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Notizie 1-15 maggio 2022



Il nono comandamento: Dio protegge la società
    «Non attestare il falso contro il tuo prossimo» (Esodo 20: 14). 

«Gli altri possono dire di me quello che vogliono, non mi interessa. Io tiro diritto per la mia strada, senza preoccuparmi di quello che dice la gente.» Sono parole che qualche volta capita di sentire; e forse anche a noi, in qualche occasione, sarà sfuggito di bocca qualcosa del genere. Se però, in una delle solite code che si formano in città, la mia macchina viene tamponata e al vigile che sopraggiunge sento raccontare da uno dei presenti che sono stato io a fare retromarcia, perdo di colpo tutta la mia imperturbabilità nei confronti di quello che dicono gli altri. Reclamo giustizia; pretendo che giustizia sia fatta sulla base della verità; e mi aspetto che la verità venga fuori dalle parole di chi era presente ai fatti.
  La posizione che ogni uomo occupa nella società dipende in modo essenziale da quello che altri dicono di lui. Anzi, poiché le relazioni sociali fanno parte integrante della persona, e poiché quello che si dice di un uomo può influenzare in modo determinante queste relazioni, si può dire che la vita stessa di un uomo è legata alla testimonianza che altri rendono di lui.
  Si può capire allora il fine a cui mira il nono comandamento: impedire che l'uomo venga colpito nei suoi rapporti con la comunità attraverso parole menzognere riferite da altri su di lui.
  Se con i tre comandamenti precedenti Dio aveva inteso proteggere l'uomo nella sua integrità fisica, nella sua persona fisica, nella sua famiglia e nella sua libertà, con questo comandamento Egli vuole proteggere l'uomo nella sua vita sociale. Infatti, l'elemento nuovo che entra in gioco a questo punto è proprio la comunità organizzata, con i suoi tribunali, le sue sentenze, i suoi testimoni. Dio sa bene che dopo la caduta gli uomini mantengono fra di loro rapporti difficili e pericolosi, ma non per questo rinuncia al proposito di farli vivere insieme. E per porre un freno agli inevitabili incidenti provocati da prepotenze, soverchierie e imbrogli, ordina che si costituiscano dei luoghi in cui si eserciti la giustizia, in cui i torti e le ragioni siano rettamente stabiliti e i colpevoli adeguatamente puniti.

    «Quando sorgerà una lite fra alcuni, e verranno in giudizio, i giudici che li giudicheranno assolveranno l'innocente e condanneranno il colpevole» (Deuteronomio 25:1).

Poiché in Israele non esisteva una forza pubblica che potesse impedire i delitti prevenendoli, l'unico argine al dilagare dei crimini stava proprio nel potere deterrente delle pene inflitte dai giudici. E poiché i metodi di indagine di quel tempo erano deboli e poco usati, la sentenza dei giudici si basava quasi esclusivamente sulle parole dei testimoni.
  Di qui si capisce l'importanza dei testimoni.
  In un certo senso, i testimoni finivano per essere anche dei giudici. E diventavano addirittura carnefici quando, in caso di condanna a morte, erano chiamati ad addossarsi la responsabilità della sentenza scagliando per primi la pietra contro i colpevoli (Deuteronomio 17:7).
  Naturalmente, i tribunali istituiti non davano sempre garanzie assolute di giustizia: anche in Israele esistevano giudici corrotti e testimoni falsi. I profeti si scagliarono più volte contro i pervertitori del diritto e della giustizia (cfr. p. es. Isaia 1:23, Amos 5:12, Michea 3:9). Ma Dio, pur annunciando il suo giudizio sui magistrati iniqui, continua a volere che sulla terra esistano dei luoghi in cui si amministri la giustizia, come per ricordare che una giustizia esiste ed appartiene a Lui.

    «Stabilisciti dei giudici e dei magistrati in tutte le città che l'Eterno, il tuo Dio, ti dà, tribù per tribù; ed essi giudicheranno il popolo con giusti giudizi. Non pervertirai il diritto, non avrai riguardi personali e non accetterai donativi; perché il donativo acceca gli occhi dei savi e corrompe le parole dei giusti. La giustizia, solo la giustizia seguirai, affinché tu viva e possegga il paese che l'Eterno, il tuo Dio, ti dà» (Deuteronomio 16: 18-20).
    Lodino la forza del Re che ama la giustizia; sei tu che hai stabilito il diritto, che hai esercitato in Giacobbe il diritto e la giustizia» (Salmo 99:4).

Questo aspetto dell'opera di Dio in terra ci assicura che l'esigenza di giustizia che ogni tribunale umano esprime attraverso la sua sola esistenza, sarà un giorno pienamente soddisfatta. Verrà il momento in cui Dio pronuncerà, con giustizia e verità, il suo giudizio definitivo su ogni uomo e su ogni nazione.

    «Ma il Signore siede come re in eterno; egli ha preparato il suo trono per il giudizio. Egli giudicherà il mondo con giustizia, giudicherà il popolo con rettitudine» (Salmo 9:8-9).

Secondo qualcuno, la giustizia umana riposa soltanto sulla forza, e le norme di legge non fanno che esprimere i rapporti di forza esistenti tra i vari gruppi sociali di una nazione. In altre parole, la legge scritta non sarebbe altro che la legge del più forte. In buona parte questo può anche essere vero, ma tanto più, allora, i cristiani devono ricordare sempre e far sapere che alla lunga si riconoscerà che il più forte è Dio, e che «gli affamati e assetati della giustizia» un giorno saranno saziati. Anche in un mondo di violenza, Dio vuole che ci sia qualcosa che ricordi la sua giustizia, fondata non sulla menzogna e la prepotenza, ma sulla verità e la pace.

    «Queste sono le cose che dovete fare: dite la verità ciascuno al suo prossimo; fate giustizia, alle vostre porte, secondo verità e per la pace» (Zaccaria 8:16).

L'azione del falso testimone è dunque di una gravità estrema. Con la sua menzogna non solo commette il male colpendo l'altro, ma lo fa attraverso un ordinamento sociale che Dio ha disposto proprio per punire chi commette il male. Quindi, non soltanto danneggia il prossimo, come l'omicida, l'adultero e il ladro, ma perverte anche il diritto e la giustizia, e quindi inserisce nella società un elemento di sfiducia e di disgregazione.
  Il falso testimone è particolarmente colpevole perché commette ingiustizia servendosi di un ordinamento di giustizia.
  È nel processo contro Gesù che l'uomo ha raggiunto il culmine dell'uso fraudolento della giustizia. Gesù non è stato fatto fuori in segreto, assassinato nell'ombra dalla mano di qualche sicario, ma è stato pubblicamente «giustiziato», sulla base di una sentenza pronunciata da chi aveva l'autorità per farlo. I Giudei come falsi testimoni, e i Gentili come giudici iniqui, si sono accordati per colpire l'unico uomo sulla terra che aveva sempre parlato secondo verità e aveva sempre agito per la pace. Invece di esercitare la giustizia secondo verità, gli uomini hanno «soffocato la verità con l'ingiustizia» (Romani 1:8).
  Tuttavia, nel caso di Gesù i testimoni non giocarono un ruolo decisivo. La sentenza contro Gesù non avvenne perché dei giudici in buona fede furono fuorviati da deposizioni false: non la menzogna dei testimoni provocò la crocifissione di Gesù, ma la verità detta da Lui stesso. Le parole di verità con cui Gesù si presentò come il Re dei Giudei e il Figlio dell'uomo furono considerate bestemmia e pazzia. «Chiunque è per la verità ascolta la mia voce», affermò l'imputato Gesù nel luogo in cui si sarebbe dovuto esercitare la giustizia secondo verità, ma il magistrato, interessato soltanto ai rapporti di forza, non seppe far altro che rispondere con la cinica domanda: «Che cos'è la verità?» (Giovanni 18:38).
  Nella Bibbia il contrario di verità è menzogna. Gesù è la verità e il diavolo è il padre della menzogna. Quindi, chi fa uso di bugie per far sì che altri vengano colpiti, merita pienamente il titolo di «progenie del diavolo» (Giovanni 8:44); perché proprio questa è l'opera del diavolo: prendere in inganno e colpire gli uomini per mezzo delle sue falsità.
  Il nono comandamento non difende un principio astratto di veracità assoluta: esso richiede di «non attestare il falso «a danno della vita del prossimo» (Levitico 19: 16). Non è quindi dentro di me, nella profondità della mia coscienza, che devo guardare, ma fuori di me, verso l'altro, per chiedermi quali potranno essere gli effetti che il mio prossimo dovrà subire in conseguenza delle parole che sto per dire su di lui.
  È difficile esagerare l'importanza delle parole quando queste hanno per oggetto un'altra persona. Ogni parola che dico a Tizio su Caio contribuisce a determinare la qualità della relazione tra Tizio e Caio. E la cosa è ancora più grave se il mio interlocutore non è una persona singola ma un gruppo di persone o un' assemblea pubblica o la giuria di un tribunale. Di quanto cresce l'importanza sociale del mio interlocutore, di tanto cresce la gravità delle conseguenze delle parole che dico sull'altro. Fino al punto che le parole possono diventare pietre che uccidono. E anche se la «lapidazione» può apparire qualche volta giusta e meritata, il testimone è comunque tenuto a riconoscere la pietra che ha lanciato per primo e ad assumersene la responsabilità. Non gli è possibile nascondersi dietro la pretesa di una distaccata estraneità: il testimone è, sempre, anche un giudice.
  Le occasioni che possono indurre al peccato di falsa testimonianza sono moltissime, e neppure sono facilmente evitabili, perché appartengono alla sfera dei normali rapporti umani. Se la mia vita scorre vicino a quella di un altro, inevitabilmente vengo a conoscere fatti della sua vita e aspetti della sua persona; e ogni volta che ne parlo con altri assumo il ruolo del testimone, con il continuo rischio di diventare un falso testimone. Infatti, proprio attraverso quel modo apparentemente innocuo di riferire con obiettività fatti della vita altrui prende consistenza quella diffusa forma di falsa testimonianza che è la diffamazione. La diffamazione attenta alla vita stessa dell'uomo, perché lo colpisce nella sua dimensione sociale. Non arriva ad offendere la persona fisica dell'altro, ma ne offusca l'immagine pubblica, facendo così in modo che sia la società a colpirlo. Parole menzognere dette nelle sedi opportune e nei momenti adatti possono produrre ferite più devastanti di quelle di un pugnale. Si capisce allora perché l'Eterno ordina:

    «Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo, né ti presenterai ad attestare il falso a danno della vita del tuo prossimo» (Levitico 19:16).

Anche Gesù sottolinea la gravità delle false testimonianze e delle diffamazioni mettendole tra le cose che escono dal cuore e contaminano l'uomo (Matteo 15:19).
  È diritto di ogni uomo che si parli di lui con verità. Perciò, chi non è sicuro di poter parlare di un altro con verità, è tenuto a tacere. In ogni caso, è sempre· molto rischioso parlare di un altro, anche se qualche volta è necessario. È molto più naturale e giusto parlare con l'altro. Parlare di un altro per riferire cose buone e vere è sempre lecito, anzi è utile, perché è una forma di propaganda al bene. Ma parlare di un altro per riferire cose cattive, anche se vere, è già l'inizio di un processo. È vero che anche i processi devono essere fatti, qualche volta, ma allora, prima di iniziare un processo, sarebbe bene porsi con sincerità domande come queste: le cose da riferire sono vere? perché devono essere riferite? a chi devono essere riferite? c'è qualcosa da dire prima alla persona interessata? E anche quando in coscienza ci sembrerà di dover prendere su di noi lo sgradevole compito di riferire cose negative su un altro, questo dovrà essere fatto nella speranza di togliere il male e non di diffonderlo. Dovremo insomma essere ben convinti di star compiendo un servizio alla verità e alla giustizia, facendo attenzione che questo non diventi un pretesto per coprire la nostra malizia, perché ogni richiamo alla giustizia ci conduce di filato davanti a Dio, il quale è pronto ad ascoltare le nostre parole di testimonianza, ma certamente non si lascia ingannare.
  Sappiamo inoltre che da quando è venuto Gesù Cristo il male non si elimina con l'annientamento del peccatore. Con il suo esempio Gesù ci ha mostrato che il «giudizio» da portare su chi sbaglia consiste in quella singolare forma di «umiliazione» che si arreca all'altro rispondendo all'odio con l'amore, alla menzogna con la verità, all'ingiustizia con la pace.
  Accettando di essere processato in modo ingiusto, Gesù Cristo fece il processo all'ingiustizia e lo vinse. Le parole del centurione romano: «Veramente, quest'uomo era giusto», furono, dopo tante false testimonianze, una testimonianza verace resa alla giustizia manifestata in Cristo. In Lui anche la nostra ingiustizia è stata processata e condannata, e noi siamo stati dichiarati giusti sulla base della testimonianza d'amore del «fedel testimone» (Apocalisse 1:5). Rispondendo con gratitudine a questo amore, possiamo accogliere di buon grado l'invito del Signore:

    «Amate dunque la verità e la pace» (Zaccaria 8: 19).




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Colpevole fino a prova contraria: il tribunale mediatico sulla morte di Shireen Abu Akleh

di David Di Segni

Dopo che un commando dell’ISIS e diverse milizie palestinesi hanno realizzato cinque attentati nell’arco di un mese contro Israele, provocandone la morte di diciannove civili, l’IDF ha deciso di passare alla controffensiva. Un’intensa operazione antiterrorismo è stata condotta dall’esercito israeliano nella città di Jenin, Samaria, per arrestare miliziani palestinesi affiliati al terrorismo jihadista. Una città da cui statisticamente provengono gran parte degli attentatori che hanno seminato il terrore nello Stato ebraico.
  Tra spari, caos e proiettili, lo scontro ha provocato la morte della giornalista Shireen Abu Akleh, inviata di Al-Jazeera. Non è ancora chiaro chi abbia fatto partire il colpo fatale, ma dal momento in cui è stata diffusa la notizia, sia Al-Jazeera che Abu Mazen hanno accusato Israele in maniera infondata. Israele non ha, però, ripagato con la medesima accusa eguale e contraria, ma si è resa disponibile a condurre un’indagine congiunta – balistica e autopsia – per accertare le responsabilità. Rifiutata la proposta, e ignorata l’esortazione ad accettarla da parte di USA (poiché la giornalista è anche cittadina statunitense) ed Unione Europea, l’Autorità palestinese si è poi riservata il diritto di condurre i test in autonomia.
  “Il ministro degli Affari Civili Hussein al-Sheikh ha detto che l’Anp svolgerà la sua indagine «in maniera indipendente» e i risultati saranno resi noti «in piena trasparenza» – riporta ANSA – L’Anp, inoltre, secondo i media, non consegnerà il proiettile estratto dal corpo della reporter nella autopsia effettuata ieri all’Istituto di medicina legale ‘Al Najah’ di Nablus”.
  Perché l’Autorità palestinese, che si dichiara innocente, è restia a condurre un’indagine imparziale, congiunta supervisionata da USA e UE? L’unica fonte su cui fonda l’accusa sta nella testimonianza dell’emittente televisiva presente sul posto; allora chiediamoci: è davvero possibile credere che una persona, nel mezzo di uno scontro, sia riuscita a veder partire ed arrivare un proiettile? Cosa conferisce loro la sicurezza della propria prospettiva?
  Nel frattempo, il direttore dell’istituto di medicina legale palestinese, il dottor Rayyan Al Ali, ha dichiarato che “non è possibile determinare se la giornalista di Al Jazeera morta due giorni fa a Jenin, sia stata uccisa da una pallottola israeliana o da una palestinese”, perché il proiettile estratto dal corpo della vittima è un calibro 5,56 mm utilizzato da ambedue le parti.
  Forse non si saprà mai chi abbia ucciso Shireen Abu Akleh, perché la sua tragica morte, quella di una giornalista che compiva il suo mestiere di inviata di guerra, è stata strumentalizzata di nuovo contro Israele. Non esistono prove incriminanti, per nessuna delle parti coinvolte, eppure il tribunale mediatico ha, senza alcuna riserva ed in maniera scientifica, condannato Israele. Mai, nemmeno vagamente, si è parlato di una possibile responsabilità palestinese. Tuttavia, un video pubblicato sul web ritraente lo scontro in questione ha lasciato intravedere due elementi fondamentali per lo snodo della questione.
  Il primo: la tecnica operativa palestinese. Il miliziano raffigurato nel video spara senza mirare, ma soprattutto senza guardare. Copre il suo corpo dietro al muro, mentre fa sporgere solamente il fucile per sparare alla rinfusa, in maniera indistinta, cieca e senza un obiettivo preciso. Il secondo. I miliziani palestinesi gridano di aver colpito un soldato, ma l’esercito israeliano smentisce subito la notizia: nessuno è rimasto ferito. L’insieme di questi due elementi potrebbe far pensare che ad essere colpita dal fuoco indistinto palestinese non sia stato un soldato, ma la giornalista di Al-Jazeera, così come anche sostenuto dal premier Naftali Bennet.
  Queste considerazioni bastano per denunciare non solo la malafede, ma l’intenzione del web di cercare in qualsiasi contesto il pretesto per accendere la miccia che tra le due parti minaccia di infiammarsi da prima delle festività pasquali. Anche se di mezzo c’è una vita umana, inconsapevole di essere bandiera di un ragguardevole processo di strumentalizzazione.
  Non si spiegherebbe, altrimenti, come personaggi che tanto sostengono di battersi per i diritti civili siano i primi a sentenziare senza disporre di prove scientifiche. Rula Jebreal, Alessandro Di Battista e persino Amnesty International, che chiede il diritto ad un processo in tutte le lingue del mondo in tutti i paesi del mondo, sembra non concedere il beneficio del dubbio ad Israele, prendendo subito le parti dei palestinesi.
  Perché la morte di una giornalista dev’essere oggetto di tifoseria? Perché si parla solamente di una possibile responsabilità israeliana e non palestinese? Come per tutte le situazioni, anche in questo caso si dovrà procedere con precisione ed imparzialità, in maniera congiunta. Per scoprire la verità e per evitare che la morte di una persona diventi strumento della propaganda.

(UGEI. 14 maggio 2022)

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Lufthansa ha vietato a più di cento ebrei di imbarcarsi su un aereo

È successo la scorsa settimana a Francoforte: ora diverse comunità ebraiche accusano la compagnia tedesca di antisemitismo

Gli ebrei bloccati nell'aeroporto di Francoforte
Mercoledì 4 maggio più di 100 persone identificate come ebree sono state bloccate all’aeroporto di Francoforte, in Germania, mentre stavano facendo scalo da un volo proveniente da New York per andare a Budapest. La compagnia aerea di entrambi i voli, la tedesca Lufthansa, ha deciso di impedire l’imbarco sul secondo volo solo alle persone ebree, mentre ha permesso a tutti gli altri passeggeri di partire. Questa decisione ha generato enormi critiche contro la compagnia, accusata dalle comunità ebraiche di antisemitismo e razzismo.
   Della vicenda si è parlato solo negli ultimi giorni, dopo che l’8 maggio i video e le testimonianze di quanto successo erano stati raccolti da un sito che di solito si occupa di vendita di biglietti aerei in sconto, DansDeals, che per primo ha raccontato il caso. Dopo la pubblicazione dell’articolo, la notizia è arrivata su diversi grandi giornali internazionali e le pressioni su Lufthansa perché chiarisse l’accaduto si sono fatte molto insistenti.
  La maggior parte dei passeggeri dell’aereo partito da New York era composta da ebrei ortodossi che stavano andando in pellegrinaggio in Ungheria per visitare la tomba di un importante rabbino, Yeshayah Steiner: non si sa il numero preciso, ma secondo diversi testimoni sarebbero stati tra i 130 e i 170.
  Le persone lasciate a terra hanno raccontato che la decisione di Lufthansa di bloccare i passeggeri ebrei sarebbe dipesa dal fatto che alcuni di loro si erano rifiutati di indossare la mascherina sul volo partito da New York, contravvenendo alle regole della compagnia aerea.
  Invece di punire le singole persone, Lufthansa avrebbe punito indistintamente tutti gli ebrei che si trovavano sul volo, molti dei quali avevano abiti e capigliature tradizionali degli ebrei ortodossi (come i payot, boccoli lasciati crescere molto lunghi ai lati della testa), e per questo facilmente identificabili per la loro fede.
  Alla fine le scuse ufficiali sono arrivate solamente il 10 maggio, quindi dopo quasi una settimana: in un comunicato la compagnia ha detto di essere «sinceramente dispiaciuta» per quanto avvenuto a Francoforte e che «ciò che è emerso non è coerente con le politiche o i valori di Lufthansa. Non tolleriamo il razzismo, l’antisemitismo e la discriminazione di qualsiasi tipo». Le scuse, però, non sono bastate a diverse associazioni e istituzioni ebraiche (tra cui lo Yad Vashem, l’ente israeliano per la memoria della Shoah), che hanno chiesto alla compagnia un’indagine più approfondita.
  Al momento, infatti, non si sa chi abbia preso la decisione di bloccare i passeggeri ebrei all’aeroporto, e Lufthansa non ha dato nessuna informazione al riguardo. In base ad alcune testimonianze, si sa che durante il volo da New York un pilota aveva fatto un annuncio dalla cabina richiamando i passeggeri all’ordine, rimproverandone alcuni che non indossavano la mascherina o che stavano bloccando i corridoi mettendosi a pregare.
  Non è chiaro quanti ebrei si fossero rifiutati di usare la mascherina, ma secondo diversi testimoni sarebbero stati al massimo tre.
  All’arrivo del volo a Francoforte, i passeggeri avevano trovato decine di poliziotti al gate del volo per Budapest (una cosa assai insolita).
  Quello che è successo dopo è stato testimoniato da diverse delle persone che erano al gate, che hanno ripreso con il proprio smartphone i momenti molto concitati che hanno preceduto l’annuncio della decisione di Lufthansa. La partenza del volo era prevista alle 7:10 di mattina, ma le operazioni di imbarco sono iniziate solamente alle 7:20, e in maniera piuttosto anomala. Gli operatori di terra della compagnia hanno infatti chiamato per nome i passeggeri da imbarcare, invece di attendere che fossero loro stessi ad andare al banco. Gli unici a essere chiamati sono stati passeggeri con cognomi non di origine ebraica. Dopo alcuni minuti è stato chiaro che Lufthansa stava lasciando a terra solo gli ebrei.
   La conferma è arrivata poco dopo: nel video, al minuto 3.37, si vede un responsabile di Lufthansa annunciare al microfono che, «per questioni operative», per tutti i passeggeri rimasti al gate (quindi quelli non imbarcati) il volo era stato cancellato. «Voi lo sapete, il motivo», ha aggiunto.
  In un altro video si vede un passeggero, Yitzy Halpern, chiedere a una rappresentante di Lufthansa il motivo del blocco: lei risponde che la causa sono i problemi creati sul volo partito da New York da alcune persone ebree. Halpern dice: «Delle persone ebree hanno creato un problema e quindi oggi è vietato volare a tutti gli ebrei?»; la responsabile di Lufthansa risponde: «Solo su questo volo».
  Dopo la partenza del volo per Budapest con i pochi passeggeri ammessi, quelli rimasti a terra hanno cercato di comprare un nuovo biglietto, sperando di poter arrivare in tempo alla cerimonia. Alcuni di loro ci sono riusciti, anche se non hanno ricevuto alcun rimborso per il volo cancellato. Ad altri però è stato persino negato il permesso di volare su aerei Lufthansa per le successive 24 ore. Alcuni hanno quindi preso un volo per Vienna gestito da un’altra compagnia, e da lì poi sono andati in Ungheria con altri mezzi.

(PointOfNews.it, 14 maggio 2022)

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Verso una “guerra per procura” in Ucraina?

di Mirko Molteni

Soffia un brutto vento sull’Europa, man mano che il muro contro muro Est-Ovest in Ucraina mette radici promettendo una guerra duratura e dagli sviluppi imprevedibili.
  A oltre due mesi e mezzo dall’inizio della cosiddetta “operazione speciale” delle forze russe, che Mosca non considera una guerra a sé stante, reputandola evidentemente conseguenza degli spargimenti di sangue in atto in Donbass dal 2014, gli iniziali sospetti, condivisi da molti esperti, sul carattere di “guerra per procura” fra Russia e NATO di cui gli ucraini sono strumento, ovvero carne da cannone, hanno trovato crescenti conferme negli ultimi giorni con l’alternanza fra possibili aperture ucraine a un dialogo con il Cremlino e un’intransigenza ferrea da parte degli Stati Uniti, che, anzi, hanno fatto di tutto finora per presentare lo scontro in termini epocali con richiami fin troppo frequenti alla Seconda Guerra Mondiale e alla lotta fra democrazie e dittature.
  Dimenticando però, a beneficio delle semplificazioni giornalistiche, che 80 anni fa la coalizione contro l’Asse germano-italo-giapponese comprendeva anche una dittatura, quella sovietica di Stalin. Ma che la realtà sia molto più complessa delle stucchevoli rappresentazioni di “Bene contro Male”, lo testimoniano anche le numerose sfumature della situazione odierna, dato che lo schieramento ostile alla Russia non abbraccia certo tutte le democrazie del mondo, anzi, la democrazia più popolosa, l’India, non si pone problemi nell’offrire appoggio a Mosca, rifiutando ogni ipotesi di sanzioni, nonostante condivida questo atteggiamento col regime comunista cinese, col quale pure Nuova Delhi ha contenziosi sul confine dell’Himalaya.

• MURO CONTRO MURO
  Eppure l’11 maggio 2022 il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha ancora parlato in termini manichei, scrivendo su Telegram: “E’ chiaro a tutto il mondo libero che l’Ucraina è la parte del bene in questa guerra. E la Russia perderà, perché il male perde sempre”. Parole letteralmente improponibili in diplomazia, che sembrano dettate a Kiev dal “padre-padrone” americano che ha tutto l’interesse che la guerra prosegua.
  Non è un caso che quella che era sembrata una timida apertura dello stesso Zelensky pochi giorni prima, quando aveva posto come condizione dei negoziati “il ritiro dei russi sulle posizioni tenute il 23 febbraio”, cioè fino al giorno precedente l’inizio dell’invasione, senza nominare esplicitamente la restituzione della Crimea, erano state rimbeccate dal segretario generale della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg: “La NATO non accetterà mai che la Crimea rimanga alla Russia”.
  Certo Stoltenberg ha precisato che scelte e decisioni spettano agli ucraini e in molti hanno gridato alla strumentalizzazione delle affermazioni del segretario generale della NATO ma il messaggio è risultato forte e chiaro per tutti: Kiev non sembra poter imbastire una propria autonoma linea di condotta negoziale, ormai “ostaggio” dell’Alleanza Atlantica e soprattutto degli USA, ormai chiaramente parte del conflitto.
  Del resto il 13 maggio anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che “non accetteremo alcuna pace imposta all’Ucraina” aggiungendo che la pace sarà impossibile nel caso in cui la Russia annettesse una parte dei territori ucraini.
  Sempre l’11 maggio, sono emersi indizi di possibili contatti a livello riservato fra le due parti, per quanto appena abbozzati. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova ha detto che “i contatti sono in corso”, seguita dal portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, secondo cui “il processo dei negoziati continua senza mediatori in modo piuttosto lento e inefficace”. La diplomazia, è, in sostanza ridotta al lumicino, in questo momento, anche perché l’Ucraina vuole constatare fino a che punto può tener testa ancora alla Russia grazie al supporto occidentale in armi e anche in informazioni, allo scopo di sedersi al tavolo solo quando avrà acquisito un peso negoziale stremando l’attaccante, perlomeno nelle sue speranze.
  Ma poiché anche i russi ragionano in modo speculare, volendo trarre il massimo profitto dalla loro superiorità in termini di massa e di resistenza sul lungo periodo, è intuibile che la carneficina proseguirà finché una delle due parti non potrà più nascondere i propri cedimenti.
  In questo braccio di ferro, il 3 maggio il presidente americano Joe Biden ha compiuto una visita alla fabbrica dei missili anticarro Javelin destinati all’Ucraina, lo stabilimento Lockheed-Martin a Troy, in Alabama, lasciando intendere quanto la guerra ucraina sia benefica per l’economia americana, l’occupazione e i profitti del complesso militar-industriale.
  E lo stesso giorno la CIA ha praticamente lanciato ai cittadini russi quasi un appello a tradire il proprio paese e a spiare per conto degli americani. Stando al New York Times, la maggiore agenzia americana d’intelligence ha postato su Youtube istruzioni in lingua russa che spiegano come “condividere informazioni” contattando la CIA in forma anonima e senza che i servizi del controspionaggio russo lo vengano a sapere, usando il dark web e connessioni VPN per aggirare la sorveglianza russa su internet.
  Ha detto la portavoce della CIA Susan Miller: “Stiamo fornendo istruzioni in lingua russa su come contattare in sicurezza la CIA, tramite il nostro sito sul dark web o una VPN affidabile, a tutti coloro che hanno bisogno di contattarci a causa di questa guerra ingiusta della Russia contro l’Ucraina”.
  A parte il discorso sull’istigazione al tradimento del proprio paese, è alto il rischio che la CIA stessa, fabbricandosi un canale a senso unico di informazioni, anche anonime, dalla Russia, venga inondata da informazioni inaffidabili che magari gli stessi servizi segreti russi possono diffondere attraverso finti traditori, il che nella storia dell’intelligence è molto diffuso, si tratta di “intossicare” i servizi d’informazione altrui con falsità, integrali o miste a verità parziali, oppure informazioni volte a, pezzo per pezzo, a portare a smascherare le vere spie.
  Fra i tanti avvertimenti russi agli americani, intanto, fra il 4 e il 5 maggio, si sono susseguiti, dapprima sulla tivù russa richiami alla capacità delle forze nucleari di Mosca di spazzar via Berlino, Parigi e Londra nel giro di “200 secondi” con missili balistici, nonché la sommersione della Gran Bretagna con le ondate tsunami cagionabili dal siluro-drone termonucleare da 100 megatoni Status 6 Poseidon.
  E poi esercitazioni di lancio simulato di missili balistici Iskander nell’enclave di Kaliningrad, la base russa incuneata fra Polonia e Lituania. L’esercitazione simulava “un contrattacco”, contemplando anche un’ipotesi di attacco straniero alle basi di Kaliningrad di tipo atomico e/o chimico.
  In realtà gli Iskander-M di base a Kaliningrad, che pure possono essere dotati di una testata nucleare, hanno un raggio d’azione stimato in 480, forse 500 km, e potrebbero battere basi NATO in Polonia, ma non arrivare al resto d’Europa. A Kaliningrad, per quel che si sa, non sono dispiegati missili a più lunga gittata, sebbene siano di base anche unità della Marina (Flotta del Baltico) e dell’aviazione che possono portare altri ordigni nucleari. Esiste comunque una versione dell’Iskander, Iskander K, dove la K sta per Krylataya, “alata”, che lancia un missile da crociera di derivazione Kalibr, che i russi sostengono con gittata limitata a 480 km, ma potrebbe essere maggiore.

