Notizie 16-31 maggio 2023
Israele: L'ambasciatore Alon Bar in visita al Gran Sasso Science Institute
L’AQUILA - L’ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar, è stato in visita al campus del Gran Sasso Science Institute, all’Aquila.
Il diplomatico, invitato dalla Fondazione Gran Sasso Tech, organismo di ricerca senza fini di lucro nato dalla collaborazione tra il GSSI e Thales Alenia Space, ha raggiunto il rettorato del GSSI dove è stato ricevuto dal prorettore prof. Nicola Guglielmi, dal direttore dell’area di Fisica prof. Roberto Aloisio e dal dott. Alessandro Pajewski, direttore generale della Fondazione Gran Sasso Tech.
L’amb. Bar, che ha prima voluto visitare il centro storico del capoluogo abruzzese, ha visto i locali della scuola dottorale e infine ha ascoltato la presentazione delle attività svolte dal Gran Sasso Science Institute e dalla Fondazione Gran Sasso Tech.
Hanno partecipato all’incontro anche il prof. Ivan De Mitri, dell’area di Fisica del GSSI, il dott. Ulisse di Marcantonio, componente del consiglio di amministrazione della Fondazione Gran Sasso Tech, e l’ing. Giancarlo Tempesta, project manager spazio di Gran Sasso Tech.
(Giornale Diplomatico, 31 maggio 2023)
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Nvidia costruisce in Israele uno dei supercomputer di intelligenza artificiale
Il supercomputer Nvidia denominato Israel-1 è stato sviluppato in Israele negli ultimi 18 mesi a un costo di centinaia di milioni di dollari.
Dopo che la scorsa settimana Nvidia ha sbalordito il mondo con risultati finanziari eccezionali, che hanno portato l’azienda a un valore di quasi mille miliardi di dollari, ora sta iniziando a dettagliare il percorso tecnologico che la condurrà a una crescita continua – e questo percorso passa per Israele. Jensen Huang, fondatore e CEO di Nvidia, ha annunciato domenica a Taiwan la costruzione di Israel-1, un supercomputer di AI generativa che sarà distribuito nel suo centro dati israeliano e utilizzato come progetto e banco di prova per Nvidia Spectrum-X, una piattaforma di rete che può essere utilizzata in varie applicazioni di IA.
Spectrum-X è stato progettato per migliorare le prestazioni e l’efficienza dei cloud di IA basati su Ethernet e mira a consentire agli sviluppatori di creare applicazioni di AI cloud-native e definite dal software, riducendo al contempo i tempi di esecuzione dei modelli di AI generativi basati su trasformatori massicci. Il computer è stato sviluppato in Israele negli ultimi 18 mesi con un costo di centinaia di milioni di dollari e rappresenta uno degli investimenti più significativi e centrali di Nvidia negli ultimi anni, sia in termini di denaro che di prestigio. Il nuovo supercomputer è stato anche al centro della visita di Huang in Israele circa un mese fa.
La scorsa settimana Nvidia ha registrato un fatturato di $7,2 miliardi di dollari per il primo trimestre del 2023, superando nettamente le previsioni di un fatturato di $6,5 miliardi di dollari. Tuttavia, la vera sorpresa è stata la previsione per il secondo trimestre, in cui si prevede un fatturato di $11 miliardi di dollari, il 50% in più rispetto alle previsioni degli analisti. Questi ricavi rifletteranno un tasso di crescita annuale del 64%. L’infrastruttura per i data center è il segmento più grande e in più rapida crescita delle entrate di Nvidia, e nel primo trimestre ha contribuito al fatturato dell’azienda con $4,3 miliardi di dollari, dopo un aumento del 14%.
Sebbene in questa fase sia difficile calcolare il potenziale di guadagno della nuova piattaforma di Nvidia, che viene sviluppata interamente in Israele, è chiaro che costituisce una parte significativa dei ricavi previsti dall’azienda. L’attività dell’azienda in Israele comprende già il suo secondo centro di ricerca e sviluppo dopo gli Stati Uniti, con 3.000 dipendenti, il 12% della forza lavoro totale di Nvidia.
Nvidia prevede di assumere altri mille dipendenti in Israele nel prossimo anno. Parte della visione è anche legata all’ecosistema israeliano, con le sue numerose startup. Nvidia collabora con 800 startup in Israele e la nuova piattaforma è destinata, tra l’altro, a creare una comunità per promuovere ulteriori sviluppi per i clienti esterni e per Nvidia stessa.
“Le tecnologie di trasformazione, come l’intelligenza artificiale generativa, stanno costringendo tutte le aziende a spingersi oltre i confini delle prestazioni dei data center per ottenere un vantaggio competitivo”, ha dichiarato Gilad Shainer, senior vice president of networking di Nvidia. “Nvidia Spectrum-X è una nuova classe di reti Ethernet che elimina le barriere per i carichi di lavoro AI di prossima generazione che hanno il potenziale di trasformare interi settori industriali”.
(Israele 360, 30 maggio 2023)
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“Calabria ebraica, una storia da riscoprire”
Oltre cento giudecche caratterizzano il panorama urbano della Calabria. Una delle più significative si trova a Bisignano, comune della provincia di Cosenza dove ogni anno si corre un palio in cui, tra le contrade in lizza, vi è appunto quella della Giudecca. Il suo simbolo è una Stella di Davide su sfondo giallo. Proprio a Bisignano ha fatto tappa quest’oggi [31 maggio] la quarta tappa del progetto per la riscoperta della presenza ebraica nel territorio avviato dalle istituzioni regionali e locali in sinergia con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità ebraica di Napoli. Un convegno, moderato da Klaus Davi e aperto dai saluti del sindaco Francesco Fucile, per parlare di “Eredità ebraica del Sud Italia”. Coinvolti rappresentanti istituzionali, docenti e studiosi.
A sottolineare la prospettiva del progetto è stato tra gli altri il vicepresidente UCEI Giulio Disegni. “La nostra – ha esordito – è una società multiculturale e multireligiosa. Per capirlo è importante avere la percezione del ricordo di una presenza che è stata tragicamente cancellata. Un segno assolutamente negativo: con la cacciata degli ebrei in seguito agli editti di espulsione c’è stato infatti un decadimento complessivo della società”. Riportare alla luce la Storia e le tante storie piccole e grandi che la compongono è sia una sfida che un’opportunità di racconto. Trattandosi infatti di una delle chiavi di lettura, ha proseguito Disegni, per capire “che la Calabria non è soltanto mare e spiagge, e nemmeno ‘Ndrangheta”. Un impegno, ha poi evidenziato, che dà anche attuazione ai valori richiamati nell’articolo 3 della Costituzione, al centro in questi mesi di un progetto nazionale promosso dall’UCEI. Là dove, il suo messaggio, “ci ricorda che tutti i cittadini sono uguali al di là delle differenze”. Uguali nei diritti, ma anche portatori di specificità e differenze che costituiscono una ricchezza. Nella stessa prospettiva si è posto Roque Pugliese, delegato della sezione di Palmi della Comunità ebraica di Napoli. “Ricordare – le sue parole – è un po’ come far rivivere la storia nella sua spiritualità e far rinascere un mosaico multiculturale che ha abbellito e arricchito”. La Calabria, ha detto ancora Pugliese, “è una terra di ospitalità e torna a esserne la regina”. Così rav Cesare Moscati, rabbino capo di Napoli: “Sapevo dell’esistenza di numerose giudecche. Ciò che mi ha meravigliato è invece l’esistenza di questo palio, in cui un quartiere ebraico partecipava a quest’evento insieme a tutti gli altri. Una conferma di quanto gli ebrei fossero integrati”.
A ripercorrere la storia dell’ebraismo calabrese era stata in precedenza la storica Anna Foa. “Le giudecche – ha spiegato – erano luoghi in cui gli ebrei vivevano insieme agli altri, con delle separazioni ma pure con una certa familiarità reciproca. Un qualcosa che differenzia nettamente questo momento della storia d’Italia rispetto a quello successivo dei Ghetti che interesserà il territorio da Roma in su”. Gli ebrei, a quel tempo, erano già stati cacciati. La fine di un mondo che si era caratterizzato per l’esistenza “di centri importantissimi”. E per alcune particolarità. Come quella, non riscontrata altrove, “dell’attività di pastorizia”.
Molta soddisfazione, tra gli organizzatori, per l’evento odierno. “È un fatto rilevante che a Bisignano non si possa parlare di ghettizzazione, ma di comunità ebraica che ha lasciato tanto alla città, anche da un punto di vista culturale”, dice il sindaco Fucile a Pagine Ebraiche. “Nella Giudecca – aggiunge – convivevano ebrei e cristiani: non mi sorprende visto che la nostra è una realtà votata all’accoglienza e all’integrazione; prova ne è il fatto, come attestano alcuni documenti, che vi fu una permanenza ebraica anche nel ‘600”. È curioso, sottolinea il vicepresidente Disegni, “che questo percorso sia iniziato esattamente un anno fa, il 31 maggio del 2022, a Santa Maria del Cedro: in questo anno ho riscontrato una grande voglia di riscoprire e di includere”. Disegni, premiato oggi insieme agli altri intervenuti del mondo ebraico con un certificato di appartenenza al rione, parteciperà al palio di fine giugno. Ad attenderlo ci sarà Pierfrancesco Montalto, il capitano del Rione Giudecca: “Il nostro palio ricorda la venuta in città di Carlo V. È un’iniziativa molto importante per la città e per il territorio, con otto quartieri impegnati a sfidarsi su due campi opposti. C’è forte consapevolezza, in tutti noi, di rappresentare una storia speciale. Abbiamo vinto finora tre titoli e questo pomeriggio, da capitano, seguirò l’investitura del cavaliere. Si chiama Enrico Maria Perrone, detto ‘Fulmine'”.
(moked, 31 maggio 2023)
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«Sicurezza e tecnologia in uno scenario che cambia»
In occasione dello Swiss Israel Day 2023, ospite d’onore a Lugano domenica sarà Yoaz Hendel, già ministro delle Comunicazioni, membro del Gabinetto di Sicurezza e del Comitato ministeriale per la Legislazione - È stato al centro della rivoluzione tecnologica del Paese - È docente, giornalista e autore di molte pubblicazioni
di Gian Luigi Trucco
Israele celebra il suo 75° anniversario. Quali sono stati i suoi maggiori successi e le sfide che si trova a fronteggiare? «Israele è una potenza tecnologica globale che coltiva costantemente il suo capitale umano. La posizione geografica e la realtà politica del Medio Oriente hanno rappresentato una sfida unica. La sua esistenza è confrontata continuamente con sfide legate alla sicurezza, ma al contempo svolge uno sforzo tremendo nel suo ruolo guida in aree diverse di sviluppo e progresso. Israele si trova sulla linea del confronto fra Occidente ed Oriente, tra fondamentalismo islamico e forze moderate liberali. Minacce alla sicurezza di questo tipo sono diventate spesso un fardello pesante nel condizionare il progresso. Per Israele lo sforzo legato alla sicurezza è diventato parte di un concetto strategico di avanzamento tecnologico in parallelo con la necessità di perfezionare valori liberali e democratici. L’ultima operazione condotta a Gaza è un esempio tangibile di ciò, avendo combinato il bisogno di proteggere i cittadini israeliani attraverso soluzioni tecnologiche tali da colpire il nemico con precisione evitando per quanto possibile danni ai civili innocenti».
- Lei è uno storico e un alto ufficiale di una unità speciale. Le azioni militari condotte negli anni hanno reso Israele più sicura o hanno alimentato ulteriori tensioni? «Non c’è dubbio che senza esercito e uso della forza, lo Stato d’Israele oggi non esisterebbe. “Mai più” è lo slogan esposto in molti memoriali delle vittima dell’Olocausto, ed è anche un imperativo per le generazioni, che vogliono pace e prosperità ma anche il potere militare per assicurarle. La tensione non nasce dal potere militare. Viene dall’interpretazione delle forze radicali musulmane circa la debolezza. Il possesso del potere militare è il fattore che stabilizza il Medio Oriente contro la radicalizzazione che invece lo destabilizza».
- Nel nuovo ordine (o disordine) mondiale, con nuove aggregazioni geopolitiche ed economiche, penetrazione della Cina e della Russia in Africa, minore influenza degli USA e riavvicinamenti come quello fra Arabia Saudita e Iran, come si pone Israele? «Israele si è sempre considerata un ponte fra Oriente e Occidente. Sono stati gli “Accordi di Abramo” del 2020 a riportare il Paese al ruolo storico di centro del commercio mondiale, ma questa volta sulla base di strutture imponenti: cavi sottomarini dall’India al Mar Rosso e Israele, e da qui via terra verso l’Europa. Con Israele nel ruolo di ponte, le competenze umane dell’India trovano espressione in Occidente, ove sono richieste. Le tensioni fra USA e Cina sulle infrastrutture di comunicazione, in particolare sul 5G, sono solo all’inizio. Israele condivide interessi e valori con il suo grande amico, gli Stati Uniti, e intende mantenere reti e investimenti infrastrutturali che tengano conto delle sue esigenze di sicurezza. Anche i legami con i Paesi moderati e l’evoluzione dell’Iran rappresentano interessi nazionali».
- Lei si occupa di comunicazione, sia a livello tecnico che di contenuti. Cosa pensa del dibattito sui nuovi media, l’intelligenza artificiale, le distorsioni che possono influenzare la politica e l’opinione pubblica? «Ogni qualche centinaio di anni il mondo conosce una rivoluzione che lo cambia drasticamente e lo fa avanzare. Al pari della rivoluzione industriale o del telegrafo, le rivoluzioni nelle infrastrutture di comunicazione e quella AI che giunge ora, stanno cambiando il mondo. Prima credevamo che la sfida fosse creare bande tali da permettere il funzionamento di un sistema multi-sensoriale, far comunicare un telefono con un frigorifero o un negozio, far monitorare le merci da una fabbrica e farle trasportare dai robot. Ora invece l’intelligenza artificiale trasforma tutti i servizi in meccanismi indipendenti, più smart e accurati. I politici non dovranno scrivere sui social media. Gli hotel forniranno servizi mirati al tipo di cliente. Spariranno i programmatori e gli ingegneri civili. Ma le regolamentazioni governative sono sempre in ritardo rispetto alla tecnologia e il pubblico non percepisce ancora del tutto i ruoli dello Stato in tema di reti sociali, false pubblicazioni, incitamento all’odio, privacy e commercio. Nei prossimi due anni vedremo un mondo che progredisce molto in termini di capacità tecnologiche ma con un significativo deterioramento delle relazioni umane».
- Vi sono problemi con cui i Paesi del Mediterraneo in particolare sono confrontati: energia, acqua, agricoltura avanzata. Israele ha trovato soluzioni. Possono essere esportate? «Israele è nata e si è sviluppata nella consapevolezza della mancanza di risorse naturali. Se nel Medio Oriente il petrolio costituiva una risorsa determinante, noi potevamo contare solo sul capitale umano. Il bisogno è padre dell’inventiva, così la crisi idrica ha portato all’invenzione degli impianti di desalinizzazione e a una start-up che crea acqua dall’umidità atmosferica. La crisi energetica ha sviluppato l’energia solare e le soluzioni di conservazione, ha promosso l’esplorazione marina fino a che è diventata una realtà per le nostre coste. Israele ha un’economia energeticamente indipendente e molti accordi con Stati della regione ci vedono come fonte di energia e competenza».
- Di recente ai movimenti di protesta in Israele hanno aderito membri delle forze armate. Si tratta di un segnale di minore spirito di disciplina e sicurezza? «In Israele è vivo e salutare il dibattito sulla natura dello Stato e il suo futuro. Manca una costituzione fin dal momento della nascita ma possiede strumenti di controllo e bilanciamento dei poteri. Il movimento che è stato mobilitato crede nella democrazia e intende rafforzarne il carattere per gli anni a venire. Io faccio parte di coloro che criticano l’attuale Governo e sono molto fiero che questo dibattito abbia luogo in modo impegnato. Penso che porterà a equilibri di potere ancor più rafforzati».
- Le fratture interne influenzano la percezione di Israele dall’estero? «Israele è sempre stata una storia interessante: terra sacra per le tre maggiori religioni, fonte di conflitto su basi religiose e nazionalistiche, fronte di scontro tra valori. L’attuale dibattito interno ha generato interesse ben al di là dei confini. Anche la crisi economica globale concorre a creare interesse su quanto accade in Israele. Alla fine, il libero mercato apprezza certi Paesi che sanno difendersi e sviluppano tecnologia, formazione e progresso».
(Corriere del Ticino, 31 maggio 2023)
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Disgelo, l’Arabia Saudita rimuove contenuti antiebraici e anti-israeliani dai libri di testo
di David Fiorentini
L’Arabia Saudita ha compiuto progressi significativi nell’ammodernamento dei suoi libri di testo per l’istruzione primaria, eliminando gran parte dei contenuti di incitamento all’odio antiebraico. Questi cambiamenti seguono una tendenza positiva finalizzata a promuovere la pace e la tolleranza. L’Istituto per il Monitoraggio della Pace e della Tolleranza Culturale nell’Educazione Scolastica (IMPACT-se), un organismo internazionale di monitoraggio che analizza i programmi scolastici in conformità agli standard dell’UNESCO, ha esaminato 301 libri di testo, di cui 80 per l’anno scolastico corrente 2022-2023. “Praticamente tutto il materiale antisemita precedentemente identificato nei libri di testo di studi islamici sauditi è stato rimosso”, evidenzia Marcus Sheff, direttore generale di IMPACT-se, tracciando un filo rosso con “la chiara tendenza alla moderazione nei confronti di Israele”. Gli aggiornamenti hanno comportato la rimozione di interi capitoli e la scomparsa quasi totale dei contenuti antisemiti, sostituiti da pochi esempi negativi. La maggior parte degli esempi di jihad violenta è stata eliminata e “la maggior parte delle ostilità residue verso Israele è presente solo in un libro di studi sociali”. Al contrario, sono state promosse pace e tolleranza, criticando le ideologie di organizzazioni terroristiche sostenute dall’Iran come Hezbollah, e censurando i messaggi discriminatori dei Fratelli Musulmani. Il rapporto ha anche elogiato il “notevole miglioramento in termini di parità di genere” e di rimozione di contenuti omofobi. Inoltre, sono state eliminate le lezioni che propagandavano la “giudaizzazione” della moschea di Al-Aqsa, una falsa accusa spesso ripetuta dal defunto leader dell’OLP Yasser Arafat, secondo cui l’esistenza storica di un Tempio ebraico a Gerusalemme fosse un’invenzione sionista. Tuttavia, i libri di testo continuano a utilizzare la perifrasi “entità sionista” per riferirsi a Israele, un termine anche usato dall’Iran e da Hezbollah, e descrivono il sionismo come un “movimento coloniale e razzista europeo che mira a espellere i palestinesi dalle loro case”. Per cui, nonostante grandi passi avanti siano stati fatti, manca ancora abbastanza alla tanto ambita normalizzazione, che però sembra avvicinarsi sempre più.
(Bet Magazine Mosaico, 31 maggio 2023)
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Il battello affondato era pieno di 007
Israele cerca chiarimenti sull'accaduto, dopo che uno dei suoi agenti è morto nel naufragio sul Verbano e gli altri che si sono salvati sono stati rimpatriati in fretta.
di Paola Nurnberg
Si stanno ricomponendo piccolissime tessere di un mosaico dal disegno ancora molto confuso per ricostruire non tanto che cosa sia accaduto domenica 28 maggio - quando un nubifragio sul Lago Maggiore ha travolto un battello con un carico di persone superiore al consentito -, quanto piuttosto per capire che cosa stessero facendo tutti i partecipanti a quella che ufficialmente sarebbe stata una festa di compleanno, a cui erano presenti 007 italiani e israeliani.
Una specie di svolta nelle indagini, coordinate dalla procura di Busto Arsizio - nulla vieta infatti che dipendenti dell'intelligence abbiano una vita con momenti di svago - sono stati i chiarimenti chiesti proprio da Israele, che ha oltretutto inviato un jet da Tel Aviv per rimpatriare i superstiti al naufragio che hanno rifatto le valigie in fretta e furia, anticipando i check-out dalle strutture affittate per l'occasione.
Ma come mai questo incontro? E perché così tanti 007, uomini e donne radunati in un popolare centro turistico lombardo a due passi dalla Svizzera? Luoghi che, come scrive il Corriere della Sera, sembrerebbero da tempo frequentati da spie di diversi Paesi, proprio per la posizione vantaggiosa a pochi passi dal confine elvetico e non lontano da Milano e dall'aeroporto di Malpensa.
Dell'incidente si parla anche in Israele, dove, citando fonti straniere, si ipotizza che quella a bordo dell'house boat affondata non fosse una festa di compleanno ma un incontro di spie al lavoro. Un'ipotesi suffragata anche dal fatto che lo skipper, Claudio Carminati, che nella sciagura ha perso la moglie di nazionalità russa, avesse dei contatti con l'ambiente dei servizi segreti e possa aver organizzato l'uscita in barca nonostante il tempo non fosse incoraggiante.
La salma dell'agente israeliano, deceduto insieme a due colleghi italiani e alla moglie russa dello skipper, è stata intanto rimpatriata. Nelle prossime ore sarà recuperato il relitto, aspetto questo che potrebbe fornire ulteriori indicazioni agli investigatori. Le operazioni per riportarlo a galla erano state avviate già martedì.
(RSI News, 31 maggio 2023)
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Un europeo su quattro nutre atteggiamenti antisemiti
Lo rivela un sondaggio Dell’anti Defamation League
di Luca Spizzichino
Circa un residente europeo su quattro nutre atteggiamenti antisemiti. È il dato preoccupante che è emerso dal sondaggio europeo “The ADL Global 100: An Index of Antisemitism” realizzato dall’Anti-Defamation League (ADL) e che prende come campione 10 paesi europei, 6 dall’Europa occidentale e 4 da quella orientale. Realizzato per la prima volta nel 2014, questo è il sondaggio più ampio mai condotto sugli atteggiamenti antisemiti.
Le statistiche mostrano che, nonostante alcuni progressi compiuti nella riduzione degli atteggiamenti antisemiti in alcuni paesi, l'antisemitismo tuttavia rimane un problema profondamente radicato in tutta Europa. Il fatto che un residente su quattro dei paesi europei intervistati nutra atteggiamenti antisemiti è una statistica preoccupante che evidenzia la necessità di sforzi continui per combattere l'antisemitismo.
Il sondaggio ha rilevato che un intervistato su tre in sei paesi dell'Europa occidentale ritiene che gli ebrei siano più fedeli a Israele che ai loro paesi d'origine. Mentre in Spagna, una persona su quattro crede ai classici stereotipi antisemiti, in particolare quelli legati al denaro e agli ebrei che controllano il governo.
Proprio la Spagna è il paese con il più alto livello di atteggiamenti antisemiti, con il 26% della popolazione che nutre ampie convinzioni antisemite, a seguire ci sono il Belgio (24%), la Francia (17%), la Germania (12%), il Regno Unito (10%) e infine i Paesi Bassi (6%).
Nonostante ci siano stati dei cali considerevoli, nell’Europa orientale ci sono le più alte percentuali: Ungheria (37%), Polonia (35%) Ucraina (29%) e Russia (26%).
Proprio in Ucraina si è registrato il calo maggiore, gli atteggiamenti antisemiti sono scesi da un livello record del 46% nel 2019 al 29% nel 2023. Secondo l’ADL la figura di Volodymyr Zelensky è stato un fattore determinante, soprattutto dopo l’invasione della Russia.
"Sebbene i risultati del sondaggio non affrontino direttamente questioni di causalità, non c'è dubbio che avere un presidente ebreo che viene elogiato per la sua risposta all'aggressione russa sembra aver influenzato la percezione degli ebrei tra i comuni cittadini ucraini", ha affermato Jonathan Greenblatt, amministratore delegato e direttore nazionale dell’ADL in una nota.
Dal sondaggio è emerso inoltre che lo stereotipo antisemita più diffuso è quello della doppia lealtà e che nei paesi in cui l'antisemitismo era basso, la credenza negli stereotipi sugli ebrei era ancora alta. Nei Paesi Bassi, per esempio, nonostante abbiano ottenuto il punteggio più basso, il 18% degli intervistati concorda sul fatto che "gli ebrei hanno troppo potere nel mondo degli affari" e il 38% crede che "gli ebrei siano più fedeli a Israele che a questo paese". Lo stesso valeva per la Francia, dove il 28% afferma che gli ebrei hanno troppo potere negli affari e il 37% crede nella doppia lealtà.
Un dato incoraggiante invece è quello legato all’appoggio al BDS. Il sondaggio ha rilevato che la maggior parte degli europei rifiuta il BDS come tattica per isolare lo Stato di Israele. Tuttavia, in molti paesi dell'Europa occidentale simpatizzano più per i palestinesi che per gli israeliani.
(Shalom, 31 maggio 2023)
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Undesirables, un fumetto per raccontare la Shoah del Maghreb
Le persecuzioni degli ebrei nelle colonie francesi. Ricostruite in disegni dettagliati e pubblicate dalla Stanford University Press. Perché un graphic novel può avere il valore di un saggio storico. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica.
di Angiola Codacci-Pisanelli
«Vedi quella croce di ferro appesa al muro? Me l’ha data Hindeburg in persona: mi fido di lui». Ha fiducia nel suo Paese l’anziano berlinese con la kippah in testa, che risponde così all’ansia del figlio preoccupato per l’ascesa del nazismo: «Ho combattuto per la Germania nella grande guerra, sono quasi morto per lei». Pochi giorni separano questa scena dalla marcia degli ebrei europei verso i campi di sterminio sotto le nevicate invernali. E pochi mesi dalla deportazione dei loro confratelli nordafricani in mezzo le sabbie del deserto. A raccontare la Shoah degli ebrei maghrebini è un graphic novel sui generis: non un romanzo ma un saggio, non un reportage giornalistico ma un testo accademico. A pubblicarlo è l’università di Stanford, che lo ospita nella collana di “Studies in Jewish history and culture”: e dimostra così grande fiducia in una forma narrativa che i professori italiani sentono ancora più vicina a “Topolino” che alla Cultura con la maiuscola. Il libro si intitola Undesirables. A Holocaust journey to North Africa” ed è firmato da Aomar Boum, storico marocchino e docente di studi sefarditi alla Ucla (università di Los Angeles), e da Nadjib Berber, illustratore algerino-americano. Boum ha alle spalle numerosi saggi “tradizionali” incentrati sulla vita delle minoranze etniche e religiose nel periodo post-coloniale del Mena (Medio Oriente e Nord Africa): non solo ebrei ma anche Bahai, sciiti e cristiani. Berber, alla prima esperienza di graphic novel storico dopo una carriera da illustratore e vignettista, soprattutto per la stampa algerina, è morto quando questo volume era in corso di stampa: ha lasciato un volume sui “Fratelli Barbarossa”, famosi pirati diventati ammiragli della flotta ottomana, e il progetto di un volume sulla setta degli Assassini (quella che ha ispirato “Assassin’s Creed”). Nei suoi disegni in bianco e nero, le vicende dei protagonisti si snodano all’interno di una riproduzione accuratissima dei dettagli della vita dell’epoca: i tram di Berlino, i minareti magrebini, i titoli dei giornali tedeschi o francesi e dell’algerino “L’Antijuif”… La narrazione è affidata a Hans Frank, giornalista ebreo berlinese che fa parte di una rete clandestina contro l’antisemitismo. Frank decide di arruolarsi nella Legione straniera ma arriva in Algeria proprio pochi giorni prima che il regime di Vichy condanni tutti gli ebrei della Francia e delle colonie come “Undesirables”, indesiderati. Un eufemismo, rispetto alle deportazione che li attende. E mentre gli ebrei del Marocco rientrano nella protezione del sultano Muhammad V, che si rifiutò di accettare la distinzione tra i suoi sudditi imposta dai colonizzatori, quelli algerini non ebbero alcuna riparo. Il loro destino, il lettore lo rivive insieme a Frank: arrestato, detenuto in campi di concentramento che vedono fianco a fianco gli ebrei, gli arabi invisi al regime e gli stranieri, costretto ai lavori forzati per costruire una ferrovia in mezzo alla sabbia. A salvarli sarà lo sviluppo della guerra, la disfatta della Francia di Vichy e la sconfitta dei nazisti e dei loro alleati nel Nordafrica nel 1942. Il risultato, che gli autori nella postfazione inseriscono nel solco di “Maus” di Art Spiegelman, è «un graphic memoir, quasi una forma di antropologia retroattiva: un racconto nel quale la testimonianza passa attraverso una visione guidata dai dati d’archivio». I disegni inoltre permettono di notare a prima vista un tema a cui gli autori tengono molto: la fratellanza che nasce tra tutti gli “Undesirables”, non solo gli ebrei ma gli arabi invisi al regime, gli oppositori spagnoli sfuggiti al franchismo, i neri delle colonie dell’Africa centrale… Nella sua lunga recensione sul sito Africa is a country, Grégory Pierrot cita la frase del "Discorso sul colonialismo" di Aimé César su Hitler, la cui più grande colpa agli occhi degli occidentali sarebbe stata quella di «avere applicato agli europei procedure colonialiste che fino a quel momento erano state riservate esclusivamente agli arabi d'Algeria, ai coolies in India e ai neri in Africa». "Undesirables” si concentra sulla situazione nelle colonie francesi. Solo qualche cenno alla situazione italiana («Benito Mussolini è un patriota!», esclama a un certo punto l’avventore di un bar). Ma sarebbe il caso di tradurre in graphic novel, più leggibili e aperti a un pubblico di liceali e ai non addetti ai lavori, anche i libri che in anni recenti hanno strappato il velo sulle persecuzioni subite dagli ebrei nelle colonie italiane, dalle leggi razziali del 1938 alla deportazione nei lager tedeschi: da "Uccideteli tutti. Libia 1943” di Eric Salerno a “Gli ultimi ebrei di Rodi” di Marco Clementi ed Eirini Toliou, da “Per questo ho vissuto” di Sami Modiano a “Una voce sottile” di Marco Di Porto. Per finire con “Cento volte sabato” (Einaudi), il recente memoir costruito da Michael Frank sui ricordi di Stella Levi: italiana deportata da Rodi, sopravvissuta ad Auschwitz e oggi brillante centenaria newyorkese.
(L'Espresso, 31 maggio 2023)
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L'IDF testa con successo la versione navale del sistema ‘’Iron Dom’’
di Michelle Zarfati
La Marina dell'IDF ha completato con successo una serie di test di intercettazione multi-sistema e multilivello utilizzando la versione navale del famoso sistema Iron Dome. Uno strumento che sarà fondamentale per migliorare le capacità di una delle preziose navi della marina. L'Iron Dome navale, noto come "C-Dome", è un progetto congiunto della marina insieme al Israel Missile Defense Organization (IMDO), sotto il DDR&D del Ministero della Difesa israeliano, insieme a Rafael Advanced Defense Systems. C-Dome si aggiunge alla gamma esistente dei quattro livelli di difesa operativa di Israele: Iron Dome, David's Sling, Arrow 2 e Arrow 3.
"Il sistema C-Dome costituisce un significativo balzo in avanti nelle nostre capacità di difesa e garantisce la superiorità e le capacità operative dell'establishment della difesa israeliano di fronte alle crescenti minacce nell'arena marittima". Ha detto Il ministro della Difesa Yoav Gallant. "Il successo del testo rafforza ulteriormente la nostra fiducia nei sistemi di difesa e nella loro capacità di proteggere vaste aree così come le risorse strategiche dello Stato di Israele a terra e in mare". ha detto invece il Generale Daniel Gold. Il ministero della Difesa ha aggiunto che lunedì sono state testate alcune nuove capacità operative che non erano state testate nel novembre 2022. Il C-Dome ha intercettato con successo obiettivi avanzati che potrebbero rappresentare una minaccia per le infrastrutture e le risorse strategiche dello Stato d'Israele.
Nel novembre 2022, la marina aveva effettuato già con successo un test di intercettazione C-Dome, ma il test di lunedì includeva una gamma molto più ampia di minacce esistenti e future che le navi "Magen" potrebbero affrontare durante un ipotetico conflitto, come razzi o missili da crociera. " Il successo dei test è un'altra pietra miliare significativa nello sviluppo per contrastare le minacce esistenti e future in varie arie di combattimento" si legge all'interno di una dichiarazione del ministero della Difesa. Le navi missilistiche Sa'ar 6 custodiranno infrastrutture strategiche come le piattaforme di gas naturale e proteggeranno le rotte marittime commerciali che portano circa il 98% delle importazioni israeliane. L'IDF ha deciso di non posizionare le batterie Iron Dome sulle stesse piattaforme petrolifere per motivi di sicurezza - invece, il C-Dome verrà posizionato sul Sa'ar 6.
(Shalom, 30 maggio 2023)
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Israele: «Zero morti sotto i 50 anni solo per il virus»
Il ministero: «Non troviamo deceduti senza altre malattie». Dati in contrasto con quelli Istat. E che confermano l'inutilità del pass.
di Alessandro Rico
Zero morti. Non sono riusciti a trovare nemmeno un poveretto, tra i 18 e i 49 anni, che fosse stato stroncato dal Covid in assenza di altre patologie. È questo l'esito di una richiesta di accesso agli atti, presentata al ministero della Salute di Israele. Ovvero, il Paese che per primo si è lanciato nella vaccinazione di massa, accaparrandosi una cornucopia di dosi a mRna, grazie all'accordo in virtù del quale aveva praticamente regalato a Pfizer i dati sanitari dei suoi cittadini. Ecco cosa si legge, nella replica del dicastero: «Dei morti per coronavirus per i quali è stata condotta un'indagine epidemiologica e per i quali è stata fornita una risposta riguardo le malattie pregresse, ci sono stati zero morti di età compresa tra 18 e 49 anni senza alcuna malattia pregressa». Insomma, se la regola delle «comorbìdìtà» già valeva per gli anziani, essa sembra davvero una legge ferrea per la fetta di popolazione più giovane: a rischiare per il Covid sono essenzialmente i fragili.
Dopodiché, intendiamoci: il ministero israeliano non afferma che nessun under 50 sia morto solo a causa del SarsCov-z: ammette, però, che delle vittime che ha preso in esame, non ce n'era manco una che non soffrisse di almeno un'altra patologia. In effetti, le autorità dello Stato mediorientale, nel documento appena redatto, provano a correre ai ripari. E segnalano che le informazioni sullo stato di salute dei defunti sono solo «in parte disponibili» e che, comunque, il ministero non ha accesso alle cartelle mediche dei pazienti. Ma pensa un po': per imporre il green pass, in mezzo mondo hanno inventato arzigogolati incroci di dati. Quando si tratta di vederci chiaro su decessi da Covid e - vieppiù - effetti avversi dei vaccini, all'improvviso le pubbliche amministrazioni balbettano: non sappiamo, non possiamo, non abbiamo riscontri ...
Il caso di Israele è interessante non tanto perché illustra un aspetto noto (che il coronavirus è un pericolo quasi esclusivamente per chi è già malato), ma per il confronto che consente di svolgere con l'Italia. A maggior ragione, visto che l'Istat ha da poco pubblicato il report sulle cause di morte nel primo anno di pandemia.
Badate bene: nella nota a beneficio della stampa, l'ente di statistica ha certificato che per l'83 % degli under 50 spirati nel 2020, in seguito a una diagnosi di Covid, quest'ultimo è stato davvero «la causa diretta del decesso». Spulciando la scheda con i numeri, però, scopriamo che oltre 73.000 vittime del Sars-Cov-2, indipendentemente dalla loro età, sono classificate come «virus identificato». Insomma, positive al tampone. Ve ne sono oltre 4.700, addirittura, per le quali il virus non è stato nemmeno identificato, ma che finiscono nel calderone dei morti di Covid. A esse, si aggiungono poco più di 11.000 dipartite per le quali il morbo cinese «è stato menzionato come concausa». Stando all'Istat, l'88% di tali infausti eventi è stato provocato in primis proprio dal coronavirus (la percentuale scende all'83%, come dicevamo, tra chi ha meno dì 50 anni). Ciò significa una cosa: l'istituto, che si limita a registrare quanti dei trapassati erano infetti, si è poi affidato alle cartelle cliniche in base alle quali, nella stragrande maggioranza dei casi, il Covid è stato la causa diretta del decesso. Ed è qui che diventa cruciale il paragone con Israele.
Lungo le sponde del fiume Giordano, le autorità sanitarie non sono state capaci di individuare un solo morto under 50, positivo al tampone, che non avesse pure qualche altra malattia. Da noi, invece, otto su dieci sarebbero stati uccisi direttamente dal virus arrivato dall'Oriente. I conti non tornano. Italiani e israeliani hanno una genetica diversa? Un quarantenne di Milano è più suscettibile al Covid di un coetaneo di Tel Aviv? O il fatto è che, alle nostre latitudini, abbiamo attribuito troppo sbrigativamente la gran parte delle dipartite al Sars-Cov-2, contribuendo a rimpinguare il bilancio dei morti «per» il Covid, rispetto alla conta dei morti «con» il Covid? O è Israele a essere stato disattento?
Capirlo è utile. In primo luogo, perché all'Oms si parla di condividere dati e informazioni. Tuttavia, il punto di partenza è questo qua: ogni Paese porta avanti le diagnosi a modo suo. In secondo luogo, perché se avesse ragione Israele e non l'Italia, la realtà assesterebbe l'ennesima picconata al green pass. Nel Paese mediorientale un po' meno che da noi, ma esso è stato l'equivalente di un obbligo vaccinale, benché qualcuno abbia provato a spacciarlo per una «spinta gentile». Se i giovani sani non morivano mai o quasi mai di Covid, come mai li hanno costretti a porgere il braccio? E a esporsi a reazioni avverse che potevano risparmiarsi?
(La Verità, 30 maggio 2023)
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La barca naufragata nel lago Maggiore: a bordo 20 agenti dell'Intelligence italiani e israeliani
I dieci superstiti dell'incidente di domenica in cui hanno perso la vita quattro persone già ieri mattina erano su un volo militare diretto a Tel Aviv. Gli italiani sono stati evacuati in fretta da pronto soccorso e hotel
di Massimo Pisa
SESTO CALENDE (VARESE) - L'ultimo corpo riaffiora che sta albeggiando. Lo riporta in superficie un sommozzatore dei carabinieri, che ha perlustrato il fondale a una ventina di metri dal relitto. Le due donne le hanno recuperate i vigili del fuoco dalla cabina della "Good... uria", la house-boat rovesciata dal vento e dalla grandine in mezzo al braccio sud del Lago Maggiore. E la prima vittima era stata recuperata dalle lance alla luce del tramonto della sera prima. Ma è quando i soccorritori raccolgono documenti e tesserini che le proporzioni della tragedia diventano qualcos'altro: non solo un naufragio e una strage, perché tre delle quattro vittime e diciotto dei diciannove superstiti non sono semplici gitanti della domenica, ma agenti di intelligence, o in servizio o in congedo. Apparteneva all'Aise Claudio Alonzi, 62enne di Alatri, e così Tiziana Barnobi, 53enne colta da una crisi di panico - lo ricostruiscono le testimonianze raccolte dal pm Massimo De Filippo e dal procuratore capo di Busto Arsizio, Carlo Nocerino - all'abbattersi del fortunale. Si era rifugiata in cabina e il proprietario e skipper della "Good... uria", Claudio Carminati, aveva mandato a farle compagnia la moglie Anya Bozhkova, 50enne russa di Rostov dove aveva lasciato una figlia e due nipoti: è lei la terza vittima, intrappolata sott'acqua. Il primo a cadere nel lago, il 54enne Shimoni Erez, era un agente in pensione dei servizi israeliani e con una decina di colleghi aveva deciso di concedersi un weekend in Italia per festeggiare il compleanno di uno di loro. Occasione di una rimpatriata - così sostengono più fonti di intelligence - con altrettanti 007 italiani, una gita per le isolette lungo il Maggiore con fermata al ristorante Il Verbano, sulla sponda piemontese del lago, e luculliano pranzo. E di certo, tra un tagliolino Castelmagno e tartufo e un bicchiere di barbaresco, qualche chiacchiera sui vecchi e i nuovi tempi. I superstiti, dopo aver nuotato per qualche decina di metri (ma dal punto del naufragio alla sponda di Marina di Livenza se ne contano non meno di trecento) sono stati salvati da altri natanti, motoscafi, perfino moto d'acqua. Ascoltati nella notte dai magistrati e dai carabinieri del Comando provinciale di Varese, sono spariti in fretta: gli israeliani, già ieri mattina, erano su un volo militare verso Tel Aviv, tanto che uno dei due furgoncini Ford presi a nolo per la gita è rimasto incustodito sulla banchina del porticciolo da dove era salpata la "Good... uria", accanto alla Clio bianca di Anya Bozhkova e alla Mercedes station wagon di Claudio Carminati. Gli italiani sono stati evacuati in tutta fretta dai pronto soccorso e dagli hotel tra Sesto Calende e la Malpensa, dove non risulta traccia del loro pernottamento. E non ha fatto ritorno a casa nemmeno il proprietario della house-boat: anche perché, su quel cabinato ormeggiato ai cantieri Piccaluga, Carminati ci viveva, conservando sulla terraferma l'appartamento di Anya, che due mesi fa aveva sposato in seconde nozze. Quelle mura, un pezzo della grande villetta dove dal 2006 la donna aveva lavorato come badante, la coppia conservava un po' di mobilio e la sede della "Love Lake", il nome commerciale della loro attività di guide galleggianti a noleggio. Quanto esperti e quanto avveduti, lo dirà l'inchiesta. Risulta infatti dai primi accertamenti che sulla "Good... uria" i posti registrati fossero 15, otto in meno dei 23 prenotati (due degli 007 gitanti avevano dato forfait), e che i salvagente a bordo fossero in numero conseguente. Risulta inoltre che, dopo un rapido tam tam sulle chat dalle 17.30, i gestori dei cantieri-porto avessero dato un deciso e inequivocabile invito a rientrare in tutta fretta, a navigare sotto costa e ad attraccare prima possibile. Un alert raccolto dagli altri naviganti ma non in tempo da Carminati, che pure sapeva che il carenaggio piatto della sua house-boat difficilmente avrebbe retto alle ondate forti e improvvise che lo hanno fatto prima sobbalzare, poi scuffiare e infine rovesciare. Con un carico di agenti di intelligence in acqua.
