permetterà alle milizie sciite di avvicinarsi ai propri confini e alla zona cuscinetto stabilita dall'Onu con la risoluzione 350 del 31 maggio 1974: un'area attualmente abbandonata, per motivi di sicurezza, dai caschi blu.
  La strategia utilizzata dal regime siriano nelle aree di confine con Israele e Giordania ricorda quanto già visto ad Aleppo e nella Ghouta orientale: ad aprire la strada alle truppe di Damasco sono stati i jet Sukhoi russi, che hanno bombardato strutture altamente sensibili come scuole e ospedali, probabilmente allo scopo di terrorizzare i civili e convincerli alla fuga. L'intelligence militare dello Stato ebraico ha fatto sapere che solo nella giornata di giovedì scorso i Mig e i Sukhoi di Mosca hanno effettuato 300 missioni, mentre gli aerei di Damasco hanno condotto 40 raid. In particolare, sono state prese di mira le città di Nawa e Sheikh Miskin, ai piedi del Golan.
  "In Siria, i civili continuano ad essere utilizzati come pedine" dalle parti in conflitto, ha denunciato l'Alto Commissariato Onu per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein ribadendo che il diritto internazionale esige di compiere ogni sforzo per proteggere i civili e di fornire un passaggio sicuro a coloro che desiderano fuggire. In questo scenario infuocato, Papa Francesco ha lanciato all'Angelus un nuovo appello per la Siria. "Rimane grave - ha detto - la situazione in Siria soprattutto nella provincia di Daraa da dove fuggono in queste ore migliaia di profughi. Rinnovo il mio appello perché alla popolazione duramente provata da anni siano risparmiate ulteriori sofferenze". "Le cifre della Siria sono spaventose. Un quarto dei siriani sono rifugiati ma oltre a questi 5,5 milioni di rifugiati bisogna aggiungere i 6 milioni di sfollati interni. È una catastrofe umanitaria di proporzioni mai viste prima", ha affermato il nunzio apostolico in Siria, cardinale Mario Zenari, in un'intervista a Tv2000. "Questi 12 milioni di siriani - ha aggiunto il cardinale Zenari - che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e quartieri perché distrutti dalle bombe sognano di ritornare al proprio focolare. Qualcuno in alternativa sognerà anche il barcone o altre strade ma la grande maggioranza vuole tornare a casa. E nonostante le case siano ormai distrutte senza finestre, porte, acqua ed elettricità restano sempre il focolare di ciascun siriano. Per questo deve essere fermata subito la guerra e la violenza". Ma guerra e violenza sono ancora la tragica normalità nella martoriata Siria e per un popolo senza speranza.

(L'HuffPost, 2 luglio 2018)


Firenze - Il Balagan va in città. Focus sul teatro israeliano

A Le Murate e performance interattiva di Nofar Sela

 
Nofar Sela
FIRENZE - Una giornata dedicata al teatro per meglio comprendere la realtà israeliana. E' l'appuntamento in programma martedì 3 luglio a Le Murate/Progetti d'Arte Contemporanea di Firenze nell'ambito di "Il Balagan va in città", organizzato dalla Comunità Ebraica di Firenze all'interno del programma estivo del "Balagan Café". La serata è realizzata con il contributo economico dell'Ambasciata di Israele in Italia e con i contributi dei fondi 8xmille dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane in occasione del progetto 2018 dei 70 anni di Israele.
Performance interattiva di Nofar Sela Si comincia alle ore 17,30 (ingresso libero) con l'incontro-conversazione tra l'assessore alla cultura della Comunità Ebraica di Firenze, Laura Forti, Moshe Perlstein capo del Comitato Artistico dell'International Exposure of Israele theatre, e Roy Chen dramaturg del Gesher Theatre. A seguire ci sarà la possibilità di degustare delizie gastronomiche ebraiche preparate da Ruth's Kosher Restaurant (prenotazioni ai numeri 055 2346654/ 055 245252 - costo 10 euro). La sera (ore 21) la giovane rivelazione del teatro israeliano, Nofar Sela, interpreta Israele nella performance interattiva "Surface". Per tutta la giornata nella sala Laura Orvieto sarà possibile ammirare la mostra di manifesti e locandine di produzioni teatrali israeliane.
Programma completo e info su www.balagancafe.it www.firenzebraica.it www.jewishtuscany.it