(Analisi Difesa, 14 maggio 2022)

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Comunità ebraica di Milano, l'opposizione si dimette in segno di protesta per la lettera del presidente Walker Meghnagi a FdI

La scelta dei consiglieri della lista "Milano ebraica" dovrebbe portare a nuove elezioni anticipate.

di Zita Dazzi

Si sono dimessi tutti i consiglieri dell'opposizione nella Comunità ebraica di Milano, in segno di protesta contro il presidente in carica Walker Meghnagi, eletto con la lista "Beyachad-Insieme" nell'ottobre scorso. Una scelta che, a norma di regolamento, dovrebbe portare a nuove elezioni anticipate - sarebbe la seconda volta in un anno - a cui si arriva dopo giorni di polemiche a causa della lettera di Meghnagi letta dal senatore Ignazio La Russa durante la Conferenza programmatica di Fratelli d'Italia, organizzata a Milano il 29 aprile scorso.
  Quella lettera - che Meghnagi aveva inteso restasse privata e che invece è deflagrata come una bomba quando è stata resa pubblica - era stata scritta con l'intento di scusarsi per non potere "intervenire come ospite" alla kermesse. C'erano anche affermazioni che hanno fatto scandalo fra gli ebrei milanesi: "Ho seguito dai mezzi di informazione la vostra manifestazione così come, sin dai tempi della tua sincera amicizia con mio padre Isacco, seguo con attenzione l'evoluzione della destra politica italiana che mai ha mancato di schierarsi con Israele in politica estera e che è in prima fila nella condanna dell'olocausto e delle orrende leggi razziali, la più grande tragedia della Shoah".
  Immediate erano state le richieste di presentarsi nel parlamentino della comunità per spiegare tali attestati di stima nei confronti di una formazione politica che accoglie fra le sue fila anche personaggi con discutibili affinità con l'area dell'estremismo nero, che non ha certo fatto i conti con l'eredità di Mussolini e del regime fascista. I consiglieri della lista d'opposizione "Milano ebraica" gli avevano chiesto la "convocazione di un Consiglio straordinario con urgenza". Ma Meghnagi ha tergiversato mentre sul sito ufficiale della Comunità, Bet Magazine Mosaico, la lettera spedita al "Caro Ignazio" e alla "cara Giorgia", era stata criticata duramente proprio per "le deplorevoli dichiarazioni non condivise come da prassi con il Consiglio". Meghnagi si era spinto a scrivere a La Russa e Meloni: "Mi rallegra sapere che ci accomuna l'amore per il valore della libertà e da buoni conservatori, lo sguardo al futuro ma sapendo conservare le tradizioni e l'identità che contraddistingue ogni popolo".
  Scoppiato il putiferio il 2 maggio, sempre su "Mosaico", Meghnagi si era giustificato parlando di "un messaggio strettamente personale sul Secolo d'Italia, utilizzato strumentalmente come sostegno al convegno organizzato da Fratelli d'Italia. A un invito a cui non ho aderito, ho risposto che sto seguendo con attenzione l'evoluzione della destra che (....) ha ancora una forte necessità di fare i conti con le sue pericolose frange estremiste".
  Le dimissioni della metà dei consiglieri sono arrivate di fronte alla impossibilità di avviare un dibattito interno con l'opposizione. Se si andrà nuovamente ad elezioni anticipate, per questo cavillo regolamentale, non è nemmeno chiaro chi si potrebbe candidare. Milo Hasbani, l'ex presidente sconfitto alle urne da Meghnagi, alza le mani quando gli si chiede se correrebbe di nuovo: "E' troppo presto per parlare, stiamo ancora realizzando quel che sta succedendo, voglio aspettare che si calmino un po' le acque. Sono dimissioni molto sofferte". Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah e consigliere di "Milano Ebraica", scuote la testa: "Sarebbe ora che ci fosse un ricambio generazionale e che qualche giovane si facesse avanti. Ma è molto difficile che qualcuno ancora impegnato professionalmente trovi il tempo necessario per svolgere questo delicato e complicatissimo compito".

(la Repubblica, 14 maggio 2022)

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La giornalista di Al Jazeera uccisa in un conflitto a fuoco a Jenin

Quel che è successo spiegato in breve

di Ugo Volli

• CHE COS’È SUCCESSO
  Mercoledì scorso, Shireen Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera cinquantenne, è stata uccisa in un conflitto a fuoco mentre seguiva una missione delle forze di difesa israeliane nel campo profughi di Jenin in Samariae. Si tratta di una roccaforte della Jihad Islamica, da cui sono partiti molti degli attacchi che hanno provocato l’uccisione di 19 cittadini israeliani nelle ultime settimane. Le forze di sicurezza di Israele sono impegnate a bloccare l’ondata terrorista e ad arrestare i colpevoli quando riescono a fuggire e dunque hanno la necessità di entrare anche nei luoghi più difficili come questi. Sono operazioni ad alto rischio perché i militari sono attesi e subiscono agguati con le armi dalle case e dai vicoli. Ne nascono vere e proprie battaglie, in cui si sparano migliaia di proiettili. Seguendo una di queste operazioni che si è svolta mercoledì all’alba, con l’obiettivo dell’arresto di un terrorista, Abu Akleh si è trovata sulla linea di fuoco e ha ricevuto un proiettile nella testa che l’ha uccisa.

• LE ACCUSE A ISRAELE
  Immediatamente è partita una campagna di stampa per accusare Israele della responsabilità di questa morte. L’hanno fatto inizialmente Al Jazeera e l’Autorità Palestinese, seguite da Hamas e quindi da tutte le fonti di propaganda palestinista. L’accusa è di aver ucciso deliberatamente la giornalista, sparandole apposta nella testa. L’esercito israeliano ha espresso rincrescimento per la morte e ha subito smentito di aver sparato su Abu Akleh.

• AL JAZEERA
  La televisione del Qatar ha incolpato Israele per la morte di Abu Akleh, twittando: "La nostra collega è stata uccisa dall'esercito israeliano mentre copriva l'attacco al campo profughi di Jenin". In una dichiarazione pubblicata sul canale, ha invitato la comunità internazionale a "condannare e ritenere responsabili le forze di occupazione israeliane per aver preso di mira e ucciso deliberatamente la nostra collega". La terminologia usata (“Attacco”, “uccisa deliberatamente”) corrisponde all’ostilità che l’emittente ha da sempre per Israele. Vale la pena di ricordare che nel 2017 Bibi Netanyahu, dopo una serie di incitamenti al terrorismo, aveva ordinato la chiusura della sede di Gerusalemme. Al Jazeera è stata anche espulsa dall’Egitto e parzialmente proibita in Arabia Saudita perché considerata non un canale giornalistico, ma la voce propagandistica dei Fratelli Musulmani.

• L’INCHIESTA
  Israele ha chiesto all’Autorità Palestinese di condurre un’inchiesta comune sulla morte. L’AP ha respinto l’inchiesta comune e ha anche rifiutato di lasciar esaminare il proiettile causa della morte, il cui esame avrebbe potuto rilevare il tipo di arma usata e forse avrebbe potuto permettere di risalire a chi aveva sparato (anche se bisogna dire che i terroristi palestinesi usano abbastanza spesso armi rubate dai depositi israeliani). Mohamed Abbas ha anche annunciato una mossa propagandistica: la denuncia di Israele alla corte dell’Aja sui crimini di guerra, anche se un caso del genere non rientra certo nelle competenze della corte.

• QUEL CHE È USCITO FINORA
  Nel frattempo però è stato pubblicato l’esame dell’autopsia della giornalista condotto alla An Najah University di Nablus, dove si dice che non è possibile stabilire chi abbia ucciso la giornalista e che la sola cosa sicura è che il colpo non è stato sparato da vicino: se si considera che vengono da medici palestinesi, queste due affermazioni non sono certo favorevoli alla propaganda dell’AP. Vi sono dei filmati in rete che mostrano un terrorista di Jenin esultare per aver colpito un soldato israeliano. Fra i militari però non vi sono perdite o feriti. Che quella raffica sparata a casaccio abbia colpito la giornalista? E’ quel che un’inchiesta israeliana si propone di indagare.

• LE CONSEGUENZE INTERNAZIONALI
  La campagna contro Israele, che aveva perso qualche slancio in seguito all’ondata terrorista, ha ripreso forza. Gli Stati Uniti hanno chiesto spiegazioni, l’Europa ha condannato Israele, la stampa araba anche. E però sono accuse che mancano di ogni credibilità. Israele è fiero di avere una stampa libera e combattiva e non impedisce affatto ai giornalisti di fare il loro mestiere, né li minaccia con le armi. E’ evidente che questo incidente danneggia Israele, che non aveva nessun interesse ad eliminare una giornalista che certo non gli era favorevole, ma che non era certo in questo diversa dalla maggior parte dei reporter internazionali, quasi sempre schierati dalla parte palestinese.

(Shalom, 13 maggio 2022)


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Come mai l’Autorità Palestinese rifiuta l’indagine congiunta e nasconde prove forensi basilari?

La morte della giornalista di Al-Jazeera è una tragedia, ma incolpare aprioristicamente Israele servirà solo a fomentare altri attentati e altro sangue.

La salma della giornalista Abu Akleh è stata trasportata da migliaia di palestinesi in un caotico corteo funebre, mercoledì, per le vie di Ramallah prima che si procedesse a un serio esame autoptico.
  L’uccisione della giornalista di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh durante un violento scontro a fuoco a Jenin tra palestinesi e soldati delle Forze di Difesa israeliane è una tragedia. I giornalisti che svolgono il loro lavoro dovrebbero essere tutelati anche nelle situazioni più pericolose.
  La morte della reporter 51enne, un volto familiare per milioni di telespettatori in tutto il mondo arabo, costituisce una tragedia così come la morte di tutti i giornalisti colpiti e uccisi nel fuoco incrociato mentre riferiscono da zone di conflitto e di guerra in tutto il mondo. Abu Akleh aveva cittadinanza americana e l’ambasciatore statunitense in Israele Tom Nides ha chiesto “un’indagine approfondita sulle circostanze” della sua morte. Siamo perfettamente d’accordo.

(israele.net, 13 maggio 2022)


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Gerusalemme: vasto dispiegamento di forze israeliane per il funerale della giornalista uccisa

Le autorità temono che la cerimonia del funerale della giornalista possa comportare tensioni e nuovi scontri nella città. Intanto, questa mattina un palestinese è stato colpito da colpi di arma da fuoco dalle Idf vicino alla comunità ebraica di Beit El sulla Route 60 dopo aver lanciato un masso contro un veicolo delle forze di sicurezza.

Lo Stato di Israele ha dispiegato diverse centinaia di agenti di polizia e forze di sicurezza a Gerusalemme est dove oggi si svolgeranno le esequie e la tumulazione della giornalista di “Al Jazeera”, Shireen Abu Akleh, colpita da un proiettile alla testa durante la copertura di un’operazione delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, tra militari israeliani e miliziani palestinesi. Lo riferisce un portavoce della polizia israeliana al quotidiano “Jerusalem Post”. Il funerale della giornalista, che aveva cittadinanza statunitense ed era di religione cattolica, si svolgerà presso la chiesa di Bab al Khalil. Le autorità israeliane, infatti, temono che la cerimonia del funerale della giornalista possa comportare tensioni e nuovi scontri nella città.
  Secondo i media sia israeliani che palestinesi, sono attese migliaia di persone ai funerali della corrispondente di “Al Jazeera”, che si terranno intorno alle 14.15 ora locale (le 13.15 in Italia). La donna sarà sepolta presso il cimitero cristiano di Mount Zion accanto ai suoi genitori. Intanto, questa mattina un palestinese è stato colpito da colpi di arma da fuoco dalle Forze di difesa israeliane (Idf) vicino alla comunità ebraica di Beit El sulla Route 60 dopo aver lanciato un masso contro un veicolo delle forze di sicurezza. L’uomo era anche in possesso di un coltello e di una bomba artigianale di tipo molotov. Scontri sono stati registrati nuovamente questa mattina a Jenin, dove le Idf sono tornate sul luogo in cui è deceduto la Akleh.
  Da una prima indagine condotta dalle Idf la giornalista, che indossava giubbotto antiproiettile ed elmetto protettivo, si trovava a 150 metri di distanza dalle truppe quando è stata colpita da un proiettile al collo. Il proiettile aveva un diametro di 5,56 millimetri e potrebbe essere stato sparato da un fucile d’assalto M16 o M4. Secondo l’indagine, “non è ancora chiaro” se la Abu Akleh sia stata uccisa dal fuoco israeliano o da “uomini armati palestinesi”. Funzionari palestinesi e la stessa emittente qatariota “Al Jazeera” insistono sul fatto che la Abu Akleh sia stata colpita dalle forze israeliane, portando come prova le testimonianze dei colleghi giornalisti presenti al momento dell’incidente. Israele ha richiesto il proiettile che ha ucciso Shireen Abu Akleh per i test forensi e per condurre un’indagine congiunta sulla sua morte insieme all’Anp che però ha finora rifiutato la collaborazione. Da parte sua, il ministro della Difesa di Israele, Benny Gantz, ha annunciato l’intenzione di condurre un’indagine approfondita, “ma purtroppo non abbiamo un modo per condurre un’indagine forense, quindi abbiamo fatto appello ai palestinesi affinché ci diano il proiettile” per condurre un’indagine balistica. Secondo quanto riferito dall’emittente israeliana “Channel 12”, il proiettile che ha ucciso la giornalista è utilizzato sia dai militari israeliani che dai gruppi armati palestinesi e può essere utilizzato sia con i fucili d’assalto M16 che M4.

(Nova News, 13 maggio 2022)

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Disastro vaccinale in Australia e Israelencui: esplodono i morti

In molti paesi in cui la vaccinazione è stata introdotta a un ritmo rapido, il numero di “Covid” è salito alle stelle. È il caso di Danimarca, Corea del Sud e Nuova Zelanda, ma anche di Israele e Australia.
  Israele ha il tasso di mortalità più alto dall’inizio della pandemia. In Australia, il 70 per cento di tutti i decessi coronarici si è verificato negli ultimi cinque mesi. Il direttore della Pfizer Albert Bourla lo scorso anno ha descritto Israele come “il laboratorio del mondo”.
  Il sito web della piattaforma Euromomo, che tiene traccia dei dati sulla mortalità, mostra che l’eccesso di mortalità in Israele ha raggiunto il livello più alto dall’inizio della crisi della corona.
  Nonostante la lievissima variante omicron, il numero dei “decessi Covid” continua a salire. E sebbene circa il 66% della popolazione israeliana sia “completamente vaccinata”, l’82% dei decessi è stato vaccinato.
  Preoccupano anche gli ultimi dati dall’Australia. Il 7 maggio il titolo Sydney Morning Herald: ‘Viviamo con il Coronavirus ma molti noi muoiono più di prima.”
  Al 31 dicembre dello scorso anno, in Australia erano stati segnalati 2.253 decessi per malattia di Covid. Da allora è diventato 7668. Ciò significa che il 70 percento di tutti i “decessi Covid” si è verificato negli ultimi cinque mesi. Circa l’84% degli australiani è stato vaccinato almeno due volte.
  Ora ci sono prove sufficienti che è la terapia genica sperimentale a causare così tante morti, scrive il quotidiano Internet vista settimanale. Nello stato australiano di New Galles del Sud il numero di decessi per infarto miocardico è aumentato notevolmente alla settimana 15, soprattutto tra le persone vaccinate.
  Degli 83 decessi, 40 erano stati vaccinati tre o più volte e 19 erano stati vaccinati con doppia vaccinazione. Nei restanti casi, lo stato di vaccinazione era sconosciuto o la persona non era stata vaccinata.

(Nova News, 13 maggio 2022)

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Mosca: «Gli USA conducevano esperimenti biologici su pazienti psichiatrici in Ucraina»

Il ministero della Difesa russo ha detto di avere le prove che il Pentagono ha partecipato ad «esperimenti biologici su pazienti di ospedali psichiatrici vicino a Kharkiv», in Ucraina. Lo riferisce l’agenzia Tass. Negli esperimenti, aggiunge il ministero, sono coinvolti anche Germania e Polonia e le compagnie Pfizer, Moderna e Merck. Lo scrive https://www.cdt.ch
  «Abbiamo ottenuto prove – ha detto Igor Kirillov, capo della forza russa di protezione nucleare, chimica e biologica – su esperimenti disumani del Pentagono condotti su cittadini ucraini dell’ospedale psichiatrico N. 1 nel villaggio di Strelechye, nella regione di Kharkiv. Il gruppo principale di pazienti era formato da uomini di età compresa tra i 40 e i 60 anni».
  Secondo il ministero della Difesa, è stata l’invasione russa dell’Ucraina a mettere fine agli esperimenti e gli USA hanno cercato di distruggere le prove.
  «L’Ucraina – afferma ancora Kirillov – è un campo di prova per la sperimentazione di nuovi farmaci da parte degli USA e altri Paesi occidentali». Kirillov ha detto in particolare che «gli USA e le autorità di Kiev hanno usato Mariupol come centro per la raccolta e identificazione dell’agente patogeno del colera, di cui alcuni campioni sono stati inviati al Centro di salute pubblica di Kiev, incaricato di spedire i biomateriali negli Stati Uniti».

• ESPERIMENTI BIOLOGICI, DOCUMENTI DISTRUTTI
  Il ministero della Difesa ha affermato che le truppe russe entrate a Mariupol hanno trovato «prove della distruzione d’urgenza di documenti che confermavano la collaborazione con i militari americani».
  Kirillov aggiunge che tra il 2016 e il 2019 epidemiologhi delle forze armate tedesche «hanno raccolto 3.500 campioni di sangue in 25 regioni ucraine». «Il coinvolgimento di istituzioni controllate dalle forze armate conferma l’orientamento militare delle ricerche biologiche condotte nei laboratori ucraini e solleva domande su quale sia l’obiettivo delle forze armate tedesche», conclude il responsabile russo.

(Imola Oggi, 13 maggio 2022)

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Il modello Israele: un’agricoltura basata su ricerca, innovazione, sviluppo e formazione.

Agricultura.it, alla vigilia di questo importante incontro, ha intervistato in esclusiva l’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, per fare un approfondimento su uno dei sistemi agricoli più innovativi al mondo, appunto quello israeliano.

Ambasciatore di Israele in Italia 
ROMA – Sicurezza alimentare e delle risorse di produzione. Minacciata da instabilità geopolitica, crisi energetica e cambiamenti climatici, la certezza degli approvvigionamenti torna in cima all’agenda euromediterranea, imponendo una revisione profonda dei nostri sistemi di produzione agroalimentare. Questo e molto altro al centro della conferenza “Techagriculture meeting Italia-Israele: L’agricoltura incontra l’innovazione”, organizzata dall’Ambasciata d’Israele, Confagricoltura, il Comune di Napoli e l’Università degli Studi di Napoli Federico II, che si terrà il 17 maggio nella città partenopea simbolo della tradizione agroalimentare italiana e del dialogo mediterraneo.

- L’agricoltura israeliana rappresenta un modello a livello internazionale, una fotografia di quelle che sono le peculiarità attuali.
  La produzione agricola israeliana è da sempre stata caratterizzata da una forte tensione innovativa, necessaria conseguenza di un territorio per la gran parte arido e semiarido, e con scarse riserve d’acqua,  che ha saputo trasformare questi limiti in opportunità. Gli sviluppi tecnologici che hanno modificato l’economia del Paese negli ultimi 20 anni, trasformando Israele in una Startup Nation, hanno permeato anche il settore agricolo: intelligenza artificiale, robotica, biotecnologia, management dell’acqua, controllo dello stress climatico, piattaforme di genetica vegetale, proteine alternative. Dal campo alla tavola, l’intera filiera in Israele è pensata e organizzata per “produrre di più con meno”, nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e alimentare che ci richiamano alle nostre responsabilità nei confronti del pianeta.Alla sua nascita, nel 1948, Israele era considerato un paese in via di sviluppo, ed era noto al mondo per le esportazioni di arance Jaffa. Oggi, dopo soli 74 anni, è un leader mondiale capace di attrarre un flusso crescente di investimenti. Oggi, l’agritech israeliano conta sull’attività di oltre 440 startup innovative. Nell’anno appena trascorso, il finanziamento totale al settore agrifoodtech ha raggiunto la cifra record di 833,5 milioni di dollari, registrando una crescita del 150% rispetto al 2020. Circa 200 milioni sono affluiti nel comparto agri-tech.

- Ricerca e innovazione stanno facendo la differenza, che tipo di investimenti sono in atto in questo senso
  Israele è uno dei Paesi al mondo che investe di più in R&S, un settore che assorbe circa il 4.5 % del PIL. Storicamente l’agricoltura israeliana ha potuto godere dell’apporto di un efficiente sistema di technology transfer, istituito nei primi anni Cinquanta, e di scelte governative di sostegno allo sviluppo del settore. L’approccio, tanto dei singoli agricoltori quanto dei policy makers, è da sempre fortemente orientato al mercato. Un esempio indicativo della convergenza di forze su cui si regge l’ecosistema israeliano è il programma gestito dall’Israel Innovation Authority (l’agenzia responsabile della definizione e dell’implementazione delle politiche per l’innovazione) e dal Ministero dell’Agricoltura, che ha investito 9 milioni di shekels per finanziare le spese di R&D di progetti imprenditoriali ad alto rischio per soluzioni agritech innovative. Ma già negli anni ’50 e ’60, il 30% del bilancio nazionale era destinato all’agricoltura e all’acqua, mentre un altro 30% all’istruzione. Ciò ha favorito una solida politica agroindustriale e la crescita di settori specifici, come quello ortofrutticolo, cui  ha contribuito anche la rete dei kibbutz sulla quale si è retto il primo sviluppo del Paese.

- Uno dei punti di forza è anche la formazione insieme all’istruzione degli imprenditori e degli operatori. Che tipo di percorso viene proposto?
  Israele ha da sempre puntato alla valorizzazione del suo capitale umano e questa è una risorsa alla quale il Paese ha legato il suo destino. Israele vanta un sistema accademico d’eccellenza. Nel settore dell’agricoltura, istituzioni come il Volcani Center, il braccio di ricerca del Ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale israeliano, la Facoltà di Agronomia della Hebrew University, l’Arava Center for R&D, la Ben Gurion University, sono alcune delle maggiori istituzioni accademiche che, dal BA ai percorsi dottorali, stanno formando una generazione di agricoltori con fortissime competenze di settore. Lo stesso deserto del Negev, grazie alle nuove tecnologie, vive un processo di de-desertificazione che lo ha trasformato in un laboratorio permanente, un apripista dell’agricoltura del futuro.

- Il rapporto tra pubblico e privato inoltre è un altro elemento caratterizzante la vostra agricoltura. Il Governo come lavora in questo senso?
  Il governo ha avuto un ruolo essenziale nella trasformazione economica del Paese. L’adozione del programma Yozma (“iniziativa” in ebraico), nel 1993, ha gettato le basi per la crescita e la proliferazione di questi Fondi d’Investimento provati che, attraverso un’azione sinergica con le istituzioni pubbliche, hanno creato le condizioni per la trasformazione del paese in un hub tecnologico internazionale. Ciò che distingue Israele – e su questo si fonda una buona parte del suo successo – è la sua capacità di fare sistema e creare sinergia tra il trasferimento sul mercato dei risultati della ricerca accademica, iniziative pubbliche a sostegno di imprese ad alto rischio, l’interesse degli investitori privati a contribuire alla crescita del sistema. Il fatto che alcuni Ministeri chiave – da quello dell’energia, a quello della scienza passando per l’Agricoltura – abbiano un Chief Scientist è molto indicativo dell’approccio israeliano ai temi della crescita economica.

- Esiste un legame tra agricoltura italiana e israeliana? Se sì quale altrimenti ci sono elementi ?
  Israele e Italia sono legati non solo da una forte prossimità culturale e geografica, ma anche da una consistente complementarietà economica. Entrambi sono Paesi mediterranei con una forte vocazione alla cooperazione internazionale e allo sviluppo. Per parte nostra, gli Accordi di Abramo, che stanno riscrivendo le nostre relazioni economiche e commerciali con i Paesi arabi, aprono nuove prospettive di mercato. L’Italia rappresenta invece, per posizione geografica e per tradizione politica, un naturale ponte tra la sponda meridionale del Mediterraneo e l’Europa. L’Italia vanta una marcata tradizione agricola, connotata anche da forti specificità regionali; Israele si distingue invece per il massiccio impiego di tecnologia avanzata. La stretta collaborazione tra i nostri due sistemi può indubbiamente contribuire a fare del Mediterraneo uno dei centri mondiali della produzione agricola ecosostenibile. Lo stesso PNRR è improntato alla sostenibilità economica, sociale e ambientale.
  Italia e Israele sono, inoltre, oggi unite dal fenomeno, relativamente nuovo per l’Italia, della desertificazione. Io stesso sono stato testimone di questo fenomeno durante una mia recente visita in Sicilia e so che si verifica anche in altre parti d’Italia. In effetti, due terzi del territorio di Israele sono desertici, ma negli anni siamo riusciti a far fiorire il deserto e a sviluppare in esso un’agricoltura altamente specializzata e molto ricca. Israele ha maturato una grandissima esperienza anche in relazione ai problemi idrici, in particolare nel riciclo dell’acqua, nella sua purificazione e desalinizzazione. Basti pensare che Israele ricicla quasi il 90% della sua acqua ed ha il primato mondiale in questo campo. Per questo siamo felici di condividere la nostra esperienza e conoscenza con l’Italia, e a questo scopo organizzeremo a Napoli, il 16 e il 17 maggio prossimi, un grande evento dedicato all’agricoltura, denominato “Techagriculture meeting Italia-Israele”.
  La conferenza, che impegna partner importanti come il Comune di Napoli e l’Università Federico II, e uno dei maggiori attori del sistema agroalimentare italiano qual è Confagricoltura, muove dall’ambizione di mettere a sistema e tradurre in azioni concrete la condivisione del know how e la progettualità imprenditoriale, e creare un percorso dall’enorme potenziale cui le stesse istituzioni, locali e nazionali, possono accompagnare in modo importante. Per l’occasione, arriveranno in Italia i rappresentanti di oltre 20 società israeliane, che mostreranno le loro più avanzate tecnologie e soluzioni innovative applicate all’agricoltura e ai settori affini.

- Prospettive future?
  Il tema della sostenibilità ambientale e alimentare è senza dubbio uno dei temi di maggiore attualità. Dal Rapporto sull’insicurezza alimentare mondiale della FAO al Recovery Plan dell’Unione Europea, dall’Agenda Globale delle Nazioni Uniti al Cop 21, tutto ci riporta alla necessità di rispondere all’aumentata domanda di cibo con una produzione che sia sostenibile per il pianeta. In questa prospettiva, il governo israeliano ha anche adottato un Piano per la produzione di proteine alternative. Solo nel 2021, l’industria tecnologica di questo comparto è cresciuta del 450% e le startup hanno raccolto investimento per 623 milioni di $. I dati sono del The Good Food Institute (GFI) Israel, un’organizzazione no profit che fa ricerca e innovazione in questo settore. Secondo i suoi studi, il 13% è coperto da programmi governativi, che hanno investito 69 milioni di $ in settori nuovi dell’agritech, tra cui la “carne coltivata”.

(Agricultura.it, 12 maggio 2022)

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Le start-up israeliane al Cybertech Europe a La Nuvola

di Sarah Tagliacozzo

Cybertech Europe 2022
Cybertech Europe 2022 è tornato il 10 e 11 maggio al centro congressi ‘La Nuvola’ di Roma. Le due giornate di conferenza ed esposizione dedicate all’industria cibernetica si sono aperte con gli interventi di Alessandro Profumo, CEO di Leonardo, e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Franco Gabrielli.
  La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale facendo emergere nuove difficoltà legate ad un incremento di attacchi informatici, ransomware, tentativi di phishing o di violazione di privacy. Tra i protagonisti dello sviluppo tecnologico degli ultimi anni si distingue Israele, vittima di centinaia di migliaia di attacchi all’anno. A causa di un significativo aumento di tentati attacchi informatici, all’inizio di maggio, il governo israeliano ha richiesto alle aziende di comunicazione di intensificare la sicurezza informatica. L’obiettivo è quello di «creare una sorta di Iron Dome contro gli attacchi informatici», ha spiegato il Ministro delle comunicazioni di Israele Yoaz Hendel.
  Al Cybertech Europe, numerose start-up israeliane hanno presentato le più avanzate tecnologie di sicurezza cibernetica. Università, industria ed esercito sono gli ingredienti della “Start-up Nation”. E proprio dall’esercito israeliano provengono alcuni dei fondatori delle start-up presenti al padiglione israeliano. È il caso di Salvador - Technologies, fondata da Oleg Vusiker (CTO) e Alex Yevtushenko (CEO), due ragazzi israeliani ideatori di un prodotto innovativo con cui le aziende, ed in futuro i privati, potranno proteggere i propri dati in seguito ad un attacco o guasto informatico. Ciò è possibile grazie all’uso di quella che sembra una semplice scatoletta turchese collegabile con un cavo USB ma che, in realtà, garantisce il ripristino completo e automatizzato dagli attacchi informatici in soli 30 secondi, indipendentemente dalla dimensione del disco, consentendo così il funzionamento continuo di workstations e server dopo un attacco informatico, sfruttando la più efficace protezione dei dati offline (air- gapped).
  Un anno fa Boris Gorin e Niv Steingarten hanno fondato Canonic. La startup ha clienti in Europa e negli Stati Uniti, attivi in campi molto diversi dalla tecnologia: dalla sanità al settore pubblico la prima società. Canonic profila continuamente le applicazioni e gli account dell’utente, identifica comportamenti sospetti e riduce l’ambiente di attacco SaaS. La piattaforma fornisce intelligence sull’accesso oltre che informazioni dettagliate in merito alla vulnerabilità ad attacchi esterni, rileva minacce e aiuta le squadre di sicurezza a rispondere con rapidità.
  “Solo perché sei paranoico non significa che i tuoi dispositivi non siano stati hackerati” recita lo sticker distribuito da FirstPoint. Fondata nel 2016, con sede a Netanya, Firstpoint lavora con grandi aziende (Fastweb, Wind, Enel) oltre che con agenzie governative, e si occupa di proteggere dispositivi mobili e cellular-Iot (Internet delle cose), aggirando le vulnerabilità per garantire una protezione contro attacchi informatici.
  Vicarius, fondata da Michael Assraf (CEO), Yossi Ze’evi (CTO) e Roi Cogen (CRO), ha annunciato a febbraio 2022 di aver chiuso un round di finanziamento di Serie A pari a 24 milioni di dollari. Vicarius ha sviluppato TOPIA, piattaforma di correzione delle vulnerabilità informatiche, che consente di individuare e analizzare vulnerabilità note e sconosciute in tempo reale, per poi assegnarle una priorità in base al contesto aziendale e a fattori di minaccia, procedendo a risolverle automaticamente.
  Tra le numerose startup israeliane presenti al padiglione del Cybertech Europe 2022, Continuity, fondata nel 2005, si occupa di garantire la costante tutela dei dati critici dei clienti, proteggendo sistemi di storage anche nel Cloud, quindi impedendo agli aggressori di penetrare nei sistemi di storage e di raggiungere così i dati archiviati: Continuity™ offre al 60% delle principali banche statunitensi la tranquillità di sapere che i propri sistemi di storage possono resistere a ransomware e altri attacchi contro i propri dati.
  I diversi approcci innovativi adottati con ingegnosità dalle startup Israeliane per provvedere alla sicurezza informatica dei propri clienti riflettono l’impegno a trovare soluzioni alle nuove sfide emerse negli ultimi anni nel mondo della sicurezza informatica.