(la Repubblica, 30 maggio 2023)
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Chi sono le vittime dell'incidente sul lago Maggiore: due 007 italiani, un israeliano e una russa (moglie del comandante)
I primi due corpi sono stati trovati nella tarda serata di domenica. Il terzo corpo è stato portato a riva dal gommone dei vigili del fuoco all'alba di lunedì e l'ultimo recuperato dai sommozzatori dei carabinieri a 25 metri dal relitto.
di Andrea Camurani
Le vittime della tragedia di Lisanza sul lago Maggiore sono due uomini e due donne. Hanno perso la vita, dopo che l'imbarcazione si è ribaltata a causa di una tromba d'aria, un 50enne israeliano con un passato nelle forze di sicurezza israeliano, quindi un agente segreto, due 007 italiani e la moglie del comandante dell’imbarcazione, di origini russe. Si chiama Ania Bozhkova una delle quattro vittime del naufragio di Lisanza, frazione di Sesto Calende sul Lago Maggiore. La donna viveva col compagno, l’armatore della «Navetta Olandese» una piccola imbarcazione con chiglia della lunghezza di circa 15 metri varata nel 1982 che veniva affittata per feste e giri turistici sul lago. Imbarcazione prima rovesciatasi e poi finita sott’acqua nel tardo pomeriggio di domenica. La donna, 50 anni e di origini russe viveva col compagno ed è una delle vittime del naufragio dove hanno perso la vita altre tre persone, una coppia di turisti italiani e una quarta persona presente sul battello, un turista israeliano. In mattinata fuori dai cantieri fratelli Piccaluga a Sesto Calende è arrivato il sindaco del paese Giovanni Buzzi che non conosceva le vittime ma sapeva dell’attività turistica legata alla barca. «Una tragedia per tutto il lago. Con l’anagrafe stiamo verificando dove fosse residente Ania, ma a prescindere da questo si tratta di un gravissimo lutto per la nostra comunità. Voglio sin d’ora ringraziare i soccorritori ma anche le persone che hanno aiutato fisicamente i naufraghi, portandoli a riva mettendo a repentaglio la loro vita». I primi due corpi sono stati trovati nella tarda serata di domenica, poi le operazioni di ricerca dei due dispersi sono proseguite anche col buio grazie all’elicottero della guardia costiera con rilevatori a infrarossi. Il terzo corpo è stato portato a riva dal gommone dei vigili del fuoco all'alba. L’ultimo, invece, è stato recuperato dai sommozzatori carabinieri lunedì mattina a circa 25 metri dal relitto. Sulla vicenda la Procura di Busto Arsizio che sta coordinando le indagini propende per l'ipotesi della tromba d'aria abbattutasi sul lago e che avrebbe investito l'house-boat rovesciandolo. Il relitto si trova sommerso e verrà portato a riva per i rilievi del caso. I corpi delle vittime verranno sottoposti ad accertamenti esterni per verificare che la morte sia riconducibile ad annegamento.
• Le vittime italiane agenti dell'intelligence: addio a Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi
Nella serata del 28 maggio, a seguito dell'incidente nautico determinato da una improvvisa tromba d'aria, hanno perso la vita il signor Claudio Alonzi di 62 anni coniugato e padre di due figli e la dottoressa Tiziana Barnobi di 53 anni, coniugata e madre di un figlio ancora minorenne. I due dipendenti, appartenenti al Comparto intelligence, si trovavano in zona per partecipare ad un incontro conviviale organizzato in occasione del festeggiamento del compleanno di uno della comitiva. L'Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica e i Vertici del Comparto esprimono la loro vicinanza e il dolore per il tragico evento ai familiari delle vittime.
(Corriere della Sera, 30 maggio 2023)
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EcoMotion Week, mobilità a 360° approda a Tel Aviv
I leader dell’industria automobilistica globale si sono riuniti a Tel Aviv per partecipare all’esposizione annuale mondiale EcoMotion Week, incentrata sulla sicurezza informatica.
di David Fiorentini
Giunta all’undicesima edizione, ha attirato più di 3600 partecipanti provenienti da oltre 60 paesi, tra cui alti dirigenti di marchi automobilistici di prestigio come Audi, BMW, Renault e Woven by Toyota. EcoMotion rappresenta una comunità dinamica in costante crescita nel campo della mobilità intelligente, comprendente oltre 650 startup e 15000 membri. L’iniziativa è una collaborazione tra l’Israel Innovation Institute, il Ministero dei Trasporti e della Sicurezza Stradale di Israele e il Ministero dell’Economia e dell’Industria. Fornendo una piattaforma di connessione per le startup, mette in contatto gli attori chiave del settore, come l’industria automobilistica globale, gli imprenditori, il mondo accademico, il governo, gli investitori e altri protagonisti nel campo della mobilità intelligente. L’obiettivo è quello di promuovere la cooperazione, favorire il networking e lanciare nuove sinergie. L’evento principale della conferenza, tenutosi il 23 maggio, ha presentato oltre 100 startup, offrendo loro una piattaforma unica per presentare le loro soluzioni innovative. I relatori hanno affrontato una vasta gamma di argomenti, tra cui le infrastrutture necessarie per i veicoli elettrici, il futuro delle batterie e dell’accumulo di energia, i rischi e le opportunità della sicurezza informatica nel settore automobilistico. In particolare, è stato dedicato un posto di rilievo al tema della sicurezza informatica, che ha visto la partecipazione di Sick Codes, un hacker etico specializzato nell’individuazione delle vulnerabilità dei sistemi di sicurezza dei veicoli. Secondo l’esperto informatico, è solo questione di tempo prima che si verifichino violazioni di sicurezza su larga scala nel settore dei veicoli elettrici, sia nelle auto stesse sia nelle stazioni di ricarica. Pertanto, è di vitale importanza che i produttori automobilistici collaborino con professionisti che possano aiutarli a gestire tali rischi. Inoltre, Hyundai Motor Group ha siglato un memorandum d’intesa (MoU) per una partnership strategica con l’Israel Innovation Authority (IIA). L’accordo, firmato dall’EVP Kim e dal Dr. Amiram Appelbaum, Presidente dell’IIA, consentirà ai partner di lanciare congiuntamente promettenti startup israeliane, dividendo i costi per lo sviluppo iniziale della tecnologia.
(Bet Magazine Mosaico, 30 maggio 2023)
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La guerra in Ucraina è stata provocata, riconoscere questo è importante per raggiungere la pace
Credere ancora alla favola di Cappuccetto Rosso ucraino e Lupo russo diventa
sempre più difficile, ma c'è ancora chi ci crede e aspetta la venuta del Cacciatore americano. E magari pensa che si potrebbe aiutarlo facendogli arrivare qualche pallottola in più. Il risalto in colore è stato aggiunto. NsI
di Jeffrey D. Sachs
George Orwell scrisse in 1984 che "Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato". I governi lavorano incessantemente per distorcere la percezione pubblica del passato. Per quanto riguarda la guerra d'Ucraina, l'amministrazione Biden ha ripetutamente e falsamente affermato che la guerra d'Ucraina è iniziata con un attacco non provocato della Russia all'Ucraina il 24 febbraio 2022. In realtà, la guerra è stata provocata dagli Stati Uniti in modi che i principali diplomatici statunitensi avevano previsto da decenni nel periodo precedente la guerra, il che significa che la guerra avrebbe potuto essere evitata e che ora dovrebbe essere fermata attraverso i negoziati. Riconoscere che la guerra è stata provocata ci aiuta a capire come fermarla. Non giustifica l'invasione della Russia. Un approccio di gran lunga migliore per la Russia sarebbe stato quello di intensificare la diplomazia con l'Europa e con il mondo non occidentale per spiegare e opporsi al militarismo e all'unilateralismo statunitense. In effetti, l'incessante spinta degli Stati Uniti ad espandere la NATO è ampiamente osteggiata in tutto il mondo, quindi la diplomazia russa, piuttosto che la guerra, sarebbe stata probabilmente efficace. Il team di Biden usa incessantemente la parola "non provocato", di recente nell'importante discorso di Biden per il primo anniversario della guerra, in una recente dichiarazione della NATO e nell'ultima dichiarazione del G7. I media mainstream favorevoli a Biden si limitano a ripetere le parole della Casa Bianca. Il New York Times è il principale responsabile: ha descritto l'invasione come "non provocata" non meno di 26 volte, in cinque editoriali, 14 colonne di opinione di scrittori del NYT e sette op-editoriali ospiti! In realtà le provocazioni statunitensi sono state principalmente due. La prima è stata l'intenzione degli Stati Uniti di espandere la NATO all'Ucraina e alla Georgia per circondare la Russia nella regione del Mar Nero con i Paesi della NATO (Ucraina, Romania, Bulgaria, Turchia e Georgia, in ordine antiorario). Il secondo è stato il ruolo degli Stati Uniti nell'installazione di un regime russofobico in Ucraina con il rovesciamento violento del presidente filorusso Viktor Yanukovych nel febbraio 2014. La guerra in Ucraina è iniziata con il rovesciamento di Yanukovych nove anni fa, non nel febbraio 2022 come vorrebbero farci credere il governo statunitense, la NATO e i leader del G7. Biden e il suo team di politica estera si rifiutano di discutere queste radici della guerra. Riconoscerle minerebbe l'amministrazione in tre modi. In primo luogo, rivelerebbe il fatto che la guerra avrebbe potuto essere evitata, o fermata in anticipo, risparmiando all'Ucraina l'attuale devastazione e agli Stati Uniti oltre 100 miliardi di dollari di spese finora sostenute. In secondo luogo, rivelerebbe il ruolo personale del Presidente Biden nella guerra, come partecipante al rovesciamento di Yanukovych e, prima ancora, come convinto sostenitore del complesso militar-industriale e precursore dell'allargamento della NATO. In terzo luogo, spingerebbe Biden al tavolo dei negoziati, minando la continua spinta dell'amministrazione all'espansione della NATO. Gli archivi mostrano in modo inconfutabile che i governi statunitense e tedesco promisero ripetutamente al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov che la NATO non si sarebbe mossa "di un solo centimetro verso est" quando l'Unione Sovietica sciolse l'alleanza militare del Patto di Varsavia. Ciononostante, la pianificazione statunitense per l'espansione della NATO è iniziata all'inizio degli anni '90, ben prima che Vladimir Putin diventasse presidente della Russia. Nel 1997, l'esperto di sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski ha delineato la tempistica dell'espansione della NATO con notevole precisione. I diplomatici statunitensi e i leader ucraini sapevano bene che l'allargamento della NATO avrebbe potuto portare alla guerra. Il grande statista statunitense George Kennan definì l'allargamento della NATO un "errore fatale", scrivendo sul New York Times che "ci si può aspettare che una tale decisione infiammi le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militaristiche dell'opinione pubblica russa; che abbia un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa; che ripristini l'atmosfera della guerra fredda nelle relazioni tra Est e Ovest e che spinga la politica estera russa in direzioni decisamente non di nostro gradimento". Il Segretario alla Difesa del Presidente Bill Clinton, William Perry, considerò di dimettersi per protestare contro l'allargamento della NATO. Ricordando questo momento cruciale a metà degli anni '90, Perry ha detto quanto segue nel 2016: "La nostra prima azione che ci ha davvero portato in una cattiva direzione è stata quando la NATO ha iniziato ad espandersi, coinvolgendo le nazioni dell'Europa orientale, alcune delle quali confinanti con la Russia. A quel tempo, stavamo lavorando a stretto contatto con la Russia, che cominciava ad abituarsi all'idea che la NATO potesse essere un'amica piuttosto che un nemico... ma era molto a disagio all'idea di avere la NATO proprio sul suo confine e ci ha fatto un forte appello a non andare avanti". Nel 2008, l'allora ambasciatore statunitense in Russia, e ora direttore della CIA, William Burns, inviò un cablogramma a Washington in cui avvertiva a lungo dei gravi rischi dell'allargamento della NATO: "Le aspirazioni alla NATO dell'Ucraina e della Georgia non solo toccano un nervo scoperto in Russia, ma suscitano serie preoccupazioni sulle conseguenze per la stabilità della regione. La Russia non solo percepisce l'accerchiamento e gli sforzi per minare l'influenza della Russia nella regione, ma teme anche conseguenze imprevedibili e incontrollate che potrebbero compromettere seriamente gli interessi della sicurezza russa. Gli esperti ci dicono che la Russia è particolarmente preoccupata che le forti divisioni in Ucraina sull'adesione alla NATO, con gran parte della comunità etnica russa contraria all'adesione, possano portare a una grande spaccatura, con violenze o, nel peggiore dei casi, alla guerra civile. In questa eventualità, la Russia dovrebbe decidere se intervenire o meno; una decisione che la Russia non vuole affrontare". I leader ucraini sapevano chiaramente che fare pressione per l'allargamento della NATO all'Ucraina avrebbe significato la guerra. L'ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha dichiarato in un'intervista del 2019 "che il nostro prezzo per entrare nella NATO è una grande guerra con la Russia". Nel periodo 2010-2013, Yanukovych ha spinto per la neutralità, in linea con l'opinione pubblica ucraina. Gli Stati Uniti hanno lavorato segretamente per rovesciare Yanukovych, come si evince dalla registrazione dell'allora vicesegretario di Stato americano Victoria Nuland e dell'ambasciatore statunitense Geoffrey Pyatt che pianificano il governo post-Yanukovych settimane prima del violento rovesciamento di Yanukovych. Durante la telefonata, la Nuland chiarisce di essersi coordinata strettamente con l'allora vicepresidente Biden e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, lo stesso team Biden-Nuland-Sullivan ora al centro della politica statunitense nei confronti dell'Ucraina. Dopo il rovesciamento di Yanukovych, è scoppiata la guerra nel Donbas, mentre la Russia rivendicava la Crimea. Il nuovo governo ucraino ha chiesto l'adesione alla NATO e gli Stati Uniti hanno armato e aiutato a ristrutturare l'esercito ucraino per renderlo interoperabile con la NATO. Nel 2021, la NATO e l'amministrazione Biden si sono fortemente impegnati per il futuro dell'Ucraina nella NATO. Nel periodo immediatamente precedente l'invasione della Russia, l'allargamento della NATO è stato al centro dell'attenzione. Il progetto di trattato USA-Russia di Putin (17 dicembre 2021) chiedeva di fermare l'allargamento della NATO. I leader russi hanno indicato l'allargamento della NATO come causa della guerra nella riunione del Consiglio di sicurezza nazionale russo del 21 febbraio 2022. Nel suo discorso alla nazione di quel giorno, Putin dichiarò che l'allargamento della NATO era una delle ragioni principali dell'invasione. Lo storico Geoffrey Roberts ha recentemente scritto: "La guerra avrebbe potuto essere evitata da un accordo russo-occidentale che avesse bloccato l'espansione della NATO e neutralizzato l'Ucraina in cambio di solide garanzie di indipendenza e sovranità ucraina? Probabilmente sì". Nel marzo 2022, la Russia e l'Ucraina hanno riferito di aver fatto progressi verso una rapida fine negoziata della guerra, basata sulla neutralità dell'Ucraina. Secondo Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano, che ha svolto il ruolo di mediatore, un accordo era vicino ad essere raggiunto prima che Stati Uniti, Regno Unito e Francia lo bloccassero. Mentre l'amministrazione Biden dichiara che l'invasione russa non è stata provocata, nel 2021 la Russia ha perseguito opzioni diplomatiche per evitare la guerra, mentre Biden ha rifiutato la diplomazia, insistendo sul fatto che la Russia non aveva alcuna voce in capitolo sulla questione dell'allargamento della NATO. Nel marzo 2022, la Russia ha insistito sulla diplomazia, mentre il team di Biden ha nuovamente bloccato la fine della guerra per via diplomatica. Riconoscendo che la questione dell'allargamento della NATO è al centro di questa guerra, capiamo perché gli armamenti statunitensi non porranno fine a questa guerra. La Russia si intensificherà se necessario per impedire l'allargamento della NATO all'Ucraina. La chiave per la pace in Ucraina è rappresentata dai negoziati basati sulla neutralità dell'Ucraina e sul non allargamento della NATO. L'insistenza dell'amministrazione Biden sull'allargamento della NATO all'Ucraina ha reso quest'ultima vittima di aspirazioni militari statunitensi mal concepite e irraggiungibili. È ora che le provocazioni cessino e che i negoziati riportino la pace in Ucraina.
(Ron Paul Institute, 26 maggio 2023)
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Herzog e Netanyahu presto in visita negli Emirati Arabi Uniti per summit sul clima
di David Fiorentini
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Presidente Isaac Herzog sono stati invitati a partecipare alla 28ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nota come COP28, che si terrà a Dubai nel prossimo novembre. L’evento prevede la partecipazione di circa 70.000 delegati presso l’Expo City di Dubai, tra cui un’ampia rappresentanza israeliana composta da circa 100 aziende. L’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti in Israele, Al Khaja (a sinistra nella foto) ha consegnato personalmente al Primo Ministro Netanyahu una lettera del Presidente Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, invitandolo ufficialmente a partecipare alla conferenza insieme ad altri leader mondiali. Israele ha firmato un accordo di libero scambio con gli Emirati Arabi Uniti il 31 maggio 2022, e successivamente, il 26 marzo 2023, i due Paesi hanno siglato un accordo doganale che ha aperto la strada all’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio stesso. L’entrata in vigore di tali accordi è stata accolta con grande favore dall’economia israeliana, in quanto contribuisce al rafforzamento dei legami con gli Emirati Arabi Uniti, rappresentando al contempo un ulteriore successo degli Accordi di Abramo. Questa sarà la prima visita di Netanyahu negli Emirati Arabi Uniti da quando è stato rieletto Primo Ministro lo scorso anno. Netanyahu ha espresso più volte la sua determinazione a costruire sugli Accordi di Abramo, cercando di coinvolgere altri Stati arabi e musulmani. Un obiettivo di primaria importanza sarebbe la normalizzazione dei legami con l‘Arabia Saudita, che secondo il Primo Ministro potrebbe essere possibile da realizzare.
(Bet Magazine Mosaico, 29 maggio 2023)
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Il dialogo al di là dei tabù
Oggi il clima dei rapporti interreligiosi è completamente cambiato, il tema delle conversioni è stato chiarito. Ma le difese di Pio IX sono preoccupanti
di Riccardo Di Segni*
Caro Direttore, la presentazione di “Rapito”, il nuovo film di Marco Bellocchio, che racconta fedelmente il caso Mortara, non poteva passare nell’indifferenza, e, come previsto, ha suscitato reazioni e polemiche. La storia, vera, è quella di un bambino ebreo bolognese, che a sei anni fu sottratto con forza alla famiglia e portato a Roma per essere educato cristianamente; una domestica cristiana lo aveva segretamente battezzato anni prima ritenendolo in punto di morte per una malattia; dopo anni aveva raccontato il fatto alle autorità religiose che avevano ritenuto valido il battesimo e si erano portati via il bambino. L’episodio si svolse nel 1858 sotto il dominio di Pio IX, che si prese cura del bambino come di un figlio. Il bambino allevato cristianamente scelse le fede cristiana, e rifiutò di tornare all’ebraismo quando nel 1870 Roma fu liberata; divenne sacerdote, noto, celebrato (e anche discusso) predicatore poliglotta; mori nel 1940 in Belgio; e se fossero passati altri mesi ci avrebbero pensato i nazisti a farlo morire, perché malgrado tutto sempre ebreo era. Questa storia di sottrazione di minore non era una novità nella storia della Chiesa e negli Stati da lei dominati. C’era sempre stata una forte pressione conversionistica da parte della Chiesa e tante volte era successo che se un ebreo, per qualsiasi motivo, decideva di farsi cristiano le autorità disponevano il sequestro coatto di tutta la famiglia e automaticamente battezzavano i minori. Queste storie, durate secoli, sono state ricostruite con dovizia di particolari dalla storica Marina Caffiero (Battesimi forzati, 2004), non erano sporadiche, esprimevano una linea oppressiva coerente e sistematica. Gli ebrei sotto il dominio papale erano solo tollerati, rinchiusi in ghetto, appena possibile ne fuggivano (come fu l’esodo verso la Toscana in epoca napoleonica) e la politica conversionistica era coerente con il clima di oppressione e umiliazione. Ciò che rese singolare il caso Mortara fu il momento particolare in cui avvenne, alla vigilia dell’unità d’Italia, con la contrapposizione tra la visione di Pio IX e le aspirazioni unitarie sostenute dalla monarchia sabauda. L’ostinata resistenza del Papa a qualsiasi cedimento non solo mise in crisi molti fedeli cristiani ma fu un’offerta su un vassoio d’argento alla propaganda anticlericale che usò il caso per dimostrare l’intolleranza, l’illiberalità e la durezza della Chiesa. Divenne quindi oltre che un caso religioso un caso politico. Rivangare il caso Mortara oggi significa anche riproporre una discussione sulla storia del Risorgimento e sulle diverse visioni della figura di Pio IX. Le recensioni che in questi giorni sono state pubblicate risentono anche del peso di queste polemiche, mai sopite, anche se stupiscono un po’ le difese d’ufficio dell’ultimo Papa re. Ma c’è di mezzo anche, e non di poco conto, la storia dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo. Il tema delle conversioni, della pressione conversionistica, e in particolare delle conversioni dei minori “invitis parentibus”, ossia contro la volontà dei genitori, è stato sempre un nervo scoperto. Uno spirito sprezzante antigiudaico, unito alla convinzione di fare un dono alle tenere creature, per salvare le loro anime e liberarle dalla “superstizione giudaica” ha guidato anche ben dopo il caso Mortara il comportamento della Chiesa cattolica.
Alla fine della seconda guerra mondiale, il nonno dell’attuale presidente d’Israele, il rabbino capo d’Israele Isaac Herzog, riuscì, con non poca fatica, a farsi ricevere da Pio XII al quale chiese il rilascio alle istituzioni ebraiche dei bambini ebrei nascosti nei conventi dai genitori, bambini rimasti orfani per la morte dei genitori per mano nazista. Il Papa si oppose al rilascio, in base agli stessi principi di Pio IX, secondo il quale questi bambini ormai battezzati appartenevano alla Chiesa. Vi furono casi giudiziari clamorosi e a tutt’oggi non sono mai stati pubblicati i nomi di questi bambini, e questo vale anche per l’Italia. Oggi il clima dei rapporti interreligiosi è completamente cambiato, il tema delle conversioni è stato chiarito, nel senso che non c’è — o non ci dovrebbe essere — alcuna propaganda e alcuna pressione, ma la questione resta una cartina di tornasole della salute dei rapporti. Le difese d’ufficio di Pio IX e del suo apparato persecutorio, che compaiono in questi giorni da molte parti del mondo cattolico, sono per questo motivo se non stupefacenti almeno preoccupanti.
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* Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma
(la Repubblica, 29 maggio 2023)
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Il caso Mortara e il lavoro storico di Gemma Volli
di Ugo Volli
• Una storia esemplare
Se oggi si riparla ancora del rapimento pubblico di un bambino avvenuto 165 anni fa ad opera dello Stato della Chiesa e del papa Pio IX che vi regnava -il caso Mortara-, il merito è soprattutto di una persona, la mia prozia Gemma Volli, che voglio ricordare in questo articolo. Intendiamoci, il crimine fu orrendo e indignò non solo gli ebrei, ma mezza Europa civile. Ma era un fatto abituale per la Chiesa, che per secoli prima del caso Mortara sottrasse ai genitori ebrei migliaia di bambini col pretesto che erano stati battezzati e continuò a farlo anche dopo. Per esempio, è ben documentato in Francia durante la Shoah, quando spesso i bambini affidati per salvarli a conoscenti dai genitori ebrei braccati dalle SS, se finivano nei conventi venivano battezzati e poi sottratti ai parenti sopravvissuti anche dopo la fine della guerra, nonostante le ingiunzioni dei tribunali, utilizzando una serie di espedienti illegali decisi direttamente dal papa Pio XII e coordinati a Roma dal segretario di Stato Montini, che sarebbe diventato Paolo VI, e a Parigi dal nunzio Roncalli, il futuro “papa buono”. Solo Karol Wojtila, fra i futuri papi allora in azione, sconsigliò i rapimenti dei bambini ebrei; ma nella coscienza della Chiesa l’idea di avere il diritto e magari anche il dovere di “salvare l’anima” di bambini ebrei anche con la forza è profondamente radicato e fu perfino iscritto nella legge canonica - non saprei dire se ciò sia stato nel frattempo cancellato o non sia applicato solo perché oggi è impossibile.
• Perché fu un caso
Dunque il caso Mortara è memorabile soprattutto come esempio di una pratica diffusa e divenne celebre ai suoi tempi perché la famiglia Mortara aveva i mezzi culturali ed economici per non rassegnarsi al rapimento, la società europea si stava laicizzando, ed emerse una solidarietà ebraica che coinvolse molte comunità da Bologna a Roma alla Francia agli Stati Uniti. Ma inevitabilmente, diventato prete Edgardo Mortara, fatto fuggire prima a Roma poi in Tirolo e in Francia per sottrarlo al contatto con la famiglia, e morti i suoi genitori, il caso passò fra le storie tristi che tendono a essere ricordate solo in famiglia. Chi la riportò all’attenzione pubblica, nel 1960, dopo un secolo dai fatti, proprio fu Gemma Volli.
• Chi era Gemma Volli
Nata a Trieste il 24 aprile del 1900, Gemma ottenne una borsa di studio all’università di Bologna, dove si laureò in lettere nel 1922. Andò a insegnare a Idria, nell’attuale Slovenia, poi vinse una cattedra presso il liceo Doria di Genova, ma fu retrocessa alle medie perché, secondo le leggi fasciste le donne non potevano insegnare nelle scuole superiori. Negli anni Trenta scrisse un libro di racconti sulla condizione femminile che intitolò programmaticamente “Le escluse”, subito ritirato in seguito alle leggi razziali. Fin qui la sua vita ha il profilo di un’intellettuale la cui identità ebraica si intuisce solo per l’apertura agli altri, per l’amore della cultura, per un atteggiamento socialmente e culturalmente aperto, non per un impegno specifico su temi ebraici. La svolta arriva nel 1938, con le leggi razziste. Espulsi dalla scuola pubblica e dall'università, studenti e professori ebrei sono costretti a rifugiarsi nelle scuole private ebraiche. Gemma insegna in quella di Trieste. Nel 1943, quando Trieste stava per essere assorbita nel territorio tedesco (e vi si aprì in pieno territorio urbano anche un campo di concentramento nazista), coglie l’ultima occasione per allontanarsi con la fuga difficilissima in Svizzera. Il ritorno è faticoso e difficile. Gemma si stabilisce a Bologna, torna a insegnare ma trasferisce le sue energie e il suo attivismo sul mondo ebraico. Non solo si occupa di storia locale ebraica, per esempio delle vicende della più importante comunità ebraica romagnola, quella di Lugo, e poi di quelle di Cento, di Riva del Garda e di tante altre. Ma si impegna soprattutto come educatrice e animatrice delle istituzioni ebraiche a livello nazionale ed in questa veste tiene dei corsi per docenti ebrei che la portano a redigere una Breve Storia degli Ebrei d’Italia.
• Il lavoro storico
A partire dagli anni Sessanta si occupa soprattutto di due casi emblematici della persecuzione antiebraica in Italia, che riportò all’attenzione: quello di “Simonino” di Trento, un bambino della cui morte fu accusata a torto nel 1472 la comunità ebraica locale che venne sterminata fra atroci torture, e appunto il rapimento di Edgardo Mortara, cui dedicò per prima una serie di articoli storici a partire dal 1960. Nel primo caso ottenne che il Vaticano abolisse il culto di Simonino, riconoscendo che la persecuzione degli ebrei era senza fondamento; nel secondo non vi furono (e non vi sono ancora state) le scuse della Chiesa. E di Edgardo Mortara si continua a discutere, vi sono state altre ricostruzioni storiche, che hanno confermato e approfondito la sua analisi, romanzi, ora il film di Bellocchio. Gemma Volli muore a Bologna il 4 maggio 1971. Il fatto che ancora si ricordi questo caso esemplare è una sua vittoria.
(Shalom, 29 maggio 2023)
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Napoli, nei giorni del terzo scudetto il ricordo del presidente Ascarelli
Giovedì 1 giugno cerimonia al Cimitero Ebraico di Napoli
Nei giorni del terzo scudetto il ricordo del presidente che fondò l'Ac Napoli il 1° agosto 1926, da cui sarebbe poi nata quarant'anni dopo la Ssc Napoli. Promosso dall’Associazione Memoriæ – Museo della Shoah d’intesa con la Comunità Ebraica di Napoli, giovedì 1 giugno alle ore 11.30 presso il Cimitero Ebraico di Napoli sarà presentato il progetto “Ascarelli: un nome e una storia lunga centocinquant’anni”, che gode del patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Campania, del Comune di Napoli, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), del Centro di Studi Ebraici dell’Università di Napoli, dell’Unione Industriali di Napoli, della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, della Federazione nazionale della stampa (FNSI), della Federazione Italiana Canottaggio (FIC), dell’Unione Stampa Sportiva Italiana (USSI – Campania), della FIGC – Lega Nazionale Dilettanti Campania, del Circolo del Remo e della Vela Italia, della Fondazione Valenzi, dell’Unione Italiana Ciechi e del Sindacato dei Giornalisti della Campania (SUGC).
• APPROFONDIMENTI
Ascarelli, illuminato imprenditore, costruì il primo stadio di proprietà di una squadra di calcio e altri progetti aveva per le sue attività e il calcio ma fu stroncato a soli 35 anni da una malattia. I vari aspetti del progetto e degli eventi collegati saranno illustrati dal presidente dell’Associazione Memoriæ-Museo della Shoah, Nico Pirozzi, e dalla presidente della Comunità Ebraica di Napoli, Lydia Schapirer. All’incontro con i rappresentanti della stampa saranno inoltre presenti il presidente del Comitato di Garanzia e controllo del progetto “Ascarelli”, Giovandomenico Lepore, già capo della Procura della Repubblica di Napoli, e il rabbino capo di Napoli, Cesare Moscati. Prevista la presenza di alcuni volti noti del mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport legati alla storia del Calcio Napoli. A conclusione della conferenza stampa, è prevista una visita guidata all’area sepolcrale e alla tomba dell’industriale tessile Giorgio Ascarelli, fondatore e primo presidente dell'Ac Napoli, nonché promotore e sostenitore di altre iniziative di carattere sportivo e filantropico
(Il Mattino, 29 maggio 2023)
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Presentato in Comunità il Rotolo di Isaia
Il più importante dei rotoli di Qumran e ‘corpo’ della Bibbia
di Giovanni Panzeri
“Considero questi manoscritti, in particolare il Rotolo d’Isaia, il corpo della Bibbia. Una volta gli studiosi consideravano la Bibbia un’entità astratta, da ricostruire. Oggi, grazie a questi rotoli, abbiamo dei manufatti concreti”. Queste le parole di Marcello Fidanzio, responsabile degli scavi di Qumran per l’Israel Museum di Gerusalemme, la seconda parte della serata organizzata mercoledì 24 Maggio dalla Comunità Ebraica di Milano, nell’Aula Magna della Scuola Ebraica. La conferenza aveva il duplice obiettivo di presentare il nuovo portale online della comunità e di esporre una delle 10 copie del Rotolo d’Isaia, forse il più celebre dei “Manoscritti del Mar Morto”, un insieme di antichi manoscritti religiosi ebraici, datati tra il 200 a.c. e il 70 d.c., e ritrovati tra il 1947 e il 1956 nei sistemi di grotte vicine all’antico insediamento di Qumran, in Cisgiordania. La presentazione è iniziata con un breve intervento da parte di Davide Blei, responsabile della Comunicazione della Comunità Ebraica di Milano e presidente dell’Associazione Amici italiani dell’Israel Museum (AIMIG), che ha sottolineato il valore che i rotoli hanno per l’ebraismo internazionale. “Il rotolo d’Isaia è stato scritto in ebraico 200 anni prima della nascita di Cristo – spiega Blei – e un bambino di seconda elementare a Tel Aviv può leggere la lingua in cui è stato scritto. Questo reperto dimostra che in questi millenni la lingua ebraica non è cambiata, si possono ancora leggere testi di oltre duemila anni fa. E non è importante solo per gli ebrei: dal nostro monoteismo si sono sviluppati sia il cristianesimo che l’islam. Il Rotolo d’Isaia” ha concluso “potrebbe essere definito il Rotolo del Mondo”. La parola è poi passata a Fidanzio, che ha descritto la travagliata storia della scoperta, del recupero e dello studio dei Rotoli sottolineando, tra le altre cose, l’importanza simbolica del recupero dei primi tre manoscritti da parte dell’archeologo Eleazar Sukenik, il 29 novembre 1947, data in cui l’ONU riconobbe lo stato d’Israele votando il piano di partizione della Palestina. “Sono 950 manoscritti religiosi scritti in ebraico, aramaico e greco – ha spiegato Fidanzio -: il 25% sono testi biblici, un altro 25% riguarda il particolare gruppo ebraico che ha curato i manoscritti (alcuni storici li identificano con gli Esseni), un’èlite che era in contrapposizione ma anche in contatto con le altre comunità ebraiche del tempo. Infatti oltre la metà dei manoscritti sono esempi di letteratura religiosa comune dell’ebraismo del tardo periodo del secondo tempio. Buona parte della quale non era a noi nota.” “Il Rotolo d’Isaia da solo costituisce il 20% di tutti i testi biblici trovati a Qumran – ha continuato Fidanzio – e su di esso troviamo i segni di tutti coloro che lo hanno curato, corretto, ri-corretto e studiato. È un oggetto che ci racconterà sempre di più cos’era la Bibbia per chi lo ha creato e utilizzato. Ha una sua vitalità, che va oltre il semplice contenuto.” Oggi l’obiettivo dei lavori a Qumran, secondo Fidanzio, non è tanto decifrare il contenuto dei Rotoli, ormai noto, o trovarne di nuovi, ma conoscere il “quadro storico” dell’ebraismo del tempo, e in particolare quello della comunità che li ha scritti e curati. “Il contenuto dei Rotoli si ferma al 50 a.c, ma la scrittura degli ultimi risale ad un secolo dopo – ha concluso Fidanzio -: i Rotoli non ci raccontano la loro storia, il perché sono finiti nelle grotte, chi li ha messi insieme e quando. Di queste cose si deve occupare il contesto materiale: l’archeologia.”
(Bet Magazine Mosaico, 29 maggio 2023)
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Dalla Miriam di Israele alle Miriam dei Vangeli (3)
di Gabriele Monacis
Maria (Miriam), la madre di Gesù, è solitamente vista come un personaggio che diverge rispetto al popolo di Israele. La maggior parte dei cristiani semplicemente ignora le radici ebraiche di Maria, svuotando così questo personaggio della sua storicità e creando una rottura con la storia di Israele che l’ha preceduto; per gli ebrei, invece, Maria è un personaggio da relegare, come se non le si voglia riconoscere alcun legame con il contesto storico e sociale in cui è vissuta. In definitiva, gli uni e gli altri sarebbero d’accordo nel vedere Maria come un personaggio di discontinuità rispetto all’Israele del suo presente e del suo passato. Dal giorno in cui Dio manda un angelo a Maria per annunciarle che da lei nascerà Gesù, la storia di questa donna, e della fede cristiana con lei, si crede che abbia preso una direzione totalmente nuova rispetto al passato. Da lì in poi, si potrebbe dire dal punto di vista della maggioranza, inizia la storia della cristianità; mentre la storia dell’ebraismo, che era iniziata molto prima di lei, prosegue su altri binari. O almeno così è comunemente inteso. Un’attenta lettura del testo biblico, dell’Antico Testamento prima e poi del Nuovo, porta il lettore ad un’altra conclusione: Maria non è scollegata dal suo popolo, bensì è a tutti gli effetti una figlia di Israele. Pertanto è parte integrante di questo popolo. Le parole dell’angelo a Maria: “Hai trovato grazia agli occhi del Signore”. E poi: “Non temere, Maria, il Signore è con te” mostrano che secondo la Scrittura c’è continuità, e non discontinuità, tra Miriam e Israele, il popolo che ha trovato grazia agli occhi di Dio e in mezzo al quale Dio è sceso per abitarvi. La conversazione tra l’angelo Gabriele e Miriam prosegue, e sposta l’attenzione dalla continuità di Miriam con il passato di Israele all’adempimento futuro, proprio in Miriam, di una promessa fatta da Dio a Israele. La donna, infatti, dopo aver sentito che da lei nascerà un figlio, che chiamerà Gesù, chiede all’angelo come questo possa avvenire, dal momento che lei era vergine. Allora
“l'angelo, rispondendo, le disse: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra, perciò anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia e questo è il sesto mese per lei, che era chiamata sterile, poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace” (Luca 1:35-37).
Con queste parole, il Signore preannuncia che ciò che è tecnicamente impossibile, cioè un figlio nato da una vergine, avverrà grazie alla discesa dello Spirito Santo, per la potenza dell’Altissimo che coprirà Miriam della Sua ombra. Con un parallelismo tra lo Spirito Santo e l’Altissimo, cioè Dio stesso, il Signore afferma che sarà Dio in persona a far sì che tutto ciò si realizzi. La promessa di scendere con il Suo Spirito sulle persone, Dio l’aveva già fatta ad Israele per bocca del profeta Gioele.
“Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio, e non ce n'è nessun altro; il mio popolo non sarà mai più coperto di vergogna. Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito sopra ogni carne, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovani avranno delle visioni. Anche sui servi e sulle serve, spanderò il mio Spirito in quei giorni” (Gioele 2:27-29).
