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Notizie novembre 2012


Pisa - Viaggio sulle note ebraiche. Su il sipario, torna Nessiah

Il festival propone quest'anno sei appuntamenti tra musica, cinema e cultura. Si comincia con Enrico Fink: domenica alle 18.30 a Palazzo Blu

PISA, 30 novembre 2012 - La XVI edizione del Festival Nessiah, rassegna promossa e organizzata dalla Comunità ebraica di Pisa con il sostegno di numerosi sponsor (Fondazione Pisa che ha stabilito con il festival una collaborazione triennale, Comune e Provincia di Pisa, Comuni di Pontedera e Cascina), propone quest'anno sei appuntamenti - quattro concerti e due film -, tutti rigorosamente ad ingresso libero come è ormai tradizione per la rassegna.

Filo conduttore 2012: l'Italia e l'ebraismo.
"Anche quest'anno Nessiah riesce a proporre un programma di livello internazionale - commenta il direttore artistico Andrea Gottfried - un'offerta artistica che non è stato facile mettere insieme in un periodo di profonda crisi e tagli alla cultura come quello che stiamo affrontando. Ma il festival Nessiah ha un doppio punto di forza che lo ha condotto fino alla sedicesima edizione: il suo radicamento nel territorio e la capacità ogni anno di rinnovarsi, proponendo appuntamenti, anteprime e concerti in grado non solo di attrarre un pubblico di ogni età ma anche di accompagnare lo spettatore in un vero e proprio viaggio in giro per il mondo. Al centro di tutto la musica, capace di unire popoli e tradizioni diverse".
Il programma della rassegna organizzata dalla Comunità ebraica di via Palestro è stato presentato a Palazzo Blu alla presenza di Cosimo Bracci Torsi, presidente uscente della Fondazione Pisa ("Sono sempre stato e rimarrò uno spettatore appassionato di Nessiah"), gli assessori comunali e provinciali alla cultura Silvia Panichi e Silvia Pagnin, Massimiliano Sonetti, vicesindaco Comune di Pontedera e Fernando Mellea, assessore alla cultura Comune di Cascina. Presente anche Giacomo Schinasi, segretario della Comunità ebraica di Pisa.
Il viaggio nell'immaginario culturale ebraico partirà da Palazzo Blu a Pisa domenica 2 dicembre (ore 18,30) con un appuntamento da non perdere: Enrico Fink, ospite ormai affezionato della rassegna pisana, torna con un concerto ("La mamma, l'angelo e la ciambella") che rievoca la Ferrara di Giorgio Bassani. Uno spettacolo in cui i temi tradizionali ferraresi e italiani si uniscono alle parole di Jenny Bassani, sorella di Giorgio, autrice del volume "La storia passa dalla cucina" (Ets) al quale Enrico Fink si è ispirato.
Secondo concerto sabato 8 dicembre preceduto, alle 18,30 in Sinagoga, dalla Festa dei Lumi, l'accensione della prima candela di Hannukah. Alle 21,30 al teatro Sant'Andrea andrà in scena il concerto del Duo Antur intitolato "Italian Rapsody" con i due musicisti di origine moscovita Anton Dressler (clarinetti, live electronics) e Uri Brenner (tastiere). Un concerto che si ispira al patrimonio ebraico liturgico italiano.
Terzo concerto mercoledì 12 dicembre (ore 21) alla biblioteca comunale di Cascina: Amit Arieli & Darom Project proporranno un concerto-racconto fatto di suoni e parole dedicato al sud, uno spettacolo che procede a piccoli passi attraverso la memoria di una strada, un modo di dire, un canto, una sinagoga. La stessa parola "Darom" in ebraico significa sud.
Ultimo concerto in programma domenica 16 dicembre al Museo Piaggio di Pontedera con un'altra ospite d'eccezione: Evelina Meghnagi. "Di gracia, la senora", questo il titolo dello spettacolo che racconta le rocambolesche vicende di Grazia Nasi, figura emblematica del XVI secolo, che dedicò le sue immense ricchezze e la sua influenza all'opera di riscatto degli ebrei perseguitati in tutta Europa. Evelina Meghnagi (voce) sarà accompagnata da Galliano Mariani (voce recitante), Domenico Ascione (chitarre e oud), Arnaldo Vacca (percussioni) e Anna Cianca (mise en espace).

Infine i due film in programma. Il primo è una vera e propria riscoperta: "Il grido della terra" (Italia 1949) di Duilio Coletti (5 dicembre ore 18,30 al cineclub Arsenale), pellicola a lungo dimenticata e restaurata di recente dal Centro sperimentale di Cinematografia. Altra preziosa proiezione quella di lunedì 10 dicembre (18,30 al cineclub Arsenale) con "The jazz singer-Il cantante di jazz" (Usa, 1927) di Alan Crosland con Al Jonson. E' il primo film sonoro della storia del cinema e sarà accompagnato dalle improvvisazioni dal vivo del duo Antur. L'introduzione al film sarà curata dal professor Maurizio Ambrosini dell'Università di Pisa.

Il filo conduttore della XVI edizione è l'Italia.
"I -TAL -IA, letteralmente in ebraico Isola della rugiada divina - spiega il direttore artistico Andrea Gottfried - è una immagine molto poetica che ci presenta il tema di questo sedicesima edizione del Festival Nessiah. La presenza ebraica in Italia risale a più di duemila anni fa, e in particolare agli ebrei portati a Roma dall'Imperatore Tito nel 70 d.c. dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Da quei tempi è passata molta acqua sotto i ponti di Roma e di tutte le città dove gli ebrei hanno potuto insediarsi e costituire vere e proprie comunità. E sono proprio le tradizioni di queste comunità che verranno proposte nei vari appuntamenti del Festival. Tradizioni culinarie, tradizione letterarie, tradizioni liturgiche e tradizioni popolari in una esplosione di suoni immagini e colori; dalle ricette della Ferrara ebraica raccontate da Enrico Fink alle memorie della presenza ebraica nel Sud Italia del progetto Darom di Amit Arieli, dalle improvvisazioni su temi liturgici del duo AntUr al racconto del viaggio in Italia della Senora Grazia Nasi, sapientemente ricostruito dal Evelina Meghnagi, senza dimenticare gli appuntamenti al cinema con una prima proiezione assoluta ed un fuori programma. Infine il periodo del Festival coincide quest'anno con la festività ebraica di Hannukah (Festa dei Lumi), sarà nostro immenso piacere accendere con tutti voi la prima candelina come segno di pace e fratellanza".

(La Nazione - Pisa, 30 novembre 2012)


Rifiuti Montesilvano si cambia: la giunta Di Mattia sceglie gli israeliani

 La centrale elettrica di riciclaggio di Arrowecology  
MONTESILVANO (PE) - Come cambierà la gestione dei rifiuti a Montesilvano nell'era Di Mattia?
Sono pochi i punti fermi ma almeno ora ci sono. Intanto, la giunta con la delibera 275 ha deciso di tagliare i ponti con la Rieco (ex Ecologica Sangro della famiglia Di Zio) che pure aveva vinto un bando. L'esecutivo si è detto non convinto di quella operazione esponendosi (è fin troppo facile prevederlo) a ricorsi con richieste di danni per centinaia milioni di euro da parte della ditta vincitrice esclusa.
Di Mattia ed i suoi però hanno le idee chiare in materia, tanto che nella successiva delibera, la 276, chiarisce bene tutta la strada da intraprendere nei prossimi mesi.
Con questa decisione viene formalizzata la volontà di utilizzare un brevetto che viene venduto come «rivoluzionario» per la gestione dei rifiuti e già in uso in moltissime capitali mondiali tra cui Tel Aviv, Los Angeles e Sidney, un brevetto industriale, dunque privato, di un gruppo israeliano che si chiama Arrowecology Ltd di Tel Aviv.
Rifondazione sull'argomento è molto critica e ricorda come il sindaco Di Mattia «in campagna elettorale ha fatto il piazzista di uno specifico miracoloso impianto che avrebbe risolto tutti i problemi» né è un mistero che lo stesso primo cittadino sia di religione ebraica.
La delibera è fin troppo chiara e, dopo una serie di premesse, precisa che per quanto riguarda le attività di gestione dei rifiuti nelle linee programmatiche di mandato c'è chiaramente scritto che bisognerà guardare a «nuove tecnologie e brevetti» in tema di recupero e smaltimento di rifiuti come per esempio «il trattamento meccanico biologico tramite utilizzo di acqua per la differenziazione del rifiuto a valle».
Per raggiungere gli obiettivi imposti dalla legge di raccolta differenziata è poi opportuno «verificare se vi siano aree sul territorio cittadino compatibili con il piano provinciale dei rifiuti dove poter installare l'attività di trattamento e avvio a recupero sia di smaltimento e stoccaggio con idonei spazi di manovra».
Dunque occorre individuare un'area dove poter basare la nuova attività ma anche individuare un paio di progettisti che possano produrre una idea preliminare di progetto per verificare la compatibilità urbanistica.

- La «rivoluzone» ad acqua
  Ma come è stato individuato il colosso israeliano dei rifiuti?
«Da ricerche di mercato effettuate sul web dallo staff del sindaco sono stati individuati impianti già esistenti in alcune città estere (….) è stato individuato nello specifico il processo di trattamento meccanico biologico dei rifiuti denominato "Arrow Bio", della società Arrowecology Ltd».
Un impianto che ha caratteristiche precise: «rappresenta un sistema di trattamento meccanico biologico avanzato ovvero privo di qualsiasi forma di combustione in grado di differenziare oltre l'85% dei materiali riciclabili», inoltre in grado di differenziare «con efficacia del 75% i rifiuti organici che vengono inviati ad un processo di digestione anaerobica per la produzione del terriccio stabilizzato e biogas».
Questa soluzione, precisa sempre la delibera, «non esclude la raccolta differenziata stradale e per quanto non strettamente necessaria, risulta utile per incrementare la percentuale di materiale differenziato».
La società indicata possiede il brevetto in esclusiva mondiale ed il sistema si basa su un trattamento meccanico biologico dei rifiuti ad acqua.
Vengono inoltre riportati in delibera altre caratteristiche di questa soluzione come ad esempio che è assolutamente «autosufficiente dal punto di vista del consumo idrico riuscendo a recuperare dalla parte umida del rifiuto circa 6 m? d'acqua per ogni 120 tonnellate di materiale trattato»; «non produce odori molesti o rumori che superino i limiti di legge e quindi permette di posizionare l'impianto anche in zone compatibili con il contesto residenziale».
Il futuro impianto non occuperà comunque una superficie superiore ai 15.000 metri quadrati ma potrebbe ben accogliere anche i rifiuti dei comuni del circondario anche perché genera una energia elettrica da biogas prodotto dal processo di digestione di circa «1 MW per tonnellata di rifiuto» cosa che potrebbe far intravedere anche la produzione di utili dalla vendita di energia in eccesso.

- Chiesta una quotazione di massima
  La giunta non ha perso tempo ed ha già chiesto una quotazione di massima al gruppo industriale israeliano per valutare una possibile implementazione della tecnologia proprio a Montesilvano.
Per questo la giunta ha dato mandato al dirigente di affidare ad un professionista l'incarico di individuare sul territorio di Montesilvano uno o più siti idonei per collocare «l'impianto di stoccaggio di rifiuti ingombranti, un impianto di trattamento meccanico biologico ad acqua e un impianto di trattamento mobile dei rifiuti».
Allo stesso professionista poi sarà affidato un incarico relativo all'individuazione del procedimento amministrativo e progettuale necessario per gli obiettivi specificati mentre sarà individuato un altro professionista per redigere il progetto esecutivo per un piano industriale per il futuro impianto comunale basato sul brevetto israeliano.
«Di Mattia paga le responsabilità di ieri e di oggi dei suoi alleati che occupano i carrozzoni della mala gestione dei rifiuti, e qualche cambiale elettorale. Nulla di nuovo per Montesilvano e per cittadini che continueranno a pagare nella Tarsu», dice Corrado Di Sante, «nel frattempo Nino D'Annunzio che aveva partecipato alle Primarie, il primo agosto scorso è stato nominato vice-presidente di Ecologica SRL. Ecologica SRL è una società partecipata da Ambiente SpA e dalla Deco della famiglia Di Zio . Ecologica Srl alla pari di Ecoemme presenta numerosi profili di illegittimità e dovrebbe essere sciolta, una vicenda parallela a quella di Ecoemme frutto dell' intreccio malsano tra cattiva politica e malagestione dei rifiuti».
Rifondazione che non è in consiglio comunale precisa che non vuole «inceneritori e discariche obsolete, ma un'impiantistica adeguata sul modello dei comuni più avanzati. Una filiera che può produrre lavoro e reddito. Rivendichiamo la nostra battaglia in Consiglio regionale l'aver finora impedito in Abruzzo la realizzazione di inceneritori. Centrodestra e centrosinistra hanno fallito la sfida perché a livello comunale, regionale e dei consorzi hanno dimostrato incompetenza, corruzione, clientelismo sfrenato, intrecci maleodoranti con imprenditori del settore, ampiamente evidenziati dalle inchieste della magistratura».

(PrimaDaNoi, 30 novembre 2012)


L'ONU approva Abu Mazen e L'Europa dà di nuovo Israele in pasto al coccodrillo nazi-islamista

di Piera Prister

Abba Eban 1975: "Se l'Algeria inserisse nell'ordine del giorno all'ONU una risoluzione secondo cui la terra è piatta, e che è Israele ad averla appiattita, tale risoluzione passerebbe con 164 voti a favore, 13 contro e 26 astensioni".