(Shalom, 12 maggio 2022)

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L’agricoltura innovativa unisce Israele a Napoli

di Domenico Letizia

Grazie alla continua ricerca condotta dallo Stato di Israele è nata una delle agricolture più avanzate al mondo che si avvale della sinergica cooperazione tra comunità, governo e aziende. “La forza di Israele sta nell’innovazione applicata in tutte le discipline, dall’agricoltura all’aerospazio, dalla salute all’energia sino all’automotive”, aveva recentemente dichiarato Fabrizio Camastra, responsabile del desk di Tel Aviv dell’Istituto per il commercio estero (Ice). Anche per l’agricoltura, trainante è il settore hi-tech, eccellenza del Paese, dove ci si aspetta che lo stock di investimenti esteri superi quest’anno i 30 miliardi di dollari. La sicurezza alimentare e l’innovazione dei processi agricoli unisce il meridione italiano con lo stato di Israele in un legame ed una cooperazione costante per la crescita delle opportunità occupazionali nel Mediterraneo allargato.
  La valorizzazione della dieta mediterranea, l’instabilità geopolitica del Mediterraneo, la crisi energetica e climatica, la certezza e la fragilità degli approvvigionamenti alimentari tornano a riscrivere l’agenda euromediterranea, sancendo una revisione profonda dell’attuale sistema alimentare, per riaccendere i riflettori sull’innovazione dell’agricoltura e sulla sostenibilità delle produzioni e distribuzioni alimentari. Un importante meeting, organizzato dall’Ambasciata d’Israele in Italia con il Comune di Napoli, Confagricoltura e l’Università degli Studi di Napoli Federico II, chiamerà a raccolta autorevoli relatori per discutere e analizzare l’innovazione agricola per la crescita futura del settore.
  L’evento, intitolato “Techagriculture meeting Italia-Israele: L’agricoltura incontra l’innovazione”, vuole richiamare la comunità imprenditoriale e gli innovatori a riflettere sul ruolo attuale dell’agroindustria, confrontando ricerca, scienza, tecnologia e con il protagonismo delle più avanzate imprese agricole d’Italia e le più innovative start-up e aziende agrifood tech d’Israele, scrutando l’ottimizzazione dei processi produttivi, dei sistemi alimentari democratici e trasparenti e la sostenibilità ambientale. Nel corso dei lavori saranno numerose le novità tecnologiche esposte e presentate: dalle soluzioni per l’irrigazione e l’ottimizzazione delle capacità idriche alla fertirrigazione di precisione. Particolare attenzione sarà dedicata alle innovative piattaforme di analisi dei dati per l’agricoltura di precisione, il monitoraggio avanzato delle colture, l’identificazione precoce delle fitopatie e l’ottimizzazione delle attività post-raccolta, senza sottovalutare l’importanza delle tecnologie di automazione agricola e i droni a supporto dell’attività agronomica.
  Un contributo tecnologico per riscrivere il ruolo dell’agricoltura nel Mediterraneo, inseguendo anche le nuove ricerche sui materiali innovativi per la coltivazione in serra, l’agro-voltaico, le soluzioni d’avanguardia per la piantumazione urbana, le tecnologie per l’incremento della produttività dei bovini da latte e per la tutela della loro salute e le importantissime soluzioni per un’acquacoltura più efficiente e sostenibile. Un insieme di innovazioni che possono riscrivere il ruolo dell’agricoltura italiana e delle Pmi del settore. D’altronde, l’innovazione agricola, oltre a ottimizzare la produzione di beni alimentari e ad aumentarne il valore aggiunto, incentiva le filiere no-food, in particolar modo quelle energetiche, promuovendo una transizione tecnologica e digitale realmente ecologica, con l’agricoltura chiamata a concorrere in maniera decisiva alla produzione di energia rinnovabile. Importanti i relatori del panel.
  Ai saluti introduttivi del rettore dell’ateneo federiciano, Matteo Lorito, faranno seguito gli interventi del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, del ministro per le Politiche agricole Stefano Patuanelli, della ministra per il Sud Mara Carfagna, del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi e del presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti. I lavori prevedono tre tavole rotonde dedicate al contributo dell’innovazione tecnologica nella risposta alle sfide della filiera agroalimentare e della sostenibilità. A seguire, nel pomeriggio, vi saranno le presentazioni dei prodotti delle aziende israeliane e gli incontri B2B tra queste ultime e le aziende agricole e tecnologiche italiane.

(l'Opinione, 12 maggio 2022)

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"Libri antisemiti nelle scuole", e l'Ue tiene in 'ostaggio' i fondi per la Palestina

La decisione della Commissione duramente criticata da eurodeputati e alcuni Paesi membri. I testi sotto accusa sarebbero in linea con gli standard dell'Unesco.

di Eleonora Mureddu

I fondi Ue per la Palestina del 2021 sono ancora bloccati . A tenere in 'ostaggio' i finanziamenti sarebbe Oliver Varhelyi, commissario Ue per la Politica di vicinato e l'allargamento, fedelissimo di Viktor Orban, che ha deciso, contro il parere della maggioranza degli Stati membri, di subordinare il pagamento dei fondi, circa 215 milioni di euro, alla revisione dei testi scolastici palestinesi, accusati da gruppi pro-Israele, da alcuni eurodeputati e membri del gruppo interparlamentare Transatlantic Friends of Israel di diffondere l’antisemitismo.
  Il blocco dei finanziamenti dell'Unione europea si aggiunge al mancato ripristino delle sovvenzioni statunitensi tagliate durante il periodo di Donald Trump, all'inaridimento delle sovvenzioni dei Paesi arabi e alla crisi sanitaria. Tutti questi fattori, spiega Le Monde, contribuiscono al taglio del 20 per cento degli stipendi dei funzionari dell'Autorità palestinese (Ap), priva 120mila famiglie povere di un'indennità trimestrale e destabilizza l'intero settore ospedaliero di Gerusalemme Est, che riceve da 10 a 20 milioni di euro della dotazione di 215 milioni. 
  La questione si trascina da ormai da un anno, ma i fondi Ue restano bloccati. Nonostante un rapporto su questi libri di testo abbia stabilito che siano in linea con gli standard Unesco, e nonostante le pressioni che sono state fatte da europarlamentari e Stati membri, la discussione continua a essere rimandata. Politico riferisce che la questione è stata sollevata da alcuni ambasciatori Ue e potrebbe tornare al prossimo Consiglio Affari Esteri del 16 maggio se non risolta prima.
  In una lettera inviata a Várhelyi, firmata dai ministri degli Esteri di 15 Paesi Ue e nella quale si chiede lo sblocco immediato dei finanziamenti, viene fortemente criticata "l'introduzione della condizionalità in un momento in cui l'Autorità palestinese è già impegnata in un ambizioso programma di riforma dell'istruzione rischia di minare, o addirittura invertire, i progressi compiuti finora e potrebbe danneggiare il nostro dialogo in corso con i palestinesi su questa e altre questioni. Inoltre, è imperativo che facciamo tutto il possibile per rafforzare le voci moderate nei confronti degli attori più radicali".
  Anche i capigruppo dei Socialisti&Democratici, dei Verdi e della Sinistra al Parlamento europeo stanno esortando la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che non è mai intervenuta pubblicamente della vicenda, a sbloccare immediatamente i fondi e non condizionare i finanziamenti all'Autorità palestinese alla garanzia di modifiche ai libri di testo palestinesi. Nella lettera si legge che il rapporto dell'Istituto Georg Eckert, che nel giugno 2021 aveva tacciato alcuni libri di antisemitismo, aveva concluso che i libri di testo palestinesi "aderivano agli standard dell'Unesco".
  "Privare l'Autorità palestinese di beni finanziari destinati a finanziare gli stipendi degli insegnanti non solo avrebbe un impatto negativo sul diritto all'istruzione dei giovani palestinesi, ma potrebbe anche essere controproducente, aprendo nuove opportunità per i gruppi estremisti", hanno scritto i deputati. La scelta di condizionare i fondi è stata aspramente criticata anche dallo stesso Josep Borell, Alto Rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e ha diviso il Consiglio dell'Ue.
  Secondo Le Monde, la decisone di Várhelyi sarebbe stata aspramente criticata da alcuni ambasciatori dell'Ue, che avrebbero parlato di "ricatti" e "sporchi giochi politici", mentre alcuni hanno tirato in ballo il rapporto tra il Primo ministro ungherese e l'ex premier israeliano Benjamin Netanyahu. Le stesse fonti del quotidiano francese riferiscono inoltre che il governo israeliano starebbe sollecitando l'erogazione di aiuti Ue a Tel Aviv al fine di prevenire un'ulteriore escalation delle tensioni nella regione.

(EuropaToday, 11 maggio 2022)
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Se Oliver Varhelyi, fedelissimo di Viktor Orban (il "cattivo" della Ue), ha subordinato il versamento di fondi ai palestinesi al controllo del contenuto di antisemitismo dei loro testi scolastici, avrà avuto i suoi buoni motivi. M.C.

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Cisgiordania, morta durante uno scontro a fuoco una giornalista di Al Jazeera

Shireen Abu Akleh era uno dei volti più noti e competenti dell'emittente televisiva. Nessun dubbio da Al Jazeera e Abu Mazen: "Il governo israeliano è pienamente responsabile di questo atroce crimine".

Shireen Abu Akleh
Shireen Abu Akleh, nota giornalista della emittente radiotelevisiva Al Jazeera, è rimasta uccisa questa mattina in uno scontro a fuoco durante un raid dell'esercito israeliano a Jenin, in Cisgiordania. 
  La reporter è stata colpita da un proiettile al volto ed è morta sul colpo. Un altro giornalista palestinese, Ali Samodi, e che lavora per il giornale Al-Quds, è stato ferito ed è in condizioni stabili. 
  Secondo Al Jazeera la sua giornalista è stata uccisa a "sangue freddo" dalle forze israeliane. Ma Tel Aviv rispedisce al mittente le accuse e parla a sua volta dell'apertura di una inchiesta sulla dinamica dei fatti. "Il presidente palestinese accusa Israele senza prove solide", così il premier israeliano Naftali  Bennett. "Sulla base dei dati a nostra disposizione, c'è una probabilità da non scartare che palestinesi armati che sparavano in modo selvaggio abbiano provocato  la dolorosa morte della giornalista".
  “Israele ha offerto alla Autorità nazionale palestinese una indagine congiunta patologica sulla morte della giornalista di Al Jazeera”. Lo ha detto il ministro degli esteri Yair Lapid  ricordando che "i giornalisti devono essere protetti nelle zone di conflitto e che tutti si ha il dovere di arrivare alla verità". Offerta però rifiutata. 
  Parole secche di condanna da parte di Abu Mazen per quella che ha definito una vera e propria “esecuzione”. Il presidente palestinese ha detto di ritenere "il governo israeliano pienamente responsabile di questo atroce crimine", sottolineando che fa parte "della politica quotidiana perseguita dall'occupazione contro il nostro popolo, la sua terra e i suoi luoghi santi". La presidenza, in una nota citata dall'agenzia palestinese Wafa, l'Autorità nazionale palestinese (Anp),  ha quindi accusato Israele di "prendere di mira i  giornalisti per nascondere la verità e commettere crimini in silenzio".
  Abu Mazen intanto ha fatto sapere che domani presenzierà ai funerali della professionista, che si svolgeranno a Ramallah, sempre in Cisgiordania: il corteo partirà dal palazzo presidenziale della Muqata. 
  Shireen Abu Akleh aveva anche la cittadinanza americana: "Sono molto rattristato - ha detto su Twitter l'ambasciatore Usa in Israele,  Tom Nides - Sollecito una estesa indagine sulle circostanze della sua morte e sul ferimento di almeno un altro giornalista oggi a Jenin". Anche la rappresentanza della Ue presso i Palestinesi - citata dai media - ha chiesto "una indagine indipendente" sull'evento in modo "da portare i responsabili davanti la giustizia".
  "Abbiamo ricevuto con grande shock la dolora notizia e questa occupazione criminale che uccide le persone e la parola e uccide la verità. Shireen Abu Akleh e' una stella splendente nel cielo della Palestina". Così ha dichiarato il premier palestinese Mohammad Shtayyeh, oggi in visita al Parlamento europeo. 
  In rete sono stati diffusi video molto drammatici che riprendono la donna riversa a terra e i primi soccorsi nel tentativo di rianimarla. 
  L'esercito israeliano (Idf) sta indagando sulla "possibilità" che la giornalista e un altro cronista "siano stati colpiti da palestinesi armati" durante gli scontri di questa mattina nel campo profughi di Jenin, Cisgiordania. Akleh è poi morta per le ferite riportate. Lo ha fatto sapere il portavoce militare secondo cui  nell'operazione a Jenin "c'è stato un massiccio fuoco di decine di palestinesi armati contro i soldati". 
  Le circostanze della morte della Abu Akleh non sono chiare -  sottolinea per la stessa al-Jazeera Nida Ibrahim da Ramallah - ma  "video dell'incidente mostrano che è stata colpita alla testa". "Stava seguendo gli eventi a Jenin, in particolare un blitz israeliano - ha  detto - quando è stata colpita da un proiettile alla testa".   Il Jerusalem Post ha scritto di scontri tra "palestinesi armati" e forze  israeliane a Jenin iniziati dopo operazioni di queste ultime, anche  nel campo profughi di Jenin, vicino a Burkin, e in altre località  della Cisgiordania per effettuare arresti.
  Nel video il collega di Shireen Abu Akleh, Mujahid Al-Saadi, racconta i dettagli della morte descrivendo quella che sembra essere una esecuzione. "Quello che è successo è che stavamo aspettando i nostri colleghi per entrare nel campo profughi nel punto in cui l'esercito (israeliano) era presente. 
  "Abbiamo scelto un punto che non era stato terreno di scontro tra i giovani e i militanti. Siamo arrivati al punto in cui abbiamo aspettato che Shireen si mettesse l'attrezzatura di sicurezza, poi ci ha raggiunto e ci siamo spostati di qualche metro.  Ci siamo palesati di fronte all'esercito e ai passanti dato che siamo stampa TV, siamo arrivati e, in pochi secondi, è arrivato il primo colpo.
  Ho detto loro che siamo stati presi di mira, ci hanno sparato, mi sono girato e ho trovato Shireen a terra, ho trovato Shatha che si proteggeva da un albero e urlava, mi sono girato e ho trovato Shireen a terra nei primi secondi, con la sparatoria e ci stavamo dicendo che ci stavano sparando. Le raffiche hanno continuato per più di 3 minuti sulle squadre che erano lì, Ali si è fatto male ma è stato in grado di attraversare la strada e raggiungere un posto sicuro, e le raffiche intanto continuavano. Mi sono rifugiato sotto una scala nella fabbrica di cemento e le riprese continuarono.
  L'ultima persona che il cecchino ha visto si stava rifugiando sotto un albero, era la nostra collega Shatha Hanaysheh, la sparatoria verso di lei è continuata mentre era sotto l'albero, e non siamo riusciti a fornire il primo soccorso a Shireen. I giovani sono venuti da noi, quelli che erano per strada, che stavano cercando di tirare fuori Shireen, sono stati anche colpiti, ogni volta che qualcuno si muoveva in avanti sono stati colpiti".

(RaiNews, 11 maggio 2022)

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Uccisa giornalista di Al-Jazeera

La corrispondente della tv Al-Jazeera Shireen Abu Akleh, 51 anni, è stata mortalmente colpita alla testa, mercoledì mattina, mentre copriva un violento scontro a fuoco fra terroristi e soldati israeliani nel campo palestinese della città. Al-Jazeera ha detto che è stata “uccisa deliberatamente a sangue freddo” dai militari “dell’occupazione”. Le Forze di Difesa israeliane hanno affermato che stanno indagando l’incidente, avvenuto mentre le truppe rispondevano a un fuoco intenso durante un’operazione di arresto di terroristi, e che “esiste la possibilità, al momento sotto esame, che la giornalista sia stata colpita da spari palestinesi”. Il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid ha detto che Israele ha offerto ai palestinesi di condurre un’indagine autoptica congiunta sulla “tragica morte della giornalista”, aggiungendo: “I giornalisti nelle zone di conflitto devono essere protetti e tutti abbiamo la responsabilità di arrivare alla verità”. Al momento l’offerta risulta respinta. I reporter di Al-Jazeera hanno sempre operato senza incontrare ostacoli da parte della autorità israeliane nonostante i loro servizi estremamente critici e talvolta diffamatori verso Israele. Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha criticato il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen per aver immediatamente attribuito la colpa alla forze israeliane “senza solide basi”. Bennett ha dichiarato che, stando alle informazioni attualmente disponibili, “ci sono buone probabilità che i palestinesi armati, che sparavano in lungo e in largo, siano quelli che hanno causato la sventurata morte della giornalista. Esiste persino una registrazione in cui si sentono palestinesi gridare ‘abbiamo colpito un soldato, è sdraiato a terra’, mentre nessun soldato è rimasto ferito”
  “I palestinesi hanno rifiutato l’offerta di un’indagine congiunta – ha detto ministro della giustizia israeliano Gideon Sa’ar – è c’è da chiedersi perché. Temo che abbiano rifiutato perché non hanno interesse a rivelare la verità”. Mercoledì pomeriggio, riferendo in parlamento sulla morte della giornalista Bennett ha affermato: “Senza una vera indagine non potremo arrivare alla verità. I palestinesi si rifiutano di collaborare. Chiediamo che i palestinesi non prendano provvedimenti atti a inquinare le indagini”.

(israele.net, 11 maggio 2022)

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Genova - Folla delle grandi occasioni per la mostra 'Israel Landscape'

Tra i presenti l'amico scrittore e attento osservatore della politica internazionale Antonio Bettanini e Giuseppe Vittorio Piccini amico di Israele e coinvolto in APAI fin dal primo nucleo promotore riunito intorno alla figura dell'indimenticato Franco Bovio.

Folla delle grandi occasioni alla presentazione a Villa Croce della mostra di arte contemporanea Israel Landscape, incentrata su uno sguardo sulla realtà viva e vivace di Israele oggi. Presenti le autorità civili e religiose.
  Dai vertici della Comunità Ebraica Genovese, al Sindaco di Genova Marco Bucci sino alla Consigliera Regionale Lilli Lauro in rappresentanza del Presidente Toti. Importante la partecipazione di soci e sostenitori di APAI (associazione per l'amicizia Italia-Israele) Genova. APAI, con il suo presidente Bruno Gazzo, è stata tra i patrocinatori di questa mostra che, in una esplosione di colori, dà bene il senso di un Popolo giovane con un cuore antico come è il Popolo di Israele. La vita sovrasta sempre la guerra e la paura. Tra i presenti l'amico scrittore e attento osservatore della politica internazionale Antonio Bettanini e Giuseppe Vittorio Piccini amico di Israele e coinvolto in APAI fin dal primo nucleo promotore riunito intorno alla figura dell'indimenticato Franco Bovio. Una occasione culturale a cui Genova, come insegnava Bovio, deve rivolgere tutta la sua attenzione. Visitatela.

(La Voce di Genova, 11 maggio 2022)

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Accolti in Israele sopravvissuti alla Shoah in fuga dall’Ucraina

di Ilaria Ester Ramazzotti

Centinaia di sopravvissuti alla Shoah sono emigrati in Israele dall’Ucraina, dall’inizio della guerra a oggi. Il ministero israeliano dell’Immigrazione e dell’Assorbimento stima più nel dettaglio che questi nuovi arrivati siano circa 500 tra le oltre 15 mila persone che nel corso degli ultimi due mesi sono immigrate da Ucraina, Russia e Bielorussia. Ne ha parlato il Times of Israel, che ha raccolto alcuni commenti e testimonianze.
  Un aereo appositamente attrezzato con nove anziani profughi ucraini è atterrato in Israele lo scorso 27 aprile, poco prima di Yom HaShoah. “Non avrei mai pensato che sarebbe successo ancora, che alla mia età avrei dovuto fuggire di nuovo da una guerra e sentire i suoni delle bombe esplodere intorno a me. Ho già battuto Hitler una volta, sono sopravvissuta all’Olocausto. Ho una figlia, due nipoti e tre pronipoti. E ora sono di nuovo una rifugiata che cerca di salvare la vita – ha detto Ninel Zhilinska, 88 anni, poco prima di partire per Israele. “Ho lasciato Kharkiv due settimane fa. L’intera città è stata distrutta. Tutti i vicini del mio palazzo si sono nascosti nella stazione della metropolitana, ma a causa delle mie condizioni mediche io non potevo andarci – ha sottolineato -. Ho soggiornato da sola nel mio appartamento per dieci giorni. Mi sentivo come se fossi in isolamento. Ci hanno tolto la corrente, non avevo quasi più niente da mangiare. Né i volontari né la mia famiglia potevano raggiungermi”.
  Valery Kanievski, anche lui arrivato da Kharkiv, ha svelato di aver sempre voluto incoraggiare suo figlio a fare aliyah, ma che non avrebbe mai immaginato di dover immigrare lui stesso, insieme alla moglie: “Il nostro piano originale era che nostro figlio si trasferisse in Israele e noi saremmo andati in visita, ma il piano è cambiato a causa della guerra. Hanno fatto saltare in aria la nostra città. È una sensazione terribile – ha sottolineato -. Gli spari e le esplosioni non si sono mai fermati e la sensazione di una terribile paura era costantemente con noi. Quando è iniziata la Seconda guerra mondiale ero piccolo, ma ricordo ancora perfettamente la nostra fuga. Ricordo i bombardamenti e ricordo la paura. È la stessa identica sensazione che abbiamo adesso. Non credevo che alla mia età avrei dovuto rivivere tutto questo. Non credevo che la mia città sarebbe stata distrutta. Non credevo che avrei dovuto provare di nuovo questi sentimenti”.
  Numerosi sopravvissuti sono arrivati a fine aprile con la collaborazione dell’International Fellowship of Christians and Jewish. “Questi anziani generalmente non avevano intenzione di lasciare l’Ucraina, ma le loro case sono in fiamme e la loro prossima casa è lo Stato di Israele”, ha affermato Benny Haddad, capo del dipartimento dell’immigrazione dell’associazione interreligiosa.
  Alcuni di loro sono atterrati in Israele con un volo di soccorso speciale a causa di particolari esigenze mediche personali, come ha riportato l’associazione ZAKA che ha organizzato il volo medico con dell’International Fellowship of Christians and Jewish. Sullo stesso volo c’erano anche altri rifugiati, non sopravvissuti all’Olocausto, che avevano bisogno di tali cure. Il ministro israeliano dell’Immigrazione Pnina Tamano-Shata ha incontrato personalmente i rifugiati al loro sbarco all’aeroporto Ben Gurion. Ad accoglierli c’erano anche ambulanze per il trasporto dei passeggeri anziani e infermi negli ospedali, in strutture di cura o alle case dei loro familiari.
  Al ministro Tamano-Shata ha fatto eco Ayelet Shiloh Tamir dell’International Fellowship of Christians and Jewish, rimarcando che l’arrivo dei sopravvissuti alla vigilia del Giorno della memoria della Shoah “simboleggiava più di ogni altra cosa l’essenza del sionismo e la responsabilità reciproca del popolo ebraico”.
  La passeggera più anziana del volo era Tatyna Ryabaya, 99 anni, che ha viaggiato con la figlia di 73 anni. “Non ho creduto fino all’ultimo momento che sarei dovuta fuggire. Non credevo che alla mia età avrei dovuto viaggiare su un bus di soccorso per più di un giorno con le bombe intorno a me e che avrei dovuto temere per la vita di mia figlia – ha detto ricordando il periodo delle persecuzioni naziste -. Anche allora abbiamo viaggiato fino a una parte lontana della Russia, anche allora il percorso era pericoloso, ma volevamo salvarci la vita. Non credevo che alla mia età, ho quasi cent’anni, avrei dovuto affrontare tutto questo di nuovo”.
  Per molti sopravvissuti all’Olocausto e altri anziani ucraini, fuggire da casa non è stata un’opzione facile, non solo dal punto di vista emotivo, ma fisico e logistico, a causa delle difficoltà di recarsi al confine. Molti di loro sono stati costretti a lasciare quasi tutti i loro averi alle spalle, tranne quello che poteva stare in una piccola valigia o in un sacchetto.

(Bet Magazine Mosaico, 11 maggio 2022)

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Perché è importante il nuovo libro di David Kertzer ‘’Un Papa in guerra”

di Serena Di Nepi

L’enigma di Pio XII sembra essere ora un po’ meno oscuro di quanto sia stato fino a quella mattina del 2 marzo 2020, quando frotte di studiosi, David Kertzer in testa, si sono seduti nella sala studio dell’Archivio Apostolico Vaticano e hanno iniziato a leggere le carte del suo pontificato. Si pensava, in quel momento, di avere davanti mesi ininterrotti di indagine e tutto il tempo necessario a scavare a ragionare in mezzo a carte inesplorate (ma da cui tutti gli addetti ai lavori si aspettavano qualcosa). Come sappiamo, non è andata così e in meno di una settimana il Covid ha serrato le porte di quell’archivio (come di ogni altro archivio nel mondo) e ha imposto una pausa forzata alle ricerche. Alla fine, comunque, i risultati arrivano e il lavoro di Kertzer – così come è stato anticipato ieri all’American Academy di Roma da alcuni degli studiosi più autorevoli sulla storia del Ventennio e mentre si aspetta di tuffarsi nel libro e nelle sue note – mette in chiaro aspetti fondamentali di quel periodo. L’immobilismo del pontefice di fronte ai fatti e le mancate scelte emergono con forza e si rivelano il risultato di una strategia politica precisa e di una lettura degli eventi in corso ancorata a schemi superati e, per questo, incapace di agire quando sarebbe stato essenziale farlo.
  Il silenzio consapevole sulla Shoah rientra, a quanto pare, in questo approccio. Da una parte, la nuova generazione di prelati che inoltra un flusso costante di notizie sui massacri, aggiorna Roma e il papa sulle cose mai viste che stanno avvenendo e si interroga sull’opportunità di dire qualcosa e di provare a intervenire. Dall’altra, Pacelli, che sa (e questo Kertzer lo prova definitivamente) ma che percorre la via del silenzio perché, alla fine, ha comunque più paura del comunismo anticristiano. Vale per la Polonia e la Turchia da cui scrivono preoccupatissimi personaggi del calibro di Montini e Roncalli; e vale, ancora di più, per Roma e per i suoi ebrei nelle ore immediatamente successive al 16 ottobre, quando, di nuovo, Pio XII tace, nonostante, a quanto pare, in Curia si discutesse seriamente sull’altra opzione, quella che avrebbe potuto offrire qualche tutela agli ebrei chiusi al Collegio Militare, e di cui esisterebbero tracce scritte. In quegli stessi mesi – ed è questo un punto essenziale – la Chiesa di Pacelli tenta, però, ogni carta per salvare gli ebrei battezzati, cristiani a norma di diritto canonico ma ancora ebrei da cancellare per i nazisti.
  I nazisti, a loro volta, conoscono le regole del gioco, sanno bene cosa potrebbe smuovere le proteste della Curia, vogliono evitare incidenti diplomatici e per questo a Roma farebbero distinzione tra ebrei e ebrei battezzati. Per il papa, i nazisti e la Shoah sembrano quasi un altro capitolo dell’infinita disquisizione sui battesimi forzati e come tali vengono trattati, così come si era sempre fatto, quasi si stesse ancora disquisendo su qualche anima da salvare e non fosse in gioco la vita di milioni di persone. E Kertzer, che ha studiato a fondo le vicende di Edgardo Mortara, lo sa bene e per questo ragiona a tutto campo sullo spartiacque delle politiche razziali e delle risposte della Chiesa a queste proprio intorno alle conversioni sia durante la guerra sia – ma di questo ieri non si è parlato – nel periodo immediatamente successivo (con i bambini battezzati salvati nei conventi che le associazioni ebraiche si battono per far tornare all’ebraismo, per intendersi). L’ansia da comunismo guida le decisioni di Pacelli, che continua a vedere il mondo moderno come il frutto avvelenato della concatenazione diabolica partita con Lutero, passata per la Rivoluzione francese, la modernità, il Risorgimento e la fine dello Stato della Chiesa e che si incarna, ora, nell’Unione Sovietica e nei suoi sostenitori, tutti anticristiani da sconfiggere ad ogni costo. Il fascismo, alla fine, ha riportato la Chiesa in Italia, restituendole un ruolo, aprendole le porte delle scuole e negoziando spazi cattolici che il regno liberale aveva rifiutato con tutte le sue forze. Ed è questo posizionamento tutto interno alla storia italiana, e anche allo specifico della storia di Roma, a segnare il regno di Pio XII, finora l’ultimo papa con quel nome in una catena che richiamava (e certo non a caso) la schiera illustre dei predecessori che avevano serrato le fila della Chiesa in tempi difficili e nei quali Pacelli cercava ispirazione. Ma i tempi, appunto, erano definitivamente nuovi.

(Shalom, 11 maggio 2022)

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L’Arabia Saudita investirà in imprese israeliane attraverso il fondo di Jared Kushner

di Francesco Paolo La Bionda

Affinity Partners, un nuovo fondo di private equity avviato da Jared Kushner, genero dell’ex presidente statunitense Donald Trump, prevede di investire capitali del fondo sovrano dell’Arabia Saudita in imprese israeliane, ha riferito il Wall Street Journal. Si tratterebbe della prima volta che il Saudi Public Investment Fund investe nello Stato ebraico, con cui il governo saudita non ha una relazione diplomatica formale, sebbene siano in corso da anni frequenti contatti ufficiosi.
  Secondo le fonti, Affinity Partners ha selezionato almeno due startup israeliane in cui investire dopo incontri con decine di candidati in diversi settori, dall’agricoltura alla sanità all’IT. Non è stato rivelato per ora né quali siano le due aziende in particolare né a quanto ammonterà l’investimento. Nel complesso il fondo di Kushner ha raccolto finora più di 3 miliardi di dollari per le sue attività, 2 dei quali forniti dal partner di Riad.
  Kushner, nato nel 1981, è ebreo ortodosso ed è sposato dal 2009 con Ivanka Trump, che si è formalmente convertita alla fede del marito in occasione del matrimonio. Ha avuto un ruolo di primo piano nella politica mediorientale dell’amministrazione Trump, servendo come consigliere “senior”, pur non avendo esperienza diplomatica. In questa veste ha aiutato a mediare gli Accordi di Abramo e ha stretto un forte legame con l’influente, ma controverso, principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
  Secondo quanto riportato dalla testata americana inoltre, Affinity Partners starebbe cercando anche di esportare tecnologia israeliana in Indonesia, un altro paese a maggioranza musulmana senza relazioni diplomatiche con Gerusalemme. Prima della fine del mandato di suo suocero, Kushner stava lavorando a un accordo di normalizzazione tra i due paesi, che non ha potuto tuttavia perfezionare in tempo prima che alla Casa Bianca subentrasse Joe Biden.