È alla totalità del popolo di Israele che il Signore rivolge questa promessa. Ogni carne, dice il profeta: figli e figlie, giovani e vecchi, servi e serve. Dio dice che l’adempimento di questa promessa sarà in ogni singolo membro del popolo, in un preciso momento storico di Israele. Su ognuno, infatti, Dio spargerà il Suo Spirito, in quei giorni. Il caso di Miriam, però, non è l’adempimento di questa profezia. Non solo perché riguarda una persona singola, e non tutto il popolo. Ma anche perché la venuta dello Spirito Santo su di lei è funzionale alla nascita di Gesù, concepito da una donna vergine senza l’intervento di un uomo. Ciononostante, questo evento che riguarda Miriam, che comunque vede l’azione dello Spirito di Dio su un membro del popolo di Israele, sembra essere un presagio della discesa dello Spirito di Dio sul resto del popolo. Ma quando questo avverrà? E, soprattutto, che cosa spingerà Dio a realizzare la Sua promessa fatta a Israele per mezzo del profeta Gioele? Per rispondere a questa domanda, occorre porre l’attenzione non solo su Miriam, colei al quale Dio ha promesso qualcosa; ma soprattutto sul Figlio che nascerà da lei. Di Lui, l’angelo dice che sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Essendone il Figlio, Gesù porta il nome di Dio, cioè Colui che si impegna a mantenere la promessa fatta. Il Figlio di Dio è più grande di Miriam, quanto chi fa una promessa è più grande di chi la riceve. Dal momento della nascita di Gesù il Messia, è su di Lui che va posta l’attenzione. E la promessa di Dio di spargere il Suo Spirito sul popolo dipenderà da come questo risponderà alla presenza del Figlio di Dio in mezzo al popolo. Le parole del profeta Gioele, infatti, parlano proprio del giorno in cui Israele riconoscerà questa realtà: “Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio, e non ce n'è nessun altro”. Il libro degli Atti degli Apostoli, di cui Luca è l’autore come il Vangelo che racconta i fatti prima citati, inizia con la narrazione dell’ascensione al cielo di Gesù, dopo la sua morte e la sua resurrezione. Dopo averlo visto salire al cielo, i suoi discepoli si recarono a Gerusalemme e si riunirono in una stanza dove erano soliti radunarsi. E lì, insieme con loro, c’era anche Miriam, la madre di Gesù (vedi Atti degli Apostoli 1:14). Così continua il racconto di Luca in merito a ciò che successe ai discepoli di Gesù nei giorni che seguirono la sua ascensione al cielo.
Quando il giorno della Pentecoste fu giunto, tutti erano insieme nel medesimo luogo. Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dov'essi sedevano. Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi (Atti degli Apostoli 2:1-4).
Pietro, uno dei discepoli di Gesù, spiega così ai presenti i segni prodigiosi che erano appena avvenuti davanti ai loro occhi.
“Questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: 'Avverrà negli ultimi giorni', dice Dio, 'che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani vedranno delle visioni, i vostri vecchi sogneranno dei sogni. Anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno” (Atti degli Apostoli 2:16-18).
Per Pietro non c’è altra spiegazione: la discesa dello Spirito Santo su di lui e sugli altri discepoli di Gesù, è l’adempimento della promessa fatta da Dio per mezzo del profeta Gioele. Dio, dunque, ha sparso il Suo Spirito proprio sui membri della casa di Israele, su quelli che hanno riconosciuto che, nella persona di Gesù, Dio stesso è sceso dal cielo ed ha abitato in mezzo al popolo, proprio come la profezia di Gioele aveva predetto: “Voi conoscerete che io sono in mezzo a Israele, che io sono l'Eterno, il vostro Dio. [...] Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio Spirito sopra ogni carne”. Con queste parole, Pietro conclude il suo discorso a Gerusalemme rivolto a quegli ascoltatori che erano accorsi per vedere ciò che era appena accaduto:
“Dunque, tutta la casa d'Israele sappia con certezza che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Atti degli Apostoli 2:36).
È il riscontro di questa fede nel cuore di una persona a spingere Dio a spargere il Suo Spirito su quella persona. Luca racconta che circa tremila persone accettarono le parole di Pietro e furono battezzate nel nome del Signore Gesù Cristo. Come già notato in precedenza, anche Miriam era tra coloro che erano soliti riunirsi in quella stanza a Gerusalemme. E anche su di lei, evidentemente, scese lo Spirito di Dio. Questa risulta essere l’ultima volta che Miriam, la madre di Gesù, viene menzionata nel testo biblico. Questa circostanza è particolarmente significativa. Il fatto che Miriam sia qui menzionata, infatti, consente di affermare che, tra tutti coloro che erano vivi al momento della nascita di Gesù, come Zaccaria, Elisabetta e il figlio Giovanni Battista, come Miriam stessa e suo marito Giuseppe, e anche altri personaggi del Vangelo di Luca come Simeone e la profetessa Anna, l’unica che risulta ancora viva e viene nominata insieme ai discepoli dopo l’ascesa al cielo di Gesù, è proprio Miriam, sua madre. Il personaggio di Miriam crea continuità, ancora una volta, con i fatti cruciali accaduti nel popolo di Israele. Per mezzo di lei, nasce il Messia di Israele, mandato da Dio. E ancora in lei, come membro di Israele, si adempie la promessa di Dio di spargere il Suo Spirito su questo popolo. Israele, fino ad oggi, continua ad esistere proprio per il fatto che Dio non smette di adempiere alla sua promessa di spargere il Suo Spirito nel cuore dei suoi membri; quei membri che seguono l’esempio di fede di Miriam nei confronti di Gesù il Messia. In attesa che la promessa di Dio sia adempiuta sopra ogni carne.
(3. continua)
(Notizie su Israele, 28 maggio 2023)
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A Gedda è stata firmata la Pace di Vestfalia dei regimi totalitari del Medio Oriente
Mohammed bin Salman, l’assassino di Khashoggi, ha concluso un accordo storico tra le monarchie assolute che promettono di collegare i loro mercati per sviluppare una economia integrata. Ma ogni prospettiva di democratizzazione è rimandata per sempre.
di Carlo Panella
Noto come mandante dell’assassinio dell’oppositore Jamal Khashoggi, Mohammed bin Salman, noto come Mbs, reggente dell’Arabia Saudita ha portato a termine un mastodontico, complesso progetto di totale redifinizione dei rapporti di forza in Medio Oriente degno di passare alla storia. Dando prova di possedere una visione strategica non comune Mbs, al termine di un lungo e articolato disegno diplomatico innovativo, ha infatti siglato nell’ultimo vertice della Lega Araba a Gedda una sorta di “pace di Vestfalia” con tutti i paesi arabi, un accordo che rivoluziona l’assetto del Medio Oriente.
Come è noto nel 1648, appunto a Vestfalia, fu posta fine alla guerra dei trent’anni in Europa con un trattato di pace che ricompose tutti gli infiniti contenziosi territoriali e dinastici tra le grandi potenze continentali, tutte rette da monarchie assolute, con un reciproco loro riconoscimento quali autorità sovrane e indipendenti. Iniziò così in Europa un secolo e mezzo di relativa pace, o di guerre mirate alla trattativa, caratterizzato da relazioni contrattate tra le monarchie assolute, messo infine in crisi dall’era napoleonica.
Non difforme è il progetto strategico concluso a Gedda da Mohammed bin Salman che si basa sulla fine degli schieramenti contrapposti, in primis quello tra Iran e Arabia Saudita, ma anche quello con la Turchia e naturalmente quello con Israele, che hanno dilaniato il Medio Oriente negli ultimi cinquant’anni e sul reciproco riconoscimento dei legittimi interessi di ogni Stato. Il tutto, come a Vestfalia, con l’obbiettivo di consolidare le monarchie assolute e gli Stati autoritari e nel nome – questa è la novità – di un impetuoso sviluppo economico e di mercato integrati il più possibile in un Medio Oriente pacificato che superi la dipendenza dei bilanci statali dalle sole vendite di petrolio e metano per investire in nuove tecnologie, infrastrutture, industrie e turismo.
Il vertice di Gedda è stato infatti l’apoteosi dei regimi totalitari del Medio Oriente culminata non a caso con la riammissione nella Lega Araba con tutti gli onori di Beshar al Assad, il sanguinario dittatore siriano che ne era stato espulso proprio per volontà saudita nel 2013.
Non più la trincea sunnita contro l’Iran, imperniata appunto sull’Arabia Saudita, teorizzata da Condoleeza Rice, non più l’appoggio incrociato a milizie varie per abbattere regimi considerati avversi, non più la “NATO araba” e la rottura con il Qatar, ma una “pace di Gedda” sulla falsariga di quella di Vestfalia che intende inaugurare relazioni equilibrate e contrattate tra ex nemici più che agguerriti. Il tutto, naturalmente, nella strenua difesa degli attuali regimi a monarchia assoluta o dittatoriale e nel rifiuto netto di ogni prospettiva di democratizzazione interna. Il contrario esatto delle visioni di democratizzazione del Medio Oriente vuoi nella versione di George W. Bush, vuoi di Barack Obama.
Con tutta evidenza questa “logica di Vestfalia” è quella che ha portato Mohammed bin Salman a favorire con discrezione gli Accordi di Abramo, chiudendo così di fatto l’aspro contenzioso secolare arabo con Israele, è quella che lo ha portato prima alla ripresa di relazioni piene con la Turchia di Tayyp Erdogan, alla clamorosa ripresa delle relazioni diplomatiche con l’Iran degli ayatollah e infine alla riabilitazione piena di Beshar al Assad contro il quale Ryad per anni ha inutilmente armato milizie nel tentativo di detronizzarlo. Il tutto, il punto è fondamentale, sigilla la fine burrascosa delle relazioni privilegiate tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti di Joe Biden e in una posizione terza verso una Russia nei confronti della quale i paesi di questo nuovo Medio Oriente non solo non attuano le sanzioni ma, al contrario, triangolano di tutto in violazione aperta alle sanzioni stesse.
È difficile prevedere quanto reggerà alla prova dei fatti questo nuovo assetto contrattuale e non più bellicista delle relazioni tra i paesi del Medio Oriente. È fondamentale però prenderne atto e soprattutto rendersi conto che Mohammed bin Salman, il mandante dell’assassinio di Jamal Khashoggi, ha sviluppato un progetto, una visione assolutamente innovativi quanto inaspettati.
(LINKIESTA, 27 maggio 2023)
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Israele: l’ondata di caldo che si abbatte nel Paese all’origine di numerosi incendi
Le temperature hanno raggiunto i 35-40°C e la visibilità è stata ridotta dalla polvere e dalla foschia.
Israele è stato colpito sabato da una serie di incendi, esacerbati da un’ondata di caldo e forti venti. La riserva naturale di Karmia, situata vicino alla Striscia di Gaza, è stata teatro di un grande incendio. I vigili del fuoco sono intervenuti anche ad Har Turan, in Galilea, per domare un vasto incendio che ha portato all’evacuazione degli escursionisti. Ad Akko, nel nord del Paese, un terzo incendio ha generato un denso fumo, interrompendo il traffico.
Le temperature hanno raggiunto i 35-40°C e la visibilità è stata ridotta dalla polvere e dalla foschia. La presenza di molti israeliani approfittando del lungo weekend di Shavuot nelle riserve naturali ha reso più complesso il compito dei vigili del fuoco.
Per far fronte a queste condizioni meteorologiche sfavorevoli, il commissario preposto ai vigili del fuoco e al soccorso ha disposto il divieto di accendere fuochi all’aperto dalle 8 del mattino. Il divieto, che rimarrà in vigore per 24 ore, mira a ridurre il rischio di incendi in parchi, foreste e riserve naturali.
In Israele, la maggior parte degli incendi boschivi è causata dalla negligenza umana. Le estati lunghe, calde e secche del paese favoriscono gli incendi. Con le previsioni di pioggia per alcune parti del paese e le condizioni che dovrebbero peggiorare domenica e lunedì, le autorità hanno anche affermato che esiste il rischio di inondazioni improvvise potenzialmente pericolose.
La polizia raccomanda di evitare i letti dei fiumi e di non tentare di attraversare specchi d’acqua in auto.
(dayFRitalian, 27 maggio 2023)
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Cosa sta succedendo tra i servizi turchi e il Mossad?
Il Mit ha arrestato in Turchia alcuni membri di una rete di spionaggio legata al Mossad israeliano.
di Giuseppe Gagliano
Il MIT, cioè il servito segreto turco, ha annunciato l’arresto di diversi membri di una presunta rete di spionaggio, che secondo quanto riferito sono stati reclutati, addestrati e gestiti dall’agenzia di intelligence israeliana, il Mossad.
• COSA SAPPIAMO DEGLI ARRESTI DEL MIT Secondo quanto riferito, gli arresti sono avvenuti a seguito di un’indagine su un pacco che è stato inviato per posta da uno dei sospetti . L’indagine è stata avviata dal ramo di Istanbul della Direzione generale della sicurezza (cioè della polizia turca), che in seguito ha rivelato un collegamento con un’indagine separata di controspionaggio da parte del MİT. Alla fine questa indagine ha portato all’arresto di Selçuk Küçükkaya, un cittadino turco, accusato di operare come capo del presunto giro di spie. Lunedì, la polizia di Istanbul ha arrestato 11 associati di Küçükkaya, che il MİT ritiene essere membri della presunta cellula di spionaggio. Alcuni rapporti indicano che le autorità turche sono ancora alla ricerca di altri due sospetti che si ritiene facciano parte del presunto anello di spionaggio. Il MİT afferma che la rete di spionaggio aveva istituito una società di facciata attraverso la quale i suoi membri svolgevano attività commerciali in Iran, con l’assistenza di intermediari che operavano all’estero. L’ufficio del procuratore capo di Istanbul sostiene che Küçükkaya ha preso contatto con l’intelligence israeliana attraverso un membro del cosiddetto movimento Gülen. Il movimento Gülen è composto da sostenitori del religioso musulmano Fethullah Gülen, che gestisce una rete globale di scuole, enti di beneficenza e imprese dalla sua casa-in-exile negli Stati Uniti. Il governo turco ha designato il gruppo di Gülen un’organizzazione terroristica e afferma di essere stato dietro il fallito colpo di stato del 2016 contro il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Küçükkaya è inoltre accusato di aver avuto diversi incontri di persona con ufficiali del Mossad in varie località in tutta Europa. Durante quegli incontri, Küçükkaya avrebbe ricevuto incarichi progettati per testare le sue capacità di raccolta di informazioni. Si presume che Küçükkaya sia stato infine assunto come spia dal Mossad, che gli ha anche fornito istruzioni su come utilizzare un sistema di comunicazione clandestino per contattare i suoi gestori israeliani.
• I PRECEDENTI DEL MOSSAD IN TURCHIA L’affermazione del governo turco di aver arrestato una cellula spia del Mossad che opera nel suo territorio non è senza precedenti. Nell’ottobre 2021, il MİT ha rivelato gli arresti di 15 membri di un presunto giro di spionaggio del Mossad a seguito di una serie di incursioni in quattro province turche. Lo scorso dicembre, i media turchi hanno riferito che 44 persone erano state arrestate e interrogate per aver presumibilmente spiato gli esuli palestinesi che vivevano in Turchia per conto del Mossad. Ciò che è nuovo in quest’ultima affermazione è la presunta connessione tra il Mossad e il movimento Gülen, che l’amministrazione del presidente turco Erdoğan considera una minaccia esistenziale alla sicurezza interna.
(START Magazine, 27 maggio 2023)
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Senza i roghi
di Mattia Feltri
Gianfranco Pellegrino – docente di Scienze politiche alla Luiss, di cui ho letto e amato un libro sull’etica pubblica – invoca sul Domani l’istituzione del reato di negazionismo climatico. Cioè, chi nega il surriscaldamento globale e le colpe dell’uomo dovrà vedersela col giudice perché è pericoloso quanto chi nega la Shoah. Io – lo so, sono in drammatica minoranza – contesto anche il reato di negazionismo della Shoah, e l’idea di passare qualsiasi idea per le armi del tribunale, perlomeno finché non siano istigazioni al crimine.
Ricordo, per esempio, lo storico inglese David Irving incarcerato in Austria per gli scritti in cui escludeva lo sterminio degli ebrei. Dopo qualche giorno, gli fu concesso di frequentare la biblioteca del carcere e sugli scaffali trovò i suoi libri. Sorpresa. E imbarazzo. Perché a quel punto il carcere era complice del carcerato. Dunque, o uscivano i suoi libri o usciva lui. Naturalmente fecero uscire i libri, destinazione discarica. Nonostante poi se ne sia tornato a casa, Irving ora sopravvive nell’oblio, dimenticata la sua storia, quella vissuta e quella scritta, ridotto all’irrilevanza il negazionismo della Shoah (è l’antisemitismo a godere ancora di buona salute, specie se mascherato). E non so se mi sto macchiando di un grave reato ma informo che i suoi libri sono tuttora in vendita su Amazon, pure in traduzione italiana, in barba alla legge e dove non fanno più scandalo né opinione. Anche se non sono andati al rogo.
E come mi pare evidente, istituire una verità di Stato, e dichiarare fuorilegge chi non si accoda, non è soltanto illiberale ma persino inutile.
(La Stampa, 27 maggio 2023)
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Sono sempre stato contrario, fin da quando era ancora in discussione, all'istituzione del reato di negazionismo per punire chi nega la realtà della Shoah. Oltre a essere del tutto inutile ai fini di quello che si vuole ottenere, viene creata in questo modo la figura politico-giuridica del "negazionista": colui che si rende criminale con la semplice enunciazione, in forma scritta o parlata, di una proposizione che nega una realtà comunemente accettata. Abbiamo così il fiorire di una varietà di negazionisti di tutti i tipi; negazionisti dell'Europa, dei vaccini, della malvagità di Putin, della teoria del riscaldamento planetario, dell'ideologia transgender, e così via. Gli ebrei avrebbero dovuto essere i primi a capire la pericolosità di scivolare sul piano inclinato della Verità di Stato. M.C.
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La Fondazione Museo della Shoah tra Memoria e impegno
Si è svolta ieri mercoledì 24 maggio 2023, presso la Casina dei Vallati, l’iniziativa “Tra Memoria e Impegno: La Fondazione Museo della Shoah si racconta” organizzata dalla Fondazione per presentare il Bilancio Sociale 2022.
L’evento ha visto la partecipazione di molte personalità del mondo ebraico, della politica e della cultura, tra cui il Presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il Ministro per lo Sport e i giovani Andrea Abodi, la Presidente dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, la Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, il Sindaco di Firenze Dario Nardella, la regista e sceneggiatrice Silvia Scola, in un incontro moderato dall’attivista per i diritti umani Claudia Conte.
Durante la presentazione sono stati messi in evidenza alcuni dati significativi del bilancio sociale del 2022, relativi agli eventi e le attività organizzate dalla Fondazione, come le mostre, i convegni, le presentazioni di libri, il cineforum e la produzione di documentari. Come si evince dal bilancio nel 2022 sono stati riscontrati importanti segnali: dall’esponenziale aumento dei visitatori delle mostre in corso alla Casina dei Vallati, che ha raggiunto quota 55.000 presenze, fino al numero di studenti che hanno partecipato online all’incontro con Sami Modiano che ha sfiorato i 150.000 collegamenti.
Come ha sottolineato il Presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia: - “La nostra sfida quotidiana è quella di mantenere alti livelli di servizio, migliorando la qualità formativa dei nostri utenti e promuovendo una strategia di condivisione, attenta allo sviluppo di collaborazioni sostenibili, sia da un punto di vista economico che sociale. Lo scopo principale del nostro agire quotidiano è soddisfare i bisogni cognitivi e relazionali dei visitatori, degli studenti e dei loro insegnanti, trasmettendo il patrimonio storico-culturale per il cui accrescimento e cura lavoriamo sodo ogni giorno”.
(Shalom, 26 maggio 2023)
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Israele forse rinvia la legge anti-Ong per le proteste degli alleati
Il governo israeliano sta attentamente valutando di rinviare la messa in opera di una proposta di legge che limiterebbe in modo significativo la capacità dei gruppi della società civile israeliana di accettare donazioni da governi stranieri, dopo che numerosi alleati, tra cui Stati Uniti, Germania e Francia, hanno espresso la loro opposizione al disegno di legge. Il Ministero degli Esteri e l’Ufficio del Primo Ministro hanno ricevuto proteste contro il disegno di legge da parte di alleati chiave e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu è personalmente coinvolto nella risposta, ha dichiarato un alto funzionario diplomatico a Channel 13. La legge dovrebbe essere presentata domenica al Comitato ministeriale di alto livello per la legislazione della Knesset, ma i funzionari stanno valutando la possibilità di rinviarla alla luce delle obiezioni. Il disegno di legge stabilisce che qualsiasi gruppo non profit che si impegni in attività di difesa pubblica due anni prima o dopo aver ricevuto una donazione da un governo straniero perderà lo status di istituzione pubblica e non potrà più beneficiare di esenzioni fiscali. Inoltre, queste organizzazioni non profit saranno colpite da un’imposta sul reddito del 65%. Il provvedimento è considerato indirizzato verso i gruppi di sinistra, considerati avversari dal governo di destra di Netanyahu. La Germania è la più turbata dalla proposta di legge e ha espresso la sua disapprovazione attraverso diversi canali. Berlino ha richiesto una telefonata con il Ministro degli Esteri Eli Cohen per discutere la questione e la conversazione dovrebbe avvenire all’inizio della prossima settimana, come ha riferito Channel 13. L’ambasciatore tedesco in Israele, Steffen Seibert, ha dichiarato: “Il progetto di legge sulla tassazione delle ONG è una questione di grave preoccupazione per noi e per molti dei partner internazionali di Israele”. “Relazioni vivaci e senza ostacoli tra le società civili sono di valore essenziale nelle nostre democrazie liberali”, ha dichiarato Seibert. Anche le ambasciate olandese, belga, irlandese, norvegese e svedese in Israele hanno espresso preoccupazione per la legislazione in dichiarazioni pubbliche simili a quella tedesca diffuse giovedì. Il disegno di legge rischia di paralizzare la capacità delle organizzazioni per i diritti umani di operare in Israele e in Cisgiordania, poiché molte di esse dipendono da finanziamenti di governi stranieri. La legge è stata redatta dal deputato Ariel Kallner, membro del partito Likud di Netanyahu. Le organizzazioni per i diritti umani – come B’Tselem, Breaking the Silence e il New Israel Fund – sono da tempo nel mirino della politica israeliana (quasi tutta) per la loro denuncia di presunte violazioni dei diritti umani da parte di Israele nei confronti dei palestinesi. Il modo in cui i legislatori di destra hanno cercato di criticare le organizzazioni, in gran parte di sinistra, è stato quello di evidenziare i loro finanziamenti e sostenere che rappresentano un’interferenza negli affari interni di Israele. Gli attivisti di sinistra sottolineano che i gruppi della società civile di destra ricevono finanziamenti anche da investitori stranieri. Questi donatori possono essere individui, non Paesi, ma i fondi sono spesso trasferiti con molta meno trasparenza, sostengono gli attivisti di sinistra. Anche Israele finanzia gruppi della società civile all’estero. In passato è stata proposta una legislazione di questo tipo da parte della Knesset ma, a causa delle pressioni provenienti dall’estero, non è mai stata approvata. La nuova iniziativa sembra avere maggiori possibilità di diventare legge, vista la composizione hardline e pro-settler della coalizione di Netanyahu. L’impegno ad approvare una legge di questo tipo è stato incluso anche nell’accordo di coalizione che il Likud ha firmato con il partito di estrema destra Otzma Yehudit. Il Dipartimento di Stato americano si è espresso mercoledì contro la legge. Alla richiesta di commentare il disegno di legge durante un briefing con la stampa, il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha dichiarato: “Non voglio fare speculazioni su cose che potrebbero passare. Mi limiterò a dire che, in generale, gli Stati Uniti sostengono il ruolo essenziale delle ONG che fanno parte della società civile”. “Crediamo che siano fondamentali per un governo democratico, reattivo e trasparente, e crediamo fermamente che la società civile debba avere l’opportunità e lo spazio per operare e raccogliere risorse in tutto il mondo”, ha aggiunto Miller. La legge complicherebbe in modo significativo la storica legislazione del Congresso del 2020, sostenuta da entrambi i partiti, nota come Middle East Partnership for Peace Act. Il MEPPA ha stanziato 250 milioni di dollari in finanziamenti statunitensi per le organizzazioni di coesistenza che promuovono il dialogo israelo-palestinese e lo sviluppo commerciale palestinese. L’amministrazione Biden ha definito la legge fondamentale per creare le condizioni di base necessarie per un futuro accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma se la proposta di legge di Kallner passasse, le organizzazioni che ricevono sovvenzioni dal MEPPA dovrebbero trasferire al governo israeliano una quantità massiccia di fondi. L’ambasciata francese in Israele è intervenuta mercoledì, osservando che aveva già espresso preoccupazione per la decisione israeliana del 2021 di designare sei gruppi per i diritti dei palestinesi come organizzazioni terroristiche, indicando che considerava l’ultimo disegno di legge come un’estensione di quello sforzo per colpire la società civile israeliana e palestinese. Il disegno di legge “è ugualmente e profondamente preoccupante. Ribadiamo il nostro impegno per il ruolo critico della società civile nella vita di ogni democrazia, in Israele e nel mondo”, ha dichiarato. “È responsabilità degli Stati creare e mantenere uno spazio e un ambiente favorevole al loro lavoro, perché una società civile vivace può anche portare una cultura di pace e diversità”, ha aggiunto l’ambasciata francese. Il New Israel Fund, che funge da gruppo ombrello per il finanziamento di decine di organizzazioni progressiste della società civile che operano in Israele e in Cisgiordania, si è schierato duramente contro il disegno di legge, definendolo il “passo successivo” dello sforzo del governo di revisionare il sistema giudiziario. “Netanyahu e il suo governo di estremisti vogliono eliminare fiscalmente la società civile, soprattutto quella che lavora per difendere i diritti dei più emarginati in Israele e sotto il controllo di Israele: le donne, la comunità LGBTQ e i cittadini arabi di Israele”, ha dichiarato mercoledì il direttore generale del NIF Daniel Sokatch. “Questo è esattamente il modo in cui gli autocrati riducono lo spazio democratico. Questa legge potrebbe costringere alla chiusura centinaia di organizzazioni in Israele – e prende di mira in particolare quelle che dicono la verità al potere. Bloccare i finanziamenti ai sostenitori del cambiamento non è ciò che fanno le democrazie”, ha dichiarato.
(Rights Reporter, 26 maggio 2023)
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I ricercatori hanno trovato un antico gabinetto di 2500 anni a Gerusalemme
Rivela una malattia mortale
GERUSALEMME - Gli scienziati hanno trovato un bagno a Gerusalemme che racconta le abitudini sanitarie della gente di quell’epoca. Con la scoperta di questa toilette, gli scienziati si sono anche convinti che a quel tempo le persone non fossero consapevoli della propria salute. Gli scienziati hanno concluso dopo aver testato campioni di servizi igienici di 2500 anni fa che le abitudini delle persone nell’età del ferro non erano buone per la salute. I ricercatori hanno scavato dalle fosse sotto due latrine di pietra. Hanno trovato prove di batteri che causano la dissenteria durante questo periodo.
• Toilette per famiglie d’élite
Questi bagni appartenevano a famiglie d’élite. Si dice che Gerusalemme sia stata un centro politico e religioso durante il periodo dell’impero assiro. A quel tempo qui vivevano da otto a 25mila persone. Gli scienziati affermano che questi servizi igienici sono la prima prova di una malattia chiamata Giardia duodenalis. Tuttavia, l’infezione dello stomaco, che provoca diarrea, crampi addominali e perdita di peso, è stata identificata per la prima volta nella Turchia di epoca romana e nell’Israele medievale. Il dottor Piers Mitchell, che è stato coinvolto nella ricerca, ha dichiarato: “La dissenteria è causata dal consumo di acqua sporca o cibo contaminato e sospettiamo che possa essere stato un problema più grande in passato a causa del sovraffollamento, del caldo e delle mosche, nonché della presenza di acqua limitata in estate. Questa ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Parasitology.
• Haveli è stato scavato
Questa ricerca è stata completata dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Cambridge. I ricercatori hanno trovato un sedile del water nell’anno 2019 a sud di Gerusalemme. Questo sedile del water si trovava nelle vicinanze della villa di Armon Ha-Natziv. Si ritiene che risalga probabilmente ai giorni del re Manasse. Regnò per 50 anni a metà del VII secolo a.C. Questa latrina in pietra calcarea aveva un’ampia apertura per la defecazione e probabilmente c’è un’apertura adiacente per la minzione degli uomini.
• Ancora oggi c’è la malattia nei bambini.
Un altro sedile del water è stato trovato in un edificio di sette stanze noto come Casa di Aheel nella Città Vecchia di Gerusalemme. Si ritiene che potrebbe essere stata la casa di una famiglia dell’alta borghesia. I ricercatori hanno anche trovato uova di quattro tipi di parassiti intestinali: tenia, ossiuri, nematodi e tricocefali. Ma secondo una nuova ricerca, i microbi che causano la dissenteria sono delicati ed estremamente resistenti. La dissenteria causata da Giardia attualmente uccide la maggior parte dei bambini. Anche lo sviluppo mentale dei bambini infetti da questa malattia si ferma.
(India Posts Italian, 26 maggio 2023)
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Con il sestetto vocale MiEle la musica ebraica è protagonista al Festival InterSezioni
Per il festival diretto da Giovanni Sollima e organizzato dalla Camerata Polifonica Siciliana sabato 27 maggio sul palco del Cut – Centro Universitario Teatrale la formazione israeliana, per la prima volta in Italia, composta da Sigal Chameides, Lilach Krakauer, Michal Tamari, Dov Entin, Ido Marco e Matan Gover proporrà brani di musica sacra e altri, meno noti, della tradizione popolare
CATANIA - Il sestetto vocale israeliano MiEle, che conclude a Catania il suo primo tour italiano, sarà protagonista del prossimo appuntamento di InterSezioni, il festival catanese dedicato alla musica contemporanea nato dalla collaborazione tra il violoncellista Giovanni Sollima, che ne ha assunto la direzione artistica,e il compositore Giovanni Ferrauto, direttore artistico della Camerata Polifonica Siciliana. Sul palcoscenico del Cut – Centro Universitario Teatrale di Catania sabato 27 maggio alle ore 20.30 la formazione composta da Sigal Chameides (soprano), Lilach Krakauer (mezzosoprano), Michal Tamari (contralto), Dov Entin (tenore), Ido Marco (baritono) e Matan Gover (basso) proporrà un approccio originale alla musica in lingua ebraica: dalle melodie sacre associate ai testi biblici alla musica contemporanea dei grandi compositori israeliani del XX secolo, fino alla musica popolare israeliana (arrangiata per l’occasione dallo stesso sestetto) e brani originali scritti apposta per questa formazione. «Il repertorio che generalmente proponiamo durante i nostri live in Israele- dice Sigal Chameides – sono pezzi pop e rock riarrangiati in chiave jazz che seguiamo a cappella. Per questo concerto catanese, invece, proporremo un repertorio studiato ad hoc per il Festival InterSezioni: dai classici del repertorio ebraico del ‘900 composti per cori ed ensemble a brani di musica popolare, che eseguiremo quasi tutti a cappella. Per l’esecuzione del brano intitolato “Amok baTal” che mette in musica i meravigliosi versi della poetessa Leah Goldberg – conclude la cantante – , chiederemo al pubblico di accompagnarci attivamente». I musicisti del sestetto MiEle intrecciano i loro percorsi all’interno del Jerusalem Chamber Choir dell’Accademia di Musica e danza di Gerusalemme, sotto la direzione del M° Stanley Sperber. Mentre completano ciascuno il proprio percorso accademico nelle varie facoltà dell’accademia (Lilach e Ido come direttori di coro, Dov e Matan come compositori, Michal e Sigal come performer di canto multidisciplinare) i sei si esibiscono sui palcoscenici Israeliani ed Europei con il Chamber Choir. Quando, a poco a poco, ciascuno si stacca dal coro per seguire la propria, spinti da un profondo legame d’amicizia e dall’amore per il canto a cappella decidono di formare un ensemble con cui continuare ad esibirsi. Dopo cinque anni MiEle continua a portare la musica a cappella nelle più svariate zone di tutta Israele. E ora, a Catania, promette una serata di canto e incanto, fatta di armonia e amore per la musica, in tutte le sue forme.
PROGRAMMA
Hassidic Shabbat prayer Shalom Aleikhem Oedoen Partos HaMavdil Traditional Sephardic Music Sambursky, Alterman, Wiesenberg Bou menucha leyagea Achiniam Nini, Gil Dor BeEineha arr. Anat Aharon Avraham Hal, Yoni Rechter Atur Mizchech arr. Matan Gover Paul Ben Chaim Ufduyei Adonai Yeshuvun (Isaiah 35,10) Paul Ben Chaim Elohai Zidki Traditional jewish prayer Yaakov Shabtai, Yehezkel Braun VeYimalet Kayin Psalms, Ernest Bloch Yihyu le razon omri fi Leah Shabat Tamid Yechaku Lecha arr. Lilach Krakauer Maya Politzer MiKarov arr. Ido Marco Leah Naro, Nurit Hiresh Makhela Aliza arr. Lilakh Krakauer Vito Pallavicini, Paolo Conte Amru lo Leah Goldberg, Marina Maximillian Amok baTal Vinicius de Moraes, Antonio Carlos Jobim Osher trad. Ehud Manor, arr. Mayaan Bar-Sever Bertold Brecht, Shlomo Gronich Yehi haKol trad. Natan Zach, arr. Ido Marco
(Etnalife, 26 maggio 2023)
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Presentata dall’archivio storico della comunità la “Biblia Hebraica” del ’500
di Luca Spizzichino
Presentato al pubblico il volume restaurato della “Biblia Hebraica”, una traduzione cinquecentesca del Tanach, curata da Benito Arias Montano. Il restauro è stato realizzato con il contributo della University of Notre Dame (Rome Global Gateway e Center for Italian Studies). Il Dipartimento Beni e Attività Culturali ha organizzato la presentazione presso l’Instituto Cervantes. Presenti la presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, la professoressa Ingrid Rowland, storica dell’arte della University of Notre Dame; ha partecipato anche in video connessione la professoressa Tracy Bergstrom della Hesburgh Library di Notre Dame.
“Questo volume è un esempio del vasto patrimonio che l’Archivio Storico conserva, con un lavoro puntuale e attento, che ci permette di produrre e continuare a studiare, per imparare dal passato e trasmettere al presente le conoscenze” ha affermato la presidente Ruth Dureghello.
Parlando della Biblia Hebraica, Rav Di Segni si è soffermato sulla particolare struttura dell’opera, facendo successivamente una riflessione su come si sia evoluto nei secoli l’incessante lavoro di traduzione della Torah. “Questa è un’edizione particolare perché presenta la traduzione parola per parola in latino sopra il testo in ebraico” ha spiegato il Rabbino Capo. “La lettura di quest'opera non è semplice, è adatta allo studio e alla consultazione, ma dal punto di vista tipografico, questo volume è straordinario e all’avanguardia coi tempi”.
La professoressa Ingrid Rowland ha contestualizzato la lavorazione del testo analizzando anche il ritratto del profeta Isaia dipinto da Raffaello, che venne realizzato nello stesso periodo della stampa della Biblia Hebraica di Benito Arias Montano. La professoressa Bergstrom, invece, ha sottolineato il lavoro di ricerca svolto sul tema dalla University of Notre Dame.
(Shalom, 25 maggio 2023)
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Shavuot: fare spazio alla Torà, nel cuore e nella mente. Ciascuno a suo modo
di Daniele Cohenca
La Torà ci racconta gli avvenimenti della settimana che precedette la promulgazione della Torà e il Talmùd (Shabbàt 86b, 88a) ci presenta una cronaca piuttosto dettagliata degli eventi, esordendo così: “Il primo di Sivan, Moshè non disse nulla al popolo in quanto tutti erano affaticati dal viaggio”. La rivelazione sul Sinai rappresentò il culmine e il compimento dell’esodo. Molti mesi prima, sempre sul Sinai, D-o si rivelò a Mosè nel roveto ardente e gli ordinò di guidare il popolo ebraico fuori dall’Egitto dicendogli: “Questa è la prova che sono Io ad averti mandato: quando porterai la nazione fuori dall’Egitto, servirete D-o su questo monte”.
Dal momento in cui Moshè portò loro la promessa di redenzione, i figli di Israele hanno atteso con grande ansia la rivelazione sul Sinai, per il fatto che la promessa era molto più che una fuga dalla schiavitù d’Egitto: egli aveva promesso la libertà definitiva, la libertà dalla morte, dai limiti e dalla mondanità di una vita materiale. Moshè promise loro la visione della realtà divina e la potenzialità di incorporare la Sua eternità nelle loro vite.Dunque, da quando lasciarono l’Egitto, i figli di Israele contavano letteralmente i giorni che mancavano al compimento della promessa.
Fino ad oggi noi condividiamo questa loro attesa di 49 giorni con il nostro “conteggio dell’Omer”. Alla luce di questo e di quanto il Talmùd ci dettaglia dei sei giorni che precedettero il dono della Torà, quanto accadde – o, meglio, quanto NON accadde – il primo di Sivan, resta difficile da capire. Il Talmùd ci spiega infatti che in quel giorno “Mosè non disse parola”; è tuttavia umano che quanto più ci si avvicina a un importante evento programmato, tanto più si desidera che lo stesso si realizzi. Diamo un’occhiata più da vicino a ciò che la Torà ci racconta sulle faccende del popolo ebraico durante il primo giorno di Sivan: “Il terzo mese dall’uscita dei figli di Israele dalla terra d’Egitto… e Israele si accampò lì…” Nel suo commento a questi versi, Rashì nota l’inusuale utilizzo della forma singolare per il verbo “si accampò” invece della forma plurale “si accamparono”, visto che si parla di tutta la nazione ebraica. Rashì spiega che essi “si accamparono come una singola persona con un singolo cuore, a differenza di altre situazioni in cui l’accamparsi era accompagnato da dispute e dissensi”. Pur se a volte costruttive e positive, le dispute e i dissensi erano intollerabili nell’accampamento del Sinai, poiché tuttora una parte importante della nostra preparazione alla ricezione della Torà è lo sradicamento delle differenze di visione e di comprensione.
A questo punto, possiamo dedurre che la loro stanchezza non era dovuta al viaggio in senso fisico, quanto all’enorme difficoltà di prepararsi spiritualmente e psicologicamente a una totale passività. È davvero così? Davvero D-o ci chiede una totale passività e un annullamento della personalità? Questo grande non-evento del primo di Sivan fu seguito da cinque giorni di intensa preparazione spirituale, psicologica e materiale alla ricezione della Torà.
Per capire la Torà, per fare propria l’essenza divina che è inclusa nella Torà stessa, è necessario rimuovere gli impedimenti intellettuali, psicologici e materiali che ci impediscono di acquisirne l’integrità. Ma una volta creato “lo spazio nella nostra mente e nei nostri cuori”, dobbiamo riattivare le nostre facoltà individuali per assorbire e capire ciò che abbiamo ricevuto. Infatti già dal secondo giorno riemersero le differenze: all’interno del recinto, furono divisi il popolo, i sacerdoti, Aharòn e Moshè, poiché da quel momento, una volta ricevuta la Torà tutti allo stesso modo, ognuno dovrà applicarla alla propria vita quotidiana, con gli strumenti che gli sono propri, con le proprie cognizioni ed esperienze.
(Bet Magazine Mosaico, 25 maggio 2023)
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L'Iran testa un missile in grado di colpire Israele: "Aiuteremo Paesi amici"
Il razzo di quarta generazione, denominato Kheibar, ha un raggio d'azione di duemila chilometri
L'Iran ha testato con successo un missile balistico di quarta generazione, denominato Kheibar, con un raggio d'azione di duemila chilometri e quindi in grado di colpire obiettivi in Israele. Lo rende noto l'agenzia di stampa iraniana Irna spiegando che il nuovo missile supera il precedente Khorramshahr, che finora era quello con il raggio d'azione più lungo in dotazione delle forze armate di Teheran. Kheibar è "un missile a combustibile liquido con un raggio d'azione di duemila chilometri e una testata da 1.500 chilogrammi" si legge sull'Irna.
Il ministero della Difesa iraniano Mohammad-Reza Ashtiani ha spiegato che il missile è stato testato per ''dare sostegno ai nostri partner e ai Paesi che sono impegnati a combattere contro il sistema dominante''. Citato dall'Irna, il ministro ha rivolto ''un messaggio ai nemici dell'Iran'' ovvero che ''difenderemo il nostro Paese e le sue conquiste''. Mentre ''il messaggio ai nostri amici è che vogliamo difendere la stabilità regionale'', ha aggiunto Ashtian.