Abu Mazen presidente dell'Autorita' Palestinese, ieri, 29/11/2012, al Palazzo di Vetro di New York, con un discorso definito ostile e velenoso dal premier israeliano Bibi Netanyahu, ha chiesto ai membri dell'ONU di elevare la Palestina a stato non membro osservatore. La richiesta e' passata con 138 voti a favore, 9 contro e 41 astensioni. L'Italia considerata finora paese amichevole dalla stampa israeliana, ha votato a favore, come molti paesi europei. L'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor ha commentato alla stampa che con questo voto la Comunita' Internazionale chiude un occhio sugli accordi di pace: International Community is turning a blind eye to peace agreement. Si allontana cosi' sempre di piu' la speranza di pace fra Israele e una Palestina che e' mal rappresentata da un presidente come Abu Mazen, falsa colomba che ancora una volta non adempie ai prerequisiti di pace, di democrazia, di legalita' e di giustizia.
   A Palestinian Flanking Maneuver
Nella linea del processo di distruzione per gradi
questa e' la definizione azzeccata che il giornalista Robert B. Barnidge del WSJ da' di Abu Mazen, alias Mahmoud Abbas che si e' ripresentato a fare richieste all'ONU, oggi 29 novembre - a memoria della spartizione of Mandatory Palestine avvenuta nel 1947 in due stati sovrani, uno assegnato ad Israele che l'accetto' e l'altro al popolo arabo che non l'accetto'- ed e' anche giornata di solidarieta' con il popolo palestinese indetta dall'ONU. Con una nuova strategia il faccendiere ha chiesto all'Assemblea Generale il riconoscimento della Palestina non piu' come stato membro - e' stata questa una richiesta ritirata all'ultimo l'anno scorso, al Consiglio di sicurezza per evitare il veto degli USA - ma come stato non membro osservatore che gli dara' il diritto di partecipare a commissioni e mozioni contro Israele per bloccare i lavori di espansione abitativa a Gerusalemme Est e per incriminare su questa base lo stato ebraico alla Corte dell'Aja. Abu Mazen oggi ha sferrato non un attacco frontale quindi, ma uno laterale, un qualcosa di ibrido di cui Abu Mazen, alleato del governo di Hamas - che recentemente ha osato lanciare missili su Tel Aviv e su Gerusalemme, si fara' forte contro Israele, perche' ritorni ai confini di prima del '67. (Una richiesta appoggiata anche dal presidente Obama). Il mondo dovrebbe considerare Abu Mazen come a Man of Terrorism come ha dichiarato il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman che giorni fa auspicava l'indizione di nuove elezioni in West Bank, perche' Abu Mazen e' oltretutto un politico che, preso com'e dall'odio contro Israele, opera contro il suo stesso popolo. Un uomo infido proprio perche' la comunita' internazionale lo considera come legittimo rappresentante del popolo palestinese, molto piu' temibile di Ismail Hanieh che amministra Gaza Strip e che e' apertamente un terrorista. I due possono odiarsi visceralmente e farsi guerra quanto vogliono, ma diventano fratelli quando si tratta di distruggere Israele.
  D'altronde cosa ci si potrebbe aspettare di buono dai paesi della Lega Araba o da quelli dell'Unione Africana che eguagliano il sionismo al razzismo come espresso nella Risoluzione dell'ONU 3379. Aban Eban epitomizzo' bene l'odio che circolava e circola contro Israele all'ONU con quella eloquente locuzione: "Se per esempio l'Algeria inserisse nell'ordine del giorno all'ONU una risoluzione secondo cui la terra e' piatta, e che e' Israele ad averla appiattita, tale risoluzione passerebbe con 164 voti a favore, 13 contro e 26 astensioni".  
  Si dovrebbe rescindere quell'odiosa ed ingiusta risoluzione per dare un colpo ai Paesi Arabi come gia' aveva iniziato Bush padre e proseguito con Bush figlio. Ora con il presidente Obama la musica e' cambiata, anche lui agisce contro Israele da dietro le quinte, come quando fa dire alla sua portavoce Victoria Nuland di non dare una risposta quando nelle conferenze stampa le chiedono qual e' la capitale d'Israele. Perche' il contenzioso e' su Gerusalemme. Anche in Italia, perche' il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli non licenzia i suoi giornalisti quando asininamente scrivono a proposito del governo di Tel Aviv piuttosto che del governo di Gerusalemme. Ma che bravi, da quale parte stanno!
  Con il voto di oggi all'ONU si riconferma l'isolamento di Israele che non vede riconosciuto dalla Comunita' Internazionale e dalla vecchia infida Europa dove l'antisemitismo e' in aumento, nemmeno il piu' elementare diritto all'esistenza e alla difesa. Hanno calato la maschera anche i falsi amici di Israele, finalmente li possiamo guardare in faccia che, come l'Italia si battono il petto solo nel giorno della Rimembranza della Shoah, e nei rimanenti 364 giorni la pugnalano alle spalle. Ecco a che cosa e' servito il viaggio del 17 luglio 2012 in Italia di Abu Mazen, ricevuto in pompa magna al Quirinale dal presidente Giorgio Napolitano e e a palazzo Chigi dal PM Mario Monti, ma silenziato sui nostri giornaloni di carta straccia.
  Non e' cambiato nulla: oggi come ieri, uno dopo l'altro, sono tanti furbi Chamberlain che pensano d'aver salva la vita, dando in pasto Israele al coccodrillo islamista. Ma vatti a fidare della belva, la storia ci ha insegnato a non fidarcene!

(Informazione Corretta, 30 novembre 2012)


La destra ungherese vuole schedare gli ebrei pericolosi

Scandalo antisemita in Ungheria: il leader di uno dei partiti presenti in parlamento ha proposto di stilare una lista degli ebrei che minacciano la sicurezza nazionale del paese.

L'idea ha provocato manifestazioni di protesta in Ungheria e una risposta per le rime dalle organizzazioni internazionali della comunità ebraica.
La mente dell'iniziativa è Marton Gyongyosi, uno dei leader del partito nazionalista «Jobbik (per un'Ungheria migliore)». Durante la discussione riguardante il conflitto nella striscia di Gaza il politico ha definito Israele un paese nazista, paragonando il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman a Goebbels. Ha poi continuato con la richiesta di chiarire quanti membri del parlamento e dell'apparato governativo ungherese abbiano origini ebraiche e quanti di loro rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale. Queste parole, provocatorie e molto poco politically correct,non hanno particolarmente colpito gli esperti. Il direttore del centro per le ricerche ebraiche ed internazionali presso la High School of Economics, Timofej Bordachev, ha così commentato:
«Bisogna ricordare che il partito «Jobbik», al quale questo deputato appartiene, non nasconde che l'antisemitismo e l'antizingarismo siano elementi della loro ideologia. È con questi motti che si è presentato alle elezioni del 2009 ed è con questi motti che ha raccolto il 14% delle preferenze degli elettori dimostrandosi piuttosto convincente in parlamento. Affermazioni del genere non sono una novità per i rappresentanti di questo partito».
Insomma, l'idea non ha provocato lo sgomento dei politologi, ma ha certamente indignato gli ebrei ungheresi. In segno di protesta la fondazione Raoul Wallenberg ha radunato circa 1000 persone davanti al parlamento. Si sono fatte sentire anche le organizzazioni ebraiche straniere. Il Consiglio degli ebrei tedeschi si è espresso dicendo che bisogna emettere delle sanzioni contro il partito «Jobbik» e che l'Unione Europea dovrebbe far capire all'Ungheria che dichiarazioni del genere sono inammissibili. Gli organi ufficiali della repubblica si sono affrettati a rinnegare le dichiarazioni. In particolare il Ministro degli Affari Esteri ha precisato che il paese onora la memoria delle vittime dell'Olocausto. Ljubov Shishelina, capo del dipartimento di studi dell'Europa Orientale dell'Istituto d'Europa (Accademia delle Scienze russa), ritiene che questa dichiarazione dimostri che i punti di vista di «Jobbik» in Ungheria siano comunque opinioni di una minoranza:
«Affermazioni di questo tipo da parte di quella frangia dello «Jobbik» sono già diventate una routine. Ma la cosa più interessante non è che loro si permettano di esprimere i propri punti di vista antisemiti, ma che stiano allontanando gli ebrei dal loro gruppo. È successo proprio un paio di mesi fa. Perciò non è corretto fare di tutta l'erba un fascio: l'Ungheria non è lo «Jobbik».
Nonostante non sia la prima volta che il partito dimostra la sua natura di destra radicale, non ci saranno gravi conseguenze per lo «Jobbik». In Ungheria, dove gli atteggiamenti nazionalisti sono molto diffusi, le dichiarazioni provocatorie di Marton Gyongyosi potrebbero addirittura attirare nuove simpatie e perciò nuovi voti alle prossime elezioni parlamentari. Per quanto riguarda le reazioni dell'opinione pubblica mondiale si può dire che nell'Unione Europera ormai da tempo esiste un doppio standard: Bruxelles tollera da parte dei nuovi mebri dell'Unione atteggiamenti che reputerebbe inammissibili da parte di Francia o Germania.

(La Voce della Russia, 30 novembre 2012)


La gomma? In Israele è kosher

L'operatore postale del Paese è in grado di certificare che il collante presente al retro dei propri francobolli è coerente con i dettami della tradizione religiosa.

Se i collezionisti guardano almeno con curiosità ai francobolli caratterizzati per un collante dal sapore gradevole o comunque diverso da quello abituale, ad altre latitudini la gomma al retro della carta valore è esaminata secondo canoni differenti. Sapendo che il modo più comune per renderla attiva è una bella… leccata.
Le produzioni moderne di Israele, ad esempio, impiegano una sostanza kosher, ossia rispettosa della tradizione religiosa ebraica. Ad affermarlo è lo stesso operatore postale, in grado di presentare, sull'argomento, addirittura un certificato tecnico.
La spiegazione arriva dalla Israel philatelic federation. I dentelli distribuiti localmente - conferma a "Vaccari news" il direttore, Tibi Yaniv - sono privi di sapore specifico, e soprattutto non comprendono ingredienti ricavati da creature viventi, uniformandosi dunque alle esigenze dei fedeli. Difficile, invece, capire quando il provvedimento venne introdotto. La serie del 1948 - ricorda l'esperto - fu stampata adoperando diversi tipi di carta con differenti adesivi, ottenuti ad esempio da ossa di cavallo; quindi, non è kosher. "Non è noto quale sia il primo francobollo nazionale con gomma sintetica, sembra essere riferito agli anni Settanta". È certo che gli attuali esemplari sono coerenti con i dettami.

(Vaccari news, 30 novembre 2012)


Un altro passo avanti, un altro scossone

di Marcello Cicchese

Qualcuno ha detto che l'Onu, accettando lo stato palestinese come membro oosservatore, ha commesso un altro errore. Ma non è vero: oggi l'Onu non fa che proseguire quel cammino di stravolgimento del diritto internazionale che è iniziato nel 1947 con la Risoluzione di spartizione del territorio, allora chiamato Palestina, che dalle Potenze vincitrici della prima guerra mondiale era stato delineato all'interno dell'ex impero ottomano al solo scopo di "ricostituire" (non far nascere ex novo) la nazione del popolo ebraico. Non si tratta dunque di errore da parte dell'Onu, ma di proseguimento coerente e voluto di una politica di progressiva negazione dei diritti del popolo ebraico. L'anno scorso, quando l'assemblea delle Nazioni Unite si accingeva a fare un primo tentativo (non riuscito) nella medesima direzione, avevamo presentato il libro di Howard Grief:"The Legal Foundation and Borders of Israel under International Law". Oggi presentiamo un altro libro che espone in modo molto più succinto le stesse tesi: Cynthia D. Wallace, "Foundations of the International Legal Rights of the Jewish People and the State of Israel". Nella rubrica “Approfondimenti” se ne può leggere l’abstract in italiano.
Poiché nei tempi che incombono si sentono ripetere con leggerezza slogan che hanno soltanto il carattere della ripetitività senza averne alcuno di verità, ripresentiamo, in forma leggermente aggiornata, sette tesi che avevamo elencato l’anno scorso nella medesima occasione. Chi ne chiede la dimostrazione può leggersi i testi indicati sopra.
  1. Lo Stato d'Israele non è il frutto tardivo del colonialismo delle potenze occidentali, ma, al contrario, le sue difficoltà sono dovute al perdurare di atteggiamenti colonialstici europei che hanno favorito la nascita puramente strumentale di Stati arabi come Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita, mentre hanno danneggiato la fondazione dello Stato ebraico.
  2. La legittimità nazionale dello Stato ebraico non nasce nel 1947 con la Risoluzione di spartizione 181 dell'Onu, ma nel 1920 con la Risoluzione di Sanremo stabilita dalle Potenze alleate vincitrici della prima guerra mondiale:
  3. La Risoluzione di spartizione 181 non è la benevola dichiarazione che ha fatto nascere lo Stato d'Israele, ma, al contrario, è la malevola prevaricazione che ha causato l'illegale decurtazione di una parte consistente della terra che già apparteneva, de jure, allo Stato ebraico.
  4. L'Olocausto non è la molla che ha spinto le nazioni, per rimorso e volontà di compensazione, a dare agli ebrei una nazione, ma, al contrario, è la tragedia che ha costretto l'Organizzazione Sionista e l'Agenzia Ebraica ad accettare, come sotto ricatto, la spartizione della loro terra perché era assolutamente urgente dare asilo alle migliaia di profughi ebrei scampati all'Olocausto, e che nessuno, a cominciare dalla Mandataria Gran Bretagna, voleva accogliere.
  5. Uno Stato palestinese, nel senso geografico del termine, esiste già, ed è lo Stato ebraico d'Israele. Uno Stato arabo palestinese non ha alcuna legittimità nella terra che, fin dall'inizio delle trattative successive alla prima guerra mondiale, è stata destinata dalle Potenze alleate vincitrici ad essere la sede della nazione ebraica.
  6. Il costituendo Stato arabo nella Terra d'Israele e/o Palestina non nasce con l'intenzione di vivere accanto allo Stato ebraico, ma, al contrario, con il solo scopo di arrivare a distruggerlo. Chi pensa di dar prova di moderazione parlando di "due stati per due popoli che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza" contribuisce, che lo voglia o no, in buona fede o no, al raggiungimento dell'obiettivo arabo.
  7. Per anni la politica d'Israele è stata "terra in cambio di pace": non ha ottenuto niente. In realtà Israele ha dato "diritti in cambio di pace". La terra, la vedono tutti, per vedere i diritti invece bisogna leggere e studiare, se si vuole procedere in termini di verità e giustizia. Se invece si vuole soltanto ottenere quello che si vuole con la forza e la real politik, studiare non serve: basta sparare, quando si può, e mentire, quando non si può. Meglio ancora quando si possono fare le due cose insieme, come è accaduto recentemente con l’accoppiata Hamas-Onu.
Con i cosiddetti accordi di pace i nemici di Israele, non riuscendo ad abbatterlo subito con la violenza, sono riusciti a metterlo su un piano inclinato. Con piccoli, graduali scossoni provano ripetutamente, con pazienza e tenacia, a farlo scivolare dolcemente sempre più in basso. L’ultima decisione Onu è un altro scossone, per la felicità di coloro che aspettano soltanto il momento in cui Israele sarà arrivato così in basso da non esserci più bisogno di scossoni: una mazzata e via.
E le nazioni buone che amano Israele continueranno ad amarlo, perché proporranno l’istituzione di un’altra Giornata della Memoria: la memoria del compianto Stato d’Israele, che - diranno - purtroppo non esiste più, ma aveva il diritto all'esistenza.
Ma tutto questo non avverrà.