(Bet Magazine Mosaico, 10 maggio 2022)

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In Israele per la prima volta sbocciano fiori di ciliegio nel deserto del Negev

di Michelle Zarfati

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Il deserto del Negev è stato decorato con i suoi primi fiori di ciliegio questo mese grazie ad un progetto agricolo avanzato che ha cercato di dare vita alla regione tipicamente arida. Il progetto nasce da un'idea di Pini Elmakayes, 60 anni, che ha voluto preservare la memoria del nipote Liel, morto sei anni fa all'età di 13 anni in un incidente stradale nel Negev. Per questo Elmakayes, insieme al Consiglio regionale di Ramat Hanegev, ha piantato diversi alberi di ciliegio in onore di Liel. Gli alberi sono cresciuti notevolmente fino a diventare un frutteto vivace, il primo e l'unico in assoluto a fiorire nel Negev sotto il sole d’Israele.
  "Molte persone non credevano che la nostra impresa avrebbe avuto successo", ha detto Elmakayes, che ha avviato il progetto poco più di quattro anni fa. "Questa è un'area molto problematica per la coltivazione delle ciliegie perché gli alberi hanno bisogno del freddo, anche il terreno qui non è adatto". Nonostante gli innumerevoli ostacoli lungo il percorso, il frutteto di Elmakayes ha iniziato a dare frutti per la prima volta all'inizio di questo mese.
  "Nessuno ha davvero provato a coltivare ciliegie in quest'area perché pensava che sarebbe stato destinato a fallire", ha detto Itzik David, agronomo presso Ramat Negev R&D. "Le ciliegie vengono coltivate in Europa nelle zone alte e fredde. Sulle alture del Golan la coltivazione ha successo perché le condizioni climatiche sono considerate europee. Questa è la prima volta che qualcuno prova a coltivare le ciliegie nel deserto".
  Yankale Moskovitch, direttore della ricerca e sviluppo di Ramat Hanegev, ha spiegato: "La nostra visione di piantare alberi di ciliegio ad alta quota nella regione del Negev mira a dare alla gente del posto la possibilità di guadagnarsi da vivere grazie all'agricoltura e al turismo, in modo che i viaggiatori possano godere della bellezza del deserto insieme ai fiori di ciliegio." Il capo del Consiglio regionale di Ramat Hanegev, Eran Doron, ha aggiunto che "la collaborazione di Yankale e Pini ha portato al successo che celebriamo oggi". “Simboleggia la visione del fiorente Negev. È così che si fa sionismo, agricoltura e turismo, nessuno è più orgoglioso e felice di noi in questo momento”.

(Shalom, 10 maggio 2022)

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Israele, il riconoscimento facciale presto sarà una realtà

Un comitato ministeriale ha approvato un disegno di legge che autorizza l’uso da parte delle forze di sicurezza della tecnologia di riconoscimento facciale sui filmati delle telecamere di sorveglianza.

di Michele Giorgio

Presto potrebbe concretizzarsi in Israele la realtà distopica raccontata dalla vecchia serie tv Person of Interest in cui Jim Caviezel, Michael Emerson e Amy Acker, grazie a un’intelligenza artificiale collegata a una fitta rete di telecamere di sorveglianza, tengono sotto controllo l’intero territorio degli Stati uniti. Domenica scorsa il comitato ministeriale per la legislazione ha approvato un disegno di legge che autorizza l’uso da parte delle forze di sicurezza della tecnologia di riconoscimento facciale sui filmati delle telecamere di sorveglianza. Un primo via libera, che se confermato dal voto della Knesset, fornirà alla polizia la possibilità di creare un database biometrico. «Quando si tratta di tenere a freno il terrore, prendo la violazione della privacy con le pinze», ha replicato alle critiche il ministro della giustizia Gideon Saar, annunciando «qualche modifica» al testo.
  Obiettivo del disegno di legge è «codificare l’utilizzo delle reti di telecamere negli spazi pubblici da parte della polizia». Il sistema sarebbe in grado di mettere a fuoco oggetti e individui, di fotografarli e confrontarli con le immagini trovate nel database, consentendo così l’identificazione dell’oggetto o della persona» allo scopo di «prevenire, contrastare o scoprire reati a danno di persone, della sicurezza pubblica e dello Stato». La polizia, aggiunge il testo approvato, proteggerà i dati raccolti dagli hacker e la privacy di coloro a cui si riferiscono le informazioni.
  Rassicurazioni che non convincono la ministra dell’immigrazione Pnina Tamano-Shata, di origine etiope. «Quando la polizia può posizionare telecamere biometriche in ogni quartiere con il semplice gesto di un dito, ciò porta ad abusi per determinate popolazioni», ha detto al giornale Haaretz Tamano-Shata ricordando che questa tecnologia si è rivelata problematica nell’identificazione delle persone con la pelle scura. Ha perciò chiesto l’istituzione di un comitato per la supervisione dell’uso della fotocamera e invocato il coinvolgimento dei giudici. Dalla sua parte c’è l’Associazione per i diritti civili in Israele (Acri). «Questo progetto di legge – spiega Acri – consente alla polizia di raccogliere e archiviare informazioni personali di cittadini innocenti, senza l’autorizzazione di un tribunale. Mette in pericolo le libertà civili e il diritto a non essere vigilati». Forti le preoccupazioni tra i cittadini arabi israeliani che temono di diventare il primo obiettivo della raccolta dati.

(il manifesto, 10 maggio 2022)

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Il Parlamento europeo esige una revisione dei libri di testo palestinesi che insegnano l’odio

Ma il corsivista del Corriere della Sera non lo dice, e cerca un capro espiatorio cui imputare il blocco degli aiuti che l’Autorità Palestinese si è autoinflitta.

di Marco Paganoni

Manuale di Geografia e Storia della Palestina, per la decima classe, p. 7 dell’edizione 2021-22: “La Palestina si trova nella parte asiatica del mondo arabo, all’interno di una regione conosciuta come Levante (Bilad al-Sham) che comprende i paesi: Palestina, Giordania, Siria e Libano. La Palestina si trova nell’angolo sud-occidentale del Levante, tra il Mar Mediterraneo a ovest e il fiume Giordano a est, una posizione che fa della Palestina un collegamento tra l’Asia e parti africane del mondo arabo” (dal rapporto IMPACT-se). Lo stato d’Israele è cancellato dalla carta geografica (clicca per ingrandire)
  “Nizza, Savoia, Corsica fatal / Malta, baluardo di romanità / Tunisi nostra: sponde, monti, mar/… Vinceremo, Duce, vinceremo / Tu sei la gloria e l’avvenir”. Con questi versi gli scolari del Ventennio mandavano a memoria l’elenco delle terre irredente da liberare. Sappiamo com’è andata a finire.
  Oggi, il sistema educativo dell’Autorità Palestinese va persino oltre. Non solo inculca negli alunni la granitica convinzione che tutto ciò che è Israele dovrà essere strappato agli ebrei, ma accompagna l’indottrinamento con la martellante celebrazione degli attentati anche più efferati, insegnando odio imperituro per “il nemico” e totale indifferenza per ogni scrupolo morale. I libri di testo usati nelle scuole palestinesi sono strumenti al servizio di questa propaganda. Sappiamo quali sono i risultati: da Gerusalemme, a Tel Aviv, a Elad. Trascurare o minimizzare il fenomeno significa non voler vedere uno dei meccanismi più micidiali di perpetuazione del conflitto....

(israele.net, 10 maggio 2022)

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Un’antica statua di una dea della guerra è stata trovata da un contadino a Gaza

Il contadino palestinese Nidal Abu Eid ha scoperto una statua di 4.500 anni mentre lavorava nei suoi terreni agricoli a Gaza. Invece di venderlo, ha deciso di donare il pezzo a un museo per sottolinearne il significato per la storia palestinese.

di Luigi Briccoleri

Testa di statua
Verso gli inizi di questo mese di maggio un contadino palestinese ha fatto un’incredibile scoperta: ha infatti trovato a Gaza la testa di una statua in pietra calcarea appartenente a circa 4.500 anni fa a.C.. A presentare al pubblico questo incredibile ritrovamento è stato poi il Ministero del Turismo e delle Antichità coordinato dal gruppo Hamas. La testa della statua è di una dea della guerra Anat e appartenente all’antica cultura cananea.
  Anat, secondo gli studiosi, era una dea dell’amore, della bellezza e della guerra. Secondo il direttore generale del Ministero per le Antichità e i Beni Culturali, Jamal Abu Rida, il frammento di statua afferma la presenza a Gaza di una ricca civiltà, cui cultura non dipendeva dal popolo ebraico, ma legata al territorio, evoluta e politeista. Il contadino palestinese ha trovato la testa della statua della dea della guerra proprio su una remota via commerciale che percorreva quella che conosciamo oggi come la famosa Striscia di Gaza.
  La testa della scultura è stata scoperta da Nidal Abu Eid, un contadino palestinese, che arando la sua terra a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, ha scoperto casualmente e nel fango, la testa di una rara statua in calcare alta 22 centimetri e risalente a circa 2500 a.C., ovvero l’inizio dell’età del bronzo, il noto periodo cananeo. L’uomo ha spiegato a ‘The New Arab’ che l’ha trovata per caso mentre coltivavo la sua terra. Era tutta sporca di fango, ma quando l’ha lavato con l’acqua, ha capito che si trattava di una cosa preziosa.

(Scienze Notizie, 10 maggio 2022)

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"Solidarietà a Israele". Ma la sinistra si spacca a Milano

di Francesca Galici 

Lo scorso 25 aprile, durante le celebrazioni che ricorrono annualmente per l'anniversario della Liberazione, a Milano si sono alzati i soliti cori contro la Brigata ebraica, sbarcata in Italia nel 1944 e operativa dal 1945 sul fronte adriatico. Oltre a fornire supporto militare, la brigata si impegnò in ambito civile anche per supportare la comunità ebrea in Italia. Le contestazioni alla Brigata ebraica, che sfila regolarmente nei cortei del 25 aprile, sono diventate una cattiva consuetudine di questa giornata e nell'ultima seduta del consiglio comunale a Milano, questo caso è stato inserito in una mozione della Lega, supportata dall'intero centrodestra, con la quale si chiedeva di condannare i numerosi recenti attentati nello Stato di Israele, una ferma presa di posizione contro il gruppo terroristico Hamas e una piena solidarietà a Israele, unico Stato democratico in tutto il Medio Oriente.
  Tra le richieste c'era anche l’impegno a contrastare gli episodi di antisemitismo ed antisionismo al corteo del 25 aprile e in altre occasioni. Tuttavia, come ha denunciato Silvia Sardone, "incredibilmente il Pd ha preteso una emendamento (poi approvato a maggioranza nonostante il nostro voto contrario) che ha cancellato la dicitura 'Israele, unico stato democratico in Medio Oriente senza addurre motivazioni valide per questa scelta. La mozione così modificata è stata approvata grazie ai voti dell'opposizione perché la sinistra si è spaccata, con l’imbarazzante voto contrario di alcune parti della sinistra e soprattutto dei consiglieri della lista Sala".
  L'esponente della Lega in consiglio comunale si è detta amareggiata da quanto accaduto tra le mura di palazzo Marino, perché "è francamente sconcertante che ancora oggi ci siano posizioni anti israeliane e ambiguità sul terrorismo e sugli insulti alla Brigata Ebraica e allo Stato di Israele da parte delle frange estremiste della sinistra". Proprio per chiarire quali siano le posizioni in consiglio comunale, Silvia Sardone si è rivolta al sindaco di "spiegare la sua posizione, tenuto conto dell’incredibile voto della sua lista che a tutti gli effetti risulta molto simile a quella espressa dai centri sociali e da certi ambienti islamici non moderati". Fornendo il pieno e totale supporto della Lega a Israele, al popolo ebraico e alla comunità ebraica milanese, Silvia Sardone ha concluso: "Milano non merita questi spettacoli irrispettosi della storia; inoltre gli episodi di sangue recenti non possono essere sottovalutati ma anzi devono essere condannati con forza dalle istituzioni".

(il Giornale, 10 maggio 2022)

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Dal 20 maggio stop ai tamponi molecolari all’aeroporto Ben Gurion

Come annunciato domenica dal Ministero della Sanità, a fronte del drastico calo della diffusione di Covid-19 e della morbilità, a partire dal 20 maggio i viaggiatori in arrivo all’aeroporto Ben Gurion non saranno più tenuti a sottoporsi al tampone PCR (molecolare).
  Tuttavia è stato formulato un piano che permette un sistema di test completo o parziale in aeroporto in caso di necessità.
  “Forniamo tutti gli strumenti – ha detto il ministro Nitzan Horowitz – per proteggere la salute pubblica. Dove non c’è la necessità, non imporremo restrizioni”.
  Il Ministro della Sanità ha anche affermato che, a partire da martedì, gli stranieri non dovranno effettuare un test PCR prima del volo per Israele, basterà solo il tampone rapido entro 24 ore dalla partenza.
  “Allo stato attuale – ha affermato Gilad Kariv, presidente della Commissione di Costituzione, diritto e giustizia – si dovrebbe tornare ad una routine completa, focalizzando l’attenzione solo su coloro che sono a rischio”.

(Shalom, 9 maggio 2022)

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Israele: serie di attentati a Gerusalemme e Tekoa

di Nathan Greppi

La sera di domenica 8 maggio Israele è stata colpita da due attacchi terroristici consecutivi a Gerusalemme e nell’insediamento di Tekoa, situato in Cisgiordania pochi chilometri a sud della capitale. Questi sono gli ultimi di una serie di attentati che hanno avuto luogo nel paese nell’ultimo periodo.
  Come riporta il Jerusalem Post, verso sera si sono sentiti degli spari a Tekoa, spingendo i residenti della zona a barricarsi nelle proprie case. I primi comunicati riferivano di un intruso che si era infiltrato di nascosto nell’insediamento, ed era stato eliminato dalle forze di sicurezza locali.
  Stando alle testimonianze di chi si trovava nelle vicinanze, sono quattro i sospettati che hanno cercato di intrufolarsi, ma dopo che uno di loro è stato colpito mortalmente gli altri tre sono scappati; l’agente che ha sparato era stato avvertito dal figlio verso le 20:30, che ha visto gli intrusi cercare di arrampicarsi sulla recinzione del loro cortile. Stando agli ultimi aggiornamenti, l’esercito sta setacciando l’area per scovarli. Inoltre, è emerso che l’intruso ucciso aveva con sé un coltello.
  Poco prima dell’incidente di Tekoa, la polizia israeliana ha dichiarato che c’è stato un accoltellamento al Damascus Gate di Gerusalemme. Un assalitore avrebbe pugnalato un agente della polizia di frontiera, dopo che questi si è avvicinato con i suoi colleghi al colpevole perché insospettiti. Gli agenti hanno subito sparato all’attentatore, e subito dopo hanno prestato aiuto a quello ferito; questi, all’inizio in condizioni critiche, dopo un primo soccorso è stato ricoverato all’ospedale Hadassah Har Hatzofim.
  Ogni giorno sono circa 150.000 i palestinesi che dalla Cisgiordania si recano legalmente in Israele per lavorare o per altri motivi, ma a questi secondo le stime se ne aggiungono circa 30.000 che invece attraversano il confine di nascosto, principalmente per lavorare in nero. Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che, per quanto abbiano dislocato migliaia di soldati lungo il confine con i territori palestinesi, non ne hanno abbastanza per sorvegliarlo tutto, e pertanto c’è sempre il rischio che sconfinino nel paese dei potenziali terroristi.
  Stando ai dati resi pubblici dallo Shin Bet, il numero di attentati terroristici in Israele è salito da 190 che erano a marzo ai 268 di aprile; di questi, 217 sono avvenuti in Cisgiordania, 42 in Israele e 9 riguardavano razzi sparati dalla Striscia di Gaza. Tutti quelli avvenuti da marzo finora hanno fatto 19 vittime tra gli israeliani, oltre a decine di feriti.

(Bet Magazine Mosaico, 9 maggio 2022)

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Netflix nell'offensiva del fascino israeliano

Netflix ha condotto un'offensiva di charme israeliana alla fine del mese scorso, con il vicepresidente EMEA, capo della serie originale, Larry Tanz, che ha trascorso cinque giorni nella nazione parlando con talenti, dirigenti e finanziatori chiave in quello che sta diventando un campo di battaglia normativo.
  Accanto a una delegazione composta da Anna Nagler, direttrice di Local Language Originals, Central and Eastern Europe, Deadline sa che Tanz, che ha sede nell'ufficio di Netflix nei Paesi Bassi, è stato in Israele dal 28 aprile al 3 maggio.
  La visita si è concentrata principalmente sul lavoro di Netflix a sostegno dei giovani talenti israeliani, ma ha caratterizzato alcune conversazioni difficili sulla regolamentazione e le potenziali quote di streamer, che Deadline ha rivelato il mese scorso è un argomento caldo in Israele.

(OM Mercato, 9 maggio 2022)

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Gemellaggio gastronomico tra Italia e Israele

di Bruno Russo

Conoscere e condividere radici e tradizioni culinarie e coltivare la speranza per un mondo migliore, di dialogo, di pace: questi temi alla base della manifestazione enogastronomica organizzata dall’Associazione Apuana Italia-Israele che si è tenuta nei pomeriggi del 28, 29 e  30 Aprile a Villa della Rinchiostra.
  L’evento, un vero e proprio gemellaggio enogastronomico Italia-Israele con degustazioni, cooking show e convegni, è patrocinato dal Comune, dalla Provincia e dalla Camera di Commercio con la collaborazione dell’Ambasciata d’Israele in Italia di cui l’Ambasciatore Dror Eydar, dell’azienda Evam con l’acqua Fonteviva, dell’alberghiero Minuto e del liceo musicale Palma, di Coldiretti con le aziende e i produttori di Campagna Amica, dell’Associazione italiana Sommelier, delle aziende Vere Emozioni Delle Nostre Terre e Rinaldi Superforni.
  La tre giorni è stata presentata in conferenza stampa a palazzo civico dal sindaco Francesco Persiani con l’assessore alla Cultura Nadia Marnica insieme ad Adelino Frulletti presidente dell’Associazione apuana Italia-Israele, Lorenzo Porzano per Evam, a rappresentanti di Coldiretti, dell’associazione Sommelier e del giornalista-scrittore  Alberto Sacchetti.
  Nello scenario di Villa Rinchiostra l’evento che parte dal cibo, dai prodotti e dai piatti tradizionali dei due paesi per riflettere su storia e tradizioni comuni vuole essere un’occasione di confronto e conoscenza, di condivisione di tradizioni e culture ma anche di saperi e di saper fare, di metodi di coltivazione ed innovazione tecnologica, un’iniziativa culturale e di amicizia tra i territori apuani e quelli dello stato d’Israele, un gemellaggio enogastronomico che può diventare commerciale e gettare le basi verso un possibile futuro gemellaggio tra Massa e una città israeliana.
  Cibi e i vini tradizionali d’Israele si uniranno alle tipicità apuane, ai vini delle colline del Candia.
  Gli esperti dell’associazione Italiana Sommelier hanno proposto  degustazioni di prestigiosi vini, mentre gli agricoltori di Campagna Amica hanno animato  il parco e chef israeliani e della riviera ligure, apuana e versiliese si confronteranno sul tradizionale cibo Kosher.
  Da non perdere lo show cooking dello chef Federico Benedetto, giovedì 28 alle 18.30, con una pasta a base di farina e ceci . Venerdì 29 è stata la volta dello chef Shai e sabato 30 dello chef Tze’ela Rubinstain.
  Ogni giornata si aprirà alle 15.30, poi  spazio a dibattiti e presentazione di libri: Rolando Paganini, chef lunigianese, parlerà dei prodotti tipici lunigianesi (28 aprile, ore 17.30), Emanuele Bertocchi del “Miracolo dei prodotti Tipici storia e futuro” (29 aprile, ore 17.30) e Nicola Iacopetti presenterà il suo nuovo libro “Uomini di Pietra” (30 aprile, ore 17.30).
  Venerdì 29 alle 16 è in programma una tavola rotonda sulle prospettive di un’offerta per nuova clientela con protagonisti gli chef intervistati dal giornalista e scrittore apuano Alberto Sacchetti: Francesco d’Agostino (La Martinatica, Pietrasanta), chef Gianni D’Amato (Miranda Tellaro), chef Roberto Antonioli (Da Riccà, Marina di Massa), Simona Fochi (Acino Nero, Marina di Massa), Di Giovanni Jr. (Gilda, Forte dei Marmi), chef Tze’ela Rubinstein (Cooking in Tuscany), chef Shai Levari (Personal Chef in Israele).
  Oltre ai prodotti a De.CO (denominazione comunale d’origine)  “madrina” della manifestazione è stata  l’Acqua Fonteviva.
  Sono stati  inoltre proiettati  filmati sulle storie dei viticoltori del Candia doc e sui paesaggi israeliani ed apuani per illustrare le tante e opportunità di sviluppo turistico e commerciale tra i due paesi.
  Al termine della kermesse enogastronomica sono stati  consegnati attestati di gemellaggio agli chef israeliani e italiani ed un premio speciale ad una bottega storica della città.

(il denaro.ir, 9 maggio 2022)

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Kiev combatte per conto della Nato

L'arroganza con cui il segretario generale Stoltenberg, senza averne la competenza, ha stroncato le aperture di Zelensky fa cadere l'ultimo velo di ipocrisia. Per fermare questa follia bisogna smettere di spedire armi. Draghi domani avrà il coraggio di dirlo a Biden? 

Anche Bergoglio, pur criticando la brutalità di Putin, ha stigmatizzato «l'abbaiare» dell'Alleanza alle porte della Russia Mattarella impose il silenzio sui jet italiani fatti decollare per bombardare Belqrado. Difficile che oggi la sua linea sia diversa

di Maurizio Belpietro 

Qualche sera fa, durante la puntata di Dritto e rovescio, mi è capitato di confrontarmi con Edward Luttwak, un americano a Roma che da anni si spaccia da esperto non so bene di che cosa. I giornalisti lo interpellano come un oracolo per sentire le sue analisi di geopolitica, e su Rete 4 era stato chiamato a commentare la guerra in Ucraina. Ho ascoltato le sue tesi poi, arrivato il mio turno, ho detto ciò che pensavo, precisando che la pace sarebbe arrivata solo quando fossero stati costretti a sedersi al tavolo delle trattative sia Russia che Stati Uniti, perché questo è un conflitto tra Putin e Biden, che ha per coprotagonisti e, purtroppo, vittime gli ucraini. Non lo avessi mai detto: Luttwak ha cominciato ad agitarsi quasi avessi pronunciato una bestialità. 
  Ora si dà il caso che in quelle stesse ore il New York Times, non la gazzetta di Mosca, avesse appena rivelato come l'intelligence americana avesse guidato la mano delle truppe ucraine che hanno fatto fuori 12 generali russi, a dimostrazione che gli Stati Uniti sono direttamente coinvolti nel conflitto. Infatti le rivelazioni hanno fatto sussultare la Casa Bianca, che ha definito irresponsabili gli autori dello scoop giornalistico. In effetti, rivelare che è il Pentagono a guidare i razzi significa sollevare il sottile velo di ipocrisia che copre le parti impegnate nel conflitto, dimostrando che gli Usa sono direttamente coinvolti nella guerra, anche se mandano a morire gli ucraini.
  Mentre Luttwak si agitava, da Washington arrivava un'ulteriore conferma. Il missile che ha affondato l'incrociatore Moska, ossia l'ammiraglia russa, è stato indirizzato dagli americani, i quali hanno fornito le coordinate per colpirlo. Sempre gli Stati Uniti hanno aiutato gli ucraini a individuare mezzi corazzati e obiettivi strategici, e anche questo è stato rivelato dalla stampa internazionale. 
  Del resto in quella stessa puntata di Dritto e rovescio, Angelo Macchiavello, inviato a Kiev del programma, confermava che nel suo albergo c’erano americani e inglesi e non parlava certo di colleghi della stampa o della tv. E Jeffrey Saehs, economista della Columbia University che conosce i Paesi dell'Est per avervi lavorato ai tempi della sua collaborazione con il World Economie Forum, la scorsa settimana, in un'intervista, aveva rivelato che prima dell'invasione russa il ministero della Difesa ucraino «pullulava» di americani e non si trattava ovviamente di turisti in vacanza, ma di militari assegnati a operazioni di addestramento. Insomma, i segnali di un diretto coinvolgimento degli Stati Uniti in questa guerra non sono una mia opinione, ma un dato di fatto e si moltiplicano ogni giorno. Papa Francesco, nella sua intervista al Corriere, pur criticando la brutalità di Putin ha detto che forse «l'abbaiare della Nato alla porta della Russia» ha indotto il capo del Cremlino a reagire male. «Un'ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì». E se ci fosse bisogno di conferma, l'altro ieri, mentre Volodymyr Zelensky si diceva disponibile al dialogo e anche a rinunciare alla restituzione della Crimea occupata dai russi nel 2014, Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, cioè un politico di terza fila che gli americani hanno messo a guida dell'Alleanza atlantica per comandarlo a bacchetta, spegneva gli entusiasmi, precisando che «i membri della Nato non accetteranno mai l'annessione illegale della Crimea». Tradotto: gli ucraini devono continuare a combattere - e a morire - per conto nostro, per questo gli forniamo le armi. 
  Per Enrico Letta parlare di guerra per procura e ignominioso. Ma la vera ignominia è quella di un partito che dopo averci bombardato per anni con la pace, oggi di fronte alle stragi di civili si scopre guerrafondaio ma con la pelle degli altri. Siamo circondati da una classe politica e giornalistica di artiglieri da salotto, di eroi ma per interposta persona, pronti ad assecondare una guerra per compiacere i propri referenti internazionali. Mi dispiace per Luttwak e per i comitati per cui lavora, ma questo è un confronto armato a distanza fra Russia e 
  Stati Uniti e tutti gli altri, Europa e ucraini compresi, sono vittime e coprotagonisti. Ovvero pagano il conto, in termini di vite umane e bilanci. Dunque, se si vuole fermare la guerra non resta che una soluzione: rinunciare all'invio dei cannoni per costringere le due superpotenze a trattare. 
  Domani Mario Draghi sarà a Washington e questo dovrebbe dire. Purtroppo temo che non dirà nulla di tutto ciò, adeguandosi alle direttive di Sergio Mattarella, colui che 2,3 anni fa impose il silenzio sugli aerei italiani inviati a bombardare Belgrado e che anche ora, invece di invitare il Parlamento a discutere della Costituzione violata, approva il bavaglio

(La Verità, 9 maggio 2022)

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Arrestati i due palestinesi accusati dell’attentato a Elad

Le Idf hanno trasferito i due palestinesi presso lo Shin Bet, in attesa di ulteriori indagini

La polizia israeliana ha arrestato due palestinesi sospettati di aver compiuto l’attentato avvenuto lo scorso 5 maggio nella città israeliana di Elad, circa 15 chilometri a est di Tel Aviv, che ha causato la morte di tre persone e il ferimento di altre tre. Lo ha reso noto una dichiarazione congiunta della polizia israeliana, del servizio di sicurezza interno (Shin Bet) e dell’esercito.
  “I due terroristi che hanno ucciso tre civili israeliani nell’attacco mortale nella città di Elad sono stati catturati”, riferisce la nota, senza fornire ulteriori dettagli. I due palestinesi arrestati sarebbero As’sad al Rafai e Emad Subhi Abu Shqeir, rispettivamente di 19 e 20 anni e originari di Rumana, vicino a Jenin, in Cisgiordania L’operazione è stata condotta dalle Forze di difesa israeliane (Idf) in una zona boschiva nei pressi di Elad. Le Idf hanno trasferito i due palestinesi presso lo Shin Bet, in attesa di ulteriori indagini.

(Nova News, 8 maggio 2022)

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Libano - Guaschino (Unifil): “Qui per garantire lo stop alle ostilità con Israele”

Lo ha spiegato alla Dire il Colonnello, comandante di Italbatt

di Silvia Mari

AL MANSOURI – “Noi siamo qui per garantire la cessazione delle ostilità tra Libano e Israele e supportare le forze armate libanesi, ma non per addestrarle: ci addestriamo e operiamo congiuntamente. Nessuno sforzo in più ci è stato chiesto per le elezioni, le forze armate libanesi sono autonome nella gestione di questo momento”. Lo ha spiegato alla Dire il Colonnello Claudio Guaschino, comandante di Italbatt e in Patria del Reggimento Lagunari Serenissima nella base UNIFIL 1-26 che protesa lungo la costa, immersa in un forte vento, si affaccia sul mare azzurro. Numerose le attività operative illustrate ai giornalisti italiani in visita al contingente italiano dai militari del Reggimento Lagunari ‘Serenissima’ a guida di Italbatt da cui dipende anche un gruppo squadroni del Reggimento ‘Genova Cavalleria.

(Dire, 8 maggio 2022)

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Tra hi-tech e Tikkun Olam: il contributo degli olim nella Start-Up Nation

di Luca Spizzichino

Moovit, Waze, Wix, sono alcune delle più grandi aziende hi-tech israeliane che hanno rivoluzionato la Start-up Nation e l’hanno resa famosa in tutto il mondo. Ma questo ecosistema è composto anche da centinaia aziende più piccole e modeste, che cambiano Israele e il mondo. Ed è naturale che nel processo di formazione e crescita di queste società, gli olim che vengono in Israele rivendichino la propria fetta in questo ecosistema. E alcuni di questi hanno constatato come il principio del Tikkun Olam (ovvero quello di migliorare il mondo) e l'innovazione possano viaggiare sullo stesso binario.
  Ecco alcune di queste aziende hi-tech Made in Israel che stanno migliorando il mondo: CauseMatch, fondata da Joseph Bornstein, "aiuta le organizzazioni non profit a pianificare, creare ed eseguire campagne di crowdfunding intelligenti basate sui dati". Infatti una delle cose più difficili per le non profit è proprio la raccolta fondi.
  “Chi fonda queste società senza scopo di lucro infatti lo fa per idealismo e passione. - spiega il Founder & CEO di CauseMatch - Vogliono aiutare il mondo e le persone, ma la raccolta fondi non è la loro competenza". Attraverso la piattaforma peer-to-peer di CauseMatch, le organizzazioni hanno visto le loro raccolte fondi crescere di sei volte, guadagnando milioni di dollari.
  Tra le organizzazioni che hanno usufruito del contributo della società di Bornstein, c’è anche United Hatzalah, che è attiva anche nel conflitto in Ucraina. "Stiamo aiutando Israele a costruire una società più filantropica" ha affermato il creatore di CauseMatch.
  Un’altra azienda che è attiva nell’assumere sempre più olim chadashim è Galooli, un'azienda hi-tech che aiuta le strutture a monitorare e gestire in remoto le loro emissioni di carburante e carbonio. Tra i dipendenti c’è anche Yair Rudick, ragazzo proveniente dagli States che dopo aver fatto il servizio militare ed essersi laureato, è stato assunto da Galooli.
  Secondo Rudick il motivo dell'attuale boom dell'hi-tech, in particolare nel regno della tecnologia sostenibile è dovuto a Israele stesso, dove “tutti vogliono fare le cose a modo loro. Ognuno vuole essere il proprio CEO", ha spiegato. “In termini di sostenibilità, le giovani generazioni desiderano avere un impatto e per il sionista moderno, che è anche un imprenditore, non è sufficiente avere una grande idea, ma anche rendere il mondo migliore”.
  Tra chi ha deciso di fare l’alyah per cambiare la sua vita e migliorare il mondo c’è anche Sara Halevi, Direttore Marketing di MyPwr, un'app che fornisce formazione e guida dedicata alle tecniche di autodifesa, in modo che le potenziali vittime sappiano riconoscere le minacce quando le vedono e rispondere di conseguenza. “Conosciamo tutti Israele come un hub hi-tech, ma non siamo davvero abituati a pensare a noi come un hub di autodifesa, ma Israele lo è” ha detto.
  Secondo Start-up Nation Central, nel 2021 le aziende tecnologiche israeliane hanno raccolto 25,4 miliardi di dollari, con un aumento del 136% rispetto al 2020, dimostrando che Israele continua ad essere uno dei più importanti centri di innovazione.