(agenziaimpress.it, 2 luglio 2018)


Legge costituzionale israeliana: "Stato del popolo ebraico"

Israele si appresta a vedere approvata la prima legge della sua storia con valenza costituzionale. Il Jewish nation-state bill, secondo esponenti del Governo Netanyahu, metterà in evidenza le "radici sioniste" del Paese

di Gerry Freda

La legge costituzionale israeliana sostenuta dal Governo Netanyahu dovrebbe vedere la luce nella prima settimana di luglio.
   Il Paese mediorientale, di conseguenza, si appresta a vedere modificato in maniera incisiva il proprio ordinamento giuridico, ispiratosi finora alla common law anglosassone. Il Jewish nation-state bill, il provvedimento in via di approvazione, definisce Israele "focolare nazionale del popolo ebraico".
   Nel 2011, il premier Netanyahu presentava alla Knesset una prima bozza di legge costituzionale israeliana. Da allora, i dibattiti parlamentari su tale proposta si sarebbero sempre conclusi con un "nulla di fatto". Tuttavia, a marzo di quest'anno, la riforma caldeggiata dal Governo sarebbe stata oggetto di una votazione ufficiale da parte dell'organo legislativo. In prima lettura, grazie alle trattative con gli altri partiti condotte dal deputato del Likud Avi Dichter, la bozza avrebbe riscosso un consenso quasi unanime all'interno della Knesset. Nella prima settimana di luglio dovrebbe avere luogo la votazione in seconda lettura del testo sostenuto da Netanyahu. Il testo in questione esalta il "carattere ebraico" dei cittadini israeliani, proclama Gerusalemme "capitale eterna" della nazione, sottolinea il "legame inestinguibile" tra gli abitanti del Paese mediorientale e gli Ebrei della diaspora. Nella legge costituzionale in via di approvazione verrà riconosciuto il carattere "sacro" delle festività ebraiche e, allo stesso tempo, verrà sancito il rispetto, da parte delle autorità, di tutte le altre religioni.
   Il Governo di Gerusalemme, nella persona del Ministro del Turismo Yariv Levin, ha dichiarato che il Jewish nation-state bill sarà "il più importante provvedimento mai varato dalla Knesset" e che tale provvedimento esalterà le "radici sioniste" della nazione. La normativa dovrebbe ottenere il via-libera definitivo del Parlamento in tempi brevi. Sia i partiti alleati di Netanyahu sia i leader dell'opposizione hanno affermato di condividere l'iniziativa del Primo Ministro.
   Critiche alla legge costituzionale israeliana sono state invece avanzate dal movimento Peace Now, il quale ha accusato il premier di volere fare naufragare il negoziato per la pace in Medio-Oriente. Secondo i vertici del movimento, l'esaltazione del sionismo e del "carattere ebraico" del Paese non produrrà alcun vantaggio per Israele. Essa non farà nient'altro che allarmare i Palestinesi, i quali avranno una occasione unica per denunciare i "propositi di pulizia etnica" nascosti dietro gli articoli del Jewish nation-state bill.