(Notizie su Israele, 30 novembre 2012)


Dirigente di Hamas: bene la vittoria della Palestina

GAZA - Hamas si e' felicitato per la ''vittoria' della Palestina all'Onu dove ha ottenuto lo status di paese non membro. ''Si tratta di una nuova vittoria sul cammino della liberazione della Palestina e ce ne rallegriamo. Hamas lo considera come una successo unitario che fa gioire il nostro popolo'', ha detto Ahmed Yussef, un dirigente del movimento palestinese islamico nella striscia di Gaza.

(ANSA, 30 novembre 2012)


L’anno scorso Hamas era contrario al ricorso all’Onu, oggi invece si complimenta per la “vittoria” della Palestina. Finalmente le due anime palestinesi hanno trovato un accordo sulla divisione dei compiti. Se prima era il solo Abu Mazen, come successore del biforcuto Arafat, a doversi sobbarcare il duplice compito di parlare in arabo agli arabi e in inglese al resto del mondo, adesso il gioco delle parti si è distribuito in modo equo: Hamas continua dire “morte agli ebrei” in arabo e in inglese e ad Abu Mazen ha lasciato il compito di dire “pace pace” in inglese al resto del mondo. Sarebbe una dimostrazione evidente che quello “palestinese” è uno stato che nasce al solo scopo di distruggere Israele, ma il mondo non lo vede perché non vuole vederlo. E’ già successo altre volte. M.C.


Al Drunken Ship pub giovani ebrei brindano: «Non abbiamo paura»

ROMA - Hanno «brindato alla vita» con il 'lechaim' all'interno del Drunken Ship, il pub a Roma che la scorsa settimana è stato teatro di un raid da parte di un gruppo di ultras contro alcuni tifosi inglesi del Tottenham, la squadra calcistica del quartiere ebraico di Londra. È l'iniziativa di un gruppo di cittadini ebrei, che in serata hanno voluto dimostrare che «siamo vivi, non abbiamo timore e paura di stare in pubblico e lo facciamo a viso aperto, senza nasconderci».
Il gruppo di persone, soprattutto giovani e con la kippah in testa, ha anche manifestato solidarietà «al gestore del locale fortemente danneggiato» a causa di «un gesto da condannare». Al gestore del pub è stata anche regalata la maglia dell'associazione sportiva 'Maccabì, «in segno di scambio di amicizia».

(Il Messaggero, 30 novembre 2012)


Ambasciata d'Israele: delusi dall'Italia per il voto all'Onu

Un'iniziativa che "non produrrà alcun cambiamento sul terreno e deluderà le attese degli stessi palestinesi, con il rischio di un'escalation di violenze", sostiene Gilon, additando per di più l'Anp come una realtà "fortemente infettata dalla corruzione" e "incapace di convocare elezioni democratiche a due anni e mezzo dalla scadenza" formale del mandato presidenziale di Abu Mazen.

ROMA, 29-11-2012 - "Siamo molto delusi dalla decisione dell'Italia - uno dei migliori amici di Israele - di sostenere l'iniziativa unilaterale dei Palestinesi alle Nazioni Unite". E' la reazione a caldo dell'ambasciatore israeliano a Roma all'annuncio del sì italiano al riconoscimento dello status della Palestina quale Stato non membro dell'Onu. Secondo l'ambasciatore Naor Gilon, "tale iniziativa indebolisce le relazioni tra israeliani e palestinesi fondate sugli Accordi di Oslo".
"Dopo quattro anni in cui i Palestinesi hanno rifiutato di tornare al tavolo negoziale - prosegue Gilon - assistiamo ora al tentativo palestinese di influenzare i risultati dei negoziati stessi per mezzo di istituzioni internazionali. Questa mossa, non soltanto non migliorerà la situazione sul terreno, ma aumenterà le preoccupazioni di un ritorno alla violenza e, soprattutto, allontanerà le prospettive di pace".
"E' qualcosa che non ti aspetti dai tuoi migliori amici e alleati". Naor Gilon, ambasciatore d'Israele a Roma, non nasconde di aver "avuto giorni migliori", mentre commenta oggi con l'ANSA la decisione italiana di votare si' all'Assemblea generale al riconoscimento della Palestina quale 'Stato non membro' dell'Onu. Una decisione che "non produrra' cambiamenti nelle relazioni fra Italia e Israele, che sono eccellenti e molto amichevoli e vanno anche oltre i rapporti personali", premette il diplomatico. Ma che, nondimeno, "dispiace" e suscita "profonda delusione" proprio per "la vicinanza fra i nostri due Paesi", aggiunge. "Quando e' un amico a fare qualcosa di inatteso, ti ferisce di piu"', insiste Gilon. Secondo l'ambasciatore, il via libera all'Onu è sbagliato perchè sancisce "un'iniziativa unilaterale e controproducente".
Un'iniziativa che "non produrrà alcun cambiamento sul terreno e deluderà le attese degli stessi palestinesi, con il rischio di un'escalation di violenze", sostiene Gilon, additando per di più l'Anp come una realtà "fortemente infettata dalla corruzione" e "incapace di convocare elezioni democratiche a due anni e mezzo dalla scadenza" formale del mandato presidenziale di Abu Mazen.
L'unica soluzione vera resta invece quella di riprendere il negoziato diretto israelo-palestinese, conclude l'ambasciatore, ricordando che il premier Benyamin Netanyahu si è pronunciato esplicitamente negli ultimi anni a favore d'un accordo di pace fondato sul principio dei "due Stati per due popoli". Accordo per il quale, avverte, "anche i palestinesi devono però offrire qualcosa: a garanzia della sicurezza d'Israele e del nostro diritto di essere uno Stato ebraico".

(RaiNews24, 29 novembre 2012)

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Monti a Netanyahu, resta forte l'amicizia Italia-Israele

ROMA, 29 nov. - Nella sua telefonata con Netanyahu, il presidente del Consiglio - si legge nella nota di Palazzo Chigi sul sostegno italiano alla Risoluzione che attribuisce alla Palestina lo status di Stato non membro Osservatore Permanente all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite - nel ribadire che questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele, ha garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale .

(AGI, 29 novembre 2012)


Contrastare Israele per amore di Israele e della pace: è questo il motto delle nazioni buone verso Israele. Su questa linea ha cominciato a muoversi anche il nostro governo. L’Italia ha a cuore la sicurezza di Israele - dice il ministro - ed è convinta di saperlo fare meglio di Israele. Infatti, è in nome della “pace” che le nazioni buone si metteranno contro Israele: per proteggerlo dai cattivi e da se stesso. Il graduale processo di distruzione di Israele ha fatto un altro passo avanti. Non arriverà alla conclusione sperata da molti, e le posizioni assunte in momenti come questo avranno le loro conseguenze. Gli italiani tutti, e non solo gli ebrei italiani, hanno d’ora in poi un motivo in più per preoccuparsi. M.C.


Istoreco scova in Germania soldato condannato per la strage di Cervarolo

L'aia di Cervarolo, dove vennero trucidati 23 civili
Si è spostata in Germania - con mosse legali e presentazioni pubbliche, oltre ad un incontro con un ex militare nazista - l'attività sostenuta da Istoreco (l'istituto storico di Reggio Emilia) per portare giustizia alle vittime della strage di Cervarolo.
Cervarolo è un piccola frazione di Villa Minozzo in cui vennero uccisi 23 innocenti il 19 marzo 1944 durante una vasta operazione dell'esercito nazista occupante nell'Appennino tosco-emiliano, operazione conclusasi con centinaia di morti. Una delle stragi per cui il tribunale militare di Verona ha emesso sei condanne, ora definitive.
Due i momenti da sottolineare: l'incontro con l'oggi 92enne Wilhelm Stark, condannato per l'eccidio, e la presentazione di una denuncia alle autorità tedesche. Momenti raccontati da Matthias Durchfeld, Nico Guidetti e Italo Rovali durante una conferenza stampa organizzata nella sede di Istoreco nella mattinata del 28 novembre.
Per ricordare la strage, nel 2012 è stato realizzato un documentario, "Il Violino di Cervarolo", ed i suoi autori Nico Guidetti e Matthias Durchfeld fra ottobre e novembre lo hanno presentato in Germania, organizzando presentazioni pubbliche nei cinema delle sei città tedesche dove vivono a tutt'oggi indisturbati i militari accusati di quei massacri. Persone che non si sono mai presentati al processo, affidando la propria versione degli attroci fatti esclusivamente ai loro avvocati.
Il viaggio si è diviso in due fasi, ed alla seconda, a novembre, ha preso parte Italo Rovali, presidente del comitato delle vittime di Cervarolo e parente di tre delle vittime di Cervarolo e protagonista del documentario. Le tre città toccate, Norimberga, Berlino e soprattutto Monaco, dove da decenni vive Wilhelm Stark, l'ex sottoufficiale nazista della divisione Herman Goring, condannato proprio per la strage Cervarolo.
Durchfeld, Rovali e Guidetti
davanti alla Procura di Monaco
Il 19 novembre Durchfeld, Guidetti e Rovali hanno raggiunto la casa di Stark, per cercare di incontrare il 92enne condannato. Dopo alcune insistenze, sono riuscite a parlare con l'uomo, che li ha accolti sulla porta di casa, una normale residenza in un condominio dove nessuno era a conoscenza del passato nazista di Stark. Rovali, parente delle vittime, ha chiesto spiegazioni a Stark, grazie alle traduzioni in diretta di Durchfeld. Prima l'ex sottoufficiale ha negato ogni coinvolgimento, poi, dopo che Rovali ha citato documenti ufficiali, ha detto di non avere responsabilità sull'accaduto, cadendo però in numerose contraddizioni. Non ultima, prima ha affermato di non sapere nulla delle sentenze italiane, poi ha ammesso di essere al corrente di ogni passaggio grazie al proprio avvocato.
Sempre nei giorni trascorsi a Monaco, Rovali ha presentato formale denuncia alla Procura della Repubblica della città bavarese contro Stark, in modo da far aprire un procedimento penale nei suoi confronti anche in Germania. Delle inchieste su quelle stragi si stanno occupando le procure di altre città, ma nella procura di Monaco non risultava alcuna segnalazione su Stark.
In questo modo, l'inchiesta potrà ora proseguire in Germania, riaprendo il discorso interrotto pochi mesi quando il tribunale di Stoccarda ha rigettato le accuse presentate per la strage di Sant'Anna di Stazzema, uno dei più terribili massacri nazisti in Italia. La denuncia è stata presentata da Rovali nei confronti di Stark per Cervarolo, ora l'obiettivo è far presentare una seconda denuncia nei confronti del sottoufficiale condannato per l'eccidio di Monchio, nella montagna modenese, avvenuto durante la medesima operazione di rastrellamento.
L'interesse per i fatti di Cervarolo e dell'Appennino Tosco-Emiliano rimane molto alto, in Germania, come confermato dalle grandi affluenze ottenute dalle presentazioni del documentario. Tanto che altre date sono state aggiunte, nelle varie città, e che a dicembre arriverà un nuovo tour, questa volta in Svizzera, dove toccherà numerose città. In questo modo arrivano nuove motivazioni e nuove spinte al lavoro per valorizzare la memoria, la storia, ed ottenere giustizia, che Istoreco porta avanti da anni.

(Modena2000, 29 novembre 2012)


Hamas: no a osservatori Ue al valico di Rafah

Il movimento islamico palestinese di Hamas non accettera' il ritorno degli osservatori dell'Unione europea al valico di Rafah nella Striscia di Gaza. Lo ha annunciato un funzionario di Hamas a condizione di anonimato, spiegando che inviati del movimento islamico al Cairo hanno spiegato ai mediatori egiziani nella crisi con Israele che il valico deve essere ''gestito solo da palestinesi ed egiziani''.
Prima che Hamas prendesse il potere a Gaza nel 2007, avendo la meglio sui lealisti del presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmoud Abbas), l'unico valico per bypassare Israele funzionava grazie alle forze di Fatah e agli osservatori Ue. La loro presenza rientrava in un accordo raggiunto nel 2005 e sponsorizzato dagli Usa dopo il ritiro di Israele da Gaza. "L'accordo del 2005 è morto e sepolto da diverso tempo e non accetteremo di rinnovarlo'', ha detto il funzionario.
Dal 2007 l'Egitto ha iniziato ad aprire il valico di Rafah per ragioni umanitarie, aumentando le ore e la rosa delle possibilita' dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 che ha portato alla deposizione del regime di Hosni Mubarak e i Fratelli Musulmani, alleati di Hamas, al potere. Ora il movimento islamico chiede che il valico resti aperto per 24 ore per consentire il passaggio di persone e per il commercio.

(Aki, 29 novembre 2012)


Intervista all'Ambasciatore Israeliano Naor Gilon [parte 1]


(RaiNews24, 29 novembre 2012)


La Corte costituzionale polacca vieta la macellazione kosher

BRUXELLES - La Corte costituzionale polacca ha giudicato la macellazione rituale ebraica contraria alla legge fondamentale, scatenando oggi la protesta dell'Associazione ebraica europea (Eja).
Il direttore generale dell'Associazione, Menachem Margolin, ha scritto una lettera al presidente polacco Bronislav Komorowski per chiedergli di annullare la decisione della Corte. L'annuncio del divieto della macellazione kosher ha avuto "un effetto devastante per il benessere della comunità ebraica e per la libertà religiosa", ha affermato Margolin in un comunicato, sottolineando che "è scientificamente provato che la macellazione kosher non fa soffrire gli animali".
Il governo polacco ha assicurato che la Polonia si adeguerà alla direttiva europea che autorizza questo tipo di macellazione dal primo gennaio 2013. Le organizzazioni animaliste hanno tuttavia fatto notare che la direttiva europea non è obbligatoria e che un Paese può chiedere una deroga.
La Polonia, dove le minoranze musulmane ed ebraiche contano solo qualche migliaia di persone, è tuttavia un importante produttore di carne halal e kosher che esporta in modo massiccio in Europa.