(Adnkronos, 25 maggio 2023)
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Approvato il bilancio 2023-24 dello stato di Israele, una vittoria importante per Netanyahu
di Ugo Volli
• Un passaggio giuridicamente significativo
Dopo una notte intera di discorsi e di voti, la Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, ha approvato mercoledì mattina il bilancio dello stato per 64 voti a 55. È un voto importante, anzitutto perché la mancata approvazione del bilancio nei tempi stabiliti (quest’anno era il 30 maggio) è, secondo la legge israeliana, la sola ragione dello scioglimento automatico della Knesset e dell’indizione di nuove elezioni. A differenza dell’Italia, il Presidente della Repubblica non ha questo potere; la Knesset può sciogliersi da sola con una legge apposita, com’è accaduto diverse volte negli ultimi anni; ma è chiaro che un inciampo o un voto contrario sul bilancio erano il mezzo più semplice per far cadere il governo e la sua maggioranza. Questo non è accaduto, la coalizione ha tenuto senza perdite e anche le solite trattative fra gli interessi che in tutti i regimi democratici e anche in Israele caratterizzano la definizione del bilancio, che in sostanza è l’impegno degli investimenti pubblici, non sono risultate più difficili o contrastate del solito.
• Provvedimenti sociali
Vi sono stati alcuni cambiamenti rispetto al passato, con maggiori investimenti sul settore charedì (quello che la stampa occidentale chiama con un termine poco sensato “ultraortodosso”), sulle regioni periferiche della Galilea e del Negev, provvedimenti sociali come lo spostamento di fondi da alcune città ricche a quelle più bisognose per favorire la costruzione di case popolari o gli interventi sui consumi alimentari, la previsione di una articolazione un po’ differente del servizio militare, un importante finanziamento per la Difesa. Ogni ministro ha tirato acqua al suo mulino, ma poi la determinazione del Ministro delle Finanze Smotrich e la grande esperienza del Primo Ministro Netanyahu hanno favorito un passaggio non troppo accidentato del bilancio.
• Un cambiamento di clima politico
Il passaggio del bilancio è anche un punto di svolta politico. Segue l’ottima esecuzione dell’operazione di Gaza, un riaccendersi dell’interesse internazionale per Israele (Netanyahu è stato per esempio invitato per l’autunno negli Emirati; si parla con insistenza di numerosi passi avanti nella normalizzazione con l’Arabia Saudita). E, soprattutto, la ventata di insofferenza per il governo della destra che aveva raggiunto il culmine un paio di mesi fa è chiaramente in ritirata. I sondaggi non promettono più, se si votasse oggi, una maggioranza di sinistra, ma al massimo un nuovo risultato nullo; le manifestazioni settimanali di protesta sono molto meno numerose, sono emerse divisioni nell’opposizione, vi sono state manifestazioni numerose anche a sostegno del governo. Insomma non vi è più il clima di assedio che si viveva a marzo, ma quello normale per Israele di un acceso scontro politico.
• Che accade ora?
Al momento del passaggio del bilancio Netanyahu ha annunciato che intende ricominciare a lavorare sulla riforma giudiziaria e che vuole cercare di ottenere un accordo con l’opposizione su questo tema, che è stato presentato nelle manifestazioni come una minaccia alla democrazia, ma che quasi tutti gli esperti della politica israeliana, anche dalle parti dell’opposizione, riconoscono come una urgenza da affrontare. Nei due mesi di sospensione della discussione parlamentare sono andate avanti consultazioni discrete patrocinate dal presidente Herzog fra la maggioranza e buona parte dell’opposizione. A quanto pare si sono raggiunti accordi su alcuni temi, come la riduzione dell’anomalo potere che è cumulato da un funzionario non eletto, il consigliere “giuridico del governo” che è anche procuratore generale e può imporre le sue valutazioni alla volontà del governo e della Knesset senza doverle giustificare a nessuno. Ma non è detto che il consenso sia condiviso da tutta l’opposizione parlamentare ed è ancora più difficile che soddisfi gli organizzatori delle manifestazioni di piazza, che in buona parte sono extraparlamentari i quali non rispondono ai partiti. È possibile, anzi, che la ripresa del lavoro parlamentare sulla riforma giudiziaria induca a una nuova intensificazione delle proteste. Esse del resto sono quasi esplicitamente sostenute dall’amministrazione Biden, che ha mostrato in maniera molto chiara la propria insoddisfazione per molte scelte del governo Netanyahu e di recente, a quanto hanno scritto senza smentite i giornali israeliani, avrebbe addirittura condizionato il proprio apporto all’accordo fra Israele e l’Arabia Saudita, che sarebbe un fatto storico importantissimo, all’abbandono della riforma giudiziaria e alla riapertura di improbabili trattative “di pace” con l’Autorità Palestinese. D’altro canto gli Stati Uniti stanno entrando a loro volta nel loro lungo processo elettorale e Netanyahu ha esperienza e lucidità sufficiente per riuscire a far valere l’indipendenza dello Stato ebraico dai condizionamenti della politica americana. Insomma i problemi del panorama politico israeliano non sono affatto finiti, ma certamente il governo ha ora più tempo e autorità per trattarli.
(Shalom, 25 maggio 2023)
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Accordi di Abramo, folgorati sulla via di Damasco: così la corsa alla ricostruzione in Siria può far fallire la normalizzazione tra Israele e gli Stati arabi
L’avvicinamento tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla Cina, il rientro di Damasco nella Lega Araba e l’affare colossale della ricostruzione. L’ordine Usa in Medio Oriente vacilla e così il piano di distensione tra Israele e i Paesi vicini
di Andrea Lanzetta
Per il vertice della Lega Araba a Jeddah del 19 maggio c’erano proprio tutti, nuovi amici e vecchi nemici di Israele: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, re Hamad del Bahrein e persino il dittatore siriano Bashar al-Assad, sopravvissuto — grazie a Iran e Russia — a 12 anni di guerra e invitato per l’occasione dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il principale alleato degli Usa nella regione. Apparentemente la normalizzazione dei rapporti tra i vicini e lo Stato ebraico ha poco a che fare con il rientro di Damasco nell’organismo internazionale, eppure a poche ore dall’arrivo di Assad in terra saudita la ministra israeliana dell’Intelligence, Gila Gamliel, si affrettava ad annunciare da Washington — senza fornire dettagli — che «altri Paesi arabi sono pronti ad aderire» agli Accordi di Abramo, i quali starebbero assicurando una «tangibile pace regionale». Curioso, visto l’aumento della violenza sui palestinesi dal ritorno al potere del suo premier Benjamin Netanyahu. Ma il tema non era in agenda a Jeddah e d’altronde la pace non sembra nemmeno in cima alle preoccupazioni di chi ha firmato le intese promosse nel 2020 dal genero di Trump, Jared Kushner. Piuttosto sembra si sia sempre trattato più che altro di affari e proprio questo potrebbe essere il loro punto debole. Un nuovo business ben più lucroso delle intese commerciali con Israele interessa gli attori della regione: la ricostruzione miliardaria della Siria.
• CONTI IN TASCA A oltre due anni e mezzo dalla firma degli Accordi, secondo l’Abraham Accords Peace Institute, questi hanno portato a 3,47 miliardi di dollari gli scambi tra Israele e i firmatari Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, oltre a Egitto e Giordania. Per lo più si tratta di affari nei settori energetico, dei trasporti e del turismo ma anche l’industria bellica è coinvolta. A luglio scorso, l’allora ministro della Difesa israeliano Benny Gantz annunciò infatti che, nell’ambito degli Accordi, lo Stato ebraico e i suoi partner regionali avevano raggiunto una serie di intese in materia di armi per un valore di oltre 3 miliardi di dollari. Cifre imponenti – considerando anche che queste intese erano state presentate come un passo verso la pace in Palestina (invece dall’inizio dell’anno i morti sono più che triplicati) – ma decisamente inferiori alla grande torta della ricostruzione siriana. Un sottile filo rosso lega le due questioni, apparentemente scollegate, e porta dritto a Riad, la cui adesione agli Accordi costituirebbe una vera svolta in Medio Oriente. Come emerso da un incontro avvenuto a gennaio a Gerusalemme tra il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan e il premier israeliano Netanyahu, il primo passo per la normalizzazione delle relazioni tra Tel Aviv e l’Arabia Saudita passa proprio dal ricucire i rapporti tra quest’ultima e Washington, deteriorati negli ultimi mesi dopo l’accordo raggiunto con la Russia in sede Opec+ per ridurre la produzione di petrolio al fine di sostenerne il prezzo, causando così l’ira di Biden interessato a contenere l’inflazione in patria. Piuttosto che riprendere le relazioni con la Casa bianca però, Riad ha optato prima per normalizzare i rapporti con l’Iran, grazie alla mediazione della Cina, e poi per riammettere la Siria nella Lega Araba, aprendo di fatto la corsa alla ricostruzione del Paese dopo oltre 12 anni di guerra.
• BASHAR, IL "SOPRAVVISSUTO" È stata una decisione pragmatica, almeno secondo la diplomazia saudita. Visto da Riad, il mondo arabo deve accettare che Assad sia sopravvissuto alla guerra, una realtà già accolta da molti Paesi della regione malgrado i crimini commessi dal regime contro il suo popolo. Già nel novembre 2021 infatti il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah bin Zayed al-Nahyan, aveva visitato Damasco. Ma il processo di normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad ha registrato una decisa accelerata a febbraio, dopo il devastante terremoto che ha colpito la Turchia meridionale e il Nord della Siria. Da allora, il dittatore ha ricevuto i ministri degli Esteri di Giordania, Egitto e Arabia Saudita. Un processo culminato con l’invito ad Assad di partecipare al vertice della Lega Araba di Jeddah, dopo 12 anni di sospensione dall’organismo. Ufficialmente sul tavolo del summit c’era la mediazione dei conflitti in corso in Yemen e Sudan, il contrasto al traffico di stupefacenti (in particolare Captagon) dalla Siria e il rimpatrio dei profughi fuggiti dalla guerra. Il tacito obiettivo di tutti i presenti però sembrava la partecipazione alla spartizione della torta della ricostruzione, stimata in almeno 400 (se non in 1.000) miliardi di dollari tra ripristino delle infrastrutture danneggiate e nuovi progetti di sviluppo. D’altronde, da quando ha riconquistato ampie porzioni del Paese grazie all’intervento militare russo e all’appoggio delle milizie finanziate dall’Iran, Assad ha cominciato a ricostruire piccole zone della Siria, compreso l’antico mercato di Aleppo e alcune moschee nella stessa città e a Homs. Non solo: dopo decenni di nazionalizzazione dell’economia Damasco ha aperto le porte del settore telecomunicazioni a imprese legate alla Guardie Rivoluzionarie dell’Iran e firmato a inizio maggio ben 15 accordi di cooperazione commerciale con Teheran in vari settori, tra cui i comparti energetico e dei trasporti. Tutto questo però non basta ad Assad, che ha bisogno di altri investitori e in molti appaiono desiderosi di sedersi a un tavolo tanto ricco. In primis, Riad.
• INTERESSI DIVERGENTI Le ragioni sono tutte economiche ma hanno un risvolto politico importante per la regione, proprio come l’accordo tra sauditi e iraniani, mediato dalla Cina. Il principale motore della normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi è stata la necessità per entrambi di rifiatare economicamente, il primo a causa della debolezza e volatilità dei corsi petroliferi legata alle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina e il secondo per le decennali sanzioni imposte da Usa ed Europa per frenarne il programma nucleare. Al di là delle conseguenze immediate sulla tregua in Yemen, come notato dalla ricercatrice del Quincy Institute, Annelle Sheline, poco dopo l’annuncio dell’accordo di normalizzazione, al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman restano meno di sette anni per realizzare la sua Vision 2030 con cui intende diversificare l’economia del regno rendendola indipendente dalla sola esportazione di petrolio. Attualmente Riad deve far fronte a seri problemi di deficit, legati al calo dei prezzi sui mercati internazionali. La situazione, secondo Bloomberg Intelligence, è tanto grave che quest’anno Aramco potrebbe dover staccare altri 20 miliardi di dollari di dividendi (destinati soprattutto al governo saudita) per coprire il buco di bilancio. Così, tra le varie opportunità all’orizzonte, l’affare della ricostruzione della Siria risulta ancora più appetibile. L’unico ostacolo però sono le sanzioni imposte da Usa ed Europa contro Assad, altro motivo di allontanamento di Riad e dei suoi partner regionali dall’Occidente e implicitamente da Israele, che rischia di pagare in prima persona la messa in discussione dell’ordine dato dagli Stati Uniti al Medio Oriente negli ultimi 50 anni.
(TPI, 25 maggio 2023)
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Esodo
“Un ebreo su quattro in Europa pensa di andarsene”. I numeri del vice di Ursula
ROMA - “L’antisemitismo è in aumento e, purtroppo, le istituzioni ebraiche in tutto il continente sono costrette a destinare maggiori risorse alle misure di sicurezza. Il 38 per cento degli ebrei in Europa sta pensando di lasciare il continente a causa di sentimenti di insicurezza. E’ una vergogna, ed è responsabilità di ogni governo dell’Unione europea salvaguardare i propri cittadini”.
Così Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione europea, alla conferenza annuale a Porto di oltre cento leader delle comunità ebraiche provenienti da tutta Europa. Fra i partecipanti al fianco di Schinas anche il rabbino capo olandese, Benjamin Jacobs. Ha rivelato che lui e sua moglie se ne sarebbero già andati se non fosse per i loro doveri. “Sono come il capitano in servizio su una nave che affonda”. Come ha già fatto Benzion Evers, figlio del rabbino capo di Amsterdam.
“Emigrare è per noi una soluzione. E lo farà il sessanta per cento della comunità. Anche mio padre mi seguirà”. Cinque dei suoi fratelli e sorelle hanno d’altronde già fatto lo stesso. “Negli ultimi cinquant’anni la popolazione ebraica in Europa è diminuita del sessanta per cento e un calo simile è previsto nei prossimi trent’anni”, scrive Eldad Beck sul maggiore giornale israeliano, Israel Hayom. Matti Friedman su Tablet scrive che 106.775 ebrei francesi (un quinto del totale) sono andati a vivere in Israele dal 1972, di cui 41.860 solo dal 2010. In Francia ci sono già città, come Grenoble, da cui metà della comunità ebraica è fuggita, mentre a Nizza, che ospitava la quarta più grande comunità ebraica, sono passati da ventimila a cinquemila. A Lione, come ha di recente detto il suo rabbino capo, “rimangono solo gli ebrei che sono troppo vecchi o troppo poveri per trasferirsi”. Centinaia di famiglie ebraiche hanno lasciato Tolosa e il presidente della comunità ebraica di Francia, Arié Bensemhoun, ha consigliato ai giovani di abbandonare la città. Per Israele. Per il Canada. Per altre città francesi più sicure. Tolosa contava fino a ventimila ebrei. Oggi sono rimasti in diecimila. Joël Rubinfeld, presidente della Ligue belge contre l’antisémitisme, è allarmato e dice a Paris Match che “ci sono buone possibilità, in vent’anni, di finire con un Belgio jüdenrein” (senza ebrei). L’esito finale di questo processo, se diventa irreversibile, si chiama Malmö. Nelle scorse settimane la sinagoga della terza città della Svezia è stata isolata a causa di una minaccia terroristica. Gli imprenditori Dan Olofsson e Lennart Blecher hanno donato 40 milioni di corone alla congregazione ebraica. “Malmö è stata un rifugio per la popolazione ebraica” hanno detto. “Le persone hanno potuto vivere qui liberamente senza essere molestate. Ora Malmö sta per perdere la sua popolazione ebraica e si è guadagnata una reputazione antisemita. E’ un disastro”. “Sarebbe bello se potessi vedere Malmö come una città tranquilla dove tutti possono sentirsi al sicuro e seguire i propri sogni, ma non è così”, ha appena detto all’Expressen Jonathan Conricus, cresciuto a Malmö prima di diventare il portavoce dell’esercito israeliano e il rappresentante dello stato ebraico presso le Nazioni Unite. Ora Conricus è in una tournée in Svezia e una delle tappe è la città d’infanzia di Malmö. “Dove sono gli ebrei di Malmö?”, chiede Conricus. “Non ci sono quasi più qui”. La comunità ebraica ha anche una data per la propria “scadenza”, il 2029, a meno che le circostanze non cambino. La città più multiculturale della Scandinavia contava 2.500 ebrei negli anni 70, 842 nel 1999, 610 nel 2009, 387 nel 2019, appena duecento oggi. “In dieci anni non ci saranno più ebrei”.
Il Foglio, 25 maggio 2023)
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Challah fatta in casa: la guida definitiva
Vuoi replicare la ricetta del tipico pane ebraico preparato nel giorno dello Shabbat ma non hai dimestichezza con i lievitati? Ecco una guida definitiva per te, con consigli mirati e la ricetta dal risultato garantito.
di Francesca Zampelli
La Challah è definibile come la variante ebraica del pan-brioche che tutti conosciamo. La particolarità non si riscontra tanto nel procedimento o negli ingredienti della ricetta, quanto nel suo legame con la tradizione religiosa ebraica. La Challah, infatti, viene consuetudinariamente preparata durante il Capodanno ebraico e nel giorno dello Shabbat, coincidente con il settimo giorno della settimana: il sabato. Nello specifico, la celebrazione finalizzata al riposo ha inizio dal tramonto del venerdì e termina all’imbrunire del sabato.
Per ottenere un pane Challah perfetto bisogna far attenzione in particolare alla lievitazione e all’inconfondibile forma intrecciata. Il tempo di lievitazione sarà commisurato alla quantità di lievito, che a sua volta si può preventivamente stabilire in base al tempo che si ha a disposizione. Una lievitazione più lunga e meno lievito possibile, tendenzialmente, rendono il pane più digeribile. Bisognerebbe evitare che l’impasto si raffreddi sotto i 28° ed è consigliabile che mantenga la temperatura anche durante la lievitazione, motivo per cui è preferibile utilizzare acqua leggermente calda nella preparazione e porre accanto al recipiente con l’impasto un altro recipiente con acqua calda in un forno chiuso con la luce accesa durante la lievitazione: questo agevola anche il mantenimento dell’umidità. L’utilizzo dello zucchero è fondamentale nelle ricette di lievitati, anche se questi ultimi accompagnano portate salate. In questo caso, infatti, lo zucchero è necessario per attivare la fermentazione del lievito. La ricetta della Challah prevede lo zucchero o, in alternativa, il miele. Grande amico della lievitazione è l’utilizzo di una farina “forte”, meglio capace di trattenere aria all’interno dell’impasto favorendo la buona riuscita della ricetta e la tipica alveolatura. La scelta della tipologia di lievito da utilizzare, fresco o secco, deve rispettare le proporzioni di peso tra i due e il processo di attivazione del secondo: un panetto di lievito fresco da 25 grammi corrisponde ad una bustina di lievito secco da 7 grammi. Il lievito secco va però attivato in acqua calda (una parte di quella che serve per la ricetta) per almeno 10 minuti, fino al suo scioglimento, prima di unirlo agli altri ingredienti. Una volta stabilito il tipo e il quantitativo di lievito da utilizzare, fondamentale è il rispetto maniacale dei tempi di lievitazione, o si rischia di far rompere la maglia glutinica provocando l’acidità e il collasso dell’impasto in cottura. Tipicamente, la ricetta ebraica prevede anche la realizzazione di una treccia fino a 10 capi. Una versione allo stesso modo scenografica e non complessa può prevedere anche quattro capi. Basterà seguire lo stesso iter a ripetizione: prendere il lembo all’estrema destra e portarlo oltre i due lembi contandoli da destra verso sinistra, ripetere la stessa cosa con il lembo all’estrema sinistra e invertendo la direzione del conteggio dei due lembi e infine prendere il secondo lembo partendo da sinistra e spostarlo al centro contando due lembi da sinistra verso destra. I meno temerari possono affidarsi ad una forma intrecciata a tre capi, che non toglierà nulla ad una Challah realizzata con cura e affidamento alla ricetta. Di seguito le indicazioni per una preparazione infallibile. Le dosi si riferiscono a una treccia di Challah lunga circa 35/40 cm, raddoppiarle in caso di necessità.
Ingredienti per il lievitino:
Ingredienti per l’impasto:
200 gr di farina 50 gr di zucchero 1 uovo intero 1 tuorlo per spennellare 1 cucchiaio di olio di semi a scelta 8 gr di sale
La ricetta inizia con la preparazione del “lievitino“: un impasto che permette di effettuare una pre-lievitazione. L’utilità sta nell’accorciare il tempo totale della lievitazione e nel conferire una maggiore forza di lievitazione.
Mescolare gli ingredienti del lievitino fino a formare un composto denso e omogeneo e far lievitare finché sulla sua superficie non si formino delle bollicine: ci vorrà circa 1 ora. Una volta pronto, il lievitino può essere mescolato agli altri ingredienti, facendo attenzione a incorporarne uno per volta, alternando l’assorbimento totale di ciascuno e lasciando per ultimi olio e sale. Se si preferisce lavorare a mano, il composto va impastato almeno 10 minuti, se si opta per l’impastatrice basterà che diventi liscio e non appiccicoso. Appena l’impasto della challah risulta sufficientemente amalgamato, la lievitazione può iniziare. Si consiglia di riporre l’impasto in una ciotola unta e coperto da pellicola, in forno chiuso e con luce accesa (se si vuole, seguendo i consigli precedentemente forniti). Ci vorranno circa 3 ore, se fa molto caldo anche 2 ore e mezza, dovrebbe triplicare di volume. Per realizzare la tipica forma della treccia, dopo aver scelto il numero di capi da utilizzare, dividere l’impasto in parti uguali aiutandosi con una bilancia, così da ottenere dei capi equi per volume e lunghezza. Dopo aver realizzato la treccia bisogna riporla sulla teglia scelta per la cottura, che sia non troppo piccola: serve dello spazio che favorisca l’ultima lievitazione. Ci vorrà almeno un’altra ora per consentirne il raddoppio. Prima di iniziare la cottura, spennellare la superficie della treccia con tuorlo d’uovo sbattuto e, facoltativamente, aggiungere semi di papavero, di sesamo o semi misti. Possibilmente, infornare nella parte media o medio-bassa del forno per assicurarsi che il fondo cuocia bene, a 170 gradi per 25 minuti. Ogni forno è diverso, per cui l’impasto va controllato ogni tanto in caso di variazioni sui tempi. Appena pronta, il consiglio è di lasciare intiepidire la Challah o anche raffreddare totalmente prima di mangiarla. Per conservarla al meglio si consiglia di sigillarla per bloccare il più possibile il passaggio d’aria e mantenerla fragrante fino a 3 giorni.
(Eroica Fenice, 25 maggio 2023)
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L’israeliana Inbar Lanir vince l’oro ai Campionati Mondiali di Judo in Qatar
di David Fiorentini
L’atleta israeliana Inbar Lanir si è aggiudicata la prestigiosa medaglia d’oro nella categoria dei 172 libbre ai Campionati mondiali di judo svoltisi a Doha. Questo risultato segna un importante traguardo per Israele, poiché è la prima donna del paese a conquistare la vetta del podio in questa competizione dal 2014, quando lo fece Yarden Gerbi. Nella sua straordinaria performance, Lanir ha sconfitto la talentuosa atleta francese Audrey Tcheuméo, classificata al quarto posto a livello mondiale. La vittoria di Lanir è stata ottenuta dopo una serie di brillanti vittorie contro quattro avversarie, tra cui l’italiana Alice Bellandi, leader del ranking internazionale. Emozionata per il suo successo, Lanir ha voluto dedicare la sua medaglia ai residenti del sud del paese, che stanno affrontando un periodo di difficoltà, nonché ai coraggiosi soldati dell’IDF e a tutto lo Stato di Israele. La sua determinazione nel raggiungere tale risultato in un momento così complesso e difficile è stata un modo per contribuire positivamente alla società. Il Ministro dello Sport e della Cultura, Miki Zohar, ha espresso grande entusiasmo per la vittoria di Lanir, definendola “una notizia meravigliosa per il popolo di Israele”. L’intera nazione israeliana è orgogliosa del traguardo raggiunto dall’atleta, poiché la sua vittoria ha portato gioia e soddisfazione in un momento particolarmente significativo. Israele ha ottenuto numerose medaglie nel judo durante le Olimpiadi, tuttavia non ha ancora conquistato l’ambito oro olimpico in questa disciplina. Il judo rappresenta uno dei pilastri sportivi di maggior successo per Israele, insieme al windsurf, alla vela e alla ginnastica ritmica. Con la sua vittoria ai Campionati mondiali di judo, Inbar Lanir ha lasciato un’impronta significativa nella storia dello sport israeliano, dimostrando il talento e la determinazione degli atleti del paese su una competizione di rilevanza globale.
(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)
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Un nuovo Bilancio per Israele
Lo scoglio dell’approvazione del Bilancio è sempre un passaggio delicato per i governi israeliani. Anche questa volta le trattative tra i partiti della coalizione sono stati prolungati e non senza tensioni. Ma alla fine, nel corso della mattinata, il governo del Primo ministro Benjamin Netanyahu ha ottenuto il passaggio del Bilancio biennale. La maggioranza alla Knesset ha votato compatta, con 64 voti a favore, dando così al Premier due anni di tranquillità, almeno sul fronte del budget statale. I negoziati interni sono stati lunghi. Il Likud ha trattato per settimane con i partiti haredi – Shas e Yahadut HaTorah – e con il fronte dell’estrema destra – Sionismo religioso e Otzmah Yehudit. Alla fine un compromesso – molto criticato dalle opposizioni, ma anche da alcuni economisti – è stato trovato. Il bilancio ammonterà a 484 miliardi di shekel nel 2023 e a 514 miliardi nel 2024.
Parlando dopo il voto alla Knesset, Netanyahu ha affermato che il via libera è la dimostrazione “che questa coalizione sa come lavorare. Resteremo qui per quattro anni. L’opposizione non si illuda”.
“È un momento molto importante”, ha dichiarato Yohanan Plesner, il presidente dell’Israel Democracy Institute in merito all’approvazione del Bilancio biennale. “Dà a Netanyahu una ragionevole proiezione di stabilità per i prossimi mesi, e forse per un anno e mezzo”.
Tra le misure incluse nella finanziaria ci sono, spiega il quotidiano economico Globes, il Fondo Arnona (imposta comunale sugli immobili), la legge sulle infrastrutture nazionali, le agevolazioni burocratiche per le piccolissime imprese, una maggiore trasparenza sulle commissioni bancarie e una maggiore concorrenza nel mercato dei pagamenti. Il bilancio, rileva ancora Globes, è stato criticato per la mancanza di misure volte a contenere il costo della vita e per l’ampliamento delle sovvenzioni garantite al settore haredi. In particolare nell’occhio del ciclone ci sono 4 miliardi di euro diretti ad aumentare, tra le altre cose, i sussidi per gli uomini haredi (ultraortodossi) che studiano a tempo pieno nelle scuole religiose. E sono poi previsti ulteriori fondi per queste ultime. Il direttore del bilancio del Ministero delle Finanze, Yogev Gardos, ha avvertito che questi stanziamenti rischiano di danneggiare l’economia del paese, incoraggiando ulteriormente i haredi a rimanere fuori dal mercato del lavoro, diminuendo così il reddito di una comunità già segnata da livelli di povertà tra i più alti d’Israele. Gardos ha poi aggiunto che se non si incoraggia il tasso di partecipazione al lavoro tra gli uomini haredi, entro il 2065 il governo dovrà aumentare le imposte dirette del 16 per cento per mantenere lo stesso livello di servizi che fornisce senza aumentare il deficit.
Alle critiche ha replicato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich dopo il voto, accusando i media. “Confrontate la portata della copertura mediatica dei bilanci dell’istruzione haredi con quella delle altre sezioni del bilancio statale. I primi costituiscono forse lo 0,5 per cento dell’intero bilancio. Il 99 per cento va a beneficio di tutti i cittadini di Israele, ma non ve lo mostreranno. – la tesi del ministro – Per loro, il 99 per cento delle informazioni riguarderà il budget per i haredim, e meno del 50 per cento riguarderà il resto, perché non vogliono che sappiate la verità. Sapete già perché, vero? Perché quando si tratta di sinistra lodano e quando si tratta di destra si lamentano”, ha attaccato Smotrich.
“Il bilancio che il governo ha presentato è devastante”, la contestazione del capo dell’opposizione Yair Lapid. “Non c’è nessuna riforma che possa migliorare lo stato dell’economia, non ci sono motori di crescita, non c’è lotta al costo della vita, c’è solo un’estorsione senza fine”.
Con l’approvazione del pacchetto finanziario, Netanyahu si intanto è detto ottimista riguardo al passaggio della riforma della giustizia – contestata legislazione che limiterebbe alcuni poteri della Corte Suprema. Al momento i provvedimenti sono stati congelati per consentire colloqui di compromesso con l’opposizione, finora infruttuosi. “Stiamo cercando di raggiungere un’intesa. – ha dichiarato Netanyahu – Spero che ci riusciremo”.
(moked, 24 maggio 2023)
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Caos in Israele: tifosi invadono il campo, rubano medaglie e bruciano la porta
In occasione della finale di Coppa tra Betar Gerusalemme e Maccabi Natanya sono scoppiati incidenti tra tifosi, sfociati con la fuga del Capo di Stato protetto dalla scorta
MILANO - Nel calcio israeliano è scoppiato il caos nella giornata di ieri. In occasione della finale di Coppa nazionale tra Betar Gerusalemme e Maccabi Natanya, terminata 3-0, migliaia di tifosi gialloneri hanno invaso il campo dello stadio Sammy Ofer di Haifa pochi minuti prima del fischio finale. Gli ultras del Betar hanno lanciato fumogeni, fuochi d'artificio e petardi, monopolizzando il campo mentre i giocatori attendevano negli spogliatoi che gli animi si calmassero. Il Capo dello Stato, Isaac Herzog, è stato costretto a lasciare lo stadio protetto dalla scorta, e la cerimonia di premiazione è stata annullata.
Secondo i media, nella confusione generale venutasi a creare, alcune medaglie destinate ai giocatori sono state rubate ed una delle porte del campo è stata bruciata. La direzione del Sammy Ofer ha precisato che i danni materiali sono di 100.000 shekel, circa 25.000 euro. La direzione del Betar Gerusalemme ha imputato la responsabilità dei disordini ad insufficienze organizzative dell'Associazione calcio israeliana, della polizia e della società addetta alla sicurezza. La società giallonera - squadra tradizionalmente vicina al Likud, principale partito di governo - insiste adesso per ricevere stasera la Coppa nella residenza del Capo dello Stato e per organizzare una grande festa in un parco della città. Il ministro per lo sport, Micky Zohar (Likud,) ha giustificato questa posizione rilevando che, sul piano puramente sportivo, "non c'è dubbio che i calciatori del Betar Gerusalemme si siano meritati il premio". Il suo ministero, ha aggiunto, si riserva di rivedere in futuro i provvedimenti necessari per prevenire le invasioni di campo. La posizione ufficiale dell'Associazione calcio israeliana non è ancora nota. Secondo alcuni media il suo presidente, Moshe Zuaretz, avrebbe comunque già inoltrato "messaggi tranquillizzanti" alla dirigenza del Betar.
(La Gazzetta dello Sport, 24 maggio 2023)
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L’esodo silenzioso degli ebrei dai Paesi arabi alla Commissione degli Esteri
Il 23 maggio David Meghnagi, docente universitario, psicoanalista e studioso, ha tenuto alla Commissione degli Esteri una audizione di 45 minuti su “L’esodo silenzioso” degli Ebrei dal mondo arabo, che vide più di 850.000 ebrei costretti a lasciare i Paesi arabi. Un tema, questo, di cui si parla ancora molto poco. In 15 anni si tratta della quarta audizione sul tema fatta alla Commissione degli Esteri da Meghnagi: la prima, nel giugno del 2009 con Irwin Cottler, già ministro del Canada e Fiamma Nirenstein allora vice presidente della Commissione esteri, poi nel 2016, realizzata per conto dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, quella del 2021 e quella di quest’anno. “Si tratta di un percorso che ha come obiettivo la sensibilizzazione della classe politica su un tema poco noto e largamente rimosso dal dibattito politico la cui conoscenza è fondamentale per una rilettura della storia più recente del mondo arabo e del conflitto arabo israeliano – spiega a Mosaico David Meghnagi -. L’ostilità contro gli ebrei nasce prima del rifiuto opposto alle aspirazioni del movimento di rinascita nazionale ebraico. Si trattò in una prima fase del rifiuto del diritto degli ebrei all’emancipazione. L’emancipazione degli ebrei e dei cristiani era percepita come una violazione dei valori dell’umma islamica, la messa in discussione da una condizione di sottomissione considerata immutabile. L’odio contro Israele viene dopo ed è stato considerato come la realizzazione di un piano di stravolgimento dell’umma islamica e della nazione araba”. Sul tema Meghnagi aveva realizzato, nel 2017, in occasione dei cinquanta anni dall’ultimo esodo dalla Libia (1967) con il regista Ruggero Gabbai il documentario Fuga da Tripoli, un documentario sugli ebrei di Libia che la Rai ha proiettato in prima serata, mentre qualche anno prima lo stesso Ruggero Gabbai ne aveva realizzato un altro sugli ebrei egiziani, Starting over again. “Ma ne occorrerebbero altri sugli ebrei iraniani, irakeni, siriani, tunisini, tanto più che la composizione delle nostre comunità è profondamente cambiata – commenta Meghnagi -. A Roma un terzo della comunità è origine libica e a Milano la maggioranza proviene dai paesi arabi e dall’Iran. Si tratta ormai di una parte interna della storia ebraica italiana non pienamente metabolizzata e rappresentata. Realizzare dei documentari di qualità contribuirebbe a fare conoscere meglio una pagina importante della storia dell’ebraismo italiano, ma anche del Vicino Oriente”. Secondo Meghnagi, “la narrazione della storia aiuterebbe a guardare al conflitto mediorientale con uno sguardo diverso e più ampio e forse anche per questo la loro vicenda è stata largamente ignorata, rimossa o derubricata come fosse una mera conseguenza del conflitto arabo-israeliano e non invece la spia di un processo endogeno cominciato molto prima e che dopo gli Ebrei ha colpito altre minoranze della Regione. Le comunità ebraiche del mondo arabo e islamico sono oggi solo un flebile ricordo. Eppure non molto tempo fa ne costituivano un elemento essenziale e costitutivo. Oltre 850.000 ebrei lasciarono per sempre il mondo arabo”. “Se il mondo arabo avesse accettato la nascita dello Stato di Israele e non avesse scatenato una guerra di distruzione in cui Israele perse l’1 per cento della sua popolazione, israeliani e palestinesi festeggerebbero oggi nello stesso giorno la loro indipendenza – continua -. La guerra di distruzione ebbe come conseguenza il dramma di 700 mila profughi arabi e 50 mila profughi israeliani, a cui si aggiunsero 850 mila ebrei fuggiti dai paesi arabi, che non erano parte del conflitto, ma furono ugualmente perseguitati, derubati e cacciati: erano degli ostaggi inermi che subirono la violenza delle folle e trovarono in larga parte rifugio in Israele dove ricostruirono le loro esistenze spezzate, trasformando l’esilio in esodo. I palestinesi furono invece trasformati in profughi permanenti con l’obiettivo di rendere il conflitto non componibile politicamente”.
(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)
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“Una leadership di competenze e autorevolezza per le sfide del futuro”
In occasione delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio e della Consulta della Comunità Ebraica di Roma, la redazione di Shalom ha posto sei domande ai candidati presidenti delle tre liste. Di seguito l’intervista ad Antonella Di Castro, candidata Presidente della lista Per Israele.
- Come avete stilato il vostro programma elettorale? Quali sono priorità e obiettivi della vostra lista? Il programma di Per Israele è frutto di un intenso lavoro di squadra. Chi ci ha preceduto, ciascun candidato, assieme alla sottoscritta, candidata Presidente, ha apportato il proprio contributo, le idee, rispondendo ad una visione comune basata su valori e prospettive che si trasformano in azioni quotidiane per garantire vita e continuità alla Comunità ebraica di Roma. I vari punti del programma sono stati declinati in progetti che illustrano gli obiettivi. Le sfide che ci attendono sono molteplici, solo attraverso un impegno costante possono essere affrontate, grazie alle competenze di ogni singolo componente della lista.
- Quali sono le sfide più urgenti e significative della Comunità in questo momento storico? Ogni giorno gli iscritti affrontano problematiche diverse: il lavoro che cambia velocemente, i giovani che cercano stabilità per poter creare nuove famiglie, gli impegni per garantire l’educazione ebraica, i costi della kasheruth e molto altro: tutte sfide che ci attendono nei prossimi anni, esigenze di fronte le quali la dirigenza comunitaria deve dare delle risposte. Sono sfide importanti che impegneranno gli assessori di riferimento in progetti di piccolo taglio, immediata evidenza e di lungo respiro.
- In che modo la vostra lista mette in campo le competenze per affrontare queste sfide? Ho al mio fianco, per scelta, tutte le anime della comunità perché ciascuno possa sentirsi rappresentato. Non accetto l’idea di rappresentare un’istanza piuttosto che l’altra, tutti in questa Comunità abbiamo diritto di essere rappresentati. Abbiamo però anche il dovere di votare chi meglio ci rappresenta e rispecchia il modello di gestione che vogliamo per la Comunità. Dunque la composizione della lista Per Israele è espressione di quelle anime e di quelle competenze necessarie per proporre soluzioni: ogni componente porta un bagaglio di valori e abilità necessari ad affrontare le nuove sfide.
- Quali sono le qualità e le caratteristiche che dovrebbero contraddistinguere una valida leadership per la comunità di Roma dei prossimi anni? La Comunità è un ente morale. La sua leadership oltre alle imprescindibili qualità di competenza, professionalità, spirito di servizio, abnegazione e autorevolezza deve saper dialogare all’interno con ogni singolo iscritto. Cosi come è necessario mantenere autorevolezza e credibilità di idee, di principi per farli comprendere alla società civile, manifestando sempre con orgoglio le peculiarità del popolo ebraico e l’irrinunciabile legame con Israele. Bisogna essere portatori di valori sani e di principi morali che fondano le loro origini nella Torah e nell’insegnamento dei Maestri, in una società che spesso mette in crisi tutto questo.
- Tra le sfide più impegnative in cui si trova il nostro Paese vi è il calo demografico, un fenomeno che risulta presente e forse amplificato nella Comunità. Come si può intervenire e come si possono arginare gli effetti negativi a lungo termine? È evidente che per le comunità ebraiche il calo demografico rischia di diventare drammatico, perché oltre al venir meno il ricambio generazionale, nelle realtà più piccole impatta sino al rischio di far sparire letteralmente le comunità. Una leadership ebraica che voglia dare risposte ed offrire soluzioni deve essere di sostegno alle coppie, deve garantire i servizi, la Scuola Ebraica innanzitutto, sostegno economico e accoglienza. Creare le condizioni per vivere una serena vita ebraica. Tutto questo viene anche dal senso di appartenenza, fiducia, speranza e sostegno che una “famiglia” può e deve dare. Questo è fare Comunità.
- Se dovesse essere eletta presidente, come immagini la comunità tra 4 anni, al termine del mandato del prossimo consiglio? Laddove fossi eletta vorrei lasciare una Comunità più coesa, con un bilancio solido che possa ricevere contributi esterni per necessità straordinarie, ma che sia autosufficiente, con una natalità in ripresa e con quel senso di orgoglio che ci caratterizza da secoli. Ma in prima istanza vorrei che fosse una Comunità dove tutti si sentano rappresentati e nessuno lasciato indietro, dove tutti abbiano voglia di partecipare concretamente e di votare per scegliere chi governa, certi che sarà per il bene comune.
(Bet Magazine Mosaico, 24 maggio 2023)
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«In vigile attesa dell'epidemia prossima ventura»
Perfino Repubblica aveva dovuto prenderne atto:
«Fine pandemia, l'Oms: "I contagi continuano, ma Covid non è più un'emergenza"»,
è il titolo di un articolo fatto uscire da quel giornale il 5 maggio scorso. Ma la sparizione del mostro covid non solo dalla fattualità del presente ma anche dall'orizzonte del futuro dev'essere apparsa insopportabile a quella stampa benpensante. Ecco allora un titolo di oggi dello stesso giornale, quello che ci dice tutto su quello che dobbiamo sapere, credere e pensare:
«Covid, l'assalto delle nuove varianti XBB: ecco perché fanno paura».