(il Giornale, 2 luglio 2018)


Ebrei nella diaspora

"Diversi ma uguali"

"Diversi ma uguali" Elio Carmi vicepresidente della Comunità Ebraica di Casale riassume così la storia raccontata da "Another Country", la mostra inaugurata domenica 1 luglio nella Sala Carmi del complesso di vicolo Salomone Olper . Il sottotitolo "Momenti di vita di Ebrei in diaspora" forse è riduttivo della storia raccontata in questi grandi pannelli, oggi raccolti in sala Carmi, ma arrivati fin qui da un altro museo ebraico, quello di Bologna, per un'esposizione nata dalla collaborazione con "Beit Hatfusot - The museo un Jewish People". E' un'analisi di come alcuni momenti topici della vita ebraica siano vissuti da un'identità culturale a cui la diaspora ha imposto un confronto con tutto il resto del mondo e gli eventi storici hanno ulteriormente rimescolato.
Si parla soprattutto di matrimonio: le immagini mostrano giovani sposi ungheresi prima di essere spazzati via dalla Shoà, ragazze ebree del Corno d'Africa o del Marocco di oggi e di ieri, matrimoni con particolari esotici. Eppure sono tutti rigorosamente matrimoni ebrei con la loro simbologia codificata: il baldacchino, il bicchiere, il contratto nuziale, come spiega Carmi, ma ciascuna trasportata nelle singole realtà di ogni paese. Diversi ma uguali. appunto.
Una delle caratteristiche apprezzabili della mostra sono le didascalie: non si limitano a descrivere genericamente le situazioni, raccontano, fanno nomi e cognomi, rendono la storia quello che dovrebbe essere per ciascuno di noi: una parte della nostra vita contemporanea
La mostra sarà aperta fino il 2 settembre quando sarà ospite in vicolo Salomone Olper anche di Vincenza Maugeri, direttrice del Museo Ebraico di Bologna, data che segnerà anche la ripresa dell'attività culturale della Comunità Ebraica casalese.

(Il Monferrato, 2 luglio 2018)


Israele fiduciosa su nuove aste per il gas offshore

by Sebastiano Torrini

 
Il ministro dell'Energia Yuval Steinitz ha espresso ottimismo sulle prospettive di export ma nel frattempo il paese è indietro con le quote previste e le grandi scoperte egiziane minano le certezze.
C'è fiducia in Israele sul fatto che la seconda asta per vendere i diritti per sviluppare nuovi campi di gas naturale offshore abbia più successo rispetto a quanto accaduto con la prima tranche. Alcuni paesi arabi hanno dimostrato, infatti, maggiori aperture alle importazioni di combustibile secondo quanto riferito dal ministro dell'Energia israeliano Yuval Steinitz.

 A ottobre o novembre all'asta 20 o 25 blocchi nel Mediterraneo
  Israele, che ha scoperto grandi riserve di gas offshore nel 2009, terrà una seconda asta in ottobre o novembre, offrendo 20 o 25 blocchi nel Mediterraneo, riferisce Reuters. La prima asta, l'anno scorso, ha ottenuto offerte solo da due aziende; in quel momento alcune delle principali major del petrolio si erano mostrate, infatti, preoccupate dalle possibili reazioni da parte dei ricchi paesi petroliferi degli Stati arabi, ostili a Israele.

 Steinitz spera nell'effetto "traino" delle vendite di gas in Egitto e Giordania
  Ma le cose stanno cambiando. L'Egitto, per esempio, ha accettato all'inizio di quest'anno di acquistare 15 miliardi di dollari in gas israeliano. Steinitz è fiducioso che questa vendita, così come una analoga effettuata in Giordania, aiuti l'asta di quest'anno a ottenere una maggiore attenzione. L'Egitto e la Giordania sono gli unici due paesi arabi ad avere trattati con Israele. Anche se i potenti Stati sunniti del Golfo come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti non riconoscono Israele, gli alleati degli Stati Uniti hanno una preoccupazione condivisa per l'influenza iraniana nella regione. "Penso che in passato le aziende fossero scettiche riguardo alle possibilità di esportazione" di Israele, ha detto Steinitz in un'intervista alla Reuters. "Ma le cose ora stanno diversamente". Altro esempio è offerto dalla Giordania. Nel mese di marzo, i partner di Israele nel campo di Leviathan, uno dei principali field di gas naturale offshore del paese, si erano pronunciate a favore di una fornitura di combustibile alla Giordania per favorire la generazione di elettricità, ritenendo soddisfatte tutte le condizioni poste in essere negli accordi. Nel 2016 i partner di Leviathan avevano firmato, infatti, un accordo per un periodo di 15 anni del valore di 10 miliardi di dollari per la fornitura di gas alla Giordania, soggetto a condizioni e approvazioni.