(Shalom, 8 maggio 2022)

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De Benedetti: “L’Ue non ha interesse a seguire Biden nella guerra a Putin. Non è una crociata, la democrazia non si esporta con le armi”

In un'intervista al Corriere l'imprenditore esprime considerazioni nette e pragmatiche, che riflettono un pensiero diffuso ma con poca cittadinanza sui grandi giornali. "Una guerra che si sovrappone a una recessione molto severa è assurda, senza senso. Le conseguenze sarebbero catastrofiche" e la "priorità assoluta" dev'essere fermarla, esordisce. "Gli interessi degli Usa e del Regno Unito da una parte, e dell'Europa e dell'Italia dall'altra, divergono assolutamente".

“Oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fare la guerra a Putin”. “Gli interessi degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente“. “Dobbiamo essere grati alla Nato per il ruolo svolto durante la guerra fredda, ma ora non ha più senso”. Non sono frasi tratte da un manifesto pacifista, ma dall’intervista al Corriere di Carlo De Benedetti, uno dei maggiori imprenditori italiani, già proprietario del Gruppo Espresso e padre nobile del Partito democratico. Alle domande di Aldo Cazzullo sul conflitto russo-ucraino l’ingegnere risponde con considerazioni nette e pragmatiche, che riflettono un pensiero diffuso ma con poca cittadinanza sui grandi giornali. “Una guerra che si sovrappone a una recessione molto severa, come quella cui stiamo andando incontro, è assurda, senza senso. Le conseguenze sarebbero catastrofiche” e la “priorità assoluta” dev’essere fermarla, esordisce. E al giornalista che gli ricorda le responsabilità del presidente russo risponde: “Non giustifico Putin, lo detesto. È un criminale e un ladro, che con altri trenta ladri ha rubato la Russia ai russi. Ma oggi noi europei non abbiamo alcun interesse a fargli la guerra. Sono e sarò eternamente grato agli angloamericani per averci liberati dal nazifascismo”, aggiunge, ma “se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo“.
  De Benedetti ha le idee chiare anche sul rifornimento di armi a Kiev: “Biden ha fatto approvare al Congresso un pacchetto di aiuti da 33 miliardi di dollari, di cui 20 in armi: una cifra enorme, per un Paese come l’Ucraina. Questo significa che gli Stati Uniti si preparano a una guerra lunga, anche di un anno. Per noi sarebbe un disastro“, avverte. “I russi stanno commettendo atrocità contro la popolazione civile”, gli ricorda Cazzullo. “E lei crede che le armi servano a fermare queste atrocità? No: l’unico modo per fermare le atrocità è trovare una soluzione negoziale“, ribatte l’ingegnere. Alla domanda – conseguente – se anche lui sia entrato nella schiera dei critici della Nato, l’ex editore di Repubblica ricorda che l’alleanza militare atlantica “è sorta in un contesto completamente diverso” da quello di oggi: “Non esisteva l’Unione europea, non era sulla scena la Cina. Dobbiamo essere grati alla Nato per il ruolo svolto durante la guerra fredda, ma ora non ha più senso”. L’Europa – ricorda – “ha un interesse comune: fermare la guerra, anziché alimentarla. Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Cosa c’entriamo noi?. Non siamo più al tempo delle crociate, non siamo qui per combattere il Male, ammesso che si tratti del Male e il nostro sia il Bene”. “Della nostra cultura fanno parte anche la democrazia e la difesa dei diritti umani”, nota Cazzullo. “Ma davvero pensiamo di poter esportare la democrazia con le armi?”, ribatte Cdb. “Gli americani ci hanno già provato. Ebbene: non funziona. La democrazia si esporta con il successo sociale ed economico delle società organizzate democraticamente. Non con le armi“.

(il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2022)
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La realtà è che gli Usa non vogliono esportare la democrazia, ma estendere e consolidare il loro dominio finanziario nel mondo, con tutti i vantaggi che questo implica. Quello che gli Usa vogliono è abbattere a tutti i costi l'ostacolo russo. Sono anni che ci stanno lavorando, e l'Ucraina è stata scelta da tempo come punto di attacco. Nessuno può avere in mano tutti gli elementi necessari per accettare senza ombra di dubbio una tesi o l'altra su questa guerra, ma ciascuno può farsi una ragionevole idea sull'attendibilità delle informazioni che si diffondono in merito. Come sull'argomento Covid, anche sull'argomento guerra i media filogovernativi fanno della menzogna un uso scientifico, che proprio per questo funziona così bene sui grandi numeri. Gli Usa vogliono la guerra contro la Russia senza se e senza ma, costi quello che costi... ma che costi soprattutto agli altri. I quali però, naturalmente, potrebbero anche accorgersene e non essere tutti disposti ad accondiscendere. E' a questo punto che entra in gioco la scienza. La scienza dell'informazione. Che dati gli obiettivi non può che essere scienza della manipolazione della menzogna. In effetti i risultati che sta ottenendo sono notevoli. Guai a chi osa mettere in dubbio la narrazione di regime: non bisogna discutere sugli argomenti, ma colpire, denigrare, insultare, minacciare chi eleva dubbi. Così si fa, quando si vogliono ottenere risultati scientificamente apprezzabili.
Di seguito la presentazione di un libro appena uscito che può offrire contributi alla discussione sul tema. M.C.

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Ucraina. Dal Donbass a Maidan - Cronache di una guerra annunciata

DALLA QUARTA PAGINA DI COPERTINA
Quando entrano in gioco gli eserciti, la ragione e la realtà spariscono all'orizzonte. L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha prodotto un unicum storico. Mai come in questa occasione la verità è stata sostituita da un immaginario costruito dalla propaganda. Non era mai accaduto che l'intera opinione pubblica europea e occidentale identificasse così chiaramente un unico nemico, trasformandolo in mostro.
  Questo libro ha l'ambizione di ristabilire un po' di verità, a volte ribaltando completamente il senso comune della conoscenza, altre volte aggiungendo particolari decisivi per la corretta valutazione dei fatti ignorati colpevolmente dal mondo dell'informazione.
  Russi e ucraini sono due popoli nemici o rivali? A Kiev c'è un governo realmente democratico come ci viene raccontato, oppure l'Ucraina è un Paese nel quale i diritti sono stati sospesi? Nel 2014 ci fu una rivoluzione di popolo, oppure un colpo di Stato neonazista? Qual è il ruolo degli Stati Uniti? È anche una questione di denaro o solo di potere?
  "Ucraina dal Donbass a Maidan" risponderà a queste e a molte altre domande. La verità ha un prezzo. lo sono disposto a pagarlo. E voi?

ALCUNI ESTRATTI

• Le agenzie di comunicazione
  Oggi popoliamo un mondo in cui si vive per procura, un mondo in cui si utilizzano avatar per connettersi con l'esterno e per ricevere input dall'esterno: input che formano la nostra coscienza, il nostro modo di essere, che costituiscono l'architrave delle nostre decisioni quotidiane.
  Quando si vive per procura, attraverso il mondo etereo di internet, è facile costruire una realtà alternativa, immaginaria, anche se forte politicamente.
  A questo servono le agenzie di comunicazione. Formulano l'immaginario che si trasforma in realtà per gran parte della popolazione.
  Il loro compito è creare l'informazione, modificare il giudizio dell'opinione pubblica su qualcuno o qualcosa, promuovere guerre, permettere alle grandi multinazionali di poter inquinare o sfruttare le risorse di un Paese conquistando il favore della gente. Probabilmente, senza agenzie di comunicazione non ci sarebbe stata la prima guerra del Golfo, le guerre jugoslave avrebbero preso un'altra piega, molte delle rivoluzioni non avrebbero avuto successo, diversi dittatori avrebbero smesso di governare, le multinazionali e le grandi banche avrebbero meno potere.
  La britannica Burson-Marsteller è una" di queste agenzie di comunicazione" o anche solo "una di queste". Dal 2004 ha come cliente il governo di Kiev. In Ucraina, però, l'azienda londinese non appariva direttamente, bensì attraverso un sedicente Centro europeo per l'Ucraina moderna (Ceum), guidato da una certa Alina Frolova, che rilasciava nel 2012 la seguente dichiarazione: «Il nostro scopo è quello di scatenare una guerra dell'informazione contro la Russia e i russi d'Ucraina. Loro sono nostri nemici e dobbiamo annichilirli». [...]
  Il cuore delle operazioni del centro era affidato a una squadra dal nome suggestivo: "Ufficio delle notizie false". Il suo mandato lo spiegò, in un documento interno del Centro, la stessa Frolova: «Affidarci al vero racconto della realtà è perdente in partenza. Dobbiamo creare, inventare, ingigantire, dobbiamo piegare la realtà alle nostre esigenze e al nostro unico obiettivo: mettere all'angolo la Russia e i russi».

• Giornalisti comprati
  Rottenburg am Neckar è una cittadina di quarantamila abitanti situata a cinquanta chilometri a sud di Stoccarda, in Germania.
  Settembre 2014. Negli uffici della casa editrice Kopp Verlag la tensione si tagliava col coltello. Stavano per pubblicare il libro di un celebre giornalista della più prestigiosa testata tedesca: la "Frankfurter Allgemeine Zeitung", chiamata più familiarmente Faz. Udo Ulfkotte era stato inviato di guerra e poi era diventato caporedattore di politica estera.
  Non era questo, però, il motivo di tanta agitazione. Il titolo del volume era "Giornalisti comprati". Il reporter rivelava di essere stato per diciassette anni al soldo della Cia. Non solo. «Sono centinaia i giornalisti di tutti i Paesi europei che lavorano per i propri servizi segreti o per quelli statunitensi. Il loro compito è quello di obbedire e favorire la Casa Bianca. Sanno benissimo che potrebbero facilmente perdere il loro lavoro nei media se non rispettassero l'agenda pro-occidentale», scriveva Ulfkotte. «I media tedeschi e americani stanno cercando di portare la guerra in Europa e di portarla in Russia. Siamo a un punto di non ritorno e io voglio alzare la voce e dire che non è giusto quello che ho fatto in passato, ho manipolato le persone e ho fatto propaganda contro la Russia. Sono stato corrotto da miliardari e dagli americani per non riferire la verità. Io mi sento manipolato, non mi hanno permesso di dire quello che sapevo».
  «Noi abbiamo un'informazione puramente americana, siamo di fatto una loro colonia. Tutti i giornalisti che scrivono per i media occidentali sono di fatto membri di questa organizzazione transatlantica. I giornalisti vengono spesso avvicinati di nascosto. Niente soldi. Usufruiscono di compensi sotto forma di regali, di viaggi gratuiti, opportunità di entrare in una rete di relazioni precostituite dalle varie agenzie di spionaggio, funzionali alla propria carriera e lavoro. Loro ti invitano a vedere gli Usa, pagano tutto, ti riempiono di benefit, ti corrompono. Sei invitato a intervistare politici americani, ti accosti sempre di più ai circoli del potere. E allora tu vuoi rimanere all'interno di questo cerchio dell'élite, quindi scrivi per far loro piacere. Tutti vogliono essere un giornalista di notorietà che ha accesso esclusivo a politici famosi. Molto più importante del denaro e dei doni, è il fatto che ti viene offerto supporto se scrivi pezzi che sono filoamericani o filo Nato. Se non lo fai, la tua carriera non andrà da nessuna parte, ti ritroverai assegnato a sederti in un ufficio e ordinare le lettere all'editore. Sono contatti non ufficiali, collaborazioni non ufficiali, ti dicono che sono "amici", sono scambi di favori continui e il tuo cervello viene lavato. Ho molti contatti con i giornalisti britannici e francesi: hanno tutti fatto lo stesso percorso», aggiunse il giornalista.
  In una delle interviste di lancio al libro, Ulfkotte disse che il golpe da poco avvenuto in Ucraina e, più in generale, tutta la questione ucraina erano al centro delle pressioni da parte di Washington nei confronti dei giornalisti europei: «Il diktat che arriva da oltre oceano è di sparare ad alzo zero sulla Russia, sempre e comunque. L'Ucraina è il tema su cui si scatena di più la pressione degli Usa sui nostri media. Dagli Stati Uniti pretendono, e ottengono, che l'Ucraina venga dipinta come un paradiso democratico minacciato dall'autocrate russo Putin. E tutti obbediscono senza fiatare, come sempre».

(Notizie su Israele, 8 maggio 2022)

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Oggi, se udite la sua voce...

di Marcello Cicchese

VANGELO DI LUCA

Capitolo 10

  1. Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ospitò in casa sua.
  2. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.
  3. Ma Marta, tutta presa da molte faccende, venne e disse: «Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
  4. Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma una cosa sola è necessaria.
  5. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta».

Capitolo 11

  1. Mentre egli diceva queste cose, dalla folla una donna alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti portò e le mammelle che tu poppasti!» Ma egli disse:
  2. Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!»

In questi due brani ci sono tre donne: due parlano, una tace. Le due donne parlanti hanno qualcosa in comune: hanno certamente un'opinione molto buona di Gesù e desiderano dargli onore: la prima con le mani, la seconda con la bocca. La donna in casa è attiva, la donna tra la folla è entusiasta. La prima serve, la seconda giubila. Gesù però non dà soddisfazione a nessuna delle due. L'unica persona a cui Gesù rivolge la sua attenzione è l'altra delle tre: quella che tace. E ascolta. Ascolta Gesù. Ed è proprio questo che gratifica Gesù sulla terra: trovare qualcuno che davvero lo ascolta.
  "Ascolta Israele", ripete Dio al suo popolo da Mosè in poi, ma per Israele, come per tutti gli uomini, la vera difficoltà è riconoscere e accogliere la voce di Dio nel preciso momento in cui si fa sentire. Marta ha accolto Gesù "in casa sua"; l'ha inserito nella sua agenda, in cui forse stava scritto che il pranzo per l'ospite doveva essere pronto a una data ora. La donna tra la folla ha accolto Gesù nel suo mondo di pensiero: uno come Lui era proprio il modello di uomo che aveva sempre avuto nella sua mente. E ne era affascinata.
  Usando un linguaggio evangelico di uso corrente, si potrebbe dire che le due donne parlanti volevano "portare Gesù nella loro vita". Ma hanno trovato resistenza in Gesù. Maria invece ha cercato di "portare la sua vita in quella di Gesù". E sembra proprio che ci sia pienamente riuscita. Gesù stesso l'attesta: "Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta". La parola di Gesù, ascoltata attentamente ai suoi piedi, nell'atteggiamento del discepolo che vuole imparare, è la parte buona ricevuta in dono.
  Imparare, ma imparare che cosa? Maria impara a mettere i suoi pensieri in sintonia con quelli di Gesù, e questo può avvenire soltanto ascoltando la sua parola. Non è riportato quello che Gesù stava dicendo a Maria: questo significa che non si vuol mettere l'accento sull'argomento trattato, ma su Colui che parla. E, come aggiunta importante, su colei che ascolta.
  Il linguaggio di Gesù è anche in questo caso spigoloso, tagliente. Tra le molte cose che fa Marta, Gesù non ne nomina neppure una. Non saranno state mica tutte cattive le cose che faceva Marta! Ma fra tutte le cose che Gesù vede fare  dalle due sorelle, una sola viene indicata: quella che fa Maria.
  E' difficile per i predicatori commentare questo racconto (unico) dei Vangeli. Non si sa come attualizzarlo. E chi scrive si trova nello stesso imbarazzo. Tuttavia bisogna provarci. Si può cominciare per esclusione.
  E' da escludere la contrapposizione tra modelli statici di comportamento, come la distinzione, fatta da una certa tradizione cristiana, tra attivi e contemplativi. I seguaci di Marta sarebbero i laici cristiani che si attivano praticamente a fare opere buone in mezzo al mondo; i seguaci di Maria sarebbero i religiosi che si ritirano in zone eremitiche o cenobitiche per riflettere sulla profondità spirituale della rivelazione di Dio.
  Sono da escludere anche applicazioni morali cerchiobottiste del tipo "Non si pensi che il Signore approvi la nostra pigrizia, perché bisogna anche darsi da fare"; o "Non si pensi che il Signore approvi ogni forma di attivismo, perché bisogna anche trovare il tempo per leggere la Bibbia", e raccomandazioni simili. Potranno essere adatte alla situazione in cui si trovano in quel momento gli uditori, ma non c'entrano col testo.
  La chiave interpretativa potrebbe trovarsi invece in questa parola biblica: "Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori".

Come sempre, essendo una parola che viene da Dio, è stata diretta la prima volta a Israele. Salmo 95:

  1. Poich’egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo di cui ha cura, e il gregge che la sua mano conduce.
  2. Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come a Meribà, come nel giorno di Massa nel deserto,
  3. quando i vostri padri mi tentarono, mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere.
  4. Quarant’anni ebbi in disgusto quella generazione, e dissi: «É un popolo dal cuore traviato; essi non conoscono le mie vie».
  5. Perciò giurai nella mia ira: «Non entreranno nel mio riposo!»

Questo testo viene ripetuto quasi uguale nella lettera agli Ebrei, capitolo 3:

  1. Perciò, come dice lo Spirito Santo: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori
  2. come nel giorno della ribellione, come nel giorno della tentazione nel deserto,
  3. dove i vostri padri mi tentarono mettendomi alla prova, pur avendo visto le mie opere per quarant’anni!
  4. Perciò mi disgustai di quella generazione, e dissi: “Sono sempre traviati di cuore; non hanno conosciuto le mie vie”;
  5. così giurai nella mia ira: “Non entreranno nel mio riposo!”».

Il testo viene poi ripreso in forma di conclusione nel capitolo 4:

  1. Dio stabilisce di nuovo un giorno "Oggi" dicendo per mezzo di Davide, dopo tanto tempo, come si è detto prima: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori
  2. Infatti, se Giosuè avesse dato loro il riposo, Dio non parlerebbe ancora d’un altro giorno.
  3. Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio;
  4. infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue.

E' nota quale fu la prima volta che gli uomini udirono la voce di Dio:

    "Poi udirono la voce dell'Eterno Dio, il quale camminava nel giardino sul far della sera; e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell'Eterno Dio, fra gli alberi del giardino" (Genesi 3:7).

Con la parola Dio ha creato il mondo e lo sostiene; la Sua parola crea, trasforma, distrugge; ma all'uomo non è dato di udirla quando vuole lui. Dio continua a parlare, ma l'uomo riesce al più ad avvertire dei suoni che non sa intendere. E che spesso fraintende. Ma in precisi momenti Dio decide di rivolgere la Sua parola all'uomo in modo chiaro, con il preciso intento di farsi capire, e quindi poter soccorrere e salvare.
  Prima ancora di esporre in modo esteso la sua parola, spesso Dio manda un segnale per far capire che è proprio Lui che si sta avvicinando. E' stato così con Adamo ed Eva, che prima ancora di ascoltare quello che Dio voleva dire loro, non appena udirono il suono della Sua voce, "indurirono il loro cuore", che in quel caso significò cercare un posto dove andare a nascondersi.
  La cosa si è ripetuta spesso con il popolo Israele. Più volte nella storia Dio ha fatto sentire al popolo la Sua voce in modo abbastanza chiaro da far capire che era proprio Lui a voler parlare, ma prima ancora di comprendere le parole del messaggio, il popolo "si è nascosto" dietro ai cespugli del programma che si era scelto di sua volontà.
  L'ultima volta è accaduto con Gesù.  Gesù è la voce di Dio che si è fatta sentire in modo decisivo ad Israele. I Vangeli non sono stati scritti per esortare gli uomini ad essere un po' più buoni, ma per rispondere ad un'unica, fondamentale domanda: chi è Gesù? E la risposta, qualunque sia quella che si vuol dare, non può che far intervenire il popolo d'Israele. Qual è la sua risposta?
  Quando le due sorelle di Betania ricevettero in casa loro l'ospite di riguardo, la persona di Gesù era molto discussa; girava nell'aria una domanda: è lui? è lui il Messia promesso a Israele? O no. Non era facile allora dare una risposta, ma quello che Gesù aveva fatto e detto fino a quel momento avrebbe dovuto essere sufficiente per far capire, a chi avesse avuto un cuore "onesto e buono" (Luca 8:15), che attraverso la sua persona Dio stava mandando un messaggio al popolo. Anche senza intendere pienamente il contenuto del messaggio,  si poteva capire che era la voce dell'Eterno Dio.
  Maria aveva percepito nelle parole di Gesù il suono della voce di Dio. E se è così, che cosa ci può essere di più urgente che cercare di capire a tutti i costi ogni parola che esce dalle sue labbra? Maria aveva scelto l'unica cosa buona da fare in quel momento. Gesù l'ha detto, e adesso anche noi lo sappiamo.
  Non si sa se Marta non avesse percepito nel parlare di Gesù la voce di Dio, o se, avendolo percepito, avesse cercato di "distrarsi" affaccendandosi in molte cose apparentemente buone per scansare l'unica cosa veramente buona da fare. Propendiamo per la prima ipotesi, e ne diciamo il perché. Potrebbe essere che abbia percepito la voce di Dio in un secondo momento, proprio nelle parole amorevoli di Gesù: "Marta, Marta". Gesù ripete il suo nome, e questo è riportato solo altre due volte nel Nuovo Testamento:

    «Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano» (Luca 22:31);
    «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (Atti 9:4).

In tutti i casi sono persone che Gesù ferma nel loro zelo per Dio, e amorevolmente li corregge e li recupera. Anche nel caso di Marta, che negli ultimi giorni della vita di Gesù si muove in piena sintonia con la sorella Maria (Giovanni 11).
  Quanto a noi che leggiamo, sia attivi che contemplativi, ricordiamo che quando il Signore si degna di farci udire in modo chiaro la sua voce, l'unica cosa cosa buona da fare è aprire il nostro cuore e lasciare che la Sua parola vi si depositi stabilmente.

(Notizie su Israele, 8 maggio 2022)

 

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Israele: Hamas chiede ai palestinesi di “tirare fuori asce e pistole”

di Isabella Matta

L’attentato a El’ad, il sesto dal 22 marzo, è avvenuto nel giorno dell’indipendenza di Israele. Con un bilancio provvisorio di tre morti e quattro feriti, questa coincidenza sottolinea crudelmente l’ampio divario tra l’abbagliante progresso diplomatico dello Stato ebraico e la sua insicurezza interna. I due assalitori uccisi con asce e armi automatiche, al grido di ” Dio è grande ! “. La loro caccia continua. Verrebbero dai dintorni di Jenin, in Cisgiordania, bastione del terrorismo, praticato da Hamas come da Fatah. Fatah, il movimento di Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità Palestinese, ha distribuito dolci per celebrare l’attentato quando Abbas ha condannato” Morti di civili palestinesi e israeliani “.
  El’ad è una città di 50.000 abitanti, per lo più ultraortodossi. Situato a pochi chilometri dalla “barriera di separazione” eretta dalla seconda intifada, 20 anni fa, proprio per scoraggiare gli attacchi, El’ad ha celebrato, come tutto il Paese, lo “Yom Haatsmaut”, il 74° anniversario dell’indipendenza, quando, nella sera dei festeggiamenti, i terroristi sono comparsi ad una rotonda nel distretto scolastico. Pesantemente armati, si sono precipitati sui passanti poi uno è fuggito in macchina, il secondo a piedi, verso la foresta che confina con la città. ” Conoscevano perfettamente il posto perché lavoravano qui Spiega i servizi di sicurezza, che hanno identificato molto rapidamente Asad Al-Rafaani, 19 anni, e Sabhi Abu Shakir, 20. Si sono infiltrati attraverso una scappatoia nella recinzione, un sistema sempre più messo in discussione dall’opinione pubblica.

• “AFFRONTARE I LEADER”
  Che sia all’interno di Israele o nei territori, il terrorismo colpisce incessantemente da diversi mesi. Due giorni prima, un giovane è stato ucciso all’ingresso dell’insediamento di Ariel, la più grande città israeliana della Cisgiordania. ” Non possiamo barricarci ovunque, né isolare i 150.000 palestinesi che ogni giorno vanno a lavorare in Israele, ora dobbiamo attaccare i leader! Storm Raphaël Jerusalmy, ex ufficiale dei servizi di sicurezza e romanziere.
  Colpire i capi? Non appena l’attacco è stato annunciato, Yahya Sinwar, il leader di Hamas a Gaza, ha continuato a imprecare: Lascia che tutti preparino il loro fucile a casa! E se non ne ha, prepara la sua ascia o il suo coltello! ha lanciato il leader del movimento terroristico. Il giorno prima una delegazione di Hamas, guidata dal suo numero 2, Moussa Abou Marzouk, è stata ricevuta a Mosca da Sergueï Lavrov, ministro degli Esteri russo, per discutere “ Gli attacchi di Israele ai palestinesi “. Sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio sono proseguiti gli scontri, alimentati da false ma efficaci voci sulla rottura dello “status quo” da parte dello Stato ebraico.

• IL DILEMMA DELLE AUTORITÀ ISRAELIANE
  Non se ne è mai parlato, come ricordano Yaïr Lapid, ministro degli Affari esteri e Benny Gantz, ministro della Difesa. I luoghi santi musulmani rimangono amministrati dalla Giordania. Gli ebrei, se possono accedere al sito sotto scorta della polizia (ma non tutti i giorni) non hanno il diritto di pregare lì, il che scatena la polemica: ” Questo luogo era una montagna sacra con un santuario attestato dalla storia e il suo nome tradizionale in arabo, Beit al Makdiss, la città del luogo santo, ne è proprio la prova. Eppure è diventato il cuore della negazione dell’Olocausto e della manipolazione politica. dice Yoshua Benelisha, studente di archeologia e soccorritore, che si definisce così un israeliano laico che rispetta la libertà religiosa per tutti “.
  Contrariamente alle speranze di Hamas, quest’anno la tempesta non si è diffusa nelle città miste ebraico-arabe in Israele, come nel 2021. Il leader del Partito arabo israeliano Raam Mansour Abbas, che ha assicurato un budget considerevole per la sua comunità (21% della popolazione ) si è ritirato dalla coalizione di governo ma” senza lasciarla “, Egli ha detto. Tutti i leader della comunità condannano gli attacchi. L’esercito e i servizi di intelligence israeliani, riuniti d’urgenza da Naftali Bennett, si trovano ora di fronte al dilemma evocato da Raphaël Jerusalmy: le popolazioni palestinesi dovrebbero essere isolate indiscriminatamente e ingiustamente o colpire i leader? In altre parole, riprendere gli omicidi mirati che avevano posto fine alla seconda intifada.

(oggiurnal, 7 maggio 2022)

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Israele: funerali di massa per le vittime dell'attentato a Elad

TEL AVIV, 6 mag - Migliaia di persone hanno partecipato oggi ad Elad (popolosa città ortodossa a nord est di Tel Aviv) ai funerali di tre rabbini uccisi ieri a colpi di scure da due attentatori palestinesi originari della Cisgiordania che sono poi riusciti a fuggire.
  Le esequie dei rabbini Boaz Gol, Yonatan Habakuk e Oren Ben Yiftach sono iniziate nel luogo stesso dell'attentato e poi sono proseguite separatamente nel cimitero di Elad ed in quello di Lod, dove viveva una delle vittime. Alla luce della ondata di terrorismo registrata nelle ultime settimane in Israele il rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef ha fatto appello ai fedeli a recarsi domani armati in sinagoga, se hanno il porto d'armi.
  Ciò in deroga al severo divieto religioso di portare in strada di sabato alcun oggetto.
  Il rabbino di Elad Shlomo Grossman ha invitato i presenti a meditare sul significato dell'attentato. "L'Onnipotente - ha affermato - ci chiede di svegliarci. Ci ha mandato bassi assassini, che sono una vergogna per la loro stessa Nazione, e ciò perché noi ci rafforziamo nella nostra fede". Un altro rabbino, Mordechai Malca, ha invece polemizzato con il governo di Naftali Bennett, colpevole a suo avviso di essere "debole e confuso". I tre uccisi, tutti sulla quarantina, erano padri di famiglie numerose e hanno lasciato complessivamente 16 orfani.

(ANSAmed, 6 maggio 2022)

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Crisi nel Medio Oriente

Valutazioni dello Scrittore e Direttore delle ricerche di sicurezza presso SETA Prof. Murat Yeşiltaş.

Secondo le previsioni fatte dai paesi mediorientali nella lotta per il potere della nuova guerra fredda, la guerra Russia-Ucraina sta occupando Washington e quindi gli urgenti problemi di sicurezza davanti ai paesi mediorientali non richiamano sufficientemente l’attenzione degli USA.
  Israele e alcuni paesi del Golfo temono che l'amministrazione di Biden possa dare una serie di compromessi a Teheran nei negoziati indiretti in corso con l'Iran a Vienna a causa del prolungamento della guerra Russia-Ucraina.
  Si pensa che se l'Iran accetta di essere soggetto all'accordo nucleare del 2015, Washington ritirerà la sua richiesta di limitare le capacità missilistiche dell'Iran e ignorerà l'influenza e la presenza delle milizie locali di Teheran nella regione. Quindi, la possibilità di rimuovere le Guardie Rivoluzionarie iraniane dalla lista dei terroristi riconosciuti dagli USA in relazione al rinnovo dell'accordo nucleare in discussione a Washington è considerata come un problema di sicurezza difficile da accettare dai paesi trattati.
  I paesi del Golfo, soprattutto negli ultimi anni, sono rimasti delusi per l'atteggiamento degli USA. La politica di orientamento di Washington verso l'Asia rappresenta un declino nell'importanza della regione. Sembra essere stato notato che l'amministrazione Biden non è intervenuta negli attacchi missilistici contro l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (UAE) da parte degli Houthi sostenuti dall'Iran in Yemen. Pertanto, i paesi del Golfo hanno avuto la tendenza a diversificare le loro relazioni con molti paesi diversi dagli Stati Uniti e, naturalmente, con grandi potenze come Cina e Russia, al fine di fornire equipaggiamento militare e creare nuove relazioni commerciali.
  Sebbene gli USA non siano soddisfatti di questa politica di diversificazione dei paesi della regione, non hanno ancora adottato un atteggiamento serio per cambiare questa situazione. Tuttavia, inaspettatamente in futuro, l'amministrazione di Washington potrebbe essere coinvolta nel processo di riavvicinamento tra i paesi del Golfo, Israele e del Nord Africa. Washington potrebbe voler trasformare questo ammasso nella regione del Medio Oriente in una carta vincente nella sua grande rivalità di potere. In questo processo, potrebbe emergere un nuovo ambiente per una cooperazione regionale basata su diversi argomenti.
  Attualmente, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Marocco, Bahrain, Iraq e Israele sono tra i paesi che cercano nuove opportunità di cooperazione con vari incontri nella regione del Medio Oriente. Può essere nell'interesse della Turchia impegnarsi in queste iniziative sfaccettate in situazioni compatibili con i propri obiettivi. Se Ankara partecipa a queste molteplici iniziative di cooperazione su diverse questioni, la crescente influenza dell'Iran o delle sue milizie nella regione sarà indirettamente bilanciata quando i negoziati saranno conclusi in futuro. Inoltre, la Turchia agisce con la logica del win-win commerciale nella regione del Golfo. Per questo motivo, l'approfondimento di queste iniziative significa che Ankara stabilisce nuove partnership con i paesi della regione in settori come l'energia e il turismo. Pertanto, se gli Stati Uniti un giorno torneranno al Mediterraneo orientale e alla regione del Medio Oriente con progetti di alleanza con sede a Washington a causa della nuova guerra fredda, la possibilità che la Turchia sia fuori dall'equazione sul campo sarà eliminata attraverso la cooperazione che ha sviluppato con i paesi della regione su diversi temi.
  Nei prossimi giorni, la Turchia potrebbe compiere nuovi passi verso la normalizzazione in Medio Oriente e ciò potrebbe consentire alla Turchia di ottenere un vantaggio significativo durante la crisi ucraina.