Capito il messaggio subliminale (ma non troppo) inviato ai devoti lettori? Dovete avere paura, ricordatevelo sempre. Dovete rimanere in vigile attesa della sciagura che vi potrebbe colpire se non... ed ecco allora un altro titolo di qualche giorno fa:
«Rischio di nuova pandemia Covid, l'Oms: "Aggiorniamo i vaccini o non ce la faremo"».
Capita l'antifona? Senza i vaccini rischiamo di non farcela. Dobbiamo desiderarli, i vaccini; chiederli insistentemente, i vaccini; dobbiamo essere disposti a tutto pur di averli, i vaccini; e averli prima degli altri (come ha insegnato l'Israele di Netanyahu). E rimanere poi in uno stato di vigile attesa del peggio che verrà... se non arriveranno i vaccini.
Altri titoli terroristici trovati sulla stessa stampa:
«Covid, il virus cambia strategia: arriverà a piccole ondate»
«Covid: nuova epidemia in arrivo entro due anni, ma non sarà Omicron»
«Covid, perché la variante XBB adesso preoccupa la Cina? Quali sono i rischi reali?»
Temete, temete, temete gente, e poi... andrà tutto bene. M.C.
(Notizie su Israele, 24 maggio 2023)
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Netanyahu sarà negli Emirati a novembre per conferenza Onu
Due telefonate del premier al principe saudita bin Salman
Benyamin Netanyahu compirà a novembre - su invito del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed al-Nahyan - una visita a Dubai in occasione della Conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici.
Lo ha riferito l'ufficio del premier israeliano secondo cui questo l'invito gli è stato inoltrato ieri dall'ambasciatore degli Emirati in Israele Mohamed Mahmoud al-Khaja.
Il Jerusalem Post ha intanto appreso che Netanyahu ha avuto due conversazioni telefoniche con il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman. Questi colloqui sono avvenuti prima e dopo il recente vertice della Lega araba e sono stati resi possibili da un intervento del Bahrein. Secondo il Jerusalem Post, al centro delle conversazioni fra Netanyahu e bin Salman una eventuale normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi, un tema su cui però - secondo il giornale - non sono stati registrati progressi. Israele si attende intanto dall'Arabia saudita l'autorizzazione a voli diretti fra Tel Aviv e Riad per i pellegrinaggi degli arabi israeliani.
(ANSAmed, 23 maggio 2023)
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Vince Eshkol Nevo; magico l’incontro con i ragazzi-giurati
Premio Letterario ADEI WIZO “Adelina Della Pergola”. Due giorni con i protagonisti della narrativa ebraica. Alla premiazione alla Normale di Pisa e all’incontro con i ragazzi a Livorno, Eshkol Nevo e Andrea Molesini. E poi A. Gundar Goshen, Y. Leykin, M. Gross in collegamento da Israele e New York
Non un posto libero nella sala Azzurra della Scuola Normale Superiore a Pisa. Venuti in tanti per questa giornata conclusiva della XXIII edizione del Premio Letterario ADEI WIZO “Adelina Della Pergola”: dopo tre anni di premiazioni on line si torna in presenza in un luogo degno della tradizione d’eccellenza di questo evento. Il 15 e 16 maggio, sono accorse quindi le donne dell’ADEI WIZO da tutta Italia ma anche tanti studenti e cittadini livornesi e toscani amanti della letteratura, per un evento imperdibile, con al tavolo d’onore due autori pluripremiati come Eshkol Nevo e Andrea Molesini, mentre sullo schermo in collegamento c’erano Ayelet Gundar Goshen, Yigal Leykin e Max Gross, da Israele e New York. Un parterre di tutto rispetto che in questa edizione, tra premiati e finalisti, ha raccolto il meglio di una nuova generazione di autori israeliani. Un modo perfetto per assolvere nella società contemporanea al compito per cui è stato creato nel Duemila: trasmettere le molteplici realtà del mondo ebraico attraverso la narrativa e usarle come strumento contro il pregiudizio. «Ci ritroviamo ad esprimere questi concetti in un luogo di bellezza, progresso e sapere – spiega Susanna Sciaky, Presidente dell’ADEI WIZO Nazionale – e tuttavia l’antisemitismo vive e cresce nelle zone grigie dell’indifferenza e dell’ignoranza. L’impegno di questo Premio è più che mai necessario per far conoscere il nostro mondo, senza quei filtri e distorsioni che sono difficili da sradicare persino in persone insospettabili. Ma vedendo anche quanto ci hanno scritto gli studenti protagonisti della sezione ragazzi, direi che qualche passo nella direzione giusta lo stiamo facendo». Tante le autorità intervenute: il Direttore della Scuola Normale Superiore Luigi Ambrosio, l’assessore all’Urbanistica del Comune di Pisa Massimo Drigoli, l’assessore alla Cultura del Comune di Livorno Simone Lenzi, il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Livorno Maggiore Ugo Chiosi, il presidente della Comunità Ebraica di Pisa Maurizio Gabbrielli e il presidente della Comunità Ebraica di Livorno Vittorio Mosseri. La cerimonia è entrata nel vivo con un commosso Eshkol Nevo che ha ricevuto dalle mani di Susanna Sciaky il Premio, per poi raccontare del suo libro scelto dalla giuria popolare Le vie dell’Eden attraverso le domande della giornalista Francesca Nocerino e di Andrea Molesini: «Il primo Premio Letterario che ho ricevuto è stato proprio questo, ADEI WIZO Adelina Della Pergola, per La simmetria dei desideri – ricorda Nevo. – All’epoca fu proprio quello di cui avevo bisogno per spronarmi a continuare questo mestiere. Si può dire che oggi sto chiudendo un cerchio. Un ringraziamento all’ADEI WIZO e a Neri Pozza che hanno creduto in me fin dall’inizio». «Oggi, una delle cose che possiamo fare è ri-umanizzare e dare la vita alle parole che sono state usate fino a consumarsi, e che rischiano di diventare parole vuote». Il Premio per la sezione ragazzi lo ha vinto Ayelet Gundar Goshen con Dove si nasconde il lupo collegata a distanza da Israele. «In fondo il mistero della vita non è l’esplorazione dell’universo – spiega – ma cercare di capire chi sono le persone a noi più care. Ed è questo l’aspetto veramente umanistico della letteratura, perché ci troviamo ad affrontare tutti gli stessi problemi». La cerimonia è proseguita con i saluti da Israele di Sergio Della Pergola che insieme alla sorella Mara tiene in vita il ricordo della madre attraverso quest’opera meritevole. Andrea Molesini, Premio Speciale della giuria per Il rogo della Repubblica, presente in sala, ha invece immerso il pubblico nelle vicende storiche della Repubblica di Venezia del XV secolo. Il giorno dopo, 16 maggio, il Premio ha visto gli scrittori incontrare i ragazzi delle scuole. Un momento che è diventato sempre più importante. Più di 700 quest’anno gli studenti da tutta Italia coinvolti nel ruolo di giurati. Alla Goldonetta di Livorno (ridotto del Teatro Goldoni) sono arrivati persino da Pomigliano d’Arco e da Galatina e in centinaia hanno seguito la cerimonia on line. Tantissime le domande agli scrittori, incentrate sui rapporti famigliari e le dinamiche dell’adolescenza, un tema molto trattato dalla letteratura israeliana. Straordinaria la capacità di analisi di questi ragazzi, estremamente preparati sui libri letti e votati. Segno che davvero l’iniziativa dell’ADEI WIZO ha colpito nel segno.
(Bet Magazine Mosaico, 23 maggio 2023)
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Intelligence israeliana: Hezbollah vicino a scatenare guerra con Israele
Nel frattempo l'Iran costruisce una nuova base sotterranea per l'arricchimento dell'uranio e basi terroristiche galleggianti.
Il capo della Direzione dell’intelligence militare dell’IDF ha detto lunedì che il capo del gruppo terroristico libanese Hezbollah è “vicino a commettere un errore” che potrebbe scatenare una guerra regionale, avvertendo che il conflitto tra Israele e Iran sta diventando sempre più diretto. Parlando a una conferenza ospitata dall’Istituto di politica e strategia dell’Università Reichman di Herzliya, Aharon Haliva ha affermato che “le possibilità di un’escalation che potrebbe degenerare in guerra non sono basse” e che, per quanto riguarda Hassan Nasrallah, la recente fiammata al confine tra Israele e Libano potrebbe non essere finita. Haliva ha alluso ai commenti passati di Nasrallah, secondo cui il rapimento da parte di Hezbollah di due soldati israeliani al confine nel 2006, che ha scatenato la Seconda guerra del Libano, è stato un errore, ma ha detto che ora comincia a credere che l’equilibrio di potere possa essere messo alla prova. “La storia del terrorista al Meggido Junction non è un caso isolato”, ha detto Haliva, riferendosi all’attentato dinamitardo di marzo che ha ferito gravemente un uomo e che si sospetta sia stato orchestrato dal gruppo terroristico sostenuto dall’Iran. “Nasrallah è vicino a commettere un errore che potrebbe far precipitare la regione in una grande guerra. È vicino a commettere questo errore dal Libano o dalla Siria”. Ha anche detto che il presidente siriano Bashar Assad, un altro alleato iraniano, sta diventando sempre più sicuro di sé, facendo notare la sua inclusione al vertice della Lega Araba in Arabia Saudita la scorsa settimana dopo 12 anni di assenza e un recente attacco di droni lanciato dalla Siria. “Tutto questo crea un alto potenziale per un’escalation nella regione e dobbiamo essere preparati al fatto che i nostri nemici non capiranno il messaggio che stiamo inviando. Che non si sbaglino, siamo pronti a usare la forza e faremo tutto il possibile e il necessario per riportare la calma”, ha detto Haliva. Le osservazioni sono giunte un giorno dopo che Hezbollah ha invitato i media a coprire un’importante esercitazione che simulava una guerra con Israele, affermando di essere pronto per un potenziale conflitto con lo Stato ebraico. Passando all’Iran, Haliva ha definito la Repubblica islamica “una minaccia reale per Israele” e ha affermato che “il confronto è diventato diretto” tra i Paesi negli ultimi anni. Haliva ha detto che il programma atomico iraniano ha continuato a progredire – “sia nel campo dell’arricchimento [dell’uranio] che in quello della costruzione di un’arma” – ma ha sottolineato che la sua unità non crede che i leader iraniani abbiano ancora preso la decisione di “scoppiare” per una bomba nucleare. “Ma ci si sta preparando per il giorno in cui il leader supremo o il suo successore prenderanno una tale decisione. Abbiamo gli occhi aperti per segnalare in qualsiasi momento la prontezza dell’Iran su questo punto”, ha aggiunto.
• BASI TERRORISTICHE GALLEGGIANTI Prima di lui il ministro della Difesa Yoav Gallant ha rivelato alla conferenza che l’Iran sta convertendo le navi mercantili in navi militari armate di droni, sistemi missilistici e strumenti avanzati per la raccolta di informazioni. Gallant ha sostenuto che il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche sta cercando di costruire “basi del terrore galleggianti” come parte di una “politica preoccupante, simile a quella dei pirati”. “L’Iran si sta comportando come un insieme di organizzazioni criminali e non come uno Stato moderno”, ha aggiunto. “Le basi del terrore galleggianti sono un’estensione del terrorismo marittimo in corso da parte dell’Iran, come si vede nelle sue azioni nel Golfo Persico e nel Mar Arabico. L’Iran mira a espandere il suo raggio d’azione all’Oceano Indiano, al Mar Rosso e persino alle coste del Mediterraneo”. “Si tratta di un piano strutturato progettato per minacciare le rotte commerciali e di volo – sia militari che civili – e per creare una minaccia permanente nell’arena marittima”, ha accusato Gallant. “Il modo per affrontare il terrorismo iraniano in aria, in mare e sulla terraferma è attraverso la cooperazione internazionale e la creazione di coalizioni”. Intervenendo all’inizio della giornata alla stessa conferenza, il direttore generale del Ministero della Difesa Eyal Zamir ha dichiarato che l’esercito investirà risorse significative nei prossimi anni nell’intelligenza artificiale, che secondo lui ha il potenziale per migliorare drasticamente l’intelligence e il targeting di Israele contro l’Iran. I suoi commenti sono arrivati mentre l’Associated Press ha rivelato che l’Iran sta costruendo un impianto nucleare così profondo nel sottosuolo che probabilmente è al di là del raggio d’azione di un’arma statunitense di ultima generazione progettata per distruggere tali siti. Con l’Iran che sta producendo uranio vicino a livelli di qualità per le armi dopo il fallimento del suo accordo nucleare con le potenze mondiali, l’installazione complica gli sforzi dell’Occidente per impedire a Teheran di sviluppare potenzialmente una bomba atomica, mentre la diplomazia sul suo programma nucleare rimane in stallo. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu hanno dichiarato che non permetteranno all’Iran di costruire un’arma nucleare.
(Rights Reporter, 23 maggio 2023)
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Sinagoga fiori per la festa di Shavuot
Domenica 28 “Aspettando il Golem”
La Sinagoga di Casale si è riempita nuovamente di rose domenica 21 maggio, rispettando così una tradizione particolarmente sentita in città con l’avvicinarsi della festa di Shavuot. Un tripudio di colore e profumo resa possibile quest’anno grazie alla partnership con Coniolo Fiori.
Fu nel maggio del 2006, in occasione del Festival di Cultura ebraica Oyoyoy, svolto in contemporanea con la manifestazione Riso & Rose, che si addobbò per la prima volta in questo modo il tempio di vicolo Salomone Olper e da allora le rose non sono mancate ogni anno. Persino durante la pandemia, nel giugno 2020, quando la festa venne abbinata a una iniziativa di altro profilo artistico presentando: “Shaar Leatid” (Porta per il futuro) di Angelo Castucci: un’opera d’arte contemporanea in forma di poster in edizione limitata che è stata resa nuovamente proposta al pubblico in occasione dei festeggiamenti di quest’anno.
Shavuot si celebra sette settimane dopo Pesach (quest’anno ricorre a partire dalla sera del 25 maggio) ed è una festa legata a tutta la simbologia della primavera. Tradizionalmente viene associata anche alla discesa di Mosè dal Monte Sinai con le Tavole della Legge, un evento festeggiato da tutta la natura con una profusione di fiori al suo passaggio.
Domenica 28 maggio le iniziative culturali al complesso ebraico di vicolo Olper proseguono con un doppio appuntamento. Al mattino alle ore 11 si inaugura la mostra “Aspettando il Golem”, realizzata in occasione di Casale Comics & Games. Raccoglie le illustrazioni di tre artisti della casa Editrice Orecchio Acerbo: Maurizio Quarello, Alice Barberini, Isabella Labate. Nel pomeriggio alle ore 17 primo appuntamento della rassegna “Musica nel complesso ebraico”: si ricorda Italo Calvino nel centenario della nascita con i ragazzi del Coro Ghescer e i solisti dell’Opera dei Ragazzi diretti da Erica Patrucco.
(Il Monferrato, 23 maggio 2023)
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È online il bando per partecipare a “Accelerate in Israel”
Il programma per le start-up italiane in Israele
di Francesco Paolo La Bionda
L’ambasciata italiana in Israele ha lanciato online, a questo link, il bando per partecipare ad “Accelerate in Israel”, quarta edizione del programma promosso dalla rappresentanza diplomatica per facilitare alle start-up italiane un periodo di accelerazione in Israele. Le domande di partecipazione dovranno essere presentate entro il 30 giugno 2023. “Accelerate in Israel” è lo strumento di sostegno dedicato alle start-up italiane finanziato nel quadro dell’Accordo di Cooperazione scientifica, tecnologica e industriale tra Italia e Israele. Giunto alla quarta edizione, può contare anche quest’anno sulla collaborazione con l’Agenzia ICE, la Camera di Commercio e Industria Israele-Italia e con Intesa Sanpaolo Innovation Center, e prevede un contributo di 14.000 euro per ciascuna delle start-up che verranno selezionate e un periodo di accelerazione di otto settimane presso un acceleratore israeliano. Le dodici start-up selezionate dovranno appartenere ai settori delle tecnologie per l’agricoltura e l’alimentazione; tecnologie per l’ambiente, l’energia verde e le risorse idriche; tecnologie medicali e tecnologie dello spazio. Nel comunicato stampa di lancio, l’Ambasciatore italiano in Israele, Sergio Barbanti, ha commentato: “la quarta edizione di Accelerate in Israel offrirà ai nostri giovani imprenditori della filiera tecnologica una occasione di presentarsi all’eccezionale ecosistema dell’innovazione israeliano e di beneficiare di un’opportunità unica per sviluppare la propria idea d’impresa attraverso un serrato periodo di lavoro con imprenditori e investitori israeliani e internazionali”.
(Bet Magazine Mosaico, 22 maggio 2023)
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Arte e geopolitica tra passato presente e futuro
di Paola Bergamo *
I-TAL-YA , o Isola della Rugiada Divina, è il titolo di questo splendido bosco italico fatto di numeri e lettere tratte dall’alfabeto ebraico che magicamente e sapientemente si compongono, con sapore alchemico, lungo il percorso della Ghematria per mano del famoso artista veneziano Tobia Ravà. L’opera, di grande fascino, sottolinea l’importante contributo fisico, etico e filosofico che la Comunità Ebraica Italiana ha dato al Risorgimento e la stretta connessione e tra il pensiero e la logica dell’ideale Sionista ed il Risorgimento Italiano. Il bosco, se qui è simbolicamente espressione di memoria e quindi di storia, è pure inteso quale polmone della terra e perciò immagine rappresentativa di respiro, di vita, anche quella di nuova occasione di vita come fu la fondazione dello Stato di Israele. Quello di Ravà è, però, un bosco costruito dall’uomo: gli alberi hanno tutti la stessa distanza e tra la parte verde e quella rossa si apre una bianca distesa dove fulgida è la luce che invita ad un cammino futuro più pulito, più etico. Nel dipinto, nel quale un immaginario sottofondo ci riporta alle note del Nabucco di Verdi e alla logica dei valori sottesi alla nostra Costituzione , non mancano importanti cenni storici come i nomi di alcuni tra i più noti membri della Comunità Ebraica che presero parte attiva al nostro Risorgimento come Giacomo Bassi di Venezia, Abramo Alpron di Padova, Riccardo Luzzato di Udine, Angelo Donati di Padova, Eugenio Ravà di Reggio Emilia e altri ancora. Vi compaiono pure i nome dei Fratelli Rosselli ed Enzo Sereni e altre vittime della furia nazi-fascista. E’ quindi un’opera molto densa questo bosco dato in dono, proprio l’altro giorno a Venezia, all’Ambasciatore di Israele in Italia Sua Eccellenza Alon Bar intervenuto all’evento organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Venezia e di Padova nonché dal Rotary Club Venezia e Mestre Torre per i 75 anni dalla fondazione dello Stato Israele. A quell’evento c’ero anch’io ed è stato non solo toccante ma interessante per più di un verso. Se è vero che abbiamo festeggiato un anniversario congiunto, c’è che Israele ha festeggiato la sua Fondazione mentre noi la nostra Costituzione che Israele non ha ancora. La serata è stata preziosa occasione di dialogo con l’Ambasciatore, molto disponibile a spiegare anche che cosa stia accadendo in Israele, quali siano i problemi di politica interna ed estera che poi si riflettono sugli equilibri del Mondo e la Pace tra le genti.
In primo luogo l’Ambasciatore ha sottolineato che è in atto in Israele un acceso dibattito interno, un confronto duro ma positivo tra portatori di diverse istanze. Tutto avviene in modo democratico e anzi è proprio espressione di vitalità della democrazia stessa nel raffronto tra il movimento religioso da una parte, quello dei kibbutz dall’altra, tra gli assertori di uno stato completamente laico e chi guarda ad uno stato religioso. Si discute della propria cultura politica e della propria identità. Tutto questo viene osservato dagli altri Paesi d’Occidente anche preoccupati ma alla fine sarà evidente il carattere democratico di Israele e la partnership morale tra Israele e Occidente sarà preservata.
Alon Bar ha portato ad esempio il movimento del Kibbutz che, se fa ancora parte del paese, tuttavia il suo ruolo ha subito cambiamenti radicali e da un Israele socialista, poi si è passati a una importante liberalizzazione che lo ha portato ad una svolta capitalista necessaria per sopravvivere. L’Ambasciatore ha anche confermato che con l’Italia c’è molto potenziale su tanti settori e materie quali l’energia (si pensi alla esportazione del Gas israeliano che può essere trasportato in Italia sia con gasdotto che allo stato liquido), l’acqua potendo condividere con l’Italia il proprio know-how in tema di risparmio e utilizzo delle fonti idriche, non ultima l’uso dei dissalatori e infine la sicurezza e difesa del Mediterraneo. Un’altra materia importante è la Cybersecurity e altri settori quali arte, cultura, il mondo dell’innovazione e dell’agricoltura. Si è pure parlato dei rapporti con la Turchia e gli altri Paesi dell’area. La principale preoccupazione è quella legata al nucleare iraniano e Alon Bar ha sottolineato la necessità di aumentare le sanzioni in modo da indurre l’Iran a mutare atteggiamento. Se l’Iran si arresta ad un arricchimento dell’uranio all’84% e dimostra di cooperare con la l’Aiea e se smetterà di usare droni nella regione e vendere armi alla Russia, allora le cose potrebbero cambiare.
Quanto alla guerra in Ucraina, Alon Bar ha confermato la forte solidarietà di Israele al popolo ucraino ma il sostegno sarà fornito in modo da non mettere a repentaglio la sicurezza interna dello Stato e nel contempo senza che questo possa causare uno scontro diretto tra Israele e la Russia. La Russia è del resto presente in Siria e quindi restano aperte le linee di comunicazione con Mosca. Israele naturalmente supporta la comunità internazionale per un negoziato. Nota dolente resta quella della continua escalation di violenze con i Palestinesi e le ondate crescenti di terrorismo. Al momento le attuali leadership sia quella israeliana che palestinese appaiono non avere molti punti in comune per un negoziato e la prima preoccupazione è quindi stabilizzare la situazione. In questo senso l’Ambasciatore ha rilevato come serva dialogo, cooperazione per la sicurezza, migliorare la situazione economica e fiscale della Anp e migliorare anche l’accesso al lavoro per i palestinesi. Quanto ai rapporti con l’Europa Alon Bar, riferendosi a Borell, e ad alcune polemiche, ha sottolineato come Israele è abituata a volte a sentirsi criticare sulla questione palestinese ma questa non può essere centrale ai rapporti in essere tra Israele ed Europa in quanto ridurre tutto a questo sarebbe un errore di valutazione. Alon Bar ha anche confermato che Israele non è affatto isolata e anzi si sono tenuti importanti incontri tra giordani, palestinesi, egiziani e israeliani sia ad Aqaba che a Sharm El Sheikh. Alla domanda finale se Israele riuscirà ad avere una Costituzione, l’Ambasciatore Alon Bar, ha detto che, pur augurandosi che ciò prima o poi avvenga, ha anche aggiunto che se Israele è riuscito a vivere per 75 anni senza, potrà eventualmente continuare così quanto meno per altri 75 anni.
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* Presidente Centro Studi MB2
(Nuovo Giornale Nazionale, 23 maggio 2023)
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La Polonia critica Noa Kirel
Dopo le sue dichiarazioni all’Eurovision sulla sua famiglia uccisa nella Shoah
Quando la Polonia dà a Israele 12 punti, dopo che quasi l’intera famiglia Kirel è stata assassinata nell’Olocausto, è una vittoria”, ha detto Kirel al Kan news di Israele subito dopo la competizione. Con questa frase pronunciata all’Eurovision 2023, la cantante israeliana Noa Kirel, che si è posizionata terza, ha suscitato il malumore nel mondo polacco, attento a minimizzare le responsabilità della Polonia nel massacro degli ebrei, suscitando molte critiche dei politici e le denunce dei media del Paese. “Ricevere 12 punti dalla Polonia (il massimo, ndr), dopo la storia della mia famiglia e del popolo di Israele nell’Olocausto, momenti del genere sono davvero una vittoria”, ha aggiunto in commenti simili al sito di notizie Ynet, ricordando che i membri della famiglia di suo padre furono uccisi ad Auschwitz. Come riporta il Times of Israel, in un lungo post sui social media del 20 maggio, il viceministro degli Esteri polacco Paweł Jabłoński ha quindi dichiarato che inviterà Kirel in Polonia “per capire perché pensa alla nostra patria in questo modo e per spiegare perché [i suoi commenti] sono dolorosi per noi”. L’incidente tocca una disputa di lunga data tra Israele e Polonia sugli sforzi in corso di Varsavia per ridurre al minimo la responsabilità polacca per la persecuzione e l’assassinio di massa di ebrei sul suo territorio durante l’Olocausto. Jabłoński ha detto che Kirel dovrebbe venire a “vedere con i suoi occhi i luoghi in cui la Germania nazista ha commesso crimini crudeli contro polacchi ed ebrei nel nostro paese”. Ha inoltre evidenziato i viaggi dei giovani israeliani in Polonia, affermando che hanno fornito agli israeliani un’immagine errata dell’Olocausto. I viaggi sono al centro di un accordo recentemente firmato tra Israele e Polonia per ripristinare relazioni diplomatiche a lungo tese, ma che è stato oggetto di critiche diffuse in Israele. L’accordo è un passo verso la normalizzazione dei rapporti con la Polonia, che fino a diversi anni fa era uno dei paesi più filo-israeliani dell’Unione europea. Le relazioni si sono deteriorate nel 2018, dopo che la Polonia ha approvato una legislazione che vietava di incolpare la nazione polacca per i crimini nazisti. L’allora ministro degli Esteri Yair Lapid ha definito la legge antisemita, scatenando una lite diplomatica. L’accordo vedrà i gruppi studenteschi israeliani visitare un elenco di siti consigliati dai polacchi che, secondo i critici, forniscono una visione distorta dell’Olocausto, ignorano la complicità polacca nell’Olocausto e intensificano gli sforzi dei polacchi per salvare gli ebrei.
(Bet Magazine Mosaico, 22 maggio 2023)
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Medio Oriente: il prossimo forum del Negev si svolgerà il 25 giugno in Marocco
Lo ha riferito il quotidiano israeliano “Hareetz”, secondo il quale "Israele e Stati Uniti mirano ad espandere il vertice".
I ministri degli Esteri di Israele, Stati Uniti, Marocco, Egitto, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, rispettivamente Eli Cohen, Antony Blinken, Nasser Bourita, Sameh Shouky, Abdullatif bin Rashid al Zayani e Abdullah bin Zayed al Nahyan, si incontreranno il 25 giugno in Marocco per il secondo incontro del Forum del Negev. Lo ha riferito il quotidiano israeliano “Hareetz”, citando alcuni funzionari, secondo i quali lo Stato ebraico e gli Stati Uniti “mirano ad espandere il forum prima del prossimo incontro”. Il Forum del Negev è stato istituito lo scorso anno durante il mandato di Yair Lapid come ministro degli Esteri e la prima riunione si è tenuta a marzo del 2022 nel kibbutz Sde Boker, situato al centro del deserto del Negev nel sud di Israele. Secondo le fonti citate dal quotidiano, il forum era già stato organizzato ma poi posticipato a causa delle tensioni nella regione e di un disaccordo tra Washington e Rabat circa la sede dell’incontro, dal momento che il Regno nordafricano avrebbe inizialmente proposto una città del Sahara occidentale.
(Nova News, 22 maggio 2023)
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Guerra Gaza: ecco perché l’operazione Shield and Arrow ha avuto successo
di Yoav Zitun
Nell’ambito delle operazioni dell’IDF, l’operazione “Shield and Arrow” può essere definita come un’esercitazione di guerra concisa e strategica, che serve come versione condensata dell’esercitazione originariamente prevista per questo mese.
Come i combattimenti del 2021, la recente esercitazione ha rappresentato un’opportunità per testare e perfezionare diverse capacità che in precedenza avevano visto un uso limitato.
In particolare, ha mostrato l’uso efficace di aerei avanzati come il formidabile F-35, oltre a favorire la comunicazione diretta tra un giovane spotter e un abile pilota di caccia, un attimo prima di lanciare un attacco.
Con una durata di 116 ore, “Shield and Arrow” è iniziato con un attacco meticolosamente coordinato che ha eliminato rapidamente tre membri di alto livello della Jihad islamica, la cui morte è avvenuta a pochi istanti di distanza.
Nonostante le dimensioni relativamente ridotte, l’operazione si è rivelata un successo notevole, in gran parte attribuito all’approccio proattivo di Israele, che ha consentito una preparazione approfondita e ha ridotto al minimo le misure reazionarie.
Al di là del colpo iniziale inferto alla Jihad islamica nelle prime 35 ore, l’IDF ha introdotto nuove capacità che hanno migliorato l’efficacia della campagna, in particolare grazie al coordinamento tra le forze terrestri e aeree che si è svolto come una macchina ben oliata.
Questa integrazione ha comportato l’impiego di velivoli stealth all’avanguardia, tipicamente riservati a obiettivi specializzati nei conflitti settentrionali o a missioni clandestine condotte oltre i confini nazionali.
Utilizzando tecnologie avanzate di rilevamento e tracciamento integrate in questi velivoli, il Comando Sud ha creato efficientemente circuiti di risposta rapida. L’ampio arsenale di bombe e missili distrutto durante “Shield and Arrow” è stato possibili grazie al successo dell’identificazione degli obiettivi da parte degli aerei stealth che si libravano sopra la Striscia di Gaza.
All’estremità di ricezione, sia le forze aeree che quelle di terra, comprese le unità specializzate, erano pronte ad attaccare gli obiettivi designati, non diversamente da un taxi fermo all’angolo della strada, in attesa dell’annuncio di una tariffa vicina. In questo senso, il processo stava garantendo un approccio multiforme agli attacchi di precisione.
Per ridurre al minimo i tempi di reazione di fronte all’individuazione del nemico, l’ufficiale dell’Aeronautica responsabile della collaborazione con le forze di terra ha spiegato l’utilizzo esaustivo di una miriade di risorse, tra cui aerei di intelligence con equipaggio dotati di capacità di esplorazione.
L’obiettivo era quello di massimizzare l’efficienza e accelerare l’esecuzione degli attacchi, senza lasciare nulla di intentato nel perseguimento di operazioni rapide ed efficaci.
Durante l’operazione si è verificata una notevole trasformazione, che ha facilitato attacchi più rapidi per le forze coinvolte.
A differenza dei round precedenti, caratterizzati da una politica rigida e uniforme per quanto riguarda l’uso della potenza di fuoco, in cui le richieste di modifica dovevano affrontare processi lunghi che ostacolavano l’efficacia, questa volta si è assistito a un approccio più dinamico e rapido.
Gli aggiustamenti sono stati effettuati con maggiore frequenza, rispondendo direttamente all’evoluzione della situazione sul terreno e alle esigenze espresse dalle forze, consentendo risposte più tempestive e personalizzate.
Verso le 22:00 della notte iniziale dell’operazione, un elicottero da combattimento Seraf è emerso nel cielo sopra la Striscia di Gaza centrale. Ha attraversato la regione occidentale del Negev, avvicinandosi alla città di Khan Yunis dalla direzione orientale.
Il suono distinto delle pale del rotore Apache risuonò all’avamposto di Kissuf, dove il soldato M, da poco arruolato come spotter, iniziò il suo compito.
All’interno dell’elicottero, l’equipaggio si preparò a lanciare un missile contro la postazione della Jihad islamica. Tuttavia, i loro piani sono stati fermati dalla presenza di nuvole basse che hanno oscurato la loro visibilità.
L’obiettivo, una struttura senza pretese e un po’ isolata, richiedeva un’accurata valutazione visiva per garantire l’assenza di civili non coinvolti nelle immediate vicinanze.
Nel giro di meno di un minuto, l’esperto pilota si è messo in comunicazione diretta con gli ufficiali della Divisione Gaza, stabilendo prontamente un collegamento con M attraverso la rete di comunicazione.
Il soldato M ha assunto il ruolo cruciale di supervisionare la raccolta e le azioni successive all’interno del settore designato dell’elicottero, che aveva monitorato diligentemente nelle ultime settimane.
Comunicando direttamente con il pilota, abbiamo stabilito un linguaggio condiviso, utilizzando punti di riferimento tangibili all’interno dell’area”, ha spiegato. “Mi sono informata sulle sue osservazioni, discernendo sia gli elementi che aveva percepito sia quelli che poteva aver tralasciato, dato che stavamo osservando aree identiche da punti di osservazione diversi.
“Per garantire l’assoluta accuratezza, ho deliberatamente posto una domanda fuorviante su un luogo separato, assicurandomi così che fossimo assolutamente sicuri delle nostre osservazioni comuni”, ha detto.
(Rights Reporter, 22 maggio 2023)
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Gravina riceve i ragazzi del Roma Club Gerusalemme: “Il vostro sorriso è un manifesto per un futuro di pace”
I giovani calciatori di fede musulmana, ebraica e cristiana hanno incontrato questa mattina nella sala ‘Paolo Rossi’ il presidente federale ricevendo in dono una maglia e un gagliardetto della Nazionale.
Gravina riceve i ragazzi del Roma Club Gerusalemme: “Il vostro sorriso è un manifesto per un futuro di pace”
L’entusiasmo contagioso dei ragazzi del Roma Club Gerusalemme ha riscaldato questa mattina la sala Paolo Rossi della FIGC in occasione dell’incontro con il presidente federale Gabriele Gravina. Una visita diventata ormai un appuntamento fisso, con i giovani calciatori di fede musulmana, ebraica e cristiana accompagnati dal vice presidente della società Samuele Giannetti. Presenti all’incontro anche l’ambasciatore di Israele in Italia Alon Bar e Smadar Shapira, consigliere degli affari pubblici all’Ambasciata.
“Siamo oggi nella Sala Paolo Rossi – ha dichiarato Gravina rivolgendosi ai ragazzi del Roma Club Gerusalemme - e il sorriso di Paolo insieme ai vostri sorrisi è un manifesto straordinario per un futuro di pace, un futuro gioioso. Per questo ragazzi giocate, divertitevi e cercate sempre di volervi bene. Noi crediamo in un rapporto di grande fratellanza, che mette insieme tutte le religioni possibili, ed è molto bello che il calcio riesca a testimoniare questo momento di inclusione”.
I ragazzi, che hanno ricevuto in regalo una maglia e un gagliardetto della Nazionale, hanno donato al presidente federale 10 nuovi alberi piantati a suo nome in Israele ‘perché chi pianta un albero pianta una speranza’.
(FIGC, 22 maggio 2023)
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Ebrei a Porto, ieri e oggi
di Sarah Tagliacozzo
La comunità ebraica di Porto è oggi una piccola ma speciale realtà del Portogallo che quest’anno compie 100 anni. Presenti sul territorio forse già da millenni, nel 1496 durante il regno di Emanuele I, gli ebrei di Porto furono cacciati o costretti a convertirsi al cattolicesimo. Le tracce della presenza ebraica a Porto furono cancellate: sinagoghe, scuole, iscrizioni, testi religiosi, documenti, oggetti ebraici furono distrutti e anche la parola judeu scomparve. I libri della comunità ebraica portoghese, una delle più istruite dell’epoca, furono confiscati, distrutti o venduti.
Tra il 1542 ed il 1544 fu operativo a Porto il Tribunale dell’Inquisizione. Un centinaio di cristiani furono accusati di continuare a rispettare usanze ebraiche: alcuni tra gli accusati, ad esempio, non mangiavano maiale, alcuni pesci, celebravano Pesach. Fino al XVI secolo molti cristiani conoscevano le proprie origini ebraiche e coloro che riuscivano ad ottenere il permesso dalla corona per compiere il pellegrinaggio fino a Roma talvolta ne approfittarono per raggiungere terre lontane dal Portogallo abbandonando anche il cristianesimo. Solo dopo la fine dell’Inquisizione alcuni ebrei sefarditi tornarono in Portogallo, dove nacquero la comunità ebraica (più grande) di Lisbona ed una (meno numerosa) a Porto. Qui gli ebrei pregavano nelle case, avevano forse una sinagoga ma non un cimitero.
Alla fine del XIX, secolo gli ebrei a Porto erano quasi tutti ashkenaziti di origine tedesca. Negli anni Dieci del Novecento arrivarono a Porto numerosi ebrei dalla Russia, Polonia, Ucraina che allargarono la comunità ebraica, che comprendeva circa 30 famiglie ebraiche di mercanti. La scarsità di informazioni relative a quegli anni è dovuta soprattutto della mancanza di un’organizzazione comunitaria.
Nel 1921 arrivò a Porto il capitano Arthur Carlos de Barros Basto. Il capitano Basto si era convertito all’ebraismo nel 1920 ed era sposato con Lea Azancot, figlia di un ebreo marocchino, anche lei convertitasi all’ebraismo a Lisbona. Due anni dopo il suo arrivo a Porto, nel 1923, il capitano Barros Basto, insieme a 17 ebrei di Porto, fondò la Comunità ebraica di Porto. Per sviluppare la comunità locale, il capitano elaborò un progetto di conversione all’ebraismo dei marrani avvalendosi dell’aiuto della comunità sefadita di Londra. Migliaia di marrani si convertirono all’ebraismo. A Porto nacquero un giornale ebraico locale, una scuola e nel 1929 iniziò la costruzione della sinagoga Ha-Lapid. Accusato falsamente e anonimamente di gravi reati che rovinarono la sua reputazione, il capitano Barros Bastos è oggi considerato al centro di un caso “Dreyfuss portoghese”.
Durante la seconda guerra mondiale, grazie alla neutralità del Portogallo, Porto divenne un luogo importante per gli ebrei europei in fuga dalla barbarie nazista, soprattutto dal Belgio, dalla Francia e dal Lussemburgo. Molti dei rifugiati desideravano raggiungere la Palestina, gli Stati Uniti o il Sudamerica. Anche se la comunità locale ha registrato solo 416 rifugiati, secondo Hugo Vaz, curatore del Museo della Shoah di Porto, questi erano probabilmente molti di più, dal momento che il numero noto si riferisce solo ai rifugiati che al loro arrivo a Porto si sono rivolti alla locale comunità ebraica. Un fatto poco noto è che molti degli ebrei che riuscirono a raggiungere Porto provenivano da Bordeaux, dove il console portoghese Aristides de Sousa Mendes rilasciò molti visti per il Portogallo, salvando così la vita a decine di persone.
Oggi la comunità ebraica di Porto conta circa 1000 iscritti, un numero in crescita grazie a numerosi studenti di religione ebraica che partecipano alla vita religiosa, culturale e sociale della comunità e soprattutto anche grazie alla legge del 2015 che consente ai discendenti degli ebrei sefarditi espulsi dal Portogallo durante l’Inquisizione di richiedere la cittadinanza. La gestione delle domande per la cittadinanza è stata recentemente oggetto di investigazioni e di sospette irregolarità infondate. A Porto si trova anche una splendida sinagoga, dove di Shabbat pregano decine di ebrei che dopo la funzione pranzano allegramente nell’edificio. Oltre alla sinagoga, a Porto c’è anche un mikve, definito “il più grande del mondo”, un museo ebraico ed un museo della Shoah, ristoranti kasher. In occasione del centenario dalla nascita della nuova comunità ebraica, Porto è stata la sede scelta dalla European Jewish Association per riunire leader di comunità ebraiche europee per guardare al futuro ispirandosi anche “al nuovo Rinascimento” di Porto.
(Shalom, 22 maggio 2023)
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Antichi coperchi di bare egizie esaminati con la TAC in Israele
L’Israel Museum in Israele collabora con il Centro Medico Shaare Zedek per sottoporre a TAC i coperchi di una bara egizia di 2.000 anni fa; l’esame svela dettagli intricati e rivela la maestria degli antichi artigiani, fornendo preziose indicazioni per la ricerca in corso.