 Steinitz in cerca di adesioni. probabile offerta di incentivi ad aziende interessate
  Steinitz ha incontrato a margine della Conferenza mondiale sul gas di Washington, cinque aziende energetiche questa settimana, in parte anche per suscitare interesse e raccogliere adesioni in vista dell'asta. Tra loro figurano Exxon Mobil, la francese Total, e l'australiana Woodside Energy. Ma il paese potrebbe vedersi costretto a offrire degli incentivi alle aziende interessate per sviluppare giacimenti offshore di gas, ha sentenziato Steinitz.

 Gasdotti o gnl per convogliare il gas israeliano
  Le aziende che sviluppano i campi di piccole e medie dimensioni non affronterebbero limiti all'export, ha detto il ministro. Mentre le aziende che sviluppano campi più grandi vedrebbero i limiti all'esportazione come "minimi, quasi insignificanti", ha ammesso Steinitz. Inoltre, alcune imprese non dovrebbero necessariamente collegarsi al sistema israeliano di trasporto del gas naturale e avrebbero la possibilità di convogliare il gas a Cipro o in Egitto o di costruire una piattaforma galleggiante per il gas naturale liquefatto. Israele ha molti piani in questo senso per il suo gas. Spera, in particolare, di vendere di più all'Egitto, dove il combustibile potrebbe essere convertito in GNL per l'esportazione, e di costruire due gasdotti - uno in Giordania, da dove il gas potrebbe essere inviato in India, evitando il Canale di Suez -, e un altro in Europa.

 Israele e Libano pronte a superare dispute su esplorazioni nel Mediterraneo orientale
  Israele e Libano, nel frattempo, hanno combattuto aspramente per superare le dispute riguardanti le esplorazioni nel Mediterraneo orientale. Il governo degli Stati Uniti ha cercato di contribuire a risolvere il disaccordo partecipando ai colloqui. Steinitz ha ammesso che sono intervenute nuove idee su come risolvere il problema, ma senza svelarle. Israele vorrebbe contribuire a porre fine al problema, una questione ancora più urgente per il Libano perché il gas contribuirebbe ad aiutare la sua economia, il pensiero del ministro israeliano.

(Energia Oltre, 2 luglio 2018)


Il governo israeliano approva legge sull'arruolamento degli haredi

GERUSALEMME, 1 lug - Il gabinetto di governo israeliano ha approvato oggi la proposta di legge che formalizza l'arruolamento militare per gli studenti ultra-ortodossi (haredi), consentendo domani, 2 luglio, l'esame in prima lettura del parlamento, la Knesset. Tutti i ministri del governo hanno votato a favore del disegno di legge, eccetto il ministro dell'Interno, Aryeh Dei, esponente del partito ultra-ortodosso Shas, ed il vice ministro della Salute, Yaakov Litzman, esponente di Giudaismo unito della Torah. Il disegno di legge formalizza le esenzioni al servizio militare obbligatorio per gli studenti del seminario ultra-ortodosso stabilendo obiettivi di coscrizione annuali. I seminari che non riescono a raggiungere gli obiettivi saranno colpiti da sanzioni economiche previste dalla legislazione. Nel settembre 2017, l'Alta corte di giustizia ha annullato una precedente legge che esonerava gli uomini ultra-ortodossi che erano impegnati nello studio religioso dal servizio militare, affermando che minava il principio di uguaglianza davanti alla legge. Tuttavia, il tribunale ha sospeso la sua decisione per un anno per consentire la messa in atto di un nuovo accordo, dando al governo la possibilità di approvare una nuova legge entro il primo settembre 2018.