(TRT, 7 maggio 2022)

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È tempo di chiamare antisionismo quello che è: estremismo antisemita | Opinione scrittura

Gli incidenti antisemiti nel 2021 sono stati più alti di qualsiasi anno da quando la Lega anti-diffamazione ha iniziato a monitorare queste tendenze quattro decenni fa. Ciò è dovuto a numerosi fattori, ma chiaramente in parte a un'ondata senza precedenti di violenza antisemita esplosa in tutta l'America durante il conflitto tra Israele e Hamas un anno fa. A maggio 2021, ADL ha registrato un aumento di quasi il 150% rispetto allo stesso periodo del 2020.
  Alcuni potrebbero respingere questi incidenti, dicendo che erano solo politici. Ma questi incidenti, inclusi 15 sfacciati assalti, presentavano un vero e proprio più grande successo di retorica antisemita: tutto, dall'affermazione che gli ebrei sono responsabili dell'uccisione di Gesù alle orribili analogie dell'Olocausto.
  Mentre ci sono alcuni che vogliono sostenere l'argomento accademico secondo cui si può essere antisionisti e non antisemiti, questa è una distinzione che non ha alcuna differenza rispetto agli antisemiti. Semplicemente, l'antisionismo è antisemitismo.
  L'antisionismo è un'ideologia radicata nella rabbia, basata sulla convinzione che il popolo ebraico non dovrebbe poter avere uno stato nazionale. È una credenza basata sulla negazione di un altro popolo e dimostra una negazione volontaria anche di una comprensione superficiale della storia.
  Non commettere errori: coloro che inveiscono contro i "sionisti" non intendono gli evangelici cristiani che sostengono il moderno stato di Israele. Significano "ebrei".
  Questo non è un fenomeno nuovo. Sostituire la parola "ebrei" con "sionisti" per rivendicare una presunta altezza morale era una tecnica retorica sperimentata dagli specialisti della disinformazione sovietici che volevano affermare che il loro comunismo li inoculava dall'antisemitismo, che l'antisemitismo sistemico dilagante nell'Unione Sovietica riguardava l'opposizione immaginato l'imperialismo occidentale, e che era radicato nella politica, non nel pregiudizio.

(Oh My Mercato!, 6 maggio 2022)

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Fiume di sangue innocente in Israele. Pronti i vitalizi per i terroristi?

Chi finanzia l’Autorità Palestinese, come l’Europa, è co-responsabile di queste morti perché sa dei vitalizi elargiti ai terroristi, un vero e proprio incitamento ad uccidere, ma non fa nulla.

di Maurizia De Groot Vos

Tre giovani padri che lasciano complessivamente 16 figli orfani, altre due persone che lottano tra la vita e la morte.
  Questo è il bilancio dell’attacco terroristico di ieri nella città di Elad, in Israele. Tre morti e due feriti gravemente da due terroristi palestinesi identificati come Sabhi abu Shakir e As’ad Alrafa’ani, 19 e 20 anni entrambi provenienti da Rumana, un villaggio nei pressi di Jenin.
  Per l’attacco i due macellai hanno usato un’ascia e un coltello e una volta ucciso e ferito si sono dati alla fuga.
  È in corso una enorme caccia all’uomo, ostacolata però dall’aiuto che gli arabi stanno dando ai due terroristi islamici.
  Da diverso tempo è ormai in corso un vero e proprio attacco terroristico contro i civili israeliani da parte di terroristi islamici riconducibili alla fazione palestinese.
  Per questo l’esercito israeliano nelle scorse settimane ha intensificato le proprie azioni preventive in Giudea e Samaria (la cosiddetta “Cisgiordania”) dove sono scoppiati diversi disordini.
  In tutto questo l’Autorità Nazionale Palestinese non fa niente per arginare la serie di attentati che dal 21 marzo fino ad oggi ha portato alla morte di 19 civili israeliani, anzi continua con l’esecrabile politica dei vitalizi ai terroristi che uccidono civili israeliani o alle loro famiglie se i terroristi vengono catturati o uccisi.
  Non meno colpevoli sono quelle istituzioni internazionali che con i loro finanziamenti a fondo perduto elargiti alla Autorità Palestinese senza mai fare domande sul loro impiego, finanziano questo vero e proprio incentivo ad uccidere cittadini israeliani.
  I vitalizi ai terroristi islamici o alle loro famiglie sono una cosa nota, apertamente ammessa anche dal Presidente della Autorità Palestinese, Abu Mazen, eppure nessuno a Bruxelles o nelle altre capitali che finanziano il terrorismo palestinese dice una parola.
  Di fatto il denaro dei contribuenti europei o americani o di qualsiasi paese che finanzia il terrorismo palestinese mascherato da Autorità Nazionale, si rende complice di un incitamento ad uccidere cittadini israeliani ed è responsabile dei fiumi di sangue innocente che macchiano il suolo di Israele.

(Rights Reporter, 6 maggio 2022)

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Putin chiede scusa a Bennett per i commenti di Lavrov su Hitler ebreo

Bennett e Putin
In una telefonata avvenuta giovedì 5 maggio, il presidente russo Vladimir Putin si è scusato con il primo ministro Naftali Bennett per i commenti incendiari fatti dal Ministro degli Esteri russo Lavrov. Lo riporta il Times of Israel.
  I commenti del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov secondo cui Adolf Hitler aveva “sangue ebreo” e il successivo avanti e indietro tra Israele e Russia, hanno segnato la peggiore riacutizzazione tra i paesi da quando la Russia ha invaso l’Ucraina.
  “Il primo ministro ha accettato le scuse del presidente Putin per i commenti di Lavrov e lo ha ringraziato per aver chiarito il punto di vista del presidente sul popolo ebraico e sulla memoria dell’Olocausto”, ha affermato l’ufficio di Bennett.
  Il Cremlino ha detto che Putin ha parlato con Bennett della “memoria storica”, dell’Olocausto e della situazione in Ucraina, senza menzionare le scuse.
  Bennett ha anche chiesto a Putin di “esaminare le opzioni umanitarie” per l’evacuazione della città ucraina di Mariupol. “La richiesta è arrivata a seguito della conversazione di Bennett con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ieri”, ha detto l’ufficio di Bennett.
  Giovedì Putin ha anche inviato un messaggio al presidente Isaac Herzog per “congratularsi” con lui per il Giorno dell’Indipendenza di Israele.
  “Sono fiducioso che le relazioni russo-israeliane basate sui principi di amicizia e rispetto reciproco continueranno a svilupparsi a beneficio dei nostri popoli e a favore del rafforzamento della pace e della sicurezza in Medio Oriente”, ha affermato Putin, secondo l’ufficio di Herzog.
  I legami tra Israele e Russia si sono inaspriti in seguito all’affermazione del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov secondo cui Adolf Hitler aveva origini ebraiche, nel tentativo di spiegare i tentativi di Mosca di “de-nazificare” l’Ucraina, il cui presidente, Volodymyr Zelensky, è ebreo.
  Israele, insieme a molte nazioni occidentali, ha duramente criticato Lavrov per i commenti fatti domenica in cui affermava che “anche Hitler aveva sangue ebreo” e che “alcuni dei peggiori antisemiti sono ebrei”.

(Bet Magazine Mosaico, 6 maggio 2022)

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Alta tensione fra Israele e Russia. Putin ora chiede scusa per il caso Lavrov

di Giulio Meotti

ROMA - Prima un’arma anticarro Matador, di fabbricazione israeliana (è prodotto dalla Rafael Advanced Defense Systems), è finita nelle mani degli uomini dell’Azov. Poi è comparso un video che mostra fucili israeliani Tavor branditi dallo stesso battaglione ucraino. All’inizio della settimana si è innescato lo scontro tra Russia e Israele per l’affermazione di Sergei Lavrov rilasciata alla tv italiana, secondo cui Hitler aveva “radici ebraiche” (ieri Vladimir Putin ha chiesto scusa al premier israeliano Naftali Bennett). Poi è stata la volta dell’ambasciatore israeliano in Russia, convocato al ministero degli Esteri in Piazza Smolenskaya dopo che l’ambasciatore di Israele in Ucraina aveva suggerito che le strade di Kyiv fossero rinominate in onore dei giusti ucraini che hanno salvato ebrei durante la Shoah. Poi Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha affermato che “mercenari israeliani stanno combattendo praticamente spalla a spalla con i miliziani di Azov”. E mentre le relazioni tra Israele e Russia si facevano più tese, il volume delle comunicazioni tra Mosca e le fazioni palestinesi cresceva. Prima una telefonata tra Putin e Mahmoud Abbas, poi Lavrov che parla con il leader di Hamas Ismail Haniyeh.
  Infine, una delegazione di Hamas in visita a Mosca. Berel Lazar, il rabbino capo della Russia – noto per la sua amicizia con Putin – mercoledì ha esortato Mosca a “smetterla di invocare l’etnia dei suoi oppositori”. Alta tensione dunque fra Mosca e Gerusalemme, finora la più discreta nella condanna della guerra in Ucraina. Della presenza israeliana nel paese si sa poco. Ci sono video di combattenti con uniformi ucraine che parlano ebraico. “Vogliamo ringraziare tutta la nazione di Israele, il governo di Israele, per averci aiutato mentre possiamo combattere contro i russi”, dice uno di loro in perfetto ebraico. “Vogliamo ringraziare tutti gli ebrei che ci stanno aiutando”, dice un altro. “Siamo qui per gli ucraini e per l’intera nazione le cui vite sono in pericolo”. I presunti combattenti israeliani hanno ringraziato la sinagoga principale a Kyiv e il rabbino Moshe Azman, durissimo con la Russia. “Grazie per averci permesso di sentire lo spirito della Pasqua, grazie per il cibo kosher”, dice un altro combattente ebraico. Non è chiaro se siano cittadini israelo-ucraini che si sono arruolati nell’esercito o che si sono offerti come combattenti stranieri. Il sito web della Legione internazionale della difesa territoriale dell’Ucraina elenca Israele fra le nazionalità accolte. E’ ancora prematuro concludere che Israele infrangerà il tabù e venderà armi all’Ucraina. “Cosa accadrà se inizierà a fornire agli ucraini l’Iron Dome, che potrebbe cambiare il corso degli eventi?”, ha affermato Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin, al giornale israeliano Yedioth Ahronoth. Allo stesso tempo, Israele è preoccupato che la Russia possa fornire sistemi avanzati all’Iran. Daniel Kovzhun, un ebreo di Kyiv che a Donetsk si è arruolato per le unità paramilitari, intanto rivela: “Ci sono ebrei ortodossi in Azov. Lo so perché ero lì sulle linee del fronte. A nessuno importava chi fosse ebreo”.

Il Foglio, 6 maggio 2022)

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La svolta di Israele: Tel Aviv pronta a spedire aiuti militari a Kiev

di Federico Giuliani

Le pressioni di Joe Biden, sempre più forti con il passare dei giorni, unite alle dichiarazioni rilasciate da Sergej Lavrov nel corso della famigerata intervista a Zona Bianca, su Rete 4, potrebbero aver convinto Israele a cambiare registro sulla guerra in Ucraina.
  Secondo quanto riportano i media israeliani, Tel Aviv sarebbe disposta ad inviare ulteriori aiuti in Ucraina al governo guidato da Volodymyr Zelensky. Da quanto emerso, oltre agli aiuti umanitari destinati ai civili e ai rifugiati, Israele starebbe pensando a fornire a Kiev anche materiale militare.
  Tuttavia, come sottolineato da una delle fonti citate dal sito statunitense Axios, si tratterebbe di “armi prevalentemente difensive e in quantità limitata, dal momento che Unione europea e Stati Uniti stanno aumentando la loro assistenza militare a Kiev”.

• LE PRESSIONI DI BIDEN
  Senza ombra di dubbio la citata pressione degli Stati Uniti ha giocato un ruolo chiave in quella che potrebbe essere la svolta israeliana sulla guerra in Ucraina. La richiesta di Washington, a quanto pare, sarebbe stata avanzata durante un incontro la scorsa settimana alla Casa Bianca tra il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e il capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Eyal Hulata. Rircordiamo che Israele aveva fin qui respinto le richieste dell’Ucraina di armi più sofisticate, e che solo il mese scorso aveva accettato di inviare migliaia di caschi e giubbotti antiproiettile, ma solo per i sanitari e i primi soccorritori.

• LE DICHAIRAZIONI DI LAVROV
  Altre indiscrezioni hanno tirato in ballo le affermazioni di Lavrov. Il malumore della leadership israeliana, o almeno quello di una parte di essa, nei confronti della Russia sarebbe cresciuto e non poco a causa dello scivolone diplomatico commesso dal ministro degli Esteri russo. Brevissima sintesi: Lavrov, sostanzialmente per giustificare il progetto russo di denazificare l’Ucraina, un Paese al momento governato da un presidente di origine ebraiche, ha dichiarato che anche Hitler aveva le stesse origini ebraiche.
  In un secondo momento il presidente russo, Vladimir Putin, si è scusato con il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, per le osservazioni fatte dal suo ministro degli Esteri sulle possibili origini ebraiche di Adolf Hitler. “Il primo ministro ha accettato le scuse del presidente Putin per le osservazioni di Lavrov e lo ha ringraziato per aver chiarito il suo atteggiamento nei confronti del popolo ebraico e della memoria dell’Olocausto”, si legge nella nota diffusa dall’ufficio del primo ministro israeliano dopo la conversazione telefonica tra i due leader.

• ISRAELE CAMBIA REGISTRO?
  Una settimana fa Israele era presente alla base aerea di Ramstein in Germania. Lì, Dror Shalom, capo dell’ufficio politico-militare del ministero della Difesa, ha preso parte all’incontro voluto agli Stati Uniti sull’invio di armi in Ucraina. E pensare che, dall’inizio del conflitto a pochi giorni fa, Zelensky aveva più volte chiesto invano a Tel Aviv un supporto militare mai arrivato.
  Israele era ed è molto interessata a mantenere buoni rapporti diplomatici con la Russia, anche perché deve necessariamente coordinarsi con l’esercito russo, padrone dei cieli della Siria, per organizzare le incursioni aeree nel Paese per colpire obiettivi collegati a Hezbollah e all’Iran.
  Eppure, i fatti sopra descritti potrebbero aver convinto il governo israeliano a cambiare posizione. Il quotidiano Haaretz ha scritto che Tel Aviv potrebbe inviare a Kiev soltanto armi difensive, probabilmente sperando che questo possa non scatenare una piccata reazione di Mosca. A proposito di armi, si parla dell’Iron Dome, ovvero il sistema anti-missilistico già utilizzato da Israele per difendersi dai razzi sparati da Gaza.

(Inside Over, 6 maggio 2022)

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Canti del Tempio Maggiore di Roma

I testi e le melodie della tradizione liturgica ebraica

di Lilli Spizzichino

Canti del Tempio
È di recente pubblicazione un testo estremamente interessante, ultima fatica della passione per il canto liturgico ebraico del gruppo di lavoro formato dal Maestro Claudio Di Segni, da Rav Alberto Funaro e dal Prof. Pasquale Troia, coadiuvati dall’organista del Tempio Maggiore di Roma, Angelo Spizzichino.
  Il primo tomo dell’opera è stato realizzato grazie ad un finanziamento del Ministero della Cultura italiana nonché ad alcuni contributi privati ed edito dalla casa editrice Gangemi all’interno della collana Roma Ebraica.
  Il libro contiene le significative presentazioni di Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della comunità capitolina, Ruth Dureghello, Presidente della C.E.R e Claudio Procaccia direttore del Dipartimento Beni e Attività della C. E.R.
  Afferma il prof. Pasquale Troìa che “le novità di questo volume trovano origine nell’ampia presentazione di ogni canto, il quale è mostrato con il testo ebraico, la traduzione, il commento liturgico, musicale e la tradizione romana che ha valorizzato la melodia. Non per ultimo all’interno del tomo è presente anche un  C.D audio per ascoltare e seguire le composizioni presenti nel testo (https://www.youtube.com/watch?v=n-vQtxckLLg). “Inoltre, nella prima parte si possono leggere tre interviste, prosegue Troìa, per offrire ai lettori la possibilità di comprendere il significato e il valore del chazzan (il cantore), del direttore del coro e dell’organo, strumento il cui uso non è consentito di Shabbat (sabato) o di moed. (festa solenne).”
  Il Maestro Claudio Di Segni sottolinea che “molti di questi canti sono stati prodotti, composti contemporaneamente o appena precedentemente la costruzione del Tempio Maggiore di Roma (1904) con l’ausilio dell’organo impiegato con l’apertura dei ghetti e l’emancipazione.  Ciò ha determinato l’introduzione in sinagoga di questo strumento, ad imitazione delle liturgie utilizzato nelle chiese, in seguito poi vietato e usato solo per matrimoni e feste non solenni. Ma vi è da dire che i musicisti ebrei componevano accompagnati dall’organo e di questo ne ho le prove documentali. Pertanto, riproporre filologicamente alcuni brani con accompagnamento dell’organo è stata la cosa più emozionante durante il percorso di produzione del C.D audio.”.
  Per Rav Funaro “questi canti sono un grande patrimonio ancora in parte da scoprire. Il Maestro Elio Piattelli (z. l.) raccolse i canti sefarditi (iberici) e i canti italiani trascrivendoli evitando che con il passare del tempo alcuni elementi potessero essere modificati oppure andare perduti.
  Il dott. Claudio Procaccia, a sua volta, afferma “il nostro dipartimento da diversi anni, attraverso il suo archivio storico, organizza ricerche relative alla storia e alla vita culturale della collettività ebraica di Roma. A questo proposito, la liturgia è un aspetto base della nostra identità. Per cui conservare, riprodurre e divulgare il patrimonio rituale musicale è basilare per far conoscere la cultura ebraica a Roma non solo presso i non ebrei ma anche tra i membri di altre comunità. In questo senso, il testo Canti del Tempio Maggiore[1] rientra perfettamente nel progetto di diffusione della storia del nostro gruppo culturale. Per quanto riguarda il contenuto di questo primo tomo, il fatto che vi siano testi in ebraico tradotti in italiano consente ad un largo pubblico, non formato solo da specialisti o esperti di cultura ebraica, di avvicinarsi, di approfondire alcuni nuclei tematici della nostra plurimillenaria storia”.
  Dunque un volume da leggere, studiare, ascoltare, che ci fa rivivere la poesia, la bellezza il fascino della musica della tradizione liturgica ebraico-romana e aspettando il secondo tomo vorrei terminare con l’affermazione del prof. Pasquale Troìa, il quale rivela che “il canto a cui io sono più affezionato, visti i tempi attuali, è Ose’ Shalom, una preghiera ed un augurio per la pace.

(Shalom, 6 maggio 2022)

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Israele compie 74 anni – un bilancio dell’ultimo anno spiegato in breve

di Ugo Volli

Yom haAtzmaut, il giorno dell’Indipendenza, il settantaquattresimo compleanno di Israele da quando, in una piccola sala dell’abitazione storica del primo sindaco Dizenghoff, trasformata in museo d’arte, David Ben Gurion proclamò l’indipendenza di Israele (in data occidentale, accadde il 14 maggio 1948). Dappertutto vi sono feste e balli in piazza.

• LA POPOLAZIONE
&Si tirano anche i bilanci: l’Ufficio Centrale di Statistica ha per esempio comunicato che oggi la popolazione dello Stato di Israele ammonta a circa 9.506.000 persone: gli ebrei costituiscono 7.021.000 o il 73,9% della popolazione totale, il 21,1% o 2.007.000 sono arabi, mentre 478.000 sono etichettati come "altri" (5,02%), una categoria che include cristiani non arabi, membri di altre religioni, e cittadini che non si identificano con una fede specifica.
   

• IL BILANCIO DELL’ULTIMO ANNO
  È anche il momento di guardare indietro per capire come sono andate le cose nell’ultimo anno. Gli eventi sono stati tanti e significativi
  - La tragedia del Monte Meron. In data ebraica, se non in quella occidentale, dell’ultimo anno fa parte anche il disastro del Monte Meron, quando nella ricorrenza ebraica di Lag baOmer crollarono le tribune della celebrazione sulla tomba di Shimon Bar Yochai, provocando la morte di 44 persone
  - La caduta di Netanyahu. Proprio un anno fa, il 4 maggio 2021, scadeva il mandato esplorativo di Netanyahu. Il tentativo in extremis di mettersi d’accordo con Naftali Bennett, leader del partito Iamina (Destra) fallì portando a termine la lunghissima permanenza di “Bibi” al posto di primo ministro
  - Un’altra operazione contro Hamas In seguito a incidenti seguiti a uno sfratto nel rione di Sheyk Jarrah a Gerusalemme, il 10 maggio Hamas iniziò un bombardamento con missili e mortai su Israele. Seguirono rappresaglie israeliane su Gaza. Il conflitto durò 10 giorni, prima che Hamas accettasse un cessate il fuoco incondizionato. Nel frattempo ci furono gravi incidenti in alcune città israeliane (Acco, Lod ecc.) dove la popolazione araba aveva assalito gli ebrei in veri e propri pogrom.
  - Il governo Bennett. Dopo altre frenetiche trattative ne seguì un governo presieduto proprio da Bennett, in cui il socio più forte è però di gran lunga Yair Lapid. È un governo che mette insieme le ali più differenti dello schieramento politico israeliano (destra/sinistra, religiosi/laicisti, nazionalisti israeliani e arabi), uniti quasi solo dalla volontà di detronizzare Netanyahu.
  - Le conseguenze degli accordi di Abramo. Lo sviluppo delle relazioni di Israele col mondo arabo (Emirati, Bahrein, Marocco, Sudan, in parte anche Egitto) e islamico sunnita (Turchia) è stato importantissimo nell’ultimo anno. Si sono aperte rappresentanze diplomatiche, relazioni commerciali, linee aeree, vi sono state visite di stato ed esercitazioni militare comuni, partecipazioni a fiere. Insomma una normalizzazione di rapporti imprevedibile fino a qualche anno fa.
  - Le nuove trattative fra Usa e Iran. Nonostante la resistenza di Israele e dei paesi sunniti, le trattative fra Usa e Iran per riattivare l’accordo di Obama sono riprese con grande intensità. A febbraio i negoziati sembravano conclusi, l’accordo era “a portata di mano”, ma poi c’è stata la guerra in Ucraina e gli Usa hanno forse realizzato che l’Iran è un alleato strategico della Russia. Nel frattempo però l’Iran ha proseguito con l’arricchimento dell’uranio, e ormai è “a settimane” dalla possibilità di mettere in opera un armamento nucleare
  - L’elezione di Herzog Il 2 giugno 2021, Itzhak Herzog è stato eletto undicesimo presidente dello Stato di Israele, sostituendo Reuven Rivlin
  - La guerra segreta con l’Iran Durante tutto l’anno è proseguito il tentativo dell’Iran di armare i terroristi in Libano e in Siria (oltre che a Gaza) con missili di precisione e di costruire un suo dispositivo militare ai confini con Israele, in Siria. Lo stato ebraico ha reagito con centinaia di missioni aeree per distruggere le postazioni, le fabbriche d’armi e la logistica militare nemica. Una vera e propria “campagna fra le guerre” che non è mai cessata.
  - La crisi ucraina. Israele ha appoggiato la posizione americana ed europea in sostegno dell’Ucraina invasa dalla Russia, pur dovendo limitare il proprio impegno per timore di provocare una crisi ai suoi confini con la Russia, che è la potenza dominante in Siria. C’è stato un tentativo di mediazione da parte di Bennett, senza successo, e un forte impegno umanitario, per esempio con la costruzione di un ospedale da campo vicino a Leopoli
  - La nuova ondata terrorista. Nelle ultime settimane è esploso di nuovo il terrorismo palestinista, facendo una dozzina di morti. Gravi disordini sono stati realizzati dai pelestinisti sul Monte del Tempio di Gerusalemme, approfittando delle celebrazioni del Ramadan.
  - La crisi del governo Bennett. Nato con una maggioranza di solo un voto, dilaniato dalla incompatibilità politica e ideologico fra le sue componenti, il governo Bennett ha perso la sua maggioranza con l’abbandono di due parlamentari che facevano parte del partito del primo ministro. Ora anche il partito islamista Ra’am, in seguito agli incidenti sul Monte del Tempio, ha dato un ultimatum a Bennett, esigendo l’esclusione della polizia e della visita degli ebrei dal Monte, minacciando di far cadere il governo se non sarà soddisfatto. È probabile che l’esperimento di Bennett sia vicino alla conclusione.

(Shalom, 5 maggio 2022)

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Ancora scontri con polizia sulla Spianata delle Moschee, nel giorno dell'indipendenza d'Israele

Nel giorno della commemorazione dell'indipendenza di Israele, ancora scontri a Gerusalemme, dopo la fine del Ramadan e il ritorno degli ebrei al Monte del Tempio

di Antonella Alba

Nuovi scontri questa mattina tra manifestanti palestinesi e polizia sulla Spianata delle Moschee (Monte del Tempio per gli ebrei) a Gerusalemme. Il sito - terzo luogo santo per l'Islam e primo per l'Ebraismo - è stato riaperto oggi alle visite degli ebrei dopo che queste sono state impedite dalla polizia per diversi giorni a causa della festa del Ramadan e dei violenti scontri verificatisi sul posto nelle ultime settimane specialmente durante le preghiere musulmane del venerdì. 
  Gli agenti israeliani affermano di aver "respinto dei rivoltosi che avevano lanciato oggetti sulla Spianata delle Moschee", ferendo "leggermente" almeno un poliziotto, hanno poi sparato proiettili di gomma sulla Spianata, mentre alcuni palestinesi si sono rifugiati all'interno della moschea, da cui hanno lanciato pietre e oggetti. Da metà aprile a oggi sono stati registrati almeno 300 feriti negli scontri fra polizia israeliana e manifestanti palestinesi sulla Spianata delle Moschee, controllata da Israele dalla fine della Guerra dei sei giorni, nel 1967. 
  I leader religiosi musulmani della Spianata hanno aggiunto che la polizia ha fermato circa 50 palestinesi, mentre sono stati circa 600 gli ebrei che hanno visitato il complesso. La situazione si è calmata alla fine della mattinata. L'agenzia palestinese Wafa dando notizia degli eventi ha parlato di "decine di coloni che assaltano Al Aqsa". Da Gaza, al centro anche di recenti bombardamenti, Hamas ha chiamato i palestinesi ad opporsi alle visite minacciando Israele se questo le avesse consentite. 
  Secondo gli accordi informali dello status quo, gli ebrei possono visitare il luogo ma non posso pregarvi. Tuttavia, negli ultimi anni vi si sono recati in numero sempre maggiore e accompagnati dalla polizia, in parte per pregare in modo discreto. Questo ha alzato la tensione con i palestinesi e con la Giordania, custode del sito. 
  Oggi Israele festeggia il 74esimo anniversario per l'indipendenza dello Stato ebraico. Nei giorni scorsi organizzazioni marginali hanno spinto i fedeli ebrei a celebrare sventolando bandiere israeliane nel luogo sacro. Gli appelli sono circolati sui social media, mettendo in allarme i musulmani. Per l'occasione il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sentito il premier israeliano Naftali Bennett. Nella telefonata i due hanno parlato della guerra in Ucraina promettendosi vicendevolmente "proficui negoziati". 
  Ieri Bennet è stato contestato durante il discorso per il Giorno della memoria, ricorrenza in onore degli oltre 24mila soldati e civili israeliani uccisi in guerre e attacchi. Il suo discorso è stato interrotto da almeno due persone che hanno gridato "imbroglione" e "vergogna". Bennett, che recentemente ha perso la maggioranza alla Knesset, è stato al centro di pesanti minacce di morte nelle ultime settimane.

(RaiNews, 5 maggio 2022)

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Quando Israele sente bussare alla porta

di Rav Riccardo Di Segni

Oggi festeggiamo il 74° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele. È per noi una grande occasione di gioia. Non dobbiamo dimenticare che cosa abbia rappresentato questo evento nella storia ebraica, tanto più se si considerano le circostanze in cui è avvenuto. Il popolo ebraico, che pur aveva conosciuto numerosi eventi terribili, arrivò con la Shoà al punto più buio e drammatico della sua storia, mai visto e sofferto prima. Ma neppure tre anni dopo riuscì ad emergere dall’orrore con una nuova rinascita, che pochi avrebbero pensato possibile nei momenti dello sterminio e delle camere a gas. 
  Il pensiero ebraico ha voluto dare a tutto questo un senso religioso. Il Cantico dei Cantici è un piccolo libro della Bibbia che parla dell’amore tra due giovani e che è stato interpretato come una rappresentazione dell’amore travagliato tra il popolo di Israele e Hashèm. In un brano del capitolo 5, la ragazza racconta che stava dormendo, in semiveglia, quando ha sentito il suo amato bussare alla porta (Kol dodì dofèk), ma non ha risposto subito, l’amato se ne è andato e lei l’ha dovuto rincorrere. In questa scena i commenti vedono la rappresentazione di Hashèm che bussa alle porte di Israele e cerca di aiutarlo, anche se Israel si lascia sfuggire l’occasione. Nel 1956 il grande Maestro dell’ebraismo americano, rav Josef Dov Soloveitchik, scrisse un saggio di pensiero ebraico nel quale tra l’altro si rivolse a un mondo ebraico addormentato per risvegliarne la coscienza e spiegare il grande momento che stava attraversando. Il rav intitolò il suo saggio proprio con le parole Kol dodì dofèk (è disponibile in Italiano, con questo titolo, in edizione Salomone Belforte 2017) e spiegò che nella fondazione dello Stato d’Israele dobbiamo riconoscere i colpi dell’Amato che bussa alle nostre porte. Più precisamente parlò di sei colpi, esponendoli così:
  il primo colpo, il riconoscimento politico all’assemblea dell’Onu del diritto ebraico allo Stato; secondo il rav, sarebbe stato l’unico buon motivo della fondazione dell’Onu, che non dava altri grandi segni di utilità. A distanza di tanti anni, e alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni, non gli si può dar torto…
  Il secondo colpo, la vittoria di Israele in una guerra del tutto sbilanciata; una guerra che Israele non aveva cercato e gli fu imposta dai nemici che non accettarono la spartizione della Palestina. E se l’avessero accettata, il nascente Stato sarebbe stato molto più piccolo di quello che divenne alla fine della guerra.
  Il terzo colpo fu la dimostrazione della falsità del pensiero religioso non ebraico che ha interpretato l’esilio di Israele come la sua eterna e irreversibile punizione per non avere accettato la verità di un’altra fede. 
  Il quarto colpo fu il risveglio di tanti ebrei, allontanati per l’assimilazione e storditi per la Shoà, che hanno recuperato un rapporto con le proprie radici.
  Il quinto colpo fu l’affermazione del principio che il sangue ebraico non è hefqèr, cosa di nessun valore e di nessuno, che possa essere versato impunemente.
  Il sesto colpo fu la creazione di un asilo sicuro e disponibile per un popolo perseguitato, che per secoli ha dovuto cambiare dimora nell’incertezza continua. Agli inizi della guerra in Ukraina, Nathan Sharansky ha raccontato che in gioventù, sotto l’Unione Sovietica, lui che viveva in Ukraina, aveva nei documenti scritta la nazionalità ebraica (così erano classificati i cittadini in quel sistema, per nazionalità, non per religione) e questa iscrizione comportava sistematicamente persecuzioni burocratiche e sociali. Oggi, commentava Sharansky, la situazione è totalmente rovesciata. Avere una nazionalità ebraica in tempi così tormentati è una garanzia di sicurezza e la disponibilità di un asilo.
  Questi i sei punti, i sei “colpi” alla porta secondo il rav, che non perdono di attualità e ripropongono alla nostra attenzione l’importanza dello Stato d’Israele. Non solo politica, ma religiosa. Se gli ebrei si riuniscono nelle Sinagoghe per celebrare questo evento è perché gli danno un senso diverso, fuori dai consueti schemi storici e politici. Sta in questo la natura particolare di Israele e del suo rapporto con Hashèm. Kol dodì dofek, “Ascolta il mio Amato che bussa alla porta”. 