(TicinOnline.ch, 28 novembre 2012)


I «matrimoni della sharia» saranno puniti duramenteDanimarca

Pene più severe, espulsioni degli imam che li celebrano, disconoscimenti: per i cosiddetti «matrimoni della sharia» in Danimarca si profila vita dura. Il governo di Copenaghen ha infatti preparato un pacchetto di misure volte a contrastare la diffusione di questa forma di unione sotto l'egida della legge islamica molto diffusa in tutto il Nord Europa. La nuova normativa assicurerà ad ognuno «gli stessi diritti di libertà»: come dire che saranno finalmente rispettati i diritti delle donne, finora mere prede matrimoniali, senza voce in capitolo e dignità di persone.

(il Giornale, 29 novembre 2012)


Pallone Under 21 svelato a Tel Aviv

Con i colori bianco e azzurro di Israele, il pallone ufficiale degli Europei UEFA Under 21 è stato presentato durante la cerimonia del sorteggio tenutasi a Tel Aviv mercoledì.

Il pallone ufficiale degli Europei UEFA Under 21 è stato presentato durante la cerimonia del sorteggio tenutasi a Tel Aviv mercoledì e si è subito guadagnato elogi per il suo look "accattivante e moderno".
Questo è il verdetto di Avi Nimni, ex capitano della nazionale israeliana e ambasciatore della fase finale degli Europei U21, che ha parlato all'Hilton di Tel Aviv dove si è tenuto il sorteggio. Il pallone è azzurro e bianco, colori della nazione ospitante, e il suo design è caratterizzato da una serie di pannelli triangolari a legatura termica come per l'adidas Tango 12, pallone ufficiale di UEFA EURO 2012.
Avi Nimni ha aggiunto: "Il pallone è leggero e facile da controllare quindi spero che vedremo tanti gol nel corso del torneo". Adidas ha prodotto i palloni per ogni torneo più importanti UEFA e FIFA dal 1970.

(UEFA.com, 28 novembre 2012)


Direttore dell’Aiea: gi Iraniani ripuliscono le tracce di esperimenti per ostacolare i controlli

TEHERAN - Il direttore generale dell'Aiea, che la Comunita' internazionale ha messo alle calcagna della presunta dimensione militare segreta del programma nucleare iraniano, e' tornato ad avvertire: gli iraniani stanno ripulendo Parchin e quindi si rischia di non trovare piu' tracce di passati esperimenti sospetti quando Teheran si decidera' ad aprire le porte di questa base militare.
L'avvertimento in parte implicito, ma chiaro se accostato a passate dichiarazioni, e' stato fatto da Yukiya Amano, il diplomatico giapponese direttore generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Aatomica e riguarda la caccia a siti segreti da parte della stessa Aiea.
Si tratta di uno, il minore, dei due tavoli su cui si gioca la partita nucleare fra Iran e Occidente con l'incubo di un attacco militare preventivo israeliano: l'altra arena sono i negoziati fra Teheran e le potenze del Consiglio di Sicurezza piu' la Germania, il cosiddetto 5+1 che - almeno secondo indiscrezioni - potrebbero proseguire a Bruxelles con una riunione preparatoria ad un quarto round da tenersi all'inizio dell'anno prossimo dopo le tappe di Istanbul, Baghdad e Mosca conclusesi senza risultati fra aprile e giugno.
Proprio a Baghdad, Amano ha confermato che queste attivita' sono in corso a Parchin, ma non ha fornito particolari" ad una domanda posta in una conferenza stampa sul fatto che l'Iran sta smantellando una parte del sito militare di Parchin, ad una trentina di chilometri a sud-est di Teheran dove si sospetta siano stati condotti esperimenti applicabili al nucleare.
In una lettera inviata all'Iran a fine agosto, l'Aiea aveva lamentato che le attivita' di ripulitura e smantellamento rilevate dai satelliti fin dal febbraio scorso potrebbero "ostacolare significativamente" l'accertamento del tipo di esperimenti condotti tra il 2000 e, al massimo, il 2005 in una camera blindata che si sospetta sia stata usata per testare esplosioni convenzionali applicabili al nucleare.
L'Aiea dunque gira intorno ad una presunta "vecchia coscienza sporca" dell'Iran che ormai - giurando su quanto ha di piu' sacro, l'Islam - nega di volersi dotare della bomba atomica. E, secondo un'espressione usata da un analista americano del sito specializzato "Arms control Wonk", non e' escluso che l'Aiea stia ormai "sparando solo ad un fantasma", viste le ripuliture e le ristrutturazioni che comunque Teheran nega puntino a nascondere alcunche' dato che servono solo ad ammodernare la base vecchia di 50 anni e bisognosa di cure da 20.
Il fatto che gli edifici sospetti siano stati coperti da teloni rosa, come mostrano immagini satellitari acquistate dall'istituto americano Isis nell'agosto scorso, e' apparso come un messaggio che ormai l'Iran non abbia piu' nulla da nascondere ma tenga chiusi i cancelli di Parchin solo per evitare che nella base, assieme agli ispettori Aiea, entrino anche spie: un timore espresso ufficialmente da Teheran.
Amano comunque ha detto di avere "buone ragioni" per credere che l'Iran cooperera' con l'Aiea nei prossimi colloqui sul dossier nucleare che si svolgeranno a Teheran il 13 dicembre. .

(Blitz quotidiano, 28 novembre 2012)


E' morto Joseph Bialot, testimone della Shoah

   
Joseph Bialot
Lo scrittore francese di origine polacca Joseph Bialot, sopravvissutto alla Shoah e rinomato autore di romanzi noir e polizieschi, e' morto a Parigi all'eta' di 89 anni. L'annuncio della scomparsa, che risale a domenica scorsa, e' stato dato oggi dalla casa editrice parigina Pocket.
Nato il 10 agosto 1923 a Varsavia, Joseph Bialot trascorse la giovinezza a Parigi, dove la sua famiglia si era trasferita negli anni Trenta. Militante della gioventu' ebrea, Bialot, dopo essere fuggito ad un rastrellamento fu arrestato dai nazisti nel luglio 1944 e deportato ad Auschwitz dove rimase fino alla liberazione dei prigionieri nel gennaio 1945. Rientrato in Francia, Bialot si occupo' nella sartoria di famiglia a Parigi, facendo contemporameante memoria dell'Olocausto in vari libri, che ha pubblicato molto tempo dopo, come ''La notte del ricordo'' (1990). Bialiot, da sempre appassionato del genere poliziesco, ha pubblicato il suo primo romanzo all'eta' di 55 anni: si intitola ''Le Salon du pret-a'-saigner'' (Gallimard), con cui vinse il Grand Prix de Litterature policiere nel 1979. Tra i suoi polizieschi ''Rue du chat creve'', ''Un mantello di san Martino'', ''I bagagli di Icaro'' e ''La stazione senza nome''. Lo scrittore si e' poi dedicato al romanzo storico legato ''a un passato che non passa'', con titoli come ''La stazione di san Martino e' chiusa al pubblico'' e ''Il vostro fumo salira' verso il cielo''.

(campanianotizie, 28 novembre 2012)


Sistema High Tech per il controllo dell'inquinamento

Tel Aviv, 28 nov. - Un team di ricercatori dell'Universita' di Tel Aviv coordinato da Pinhas Alpert del dipartimento di Geofisica e Scienze Planetarie ha utilizzato tre satelliti hi tech della Nasa per calcolare la presenza di inquinanti nell'atmosfera. L'idea punta sull'uso delle strumentazioni finalizzate alla misurazione e alle previsioni delle condizioni meteorologiche per quantificare l'inquinamento atmosferico sulla Terra dallo spazio. Il team ha testato la validita' dell'approccio utilizzando un campione di dati raccolti dai satelliti in otto anni.
Le indagini hanno permesso di tracciare le tendenze relative all'inquinamento di 189 mega-citta', aree in cui la popolazione supera i due milioni di persone. Il metodo e' stato descritto in un articolo pubblicato sull'American Journal of Climate Change ed e' il primo a riuscire nell'impresa di determinare i trend standard dell'inquinamento a livello globale nel tempo.
"Oltre a fornire dati affidabili sulle tendenze dell'inquinamento nel mondo negli ultimi anni", ha spiegato Alpert, "il nuovo metodo di monitoraggio potra' rendere piu' consapevoli le nazioni delle loro reali emissioni e incoraggiarle a promuovere politiche piu' rispettose dell'ambiente". (AGI) .

(AGI, 28 novembre 2012)


A Gaza spuntano cartelloni anonimi: «Grazie Iran»

«Grazie Iran». Questa la scritta apparsa a Gaza in arabo, inglese, ebraico e farsi su alcuni cartelloni pubblicitari. Chi li ha affissi ha voluto ringraziare pubblicamente la Repubblica islamica per il sostegno dato al movimento islamico di Hamas nella recente crisi con Israele. Sui cartelloni appaiono anche i razzi di fabbricazione iraniana Fajr 5 che sono stati usati per la prima volta contro le due principali città israeliane. I cartelloni pubblicitari non sono firmati, ma un leader della Jihad islamica ha detto che è «un fatto naturale» ringraziare l'Iran

(il Giornale, 28 novembre 2012)


Si è spento Piero Cassuto. Guidò la Comunità ebraica di Livorno negli anni '80

Il mondo ebraico livornese è in lutto per la scomparsa di Piero Cassuto, 78 anni, brillante uomo d'affari nel settore della moda e esponente di primo piano della Comunità (che ha presieduto negli anni '80)

Piero Cassuto
LIVORNO - Si è spento all'età di 78 anni Piero Cassuto, uno degli esponenti di maggior rilievo della comunità ebraica livornese. Era un uomo d'affari nel mondo dell'abbigliamento (con responsabilità di rilievo con i marchi Sasch e Stefanel) ed era uno sportivo (aveva fondato il Tennis Banditella e era stato al timone della Libertas negli anni '70). Apparteneva a una famiglia che da secoli aveva messo radici a Livorno: fra i suoi antenati un assessore che poi alla fine della prima guerra mondiale diventerà il primo senatore ebreo livornese, fra i suoi parenti l'ex vicesindaco di Gerusalemme.
Cassuto aveva contribuito alla nascita della nuova sinagoga: era un giovane consigliere della comunità quando venne inaugurata nel '62, nelle scorse settimane la cerimonia per il 50o anniversario della costruzione era stata una delle ultime iniziative pubbliche importanti alla quale aveva partecipato in quella Comunità israelitica che negli anni '80 lo aveva avuto come presidente. Adesso si occupava di guidare a Livorno l'associazione Bené Berith, organizzazione umanitaria giudaica diffusa in tutto il pianeta.
Nel pomeriggio di oggi, mercoledì, alle ore 15 sono in programma i funerali al cimitero ebraico, muovendo dalla camera mortuaria dell'ospedale.

(Il Tirreno, 28 novembre 2012)


Antisemitismo, Nirenstein: "Grave vicenda in Ungheria"

ROMA, 28 nov - "Considero una delle cose più gravi accadute negli ultimi anni in Europa la richiesta da parte del partito antisemita Jobbik della lista degli ebrei che vivono in Ungheria perché 'rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale'. E' anche molto significativo che Marton Gyongyosi, leader del partito, abbia collegato il rischio che gli ebrei secondo lui apportano alla sicurezza ungherese con il conflitto israelo-palestinese. E' un'ennesima prova che spesso ormai, quasi d'abitudine, la critica a Israele è solo una maschera per campagne antisemite. Speriamo in una durissima reazione all'indecente richiesta di Jobbik sia da parte del governo ungherese, che del nostro Paese che dell'Europa tutta, memore del fatto che furono più di mezzo milione gli ebrei uccisi durante l'Olocausto con le tipiche 'ragioni di sicurezza' antisemite del nazismo, un trama di fantasie ispirate dal puro odio antiebraico, come quelle odierne". Così Fiamma Nirenstein, vice presidente della Commissione Esteri della Camera.

(PPN, 28 novembre 2012)


Cresce l'attesa in Israele per i sorteggi degli Europei UEFA Under 21

Avraham Luzon, presidente della Federcalcio israeliana (IFA), e il Ct Guy Luzon raccontano a UEFA.com l'atmosfera che si respira in vista del sorteggio per i Campionati Europei UEFA Under 21.

di Boaz Goren e Simon Hart

TEL AVIV - Il sorteggio per gli Europei UEFA Under 21 di questa estate si tiene mercoledì a Tel Aviv e il movimento calcistico israeliano è in fibrillazione, come racconta il presidente della IFA Avraham Luzon.
Parlando con UEFA.com alla vigilia del sorteggio, Luzon ha raccontato la grande attesa che c'è nel paese per la prima occasione in cui Israele ospiterà un grande torneo calcistico. "C'è suspense, c'è eccitazione, e c'è tanto interesse", ha detto.
Luzon ha spiegato che i preparativi sono "al massimo" per un evento che coinvolgerà due stadi nuovi di zecca a Netanya e Petah Tikva, oltre a due tirati a lucido per l'occasione. "Gli altri due impianti, Teddy e Bloomfield, saranno completamente rinnovati per essere pronti in vista del torneo".
Guy Luzon, Ct della nazionale, è sicuro che a Israele si vedrà il meglio del calcio giovanile nel continente. "Ho visto in azione Olanda, Spagna, Italia, Inghilterra, Russia. Sono tutte squadre di grandissimo livello", ha detto il nipote di Avraham Luzon. "Credo che a questo torneo parteciperanno tutte le migliori squadre con l'eccezione della Francia".