(Agenzia Nova, 1 luglio 2018)



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Imparare da Israele a gestire le maxiemergenze

A corpo sicuro

di Luciano Bassani

 
Gli incidenti di massa sono incidenti in cui c'è un grande numero di morti e feriti. Il grande problema oggi è l'inadeguatezza tra grandi richieste da una parte e risorse limitate dall'altra che riducono la speranza di sopravvivenza negli incidenti di massa.
   Un incidente di massa è un incidente in cui le risorse dei servizi di emergenza sanitari come equipaggiamento e personale sanitario sono subissati dal numero e severità degli incidenti.
   Il problema dei trattamenti in caso di incidenti di massa è uno dei problemi più complessi che un sistema sanitario deve fronteggiare per numero di vittime, severità delle lesioni, sede geografica, rischi e durata dell'evento che sia occasionale o continuo.
   Le azioni mediche praticate in urgenza durante i primi 20-30 minuti dall'evento determineranno l'efficacia della risposta nella sua interezza: coordinazione, screening, trattamento ed evacuazione dei feriti.
   Il metodo operativo del sistema medico di emergenza in tali eventi crea una transizione da un metodo di routine e ordinario a un metodo salvavita con lo scopo di aiutare più feriti possibili.
   Di conseguenza il principio per il trattamento degli incidenti di massa (Mci) include la classificazione dei feriti con problematiche che mettono a rischio la vita per trattamenti immediati in opposizione a feriti il cui trattamento può aspettare o a causa dell'impossibilità di terapie immediate o perché le ferite non compromettono la sopravvivenza.
   Maghen David Adom (Mda) che è il sistema medico di emergenza di Israele, abitualmente tradotto come Stella rossa di David (la società nazionale israeliana di Croce rossa), ha una grande esperienza nel gestire gli incidenti di massa e applicare le lezioni apprese in seminari approfonditi sia di teoria che di pratica sul campo. Dopo ogni evento c'è un'investigazione che esamina la teoria operativa in modo approfondito per migliorarla. Dopo molte dozzine di eventi, il metodo operativo è stato esaminato e convalidato dagli addetti e volontari attivi del1'organizzazione.
   La sfida di questo secolo per tutte le nazioni è quello di creare dei sistemi di intervento rapidi ed efficaci per fronteggiare eventi terroristici e naturali che con delle risposte immediate e organizzate possano salvare molte persone. Saper intervenire con cure tempestive e appropriate in situazioni di traumi intenzionali e non convenzionali ha reso ancora più importante la preparazione e la formazione degli operatori dell'emergenza.
   Cruciale è dunque potersi interfacciare con nazioni come Israele che per necessità ha dovuto imparare la gestione delle emergenze e che può dunque trasferire il suo know how ad altri Paesi.

(La Verità, 1 luglio 2018)


Così Trump è pronto a negoziare con Putin il sud della Siria

L'americano ha annunciato al sovrano alleato di avere in mente di negoziare un accordo sulla Siria con Vladimir Putin. L'obiettivo? Rassicurare i fan che lo hanno votato anche perché criticava gli impegni militari americani.