(Shalom, 5 maggio 2022)

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Nazionalismo e letteratura in Israele: dalla convergenza alla divergenza

di Cyril Aslanov

La poetessa-cantante Naomi Shemer (1930-2004), autrice della famosa canzone Yerushalaim shel zahav “Gerusalemme d’oro”
La letteratura neo-ebraica sviluppatasi dai tempi della Haskalah (Ottocento-primo Novecento) può essere considerata come catalizzatore del sionismo, forma moderna del sentimento nazionale ebraico. Eppure, una volta creato lo Stato di Israele, la letteratura ebraica appare piuttosto come patriottica che propriamente nazionalista. Il sionismo stesso, espressione moderna del nazionalismo ebraico, era maggioritariamente associato a ideologie di sinistra: laburismo o socialismo. È vero che la secessione revisionista iniziata da Žabotinskij (che era un grande scrittore ma più talentuoso e produttivo in russo che in ebraico) fa capire che negli anni eroici della gestazione e della nascita dello Stato di Israele, esistevano altre opzioni oltre alla scelta per difetto del sionismo di sinistra. Agnon si identificava con lo spirito centrista e liberale dei sionisti generali (sia contro lo spirito laburista o socialista del mainstream sionista di quei tempi sia contro gli eccessi nazionalisti dei revisionisti). Comunque questa sua posizione politica non si riflette nella sua opera monumentale a meno di considerare il significato simbolico di certi suoi racconti. Il vero vate nazionalista dell’orizzonte letterario neo-ebraico è stato Uri Zvi Greenberg (1896-1981), la cui produzione poetica riflette il suo impegno politico nella Brit ha-birionim (“alleanza dei forti”), una frazione quasi fascista del sionismo revisionista.
  Il nazionalismo puro e duro si esprime solo marginalmente nella letteratura neo-ebraica poiché negli anni di formazione dello Stato, esisteva un patriottismo piuttosto associato alla corrente principale del sionismo di sinistra. Il vero nazionalismo di ispirazione destrista era fuori dal consensus della giovine nazione. Per molti israeliani di sinistra il fatto di non condividere gli ideali del socialismo o del mondo dei kibbutzim (considerati un tempo come la parte più prestigiosa della società israeliana) era sufficiente per boicottare uno scrittore percepito come fuori dell’ideologia di sinistra che dominò politicamente il paese fino alla vittoria del Likud nel 1977.
  Il conformismo ideologico del mondo letterario israeliano si verifica anche a proposito di Moshe Shamir (1921-2004), la cui deriva destrista può spiegarsi dalla sua delusione dopo gli scandali scatenati contro di lui da rappresentanti dell’establishment laburista (a cominciare da Ben Gurion stesso). Ferito dall’ostracismo di cui fu vittima, Moshe Shamir diventò un partigiano della Grande Israele che secondo lui, doveva includere non solo la Giudea-Samaria ma anche il Sinai. Per far capire come alcuni patrioti della sinistra israeliana diventarono passionari del nazionalismo di destra si può considerare l’esempio parallelo della famosa poetessa-cantante Naomi Shemer (1930-2004), autrice della famosa canzone Yerushalaim shel zahav “Gerusalemme d’oro”, che pur venendo dal mondo socialista dei kibbutzim venne considerata verso gli anni Ottanta come un simbolo iconico del nazionalismo di destra. Il caso di Nathan Alterman (1910-1970) costituisce un altro esempio di un percorso dal patriottismo di sinistra (espresso nel famoso poema Magash ha-kesef “vassoio d’argento”) al nazionalismo di destra. Il catalizzatore di questa evoluzione fu la vittoria del 1967 che pose il problema dell’occupazione militare della Giudea-Samaria: questo evento fu una prova dirimente che provocò una polarizzazione crescente fra il patriottismo moderato della sinistra e il nazionalismo esaltato della destra.
  In quegli anni che precedettero o seguirono la frattura del 1967, nuovi talenti letterari emersero nell’orizzonte letterario israeliano: A. B. Yehoshua; Amos Oz; David Grossman; Meir Shalev. Chi più chi meno, questi autori famosissimi si identificarono con il campo della pace che milita per una risoluzione del conflitto con i palestinesi e la promozione della soluzione di due Stati per due nazioni. Gli autori che non corrispondevano a questa linea politica non sono stati così apprezzati dal lettorato israeliano e non furono sempre giudicati degni di essere tradotti dall’ebraico. Due esempi di questa reazione di rigetto nei confronti di autori considerati come troppo di destra sono David Shahar (1926-1997) (con un passato di destra, ma che poi diventò apolitico piuttosto che destrista) e il rabbino Haim Sabato, decisamente affiliato al sionismo religioso di destra. Shahar è stato molto apprezzato in Francia ma rimase quasi sconosciuto in Israele. Per quanto riguarda Sabato, è molto letto negli ambienti sionisti religiosi ma è praticamente ignorato dall’establishment culturale di sinistra, ormai spesso diventato post-sionista.

(Bet Magazine Mosaico, 4 maggio 2022)

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La visita di Hamas a Mosca apre a nuovi scenari nelle relazioni tra Russia e Israele

Tra le crescenti tensioni tra Russia e Israele, una delegazione di alti funzionari di Hamas si è recata a Mosca per strette consultazioni.
  Secondo l'agenzia di stampa palestinese Safa, ieri il vicecapo della direzione politica del Movimento di resistenza islamica palestinese (HAMAS), Musa Abu Marzuq, ha guidato la delegazione nella capitale russa per incontri con le autorità del ministero degli Affari Esteri del paese eurasiatico.
  Nell’articolo si precisa che lo scopo della visita di HAMAS è quello di consultare i funzionari russi sulla situazione nella città palestinese di Al-Quds (Gerusalemme), gli ultimi eventi nei territori occupati da Israele e le relazioni bilaterali.  
  Il viaggio della delegazione HAMAS a Mosca si svolge in una situazione in cui i rapporti tra Mosca e il regime di Tel Aviv sono alquanto tesi in seguito al conflitto in Ucraina. In particolare, sulla fornitura di armi da parte di Tel Aviv a Kiev.

(l'AntiDiplomatico, 4 maggio 2022)

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La sirena suona in tutto il paese mentre Israele piange i soldati caduti e le vittime del terrorismo

di Michelle Zarfati

Yom Hazikaron
"Nei cimiteri, le discussioni tacciono” queste le parole del Presidente Isaac Herzog durante la cerimonia di stato al Muro Occidentale di Gerusalemme, che segna l’inizio di Yom Hazikaron. “I nostri figli e le nostre figlie, caduti in difesa del nostro stato, hanno combattuto insieme e sono caduti insieme. Non hanno chiesto, né nessuno ha chiesto loro. Religiosi, laici, ebrei e non. Tutti insieme, uniti.” ha proseguito il Presidente.
  “Sono caduti come israeliani, difendendo il loro Stato. Nei cimiteri, le discussioni tacciono. Tra le lapidi, nessun suono. Un silenzio che chiede di realizzare, insieme, il loro unico desiderio: la risurrezione d’Israele, la costruzione di Israele, uno stato forte. Uniti, consolidati, responsabili gli uni degli altri. Perché siamo tutti fratelli e sorelle”, ha aggiunto Herzog.
  Trentatré nomi sono stati aggiunti all'elenco delle vittime del terrorismo nel corso della giornata odierna. Tra questi, altre quattro vittime disabili, morte a causa delle complicazioni dovute alle gravi ferite riportate durante i combattimenti per la difesa del loro stato; portando il numero totale a 3.199 da quando Israele è stata fondata nel 1948.
  28.284 i soldati caduti nelle guerre che Israele ha dovuto sostenere nel corso degli anni. Il capo di stato maggiore dell'IDF Aviv Kohavi ha offerto un messaggio alle famiglie in lutto durante il suo discorso alla cerimonia di Yom Hazikaron presso il Muro del Pianto a Gerusalemme.
  “La stragrande maggioranza delle famiglie israeliane ha aspettato che i propri figli tornassero a casa e li ha accolti con un abbraccio alla fine del servizio militare, ma alcuni hanno aspettato invano” ha detto Kohavi. “Non sono tornati, ma grazie a loro molti compagni hanno fatto ritorno a casa. Grazie a loro sono state salvate le vite di decine di migliaia di cittadini ed è a loro che è dovuta gran parte della sicurezza e delle conquiste di questo Stato - ha aggiunto Kohavi- Il vostro dolore è insopportabile e opprimente, si dirama nel corpo e nella mente. È presente e non riposa un attimo, superando crudelmente shabbatot, festività e compleanni. L'intero IDF piange con voi le vittime, provando un profondo dolore” ha concluso Kohavi.
  Tra le altre cerimonie a livello nazionale per il Memorial Day d’Israele, Il primo ministro Naftali Bennett e il Presidente della Knesset Mickey Levy hanno preso parte all’evento commemorativo al memoriale di Yad Lebanim per i soldati caduti a Gerusalemme. Tra i presenti alla cerimonia anche i vertici dell'esercito e le famiglie dei soldati caduti.
  Nel suo discorso, Bennett ha ricordato il periodo in cui prestava servizio come commando nel Libano meridionale durante gli anni '90 e ha menzionato diversi soldati del suo battaglione che persero la vita durante la guerra.
  “Eravamo lì in Libano, tutti insieme. Kibbutznik e ragazzi di città, laici e religiosi, di Beersheva e Haifa, di destra e di sinistra, ebrei con non ebrei", ha detto Bennett in un vero appello all'unità dello Stato Ebraico, mentre la sua disparata coalizione lotta per rimanere a galla dopo aver perso la maggioranza parlamentare lo scorso mese.
  “Proprio lì, nelle basi del Libano meridionale, mi sono innamorato della nostra meravigliosa nazione”, ha proseguito il premier. “Molti amici rimangono lì. Avevano 19 o 20 anni e non sono più tornati “ha aggiunto Bennett. “Non posso parlare a loro nome, ma credo che se potessero ci direbbero: continuate a vivere insieme. Non permettere che i disaccordi e le divisioni vi facciano a pezzi dall'interno".
  Ha inoltre sottolineato come le divisioni interne costituiscano una minaccia per la sicurezza d’ Israele, dicendo: “Se lasciamo che rabbia e odio ci prendano per mano, i nostri nemici ne approfitteranno per danneggiarci”.

(Shalom, 4 maggio 2022)


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Israele, il significato dell’indipendenza e l’impegno a non restare inerti

di Rav Roberto Della Rocca

La nascita dello Stato di Israele avvenuta nel 1948 ha radicalmente cambiato la coscienza e la percezione che gli ebrei hanno avuto di sé e della relazione con il resto del mondo per molti secoli. Lo Stato ebraico è stato il prodotto di un movimento di pensiero ebraico, minoritario e spesso contrastato, che costituisce ancora una grande sfida intellettuale, sociale e religiosa per l’intero ebraismo sviluppatosi nel corso dei secoli come realtà diasporica.
  L’esistenza di uno Stato ebraico non costituisce una sfida solo per la Diaspora, costretta a ridefinire ogni giorno la propria ragione d’essere. Il fatto di avere uno Stato costringe gli ebrei, in particolare quelli israeliani, a confrontarsi con l’intera vicenda storica e identitaria dell’ebraismo. Queste nuove prospettive indicano che il programma sionistico non significa la fine, ma l’inizio di nuove sfide e interrogativi per il pensiero ebraico.
  In che modo è vissuto oggi lo Stato dalle diverse correnti religiose? Qual è il messaggio rivolto all’oggi, con il ritorno del popolo ebraico in Eretz Israel dopo tanti secoli di Diaspora? La fondazione di Israele costituisce per tutti “l’inizio del germoglio della nostra redenzione” come si recita nella preghiera per lo Stato entrata in uso in molte sinagoghe del mondo? Come per un caso i festeggiamenti di Yom HaAtzmaut, il giorno dell’indipendenza dello Stato di Israele, cadono nei giorni in cui i segni del lutto del periodo dell’Omer sono più rigorosi. Come se laddove c’è più dolore si trovasse la gioia e viceversa. Con quale potere i rabbini, anche se non tutti d’accordo, hanno potuto aggiungere una festa in un calendario antico? Con quale autorità hanno deciso di interrompere un lutto consolidato da secoli autorizzando per una giornata, pur con molteplici varianti e sfumature diverse, la musica, i balli, la recitazione dell’Hallel, l’omissione del Tachanun (le preghiere di supplica), l’aggiunta di ringraziamento per i miracoli nella penultima benedizione della Amidà come per Chanukkah e per Purim?
  Dopo anni dall’istituzione di questa ricorrenza gli interrogativi sulle modalità dei festeggiamenti rimangono; per qualcuno, viceversa, non si sono mai posti e non hanno intaccato più di tanto una struttura religiosa consolidata. Un dato è comunque certo. L’evento stesso della (ri)nascita di Israele come Stato costituisce una sfida per una identità ebraica, composta non solo da fede e valori comuni, ma anche da un sistema normativo, la halakhah, che si è articolato nei secoli sulla prospettiva che vedeva il popolo ebraico come incapace di fatto di assumere funzioni sociopolitiche indipendenti. Il rapporto tra politica e “religione”, tra Stato e halakhah, tra democrazia ed etica ebraica attraversa l’identità non solo di Israele, ma di tutto il popolo ebraico, in Eretz Israel e nella Diaspora.
  La nascita dello Stato di Israele ha sollecitato e continua a sollecitare, tra l’altro, modifiche e innovazioni anche nel campo della halakhah. È innegabile che ciò che da altri popoli verrebbe vissuto soltanto come un mero fenomeno politico, ha assunto per il popolo ebraico un significato molto più articolato. La netta distinzione tra “categorie laiche” e “categorie religiose”, tipica di una lettura illuministica della realtà, sembra non trovare un’omologa collocazione nella vita ebraica per la quale non esiste una ben definita separazione tra ciò che è “chol” (laico) e ciò che è “kodesh” (sacro).
  In occasione di questo Yom Ha Atzmaùt l’organizzazione sionistica mondiale ha patrocinato una lettura solenne della Meghillàt Atzmaùt, la dichiarazione d’indipendenza, accanto al Kotel, con la stessa melodia e scansione della lettura pubblica della Torà, recitata da vari rappresentanti di diverse realtà della società israeliana. Un’iniziativa, per certi aspetti bizzarra, che non può tuttavia lasciarci indifferenti e non chiamarci ad alcune riflessioni. Quando ci troviamo di fronte a eventi straordinari come quello della fondazione dello Stato d’Israele e della sua sopravvivenza, a dispetto delle leggi della storia, a nessuno è consentito restare inerte e impassibile.
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* Direttore area Formazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

(moked, 4 maggio 2022)

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Bennett contestato alla cerimonia del Giorno del Ricordo

TEL AVIV - Il premier Naftali Bennett è stato contestato al grido di 'traditore' e 'imbroglione' durante la cerimonia sul Monte Herzl a Gerusalemme in onore dei soldati israeliani caduti. Le grida di contestazione, durante il Giorno del Ricordo dei caduti, si sono levate da un pugno di familiari presenti alla cerimonia e che sembrano non condividere la linea dell'attuale maggioranza di governo. Il premier non ha risposto alle invettive ma ha detto di comprendere "il dolore delle famiglie a lutto". "Queste famiglie - ha aggiunto - sono sante ed hanno diritto di affliggersi".

(ANSA, 4 maggio 2022)


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Erdogan continua il riavvicinamento a Israele e invia le congratulazioni per il Giorno dell’indipendenza

di Francesco Paolo La Bionda

Il presidente turco ha inviato una lettera di congratulazioni al presidente israeliano Isaac Herzog per Yom HaAtzmaut, il Giorno dell’Indipendenza di Israele, che nel 2022 cade il 4 maggio. Nella lettera, Erdogan ha parlato di una “nuova era delle relazioni bilaterali”, inaugurata dalla visita di Herzog nel paese anatolico a marzo, e si è detto ottimista riguardo allo sviluppo della cooperazione tra i due paesi. La missiva ha incluso anche gli auguri per “il benessere e la prosperità della popolazione di Israele”.
  Herzog ha ricambiato con una telefonata, nella quale ha espresso a sua volta gli auguri al suo omologo turco per la festività musulmana di Eid al-Fitr, cominciata il sabato precedente. Nella conversazione i due leader hanno convenuto sull’importanza di un dialogo aperto per mantenere la calma e la stabilità nella regione mediorientale.
  I due capi di stato si erano infatti già sentiti due volte al telefono nelle settimane precedenti: l’11 aprile il leader turco aveva chiamato per condannare gli attentati palestinesi che avevano causato la morte di undici persone, mentre il 19 aprile per esprimere le sue preoccupazioni in merito agli scontri al Monte del Tempio, rimarcando la necessità di mantenere lo status quo religioso nel sito ed esprimendo soddisfazione per le dichiarazioni in tale senso del governo israeliano.
  Il riavvicinamento tra Turchia e Israele, dopo un decennio di relazioni gelide, è cominciato con l’avvento dell’attuale esecutivo dello Stato ebraico al posto di quello guidato da Netanyahu e, nonostante permangano criticità legate soprattutto alla questione palestinese, sta al momento proseguendo, in linea con la più generale volontà del governo turco di riparare le relazioni con i paesi vicini, in molti casi deteriorate negli ultimi anni.

(Bet Magazine Mosaico, 4 maggio 2022)


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Quelle clausole segrete che ci legano agli Usa

La guerra in Ucraina non fa eccezione. Ma sulla guerra in Ucraina la partita non è chiusa.

di Rino Cammilleri

È inutile scandalizzarsi se Draghi va a prendere ordini da Biden, se manda armi all’Ucraina in barba alla Costituzione secretandone la lista, se si è tenuto stretti Speranza e Lamorgese (ricordate il di lei «genitore 1 e 2» perché «ce lo chiede l’Europa»?), se ha inondato l’Italia di vaccini americani e via così. Si tiene anche il Pd, americanissimo dai tempi di Mani Pulite. La stessa Meloni, per accreditarsi come partito di governo, è dovuta andare a spiegarlo negli Usa e ne è tornata, con qualche imbarazzo dei suoi seguaci, filo-Ucraina.
  Adesso, però, devo prenderla un po’ alla larga, abbiate la pazienza di seguirmi. I miei lettori di lungo corso sanno che ogni tanto produco un giallo storico. Ebbene, quando scrissi Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo, poi pubblicato da San Paolo e pochi anni fa riproposto nei Gialli Mondadori, essendo un «apocrifo» (così si chiamano in gergo editoriale i romanzi che riesumano personaggi resi famosi da altri autori), sorse il dubbio se si dovessero pagare i diritti d’autore agli eredi di Conan Doyle. Poiché avevo fatto studi giuridici all’università, sapevo che l’esclusiva al diritto di utilizzo su personaggi di un’opera dell’ingegno scade dopo cinquant’anni dalla morte dell’autore. Per sicurezza, comunque, chiesi conferma a un importante avvocato internazionale specializzato nel settore. Grande fu la mia sorpresa quando questi mi informò che i cinquant’anni valevano per tutti tranne che per l’Italia, la Germania e il Giappone. Per questi Paesi la soglia era elevata a settant’anni. Perché?
  Perché erano quelli che avevano perso la Seconda Guerra Mondiale. Seppi, così, che i trattati di pace che avevano chiuso detta guerra contenevano clausole non note al grande pubblico quantunque non segrete. Io ero incappato in una di esse. Ma ce n’erano anche, e ce ne sono, di segrete. Quante e quali? Boh. Sono, appunto, segrete. Ovviamente, i nostri politici d’alto grado ne vengono a conoscenza all’atto della presa del bastone di comando. Perciò, anche se sono passati quasi ottant’anni, siamo sempre «alleati» di qualcuno che è più alleato degli altri e, ci piaccia o no, ci riempie di vaccini, immigrati e gender nelle scuole. Ora pure di gas. E ci coinvolge nelle sue guerre come i Romani facevano con i loro auxiliares e Napoleone coi nostri Cisalpini.
  Un’ultima cosa, col pensiero a quanti stanno scommettendo sulla sconfitta di Putin. Costui viene dal Kgb, Johnson e Biden dalla politica politicante. Per settant’anni il Kgb ha tenuto in scacco la Cia e l’MI6. E gli strateghi di Pechino sono forse meno furbi? Sun Tzu era cinese. L’Occidente ha avuto, sì, il suo Sun Tzu, von Clausewitz, ma non era né inglese né americano. Dunque, piano con gli auspici. La partita è ancora aperta. Gli americani sono bravi a baseball e gli inglesi a cricket, ma i russi a scacchi.

(Nicola Porro, 3 maggio 2022)

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Israele: stasera lutto nazionale per 'Giornata dei caduti'

Polizia ed esercito in massima allerta per timore attentati

TEL AVIV - Al suono delle sirene inizierà stasera in Israele una giornata solenne di lutto in ricordo di oltre 24 mila uomini e donne caduti nei combattimenti e nelle guerre che hanno costellato la storia di Israele, anche prima della sua fondazione nel 1948. La cerimonia principale avrà luogo a Gerusalemme, nella spianata antistante il Muro del Pianto, alla presenza del Capo dello Stato Isaac Herzog e delle più alte cariche militari e civili. Domani la vita tornerà a fermarsi al suono di un'altra sirena, dopo di che cerimonie commemorative saranno tenute nei cimiteri militari.
  In questa circostanza tutti i locali di svago vengono tenuti chiusi. Come ogni anno la Giornata dei Caduti è osservata nel giorno che precede la Giornata dell'Indipendenza, secondo il calendario lunare ebraico. Domani sera la atmosfera di cordoglio sarà dunque sostituita dall'inizio di festeggiamenti popolari.
  Queste celebrazioni avvengono quest'anno in un clima di grande tensione, alla luce anche di una serie di attentati palestinesi avvenuti in Israele ed in Cisgiordania. Polizia ed esercito sono in stato di massima allerta ed i valichi di transito fra Israele e Cisgiordania saranno tenuti chiusi. Ieri Hamas ha rivendicato la paternità di un attentato condotto giorni fa nella città-colonia di Ariel (Cisgiordania), dove un guardiano civile è rimasto ucciso. Il braccio armato di Hamas ha avvertito che quella operazione è "la prima di una serie" organizzata per replicare a quelle che definisce "profanazioni" della moschea al-Aqsa da parte di Israele.

(ANSAmed, 3 maggio 2022)

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Turchia: Cavusoglu in Israele il 25 per normalizzazione

Dopo anni di rapporti difficili

Mevlut Cavusoglu
ISTANBUL - Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha fatto sapere che si recherà in visita ufficiale il Israele il 25 maggio per portare avanti il processo di normalizzazione dei rapporti tra Turchia e lo Stato ebraico.
   "Andremo in Israele il 25 maggio, faremo delle valutazioni con il ministro degli Esteri e poi prenderemo la decisione" ha detto Cavusoglu, come riporta Hurriyet, rispetto alla possibilità di nominare reciprocamente nuovi ambasciatori in entrambi i Paesi.
  I titolari delle missioni diplomatiche in Turchia ed Israele sono stati ritirati da entrambi i Paesi nel 2018 in seguito ai disordini a Gaza dopo la scelta dell'ex presidente americano Donald Trump di spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
  Dopo anni di rapporti difficili durante l'amministrazione guidata dall'ex premier Benjamin Netanyahu anche a causa del sostegno di Ankara alla causa palestinese, nei mesi scorsi Turchia e Israele hanno avviato un processo di normalizzazione delle relazioni. Il presidente israeliano Isaac Herzog si è recato ad Ankara per incontrare l'omologo turco Recep Tayyip Erdogan in marzo diventando il primo leader di Israele a visitare la Turchia in 14 anni.
  Erdogan recentemente ha manifestato di volere trovare una cooperazione a livello energetico con Israele con la prospettiva di portare gas israeliano in Europa attraverso il territorio turco.

(ANSA, 3 maggio 2022)

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Guerra Ucraina, effetto Lavrov: rottura Russia-Israele, effetto domino in Medio Oriente

Con la guerra in Ucraina Israele attacca la Siria e mette nel mirino l'Iran: vertice regionale con Biden. Mosca teme l'accerchiamento anche a sud

L'ormai celeberrima intervista di Giuseppe Brindisi, conduttore di "Zona Bianca" su Rete 4, al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov non sta avendo conseguenze solo in Italia, con una polemica furibonda sull'opportunità di dare voce al diplomatico del Cremlino. No, quanto dichiarato da Lavrov durante la trasmissione andata in onda sulle reti Mediaset sta avendo ripercussioni anche a livello internazionale. In particolare sul rapporto tra Russia e Israele, con una crisi diplomatica che potrebbe portare a conseguenze anche sul teatro del Medio Oriente.
  Tutto nasce, ovviamente, dalla dichiarazione di Lavrov secondo la quale anche Adolf Hitler "aveva sangue ebreo" e che "gli ebrei sono tra i peggiori antisemiti". Facendo riferimento alle origini del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e alle accuse del Cremlino rivolte a Kiev con un governo bollato come neonazista nella propaganda interna alla Russia. Ma facciamo un passo indietro. Lo scorso marzo, il premier israeliano Naftali Bennett era stato il primo leader di un certo rilievo internazionale a recarsi a Mosca dopo l'invasione russa dell'Ucraina. Sembrava che Israele potesse assumere un ruolo di mediatore tra la Russia e Kiev, ancora prima dell'attivismo della Turchia di Erdogan.
  Poi, nelle scorse settimane, qualcosa si è inceppato. Con ripercussioni anche in Medio Oriente tra Siria e Iran. Ora, però, rischia di essere arrivata la parola fine a un rapporto già burrascoso. Alle parole di Lavrov ha fatto seguito uno scontro istituzionale ad altissimo livello. Israele ha immediatamente convocato l'ambasciatore russo Anatolij Viktorov per protestare contro le parole definite "imperdonabili" di Lavrov. Il collega di Lavrov, il ministro degli Esteri Yair Lapid, ha dichiarato che "gli ebrei non si sono autodistrutti durante l'Olocausto. Incolpare gli ebrei per l'antisemitismo rappresenta un palese livello di razzismo contro gli ebrei".

• La rottura tra Russia e Israele rischia di causare un effetto domino in Medio Oriente
  Lo stesso Bennett ha deciso di entrare in gioco: "Le parole di Lavrov non sono vere e le loro intenzioni sono sbagliate. L'obiettivo di tali menzogne è accusare gli stessi ebrei dei crimini più terribili della storia, che sono stati perpetrati contro di loro, e quindi assolvere i nemici di Israele dalle loro responsabilità". Il primo ministro di Israele ha ribadito che "nessuna guerra del nostro tempo è come l'Olocausto o è paragonabile all'Olocausto". A seguito delle dichiarazioni di Lavrov, il ministero degli Esteri israeliano ha convocato l'ambasciatore russo in Israele per "chiarimenti". Chiedendo poi delle scuse, che non sono mai arrivate.
  Mosca ha risposto in maniera durissima, accusando "l'attuale governo israeliano" di sostenere "il regime neonazista di Kiev". Aggiungendo che "la storia, purtroppo, conosce tragici esempi di cooperazione tra ebrei e nazisti". Secondo il ministero degli Esteri russo, Zelensky "specula sulle sue radici" e lo fa in modo abbastanza consapevole e del tutto volontario. Nascondendosi dietro le proprie origini ebraiche, il capo dello Stato ucraino "copre i neonazisti ucraini, eredi spirituali e di sangue dei carnefici del suo popolo". Dunque non solo nessun passo indietro, anzi Mosca ha persino calcato la dose.
  E dire che finora Israele aveva tenuto una posizione molto bilanciata sull'invasione russa. Pur votando a favore delle risoluzioni anti russe alle Nazioni Unite non ha mai condannato apertamente la mossa di Putin. E ha cercato di proporsi inizialmente come mediatore e provando a promuovere il dialogo tra Mosca e Kiev. Senza riuscirci. Ma negli ultimi anni le relazioni tra Israele e Russia erano state buone, tanto che Mosca ha lasciato più volte mano libera a Tel Aviv in Siria, dove l'esercito israeliano ha più volte colpito obiettivi vicini ai Guardiani della rivoluzione iraniana in Siria. Anche se, come noto, la Russia appoggia sia il regime di Bashir al-Assad che lo stesso Iran.

• Israele attacca la Siria e mette nel mirino l'Iran. Mosca teme l'accerchiamento anche a sud
  Ora, però, tutto questo rischia di cambiare. Nelle scorse settimane, infatti, Israele ha condotto nuovi attacchi causando anche diversi morti durante la guerra in Ucraina. Mossa che non è piaciuta al Cremlino, che ha dichiarato che gli attacchi israeliani “mirano ad aumentare la tensione, riprendere le operazioni militari e consentire all'Occidente di svolgere attività militari in Siria”. Più o meno artificiosamente, la Russia crede ora che mentre è distratta dal conflitto Tel Aviv stia cercando di alterare gli equilibri in Medio Oriente a sfavore degli alleati di Mosca. In primis Siria e Iran.
  Alla fine dei conti, infatti, secondo molti osservatori al centro del dialogo del Cremlino tra Bennett e Putin ci sarebbero stati più i dossier legati a Damasco e Teheran piuttosto che quello riguardante la guerra in Ucraina. I timori russi potrebbe venire alimentati da una notizia diffusa proprio in queste ore. Il sito di informazioni Usa Axios ha svelato che gli Stati Uniti e Israele stanno discutendo sulla possibilità di organizzare, in occasione della visita del presidente Joe Biden in Medio Oriente che dovrebbe svolgersi a fine giugno prossimo, una riunione con i leader della regione.
  Lo scorso 24 aprile Biden ha accettato l'invito di Bennett in Israele, ma senza fissare una data: secondo Axios, la visita dovrebbe svolgersi nella seconda metà di giugno e dovrebbe durare fra 24 e 36 ore. Si tratterebbe della prima missione del presidente Usa in Medio Oriente da quando è alla Casa Bianca. Se andasse in porto il progetto di un forum regionale Mosca potrebbe sentirsi ulteriormente accerchiata anche sul fronte meridionale. 