(UEFA.com, 27 novembre 2012)


La cucina ebraica è green?

di Luca Scialò

   
Kasheruth
o anche Casherut (letteralmente 'adeguatezza') indica l'idoneità di un cibo ad essere consumato dagli ebrei osservanti. Si tratta dunque di un insieme di regole alimentari che la religione ebraica stabilsce nella Torah. Il cibo che risponde a questi requisiti è cibo kosher (kasher o casher cioè 'adatto'). A causa delle moltissime norme, per preparare un pasto Kasher è necessaria una grande dimestichezza con il kasherut.
Ma in realtà mangiare kosher non è altro che applicare un comportamento di igiene alimentare e una serie di buone pratiche valide per tutti: si consiglia infatti di usare cibo biologico, a km zero, per lo più a frutta, legumi e verdura.
E' quindi un regime adatto anche ai non ebrei che osservano una dieta bilanciata ed eco-sostenibile. Ma è consigliato anche a chi soffre di problemi alimentari come intolleranze e celiachia. Non ultimo, mangiare kosher vuol dire anche riscoprire i sapori della tradizione.
In sostanza, le prescrizioni per la carne e il pesce sono eco-sostenibili perché riducendo le tipologie ammesse, diminuiscono il consumo di questi alimenti e la distruzione delle biodiversità per far posto all'allevamento.
Tra la carne si può mangiare solo quella dei ruminanti con lo zoccolo "spaccato", quindi sì alla mucca e alla selvaggina e no al maiale e al cavallo. E che non sia lavorata con il latte o prodotti caseari. E dunque niente cheesburger!
Inoltre gli animali nati dall'unione di specie diverse (kilàyim) sono vietati e lo stesso vale per le verdure, quindi niente cibi OGM né frutta come mapo o mandaranci.
A proposito di pesce, c'è l'obbligo di avere pinne o comunque squame meglio se locale, quindi niente crostacei e frutti di mare.
Di conseguenza tra gli animali consentiti ci sono quelli a bassa emissione di CO2, per il cui allevamento la quantità di gas serra è ridotta in modo consistente.
Oltre ai vantaggi ambientali, la cucina ebraica comporta anche un imponente giro di affari. Una stima del 2007 dice che i cibi kosher sono arrivati a generare un fatturato di 9,5 miliardi di euro in un mercato alimentare al dettaglio di 400 miliardi.
In effetti mangia cibo kosher anche chi ebreo non è. Secondo la società di marketing Lubicom, tra i 10,2 milioni di americani che mangiano kosher, circa 3 milioni sono addirittura musulmani, perchè anche per loro, le regole di igiene alimentare dettate dal Corano, cibo lavorato in modo halal, in gran parte si sovrappongono a quelle kosher.
Insomma, mangiare ebraico fa bene al corpo, all'anima, all'economia e all'ambiente. E magari proprio dal cibo potrebbe partire un maggiore dialogo tra le religioni.

(Tutto Green, 28 novembre 2012)


Tackle da dietro del poliziotto per fermare l'invasore di campo

L'entrata da dietro, a piedi uniti, è decisamente da cartellino rosso. Solo che in questo caso non è un giocatore a effettuarla sul terreno di gioco. Protagonista dell'insolito tackle è un poliziotto israeliano, deciso a stendere l'invasore di campo che ha interrotto il match tra Maccabi Haifa e Beitar Jerusalem disputato al Teddy Stadium di Gerusalemme.

Video

(la Repubblica, 28 novembre 2012)


Sotto i razzi di Hamas

a cura di Marco Ciani

Riportiamo il testo di un'intervista effettuata dal sito "Appunti Alessandrini" nei giorni del conflitto tra Israle e Hamas. L'intervistata è Tali Israeli, cittadina israeliana, nata a Tel Aviv, ma cresciuta in Italia fino all' età di 22 anni. Attualmente Tali, di professione traduttrice, è tornata a vivere a Tel Aviv, con il marito ingegnere e i quattro figli.

Tali Israeli
- Tali, ti ringraziamo per averci dato l'opportunità di questa intervista. Da israeliana che risiede a Tel Aviv con la sua famiglia, come vivi queste giornate?
  Queste giornate sono piene di tensione e paura. Passo la maggior parte del tempo a cercare di rassicurare i miei figli trasmettendo loro serenità e sicurezza.

- Hai amici arabi? Ritieni che tra ebrei e arabi vi possano essere rapporti pacifici?
  Certamente, ho amici arabi israeliani con cui ho un rapporto di reciproco rispetto e dialogo. Credo anche che la convivenza sia possibile, perché Israele è uno stato democratico dove già ora arabi israeliani ed ebrei vivono pacificamente.

- Come viene percepito il tema della sicurezza di Israele?
  Israele è un paese sicuro e lo dimostra il crescente numero di turisti che ogni anno vengono a visitare la nostra meravigliosa terra. Tuttavia, di certo questa sicurezza non è sempre garantita perché abbiamo nemici vicini e lontani che vogliono vederci scomparire dalla faccia della terra.

- A tuo modo di vedere la reazione di Israele ai lanci di razzi da Gaza è stata proporzionata?
  No, secondo me la reazione di Israele è stata troppo blanda e questo è dimostrato dal fatto che ancora oggi (il 21 novembre NdR), nonostante l'intenzione di Israele di raggiungere una tregua, da Gaza hanno continuato a lanciare razzi al sud del paese costringendo la popolazione a vivere nel terrore e chiusa nei rifugi.

- Non temi che i bombardamenti a Gaza possano creare problemi più seri alla tua nazione?
  Temo solamente che, come al solito, il diritto di Israele all'autodifesa sia messo in discussione da quei paesi che vorrebbero vederla scomparire dalla carta geografica.

- Perché non si riesce a trovare una pace duratura tra israeliani e palestinesi? Pensi che sarà mai possibile giungere a una convivenza accettabile?
  Citando una frase di Golda Meir «la pace ci sarà quando gli arabi ameranno i propri figli più di quanto odino noi». Penso che se i nostri interlocutori smettessero di investire in armi e investissero invece nell'educazione dei propri figli, ai quali fin da piccoli viene insegnato il culto dell'odio, allora la convivenza diverrebbe realmente possibile.

- Qual è la tua opinione in merito al sionismo? E' possibile essere ebrei israeliani senza essere anche sionisti?
  Il sionismo è quel pensiero che ha permesso allo Stato di Israele di rinascere e resistere nonostante tutti i nostri nemici volessero distruggerci. Per questo motivo io non penso che si possa essere israeliani ebrei senza essere anche sionisti.

- Come viene percepita in Israele la primavera araba? Come valutate le dinamiche in corso in Egitto, in Siria?
  Viene vista nella sua vera ottica, ovvero come la nascita di regimi dittatoriali a matrice islamica che hanno in comune il solo pensiero di distruggere Israele. L'opinione pubblica internazionale ha preferito tacere sulle stragi che in Siria ed Egitto si sono perpetrate negli ultimi mesi.
Cosa si deve pensare di un paese che uccide donne, bambini e vecchi? Questo silenzio su quello che è accaduto e sta ancora accadendo è la vergogna che contraddistingue tutti quei paesi occidentali che puntano il dito su Israele quando cerca di difendere i propri cittadini.

- Pensi che l'Iran voglia realmente annientare Israele?
  Sì, senza ombra di dubbio, e non manca mai di farcelo sapere.

- Cosa pensi di esponenti della cultura di origine ebraica come Noam Chomsky o Moni Ovadia che hanno condannato le azioni militari di Israele?
  Dico solo una parola…è una vergogna!

- Alcuni opinionisti filo/palestinesi, equiparano sionismo e razzismo. E sostengono che vi sareste presi la stragrande maggioranza del territorio palestinese. Come rispondere a queste accuse?
  La Palestina non esiste. Vorrei che questi opinionisti si documentassero sulla storia dello stato di Israele

- Come immagini il futuro tuo e dei tuoi figli? Pensi che continueranno a vivere in Israele?
  Israele è la mia casa e quella della mia famiglia. Qui siamo nati e qui rimarremo. Nel frattempo, spero e prego per una pace duratura in cui arabi ed israeliani possano vivere insieme.

- Qui in Europa stanno suscitando molta impressione le foto di bambini palestinesi feriti o uccisi durante i bombardamenti. Che idea ti sei fatta in proposito? Ti sei mai immedesimata in una madre palestinese che perde un figlio?
  Quelle foto che circolano, almeno la gran parte, sono false. Sono foto scattate in Siria che vengono spacciate per foto attuali di Gaza.
In quanto al secondo punto, non posso immedesimarmi in una madre palestinese. Io da madre israeliana auguro a mio figlio di arrivare all'età di 18 anni e di non dover prestare servizio militare, perché spero che nel frattempo sia sopraggiunta la pace. Una madre palestinese inculca il culto dell'odio fin dalla tenera età, sperando che il proprio figlio diventi un shaid (martire).
Come posso immedesimarmi in una persona che non considero essere madre nel vero senso della parola?

- La rielezione di Obama, a tuo giudizio, è di buono o cattivo auspicio per Israele?
  Personalmente credo che la rielezione di Obama per Israele sia un cattivo auspicio.

- Cosa potrebbe o dovrebbe fare la comunità internazionale per favorire un processo di pace?
  Penso che la comunità internazionale stia già attualmente cercando vie diplomatiche per favorire una trattativa di pace che conduca ad una coabitazione pacifica.

- A breve mi sembra, avrete le elezioni per il rinnovo del Parlamento. Quanto pensi che la guerra possa influire sulle scelte degli elettori israeliani?
  Le guerre influiscono sempre sulla scelta del proprio premier.

- Un'ultima domanda. Vivere in uno stato di conflitto da decine e decine di anni non è facile. Come riuscite ad andare avanti, malgrado tutto?
  E' la forza di vivere che ogni israeliano ha dentro di sé. Noi israeliani saremo sempre per la vita, per pace e per il grande amore per la nostra patria.

- Grazie, Tali. E buona fortuna a te ed alla tua splendida famiglia.

(Appunti Alessandrini, 23 novembre 2012)



Gli ebrei americani fanno causa al Dipartimento di Stato USA

Gli israeliani che vivono negli Stati Uniti hanno presentato una causa senza precedenti contro il Dipartimento di Stato in relazione alla politica di Washington verso l'Autorità palestinese.
La causa è stata presentata a nome dell'organizzazione ebraica per i diritti umani Shurat Hadin. La causa si basa sulla politica degli Stati Uniti nei confronti della Palestina che ignora gli interessi di Israele. Il Congresso degli Stati Uniti fornisce assistenza finanziaria all'Autorità palestinese a determinate condizioni, ma secondo Shurat Hadin il Dipartimento di Stato non controlla il rispetto di questi vincoli, quasi come se non esistessero. Di conseguenza l'Autorità palestinese può adottare misure contro Israele senza il timore di perdere gli aiuti finanziari degli Stati Uniti.

(MondoRaro, 27 novembre 2012)


La svolta dell'oliva palestinese

Sulle colline rocciose della Cisgiordania si moltiplicano gli oliveti biologici, per una produzione di olio di fascia alta destinata agli alimentari negli Stati Uniti e in Europa…

di Corrado Fontana

Nella West Bank la raccolta delle olive sta andando bene e sempre più, come riflesso della crescente domanda globale di prodotti naturali, da agricoltura sostenibile e del commercio equo e solidale, si moltiplicano i contadini palestinesi che puntano sul biologico. Questo il racconto di un corrispondente dell'Associated Press su Huffington Post che riporta una situazione di buon prospettiva, nonostante la cronica mancanza di precipitazioni e gli ostacoli commerciali dovuti al rapporto con Israele.
L'agricoltura biologica è diventata un business fiorente, per gli standard locali, da quando è stata introdotta in Cisgiordania nel 2004, ed è una delle poche attività attraverso le quali i palestinesi riescono a competere sui mercati esterni. Almeno 5 milioni di dollari di olio d'oliva biologico vengono infatti esportati ogni anno (circa la metà di tutte le esportazioni di olio palestinese), prodotto da alcuni dei 930 agricoltori che hanno già la certificazione biologica (altri 140 sono in attesa di ottenerla, a seguito dei due o tre anni necessari a interrompere l'uso di fertilizzanti chimici e di controllo dei parassiti sulla loro terra) e quella del commercio equo e solidale, venendo monitorati e addestrati dalle agenzie locali della Fair Trade Association.
Secondo quanto riporta la ong umanitaria Oxfam, in Cisgiordania è prodotta ogni anno una media di 17 mila tonnellate di olio d'oliva da migliaia di agricoltori. La maggior parte di questo olio è destinata all'uso locale, e solo mille tonnellate circa vengono esportate (anche se questo numero è probabilmente più alto in quanto molti agricoltori vendono il loro olio anche attraverso canali informali). Certo si tratta di un commercio non paragonabile a quello dei grandi olivicoltori di Spagna, Italia e Grecia, ma è significativo per i palestinesi, per i quali la raccolta delle olive è una tradizione culturale antica capace di radunare anche le famiglie più urbanizzate.

(valori.it, 27 novembre 2012)


La polizia norvegese chiede scusa per la deportazione degli ebrei

Nel 1942 la nave Donau trasportò 532 persone ad Auschwitz.

In ritardo di 70 anni, la polizia norvegese ha chiesto scusa per la prima volta nella sua storia per la responsabilità nella persecuzione degli ebrei durante il nazismo.
In particolare si tratta di uno degli episodi più bui di quel periodo: la deportazione di 532 ebrei sul cargo Donau verso il porto di Stettino, con destinazione finale il campo di sterminio di Auschwitz.
Il neocapo della polizia norvegese Odd Reidar Humlegaard ha dichiarato al giornale Dagsavisen di «voler chiedere perdono a nome della polizia del Paese e di tutti coloro che hanno preso parte alla deportazione degli ebrei norvegesi verso i campi di concentramento» e di sterminio nazisti durante le Seconda Guerra Mondiale.
RISARCIMENTO NEL 1998 - Seppur ritenuta un po' tardiva, la presa di posizione è stata accolta con favore dalla comunità ebraica norvegese, dopo che già all'inizio dell'anno lo stesso primo ministro Jens Stoltenberg aveva fatto formale ammenda per la parte avuta dal suo Paese nelle persecuzioni.
Nel 1998 Oslo ammise le proprie responsabilità e pagò ai superstiti e alle associazioni ebraiche 60 milioni di dollari in risarcimenti. Nel 1942 gli ebrei norvegesi, o ebrei rifugiati in Norvegia, erano circa 2.400 e fino ad allora erano vissuti, soprattutto a Oslo e Trondheim, senza particolari preoccupazioni, se si eccettuano atti di vandalismo e intimidazioni.
NAVE A DISPOSIZIONE DEI NAZISTI - I problemi cominiciarono proprio all'inizio del '42 quando si fece più stringente la pressioni antiebraica, con la compilazione di liste, elenchi e l'apposizione del triste simbolo 'J' sui passaporti. Nell'ottobre dello stesso anno la svolta vera e propria: da Berlino giunse la notizia che la Marina metteva a disposizione la nave cargo 'Donau' (Danubio) per deportare gli ebrei norvegesi verso Stettino e da lì verso la destinazione finale del campo di Auschwitz.
SOLO 30 SOPRAVVISSUTI SU 800 - Alla fine 532 persone, donne e bambini compresi, salirono su quella nave il 26 novembre del 1942 nonostante le invocazioni della chiesa protestante al leader collaborazionista nazista norvegese Vidkun Quisling.
Al primo gruppo della Donau ne seguirono altri fino al 1943, per un totale di quasi 800 persone. Ne tornarono a casa una trentina.