di Emanuele Rossi

Due fonti ben informate hanno raccontato alla Cnn che durante l'incontro che il Presidente Donald Trump ha avuto col re giordano Abdullah II (è stato nello Studio Ovale il 25 giugno), l'americano ha annunciato al sovrano alleato di avere in mente di negoziare un accordo sulla Siria con Vladimir Putin, e lo farà durante il faccia a faccia previsto per il 16 luglio a Helsinki.
   L'idea di Trump, per quel che dicono quelle fonti è questa: gli Stati Uniti permetteranno ai russi di aiutare le forze di Bashar el Assad a riconquistare la fetta di territorio che va da Daraa a Quneitra, nel sud del Paese, ma in cambio Mosca darà rassicurazioni sulle sorti dei civili e faranno in modo di tenere il più lontano possibile gli iraniani dal confine israeliano (cosa che crea tensione a Tel Aviv). A quel punto l'intesa che vuol negoziare Trump dovrebbe diventare un piano politico strategico, perché il Presidente americano assicurerà al russo di lasciare il Paese, ossia di tirare fuori le truppe statunitensi che si trovano in Siria essenzialmente per attività di counter-terrorism contro l'Is, e dunque con un compito laterale alle dinamiche della guerra civile.
   La sintesi a cui arriva l'idea di Trump segue un suo long-standing: per la Casa Bianca è necessario ridurre l'impegno militare all'estero, e da tempo il suo inquilino si dimostra ansioso sul ritiro siriano, anche se i suoi militari dicono il contrario. Trump intende uscire dalla crisi siriana e così facendo lasciare tutto in mano a Putin — da qualche tempo gli analisti che seguono la situazione in Siria dicono che siamo arrivati al punto in cui gli Stati Uniti hanno tolto qualsiasi interesse dal futuro della crisi, e questo accordo sembra un segnalibro concreto per certe analisi.
   C'è però un altro aspetto, con più sfaccettature, che va tirato in ballo, ma richiede un minimo di contesto e di storia. In quelle aree del sud siriano infatti, da due settimane le forze assadiste (quel mix eterometrico di milizie sciite comandate dall'Iran, truppe regolari e copertura aerea russa) hanno ripreso i combattimenti per strappare ai ribelli una delle ultime strisce di territorio. Con l'accordo con Putin, Trump darebbe il beneplacito a queste operazioni. Qua il contesto: quando invece si scrive "ripreso" è per l'aspetto storico della vicenda. La fascia Daraa-Quneitra è quella su cui vige già (o vigerebbe a questo punto) un'intesa per il de-escalation siglata da Trump e Putin, e dalla Giordania, dopo il rapido incontro che i due presidenti hanno avuto più o meno un anno fa a latere del G20 a Berlino.
   E dunque adesso Trump vorrebbe negoziare con Putin un accordo per tirarsi fuori dall'empasse creata (anche tra giordani e israeliani) dal non rispetto di un accordo simile chiuso l'anno scorso e di cui Putin sembra aver tenuto conto solo finché gli è convenuto. L'obiettivo del piano di Trump però è più che altro rassicurare i fan che lo hanno votato anche perché criticava gli impegni militari americani: un messaggio da bilanciare con quello sulla lotta al terrorismo, prima delle Midterms; un modo potrebbe essere sostenere il ritiro in funzione di una cooperazione anti-terrore con la Russia, qualcosa di cui però s'era già parlato dopo l'incontro del G20.

(formiche.net, 1 luglio 2018)


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Siria, il fuoco continua a divampare sotto la cenere

Via libera della Casa Bianca ai bombardamenti dei russi a Daraa e Nawa in cambio del vertice con il Cremlino.