In un’operazione meticolosamente pianificata in Israele che ha richiesto cinque mesi di lavoro, venerdì scorso due coperchi di bare dell’antico Egitto risalenti a 2.000 anni fa sono stati trasferiti dall’Israel Museum di Gerusalemme per essere sottoposti a una TAC. Parte della stimata collezione egizia del museo, questi intricati coperchi di bara intagliati in legno di sicomoro sono stati sottoposti a un esame presso il Centro Medico Shaare Zedek di Gerusalemme per svelare le tecniche impiegate dagli artigiani durante la loro creazione migliaia di anni fa. La collaborazione tra il museo e l’ospedale potrebbe costituire un precedente per la fusione di manufatti storici con tecnologie mediche all’avanguardia per comprendere meglio il passato.
La TAC (tomografia computerizzata) utilizza una serie di raggi X presi da diverse angolazioni per creare immagini trasversali di ossa, organi e vasi sanguigni. Di solito viene utilizzata per diagnosticare alcuni tipi di cancro, malattie cardiache, coaguli di sangue, ossa rotte, disturbi intestinali e spinali e ossa rotte, tra le altre cose.
“Attraverso la scansione, siamo stati in grado di identificare le cavità nel legno che erano state riempite di gesso come parte della preparazione per la decorazione delle bare, così come le sezioni che erano state interamente colate dal gesso invece di essere direttamente scolpite nel legno”, ha detto Nir Or Lev, curatore dell’archeologia egizia dell’Israel Museum.
“L’esame ha fatto luce sulla maestria degli antichi artigiani responsabili della creazione di questi coperchi di bara, contribuendo in modo significativo alle nostre ricerche in corso”. Il primo coperchio della bara, appartenente a un cantante cerimoniale di nome Lal Amun-Ra, risale al 950 a.C. circa. Sul coperchio sono incise le parole “Jed-Mot”, che rappresentano il nome del defunto, e una benedizione. Il secondo coperchio della bara, risalente al periodo tra il VII e il IV secolo a.C., apparteneva a un nobile egiziano di nome Petah-Hotep. “Non capita tutti i giorni di assistere alla convergenza tra storia gloriosa e progressi tecnologici in campo medico”, ha dichiarato Shlomi Hazan, capo radiologo del dipartimento di imaging dello Shaare Zedek.
“Le scansioni ad alta risoluzione ci hanno permesso di distinguere tra vari materiali, come il legno, l’intonaco e le intercapedini. Inoltre, le scansioni trasversali hanno svelato gli anelli degli alberi e sono state generate ricostruzioni tridimensionali per aiutare il team di ricerca ad analizzare la composizione dei diversi materiali”, ha detto Hazan.
(Israele360, 22 maggio 2023)
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La saggezza che viene da Dio
PROVERBI 2
- Figlio mio, se ricevi le mie parole
e serbi con cura i miei comandamenti,
- prestando orecchio alla saggezza
e inclinando il cuore all'intelligenza;
- sì, se chiami il discernimento
e rivolgi la tua voce all'intelligenza,
- se la cerchi come l'argento
e ti dai a scavarla come un tesoro,
- allora comprenderai il timore del Signore
e troverai la scienza di Dio.
- Il Signore infatti dà la saggezza;
dalla sua bocca provengono la scienza e l'intelligenza.
- Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente,
uno scudo per quelli che camminano nell'integrità,
- allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia
e di custodire la via dei suoi fedeli.
- Allora comprenderai la giustizia, l'equità,
la rettitudine, tutte le vie del bene.
- Perché la saggezza ti entrerà nel cuore,
la scienza sarà la delizia dell'anima tua,
- la riflessione veglierà su di te,
l'intelligenza ti proteggerà;
- essa ti scamperà così dalla via malvagia,
dalla gente che parla di cose perverse,
- da quelli che lasciano i sentieri della rettitudine
per camminare nelle vie delle tenebre,
- che godono a fare il male
e si compiacciono delle perversità del malvagio,
- i cui sentieri sono contorti
e percorrono vie tortuose.
- Ti salverà dalla donna adultera,
dalla infedele che usa parole seducenti,
- che ha abbandonato il compagno della sua gioventù
e ha dimenticato il patto del suo Dio.
- Infatti la sua casa pende verso la morte,
e i suoi sentieri conducono ai defunti.
- Nessuno di quelli che vanno da lei ne ritorna,
nessuno riprende i sentieri della vita.
- Così camminerai per la via dei buoni
e rimarrai nei sentieri dei giusti.
- Gli uomini retti infatti abiteranno la terra,
quelli che sono integri vi rimarranno;
- ma gli empi saranno sterminati dalla terra,
gli sleali ne saranno estirpati.
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Innovazione: le prospettive a lungo termine delle collaborazioni Marocco-Israele
Analizzate dal CEO di Start-Up Nation Central
Avi Hasson, CEO di Start-Up Nation Central, ha oltre 30 anni di esperienza come leader dell’innovazione sia nel settore privato che in quello pubblico. Prima di entrare a far parte di SNC, ha lavorato come Chief Scientist presso il Ministero dell’Economia e dell’Industria di Israele, nonché presidente fondatore dell’Autorità per l’innovazione israeliana. Ha inoltre lavorato per più di dieci anni come investitore in società di venture capital, individuando e supportando startup promettenti. Ha conseguito una laurea in economia e studi mediorientali, nonché un MBA, entrambi presso l’Università di Tel Aviv.
CEO di Start-Up Nation Central ed esperto di innovazione di fama internazionale, sottolinea Avi Hasson, in questa intervista a Il 360, l’importanza dell’innovazione per rafforzare le relazioni tra Israele e Marocco. Evidenzia le opportunità di collaborazione in settori come la gestione dell’acqua, discute le sfide da superare e incoraggia gli imprenditori di entrambi i paesi a impegnarsi in partenariati reciprocamente vantaggiosi per affrontare sfide comuni.
- Il 360: Quali settori hanno il maggior potenziale di collaborazione tra Israele e Marocco? Avi Hasson: Molti i settori da considerare, soprattutto quelli di interesse comune. Ad esempio, la gestione dell’acqua. Entrambi i paesi hanno bisogno di acqua e Israele ha una grande esperienza nella desalinizzazione, nel riciclaggio e nella gestione di questa risorsa. Questa competenza e questa tecnologia sono essenziali per creare collaborazioni di successo.
- In che modo Israele e Marocco possono sfruttare i loro punti di forza nell’innovazione per partnership reciprocamente vantaggiose? Sono convinto che la collaborazione sia fondamentale nel campo dell’innovazione, perché non c’è niente di più importante che lavorare insieme. Il nostro obiettivo è identificare i veri punti di forza e le capacità del Marocco, come la sua forza lavoro qualificata, le sue opportunità, la sua posizione strategica come porta d’ingresso per l’Africa e il suo collegamento con l’Europa, nonché solo ciò che Israele può contribuire in termini di innovazione, conoscenza e abilità. Unendo i nostri sforzi, non solo potremmo risolvere le nostre sfide, ma anche puntare al mercato globale.
- Quali sono le sfide da superare in questo senso? Dopo il ripristino del nostro rapporto attraverso gli Accordi di Abramo e altre iniziative più ampie, stiamo iniziando un processo di reciproca riscoperta.
- Leggi anche: Le potenzialità di un accordo di libero scambio tra Marocco e Israele decifrate dal vicesindaco di Gerusalemme Per questo, è essenziale colmare le differenze culturali, soprattutto nel campo degli affari. Imparare le capacità di ciascuna parte e consentire agli operatori di visitare ed esplorare le esigenze e le opportunità per conto proprio sono fondamentali. Più persone lavorano insieme, più successo creeremo e più potremo sviluppare questa opportunità.
- Che ruolo possono svolgere i partenariati pubblico-privato in questo contesto? Il ruolo del settore pubblico e privato è fondamentale. I partenariati pubblico-privato (PPP) sono di grande importanza, ma quando si tratta di accordi e relazioni, i leader hanno già fatto la loro parte. I governi hanno espresso la volontà di lavorare insieme e promuovere lo sviluppo. Ora tocca al settore privato, alle persone che conoscono le opportunità, impegnarsi e realizzare queste relazioni. È quindi fondamentale una proficua collaborazione tra i decisori politici, che stabiliscano le strade da percorrere, lancino un messaggio chiaro e creino piattaforme come accordi di libero scambio e altri tipi di incentivi. Poi è il turno di imprenditori, ricercatori e innovatori di individuare opportunità specifiche per realizzare tutti questi impegni.
- In che modo imprenditori e startup di entrambi i paesi possono collaborare per trovare soluzioni innovative a sfide comuni? Abbiamo davanti a noi un’opportunità eccezionale. Gli accordi siglati, i rapporti instaurati e le complementarità esistenti fanno di questo rapporto un partenariato di altissimo potenziale. Ecco perché stiamo investendo molto per riunire queste comunità. La generazione più giovane è particolarmente intraprendente. Comprende appieno l’importanza della collaborazione internazionale e affronta le stesse sfide.
(dayFRitalian, 20 maggio 2023)
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«Dissalatori e non solo, Israele mostrerà al Veneto come risparmiare l'acqua»
di Angela Pederiva
Due giorni a Venezia per Alon Bar . L'ambasciatore d'Israele in Italia giovedì ha visitato il padiglione nazionale della Biennale Architettura e ieri è stato ricevuto dal sindaco Luigi Brugnaro, ma le sue relazioni con il Veneto non finiranno certo qui. «Ho incontrato il presidente Luca Zaia, il quale mi ha espresso il desiderio di conoscere il modello israeliano di gestione dell'acqua: per questo organizzeremo una visita dedicata alle nostre tecnologie e alla nostra esperienza, il potenziale di collaborazione è molto alto», annuncia il diplomatico al Gazzettino, durante la conversazione con il direttore Roberto Papetti.
- Lo strumento israeliano dei dissalatori può essere un modello per la realtà veneta nel contrasto alla siccità?
«Le sfide nei due territori non coincidono al 100%, ma le nostre buone prassi possono essere molto rilevanti. La desalinizzazione è una soluzione, però ce ne sono anche altre: prevenire, rilevare e risolvere le perdite della risorsa idrica; riciclare l'acqua, come facciamo noi per il 90% di quella che viene utilizzata in agricoltura. Su tutto questo Israele può offrire sia l'esperienza che la tecnologia per incrementare la collaborazione con il Veneto e con l'Italia, che penso poggi su tre pilastri principali di comune interesse».
- Quali? «Il primo è appunto l'acqua. Il secondo è l'energia, intesa come fonti alternative, ma anche come riserve di gas, con la capacità di portarlo dal Mediterraneo orientale e da Israele all'Italia. Il terzo è la sicurezza, nel senso di cyber-security, così come di difesa del Mediterraneo e di protezione delle infrastrutture civili, inclusa la tecnologia spaziale».
- Proprio in questi giorni è partito il programma "Accelerate in Israel", mirato a facilitare l'avvio di 12 start-up italiane. Che ecosistema troveranno? «Un insieme di comunità dedicate alla finanza, all'industria, allo sviluppo, alla ricerca, in cui le persone lavorano insieme. L'aspetto importante è che una tecnologia pensata per un settore, dall'ambiente alla medicina, può essere interessante anche per un altro. Penso che i nostri due Paesi possano lavorare bene insieme, perché parliamo la stessa lingua economica e culturale in Israele e in Italia».
- Come sono le relazioni fra i governi di Benjamin Netanyahu e Giorgia Meloni? «Ne ho parlato anche a un evento organizzato a Mestre dall'associazione Italia Israele e dal Rotary Club. I rapporti sono molto buoni, il ministro Antonio Tajani prepara una visita della premier Meloni al primo ministro Netanyahu forse per l'autunno».
- Quanto vi preoccupano i rigurgiti di antisemitismo? «Stiamo seguendo la lotta contro l'antisemitismo in Italia. Siamo incoraggiati dal fatto che il governo Meloni ha nominato un nuovo coordinatore per il ruolo che era stato istituito da un precedente esecutivo: altra persona (il prefetto Giuseppe Pecoraro, ndr.), ma stessa politica. Lavoriamo in maniera molto positiva con la comunità ebraica, con la classe dirigente e con la società civile. Come dappertutto, vediamo anche in Italia un crescente antisemitismo: nei social network, e a volte in certi contesti, si demonizzano gli ebrei e Israele. Ma c'è pure una crescente consapevolezza nella società italiana dell'esigenza di combattere questo fenomeno».
- In tema di combattimenti, qual è la posizione di Israele sulla guerra tra Russia e Ucraina? All'inizio c'è stata solo l'assistenza umanitaria agli ucraini, ma di recente è stato garantito a Kiev pure l'invio dei sistemi anti-drone. «C'è una forte solidarietà in Israele verso il popolo ucraino. Tuttavia il nostro sostegno all'Ucraina verrà offerto in un modo che non causi uno scontro diretto tra Israele e Russia. Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che la Russia è presente in Siria, ai nostri confini, così come le importanti relazioni con le comunità ebraiche in Russia. Perciò manteniamo le linee di comunicazione con Mosca, ma supportiamo pienamente lo sforzo della comunità internazionale nel creare le condizioni per portarla al tavolo del negoziato. Faremo del nostro meglio per aiutare l'Ucraina, sempre che non ci siano rischi per la sicurezza interna di Israele».
- A proposito di affari interni, qual è il livello della tensione fra israeliani e palestinesi? «C'è preoccupazione. Purtroppo registriamo una forte attività dei terroristi e di coloro che supportano il terrorismo nei campi palestinesi. La possibilità di avere un confronto positivo è limitata, a causa dell'influenza di Hamas a Gaza e della jihad islamica, che tentano di trascinarci in uno scontro totale con i palestinesi. Invece sarebbe importante poter rinnovare il dialogo con la dirigenza palestinese».
- Nelle prossime ore riprenderanno le proteste contro la riforma della giustizia voluta da Netanyahu. Qual è il clima? «Il dibattito in Israele è serio e importante, perché riguarda l'equilibrio fra le diverse istituzioni democratiche. Vediamo forti manifestazioni, con centinaia di migliaia di persone nelle strade, pro e contro la riforma: ormai sono venti settimane, ma senza episodi di violenza, il che dimostra la forza della democrazia israeliana. Comunque il Governo ha sospeso l'iter della legge per concedere tempo al dialogo, sotto l'egida del presidente Isaac Herzog, fra la maggioranza e l'opposizione. Naturalmente la mia speranza è che si arrivi a un livello più alto di intesa tra i partiti, in modo che la riforma sia più condivisa di quella che era stata proposta all'inizio».
- Ultima domanda: le è piaciuto il padiglione israeliano della Biennale, dedicato al passaggio dall'analogico al digitale? «Molto. Ho trovato davvero interessante la riflessione sugli aspetti architettonici della transizione nella comunicazione, come ad esempio i luoghi in cui stoccare i dati: strutture inaccessibili dall'esterno, che devono relazionarsi con gli altri edifici. Per noi la partecipazione alla Biennale è una fantastica opportunità per presentare le tecnologie, le idee e la cultura israeliane alla società di Venezia e dell'Italia, ma anche alla comunità internazionale».
(Il Gazzettino, 20 maggio 2023)
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La Lega Araba riesuma la questione palestinese
La questione palestinese ma anche il programma nucleare saudita sul piatto della normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman parlando al vertice della Lega Araba ha ribadito il suo impegno per la creazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale. “Non esiteremo a fornire assistenza al popolo palestinese per il recupero delle sue terre, il ripristino dei suoi legittimi diritti e la creazione di uno Stato indipendente sui confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale“, ha dichiarato bin Salman nel suo discorso alla conferenza di Gedda, dove una notevole attenzione è stata rivolta al ritorno del presidente siriano Bashar Assad al forum dopo 12 anni di sospensione. “La questione palestinese era e rimane la questione centrale per i Paesi arabi ed è in cima alle priorità del Regno“, ha aggiunto il leader saudita conosciuto anche come MBS. I commenti sono stati in gran parte quelli standard per la leadership di Riyadh, che da tempo insiste pubblicamente sul fatto che rimane impegnata nella causa palestinese e che normalizzerà i legami con Israele solo dopo aver raggiunto una soluzione a due Stati. Ciò non ha impedito all’amministrazione Biden di lavorare per trovare un accordo tra Gerusalemme e Riyad, tanto che all’inizio del mese il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan lo ha definito un “interesse per la sicurezza nazionale”. La settimana successiva Sullivan si è recato a Riyad, dove ha incontrato bin Salman e ha sollevato la questione. Sullivan è stato accompagnato dagli assistenti senior della Casa Bianca Brett McGurk e Amos Hochstein, che si sono poi recati a Gerusalemme per informare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sullo stato delle cose. Anche il direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano Ronen Levy ha parlato con funzionari dell’amministrazione di un potenziale accordo saudita durante il suo viaggio a Washington all’inizio della settimana. Mentre a Gerusalemme si respira un rinnovato ottimismo, i vicini arabi di Israele hanno inviato altri segnali, esprimendo un forte malcontento nei confronti del nuovo governo di Netanyahu. La prevista visita di Netanyahu negli Emirati Arabi Uniti è stata sospesa e il vertice ministeriale del Forum del Negev, previsto per l’inizio della primavera, non è ancora stato fissato dal Marocco. Gli Stati Uniti hanno persino raccomandato a Israele di cambiare il nome del Forum del Negev in modo che sia meno specificamente identificato con lo Stato ebraico, in seguito all’aumento del disagio nei confronti di Gerusalemme negli ultimi mesi. Un diplomatico di alto livello che opera in Medio Oriente ha dichiarato il mese scorso al Times of Israel che il governo Netanyahu ha reso “molto difficile” il mantenimento degli Accordi di Abraham, per non parlare della loro estensione all’Arabia Saudita. Tuttavia, nei colloqui con i funzionari di Biden, l’Arabia Saudita è stata disposta a indicare il suo prezzo per la normalizzazione con Israele. L’alto diplomatico ha detto che Riyadh ha chiesto agli Stati Uniti di dare il via libera allo sviluppo di un programma nucleare civile in cambio della normalizzazione delle relazioni con Israele. Il programma nucleare civile è una delle numerose richieste che Riyadh ha presentato nei colloqui con l’amministrazione Biden nel corso dell’ultimo anno, ha detto il diplomatico, chiarendo però che un accordo di questo tipo rimane “molto lontano”. L’alto diplomatico ha affermato che, sebbene Washington sia interessata a mediare un accordo di normalizzazione, Riyadh non si sta affrettando in tal senso. Dato che l’amministrazione Biden teme che un programma nucleare saudita possa accelerare ulteriormente una corsa agli armamenti nucleari a livello regionale, Riyadh ha suggerito di svilupparlo in piena cooperazione con gli Stati Uniti e di accettare il monitoraggio e le ispezioni americane, ha detto il diplomatico, pur riconoscendo che Washington non è ancora convinta dell’idea. A complicare ulteriormente lo sforzo, l’Arabia Saudita sta anche condizionando un accordo di normalizzazione con Israele su una significativa espansione dei legami di difesa con gli Stati Uniti, compreso un sistema di garanzie per impedire alle future amministrazioni di ritirarsi dagli accordi sulle armi già firmati, ha detto il diplomatico. In particolare, il diplomatico ha rivelato che i funzionari sauditi non hanno sollevato una richiesta specifica relativa alla questione palestinese nei loro colloqui con gli Stati Uniti, come invece hanno fatto gli Emirati Arabi Uniti quando hanno condizionato la loro decisione di normalizzare i legami nel 2020 al fatto che Netanyahu accantonasse il suo piano di annessione di ampie parti della Cisgiordania. Il diplomatico ha ipotizzato che una richiesta relativa alla Palestina sarà probabilmente sollevata verso la fine dei negoziati. Al vertice di venerdì a Gedda erano presenti quasi tutti i leader arabi, compreso il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha partecipato, dopo aver ricevuto un invito a sorpresa. Abbas ha usato il suo discorso per esortare i Paesi arabi a unirsi agli sforzi di Ramallah per trascinare Israele davanti alla Corte penale internazionale per la sua condotta contro i palestinesi. “Israele viola gli accordi firmati e le risoluzioni delle Nazioni Unite e mantiene il suo progetto coloniale sionista, che si basa sulla continuazione dell’occupazione, della pulizia etnica e dell’apartheid“, ha accusato, aggiungendo che Gerusalemme ha continuato a mettere in atto “misure unilaterali” che rafforzano ulteriormente il conflitto in barba alla comunità internazionale. Il re di Giordania Abdullah ha usato toni simili a quelli di bin Salman, affermando che “la questione palestinese rimane al centro della nostra attenzione. Non possiamo rinunciare a perseguire una pace giusta e globale, che non sarà raggiunta se il popolo palestinese non sarà in grado di stabilire uno Stato indipendente entro i confini precedenti al 1967, con Gerusalemme Est come capitale“. Ha criticato la costruzione di insediamenti israeliani, la demolizione di case palestinesi e l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre, insistendo sul fatto che l’alternativa alla soluzione dei due Stati – a cui Israele si oppone – è un “continuo stato di conflitto”. Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi, che spesso si presenta come un’ala un po’ più moderata di Abdullah nei confronti di Israele, ha detto nel suo discorso che il Cairo “ho seguito con dispiacere e dolore l’irresponsabile escalation di Israele nei territori e ciò che è accaduto a Gaza“. Il riferimento era chiaramente al conflitto di cinque giorni della scorsa settimana, che si è concluso dopo che l’Egitto ha mediato un cessate il fuoco tra Israele e la Jihad islamica palestinese. “Chiediamo a Israele di porre fine all’occupazione e di consentire la creazione di uno Stato palestinese sui confini precedenti al 1967 con Gerusalemme Est come capitale“, ha dichiarato Sissi. Anche il segretario generale della Lega Araba Aboul Gheit ha criticato Israele nel suo discorso. “Le azioni sconsiderate del governo israeliano hanno portato a una scioccante escalation del livello di violenza e di uccisioni negli ultimi mesi. Rendiamo omaggio alla fermezza dei palestinesi. Le politiche e le azioni provocatorie del governo [israeliano] sono estreme e la comunità internazionale deve dare una risposta decisiva“. Anche il siriano Assad ha sollevato la questione, affermando che “il vertice della Lega Araba rappresenta un’opportunità storica per affrontare i problemi regionali senza interferenze occidentali e straniere“, in particolare i “crimini dell’entità sionista contro il popolo palestinese“
(Rights Reporter, 20 maggio 2023)
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City Transformer CT-2, l’auto elettrica mutaforma che arriva da Israele
di Barbara Crimaudo
Sorpresa: arriva City Transformer CT-2, l’auto elettrica mutaforma. Non solo, è già considerata la microcar dei Guinness, perché? Allora: è più stretta di una Smart fortwo, più veloce di una Citroën Ami e rispetto alla Renault Twizy ci si ripara meglio.
• City Transformer CT-2, la microcar mutaforma è una novità sul mercato
Compatta, due posti secchi, la microcar è pronta per entrare in produzione e per calcare la scena del mercato. Progettata da una start up israeliana, City Transformer, cui iniziali danno il nome al modello, annuncia che nella veste definitiva la vettura si chiamerà CT-2.
• Dal progetto alla produzione
La microcar nasce a Tel Aviv. La prima CT-1 l’abbiamo sicuramente incrociata in alcune rassegne qualche anno fa. Ora, l’azienda coglie la sfida della mobilità per scendere in campo. Non solo, la microcar punta a essere un’ottima alleata nel traffico cittadino.
• City Transformer in numeri
City Transformer vanta anche misure da record. È lunga 2,5 metri dal passo di 1,8 e riesce a variare la larghezza della piattaforma su cui poggia l’abitacolo. Quindi il driver sceglie fra la modalità City di un metro. Questa è indicata per i parcheggi o i passaggi stretti nel traffico. Mentre la modalità Performance da 1,4 metri. Dove la maggiore ampiezza delle carreggiate regala più stabilità e confort alle velocità maggiori. La microcar City Transformer si spinge a una velocità massima di 45 km/h in modalità City. Sfiora i 90 km/h in quella Performance. Entrambi i modelli rientrano nella categoria dei quadricicli pesanti, possono essere guidati con la patente B1, da 16 anni di età o superiore.
• City Transforemer CT-2 come sarà
Le prime microcar in circolazione sono ancora in fase di test. Per la City Transformer CT-2, cui ingegnerizzazione, pre-produzione e realizzazione di muletti l’azienda israeliana ha selezionato la Cecomp di Torino. Tutto questo proprio in vista della fase iniziale di assemblaggio pianificato per il 2025. Alcune modifiche sono apportate al pianale, cui geometria varia come spiegato sopra. Quindi il modello definitivo non ha le porte a forbice. Queste sono sostituite dalle tradizionali a battente.
• La microcar sportiva ed elegante
La “Gen Z” non si lascia scappare le novità automotive, dove la tecnologia ben si accorda con la mobilità. City Transformer CT-2 è un concentrato di sportività ed eleganza. Le sedute sono avvolgenti in stile sportivo. Il costruttore assicura che nella produzione nulla è lasciato al caso. Soprattutto, Cuty Transformer strizza l’occhio alla tecnologia. È presente l’identificazione fra la vettura e l’utilizzatore. O meglio tra auto e lo smartphone del driver, grazie al software CT-Connect sviluppato in collaborazione con la Bosch e installato in produzione.
• City Transformer la microcar della condivisione
Altra caratteristica. City Transformer vuole essere un veicolo “ready to share”. Quindi faciliterà l’utilizzo a partire dall’eventuale prenotazione. Fino alla comunicazione attraverso il tablet di bordo che integra parte della strumentazione, alla ricarica delle batterie. L’azienda israeliana non ha ancora confermato le caratteristiche degli accumulatori destinati ad alimentare i due motori da 7,5 kW ciascuno in corrispondenza delle ruote posteriori. Però si limita a dichiarare l’autonomia massima di 180 km e un tempo di ricarica in corrente continua inferiore a un’ora.
(techprincess, 20 maggio 2023)
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La “normalità” di Israele
di Daniele Coppin
Le notizie provenienti dal Medio Oriente negli ultimi giorni parlano dei missili lanciati da Gaza verso Israele e delle eliminazioni dei dirigenti del Jihad islamico da parte delle forze di difesa israeliane con, sullo sfondo, la minaccia di Hezbollah, longa manus dell’Iran nella regione, che dal Libano tiene in allerta l’esercito israeliano.
Notizie gravi che spesso vengono ascoltate con interesse e, allo stesso tempo, con la tranquillità di chi non vive quella realtà, a meno che non si abbiano parenti e amici che vivono da quelle parti o che non si provi, in quanto ebrei, un particolare legame con quei luoghi, con Eretz Israel, la “Terra di Israele”.
Proprio in virtù di questo legame che rende molti ebrei della diaspora solidali e attenti alle sorti dei propri fratelli di Israele, sabato scorso sono rimasto colpito dall’incontro con Moshè e Aviva, una coppia di Israeliani di mezza età che è stata ospite della Comunità Ebraica di Napoli per la festa per eccellenza dell’Ebraismo: lo Shabbat.
Moshè e Aviva sono una coppia come tante, che aveva deciso di trascorrere alcuni giorni di vacanza a Napoli prima che si scatenasse la pioggia di missili da Gaza su Israele. E proprio mentre erano in vacanza hanno appreso che un missile sfuggito all’Iron Dome era caduto a pochi metri dalla loro casa a Rehovot provocando la morte di una loro vicina. L’Iron Dome, l’ormai noto sistema di difesa antimissile israeliano grazie al quale è stato scongiurato un alto tributo di vittime nelle città prese di mira dalla furia omicida di Hamas e del Jihad, si basa sul connubio tra elettronica, automatizzazione e azione umana ed ha una percentuale di efficacia superiore al 90%.
Il missile palestinese caduto vicino alla casa di Moshè e Aviva ha fatto parte di quella piccola percentuale di missili non intercettati ed ha provocato danni, una vittima e alcuni feriti, a dimostrazione che l’imprecisione dei missili palestinesi non ne fa degli innocui razzi, come vorrebbero fare credere alcuni, quando riescono a colpire un centro abitato.
Nonostante l’accaduto, Moshè e Aviva, pur non sapendo con precisione in quali condizioni avrebbero trovato la loro casa, erano sereni, facevano battute con Aviva che ha raccontato divertita come, alla vista degli addobbi bianchi e azzurri che tappezzano Napoli in questi giorni per la conquista dello scudetto, le sia sembrato di trovarsi in Israele per Yom HaAtzmaut, la festa della nascita dello Stato ebraico. La loro è una normalità che conosciamo bene perché contraddistingue tutti gli israeliani che trovano il coraggio e la forza per cercare di vivere nella normalità in una condizione oggettivamente fuori di essa, quale è quella di Israele, minacciato e costretto a combattere per la propria esistenza fin dal giorno della sua fondazione.
Questa stessa normalità contraddistingue Ely, un giovane israeliano che lavora come analista di sistemi informatici e che è stato impegnato anche in iniziative di solidarietà durante la pandemia del Covid 19, il quale è stato richiamato sotto le armi per circa un mese, come accade per tutti gli israeliani, per un’attività al confine settentrionale di Israele, dove Hezbollah rappresenta un’altra seria minaccia alla sicurezza dello Stato ebraico. Ely, che ha vissuto diversi anni a Napoli prima di tornare in Israele, ma che ha mantenuto i contatti con la nostra comunità, mi ha spiegato come il richiamo fosse stato programmato diversi mesi fa e che quindi non ha niente a che vedere con gli avvenimenti degli ultimi giorni. Con molta semplicità e chiarezza, il nostro amico ci racconta di come lui e gli altri israeliani, da una vita improntata alla consuetudine, con affetti e hobby, vengano catapultati per alcune settimane in un contesto completamente diverso, indossando la divisa, imbracciando un fucile d’assalto, dormendo in brandine per tenersi sempre pronti ad intervenire per contrastare una minaccia verso Israele e i suoi abitanti, consapevoli della possibilità di mettere in pericolo la propria vita per la sicurezza degli altri.
Anche Ely, così come Moshè e Aviva, vive questa situazione dicotomica, tra una condizione di normalità, o di sua ricerca, e una condizione di insicurezza per la costante minaccia agli israeliani da parte delle organizzazioni terroristiche e di pericolo per la loro libertà. La loro, come quella di tutti gli israeliani, è una condizione difficile da comprendere per chi vive in Italia dove la sicurezza e la libertà, ottenute con il sacrificio di chi combatté contro il nazifascismo ottanta anni fa, sono considerate come cose scontate. Per gli ebrei in fondo la condizione di precarietà è una costante che si ripete da secoli nella diaspora, dove si è sempre dovuto far convivere il timore per la propria sicurezza con l’ostinata ricerca della normalità.
Probabilmente è questo il motivo per cui Moshè, Aviva, Ely riescono ad essere sereni e a conservare la loro umanità e dignità anche in una situazione in cui forse altri non riuscirebbero a farlo.
(L'informale, 19 maggio 2023)
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Israele: le celebrazioni per l’anniversario della riunificazione di Gerusalemme
di Luca Spizzichino
Si sono svolte ieri le celebrazioni per Yom Yerushalaim, giorno in cui si festeggia l'anniversario della riunificazione, avvenuta durante la Guerra dei Sei Giorni, di Gerusalemme, facendola ritornare la capitale unica e indivisibile dello Stato d’Israele.
Nonostante le tensioni e le minacce di Hamas, il 56esimo anniversario della riunificazione di Gerusalemme è stato aperto con la Marcia della Bandiere, manifestazione che ha attraversato la Città Vecchia ed è arrivata fino al Muro Occidentale. Per svolgere in piena sicurezza il tutto, l’apparato di sicurezza israeliano ha impiegato oltre 3.200 uomini.
La sera, invece, nel sito commemorativo di Ammunition Hill, che fu teatro di una delle più feroci battaglie della Guerra dei Sei Giorni, si è svolta la cerimonia di Stato alla presenza del Presidente Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Il presidente Herzog ha ricordato il viaggio senza fine della città di Gerusalemme. "Ci ha insegnato come società e come Paese che c'è solo un modo per intraprendere questo viaggio: insieme", ha affermato. Ha lanciato inoltre un chiaro messaggio ai leader politici sull’attuale polarizzazione della società israeliana, parlando della distruzione di Gerusalemme. “L'odio insensato l’ha distrutta – e sottolineo: l'odio ingiustificato non è solo una ragione ma una conseguenza di se stesso; ci sono fattori che portano ad esso”.
I testi rabbinici spiegano infatti che la distruzione del Secondo Tempio e la dispersione del popolo ebraico furono una conseguenza della relazione tossica tra sette ebraiche rivali a Gerusalemme. Herzog ha aggiunto inoltre che le storie di odio e distruzione nella storia ebraica derivano tutte dall'incapacità “di gestire il disaccordo, di risolvere la disputa, di mettere da parte il dibattito interno sulla via della pace". Il popolo ebraico deve imparare da tali lezioni e mettere in pratica le proprie scoperte, ha affermato.
“Nel giorno di Gerusalemme, la eleviamo di nuovo al di sopra della nostra più alta gioia. Tuttavia, la verità è che la nostra gente ha fatto questo giorno dopo giorno, anno dopo anno, per centinaia di anni con la frase: ‘L'anno prossimo a Gerusalemme’". Così ha aperto Netanyahu il suo discorso, nel quale ha ricordato il lungo viaggio che ha portato alla riunificazione della capitale il 7 giugno 1967.
“È diventata una città, una gigantesca metropoli in Israele. Stiamo costruendo e permettendo a tutti i suoi residenti una vita migliore nella nostra capitale eterna” ha continuato il premier israeliano, che ha sottolineato l’importanza nel rendere sicura Gerusalemme.
“Ci impegniamo a salvaguardare la sicurezza di Gerusalemme, a garantire la sua prosperità e a continuare il suo slancio. Lo stiamo facendo anche contro tutte le minacce intorno a noi. Sebbene le minacce non stiano certamente cessando, la nostra capacità di affrontare i nostri nemici, respingerli e garantire la sicurezza della nostra capitale e del nostro stato è una lotta costante. Insieme possiamo vincere” ha aggiunto.
“Questo è anche un giorno splendido per celebrare il ritorno nella nostra capitale eterna, che è stata la nostra capitale per oltre 3000 anni” ha concluso il primo ministro israeliano.
(Shalom, 19 maggio 2023)
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Perché gli Usa puntano a nuove relazioni fra Riad e Gerusalemme
di Emanuele Rossi
La Casa Bianca vuole spingere diplomaticamente per un accordo di distensione tra Arabia Saudita e Israele nei prossimi sei o sette mesi, prima che la campagna elettorale per le presidenziali consumi l’agenda del presidente Joe Biden. Lo hanno dichiarato a Barak Ravid di Axios due funzionari statunitensi a conoscenza della questione. A quanto pare, sul tavolo non c’è un percorso incrementale, ma la possibilità di lanciare un grande piano di intesa che potrebbe interessare vari aspetti di questi nuovi rapporti.
• Perché è importante Vale la pena mettere subito in chiaro che qualsiasi accordo di normalizzazione formale delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele sarebbe uno sviluppo molto importante per la regione mediorientale, dove Riad e Israele hanno per lungo tempo tenuto pubblicamente posizioni distanti (anche ideologicamente), sebbene contatti tramite backchannel e intelligence siano sempre esistiti. Attualmente, sull’onda di una rinnovata ricerca di stabilità regionale, si sono anche innescate una serie di dinamiche distensive bilaterali più alla luce del sole, ma distanze su dossier come quello palestinese restano (e probabilmente un accordo di Riad comporterà per Gerusalemme l’accettazione di alcuni compromessi). Allo stesso tempo, un accordo israelo-saudita mediato dagli Stati Uniti dovrà anche includere un miglioramento delle relazioni tra Washington e Riad. Relazioni che si sono in parte congelate anche perché l’amministrazione democratica al governo ha privilegiato la spinta sui valori democratici e i diritti collegati come vettore di politica internazionale – e il regno saudita è stato spesso contestato dai congressisti statunitensi per la mancanza di standard di rispetto di quei valori e di quei diritti. Tant’è che un accordo del genere potrebbe essere impopolare tra i Democratici e costare a Biden molto capitale politico interno. Durante la campagna elettorale vinta, l’attuale presidente giurava di rendere l’Arabia Saudita un “paria” parlando dell’assenza di diritti umani del regno e dell’omicidio dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi – che l’intelligence statunitense sostiene sia stato eliminato, perché nemico del nuovo corso del potere a Riad, sotto ordine del principe ereditario Mohammed bin Salman (un’accusa che l’Arabia Saudita nega, incolpando “mele marce” del sistema di intelligence per quanto accaduto il 2 ottobre 2018 al consolato di Istanbul).
• Il valore dell’accordo Probabilmente, consapevole delle dinamiche innescate nel Medio Oriente, Biden potrebbe essere portato a spingere comunque sull’accordo. L’intesa potrebbe rappresentare una svolta storica con un effetto a cascata: la normalizzazione delle relazioni con Riad potrebbe portare molti altri Paesi della regione a muoversi in modo simile. L’Arabia Saudita è infatti il protettore dei luoghi sacri dell’Islam, e per molto tempo si è ritenuto che un passo del genere non fosse possibile, almeno finché Re Salman – che rappresenta lo status quo e il vecchio corso del potere saudita – fosse stato in vita. Se l’amministrazione Biden fa sapere di voler spingere sull’intesa, allora significa che si sono creati degli spazi concreti, e che bin Salman in qualche modo dà garanzia che certe tappe possono essere bruciate. D’altronde, l’erede ha dato una boccata d’ossigeno al regno, innescando una serie di processi di modernizzazione che sono passati anche da un rinvigorimento della strategia internazionale e dalla rottamazione del circolo del potere interno (passaggio non senza acredini). Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha incontrato bin Salman la scorsa settimana a Jeddah e, tra le altre cose, ha discusso della possibilità della normalizzazione con Israele. Dopo l’incontro, lo zar della Casa Bianca per il Medio Oriente, Brett McGurk, è andato a Gerusalemme per vedere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – con McGurk c’era anche Amos Hochstein, consigliere senior di Biden che occupa il ruolo di Special Presidential Coordinator for Global Infrastructure and Energy Security e che partecipa a tutti i principali incontri mediorientali.
• La connettività… La presenza di Hochstein è molto importante perché sposta sul dossier di mediazione israelo-saudita il peso statunitense nel settore delle infrastrutture a dimensione geopolitica. Durante l’incontro con bin Salman infatti, gli americani hanno infatti discusso anche della possibilità di includere l’Arabia Saudita in un processo di connettività regionale che collegherebbe la regione con l’India attraverso una serie di strade, ferrovie e scali portuali che potrebbero aumentare notevolmente i rapporti lungo l’asse geopolitico indo-abramitico. Questa discussione sulla connettività è per altro nata all’interno dell’ambito I2U2 – il sistema minilaterale composto da India, Israele, Usa e Uae (Emirati Arabi Uniti) – e dunque troverebbe già presenti tutti gli attori più importanti per l’accordo israelo-saudita. E se gli Accordi di Abramo targati amministrazione Trump hanno avviato il processo di normalizzazione arabo-israeliana – coinvolgendo su tutti gli Emirati Arabi Uniti – l’accordo con Riad per l’amministrazione Biden sarebbe allora un successo internazionale di valore ben superiore. Sul tavolo infatti ci sono progetti come quello dell’interconnessione con l’India che hanno valore altamente strategico e che mirano a contro-bilanciare la presa della Belt & Road Iniative cinese e dei suoi tentacoli in Medio Oriente. Tutto in una stagione in cui il ruolo di Pechino nella regione si sta consolidando non solo sul piano economico-commerciale, ma anche in processi di mediazione politica come quello siglato tra Iran e Arabia Saudita. Con i cinesi che sono interlocutori di primo piano anche per Israele, anche in questo caso con interesse privilegiato ai nodi logistici di connessione, come raccontano le attività della Shanghai International Port Group al porto di Haifa.