(Lettera43, 27 novembre 2012)


Il leader del terzo partito ungherese chiede la lista degli ebrei "pericolosi"

BUDAPEST - Il leader del terzo partito ungherese, la formazione di estrema destra Jobbik, ha invitato il governo a stilare una lista degli ebrei che pongono "un rischio per la sicurezza nazionale", provocando lo sdegno della comunità ebraica, che vede nella dichiarazione echi della politica nazista che portò all'Olocausto.
Marton Gyongyosi, leader del partito, ha detto che la lista è necessaria a causa delle tensioni seguite al conflitto a Gaza, e che potrebbe includere anche membri del Parlamento.
Lo Jobbik non è nuovo a uscite antisemite e anche a violente tirate populiste contro la minoranza Rom. Finora però il partito non aveva mai chiesto pubblicamente di stilare liste di ebrei.
Gli ebrei ungheresi morti nell'Olocausto furono tra i 500.000 e i 600.000, secondo il Centro per la memoria dell'Olocausto di Budapest.
La dichiarazione di Gyongyosi arriva dopo che il sottosegretario agli Esteri Zsolt Nemeth ha detto che Budapest è favorevole a una soluzione pacifica al conflitto tra israeliani e palestinesi, a beneficio degli israeliani che hanno antenati ungheresi, degli ebrei ungheresi e dei palestinesi che vivono in Ungheria.
In un video postato ieri in serata sul sito web del partito, Gyongyosi ha detto: "Penso che un conflitto del genere segni il momento di elencare le persone con origini ebraiche che vivono qui, specialmente nel governo e nel parlamento ungherese, le quali pongono un rischio di sicurezza nazionale per l'Ungheria".
Il governo ha condannato l'episodio, mentre oggi Gyongyosi ha minimizzato le dichiarazioni, affermando che si riferiva alle persone con doppia cittadinanza israeliana e ungherese.

(Reuters, 27 novembre 2012)


Daniel Libeskind: l'Accademia del Museo Ebraico a Berlino

"Ascolta la verità, chiunque la dica" l'esortazione impressa sulla facciata

   
L'Accademia del Museo Ebraico a Berlino
Lo scorso sabato 17 novembre è stata inaugurata l'Accademia del Museo Ebraico di Berlino, firmata da Daniel Libeskind, a distanza di quasi dodici anni dal completamento del Museo omonimo e del Cortile di vetro, terminato nel 2007.
La nuova struttura, che occupa una superficie di 25.000 metri quadrati, è stata ricavata negli spazi dell'ex mercato dei fiori, situato proprio di fronte al museo, per accogliere un archivio, un centro educativo, un auditorium e anche una biblioteca.
Queste le parole di Libeskind in occasione dell'apertura dell'edificio: "La mia collaborazione con il Museo Ebraico di Berlino è una fonte di grande orgoglio professionale e personale. Ogni progetto offre una nuova opportunità per illuminare la storia e la cultura ebraica, di comprendere le tragedie e i trionfi e per celebrare la creatività, la capacità di recupero e l'erudizione che costituiscono l'eredità degli ebrei".
Elemento catalizzatore dell'attenzione dei visitatori è il monito impresso in facciata, allusivo degli insegnamenti del filosofo ebraico medievale Maimonide Mosè, tradotto in cinque lingue (inglese, tedesco, ebraico, arabo e l'originale giudeo-araba della Spagna medievale): "Ascolta la verità, chiunque la dica".
Progettata come estensione del Museo ebraico, nei temi come nella struttura, la nuova realizzazione presenta un corpo d'ingresso a forma di cubo sezionato che si staglia contro la facciata, illuminato da due grandi lucernari che ripropongono il disegno delle lettere ebraiche Alef e Bet (A e B). Dall'ingresso si accede ai due volumi regolari più grandi che ospitano rispettivamente la biblioteca e l'auditorium.
L'impiego del legno di pino intende fare riferimento alle cassette adoperate per il trasporto di volumi e oggetti preziosi e, al tempo stesso, all'involucro 'biblico' dell'Arca di Noè.
"In-Between Spaces" è il nome che lo stesso Libeskind ha attribuito all'edificio per descrivere lo spazio di transizione tra i tre cubi e le differenti prospettive fruibili da un unico punto d'osservazione privilegiato che consente di guardare sia all'interno della hall e sia all'esterno delle altre strutture museali.

(archiportale, 27 novembre 2012)


Lotito visita il tifoso del Tottenham ricoverato in ospedale

Alla fine Claudio Lotito ha voluto far visita al tifoso del Tottenham ricoverato al San Camillo, per dare un segnale distensivo.

La polemica, da una parte sui cori antisemiti all'Olimpico nel match contro il Tottenham (l'Uefa potrebbe aprire un'inchiesta) e dall'altra sulle aggressioni al pub la sera prima del match, l'ha costretto a recarsi in ospedale ieri per venti di minuti. Il numero uno biancoceleste ha fatto visita ad Ashley Edwards Mills: «Il ragazzo sta molto meglio - ha detto all'uscita - e presto sarà dimesso». Il presidente del club biancoceleste, accompagnato dal direttore sportivo Igli Tare, ha regalato a Mills una maglietta della Lazio con il suo nome. «I tifosi della Lazio non sono razzisti - ha ribadito - e questo fatto non ha niente a che fare con il calcio e con lo sport. Associare questo episodio alla societàe ad una città come Roma è un grave danno di immagine». Lotito ha anche promesso per oggi, nel posticipo di campionato contro l'Udinese, delle «grandi sorprese. Vedrete le nostre magliette...». Probabilmente i laziali avranno una t-shirt (che saranno stampate solo oggi) sopra la maglia ufficiale per dire «no al razzismo». Ma per tutta la giornata, prima della visita, Lotito non ha fatto altro che difendere la sua tifoseria contro chi l'ha accusava di esser stata la mente del raid notturno a Campo de' Fiori. «Non vedo perché bisogna sempre additare la tifoseria laziale con epiteti come "fascisti e razzisti". L'atteggiamento della tifoseria biancoceleste - le parole di Lotito a Lazio Style Radio - è cambiato e lo hanno dimostrato in questi ultimi tempi. Questi sono fatti che non sono legati alla tifoseria, ma a un singolo che non può diventare emblema della tifoseria intera. Gli atteggiamenti e i comportamenti, poi, non erano supportati da motivazioni sportive, ma da problemi di rivalsa per fatti accaduti precedentemente a Londra nei confronti dei tifosi della Roma ed è questo che sta emergendo dalle indagini. La stragrande maggioranza della tifoseria della Lazio è pulita ed estranea a certi atteggiamenti. Se un singolo, poi, fa certe cose, rimane un delinquente, ma non per questo bisogna connotarlo con un'appartenenza calcistica. Non a caso che la partita è andata avanti senza problemi e incidenti».

(Il Tempo, 27 novembre 2012)


Cori pro Hitler col Tottenham. Tolleranza zero del West Ham

La dirigenza degli Hammers dopo i vergognosi canti nel derby contro gli Spurs: "Potremmo vietare a vita l'ingresso allo stadio a chi si è macchiato di un simile comportamento"

MILANO, 26 novembre 2012 - Dopo l'imbarazzo iniziale, e il colpevole silenzio lungo una notte, il West Ham ha promesso la massima severità contro quei tifosi che domenica durante l'incontro contro il Tottenham hanno inneggiato Adolf Hitler e solidarizzato con i supporters della Lazio. L'aggressione di Campo de Fiori di settimana scorsa sembra dunque aver risvegliato la più becera e incivile intolleranza anti-semita perchè è davvero raro che negli stadi della Premier League si possa assistere ad uno spettacolo così vergognoso come quello accaduto a White Hart Lane in occasione della 13a giornata. Durante il derby londinese infatti dal settore che ospitava i tifosi degli Hammers si sono levati cori inequivocabili ("Adolf Hitler sta venendo a prendervi") con esplicito riferimento agli stretti legami tra la tifoseria del Tottenham e la comunità ebraica di Londra. Ma non solo. Perchè diversi tifosi del West Ham hanno anche voluto ringraziare - con un'ironia tutt'altro che inglese - i "colleghi" laziali ("Viva Lazio") meritevoli a loro dire - e nonostante le indagini abbiano allargato il cerchio delle responsabilità - per l'aggressione di settimana scorsa ai tifosi del Tottenham ("Possiamo accoltellarvi ogni settimana?").

(La Gazzetta dello Sport, 26 novembre 2012)


Da Roma a Zitomir con amore

ZITOMIR - Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, si è recato in visita alla comunità ebraica di Zhitomir, in Ucraina, portando un concreto aiuto da parte della Comunità Ebraica di Roma (CER) all'orfanotrofio Alumim, proseguendo una collaborazione iniziata già nel 2005 assieme all'allora Presidente della CER Leone Passerman e ancora oggi fattiva.
La città di Zitomir si trova nell'omonima regione situata nella parte occidentale dell'Ucraina a ridosso del fiume Dnieper, è sempre stata storicamente una sede importante per l'ebraismo avendo dato i natali a Reb Zeev Wolf, discepolo del Baal Shem Tov, e a Chaim Nachman Bialik, autore classico della letteratura ebraica, riconosciuto come il poeta nazionale di Israele.
La comunità è parte della Federazione delle comunità ebraiche della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) presieduta da Levi Levaiov e guidata dal Shliach di Chabad Rav Shlomo Wilhelm. La comunità gestisce attività educative, culturali e sociali, presso il Campus per l'Educazione, tra cui una scuola, una yeshivà, un'università, un Kollel, le sale di computer, le biblioteche e il dormitorio che permette a molti studenti di giungere da lontano per studiare nella scuola.
La perla del Campus è l'orfanotrofio Alumim, importante luogo di accoglienza per i bambini ebrei provenienti da famiglie disfunzionali, tra cui orfani, poveri, abbandonati e che hanno subito abusi. Grazie alla costante presenza di personale qualificato, costituito da psicologi e insegnanti, viene garantito ai bambini di tutte le età il benessere fisico, emotivo e spirituale, in un ambiente permeato di cultura ebraica, andando oltre la definizione tecnica di orfanotrofio, per trasformarsi in una vera "casa", piena di calore e vita, che possa aiutare i bambini ebrei ad affrontare serenamente la vita.
Durante la sua visita, Rav Di Segni ha incontrato i bambini che a cena gli hanno consegnato un rotolo con le loro risoluzioni in Torà e Mitzvot in suo onore.

(Chabad.Italia, 26 novembre 2012)


Riunione sui 150 anni della sinagoga di Napoli

Alla riunione hanno preso parte il presidente Giorgio Cerioni dell'Associazione culturale Approdi

Il progetto di celebrazione dei 150 anni della Sinagoga di Napoli e' stato al centro di una riunione-esamina della Commissione Cultura, presieduta da Maria Lorenzi. Tra i temi trattati figura anche il progetto PANorama, come quello sui 150 anni nato in collaborazione con il rabbino capo della Comunita' di Napoli e del Sud Italia Shalom Bahbout.
Alla riunione hanno preso parte il presidente Giorgio Cerioni dell'Associazione culturale Approdi, organizzatrice dei progetti, e i curatori delle mostre Francesca Pietracci e Jonathan Turner.
Dopo una breve introduzione della presidente Lorenzi, - riporta una nota - la storica dell'arte Francesca Pietracci ha illustrato i progetti, legati dal filo conduttore della celebrazione del 150mo anniversario della comunita' ebraica a Napoli. Il programma non comporta impegno di spesa da parte del Comune e propone l'utilizzo del piano terra del PAN - location che ha gia' ospitato con successo la recente mostra dell'artista Justin Peyser - per dare spazio da gennaio a dicembre 2013 ad una serie di mostre di diversi artisti stranieri di riconosciuta rilevanza artistica internazionale, creando al contempo un luogo di incontro e di dialogo con le culture delle minoranze etniche ed incentivando lo scambio culturale con gli artisti locali, anche attraverso conferenze, documentari ed eventi paralleli.
I consiglieri intervenuti - Palmieri, Vasquez, Frezza e Mansueto - hanno accolto favorevolmente il programma, ma hanno manifestato perplessita' sull'attribuzione per un lungo periodo di un'area pubblica, quella del piano terra del PAN, l'unico che non prevede la messa a reddito da parte del Comune, ad una singola associazione, anche in considerazione della contestuale necessita' di messa a reddito degli altri piani della struttura.
In conclusione, la presidente Lorenzi, col parere unanime dei commissari, ha comunicato che organizzera' un tavolo d'incontro con l'Assessora alla Cultura Antonella Di Nocera, la Dirigente del Patrimonio artistico e beni culturali Silvana Dello Russo e il Responsabile amministrativo del PAN Fabio Pascape', per verificare la praticabilita' del progetto, anche in funzione della programmazione dell'Assessorato alla Cultura.