di Piero Orteca

Sebbene il conflitto siriano per ora sia sparito dalle prime pagine dei giornali, la situazione sul campo resta caldissima. Anzi, i segnali che arrivano dal sud del Paese, dove è in atto una pesantissima offensiva governativa sostenuta dai russi, sono inquietanti. Almeno 70 mila rifugiati si sono ammassati lungo il confine israeliano del Golan. Si calcola, però, che poco meno di altri 200 mila abbiano già lasciato le loro case cercando scampo "a macchia di leopardo" e diventando di fatto migranti "internally displaced". La loro destinazione finale sarebbero proprio le propaggini del Golan.
   A Gerusalemme hanno i nervi a fior di pelle e il dito sul grilletto, tanto che per oggi Netanyahu ha convocato un Consiglio di guerra, durante il quale il capo di Stato maggiore, generale Gady Eisenkot, relazionerà sulla manovra tenaglia condotta dalle unità di élite del presidente Assad sostenute massicciamente dall'aviazione russa. Secondo gli israeliani gli attacchi condotti dai jet di Damasco e di Mosca sono stati "brutali". I servizi segreti militari di Gerusalemme hanno fatto sapere che solo nella giornata di giovedì scorso i Mig e i Sukhoi di Putin hanno effettuato 300 missioni, mentre gli aerei siriani hanno condotto 40 raid. In particolare, sono state presa di mira le città di Nawa e Sheikh Miskin, ai piedi del Golan. L'offensiva segue di qualche giorno quella scatenata contro la piazzaforte di Daraa, dove i bombardamenti hanno lasciato un cumulo di rovine fumanti.
   Naturalmente, l'emergenza umanitaria ai suoi confini innervosisce Netanyahu. Anche perché i suoi scafati analisti sospettano che dietro l'escalation della coalizione governativa sostenuta dai russi ci possa essere di più: una sorta di patto scellerato tacitamente sottoscritto da Trump e dal Cremlino. In sostanza, a Gerusalemme temono che tra il Presidente americano e Putin ci possa essere stato una sorta di "gentlemen's agreement" o, meglio, un baratto diplomatico. Gli Usa avrebbero dato semaforo verde ai i russi per quanto riguarda la loro presenza in Siria. In cambio avrebbero ottenuto un ammorbidimento del Cremlino a tutto campo, cosa che avrebbe portato al decisivo accordo per il faccia a faccia di metà luglio.
   Si tratta, almeno apparentemente, di un ulteriore successo della politica estera della Casa Bianca, che si ripercuote sul gradimento (job approval) di Trump. Utilissimo in vista delle elezioni di "medio termine", soprattutto per parare la botta in caso di ulteriori approfondimenti del "Russiagate". Non solo, ma la strategia conciliatrice seguita dalla diplomazia americana si sarebbe spenta fino a chiudere tutte e due gli occhi sulla massiccia presenza iraniana e degli sciiti di Hezbollah nell'area degli scontri. Una cosa che non fa certo piacere al governo israeliano e che, anzi, ha fatto accendere tutte le lampadine rosse di allarme, fino alla convocazione del Consiglio di guerra. Netanyahu non si fida e non vuole farsi trovare impreparato. Anche se la mossa di Trump gli ha tolto il sonno.
   Come in Europa, la solidarietà verso i rifugiati è sulla bocca di tutti e nel cuore di nessuno. La Giordania ha sbarrato col chiavistello i suoi confini, così colonne di siriani che scappano dalla zona dei combattimenti con addosso solo i vestiti si dirigono a nord, verso il Golan. Gli esperti calcolano che i rifugiati in quell'area, a ridosso della frontiera più esplosiva del mondo, possano arrivare fino a 250 mila nelle prossime settimane. Una catastrofe umanitaria che diventa anche un bel rebus per la sicurezza di Israele che, sotto pressione a sud, con i tumulti della Striscia di Gaza, adesso deve affrontare una nuova emergenza a ridosso della Galilea. Il think-tank "Debka" avverte: chi è disperato può fare di tutto. Anche accettare pochi dollari per trasformarsi in terrorista "faidatè", come già si è verificato nel passato alla frontiera sire-giordana. Insomma, in molti non se ne sono ancora accorti. Ma in Siria il fuoco brucia sotto la cenere e gli esodi biblici di intere popolazioni si potrebbero trasformare in potenziale minaccia a tutto tondo. Netanyahu può convocare tutti i Consigli di guerra che vuole, ma non risolverà un bel niente. A meno che non decida di cominciare a sparare nel mucchio.