• E l’alternativa Al pari dei progetti infrastrutturali, economici, politici, securitari della Cina, per gli Stati Uniti c’è anche un altro potenziale allineamento da contrastare: quello tra Russia e Iran, che da un lato ha la possibilità di integrazione con i piani cinesi, e dall’altro è oggetto di attenzioni per i Paesi regionali. Non c’è solo la questione delle forniture militari iraniane usate in Ucraina dai russi, chiaramente, ma la possibilità che Teheran e Mosca uniscano le forze anche in altri ambiti (seppure le enormi difficoltà economiche dei due Paesi). Il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, hanno per esempio firmato mercoledì, in collegamento video, un accordo per il finanziamento e la costruzione di una linea ferroviaria iraniana nell’ambito di un embrionale corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud. La ferrovia Rasht-Astara è un anello del corridoio, destinato a collegare l’India, l’Iran, la Russia, l’Azerbaigian e altri Paesi attraverso rotaie e porti. Un percorso che, secondo la Russia, potrebbe rivaleggiare con il Canale di Suez come importante via commerciale globale – magari passante anche dalle rotte settentrionali (che Mosca spera più accessibili con lo scioglimento dei ghiacci). Bypassare Suez è uno dei temi che gli americani possono usare con i mediorientali perché è un piano sgradito a quei Paesi che per le connettività guardano a sud. L’altro riguarda la possibilità di crescita del valore strategico e internazionale dell’Iran. Sebbene la riapertura delle relazioni con Riad, Teheran resta un competitor per il Golfo (con diversi dossier aperti da sistemare); mentre per Israele è il nemico esistenziale contro cui muoversi anche militarmente.
• Il tema Iran Mentre qualche anno fa Washington poteva trovare un punto di contatto facile tra Riad e Gerusalemme nel contrasto guerresco a Teheran, ora le cose sono parzialmente cambiate. Tuttavia sia i sauditi che gli israeliani sono interessati ad aumentare le capacità di integrazione e cooperazione militare pensando alla Repubblica islamica come fattore di fondo. Al punto che circolano rumors sulla possibilità che gli Stati Uniti abbiano offerto di impegnarsi con Israele in una pianificazione militare congiunta nei confronti dell’Iran. Questa non significa di fatto la creazione di piani di attacco, ma diventerebbe una forma di rassicurazione massima nei confronti di Israele attraverso scambi quasi totali di intelligence, preparazione di scenari, esercitazioni e integrazioni operative. In definitiva, ogni parte sarà portata a condividere i propri piani per le diverse contingenze, ed entrambe le parti potranno discutere i modi per affrontare meglio i diversi scenari che potrebbero svilupparsi riguardo alle attività dell’Iran nella regione. Ma la situazione va letta con la giusta angolazione. Una pianificazione congiunta potrebbe anche servire a Washington per evitare di essere informata all’ultimo momento di un eventuale attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani – sempre più plausibile davanti allo sviluppo del programma nucleare con l’accordo Jcpoa ormai naufragato. E questo è importante anche per Riad, che vuole evitare di finire invischiata in una guerra, di essere esposta con Israele potenziale aggressore iraniano, di far saltare i progressi ottenuti nell’appeasement con Teheran. Allo stesso tempo, Riad vorrebbe essere maggiormente coinvolta in questi processi di sicurezza, e gli Stati Uniti potrebbero dare più spazi ai sauditi se accettassero una formalizzazione delle relazioni con Israele. Inoltre, una partecipazione del regno potrebbe evitare a Washington il peso della richiesta di sviluppo di un programma nucleare proprio – mentre russi e cinesi sono già operativi per fornire un’offerta per l’arricchimento dell’uranio e Riad.
(Formiche.net, 19 maggio 2023)
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Djerba: una settimana dopo l’attentato, una faticosa ripresa. E non mancano le polemiche
di Roberto Zadik
Sono giorni intensi per la comunità ebraica tunisina, che, a nemmeno due settimane dall’attentato alla sinagoga di Djerba, cerca di riprendersi nonostante il clima attorno ad essa sia decisamente inquieto. Le notizie si susseguono, in rapida successione, fra testimonianze contrastanti e stati d’animo di vario tipo. Il sito Jewish Telegraphic Agency, lo scorso 11 maggio, ha raccontato che il giorno dopo l’attentato, in cui hanno perso la vita cinque persone, nella stessa sinagoga, La Ghriba, una delle più antiche del Maghreb, vi è stata una circoncisione. Canti, balli e gioia si sono riversati attorno a quel piccolo, a otto giorni dalla sua nascita, con il Rabbino Isaac Choua che ha celebrato la ricorrenza, come sempre. Secondo il Rav, attualmente residente a New York, è stata la risposta a quell’orrore, accaduto poche ore prima, e intervistato dal sito, al Congresso Ebraico Mondiale degli ebrei del Medio Oriente e del Nord Africa, ha detto” hanno voluto celebrare lo stesso la circoncisione dopo tutto quello che era successo, il giorno prima, durante la festa del Lag Baomer che, ogni anno, attira nelle sale della Ghriba migliaia di visitatori da tutto il mondo, molti dei quali di origini tunisine.Ripercorrendo la recente storia di questa sinagoga, il Rabbino ha ricordato l’attacco del 2002 che, perpetrato dai terroristi di Al Qaeda, aveva ucciso venti persone. Stando all’articolo l’attentato di martedì scorso risulta particolarmente spiazzante, visti gli sforzi della Tunisia e del suo governo in materia di tolleranza e accoglienza delle diversità. Nonostante questa difficile situazione, speranza e forza morale contraddistinguono i membri della piccola Comunità di Djerba che, come ha evidenziato Yaniv Salama, amministratore delegato della Fondazione Salamanca, “ha forti legami con le autorità e il mondo esterno ed è necessario rafforzare le relazioni fra le comunità ebraiche ed i paesi arabi; Djerba rimane un’oasi di coesistenza”. Il Rabbino Choua ha messo in luce come “gli ebrei tunisini sono resilienti, non si sentono scoraggiati dopo questo attentato e stanno visitando, anche in questi giorni, con le loro famiglie , i luoghi di pellegrinaggio”. In tema di reazioni, Salama ha espresso la propria costernazione, riguardo a questo attacco, dicendo “non mi aspettavo che una comunità di poco più di millequattrocento ebrei fosse colpita da questo attentato”. Come hanno sottolineato i vari interventi e ha confermato anche Salama gli ebrei tunisini “sono atterriti da queste violenze ma stanno cercando di andare avanti e di stringere i denti”. L’attentato ha lasciato un profondo choc nella Comunità locale e, in merito a quanto accaduto martedì 9 maggio per ragioni ancora oggi ignote, il sito tedesco DW, venerdì 12 maggio, ha pubblicato l’interessante racconto di Michael Hanna, scampato in extremis all’attentato. Nell’articolo, firmato da Tarak Guizani e Cathrin Schaer, viene evidenziata la sua incredulità nell’essersi salvato miracolosamente. Hanna ricorda quando uno sconosciuto ha aperto il fuoco contro i presenti. Ancora impaurito ha affermato “i visitatori erano stipati dentro la sinagoga ma nessuno era stato ferito; mia moglie si era sentita male poco prima ed era tornata a casa, ed io volevo raggiungerla per riposare assieme a lei e ai miei due figli ma, improvvisamente, ho visto le pallottole volare, in ogni direzione, e una di esse ha colpito la bottiglia di birra che tenevo in mano; pensavo di stare per morire ma, miracolosamente, sono sopravvissuto”. Ricordando il sacrificio dei due agenti, morti nell’attacco, l’ex Ministro del Turismo Renè Trabelsi, come ha riportato la TAP, agenzia giornalistica tunisina, ha elogiato le forze della sicurezza che “hanno sacrificato la vita per salvare altre vite umane” evidenziando che” il loro intervento, che è stato molto efficace, ha impedito che la strage si aggravasse”.
• Le dichiarazioni del presidente tunisino, bufera di reazioni e indignazione dopo il suo attacco a Israele
A surriscaldare l’atmosfera sono arrivate le controverse esternazioni del presidente tunisino Kais Saied che, secondo quanto ha riportato giovedì 18 maggio la versione francese del Times of Israel, ha affermato che “la Tunisia è un paese tollerante ma bisogna dividere l’ebraismo dal sionismo”. Stando alle ricostruzioni di vari siti, mercoledì 17, egli avrebbe dovuto incontrare gli esponenti delle tre grandi religioni, il gran rabbino di Tunisia Haim Bittan, il mufti Hichem ben Mahmoud e l’arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi. Inizialmente egli ha definito l’evento “un incontro storico fondamentale che dimostra l’apertura della Tunisia verso la convivenza fra culture”. Successivamente egli ha assicurato che l’inchiesta della polizia andrà avanti per ricercare i mandanti dell’attentato e, secondo quanto rivela il sito Times of Israel, nel suo articolo realizzato assieme all’agenzia di stampa tunisina, quattro persone collegate all’autore del gesto sono state arrestate. Le autorità tunisine però, nonostante abbiano denunciato l’attentato come “un gesto criminale”, hanno evitato di definire l’autore del gesto come un “terrorista” e di inquadrare come antisemita il suo attacco. Oltre a questo, nel suo discorso Saied, ha confermato la gravità dell’accaduto che “danneggia la stabilità della Tunisia portando divisione e rancore”. La parte più problematica è stata quando, rivolgendosi ai membri della Comunità ebraica al suo cospetto, ha detto “potete vivere in pace e garantiremo la vostra sicurezza ma bisogna distinguere ebraismo e sionismo e mettere fine alla tragedia del popolo palestinese”. Nonostante ciò, il Rabbino Bittan si è definito soddisfatto dell’incontro e del sostegno governativo per impedire che quanto accaduto si ripeta.
• L’indignazione della storica Deborah Lipstadt:”Saied antisemita”
Subito dopo che queste parole hanno girato il mondo, è arrivata la replica dell’autorevole storica ebrea americana Deborah Lipstadt, inviata della Casa Bianca sull’antisemitismo, riportata mercoledì 17 maggio dal sito algemeiner. Nel testo dell’articolo, firmato da Andrew Bernard, la Lipstadt ha definito “antisemita” il discorso di Saied. Ricordando la sua visita il giorno prima dell’attentato, ella ha espresso la sua costernazione riguardo all’assenza di qualsiasi condanna di Saied, nel descrivere l’odio antiebraico dell’attentato, definendo questa omissione come “scoraggiante e irritante”.I commenti indignati della storica arrivano in un momento di sconvolgimento fra gli ebrei tunisini per le dichiarazioni di Saied. Uno dei membri della Comunità, che per evitare problemi ha mantenuto l’anonimato, ha ribadito “ho sentito l’intero discorso del presidente e mi è sembrato che per lui sia molto difficile pronunciare la parola “ebrei”. Senza dubbio, Saied non solo odia Israele ma è anche antisemita”. Come ha evidenziato il sito, il presidente non è nuovo a condotte ostili verso gli ebrei perché, nel 2021, aveva tenuto un discorso in cui accusava gli ebrei di “essere responsabili dell’instabilità del Paese” anche se egli ha poi negato di aver fatto queste affermazioni. Ricordando le parole del presidente palestinese Mahmud Abbas che una volta, davanti alle Nazioni Unite, accusò Israele di “mentire come Goebbels” la Lipstadt ha sottolineato la gravità di queste dichiarazioni soprattutto in un periodo in cui “a livello mondiale le violenze antisemite sono in aumento”.
(Bet Magazine Mosaico, 19 maggio 2023)
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Uno Shabbat, due piazze: domani scendono in strada le due anime di Israele
di Alfredo De Girolamo
Israele una bandiera e due piazze, quella di Tel Aviv che grida in difesa della democrazia e quella dei nazional-religiosi a Gerusalemme che urla l'odio per gli arabi. Due visioni politicamente e culturalmente distanti, geograficamente vicine. A Tel Aviv il prossimo sabato saranno 20 le settimane consecutive che la gente scende in piazza per opporsi alla riforma del sistema della giustizia. Per la prima volta però lo scorso fine settimana si è verificata una spaccatura nel movimento anti-Netanyahu. Alla luce dell'escalation militare a Gaza gli organizzatori hanno cancellato gli eventi previsti, optando per prendere una pausa dal canonico appuntamento del post Shabbat lungo i viali di Tel Aviv. Una questione puramente di sicurezza: “Portare 100 mila persone a Kaplan - arteria stradale della città - in un momento in cui potrebbe esserci la sirena dei razzi è pericoloso”. Una parte del movimento si è dissociata dalla decisione e ha indetto un proprio corteo: “Se non combatti, non vinci. Coloro che rinunciano al loro diritto di protestare, stanno facendo un invito alla dittatura”. Alla fine erano in decine di migliaia a sfilare. “Pioggia o sole, caldo o freddo, in guerra o pace, siamo qui”, così Shikma Bressler, uno degli attivisti del movimento. “Sappiamo bene che l'unico pericolo che minaccia davvero l'esistenza dello Stato di Israele è la revisione giudiziaria”. Qualche divergenza affiora, come era plausibile accadesse con il passare del tempo. Anche la maggioranza di governo mostra evidenti sfaccettature. A far più rumore c'è l'estrema destra, che a Gerusalemme ha marciato scortata da cordoni di polizia nei quartieri arabi, per celebrare con la “Marcia delle bandiere” la riunificazione della città Santa sotto il vessillo di Davide. E il ritorno delle preghiere al Muro del Pianto. Ma non nella Spianata delle Moschee dove sorgeva l'antico tempio ebraico, e vige lo status quo che non autorizza altri rituali se non quelli islamici. Condizione di divieto rispettata dai haredim dell'ortodossia ebraica, che seguono le indicazioni del rabbinato di astenersi da svolgere attività nel luogo. A non ascoltare l'invito sono le sigle riconducibili al Zionismo religioso e in genere al movimento post-sionista della destra. Che continuano a violare le regole, elevando costantemente il livello di guardia tra palestinesi e israeliani. Così quello che dovrebbe essere un giorno di festa, almeno per gli israeliani, finisce per trasformarsi in ore di tensione e il rischio di un nuovo confronto militare. Tutto ruota intorno a questa parata che puntualmente degenera in zuffe e scontri con i palestinesi. E lo scambio di reciproche accuse di essere stati provocati dall'altro. Simbolico che la piazza di Gerusalemme punta i riflettori sull'assidua presenza di Itamar Ben-Gvir, controverso ministro del governo Netanyahu, mentre in quella di Tel Aviv a salire sul palco abbiamo lo scrittore David Grossman. Due piazze, per due famiglie di Israele che si stanno imponendo in antitesi l'una all'altra. La stranezza è che il premier Benjamin Netanyahu, il più votato alle ultime elezioni, non ha una sua piazza schierata. Bibi se potesse farebbe a meno di appuntamenti di massa come quelli di Tel Aviv e Gerusalemme, e sicuramente dei loro contenuti. Invece, non può, per ragioni di tenuta della sua maggioranza, prendere troppo le distanze dagli alleati dell'estrema destra. E allo stesso tempo, in un momento così complesso, deve evitare che la tenuta interna della società israeliana si strappi, aggravando il quadro politico. L'equilibrismo del populista Netanyahu è pura arte retorica. Ha coltivato l'orticello della destra nazionalista e illiberale, lasciando che l'erba cattiva attecchisse bene, peccato che sia infestante. Ben-Gvir ogni giorno allarga, usando l'arma del ricatto, il proprio peso specifico condizionando la strategia del governo. Almeno fino a oggi Bibi non è riuscito a contenerlo. Gli è rimasta però un'ultima possibilità, molto pratica, per mostrare che è lui al timone: la manovra di bilancio. Il borsone della spesa può essere più convincente di qualsiasi altra cosa. Ma può anche creare dei nemici.
(Formiche.net, 19 maggio 2023)
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Ner Tamir del Sud, la vita ebraica in Calabria: intervista a Rabbi Barbara Aiello
La vita e le iniziative della comunità che ha come punto di riferimento la sinagoga Ner Tamir del Sud, l’unica presente in Calabria
di Gianni Poglio
«Sono ottanta le persone che ruotano alla nostra comunità. persone che arrivano dai dintorni ma anche dalla Campania e dalla Sicilia» racconta a Joimag Rabbi Barbara Aiello, la prima donna rabbino in Italia, da Serrastretta, dove sorge la sinagoga Ner Tamid del Sud, l’unica attiva in Calabria negli ultimi cinquecento anni, oltre che la prima e unica sinagoga “ricostruzionista” riconosciuta in Italia. «Come prima donna e primo rabbino liberale moderno in Italia, sono tornata molti anni fa in Calabria, la terra delle mie radici, dove ho organizzato quella che è la prima e unica iniziativa per aiutare gli italiani del sud a scoprire e abbracciare qualcosa che era stato loro nascosto per quasi 500 anni. Ero venuta per aiutarli a trovare le loro radici ebraiche. Più di 500 anni fa, all’epoca dell’Inquisizione, i nostri antenati furono costretti a scegliere: abbandonare la religione ebraica e sottoporsi a una conversione forzata, oppure essere espulsi dalle nostre case e dai nostri villaggi» spiega. Rabbi Barbara Aiello è nata a Pittsburgh, in Pennsylvania, ed è figlia di un liberatore del campo di concentramento di Buchenwald. Negli ultimi mesi, Rabbi Barbara ha contribuito ad ospitare in Calabria madri e figli in fuga dall’Ucraina a causa della guerra. «Ho un’esperienza personale. I miei antenati, ebrei spagnoli, furono costretti a fuggire da Toledo, in Spagna, poi in Portogallo, quindi in Sicilia e infine sulle montagne della Calabria per sfuggire alle persecuzioni, all’arresto o alla morte. Infatti, la mia bisnonna, Angelarosa Grande, era una diretta discendente di Matteo de Grande, un “neofita” o “nuovo cristiano”, i cui beni e proprietà furono confiscati dalle autorità dell’Inquisizione nella città siciliana di Naro. La famiglia fu arrestata per “giudaizzazione”, ovvero per aver praticato in segreto le proprie tradizioni ebraiche. Alla fine si rifugiarono nel Reventino, nel minuscolo villaggio di montagna che chiamarono Serrastretta. Trovarono un posto dove essere ebrei, ma date le loro spaventose esperienze, scelsero di continuare la loro osservanza clandestina. Per secoli hanno acceso candele il venerdì sera, si sono astenuti dal mangiare carne di maiale e, quando moriva una persona cara, si sedevano su sedie basse e coprivano gli specchi di tutta la casa, antiche tradizioni ebraiche che praticano ancora oggi» rivela prima di aggiungere «che la comunità di Serrastretta offre un approccio pluralistico alle funzioni dello Shabbat, alle feste, alle commemorazioni e agli eventi del ciclo vitale, praticando l’accoglienza ebraica per tutti coloro la cui storia personale li spinge alla nostra porta. Siete i benvenuti se siete ebrei, se siete per metà ebrei, se vi sentite ebrei o se volete semplicemente saperne di più». Quanto alle attività di Ner Tamir del Sud, Rabbi Barbara racconta che buona parte dei membri della comunità vivono lontano da Serrastretta. «Per questa ragione, e per premettere loro di partecipare alle funzioni dello Shabbat e alle feste ebraiche, offriamo esperienze intensive di weekend completi sei-sette volte durante l’anno. Un weekend Shabbaton comprende un servizio di Kabbalat Shabbat in un hotel locale, vicino all’aeroporto e alla stazione ferroviaria di Lamezia Terme. La mattina dello Shabbat noleggiamo un pullman per portare i nostri fedeli alla sinagoga – un viaggio di 40 minuti fino a Serrastretta, dove si trova la sinagoga. Dopo il tradizionale servizio Shacharit, che comprende canti e preghiere e la lettura della Torah, offriamo un pranzo seguito da una “passeggiata” e dallo studio della Torah all’aperto. Concludiamo lo Shabbat con la Havdalah. Alla fine di tutto, l’autobus riporta i nostri fedeli all’hotel di Lamezia. Non solo: «La domenica mattina offriamo ai nostri membri e ai visitatori della comunità una lezione di lingua ebraica. Concludiamo con i canti tradizionali dello Shabbat e tutti ripartono per casa. I nostri weekend di Shabbaton permettono così ai nostri membri che vivono in Sicilia, a Lipari, a Reggio Calabria e a Cosenza di partecipare comodamente alle nostre attività sinagogali. Le famiglie di Serrastretta che vivono vicino alla sinagoga possono invece raggiungerla a piedi. Infine, celebriamo Rosh Hashanah nell’ex campo di concentramento di Ferramonti vicino a Cosenza. Era gestito da italiani ed il loro comandante permetteva ai prigionieri di celebrare e le festività ebraiche. Quei soldati e buona parte della poolazione locale hanno salvato la vita a centinaia di ebrei. Festeggiato Rosh Hashanah in quel luogo per mostrare alla popolazione quel che hanno fatto per i prigionieri ebrei i loro antenati».
(JoiMag, 19 maggio 2023)
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Le «confessioni» di Palù sono un buon inizio
Le ammissioni a scoppio ritardato del capo dell'Aifa hanno un chiaro significato: è inutile continuare con la narrazione «terroristica» sul virus. Ammettiamo che l'idrossiclorochina funziona e facciamo mea culpa sulle vaccinazioni ai bambini.
di Giovanni Frajese
Illustrissimo professor Palù, avrei voluto contattarla da qualche anno, avevo avuto modo di apprezzare la sua eleganza e la sua preparazione all'inizio della storia pandemica, quando i suoi interventi erano a mio modesto avviso puntuali e pieni di buon senso. Dopo essere diventato presidente dell'Aifa però la sua voce si è sentita molto poco, e quando lo ha fatto ha espresso posizioni, come nel caso della vaccinazione per il SarsCov2 nei bambini, che mi hanno lasciato sbigottito. È arrivato persino a ipotizzare l'obbligo vaccinale con questi prodotti nei bambini, per fortuna qualcuno non la ha ascoltata. Ma non è lei uno degli autori della ricerca pubblicata su Eroniiers of Virology a febbraio del 2022, nel quale si dimostra la presenza di una sequenza di 19 basi nucleotidiche, nel genoma pubblicato del SarsCov2, oggetto di brevetto di Moderna nel 2017? E che questa sequenza ha una possibilità su 3 triliardi di essere casuale? Non ci ha quindi chiaramente detto pubblicandolo su una ottima rivista scientifica, che il virus non solo è sintetico, ma che usa una sequenza, che include il sito di clivaggio della furina umana, brevettata da Moderna per la ricerca sui tumori, che ne ha aumentato esponenzialmente la capacità infettiva? La stessa Moderna che ha poi prodotto i vaccini.
Sembra la trama di Mission Impossible 2, il virus chimerico e la sua cura. Eppure, è reale, solo che non se ne parla, per ragioni che sfuggono alla mia comprensione. Forse nessuno lo ha detto chiaramente alla magistratura. Sentirla dire da Vespa l'altra sera, una ventata di verità, seppur parziale e ben costruita dialetticamente, è stata una sorpresa. Ha esordito dicendo che gli errori si commettono, specialmente di fronte a un virus nuovo, per poi spiegarci come non si siano ascoltati i presidenti delle Regioni all'inizio della pandemia. Ma la vera sorpresa è stata sul tema delle terapie, dove oltre all'ormai ben noto dilemma sull'uso degli antinfiammatori invece che tachipirina e vigile attesa, il cui senso medico e scientifico è a tutt'oggi sconosciuto agli eretici come me, è arrivato a citare, senza mai nominarla, la potenzialità di una cura a base di idrossiclorochina e lo scandalo del Lancet Gate sulla stessa. Idrossiclorochina, una parola talmente tabù, che non riesce a pronunciarla neanche lei, pur parlando dello studio retratto da Lancet perché completamente falso, che ne screditava l'efficacia. Accanto a lei è rimasto muto e visibilmente preoccupato il prof. Bassetti, forse si sarà ricordato quando sulla questione, proposta all'epoca da Salvini, sentenziò: «Studi clinici fatti seriamente su vasta scala hanno detto che l'idrossiclorochina non serve a niente, inutile continuare a dire alla gente che serve a qualcosa» e ancora «non facciamo stregoneria, è stata ampiamente bocciata e non serve a niente». Da Vespa è rimasto muto. Ubi maior, minor cessat. La sua indubbia preparazione invece, non potrà non farle notare l'incongruenza del suo stesso discorso. Ha esordito con un «ci trovavamo davanti a un virus nuovo», per cui errare è parte del processo, per poi smentirne l'essenza con il ragionamento successivo, dove parla di esperienze pregresse con SarsCov e Mers che ci avevano insegnato il rischio nosocomiale di questi virus e le terapie che si erano già rivelate efficaci su virus di questo tipo. Quindi la logica vuole che non ci trovassimo di fronte a una entità, seppur sintetica, completamente nuova, ma a un virus respiratorio appartenente a una famiglia studiata da decenni, sia dal punto di vista terapeutico, che trasmissivo. Altro che non sapevamo cosa fare, l'eccellente prof. Raoult ha bruciato la sua carriera in Francia per aver osato dire la verità, la cura esiste, l'idrossiclorochina funziona, le cure esistono, ivermectina, iodopovidone, indometacina. Ma lo diceva Trump, non poteva essere vero. Invece sì, lo conferma lei. L'esistenza delle cure significa aver esposto i bambini a una sperimentazione dove il rapporto costo/beneficio non è semplicemente applicabile. Il beneficio è nullo, il rischio sconosciuto, saprà meglio di me che per ragioni di «definizione» questi prodotti a mRNA sono effettivamente delle terapie geniche, ma non sono definibili tali perché secondo l'Erna per definizione i vaccini a mRNA non lo sono. Quando si dice le parole plasmano la realtà. Conosce perfettamente che gli studi di cancerogenicità e genotossìcìtà non sono stati effettuati perché non richiesti dall'iter di approvazione scelto. E con tutte queste, e le altre conoscenze che lei ha, dubito che: «La prossima settimana vaccino ai bimbi, lo farò ai nipoti», sia poi divenuto realtà. Le auguro con il cuore di averlo detto, ma non averlo fatto. E se così fosse mi chiederei come può averlo detto al suo popolo? Chissà che l'ora della verità non sia in arrivo, certo un segnale c'è stato, meglio tardi che mai.
(La Verità, 19 maggio 2023)
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Parashà di Bemidbàr: Perché i leviti erano così pochi?
di Donato Grosser
La parashà inizia con l’ordine di contare i figli d’Israele: “L’Eterno parlò a Moshè, nel deserto di Sinai, nella tenda della radunanza, il primo giorno del secondo mese, nel secondo anno dell’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, e disse: contate tutta la radunanza dei figli d’Israele secondo le loro famiglie, per le case paterne, enumerandole per nome, ogni maschio individualmente. Dai vent’anni in su, tutti quelli che in Israele possono andare alla guerra; tu ed Aharon ne farete il censimento, secondo le loro schiere” (Bemidbàr, 1: 1-3). Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta: “Egli li conta ogni volta a causa del loro amore di fronte a Lui: li contò quando uscirono dall’Egitto; contò quelli rimanenti dopo che caddero a causa del vitello d’oro; e li contò quando venne il momento di fare dimorare la Sua provvidenza presso di loro. Il mishkàn fu eretto nel primo giorno di Nissàn e li contò il primo giorno del successivo mese di Iyàr”. R. Shelomo Ohev (XVI sec. E.V., Ragusa, oggi Dubrovnik) nel suo commento Shemen Hatov, fa notare che bisogna spiegare perché tutte le tribù si moltiplicarono in modo miracoloso, “sei per ogni ventre”, mentre il numero degli uomini della tribù di Levi crebbe in modo normale. Leggendo il testo vediamo che furono contati ventiduemila leviti dall’età di un mese in su (ibid., 3:39) e circa ottomila dai trenta ai cinquanta anni. Se paragoniamo il numero dei leviti alla tribù con il numero più basso, vediamo che la tribù di Menashè contava trentaduemila e duecento uomini di età da venti a sessanta anni. E anche bisogna tener conto del fatto che la tribù di Menashè era metà della tribù di Yosef. R. Ohev chiede quindi: “Quale peccato commise la tribù di Levi per rimanere così poco popolosa?“ Per rispondere a questa domanda egli cita il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) che nel suo commento afferma che le tribù si moltiplicarono a un ritmo miracoloso perché il faraone voleva impedire l’aumento della popolazione degli israeliti come scritto nella Torà: “Egli disse al suo popolo: Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più potente di noi. Usiamo prudenza con essi; che non abbiano a moltiplicare e, in caso di guerra, non abbiano a unirsi ai nostri nemici e combattere contro di noi e poi andarsene dal paese. Stabilirono dunque sopra Israele dei preposti ai lavori, che l’opprimessero con le loro angherie. Ed il popolo edificò a Faraone le città di approvvigionamento, Pithom e Raamses. Ma più l’opprimevano, e più il popolo moltiplicava e s’estendeva...” (Shemòt, 1:9-12). Gli egiziani oppressero i figli d’Israele affinché non si moltiplicassero e il Santo Benedetto proprio per questo motivo fece sì che si moltiplicassero. La tribù di Levi non fu soggetta alla schiavitù e pertanto si moltiplicò solo in modo naturale. R. Ohev cita anche r. Yitzchak Abarbanel (Lisbona, 1437-1508, Venezia) che da’ un altro motivo. R. Abarbanel sostiene che ai Leviti non fu assegnato nessun territorio della terra d’Israele, come è scritto in Devarìm (18:1-2): “I kohanìm della tribù di Levi, tutta quanta la tribù di Levi, non avrà parte né eredità con Israele; vivranno dei sacrifizi arsi all’Eterno, e di quanto a Lui offerto. Levi non avrà alcuna eredità tra i suoi fratelli; l’Eterno è la sua eredità, com’egli stesso gli disse”. I leviti non avevano un loro territorio e dovevano vivere delle decime che ricevevano dalla altre tribù. Se fossero stati troppo numerosi le decime non sarebbero bastate. E questo è il motivo per cui rimasero poco numerosi. R. Ohev offre una sua spiegazione basata sullo Zòhar. La Torà è composta di seicentomila lettere e pertanto era necessario che vi fossero altrettanti uomini nelle tribù d’Israele. Per questo si moltiplicarono in modo sovrannaturale. I leviti invece erano destinati a fungere da guardia “reale” del mishkàn e per questo compito non erano necessari più di ventiduemila leviti come scrisse R. Behaye. Per un numero normale non era necessario che l’Eterno facesse miracoli per moltiplicarli.
(Shalom, 19 maggio 2023)
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Parashà della settimana: Bamidbar (Nel deserto)
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Gerusalemme celebra 'La marcia delle bandiere', ricorrenza della riunificazione. Si temono scontri
La polizia ha schierato più di 3 mila agenti per vigilare sulla manifestazione nazionalista, dove sono attesi in migliaia, che passerà in parte per il quartiere musulmano della Città Vecchia, per poi concludersi al Muro del Pianto.
Gerusalemme celebra 'La marcia delle bandiere', ricorrenza della riunificazione. Si temono scontri.
Un clima di forte tensione quello che si respira a Gerusalemme in queste ore che precedono l'inizio della ‘Marcia delle bandiere’, la ricorrenza annuale in cui gli israeliani celebrano la “riunificazione” della città sotto il controllo dello Stato ebraico, avvenuta nella Guerra dei Sei giorni a giugno del 1967, con l’occupazione militare della zona araba (Est) di Gerusalemme, allora sotto controllo giordano.
La polizia ha schierato più di 3 mila agenti per vigilare sulla manifestazione nazionalista, dove sono attesi in migliaia, che passerà in parte per il quartiere musulmano della Città Vecchia, per poi concludersi al Muro del Pianto sventolando le bandiere di Israele.
La marcia è stata definita una 'provocazione' dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). "Porterà solo a tensioni", ha detto Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell'Anp Abu Mazen.
Anche quest'anno, come già accaduto in passato, si teme che la marcia possa rivelarsi un'occasione per scontri tra i manifestanti ultranazionalisti e i palestinesi che incontrano durante il cammino. È opinione diffusa che la presenza al potere del governo di estrema destra religiosa, guidato da Benyamin Netanyahu, offra ulteriori incentivi ai manifestanti di affermare con forza il controllo di Israele anche sulla Gerusalemme palestinese.
Un ministro del partito di estrema destra Otzma Yehudit e diversi deputati del Likud, il partito del premier Netanyahu, si sono già recati in visita alla Spianata delle Moschee. Un comportamento criticato da David Bitan, deputato dello stesso partito Likud, convinto che sia stato "inappropriato". "Le persone sono diventate più estremiste del necessario, e non fa parte del lavoro del Likud mostrare questa sorta di estremismo. Non abbiamo nulla da guadagnarci", ha detto.
Anche Hamas è tornata a minacciare Israele per la marcia, a pochi giorni di distanza dal cessate il fuoco con la Jihad dopo 5 giorni di ostilità.
(RaiNews, 18 maggio 2023)
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Ritrovata una ‘ricevuta’ di 2.000 anni fa a Gerusalemme
di Jacqueline Sermoneta
Una ricevuta commerciale di 2.000 anni fa, incisa su un piccolo frammento di pietra, è stata scoperta lungo la via dei pellegrini nella Città di Davide, a Gerusalemme. Il ritrovamento è avvenuto durante i lavori di scavo condotti dalla Israel Antiquities Authority (IAA).
Sulla tavoletta sono incise sette righe con nomi ebraici incompleti, lettere e numeri. Una di queste righe, ad esempio, termina con il nome ‘Shimon’ seguìto dalla lettera ebraica ‘mem’, mentre nelle altre righe sono presenti dei simboli che rappresentano numeri. Alcuni di questi sono preceduti dal loro valore economico, contrassegnato dalla ‘mem’, abbreviazione di ‘ma’ot’ (in ebraico, ‘denaro’) o dalla lettera ‘resh’, di ‘reva’im’ (in ebraico, quarti).
Gli archeologi hanno sottolineato che la scoperta è stata fatta in quella che era allora una vivace zona commerciale. L’iscrizione, infatti, testimonia la registrazione di pagamento eseguita da una persona impegnata proprio in una attività di vendita.
Questo è anche il primo reperto del genere trovato all’interno dei confini della città di Gerusalemme nel periodo del Secondo Tempio. “In questo semplice oggetto è espressa la quotidianità degli abitanti di Gerusalemme che risiedevano qui 2000 anni fa. – hanno spiegato gli archeologi – Apparentemente la scoperta di un elenco di nomi e di numeri non entusiasma molto. Ma se pensiamo che le ricevute venivano utilizzate per scopi commerciali in passato, come oggi, e che una di queste ci sia pervenuta, è davvero sorprendente".
"La scoperta lungo la via del pellegrinaggio svela un altro aspetto della vita ebraica nella città in quel periodo – ha detto Rabbi Amichai Eliyahu, ministro del Patrimonio - Gli importanti scavi della Israel Antiquities Authority nell’area collocano la Città di Davide come centro cardine nella storia del popolo ebraico”.
(Shalom, 18 maggio 2023)
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Valditara: 'Gioco a supporto della pedagogia e per conoscere identità Paese'
ROMA - "La pedagogia ha sempre sottolineato l’importanza del gioco nell'apprendimento e credo che questa di oggi sia un’iniziativa bella, quella di costruire il percorso della comunità ebraica di 2000 anni di storia, un’iniziativa che ho voluto e in cui credo per dimostrare agli studenti quanto noi siamo debitori alla cultura ebraica". Con queste parole il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara saluta la nascita del primo videogioco che racconta la storia della presenza ebraica a Roma. "Menorah - The Game" è una caccia al tesoro virtuale che vede protagonisti due giovani ricercatori, Anna e Gavriel, in cui il giocatore verrà coinvolto nella storia e nella tradizione dell'ebraismo. Il gioco è una produzione della società "Golem Multimedia", dell'editore Shulim Vogelmann e del giornalista David Parenzo e viene presentata oggi 18 maggio a Roma al Museo ebraico, alla presenza di una rappresentanza delle scuole. L’app è stata sviluppata in collaborazione con l'associazione TuoMuseo e con il sostegno di Admiral Gaming Network (Agm). L'iniziativa, promossa dalla Fondazione Museo Ebraico per Roma, è una componente del "Progetto edutainment", che intende ripercorrere la storia ebraica attraverso il gioco, scoprendo antiche tradizioni, simboli e significati che si ritrovano nel percorso del Museo di Roma. A spiegare in dettaglio l'iter del progetto è lo stesso Valditara: "Abbiamo costruito un gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Alessandra Veronese per spiegare quanto gli ebrei hanno dato anche alla formazione dell’identità del nostro Paese. Cito una testimonianza del secondo secolo avanti Cristo, in questa straordinaria storia sta scritto che i romani e gli ebrei erano amici, che questi ultimi erano conosciuti come il popolo della buona fede e si sottolinea il contributo ebraico alla storia di Roma". E prosegue nel suo excursus storico: "Lo testimonia Giulio Cesare, che aveva una predilezione per la comunità ebraica: una legione ebraica lo salvò ad Alessandria e anche per questo motivo aveva una riconoscenza emotiva nei suoi confronti. Detto questo la comunità ebraica era numerosissima, la più numerosa delle comunità che abitavano la capitale dell’impero: prima dell’invasione araba il 40 percento della Sicilia era di religione ebraica". Si tratta dunque di "un contributo storico straordinario che dobbiamo riscoprire, basti pensare a quanto fatto dalla comunità ebraica durante la prima guerra mondiale, e che dobbiamo valorizzare. Una testimonianza di questo tipo, dunque, e ricostruire 2000 anni di storia è un percorso di dialogo positivo perché si riferisce a tutti, far conoscere questa testimonianza è importante. Per questo oggi voglio appoggiare questa iniziativa".
(Gioconews, 18 maggio 2023)
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«L’Ue evita Israele, ma non i nostri vicini»
L'ambasciatore israeliano: «Bruxelles ci accusa di contraddire i suoi valori, ma noi eleggiamo i rappresentanti e rispettiamo quelli altrui. Ciò va accettato. Con Roma abbiamo ottimi rapporti, la sicurezza del Mediterraneo è un'opportunità di partnership»
di Claudio Antonelli
A Roma si è festeggiato l'anniversario della nascita di Israele la scorsa settimana. Lunedì è stata la volta di Milano. Il neo ambasciatore in Italia, Alon Bar, ha ripristinato le vecchie tradizioni interrotte dal Covid e dal lockdown, Nel capoluogo lombardo ha incontrato la comunità ebraica, i vertici della Regione, Attilio Fontana, e si è recato in stazione Centrale per inginocchiarsi al Memoriale della Shoah, il binario 21. Abbiamo incontrato il rappresentante dello Stato di Israele per condividere alcuni temi di attualità e parlare di Mediterraneo.
- Da quando si è insediato, sono cambiati governi sia in Israele sia in Italia. Il primo ministro Netanyahu è stato a Roma, uno dei pochissimi Paesi che ha visitato dopo l' elezione. Tajani e La Russa hanno visitato Israele. Il presidente della Knesset, Amir Ohana, e il titolare dell'innovazione, Ofir Akunis, sono volati qui. Incontri frequenti. Vede la possibilità di stringere ulteriori legami tra i due Paesi? «Credo abbiamo già oggi ottimi rapporti. Ma sono convinto che l'agenda che i nostri Paesi stanno mettendo a terra fornirà ulteriori occasioni. Ad esempio si sta lavorando a un meeting intergovernativo che si terrà in Israele dopo l'estate con una delegazione italiana guidata dal presidente Meloni. Inoltre ci sono tre temi che ci accomunano. Sono l'acqua, l'energia e la sicurezza».
- Sul primo tema a giugno è previsto in Puglia un summit con le vostre aziende: di che tecnologia si parla? «La questione è condividere tecnologia idonea a gestire la desalinizzazione. Ma c'è tanto altro. Si sta lavorando a stretto contatto con il ministero dell'Università anche per mettere a terra diversi progetti che l'Italia ha inserito nel Pnrr. Inoltre, non sto a citare la questione del gas e delle energie rinnovabili. Possiamo dire che, nel quadro più allargato del Mediterraneo, se l'Italia cerca Israele anche Israele cerca l'Italia. In un rapporto proficuo che mira a mettere in sicurezza il Mare Nostrum».
- A proposito di sicurezza e terrorismo, ritiene che il nostro Paese debba affrontare la questione del Mediterraneo sfruttando nuove tecnologie nell'underwater? «Personalmente non sono un grande esperto del tema del dominio sottomarino. Tra le nostre intelligence e comparti di sicurezza, in generale, esistono ottime relazioni e penso che coinvolgano già quanto accade sotto e sopra il mare. Vale anche per le nostre Marine militari. La sicurezza del Mediterraneo e ovviamente una nostra priorità, e vedo che è un imperativo anche per Roma. Immagino si tradurrà in ulteriore partnership. Cito quella della Guardia di Finanza, che potrà aiutare tutti i Paesi a contrastare i movimenti del terrorismo jihadista, tracciandone i flussi di denaro e le scatole finanziarie».