(lunaset.it, 26 novembre 2012)


Portare il terrorismo alla bancarotta, un'intercettazione dopo l'altra

di Akiva Hamilton*

C'è un'esplosione di amore e di apprezzamento in Israele per quello straordinario strumento tecnologico chiamato Iron Dome che ha salvato tante vite nel sud e nel centro di Israele.
  Malgrado questo è stato poco analizzato il vero significato strategico dell'Iron Dome.
  L'Iron Dome ha cambiato le regole del gioco in modo tale che non solo consegna l'attuale modello di terrorismo di Hamas e degli Hezbollah al cassonetto dell'immondizia, ma stravolge completamente le dottrine militari di tutti i nemici di Israele.
  Prima di esaminare in dettaglio questo cambiamento strategico fondamentale, è necessario occuparsi di un certo numero di importanti fraintendimenti che oscurano questa realtà.
  Prima di tutto l'Iron Dome non è più soltanto un sistema difensivo contro missili a corto raggio. La quinta batteria, messa in campo l'ultimo sabato dello scontro, possiede un sistema radar significativamente migliorato (da parte di Elta, un comprimario poco conosciuto della storia dell'Iron Dome) e miglioramenti software che trasformano questo sistema in un sistema di difesa antimissile a corto e medio raggio.
  Mentre si descrive Iron Dome come in grado di colpire missili che abbiano un raggio d'azione di 70 km, secondo l'esercito israeliano questo nuovo miglioramento permette di intercettare missili con raggio fino a 200 km. Con questo, il sistema è già in grado di assumersi gran parte delle intercettazioni che il prossimo sistema israeliano antimissile a medio raggio David Sling dovrebbe realizzare.
  In secondo luogo non è vero che gli intercettori dell'Iron Dome costino 40.000 o 50.000 $ l'uno. Come in ogni tipo di sistema di alta tecnologia la maggior parte dei costi sono costi di sviluppo e di messa a punto della produzione. Questi costi fissi sono distribuiti sul numero di pezzi stimati che si produrranno e così si giunge al prezzo. Però, se il numero di pezzi da produrre aumenta sostanzialmente rispetto alla stima iniziale, il costo scende in proporzione.
  Il reale costo marginale di produzione di un intercettore è basso e riflette i costi degli delle materie prime: metallo, propellente, esplosivi, componenti elettronici usati nella sua fabbricazione e il lavoro richiesto per far funzionare la linea produzione. Se l'esercito ordinerà un numero di intercettori 10 volte più grande di quanto stimato originariamente il costo scenderà intorno $ 5000; se ne ordinerà 100 volte di più il costo potrebbe raggiungere o avvicinarsi al costo marginale di meno di $ 1000.
  In terzo luogo il costo reale di missili e dei razzi che l'Iron Dome deve intercettare è stato molto sottostimato da molti commentatori. I missili Grad possono pure costare in Iran soltanto $ 1000 al pezzo, ma questo non è il costo di un missile consegnato ad Hamas a Gaza.
  La linea logistica di consegna dall'Iran a Gaza è estremamente contorta e costosa, una linea che comporta enormi perdite per le azioni dell'esercito israeliano che bombarda i convogli e le fabbriche nel Sudan, e per l'intercettazione da parte delle marine militari occidentali. Grosse tangenti devono essere pagate ad ogni passaggio di mano lungo il cammino, in particolare ai beduini del Sinai e ai soldati egiziani di Rafah che dovrebbero fermare il contrabbando. Le perdite continuano poi quando il missile Grad raggiunge Gaza, con l'esercito israeliano che distrugge sistematicamente i depositi di missili.
  Così 1000 missili Grad che costano all'acquisto in Iran 1 milione di dollari possono divenire meno di 300 pezzi che costano ulteriori 2 milioni per "spese di consegna". Così un missile Grad da $ 1000 in Iran, diventa un missile Grad da $ 10.000 a Gaza.
  Quarto: Iron Dome è fondamentalmente un sistema di computer altamente avanzato con un ciclo rapidissimo di miglioramento. Finora l'Iron Dome si sviluppa come l'iPhone attraverso continui upgrades di software e hardware e conseguenti incrementi delle prestazioni.
  Non solo in futuro continuerà ad essere così, ma in effetti il fenomeno accelererà secondo la legge di Moore e la legge di Ray Kurzweil sui ritorni accelerati che stabilisce che le prestazioni di un sistema di computer crescono esponenzialmente nel tempo.
  Con ogni upgrade la percentuale di intercettazioni migliorerà e il raggio di azione dei missili che possono essere intercettati migliorerà ancora di più. Per questo dobbiamo aspettarci che l'Iron Dome raggiungerà un tasso di intercettazione del 95% o anche più alto nel prossimo anno o due e continuerà a migliorare man mano che la velocità e la potenza di elaborazione dei computer che compongono il suo cervello ed i suoi occhi (radar) cresceranno.
  La conseguenza pratica di tutto ciò è il rapporto tra i missili sparati e il numero di israeliani uccisi, salito da 50-75 (Libano e Gaza prima dell'Iron Dome) a 300 nel 2011 (75% di intercettazioni) a 500 nel 2012 (90% intercettazioni) malgrado il fatto che Hamas usi missili più letali.
  La conseguenza strategica è che l'attuale strategia del terrore di Hamas ed Hezbollah, basata su missili, è stata resa sia inefficace tecnicamente che insostenibile economicamente. Ritengo che attualmente l'uccisione di un singolo israeliano costi ad Hamas (e quindi al suo sostenitore iraniano) circa 5 milioni di dollari (500 missili a $ 10.000 l'uno). Quando l'Iron Dome raggiungerà un tasso di intercettazione del 95% questo numero raddoppierà e ad un tasso del 97,5% raddoppierà ancora a 20 milioni di dollari.
  Contrariamente ad alcune opinioni, i terroristi non potranno portare Israele al punto di rottura sparando milioni di missili, perché il costo reale di loro missili eccede il costo marginale dell'intercettore israeliano. Inoltre, molti missili non vanno assegno e l'Iron Dome semplicemente li ignora (a costo zero). In effetti questa strategia porterà l'Iran ad un punto di rottura molto più velocemente di quanto non sia stata portata l'Unione Sovietica alla stessa situazione dalle "guerre stellari" e dalla difesa missilistica del presidente Reagan.
  Questo è devastante non soltanto per la strategia del terrore di Hamas e degli Hezbollah, ma anche per le dottrine militari dei nemici di Israele come l'Iran e la Siria, che hanno investito pesantemente in missili e razzi per compensare la loro debolezza in campo aereonautico.
  L'Iron Dome è già efficiente al 90% contro molti dei missili a medio raggio siriani mentre il sistema di difesa missilistico israeliano Arrow 2 è ugualmente efficace contro i missili iraniani a lungo raggio. Le ulteriori componenti dell'ombrello difensivo antimissile multistrato israeliano, David Sling e Arrow 3, diverranno operativi nel 2013/14 e seguiranno lo stesso percorso di miglioramenti tecnologici dell'Iron Dome. Come risultato l'arsenale missilistico dei nemici continuerà a declinare in efficacia a tassi esponenziali mentre il tasso di intercettazione del sistema missilistico israeliano migliorerà.
  Iran, Siria e i loro satelliti terroristici stanno combattendo una battaglia persa con il progresso tecnologico a ritmo esponenziale in un campo nel quale Israele è il leader mondiale.
  L'Iron Dome quindi cambia le regole del gioco ed annuncia la fine dei razzi e dei missili usati da coloro che sono meno avanzati tecnologicamente. In un certo senso, proprio come l'organizzazione nella quale io lavoro combatte il terrorismo con richieste legali ai terroristi di risarcimento danni, una dopo l'altra, così l'Iron Dome avanza costantemente, intercettazione per intercettazione.


* Akiva Hamilton lavora come avvocato per Shurat haDin, organizzazione per i diritti civili e leader mondiale nella
 lotta al terrorismo attraverso citazioni per danni in giudizi civili. (Traduzione di David Pacifici)


(Jerusalem Post, 24 novembre 2012 - ripreso da ilblogdibarbara)


Partita nave iraniana con missili per Hamas

La guerra a Gaza si è per ora fermata, ma non si ferma la criminale attività di sostegno logistico e militare svolto dall'Iran che finanzia e fornisce di armi i miliziani di Hamas.
Secondo quanto rivelato dal Sunday times, i satelliti-spia israeliani hanno localizzato una nave iraniana con un carico di missili che potrebbero essere diretto alla Striscia di Gaza. La nave trasporterebbe missili Fajr 5 per rimpiazzare quelli distrutti dall'aviazione dello Stato ebraico durante l'offensiva Pilastro di difesa e quelli lanciati su Tel Aviv dai militanti di Hamas. Vi potrebbero essere anche missili Shahab-3 che, secondo il giornale inglese, potrebbero essere dispiegati in Sudan per tenere sotto tiro Israele "da sud".
La rotta della nave sarebbe quella già seguita in passato per le forniture militari a Gaza: Mar Rosso, Sudan e poi Egitto, da dove arriverebbero via terra a Hamas. "Sospettiamo che navi da guerra iraniane all'ancora in Eritrea scorteranno le armi appena la nave entrerà nel Mar Rosso".
Il carico sarebbe stato preparato appena si e' avuta notizia del cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, ma la fonte israeliana ha avvertito che l'esercito dello Stato ebraico distruggerà le armi appena riuscirà a localizzarle.

(Roma ebraica, 26 novembre 2012)


Israele ha attenuato il regime di blocco della Striscia di Gaza

Le autorità d'Israele hanno attenuato il regime di blocco della Striscia di Gaza. Da domenica ai pescatori palestinesi è permesso pescare nel Mediterraneo fino a 6,9 km dalle coste.
Israele non permette ai pescatori palestinesi di allontanarsi dalla riva per distanze più lunghe perché precedentemente le barche da pesca portavano attivamente a contrabbandare armi a Gaza. L'osservanza del regime è controllata dalle navi delle Forze Navali dello Stato ebraico.

(La Voce della Russia, 26 novembre 2012)


Inghilterra, dai tifosi del West Ham cori antisemiti contro il Tottenham


Durante il derby londinese di Premier League, nuovi episodi di razzismo contro gli Spurs dopo i fatti di Roma, stavolta da parte dei sostenitori degli Hammers. La Federcalcio apre un'indagine. Il club: "Massima collaborazione, attueremo le misure più dure possibili contro i responsabili".

LONDRA - Ancora episodi di antisemitismo ai danni del Tottenham. Dopo i fatti avvenuti a Roma la settimana scorsa (tifosi inglesi aggrediti in un pub da un gruppo di teppisti la sera prima della partita e cori e striscioni antisemiti esposti dalla curva dei tifosi biancocelesti durante la gara di Europa League con la Lazio), ieri pomeriggio ci sono state nuove sconcertanti manifestazioni di razzismo. Durante il derby londinese con il West Ham valido per la tredicesima giornata di Premier League, infatti, i tifosi degli Hammers hanno prima cantato canzoni inneggianti a Adolf Hitler e alla Lazio (coi cui tifosi sono gemellati), per poi simulare il sibilo del gas in riferimento ai campi di sterminio. Tra i cori andati in scena allo stadio, anche "Noi possiamo pugnalarvi ogni settimana", "viva-Lazio", "c'è un solo Paolo di Canio" e l'agghiacciante "Adolf Hitler sta venendo a prendervi".
   Gli allenatori delle due squadre, dopo la partita, hanno preferito non commentare. "Non li ho sentiti. Non sento quello che dicono o fanno i tifosi quando sono concentrato sul mio lavoro durante una partita. Commenterò quando avrò ascoltato ciò che hanno detto", ha affermato Sam Allardyce, tecnico del West Ham. "Preferisco non rovinare la performance della mia squadra con una situazione del genere", le parole di Andre Villas-Boas, manager del Tottenham. "E' nota la rivalità che c'è tra il Tottenham e il West Ham e finché questa non sconfina nella stupidità è una fantastica rivalità fra due club di Londra". La Federcalcio inglese però ha annunciato l'apertura di un'indagine per accertare i fatti.
   In una nota ufficiale, il West Ham garantisce la massima collaborazione alle autorità inglesi nell'inchiesta sui "cori inadeguati e sul comportamento di un piccolo numero di tifosi" durante la partita contro il Tottenham. "Il West Ham United attuerà le misure più dure possibili contro i tifosi, tra cui il divieto a vita di ingresso alle partite, colpevoli di comportamenti categoricamente non tollerati dal club", si legge ancora nella nota. "Durante le 46 partite della scorsa stagione - ricordano il Hammers - il West Ham United non ha alcun arresto per razzismo o violenza. Nell'essere sorpresi di aver assistito a tali episodi, la società andrà ad esaminare qualsiasi prova disponibile per individuare i responsabili di tale condotta e intraprendere l'azione appropriata".

(la Repubblica, 26 novembre 2012)


Hamas: un problema solo rinviato

di Sharon Levi

Saranno le imminenti elezioni in Israele, sarà che di certo gli israeliani non vogliono per nessuno motivo occupare nuovamente la Striscia di Gaza, fatto sta che Netanyahu ha preferito non affondare il coltello nel burro ormai caldo di Hamas.
Propaganda islamica a parte (è davvero un insulto all'intelligenza umana gridare alla "vittoria" come fanno islamici e loro fan), Israele in pochi giorni ha praticamente azzerato gli arsenali missilistici dei gruppi islamici presenti a Gaza, da Hamas alla Jihad Islamica. Poteva essere il momento buono per finire il lavoro e sbarazzasi completamente di Hamas e compagnia bella. Invece a un certo punto Netanyahu ha dato l'OK alla tregua mediata dall'Egitto e fortemente voluta dagli USA e in particolare da Hillary Clinton.
Inutile dire che questa scelta non è affatto piaciuta alla popolazione del Sud di Israele che da anni subisce l'incessante pioggia di missili islamici. Sanno benissimo che passato un certo periodo i missili torneranno immancabilmente a cadere sulle loro teste e tutto tornerà come prima. E' nell'ordine delle cose che ciò accada. Ad Hamas e agli altri gruppi terroristi non interessa una pace con Israele. Si, PACE, perché sarebbe uno dei due modi definitivi per fermare questo stillicidio di missili. L'altro sarebbe la rioccupazione di Gaza.
Personalmente penso che Netanyahu si renda conto perfettamente di questa cosa e che abbia preferito per il momento concentrarsi su altre cose (Iran, Hezbollah, elezioni) cercando nel limite del possibile di rinviare il "problema Hamas", un problema che però dovrà essere affrontato, prima o poi, in maniera definitiva.
Resta il fatto che ormai Gaza è diventata l'altra avanguardia iraniana dopo il Sud del Libano, una specie di provincia di Teheran con la quale, volenti o nolenti, bisognerà fare i conti. E a dimostralo ci sono le notizie che l'Iran si sta affrettando a mandare nuovi missili ad Hamas e alla Jihad Islamica (non so più nemmeno se valga la pena distinguere i due gruppi).
Il problema di Hamas è stato solo rinviato. Tra poco ci si dovrà fare di nuovo i conti. Nel frattempo si lascino gioire gli stupidi e gli stolti e ci prepari meglio alla prossima guerra, perché se c'è una cosa certa è questa: ci sarà un'altra guerra con Hamas. E' solo questione di tempo.