(Gazzetta del Sud, 1 luglio 2018)


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Netanyahu: "non consentiremo ingressi dalla Siria"

GERUSALEMME - Israele continuerà a difendere i confini con la Siria e non consentirà l'ingresso nel proprio territorio. Lo ha detto oggi il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, in apertura dei lavori della Knesset. "Estenderemo l'assistenza umanitaria e chiediamo che sia rigorosamente rispettato l'accordo del 1974", ha aggiunto. Netanyahu ha affermato di essere in "continuo contatto con la Casa Bianca e con il Cremlino su questo argomento". Nel suo intervento settimanale, Netanyahu ha parlato anche dell'Iran. "Il regime iraniano sta sentendo molto bene l'imminente reimposizione delle sanzioni economiche", ha detto. "L'economia iraniana è a un punto basso. L'Iran sta investendo miliardi di dollari nel finanziamento del terrorismo nella regione e in tutto il mondo, e nell'aggressione nella regione, invece di investirli nel popolo iraniano, e il popolo iraniano sta protestando contro questo giustamente", ha aggiunto Netanyahu in riferimento alle proteste che da settimane si registrano in Iran. "Il cambiamento nella posizione degli Stati Uniti nei confronti dell'Iran è un cambiamento strategico nella situazione di Israele", ha proseguito, riferendosi all'uscita dall'accordo sul nucleare degli Stati Uniti lo scorso 8 maggio. "Il nostro obiettivo è quello che è sempre stato: impedire all'Iran di realizzare armi nucleari e rompere il bancomat che l'accordo ha dato all'Iran, che finanzia la sua aggressione nella regione, inclusa la Siria. In un momento in cui gli Stati Uniti stanno colpendo economicamente il regime iraniano, stiamo lavorando per impedire alle forze iraniane e ai loro alleati di stabilire una presenza militare ovunque in Siria, e continueremo a farlo", ha concluso Netanyahu.

(Agenzia Nova, 1 luglio 2018)


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Israele rafforza le difese sulle Alture del Golan

Inviati altri tank e cannoni 'visti gli sviluppi'

L'esercito israeliano ha aumentato il suo schieramento al confine con la Siria inviando ulteriori tank e cannoni. Lo ha detto il portavoce militare spiegando che ad essere rafforzato è stata la 210/a Divisione Bashan che è a guardia delle Alture del Golan." E' stato fatto - ha spiegato - come parte dei preparativi dell'esercito visti gli sviluppi nelle Alture del Golan siriane vicino al confine".
Dall'altra parte della frontiera è in corso nella zona l'offensiva dell'esercito di Bashar Assad e delle forze russe contro i ribelli. L'esercito israeliano ha ribadito di essere pronto "a una ferma risposta" ad ogni colpo deliberato o accidentale che colpisca Israele dal territorio siriano.

(ANSAmed, 1 luglio 2018)


Con "La Meschita" rivive la città ebraica

di Marta Occhipinti

La storia della cultura ebraica a Palermo ricostruita in un itinerario che ne ripercorre luoghi e curiosità. Dopo il libro "Gli ebrei della diaspora", proseguono in una guida fotografica gli studi di Francesco D'Agostino, autore de "La Meschita" (Kalos edizioni), un viaggio storico sulle tracce dei ebrei palermitani, arricchito dalle fotografie di Sandro Riotta. Si tratta di un lavoro d'archivio, che ricorre alle suggestioni trapelate da un tessuto urbano che ha cancellato i segni dell'antico quartiere ebraico: a cominciare dal sobborgo Harat al-Yahud, primo vero insediamento sulle rive del Kemonia. D'Agostino guarda con occhio da storico al passato, ma il grande merito è che il suo sguardo al presente, utile ai visitatori più attenti: mappe urbane percorrono il centro storico, da piazza Bellini, dove sorgeva l'unica via d'accesso medievale al quartiere ebraico, all'aula Damiani Alrneyda dell'Archivio storico, un edificio a forma di prisma che conserva ancora nella sua anima i respiri della "Sinagoga Grande". Un'immagine che riflette il messaggio dell'intero volume.

(la Repubblica - Palermo, 1 luglio 2018)


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