(Affaritaliani.it, 3 maggio 2022)

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Trovato a Gerusalemme esplosivo dell'era dei crociati

di Michelle Zarfati

Vasi di ceramica
Un team di ricercatori canadesi e australiani hanno recentemente identificato ciò che sostengono possa essere una prova dell’esistenza di bombe a mano dell'era dei crociati a Gerusalemme. Un incredibile caso in cui la fantasia ha “anticipato” la realtà. Infatti, nel film " Holy Hand Grenade of Antioch” del 1975, "Monty Python e il Santo Graal" veniva rappresentata un’arma immaginaria simile appunto ad una granata antica.
  Un team, guidato dal Professore Associato della Griffith University Carney Matheson, ha analizzato i residui scoperti all'interno di quattro vasi di ceramica sferici risalenti all'XI-XII secolo che sono stati scavati tra il 1961 e il 1967 nei Giardini Armeni della Città Vecchia di Gerusalemme. I vasi sono coerenti con la ceramica mamelucca e sono stati trovati nel sito di un palazzo reale dei crociati. Sono stati lasciati intatti nelle collezioni del Royal Ontario Museum.
  Le nuove scoperte degli scienziati indicano che mentre tre dei contenitori sono stati utilizzati per contenere oli per alimenti, medicinali e profumi, uno dei recipienti esaminati è stato probabilmente utilizzato per "la conservazione di sostanze chimiche o potrebbe aver contenuto gli ingredienti chimici per un ordigno esplosivo, coerente con una granata medievale.
  A quanto pare, non solo "Monty Python" ha documentato granate medievali: "I resoconti storici, come l'assedio di Gerusalemme nel 1187 d.C., riportano armi coerenti con granate lanciate contro la città dalle forze di Saladino", notano gli autori della ricerca.
  In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista open source PLOS One, "Composition of trace residues from the content of 11th-12th-century-sphero-conicalves from Jerusalem", i ricercatori descrivono nel dettaglio la metodologia dello studio. Il residuo delle navi è stato sottoposto a diversi cicli di test hi-tech, comprese analisi mediante microscopia ottica, caratterizzazione biochimica, e spettroscopia di emissione atomica.
  Nello studio, gli autori scrivono che una granata sferoconica precedentemente identificata è stata analizzata nel 1937 che venne trovata a Fustat (vecchio Cairo). I ricercatori hanno quindi ipotizzato che fosse usata dagli arabi contro i crociati nel 1168 d.C. Hanno inoltre individuato che “l’arma” fosse composta di nitrato di potassio e zolfo, che secondo gli autori costituiscono i "materiali tipici dell’esplosivo ". Tuttavia, la composizione chimica completa del materiale esplosivo non era dettagliata.
  In un'intervista con IFLscience, Matheson ha sottolineato l’esistenza di antichi testi arabi dell'era dei crociati dotati di segrete per gli esplosivi, estremamente difficili da decifrare. “Si trattava di armi segrete molti complicate da realizzare” Durante la recente analisi di un recipiente sferico in ceramica etichettato come coccio 737, i ricercatori hanno trovato acidi grassi e livelli relativamente alti di mercurio, zolfo, alluminio, potassio, magnesio, nitrati e fosforo.
  Supportando anche l'ipotesi della granata, i ricercatori hanno confermato che la nave ha "peso e forma ottimali per una granata" e che "le spesse pareti di questa nave fornirebbero il contenimento e la forza per resistere all'accumulo di pressione prima della detonazione".

(Shalom, 3 maggio 2022)

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Israele, crescono i collegamenti verso Eilat e l’offerta di alloggi

Mitzpe Ramon
La Israel Land Authority (ILA) ha annunciato i vincitori della gara, realizzata in collaborazione con il Ministero del Turismo di Israele, per la costruzione di 780 camere in quattro località nel quartiere turistico della cosiddetta Via delle Spezie di Mitzpe Ramon. La gara riguardava due lotti per la realizzazione di 130 unità abitative per lotto e due lotti per la realizzazione di 260 unità per lotto. 65 offerte sono state presentate ed esaminate al Ministero del Turismo israeliano e la maggior parte di esse ha ricevuto la raccomandazione del Ministero alla Israel Land Authority 23 offerte sono state presentate nella gara.
  I risultati della gara, secondo cui esiste un divario significativo tra il prezzo minimo (centinaia di migliaia di shekel) e l’importo delle offerte vincenti (milioni di shekel), indicano l’attrattiva di investire nell’area di Mitzpe Ramon in particolare e nella regione in generale. Attualmente ci sono circa 700 stanze a Mitzpe Ramon.
  Il Ministero del Turismo lavora per incoraggiare sovvenzioni fino al 20% dell’investimento. L’aspettativa è che il nuovo marketing renderà l’area una destinazione ancora più attraente, attirando molti turisti soprattutto dall’estero. Anche dall’Italia, cresce la richiesta di un turismo nell’area vista come meta privilegiata soprattutto per un turismo invernale.
  Lo scopo del programma è la creazione di un centro turistico a Mitzpe Ramon che si integri nei paesaggi e comprenda hotel, alloggi speciali (monolocali / alloggi per studenti), impianti sportivi, aree commerciali e occupazionali, un nuovo parco e una foresta. È importante notare che la costruzione avrà un impatto minimo sulla natura e sul clima.
  “Le azioni che stiamo intraprendendo presso il Ministero del Turismo stanno incoraggiando gli imprenditori a creare hotel, aumentando la concorrenza e riducendo i costi delle vacanze in Israele, accrescendo l’offerta di alloggi turistici. Di conseguenza, siamo testimoni del grande interesse mostrato dagli imprenditori per la costruzione di hotel a Mitzpe Ramon. Iniziative come questa stanno creando le giuste infrastrutture, che ci aiuteranno come Stato a raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati di 10 milioni di turisti all’anno entro il 2030”, ha detto ol Ministro del Turismo israeliano Yoel Razvozov.
  Ora che poi è arrivata la primavera il Ministero del Turismo israeliano si sta già preparando per l’inverno con incentivi per le compagnie aeree ad operare voli verso l’aeroporto di Ramon ad Eilat. Ministero del Turismo israeliano ha infatti pubblicato un invito alle compagnie aeree a ricevere un sostegno finanziario per operare voli dall’Europa all’aeroporto di Ramon nella prossima stagione invernale. Questa direttiva riporterà a Eilat centinaia di migliaia di turisti dall’estero. Ora, con il ritorno del turismo, il ministero ha emanato una direttiva secondo la quale ogni compagnia aerea che effettua un servizio diretto con l’aeroporto Ramon riceverà un sussidio di 60 euro a passeggero. La compagnia aerea ha diritto a un sussidio per un massimo di 75 voli settimanali dallo stesso aeroporto, dal 1 settembre 2022 fino a fine maggio 2023.
  Allo stesso tempo, il ministero sta lavorando alla promozione del turismo nel deserto, al rafforzamento del Negev e dell’Arava, sviluppando al contempo le infrastrutture turistiche nell’area, come già accennato.
  Dall’Italia vi sono evidenti segni di ripresa del turismo verso Israele con una sempre crescente richiesta di offerta riguardante il deserto del Negev ed Eilat. La possibilità di intensficare voli verso l’areoporto di Ramon è sicuramente un mezzo straordinario per l’attività di promozione, indirizzandosi tanto al turismo organizzato quanto all’ FIT “, ha dichiarato Kalanit Goren, direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo.

(Travelnostop, 2 maggio 2022)

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Come i palestinesi profanano i luoghi santi di tutti, incluso il loro

di Bassam Tawil*

Ancora una volta i palestinesi hanno mentito al mondo affermando che gli ebrei "profanano" i luoghi santi dell'Islam, in particolare la Moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme.
  Se qualcuno profana la moschea e altri luoghi santi, beh, sono gli stessi palestinesi.
  Nel 2002, i terroristi palestinesi fecero irruzione nella Basilica della Natività a Betlemme, ma la reazione cristiana mondiale fu moderata. I terroristi rimasero all'interno della chiesa per 39 giorni, lasciandosi dietro di sé coperte e materassi sporchi, accendini e mozziconi di sigaretta, e il "tanfo delle feci". Un sacerdote si è lamentato del fatto che i terroristi avessero anche profanato la chiesa fumando e bevendo alcolici.
  Venerdì mattina, 15 aprile, centinaia di "fedeli" palestinesi si sono barricati all'interno della moschea di al-Aqsa e si sono scontrati con agenti di polizia israeliani.
  I rivoltosi, armati di sassi, sbarre di ferro e petardi sono arrivati alla moschea all'alba e sono stati visti introdurre sassi nell'edificio e bloccarne il cancello principale con barriere di legno e di metallo.
  I "fedeli" hanno raggiunto la moschea perché i loro leader gli avevano mentito, dicendo loro, falsamente, che gli ebrei stavano progettando di "prendere d'assalto" la moschea e "profanarne" i cortili.
  Non appena i rivoltosi sono entrati nel complesso della moschea sul Monte del Tempio e prima di scontrarsi con la polizia, hanno sollevato bandiere e stendardi di Hamas, un gruppo palestinese designato come organizzazione terroristica da Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Australia, Giappone e da altri Paesi.
  Ma a quanto pare, i palestinesi non considerano un atto di profanazione introdurre sassi, sbarre di ferro e altre armi leggere in una moschea.
  A quanto pare, i palestinesi non considerano un atto di profanazione issare in un luogo sacro bandiere e stendardi di un'organizzazione terroristica.
  A quanto pare, i palestinesi non considerano un atto di profanazione lanciare sassi e bottiglie di vetro contro le persone presenti presso il vicino Muro Occidentale, il luogo più sacro al mondo utilizzato dal popolo ebraico per la preghiera.
  A quanto pare, i palestinesi non considerano un atto di profanazione lanciare sassi e sparare petardi contro gli agenti di polizia nel complesso della moschea.
  Le rivolte iniziate dai palestinesi al Monte del Tempio il 15 aprile sono state del tutto immotivate. La violenza è esplosa dopo che leader e gruppi palestinesi hanno affermato falsamente che "estremisti ebrei" intendevano compiere una pratica rituale del sacrificio di animali per celebrare la festa di Pesach, la pasqua ebraica.
  Israele ha negato le accuse e ha inviato messaggi ai palestinesi assicurando loro che agli ebrei non sarebbe stato permesso di compiere alcuna "provocazione" sul Monte del Tempio.
  Anche l'alto funzionario di Hamas Saleh al-Arouri ha ammesso, poche ore prima che scoppiassero le violenze, che il suo gruppo aveva ottenuto tali rassicurazioni. Secondo al-Arouri, il messaggio israeliano è stato trasmesso a Hamas attraverso "mediatori" anonimi.
  Eppure tutti i tentativi di Israele di confutare le false accuse dei palestinesi non sono serviti a nulla.
  L'accusa del sangue mossa dai palestinesi riguardo alla presunta profanazione dei luoghi santi da parte degli ebrei è nata diversi anni fa con lo stesso presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Nel 2015, Abbas disse:
  "La Moschea di al-Aqsa e la Chiesa del Santo Sepolcro sono nostre. Sono tutte nostre e loro [gli ebrei] non hanno il diritto di contaminarle con i loro piedi sporchi. Noi rendiamo omaggio a ogni goccia di sangue versata per Gerusalemme. Questo sangue è puro, pulito, versato in nome di Allah. Ogni martire andrà in Paradiso e ogni ferito verrà ricompensato da Allah".
  Poco dopo il discorso di Abbas, i palestinesi lanciarono un'ondata di attacchi terroristici con tanto di accoltellamenti, sparatorie e speronamenti di auto.
  I palestinesi che volevano uccidere gli ebrei pensavano di rispondere all'appello del loro presidente di difendere la loro moschea dai "piedi sporchi" degli ebrei. Uccidendo decine di ebrei per il bene della moschea, i terroristi stessi hanno di fatto profanato la sacralità della moschea di al-Aqsa. Come? Hanno invocato il nome della moschea per giustificare una follia omicida contro ebrei innocenti.
  Il piccolo numero di ebrei che negli ultimi anni ha visitato pacificamente l'area all'aperto del Monte del Tempio non ha mai nemmeno messo piede all'interno della Moschea di al-Aqsa o sulla vicina Cupola della Roccia. I visitatori ebrei non si recano lì per aggredire o umiliare i musulmani. Vi si recano nell'ambito di visite organizzate coordinate con le autorità israeliane.
  Se qualcuno viene aggredito, molestato e umiliato, sono i visitatori ebrei. Video di palestinesi che imprecano e urlano contro i visitatori ebrei circolano da anni sulle piattaforme dei social media. Inoltre, i palestinesi hanno tentato di aggredire fisicamente i visitatori ebrei.
  In particolare, le reiterate affermazioni palestinesi secondo cui gli ebrei profanano i luoghi santi islamici sono arrivate anche mentre i palestinesi vandalizzavano la tomba di Giuseppe nella città palestinese di Nablus.
  Il sito, dove secondo la tradizione ebraica sarebbe sepolto il personaggio biblico Giuseppe, la scorsa settimana è stato attaccato e vandalizzato due volte da rivoltosi palestinesi.
  Questa non era la prima volta che i palestinesi attaccavano e danneggiavano la tomba di Giuseppe. Sebbene alcuni rapporti abbiano affermato che l'Autorità Palestinese ha promesso di aiutare a rinnovare il sito, alla fine è stato l'esercito israeliano a dover inviare grandi forze per rimediare ai danni.
  La tomba di Giuseppe è stata presa di mira dai palestinesi per un motivo: impedire agli ebrei di andare a pregare lì. Due religiosi ebrei che hanno cercato di raggiungere il sito dopo aver appreso degli atti di vandalismo sono stati colpiti e feriti dai palestinesi con colpi d'arma da fuoco.
  Il vandalismo e il tentativo di negare agli ebrei l'accesso alla tomba di Giuseppe è una vera e propria profanazione di un luogo sacro, in contrasto con le visite pacifiche degli ebrei al Monte del Tempio e il libero accesso che i musulmani hanno a tutte le loro moschee a Gerusalemme.
  Intanto, la comunità internazionale continua a ignorare la profanazione palestinese dei luoghi santi. I giornalisti riferiscono di come i poliziotti israeliani abbiano fatto "irruzione" venerdì mattina nel complesso della moschea di al-Aqsa, senza rilevare che i rivoltosi palestinesi avevano riempito la moschea di sassi e sbarre di ferro poche ore prima che la polizia entrasse.
  Le affermazioni palestinesi secondo cui gli ebrei contaminano i luoghi santi hanno lo scopo non solo di incentivare i palestinesi a compiere attacchi terroristici, ma anche di radunare tutti i musulmani contro Israele. Le false accuse promuovono l'antisemitismo e alimentano il rancore di coloro che odiano Israele in tutto il mondo, specialmente, purtroppo, nei campus universitari statunitensi.
  Tutto questo sta accadendo mentre l'amministrazione Biden ignora con disinvoltura le incessanti calunnie del sangue palestinesi e l'incitamento feroce contro Israele e contro gli ebrei. Durante una recente visita del segretario di Stato americano Antony Blinken a Ramallah, la capitale de facto dei palestinesi, il funzionario governativo ha dichiarato:
  "Lavoreremo per prevenire azioni da entrambe le parti che potrebbero aumentare le tensioni. Ciò include l'espansione degli insediamenti, la violenza dei coloni, la demolizione di case, gli sfratti, i pagamenti alle persone condannate per terrorismo, l'incitamento alla violenza".
  Le osservazioni di Blinken mostrano che egli considera la costruzione di nuove abitazioni per gli ebrei più pericolosa dell'uccisione degli israeliani nelle strade delle loro città.
  È importante sottolineare che Blinken non ha minacciato di sospendere gli aiuti finanziari offerti dagli Stati Uniti ai palestinesi per i pagamenti alle famiglie dei terroristi che hanno ucciso ebrei e per il continuo incitamento ad attaccare gli israeliani.
  Si noti che fino a quando Blinken considererà la costruzione di alloggi per gli ebrei una minaccia maggiore rispetto a sparare e ad accoltellare donne e uomini israeliani nei centri commerciali e nei bar, i palestinesi non smetteranno di versare sangue e di istigare a uccidere.
  Se l'amministrazione statunitense non affermerà con assoluta chiarezza che i palestinesi pagheranno a caro prezzo il fatto di continuare a premiare i terroristi e le loro famiglie, i palestinesi non rallenteranno né la profanazione dei luoghi santi né i loro attacchi terroristici.
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* Bassam Tawil è un musulmano che vive e lavora in Medio Oriente.

(Gatestone Institute, 2 maggio 2022 - trad. di Angelita La Spada)

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Il governo israeliano, partito arabo compreso, respinge al mittente gli insulti e le minacce del capo di Hamas

Hamas cerca di cavalcare l’ondata di attentati, ma c'è ben poco di cui possa vantarsi

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha risposto con sarcasmo al capo di Hamas, Yahya Sinwar, che il giorno prima aveva violentemente attaccato Mansour Abbas, leader del partito arabo islamico Ra’am, per essere rimasto nella coalizione di governo israeliana dopo gli scontri sul Monte del Tempio di Gerusalemme, una posizione che il capo terrorista di Gaza ha definito “un crimine imperdonabile”. Dandogli del “traditore di tutti i musulmani”, Sinwar ha intimato sabato a Mansour Abbas di far cadere il governo israeliano, ha esortato i cittadini arabi d’Israele a prendere le armi e compiere attacchi terroristici e ha incoraggiato attacchi contro gli ebrei in tutto il mondo. “Un arabo che dice che questo paese è ebraico è un ignobile – ha detto Sinwar – E credetemi, ho cercato un modo delicato per dirlo. Un arabo che nega che questo paese sia uno stato razzista di suprematismo ebraico è spregevole e deve essere fermato”.

(israele.net, 2 maggio 2022)

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Lavrov: “Italia in prima fila contro di noi” e la visita di Stato di Jill Biden ai profughi ucraini, le Breaking News del Riformista Tv

“L’Italia e’ in prima fila tra chi promuove sanzioni anti-russe: per noi e’ stata una sorpresa”, ha detto il ministro degli esteri russo Lavrov. E sul gas russo ha aggiunto: “i paesi europei devono pagarlo in rubli perche’ hanno rubato a Mosca le sue riserve di euro e dollari. Intanto il presidente del Museo della Memoria di Gerusalemme, definisce “false, deliranti e pericolose” le dichiarazioni di Lavrov sul fatto che Hitler avesse “origini ebraiche” come Zelensky.
  Tutti i capi di Stato dei Paesi che forniscono armi all’Ucraina devono essere consegnati alla giustizia come criminali di guerra. Lo scrive su Telegram il presidente della Duma Volodin. “Gli Stati europei guidati dalla Germania rischiano di diventare parte del conflitto fornendo armamenti all’Ucraina. Tutti i capi di Stato che hanno deciso di fornire armi si sono sporcati le mani e devono essere portati davanti alla giustizia come criminali di guerra”.
  Ripresa stamani l’evacuazione di civili da Mariupol. Lo rende noto il Consiglio comunale della citta’. Gli autobus partono dal centro commerciale di Port City. Il comandante della 12/a Brigata della Guardia Nazionale ucraina sostiene che nell’acciaieria sarebbero rimaste circa 200 persone, inclusi 20 bambini.
  La first lady americana Jill Biden fara’ una visita di 5 giorni in Romania e Slovacchia a partire da giovedi’ per incontrare i profughi ucraini, gli operatori umanitari e gli insegnanti che li hanno accolti. La moglie del presidente statunitense incontrera’ venerdi’ i membri del servizio militare Usa in Romania prima di andare a Bucarest.
  In Italia a marzo gli occupati aumentano di 81mila unita’ rispetto febbraio e di 804mila su marzo 2021. Lo scrive l’Istat osservando che il tasso di occupazione sale al 59,9%. Gli occupati tornano sopra i 23 milioni con un tasso di disoccupazione che scende ai livelli del 2010. Le donne che hanno oggi un lavoro in Italia aumentano di 85mila unità in confronto a febbraio arrivando a un totale di 9 milioni 776mila.
  Il Consiglio dei ministri e’ in corso per la riduzione delle accise sui carburanti e tornera’ a riunirsi nel pomeriggio per l’esame del decreto aiuti per imprese e famiglie. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, che sono stati convocati a Palazzo Chigi, indicono da oggi una mobilitazione del mondo della scuola con iniziative e assemblee.

(Il Riformista, 2 maggio 2022)
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Un video che aggiunge elementi poco conosciuti, ma ben documentati, su ciò che sta alle origini dello scontro Usa-Russia che si sta svolgendo per procura sul suolo ucraino, con possibile estensione a tutta l'Europa: Ucraina l'altra verità

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La realtà dei sopravvissuti all'Olocausto è ancora oggi fatta di profonda ingiustizia. E paura

Si sono chiuse in Israele le celebrazioni della Shoah tra vecchi e nuovi timori

di Alfredo De Girolamo

Al mondo sono circa 400 mila gli scampati al genocidio ebraico ancora in vita. Numero che si sta rapidamente assottigliando ed entro la fine del decennio 2030 potrebbe raggiungere lo zero. Israele è lo stato dove vive la gran parte dei perseguitati dal nazifascismo. Il 4 maggio 2016, l'allora presidente israeliano Reuven Rivlin, durante la cerimonia in Memoria dello sterminio, espresse profonda indignazione per le condizioni in cui versavano molti sopravvissuti: "Chiedo perdono a ciascuno di voi, prima che sia troppo tardi. Non capivamo, non volevamo capire, e non abbiamo fatto abbastanza". Sei anni fa i sopravvissuti all’Olocausto erano 190mila, 45mila si trovavano economicamente sotto la soglia di povertà. Nel 2021, epoca di pandemia, 15mila sono deceduti (Holocaust Survivors’ Rights Authority, 26.4.2022). Con una media di 42 morti al giorno. Oggi, la maggioranza dei 161.400 superstiti è nella fascia di età compresa tra 85-86 anni, un quinto di loro ha compiuto più di 90 anni e mille hanno passato i 100. Il 63% è nato in Europa, il gruppo più numeroso proviene dall'ex blocco dell'Unione Sovietica, circa uno ogni tre. Il 12% è nato in Romania, 5% in Polonia, 2,7% Bulgaria, l'1,4% Ungheria e Germania, l'1% in Francia. Il 18,5% è originario del Marocco e dell'Algeria, 11% Iraq e il 7% proviene da Libia e Tunisia.
  Le donne rappresentano più della metà (61%) dei superstiti, ma solo il 10% è attualmente sposata. La distribuzione geografica spazia in tutto il paese, Haifa conta tra i suoi cittadini 11mila sopravvissuti, Gerusalemme 10mila e Tel Aviv 8.700. Mentre, sono 7.743 coloro in attesa di ricevere l'alloggio pubblico (Over 7,000 Holocaust Survivors in Israel Still Waiting for Public Housing, Haaretz). L'ultima legge finanziaria aveva approvato la realizzazione di due mila unità abitative per anziani in case di riposo. Ritardi nella costruzione, limbo burocratico, insufficienza di sussidi hanno paralizzato la lista d'attesa. “La famiglia di Valery immigrata dall'Ucraina nel 1999 attende dal giorno del suo arrivo”. Riuscire ad entrare nelle case popolari non è l'unico problema. Gran parte delle famiglie dei sopravvissuti non possono permettersi l'assistenza sanitaria, 90 ore mensili è il sussidio domestico riconosciuto dal governo. Sono ufficialmente 42mila a ricevere sostegno dal Ministero dei Servizi Sociali. L'Autorità competente ha un budget annuale di 5,5 miliardi di shekel (1,57 miliardi di euro). Ma rientrare tra i beneficiari del programma assistenziale non è così scontato.
  Nella cultura umana l'Olocausto è un evento incomparabile. Avraham Roet è un superstite, in occasione di Yom Ha-Shoah, Giorno del Ricordo, ha pubblicato una toccante lettera, dove non risparmia critiche alle istituzioni. Roet nel suo atto d'accusa si sofferma su tre richieste: la restituzione dei beni depredati alle vittime della Shoah e non restituiti, il diritto dei sopravvissuti a trascorrere la vita dignitosamente e quello di veder tramandata la loro memoria. "Noi sopravvissuti all'Olocausto ricordiamo. Quando non saremo più qui le future generazioni ricorderanno? E cosa ricorderanno?". Una fondazione caritatevole israeliana ha pensato di portare il primo museo dell'Olocausto nel Metaverso. Un modo di connettere generazioni proiettando le loro storie nello spazio del mondo virtuale. La realtà invece è fatta anche di profonda ingiustizia. E paura. Almeno è quanto si evince dal sondaggio pubblicato alla vigilia delle commemorazioni, che quest'anno cadevano il 26 e 27 aprile, dal quotidiano Israel Hayom: il 47% degli intervistati teme un prossimo Olocausto. Attenzione a dire “mai più”.

(L'HuffPost, 2 maggio 2022)

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Negli ultimi giorni verranno tempi difficili

Dalla Sacra Scrittura

2 TIMOTEO, cap. 3
  1. Or sappi questo, che negli ultimi giorni verranno tempi difficili;
  2. perché gli uomini saranno egoisti, amanti del danaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, irreligiosi,
  3. senz'affezione naturale, mancatori di fede, calunniatori, intemperanti, spietati, senza amore per il bene,
  4. traditori, temerarî, gonfi, amanti del piacere anziché di Dio,
  5. aventi la forma della pietà, ma avendone rinnegato la potenza.
  6. Anche costoro schiva! Poiché del numero di costoro son quelli che s'insinuano nelle case e cattivano donnicciuole cariche di peccati, agitate da varie cupidigie,
  7. che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità.
  8. E come Jannè e Iambrè contrastarono a Mosè, così anche costoro contrastano alla verità: uomini corrotti di mente, riprovati quanto alla fede.
  9. Ma non andranno più oltre, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come fu quella di quegli uomini.

In soli tre versetti (2,3,4) è contenuto un elenco terrificante di umani vizi. Se ne possono contare esattamente diciotto, indicati tutti uno per uno con un termine particolare. Ne ripetiamo qui l'elenco completo traslitterando i termini originali e proponendone possibili significati. Tre di essi parlano di "amore": iniziano infatti con un filo che in inglese può essere reso bene con un lover. Altri iniziano con una a che indica negazione, come nel caso di anemia, che letteralmente significa "senza sangue". In quei casi useremo il "senza":

    filautoi, amanti di se stessi, self-lovers,
    filargyroi, amanti del denaro, money-lovers,
    alazones, vanagloriosi, millantatori,
    hyperefanoi, superbi, altezzosi, arroganti,
    blasfemoi, bestemmiatori, ingiuriosi,
    apeitheis, senza sottomissione ai genitori, ribelli
    acharistoi, senza gratitudine, a loro tutto è dovuto,
    anosioi, senza rispetto per ciò che è sacro, scellerati,
    astorgoi, senza naturali affetti,
    aspondoi, senza lealtà, spietati, crudeli,
    diaboloi, accusatori implacabili,
    akrateis, senza temperanza,
    anemeroi, senza compassione, brutali,
    afilagathoi, senza amore per il bene
    prodotai, traditori, infidi
    propeteis, temerari, sconsiderati,
    tetyfomenoi, gonfi, palloni gonfiati,
    filedonoi, amanti del piacere, pleasure-lovers.
L'elenco si conclude con un anziché   che indica il contrasto tra due amori: filedonoi, amanti del piacere (pleasure-lovers), anziché filotheoi, amanti di Dio (God-lovers).
  A ciò segue un'aggiunta significativa: aventi la forma della pietà, ma avendone rinnegata la potenza.
  A che serve un elenco come questo? Dal punto di vista morale non migliora certo la società fare un elenco dei vizi delle persone; dal punto di vista spirituale non c'è bisogno di convincere l'uomo di quanto sia malvagio per fargli sapere che lui - peccato più, peccato meno -  è in ogni caso un peccatore bisognoso di salvezza davanti a Dio.
  La spiegazione sta nel primo versetto: "Sappi questo". Dunque si tratta di rivelazione. Poi continua: "... che negli ultimi giorni...", dunque è profezia, simile nello stile a quella dei profeti dell'Antico Testamento: "Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sulla vetta dei monti..." (Isaia 2:2). Qui però non si parla di svolte politiche, non si fa un elenco di fatti, non si dice quello che gli uomini faranno di male, ma quello che gli uomini saranno (v.2) nella loro personalità intaccata dal male.
  La visione biblica è implacabile: col passar del tempo il corpo della società andrà sempre di più corrompendosi sul piano morale, come avviene per il corpo dell'uomo singolo sul piano fisico. Il male è presente nel mondo fin dai tempi di Abele e Caino, ma non si dica che è sempre lo stesso, perché è come l'entropia: cresce sempre. Nel tempo della fine, secondo la parola di Gesù, "l'iniquità sarà moltiplicata e l’amore di molti si raffredderà" (Matteo 24:12).
  Nel male qui descritto non ci sono atti di violenza fisica o sopraffazione sociale , ma pensieri, passioni, intenzioni, che nel loro insieme corrodono la struttura morale della personalità e di conseguenza quella della società.
  Sarà presente in grado estremo negli ultimi giorni, ma fin d'ora è diffuso fra gli uomini, in forma palese o latente, laica o religiosa.
  Sarà presente anche nella comunità dei credenti. E' così già oggi. Ed è in crescita. Per questo Paolo avverte Timoteo: "Anche costoro schiva!" (v.6), cioè sta' lontano da persone che hanno "la forma della pietà", ma sono "corrotti di mente" e con i loro pensieri "contrastano alla verità e sono riprovati quanto alla fede".
  Negli ultimi giorni il disgregamento morale della società raggiungerà il suo acme. E la falsa chiesa contribuirà con una tinta di religiosità alla sublimazione del marciume morale, ormai non più percepito come tale.
  Ma a tutto questo si arriverà gradualmente, piano piano, in un lento movimento appena percettibile. Il processo è già in atto: l'elemento di separazione tra credenti e increduli, che per quanto riguarda "i sentimenti e i pensieri del cuore" (Ebrei 4;12) avrebbe dovuto avere la consistenza di una paratia navale, prende sempre di più i caratteri di una membrana osmotica semipermeabile, separante due zone adiacenti destinate col passar del tempo a contenere la medesima concentrazione di male.
  Funerea visione del futuro? conclusione deprimente? Dipende da chi legge. A chi vuole ascoltare le parole di Paolo in un atteggiamento simile a quello di Timoteo, cioè di un suo discepolo che vuole imparare, l'apostolo rivolge una potente parola di personale spinta e incoraggiamento: Ma tu...

  1. Ma tu hai tenuto dietro al mio insegnamento, alla mia condotta, ai miei propositi, alla mia fede, alla mia pazienza, al mio amore, alla mia costanza,
  2. alle mie persecuzioni, alle mie sofferenze, a quel che mi avvenne ad Antiochia, ad Iconio ed a Listra. Tu sai quali persecuzioni ho sopportato; e il Signore mi ha liberato da tutte.
  3. E d'altronde tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati;
  4. mentre i malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.
  5. Ma tu persevera nelle cose che hai imparate e delle quali sei stato accertato, sapendo da chi le hai imparate,
  6. e che fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salute mediante la fede che è in Cristo Gesù.
  7. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
  8. affinché l'uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.
PREDICAZIONE
Marcello Cicchese
luglio 2015


 
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