- Passando a temi più politici. Da oltre quattro mesi in Israele ci sono manifestazioni di piazza e proteste contro le riforme avviate dal governo Netanyahu. La stampa italiana ne ha dato grande risalto. A chi ha descritto Israele come un Paese spaccato in due e sull’orlo della crisi che cosa risponde? «Capisco l'interesse per il nostro Paese. Israele è in effetti una nazione interessante e che ha sempre ampia eco. Ma questa è la nostra cultura di confronto e pluralismo politico. Da una ventina di settimane stiamo assistendo a varie manifestazioni sia contro che a favore dell'attuale governo. C'è stato qualche episodio di violenza, ma statisticamente irrilevante. Il resto è manifestazione pacifica. È la base della democrazia: spetta poi a noi trovare una sintesi delle diverse posizioni. D'altronde siamo un Paese nato da interessi diversi tra loro, e spinte che sembrano contrapposte. Lo viviamo come dinamismo».
- La Rappresentanza Ue in Israele ha cancellato la cerimonia diplomatica prevista per la festa dell'Europa, alla quale avrebbe dovuto partecipare il ministro alla Sicurezza, Itamar Ben Gvir. L'Ue l'ha accusato di contraddire i valori del Vecchio Continente. Cambieranno le relazioni? «La notizia di per sé mi ha sorpreso. E vero noi abbiamo valori in comune. Ma ero convinto che consistessero nell'affermare reciprocamente che noi eleggiamo i nostri rappresentanti e voi i vostri. Poi ciascuno rispetta le scelte degli altri. Gvir è stato eletto dal popolo. La Ue lo accetti e poi, come si fa sempre in democrazia, si avvia un percorso di dialogo. Anche di critica, per carità. In caso contrario mi viene da dire: se Bruxelles non dovesse gradire il governo Meloni, si metterebbe a cambiarlo? Mi risulta che sia stato eletto dal popolo ... ».
- Beh, allora a quali valori comuni fa riferimento la Rappresentanza? «Per rispondere a questa domanda bisognerebbe chiederlo direttamente all'Ue. Anche se va notato che Bruxelles frequenta spesso molti dei nostri vicini di casa, e allora giro io la domanda: quali valori di democrazia hanno in comune con loro?».
- A proposito di rappresentatività, lei conosce bene le dinamiche dell'Onu, visto che per anni per conto del ministero degli Affari esteri si è dedicato alle organizzazioni internazionali. In merito alla tematica palestinese, crede che la posizione dell'Italia in sede Onu possa cambiare? Mi riferisco al fatto che a Roma adesso c'è un governo di centrodestra. «Da diversi anni Israele viene discriminato sistematicamente nelle sedi Onu. Per principio. Questa posizione politica non fa bene all'Onu né alla causa dei palestinesi che ne escono in ogni caso strumentalizzati. Per quanto riguarda Roma, vediamo dei cambiamenti. Credo che i buoni rapporti tra i due governi e anche il fatto che condividano numerosi principi possano aiutare un cambio di passo all'Onu. Principalmente per il bene dell'organizzazione che così potrà recuperare credibilità ed essere più efficace».
- A proposito, l'altro giorno Abu Mazen ha chiesto la vostra sospensione dal Palazzo di Vetro. Invece, lei vede spunti concreti nella prossima agenda? «Ad esempio un modo concreto per mettere l'Onu su una nuova strada c'è. Il 24 maggio sarà votata una risoluzione avviata dall'Oms sulle condizioni di salute dei palestinesi e di chi vive nel Golan. E’ l'ennesima mossa pretestuosa e sembra, come al solito, una scelta politica. Ecco, questa sarà la prossima tappa in agenda anche per la diplomazia italiana».
- Passando alla politica estera, crede che in caso di sconfitta di Erdogan la Turchia possa avvicinarsi all'Europa o possa cambiare la politica verso Siria e Libano? «Non abbiamo indicazioni in questo senso. So che i rispettivi ambasciatori proseguono nel lavoro di stabilizzazione dei rapporti e quindi della regione.
(La Verità, 17 maggio 2023)
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Ottima l’intervista all’Ambasciatore di Israele in Italia; solo un piccolo appunto: evidentemente è sfuggito al giornalista che gli ebrei non si inginocchiano mai, e quindi l’Ambasciatore non si è inginocchiato al Memoriale di Milano. Emanuel Segre Amar
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Il Codice Sassoon donato a un museo israeliano
L’aveva esposto brevemente dal 23 al 29 marzo scorso, prima che venisse messo all’asta. Ora il Museo del popolo ebraico (Anu) di Tel Aviv entra definitivamente in possesso del Codice Sassoon. La versione manoscritta più antica e completa della Bibbia ebraica è stata acquistata dalla famiglia del 93enne avvocato di Baltimora Alfred H. Moses, ex ambasciatore statunitense in Romania (tra il 1994 e il 1997), con l’intento di farne dono al museo israeliano. Durante l’asta battuta da Sotheby’s a New York il prezzo d’acquisto raggiunto dal Codice il 17 maggio è stato di 38,1 milioni di dollari. Alla vigilia dell’asta era valutato tra i 30 e i 50 milioni di dollari. Fino al 2021, il record per il libro più costoso mai venduto era detenuto dal Codice Leicester, un manoscritto di Leonardo da Vinci acquistato da Bill Gates nel 1994 per 30,8 milioni di dollari. Fu detronizzato dalla prima stampa della Costituzione americana, acquistata per 43,2 milioni di dollari dall’investitore Ken Griffin. Il Codice Sassoon fu probabilmente copiato tra il Nono e il Decimo secolo d.C. Quasi mille anni dopo, il suo stato di conservazione è quasi perfetto. Mancano solo cinque pagine (con i primi dieci capitoli della Genesi). È possibile seguirne la traccia attraverso i secoli grazie agli appunti lasciati dai vari proprietari. Se ne persero le tracce intorno al XIII secolo, quando fu distrutta la sinagoga nel nord della Siria dove la copia della Bibbia veniva utilizzata. Il Codice riemerse 600 anni dopo, nel 1929, durante un’asta nella quale venne acquistato da colui che gli diede il suo nome attuale: David Solomon Sassoon (1880-1942), un britannico proprietario della più importante collezione di testi ebraici al mondo. Da quel momento il Codice è sempre rimasto in mani private. Fino a pochi giorni fa era di proprietà di Jacqui Safra, un banchiere svizzero con antenati siriani.
(Terrasanta.net, 18 maggio 2023)
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Combattere l’antisemitismo online: l’intervista all’israeliano Tomer Aldubi
di Sarah Tagliacozzo
Tomer Aldubi è un giovane israeliano fondatore di Fighting Online Antisemitism (FOA), una incredibile organizzazione non governativa dedita a combattere l’antisemitismo online, monitorando e lottando per la rimozione di attacchi antisemiti e di negazione della Shoah. Istituita nel 2020, FOA collabora con il governo israeliano, soprattutto con il ministero dell’educazione, con organizzazioni non governative e con la società civile in numerosi Paesi. FOA è parte dell’International Network Against Antisemitism (INACH) che lavora con la Commissione europea, ha formato oltre 300 volontari internazionali che monitorano l’antisemitismo online regolarmente, in numerose lingue, su oltre una decina dei principali social network del mondo, quali Facebook, Twitter, Google. Alla Conferenza EJA di Porto, Tomer ha spiegato come FOA si avvalga dell’impegno di numerosi volontari per monitorare e intervenire contro contenuti antisemiti online. Solo TikTok, secondo la sua esperienza, rimuove al 100% i contenuti denunciati, mentre le altre piattaforme rimuovono circa il 50% di quanto viene segnalato. Sfruttando hashtag, intelligenza artificiale e sostegno istituzionale, FOA lavora ininterrottamente da 3 anni per migliorare la sicurezza degli ebrei nel mondo.
- Come è nata l’idea di FOA? Mia nonna è sopravvissuta alla Shoah. È sempre stata la mia ispirazione principale. Ci sono molte ONG che affrontano il tema dell’antisemitismo, della negazione della Shoah, ma siamo forse l’unica che monitora piattaforme in diverse lingue con volontari. Abbiamo infatti una grande comunità di volontari che controlla le piattaforme.
La maggior parte delle ONG e dei governi monitorano e basta. Trovano milioni di link online, ma non li denunciano e non li rimuovono perché non hanno volontari o una comunità che lo faccia. Servono centinaia di volontari. Quindi trovano milioni di link che rimangono online. Noi invece ci focalizziamo su monitorare, denunciare e rimuovere.
- Ci sono nuove piattaforme su cui avete cominciato ad operare? Operiamo già su piattaforme come Facebook, Twitter, Youtube, Spotify, Telegram, Linkedin e cominceremo anche su Reddit e Discord. Le nostre capacità però sono abbastanza limitate.
- Pensi che chiunque possa combattere l’antisemitismo online? Chiunque lo può fare. È però importante imparare a capire come e quali contenuti vengono rimossi e quali no. Anche se è facile denunciare, si possono ricevere feedback, ad esempio su facebook, che il contenuto non è stato rimosso e dopo un paio di volte che il contenuto denunciato non viene rimosso l’utente smette di denunciare. Antisemitismo e negazione della Shoah si possono far rimuovere. È anche per questo che ci impegniamo nel training.
- Pensi che si dovrebbero commentare post antisemiti? Commentare è fondamentale, ma è importante ricordarsi che i commenti favoriscono un aumento del traffico online (un commento porta ad un altro e se condividi il post aumenta la visibilità del contenuto antisemita). Consiglierei di commentare soprattutto quando si tratta di odio antisraeliano, sotto post che riguardano il conflitto, Israele, Palestina o sotto post che negano la Shoah, ma è importante denunciare il contenuto per farlo rimuovere.
- In pochi passi, riesci a spiegare a chiunque come combattere l’antisemitismo online, a prescindere dalle capacità tecnologiche? Consiglio a tutti di registrarsi sul nostro sito web (https://foantisemitism.org/it/). Ogni due settimane organizziamo training per i volontari ed insegniamo come rimuovere contenuti e quali contenuti vengono rimossi e quali no. Inoltre spieghiamo sul sito come denunciare un contenuto online su diverse piattaforme. Chi vuole può mandarci anonimamente anche solo il link, lo controlleremo e lo faremo rimuovere. È molto facile.
(Shalom, 17 maggio 2023)
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Se l’Onu piange la nascita d’Israele
Europa e America contro il primo “Nakba Day” delle Nazioni Unite
Il 29 novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che sancì la fondazione di uno stato ebraico nell’allora ex Palestina mandataria. Il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio stato è irrevocabile, almeno sulla carta. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico ad essere, come tutti gli altri popoli, padrone del proprio destino nel proprio stato sovrano. Per i palestinesi, invece, è la “nakba” (catastrofe). Sei paesi arabi (Egitto, Siria, Libano, Transgiordania, Arabia Saudita e Iraq) invasero Israele a poche ore dall’indipendenza, con un attacco che Azzam Pasha, Segretario generale della Lega araba, definì “una guerra di sterminio, un colossale massacro di cui si parlerà come dei massacri mongoli e delle crociate”.
Adesso per la prima volta le Nazioni Unite organizzano un evento che segna il “Giorno della Nakba” palestinese all’Assemblea generale. Lo scorso novembre, 90 paesi su 193 membri delle Nazioni Unite hanno votato per commemorare ufficialmente il “Nakba Day”. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme ad altri paesi europei, hanno dichiarato che non avrebbero partecipato.
Nelle scorse ore, da Gaza sono stati lanciati quasi mille missili sulle città d’Israele, raggiungendo Gerusalemme e Tel Aviv, dopo che Israele aveva eliminato i comandanti militari del jihad islamico. Nello stato ebraico c’è anche l’ondata di attentati dalla Cisgiordania. Il ciclo dell’intossicamento non sembra dunque avere mai fine. Israele non accetta la soluzione approntata nel 1948 per gli ebrei da Pasha. E l’Onu non dovrebbe farsi portavoce del fronte del rifiuto. Bene che America ed Europa stiano alla larga.
Il Foglio, 17 maggio 2023)
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È interessante notare che oltre 45 nazioni non hanno partecipato alla cerimonia/commemorazione, e tra queste ben 10 sono europee.
L’Italia (bisogna ringraziare il cambiamento imposto dal governo Meloni) è tra queste, insieme a Grecia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Ucraina (anche per questa nazione si tratta di un cambiamento interessante, da seguire nel prossimo futuro). Emanuel Segre Amar
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Israele, ritrovato un enorme carico di una nave mercantile di 1800 anni fa
di Jacqueline Sermoneta
È il più antico carico marittimo del suo genere mai scoperto nel Mediterraneo orientale. Rinvenuti a circa 200 metri della costa di Beit Yanai, a nord di Netanya, reperti di marmo di epoca romana, datati 1800 anni fa: capitelli in stile corinzio decorati con motivi vegetali, colonne alte fino a 6 metri e un grande architrave. Tutti elementi architettonici destinati, con ogni probabilità, a un maestoso edificio pubblico, un tempio o un teatro.
Il sito archeologico era già conosciuto da tempo, ma la posizione esatta del carico, dal peso di 44 tonnellate, è stata rivelata solo poche settimane fa, quando una tempesta nella zona ha spostato la sabbia, portando alla luce alcune colonne. A scoprirlo un cittadino israeliano, Gideon Harris, che, nuotando nelle acque antistanti la spiaggia di Beit Yanai, si è imbattuto per caso nei reperti, allertando subito la Israel Antiquities Authority (IAA).
“Eravamo a conoscenza dell'esistenza di questo carico inabissato da molto tempo. - ha spiegato Koby Sharvit, direttore dell'Unità di Archeologia subacquea presso l'IAA, “ma non sapevamo dove si trovasse esattamente perché era ricoperto di sabbia, e quindi non potevamo fare indagini. Le recenti tempeste nella zona devono averlo portato alla luce e, grazie all'importante segnalazione di Gideon, abbiamo potuto registrarne l'ubicazione e svolgere indagini archeologiche preliminari, che porteranno a un progetto di ricerca più approfondito”.
È probabile che il marmo provenisse dall'odierna Turchia o dalla Grecia e fosse diretto verso una località lungo la costa levantina meridionale, come Ashkelon o Gaza o forse anche Alessandria d'Egitto, dove sarebbe stato utilizzato per la costruzione di un grande edificio. Tuttavia, sembra che la nave mercantile sia stata travolta da una tempesta in acque poco profonde e di conseguenza il carico non sia mai arrivato a destinazione.
“Dalle dimensioni degli elementi architettonici – ha aggiunto lo studioso - possiamo calcolare la grandezza della nave; stiamo parlando di una nave mercantile che avrebbe potuto trasportare un carico di almeno 200 tonnellate. Questi pezzi pregiati sono tipici di edifici pubblici maestosi e di grandi dimensioni. Anche nella città di Cesarea del periodo romano gli elementi architettonici furono realizzati in pietra locale, ricoperta di intonaco bianco per imitare il marmo. In questo caso, però, stiamo parlando di marmo vero”.
I reperti hanno permesso di risolvere un antico quesito: “se gli elementi architettonici importati [in Israele], risalenti al periodo romano, fossero stati scolpiti prima nella loro terra d’origine o se fossero, invece, terminati nel luogo di destinazione. - ha aggiunto Sharvit - Il ritrovamento conferma che alcuni pezzi lasciarono la cava di marmo proprio come materia prima di base, altri furono scolpiti solo in parte. In seguito, venivano rifiniti e terminati nel sito di costruzione da artigiani locali o artisti provenienti da altri Paesi, come anche da mosaicisti specializzati, che si trasferivano da un luogo all'altro seguendo progetti commissionati”.
(Shalom, 17 maggio 2023)
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L’ambasciatore di Israele a Milano per la festa del 75° anniversario dalla fondazione
Palazzo Reale in festa per il settantacinquesimo compleanno dello Stato di Israele; politica, emozioni e ricordi in nome dell’amicizia fra Italia e Israele.
di Roberto Zadik
Una serata da ricordare, quella di lunedì 15 maggio, quando, nella sontuosa sala delle Otto Colonne a Palazzo Reale, si è tenuto l’importante evento di celebrazione dei settantacinque anni dalla nascita dello Stato d’Israele. L’iniziativa, organizzata dalla Comunità ebraica milanese, in collaborazione con l’Ambasciata d’Israele in Italia, e brillantemente presentata da Alberto Jona Falco, speaker ufficiale della serata, ha preso il via con un aperitivo e la performance della cantante lirica Julia Eliashov che ha intonato classici della musica israeliana come Yerushalaim shel Zahav (Gerusalemme d’oro) della cantautrice Naomi Shemer. Successivamente vi sono stati una serie di importanti interventi, primo dei quali quello del neo ambasciatore israeliano Alon Bar che, come ha ricordato Falco, «è nato in un Kibbutz storico dell’Hashomer Hatzair, che ha appena festeggiato centodieci anni». Bar ha ringraziato la Comunità ebraica milanese, nella persona del vicepresidente UCEI Milo Hasbani, il Keren Kayemet, Keren Hayesod, ADi – Associazione Amici di Israele, AMPI – Associazione Milanese Pro Israele, Adei Wizo, l’Ufficio del turismo israeliano ed il Comune di Milano per la loro presenza. L’ambasciatore ha ricordato la grande amicizia che lega Milano e Israele e «i rapporti fra Italia e Israele che sono sempre stati buoni ma che oggi sono migliorati più che mai e lo dimostrano occasioni importanti come la recente visita a Roma del premier Netanyahu». Soddisfatto di aver ripreso gli eventi pubblici in rappresentanza di Israele, dopo la pausa del Covid, Bar ha sottolineato il difficile periodo in cui si trova attualmente Israele, bersagliato dal continuo lancio di missili sui suoi centri abitati, e ha ricordato l’uccisione di un cittadino italiano, Alessandro Parini, a Tel Aviv a causa di un attentato palestinese. L’ambasciatore ha ribadito poi che «Israele ha il dovere di difendere i suoi cittadini» evidenziando l’importanza della collaborazione fra Italia e Israele che si trovano di fronte a problemi come «la lotta al terrorismo, la sicurezza e le questioni legate all’ambiente e all’energia». Alon Bar ha evidenziato la necessità di una stretta cooperazione fra i due Paesi e del rafforzamento delle relazioni e ha aggiunto che «è molto importante, sia a livello regionale sia locale, intensificare la collaborazione con Milano e la Regione Lombardia. Grazie di cuore per la vostra pazienza e per la vostra amicizia», ha concluso. Subito dopo, Jona Falco ha dato la parola a una serie di personalità, come il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana che ha ricordato come Israele sia stato «disponibile ad aiutarci, nel difficile periodo del Covid, quando, a differenza dell’Europa, aveva le idee ben chiare su come affrontare l’emergenza; tramite l’ambasciatore Dror Eydar, con una costante interlocuzione, abbiamo avuto molti aiuti facendo una serie di passi avanti nel fronteggiare quella situazione». Fontana ha espresso il desiderio di intensificare la collaborazione anche su altri fronti. Tra gli interventi istituzionali del mondo ebraico, il vicepresidente Ucei, Milo Hasbani, ha detto di essere molto soddisfatto, riguardo a questo evento, e il presidente comunitario Walker Meghnagi, rievocando il precedente festeggiamento in data ebraica dello Yom Hatzmaut dello scorso 25 aprile, ha evidenziato come la nascita di Israele «ha realizzato un sogno millenario, il desiderio per tutti gli ebrei del mondo di avere finalmente uno Stato». Successivamente Meghnagi ha invitato a sostenere Israele specialmente in questo momento così complesso ricordando che «in quattro giorni sono caduti sul Paese millequattrocento missili e migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e trasferirsi in varie zone di Israele, avendo avuto gravi problemi, specie per i bambini che, in pochi minuti, dovevano andare nei rifugi». Nonostante questo, ha aggiunto che «Israele ha dimostrato di essere una democrazia forte, capace di essere unita nel momento del bisogno». Molto intenso poi il discorso del Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib che ha ribadito il tema del ricordo nella tradizione ebraica segnalando che varie volte «noi ebrei siamo accusati di essere ‘fissati’ col passato. Ma questa cosa viene smentita da Israele, Stato focalizzato sul futuro». Egli ha ricordato come «passato e futuro per noi ebrei sono estremamente collegati fra loro. L’idea è che non si possa proiettarsi nel futuro se non si analizza il proprio passato e credo che lo Stato di Israele rappresenti una esplosione di futuro con solide radici nel passato, che danno a Israele la visione e la base per continuare ad esistere». È intervenuto poi il presidente del Senato Ignazio La Russa, a sostegno dell’amicizia fra Italia e Israele, ricordando la celebrazione avvenuta, assieme al presidente della Knesset, in contemporanea alla celebrazione della prima seduta del Senato della Repubblica: «Nella stessa giornata in cui voi celebrate il ritorno del popolo ebraico nella terra agognata per secoli». La Russa ha ribadito la «solidarietà dell’Italia verso Israele e la centralità della concordanza delle forze politiche riguardo alla difesa di Israele contro chiunque tenti di minacciare la sua sopravvivenza» che, tuttavia, non sarebbe servita a nulla se il popolo di Israele non avesse avuto «la forza, la tenacia e la perseveranza di difendere la propria libertà battendosi contro chiunque attentasse alla sua sopravvivenza». Per le istituzioni milanesi, a portare i saluti del sindaco Sala e del Comune di Milano, è stato l’assessore al Bilancio e al Patrimonio Immobiliare, Emmanuel Conte che ha messo in luce «la rilevanza storica di questa celebrazione e della dichiarazione di Indipendenza del 14 maggio 1948, una pagina storica molto importante per tutti noi. Il nostro compito è quello di continuare la collaborazione e l’antica vicinanza di Milano a Israele e aumentare la nostra sinergia con la Comunità ebraica milanese che è una pianta rigogliosa nel tessuto cittadino». A conclusione degli interventi, Kalanit Goren Perry, direttrice dell’Ufficio Nazionale del Turismo israeliano, ha sottolineato la stretta collaborazione fra Israele e Italia ed il grande flusso di turisti israeliani in Italia e di italiani che visitano Israele «scelto recentemente dalla stampa italiana come migliore destinazione per il turismo». Soddisfatto della serata, il presidente di ADI e promotore dell’iniziativa, Eyal Mizrahi, ha messo in luce come Alon Bar sia uno dei pochi ambasciatori ad aver tenuto un discorso in italiano, dopo pochi mesi di permanenza in Italia, e di come «un evento organizzato in poco tempo sia stato un successo». L’ultima parte della serata è stata segnata dalla degustazione del risotto alla milanese, seguita dall’esecuzione degli inni nazionali dei due Paesi, intonati con intensità dalla cantante Julia Eliashov. Infine, il taglio della torta dedicata a Israele, eseguito dal presidente Meghnagi, dal Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib, dall’ambasciatore Alon Bar e dal vicepresidente Ucei Milo Hasbani.
(Bet Magazine Mosaico, 16 maggio 2023)
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Talmud, il precetto della traduzione
di Daniele Coppin
Grande emozione ha suscitato a Napoli, lo scorso Shabbat, il “sium masechtà” per la fine della traduzione del trattato Sanhedrin del Talmud Yerushalmi da parte di Luciano Tagliacozzo, parnas della sinagoga e figura di spicco della comunità partenopea. Come ha sottolineato rav Cesare Moscati, rabbino capo della città, il sium masechtà è Mitzvà per chi lo compie e grande merito per chi partecipa a un evento così importante che avviene molto di rado nelle Comunità. Nel corso della tefillah di Shakhrit, prima della derashà di rav Moscati, Tagliacozzo ha letto e tradotto le ultime righe del trattato, come è consuetudine in questi casi, commentando il testo alla presenza del pubblico.
Lo studio di Tagliacozzo, da sempre impegnato nell’approfondimento e nella traduzione di testi condividendone i contenuti con tutti coloro che sono interessati ad accrescere la conoscenza degli insegnamenti dei Maestri dell’ebraismo, dimostra una volta di più come la Comunità di Napoli, pur se numericamente piccola, riesce a mantenere una vivacità culturale e spirituale che può essere d’esempio a tante altre piccole realtà ebraiche e che, di pari passo con tutto il Sud Italia, può rappresentare un fattore di rinascita dell’ebraismo meridionale che tanto ha dato, in un lontano passato, alla cultura e alla tradizione ebraica.
Per questo riteniamo sia giusto complimentarci con lo studioso con un grande hazzak!
(moked, 16 maggio 2023)
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“Italia-Israele, rapporti mai così positivi”
Rapporti sempre più solidi che permettano di affrontare insieme le sfide di domani, dalla sicurezza all’energia, dalle risorse idriche all’ambiente. Italia e Israele guardano al futuro insieme e lo fanno con una cooperazione sempre più stretta, come hanno evidenziato le autorità intervenute a Palazzo Reale a Milano dove la Comunità ebraica cittadina, in collaborazione con l’ambasciata d’Israele, ha organizzato un partecipato evento per festeggiare i 75 anni della fondazione dello Stato ebraico. A ribadire in particolare lo stretto legame tra Roma e Gerusalemme l’ambasciatore israeliano Alon Bar. “I rapporti tra Italia e Israele sono sempre stati buoni, ma oggi più che mai” ha detto il diplomatico, protagonista dell’intervista del mese su Pagine Ebraiche.
A rimarcare il ruolo d’Israele per l’ebraismo italiano (e non solo) sono stati poi il rabbino capo di Milano rav Alfonso Arbib, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Milo Hasbani e il presidente della Comunità milanese Walker Meghnagi. Ha invece ribadito l’impegno dell’Italia al fianco d’Israele il presidente del Senato Ignazio La Russa. “Voglio assicurare come da parte mia e del governo italiano vi sia piena concordanza sulla necessità di tenere come prioritaria la difesa della libertà e indipendenza di Israele contro chiunque tenti di minacciarle. – ha dichiarato La Russa, affiancato dal presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – Onore a chi vuole stare accanto al popolo e alla libertà di Israele”. Per l’assessore al Bilancio del Comune, Emmanuel Conte, è importante ricordare il ruolo della democrazia israeliana nel panorama mediorientale.
Nel corso della giornata l’ambasciatore si è anche recato in visita al Memoriale della Shoah di Milano. Un luogo che “che ogni cittadino italiano deve visitare. Da lì venti treni con ebrei e oppositori furono inviati a morte certa. Solo pochi sono sopravvissuti”, ha ricordato Bar. “Questo monumento rende un vero e proprio servizio, non solo onorando la loro Memoria, ma anche offrendo valori educativi e ospitando l’Osservatorio contro l’antisemitismo del Cdec”.
(moked, 16 maggio 2023)
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Cipro e Israele in trattative per un gasdotto offshore
Cipro e Israele stanno discutendo di un gasdotto che colleghi i loro giacimenti di gas, ma il ministro dell'Energia cipriota propone invece un corridoio marittimo per il trasporto di gas liquefatto, sottolineando l'importanza dell'approvvigionamento di gas naturale e la ricerca di alternative efficienti.
Cipro e Israele sono attualmente impegnati in discussioni sulla costruzione di un gasdotto che collegherebbe i rispettivi giacimenti di gas offshore, come ha rivelato lunedì George Papanastasiou, ministro dell’Energia di Cipro.
• Gasdotto Cipro-Israele: una soluzione in 18 mesi secondo Papanastasiou Tuttavia, Papanastasiou sembra sminuire le possibilità del proposto gasdotto“EastMed“, che porterebbe il gas dal Mediterraneo orientale all’Europa continentale. Suggerisce invece la creazione di un corridoio marittimo da un hub a Cipro, che consenta il trasporto di gas liquefatto. Papanastasiou sottolinea che l’obiettivo principale è quello di ottenere una generazione di elettricità a basso costo, concentrandosi sulla fornitura di gas naturale della regione. Dopo aver informato un partito dell’opposizione sui piani energetici della nuova amministrazione, Papanastasiou ha dichiarato ai giornalisti che il 29 maggio è previsto un workshop a Cipro con gli operatori del settore. Ha inoltre rivelato che la costruzione di un impianto di liquefazione richiederebbe circa 2,5 anni, mentre la costruzione di un gasdotto che colleghi Cipro a Israele richiederebbe circa 18 mesi.
• I negoziati continuano: in gioco il futuro del gas naturale nella regione Da un decennio si discute della costruzione di un gasdotto di 2.000 chilometri per trasportare il gas dal Mediterraneo orientale all’Europa. Il progetto aveva la possibilità di ricevere un finanziamento parziale dall’Unione Europea. Tuttavia, l’iniziativa ha subito una battuta d’arresto all’inizio del 2022, quando gli Stati Uniti hanno ritirato il loro precedente sostegno, motivando la loro decisione con i costi elevati e i tempi di costruzione più lunghi. Papanastasiou propone una soluzione alternativa, suggerendo che invece di un gasdotto tradizionale, si potrebbe stabilire un collegamento tra Israele e l’Europa attraverso Cipro. Questo “corridoio” consentirebbe il trasporto di gas liquefatto e potrebbe potenzialmente fungere da gasdotto virtuale. Papanastasiou insiste sul fatto che il gas liquefatto potrebbe essere spedito da Cipro verso qualsiasi mercato, compreso quello asiatico. Sebbene le prospettive del gasdotto EastMed possano essere svanite, i negoziati in corso tra Cipro e Israele dimostrano l’impegno a esplorare alternative valide per un trasporto efficiente del gas naturale dalla regione del Mediterraneo orientale. Mentre le discussioni proseguono e le parti interessate si riuniscono per il prossimo workshop, l’attenzione si concentra sul raggiungimento di una produzione di energia efficace dal punto di vista dei costi, sfruttando al contempo il potenziale del trasporto di gas liquefatto.
(energynews, 16 maggio 2023)
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Qumran, nel deserto la millenaria biblioteca degli ebrei
Torpedoni turistici nell'antico rifugio di una 'comune' ascetica
di Aldo Baquis
TEL AVIV - A pochi chilometri dall'oasi di Gerico e dalla riva nord del Mar Morto, uno dei luoghi più frequentati dai turisti, israeliani e stranieri, è il Wadi Qumran.
In questa zona arida del deserto di Giudea gli escursionisti scendono oggi dai loro torpedoni climatizzati per intraprendere un viaggio nel tempo che li riporta indietro di oltre 2.000 anni, quando in questo angolo di terra abitavano i membri della setta 'Yahad' (gli 'uniti').
Storici antichi li chiamarono 'Esseni'.
Da questa modesta altura lo sguardo scorre dal Mar Morto verso uno sperone roccioso più vicino. Qua si trovano le grotte in cui il secolo scorso furono recuperate centinaia di pergamene (e anche di papiri) con testi ebraici, aramaici e greci risalenti ad un periodo compreso fra il terzo secolo a.C, fino al 68 d.C., quando Qumran fu distrutta dalle legioni romane.
Protetti dal clima secco del deserto questi testi di importanza straordinaria per la comprensione delle radici dell'ebraismo e anche del primo cristianesimo si sono conservati in maniera straordinaria e in buona parte possono essere visti nel Museo Israel di Gerusalemme. Quella occultata nelle grotte di Qumran era in effetti una incredibile biblioteca che per circa due secoli fu custodita, ed arricchita di continuo, dai membri della setta.
I visitatori vengono condotti in un ambiente che ricrea lo stile di vita dei membri della setta. E' stato possibile stabilire che erano organizzati in una sorta di comune: pranzavano assieme, due volte al giorno, pregavano assieme, e condividevano con gli altri membri i propri beni personali.
Ritenendosi 'Figli della luce' ('Bney Or'), ossia i prescelti da Dio, vestivano solo tuniche bianche di lino per ostentare la propria purezza. I 'mikve' (bagni rituali) ritrovati sul posto confermano che annettevano grande importanza ad abluzioni purificatorie quotidiane.
Ai visitatori vengono mostrati anche capi di abbigliamento trovati nelle grotte della zona compresa fra Qumran e la vicina fortezza di Massada. Un tipo di sandali senza chiodi, vestiti di lana, calze. Fra i ruderi vi è anche quanto resta di una sala definita uno scriptorium. Qui a quanto pare venivano dispiegati i rotoli delle pergamene per essere compulsati nella loro interezza. In altri locali i membri della setta si producevano nella scrittura dei testi con una ottima calligrafia ebraica, ancora oggi perfettamente leggibile. Secondo quanto spiega la Autorità israeliana per le antichità, fra i frammenti sono stati scoperti alcuni testi scritti in apparenza con un codice segreto. Sono state trovate le loro penne che venivano intinte in calamai colmi di un inchiostro nero prodotto con cenere, resina, olio ed acqua. Mentre il calendario ebraico è lunare, a Qumran si osservava un calendario solare: lo conferma fra l'altro una meridiana orizzontale trovata sul terreno che mostra all'interno cinque cerchi concentrici e che indica le approfondite conoscenze astronomiche dei membri della setta (confermate anche in uno dei testi trovati nelle grotte).
Secondo alcuni, ci sarebbero anche riferimenti zodiacali. I membri della setta avevano cognizioni approfondite di medicina, botanica e mineralogia.
Per decenni i testi rinvenuti a Qumran hanno affascinato studiosi di numerose discipline. Quello che era all'epoca un luogo appartato di asceti in aspra polemica teologica con l'establishment di Gerusalemme, è adesso un polo di attrazione per turisti incuriositi di avvicinarsi ad una comunità rimasta numericamente esigua fino alla sua uscita di scena, ma caratterizzata da orizzonti intellettuali vasti come il deserto di Giudea.
(ANSA, 16 maggio 2023)
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La sigaretta elettronica nel mirino di Israele: possibile divieto totale
Arrivano ulteriori conferme da Israele.
di Giuseppe Fortunato
Israele potrebbe addirittura arrivare a vietare l'uso della sigaretta elettronica.
Meglio dirsi, potrebbe vietarne la vendita sul territorio nazionale e qualsivoglia forma di commercializzazione.
Sono i dati che hanno fatto risuonare l'alert presso le stanze del Governo di Tel Aviv: secondo i numeri a disposizione degli esperti del Primo Ministro Benjamin Netanyahu, infatti, il consumo di sigarette elettroniche sarebbe letteralmente esploso nella fascia di età compresa tra i 12 ed i 14 anni.
Un +300% nell'arco di un solo anno.
Ed è più che chiaro come, in tale vicenda, vi sia lo zampino molto marcato delle usa e getta.
La diffusione del fenomeno, tuttavia, appare essere intollerabile per Israele che, quindi, "rischia" di adottare soluzioni che finirebbero per travolgere - come spesso accade - anche gli interessi di quegli adulti fumatori che stanno usando la soluzione svapo per dire addio alla dipendenza dal tabacco.
Un aspetto, questo, che poco interessa ai tecnici di Netanyahu che hanno deciso di intervenire in modo alquanto risoluto.
Le possibilità sono essenzialmente due: o ci si limiterà a vietare gli aromi nei liquidi con "gusto" differente a quello basale al tabacco o, in una ipotesi ancora più estrema, si bannerà completamente il mercato del vaping.
Oltre al forte boom nei consumi tra gli adolescenti, vi sono stati due fatti di cronaca che hanno fatto risuonare il campanello dell'emergenza: due ragazzini, di circa 15 anni, infatti, sono finiti in ospedale "dopo aver fatto uso di una sigaretta elettronica".
Accertato che a quell'età non si debba in modo perentorio né fumare né svapare, è tuttavia da comprendere se i medesimi abbiano fatto uso di un dispositivo conforme o se di uno recuperato attraverso i sempreverde canali del contrabbando.
Perchè tutti ricordiamo come il fenomeno Evali sia stato una tempesta che ha sconvolto, per diversi mesi, il mercato mondiale dello svapo ma che coi prodotti ufficiali non aveva nulla a che vedere.
(skyvape, 16 maggio 2023)
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Si chiama Echo, è israeliano e potrebbe essere l'incubo peggiore per la nostra privacy
L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che ciascuno di noi abbandona online, per poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo.
di Guido Scorza
Si chiama Echo, viene dalla Rayzone, una società israeliana specializzata in servizi di cybersecurity e cyber intelligence e potrebbe essere uno degli incubi per la nostra privacy più spaventosi di sempre almeno a leggere il pezzo che Ryan Gallagher ha appena scritto per Bloomberg.
L’idea è tanto semplice quanto pericolosa: acquistare e processare i dati personali che, più o meno consapevolmente, ciascuno di noi abbandona online lasciandosi profilare a scopo pubblicitario e poi rivenderli ad agenzie di intelligence e forze di polizia di mezzo mondo perché li utilizzino per le loro esigenze acquisendo, tra l’altro, la capacità di geolocalizzarci.
Quelli che Bloomberg mette in fila, pur in assenza di conferme da parte della società fornitrice del servizio, sembrano i classici indizi precisi e concordanti.
E, d’altra parte, alcune certezze ci sono.
La società, innanzitutto, esiste, è viva e vegeta, fornisce esattamente questo genere di servizi e ha effettivamente rapporti con decine di Governi.
E esiste, certamente, anche Echo.
La società non lo pubblicizza per nome sul proprio sito internet sul quale, pure, promuove servizi che ne evocano le funzionalità ma basta giocare un po’ con un motore di ricerca per imbattersi in un documento in .pdf, stampato su carta intestata della Rayzone Group, pubblicato sul sito istituzionale del Governo di Tel Aviv, nel quale, nel portfolio dei prodotti della società compare proprio lui: Echo.
Il servizio è descritto così: “Echo - Global Virtual Sigint System è un sistema strategico, che fornisce alle agenzie di intelligence e alle forze dell'ordine un'ampia e trasparente informazione sugli utenti di Internet”.
E non basta perché navigando a ritroso online, si ritrovano tracce dell’utilizzo di Echo almeno da parte del Governo messicano già tra il 2019 e il 2020, quando, forse, Rayzone era più generosa di informazioni sul proprio “gioiello tecnologico”, perché la stampa online dell’epoca, racconta che la società israeliana lo descriveva così: “un metodo di raccolta completamente stealth su qualsiasi utente di Internet.
ECHO è indipendente dal tipo di dispositivo, dal sistema operativo o dalla versione e non richiede la preinstallazione di alcuna apparecchiatura fisica.
ECHO fornisce una piattaforma basata sul Web che consente agli utenti di accedere immediatamente a semplici interrogazioni e a indagini complesse.
ECHO offre i vantaggi di un approccio centrato sull'obiettivo (raccolta di informazioni su un particolare punto di interesse) e centrato sui dati (raccolta di massa di tutti gli utenti di Internet in un Paese).”.
Ce n’è abbastanza, insomma, per ritenere che l’incubo tecnologico in questione sia reale e giri ormai da qualche anno.
Bloomberg, d’altra parte, ha sfogliato il materiale con il quale Rayzone promuove il suo servizio e il claim con il quale ne suggerisce la vendita lascia poco spazio alla fantasia: “Si può scappare, ci si può nascondere, ma non si può sfuggire alla propria eco”.
Ora, tra le tante, una delle domande più importanti da porsi è: quali sono i Governi che hanno acquistato il servizio, da quando lo usano, per farci cosa?
Perché quello che è certo è che i dati in questione, se ricondotti a una persona specifica, sono, ormai in grado di mettere letteralmente a nudo la vittima dell’investigazione fornendo a chiunque utilizzi il prodotto ogni genere di informazione personale, personalissima, intima su quest’ultima.
Sulla vicenda specifica, naturalmente, bisognerà indagare, investigare, capire.
Frattanto, però, l’occasione, forse, potrebbe servire a suggerirci una volta di più di attribuire il giusto valore alle informazioni sul nostro conto che lasciamo in giro online, ai frammenti della nostra identità personale che abbandoniamo alla deriva sui social o che, più o meno consapevolmente, scambiamo online con servizi e contenuti digitali.
Ecco, forse, il pensiero che quei dati personali - che, sempre più spesso diamo via a cuor leggero pensando che possano al massimo servire a qualcuno a proporci pubblicità di nostro interesse - potrebbero finire o, magari, già essere finiti, nelle mani di Governi più o meno amici, più o meno democratici, più o meno civili, varrà a renderci più prudenti, più attenti, più interessati a proteggere la nostra privacy.
O magari non servirà assolutamente a nulla perché, sfortunatamente, c’è ancora troppa strada da fare, in termini di educazione e cultura della protezione dei dati personali.
(L'HuffPost, 16 maggio 2023)
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