(Rights Reporter, 26 novembre 2012)


"Storia della presenza ebraica nel reggino"

   
   Particolare del mosaico della sinagoga scoperta a
   Bova Marina
REGGIO CALABRIA - Nella serata di venerdì 23 novembre presso il Centro per l'Educazione Permanente UNLA di Arghillà si è tenuta la conferenza "Storia della presenza ebraica nel reggino" a cura del giovane professore Dott. Felice Delfino, proposto e presentato dal professore Antonio Sammarco.
  L'appuntamento è il secondo di una lunga serie di tornate culturali presso il centro educativo: le iniziative rispondono al progetto del centro "Radici: ricostruiamo insieme il mosaico della nostra cultura", un viaggio appassionato tra i meandri della cultura e della storia della nostra terra. Un percorso che pone attraverso un linguaggio semplice ed alla portata di tutti la cultura reggina e calabrese e la loro storia, troppo spesso dimenticata.
  Nel secondo appuntamento è stata trattata la tematica della presenza ebraica nella provincia reggina: oltre alle influenze che hanno avuto vari popoli nella nostra terra, importante è stata anche l'influenza del popolo ebraico a Reggio Calabria, comunità quella ebrea che ha accompagnato la storia della nostra città per circa 15 secoli. La ricostruzione temporale è stata resa possibile dai ritrovamenti di reperti archeologici e di documenti storici.
  Il popolo ebreo, da sempre molto orgoglioso e tradizionalista, si instaurava nelle antiche città creando quartieri isolati chiamati "Giudecche": elemento strutturale più importante in questo quartiere era la realizzazione della Sinagoga, loro luogo di culto; nella nostra città, però, la Sinagoga restò al di fuori della Giudecca per vari motivi, tra i quali, non ultimo quello dello spostamento e dell'ampliamento della città a seguito dei terremoti.
  Le minoranze ebree nella storia della loro presenza nella nostra provincia, scelta per una posizione logistica molto favorevole ai traffici nel Mediterraneo, sono state particolarmente importanti in 3 città: Regium (attuale Reggio Calabria), Leucopetra (attuale Lazzaro) e Delia (attuale Bova). La loro presenza favorì soprattutto lo sviluppo della ricchezza in questi territori: infatti la presenza degli ebrei rendeva florida l'economia, grazie alle capacità straordinarie di questo popolo in tale settore.
  Gli ebrei nel commercio utilizzavano la lingua greca; all'interno della Giudecca parlavano però normalmente l'ebraico. La lingua greca era la lingua più importante dell'epoca, e nelle nostre terre il greco era anche la lingua principale: quindi, sfruttando la capacità di comunicazione e le loro doti nelle attività di scambio, gli ebrei dettero vita ad una florida economia che li vide protagonisti nel commercio di numerosi prodotti, tra i quali soprattutto vino e seta (prodotti a Reggio e diffusi in tutto il bacino mediterraneo), nella medicina e nella stamperia. La disponibilità di un'ingente ricchezza consentì loro di poter dare il denaro in prestito, operazione non consentita ai Cristiani. Nella veste di usurai, perciò, divennero i finanziatori dell'economia dell'epoca; per questo motivo quindi gli ebrei. a seconda della Dinastia al potere, vennero perseguitati o protetti; ma dove furono protetti, non solo portarono benessere a se stessi ma anche al territorio che li ospitava.
  Il viaggio nei 15 secoli di storia, importante per la caratura e la ricercata precisione espressa, ha messo in luce l'importanza che la cultura ebraica ha avuto per la nostra terra: a tutt'oggi rimangono infatti numerose testimonianze di quel passato nella onomastica (cognomi quali Cuzzocrea, Cozzucoli) e nella toponomastica (Via Aschenez, Via Giudecca).
  La riscoperta del passato è fondamentale e la si può cogliere anche dalla frase della celebre psicanalista ottocentesca Melanie Kleine, la quale affermò: "Noi siamo ll nostro passato reinterpretato al presente per proiettarlo nel futuro".

(strill.it, 26 novembre 2012)


Il "nuovo" Egitto di Morsi? Peggio di quello di Mubarak

Dal Faraone al Terminator: la svolta autoritaria ha fatto crollare la Borsa del 10 per cento e il legame con Hamas getta benzina sul fuoco anti-Israele

di Gian Micalessin

Hosni Mubarak sarà anche stato un Faraone avido e spregiudicato, ma il Fratello Musulmano Mohammed Morsi insediatosi al suo posto con il plauso e il sostegno dell'Occidente minaccia di rivelarsi l'autentico Terminator d'Egitto.
Le sue mosse son lì a dimostrarlo. In una sola settimana l'ex uomo d'affari deciso a coniugare islam e potere ha regalato legittimità internazionale agli integralisti di Hamas e s'è trasformato in un autocrate fuori controllo. Le conseguenze della mossa con cui ha messo fuori gioco il procuratore generale Abdel Meguid Mahmoud ed ha garantito a se stesso i pieni poteri delegittimando l'intero potere giudiziario sono sotto gli occhi di tutti. Dopo la pausa del sacro venerdì islamico la Borsa egiziana è precipitata negli abissi. In poche ore i listini han perso il dieci per cento del loro valore e si son fermati solo quando i blocchi computerizzati hanno arresto il flusso di vendite al ribasso. Il duro colpo inferto alla già fragile stabilità finanziaria è solo il sintomo di guai ben più gravi.
Per risollevare il paese dal baratro Morsi ha urgente bisogno di 14 miliardi e mezzo di dollari da versare nelle dissestate casse dello stato. Per ottenerli corteggia da mesi le principali istituzioni politiche e finanziarie internazionali dall'Unione Europea al Fondo Monetario. Quest'ultimo - non più tardi di martedì - aveva proposto all'Egitto un prestito da 4, 8 miliardi di dollari. In cambio pretendeva l'impegno a realizzare profonde riforme del settore fiscale e delle politiche di spesa al fine di favorire gli investimenti stranieri e rilanciare la crescita economica. Il Morsi impegnatosi a realizzare quelle richieste è però lo stesso dimostratosi pronto - poche ore dopo - a far carta straccia di ogni regola istituzionale e a concentrare nelle proprie mani potere esecutivo e potere giudiziario.
Chi dunque sarà mai disposto a concedergli ulteriore credito? Non certo il Fondo Monetario internazionale. E speriamo neppure l'Unione Europea. Persino un Obama arrivato al punto d'ignorare i legami ideologici di Morsi con i fondamentalisti di Hamas pur di strappare una tregua sul fronte di Gaza incomincia a chiedersi se sia opportuno regalare un miliardo e mezzo di dollari statunitensi ad un presidente prossimo a trasformarsi in un nuovo dittatore. I guai economici sono poca cosa rispetto al disastro geopolitico innescato da un Egitto trasformatosi nel grande protettore del fondamentalismo palestinese. Il palese appoggio concesso ad Hamas dal nuovo regime minaccia di compromettere i già non facili rapporti con Israele e vanificare quell'accordo di pace che dal 1979 ha risparmiato alla regione conflitti e spargimenti di sangue ancor più gravi. La complicità politica ed ideologica con un organizzazione che ha imposto a Gaza la legge del kalashnikov e del Corano sfata definitivamente le convinzioni di chi s'illudeva che Morsi e i Fratelli Musulmani fossero in grado di coniugare islamismo e democrazia. Il sogno di piazza Tahrir è insomma già svanito. Ed un nuovo disastro è già dietro l'angolo. Ma da questo l'Egitto rischia di non risollevarsi più.

(il Giornale, 26 novembre 2012)


Gesto di "riconciliazione" di Hamas verso Fatah

GAZA, 25 nov. - Hamas, dopo le non semplici congratulazioni del presidente dell'Anp, Abu Mazen per, "la vittoria" su Israele, ha compiuto un gesto di riconciliazione verso i rivali di Fatah annunciando la liberazione di tutti i loro prigionieri detenuti nella Striscia di Gaza. Lo ha annunciato il portavoce del governatore della citta', Taher al-Nunu. Una commissione sara' istituita per analizzare i singoli casi dei 22 prigionieri di Fatah ancora a Gaza. Le tensioni tra le due formazioni erano iniziate con la vittoria a gennaio del 2006 di Hamas delle elezioni nell'enclave costiera - da cui gli israeliani si erano ritirati l'anno prima.

(Fonte: AGI, 25 novembre 2012)


Il vincitore ha sempre interesse a mostrare magnanimità verso lo sconfitto, per estendere la portata della sua vittoria. Con la politica del sorriso Hamas adesso probabilmente cercherà di fortificare la sua presenza nei territori dell’Autorità Palestinese facendo liberare i suoi uomini imprigionati da Abu Mazen.


Esecuzioni sommarie a Gaza

La decisione del capo dell'esecutivo Ismail Haniyeh

GAZA, 25 nov - L'esecuzione pubblica di sette palestinesi sospettati di collaborazionismo, avvenuta nelle strade di Gaza durante i combattimenti con Israele, ha destato riprovazione nella popolazione e ha innescato un confronto fra i dirigenti politici di Hamas. Per circoscrivere le polemiche, il capo dell'esecutivo di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, ha annunciato di aver istituito una commissione di inchiesta.

(ANSA, 25 novembre 2012)


Primarie del Likud. Computer in panne, ipotesi di boicottaggio

  
Al primo appuntamento politico importante in vista delle politiche del 22 gennaio 2013 e all'indomani del cessate il fuoco a Gaza, il Likud di Benyamin Netanyahu ha fatto flop. Le attese elezioni primarie - indette fra 123 mila iscritti al partito per stabilire la graduatoria dei candidati alla Knesset, da Netanyahu in giù - sono state ostacolate da una serie di intoppi che hanno destato forte irritazione fra i dirigenti del partito.
Computer imbizzarriti hanno respinto i votanti in attesa alle urne con la scritta "hai già votato"; in altri casi, gli iscritti sono stati spediti in sedi lontane, inopinate; in altri casi ancora il voto non è stato registrato. In serata solo il 30 per cento aveva votato e gli organizzatori hanno deciso di concedere altre due ore per la consultazione. E' possibile che le primarie proseguano nella giornata di domani. "Una farsa", ha amaramente sintetizzato il ministro dell'Istruzione Gideon Saar. Ma la società di computer Aman che ha gestito il voto ha replicato che una quantità tale di guasti "non può essere casuale". "Potrebbe anche essere che qualcuno abbia manomesso i programmi", ha aggiunto.
Col voto delle primarie, il Likud setaccia ai raggi X i propri dirigenti. I più popolari occuperanno i primi posti della lista elettorale - che in questa occasione sarà congiunta con quella di Israel Beitenu, il partito di destra radicale di Avigdor Lieberman - e avranno dunque migliori probabilità di essere scelti come ministri se (come pare) il Likud conseguirà una nuova vittoria. Al momento attuale il 'Likud-Beitenu' occupa il primo posto, con 37-40 seggi sui 120 della Knesset.
Al secondo posto si trova il partito laburista di Shelly Yehimovic, a cui i sondaggi prevedono una ventina di seggi. In passato le primarie sono servite agli analisti come strumento per verificare il 'profilo politico' del Likud, sulla base del successo o del fallimento di esponenti ritenuti emblematici. In questa occasione l'accordo pre-elettorale con Israel Beitenu ha di per sé spostato a destra il partito di Netanyahu. Adesso molti occhi sono puntati su un manipolo di deputati che interpretano l'anima "liberale" del Likud: Dan Meridor, Benny Begin, Reuven Rivlin, Micky Eitan e qualche altro, che si sono espressi in anni passati per la indipendenza del sistema giudiziario israeliano, anche quando la loro posizioni sembravano impopolari alla base del Likud.

(ANSA, 25 novembre 2012)


La guerra dei droni: come operano le sentinelle dei cieli

"Uav": aerei a pilotaggio remoto sono utilizzati prevalentemente per sorvegliare gli spazi aerei ma molti sono anche armati.

Video

(la Repubblica, 25 novembre 2012)


Edison: verso lo sbarco in Israele

Fase esplorativa: potra' acquistare il 20% con il ruolo operatore

ROMA, 25 nov - Edison potrebbe sbarcare in Israele come operatore di un blocco estrattivo, nel caso in cui le attivita' di esplorazione dovessero portare ad esiti positivi. La societa' israeliana Ratio Oil Exploration ha annunciato di aver siglato un accordo che permettera' ad Edison di acquistare il 20% della licenza sul blocco offshore Gal, con un'opzione per un'ulteriore quota del 20%, assumendo il ruolo di operatore.

(ANSA, 25 novembre 2012)


Ma la tregua non durerà molto

Quanto durerà la tregua fra l'Israeli Defence Forces e il terrorismo palestinese di stanza nella Striscia di Gaza? poco, molto poco. Il Sunday Times di oggi cita un alto ufficiale israeliano, il quale sostiene che l'Iran sta spedendo con una certa sollecitudine nuovo missili Fajr-5 verso la Striscia di Gaza. Le minacciose armi arrivano in Sudan circumnavigando la penisola araba; da qui, proseguono verso il deserto del Sinai, ancora fuori dal controllo delle autorità del Cairo, apparentemente incapaci di impedire che esse raggiungano i terroristi di Hamas e del Jihad Islamico.
La prova sarebbe fornita dalle immagini via satellite, che evidenziano come l'invio delle armi sarebbe iniziato in concomitanza con il cessate il fuoco unilaterale proclamato da Gerusalemme, e per il momento rispettato dai palestinesi, malgrado alcuni tentativi di incursione in territorio israeliano, prontamente sventati.
A questo punto le domande da porre sono due: destinate ai responsabili del dicastero degli Esteri di Sudan ed Egitto, riguardano le reali intenzioni di consentire questo transito di armi. Il Sudan appare sempre più coinvolto nel terrorismo islamico fomentato e finanziato dall'Iran, mentre l'Egitto si sarebbe impegnato ad assumere un ruolo di garante nell'area, promettendo - in cambio di un sostanzioso assegno - uno stretto controllo dei suoi confini. Buoni propositi che però già sembrano messi in discussione con la svolta autoritaria impressa da presidente Morsi.
Sullo sfondo, appare evidente il tentativo di Teheran di distogliere l'opinione pubblica internazionale, e l'attenzione dello stato ebraico, guadagnando tempo prezioso nella costruzione della prima bomba atomica degli ayatollah.

(Il Borghesino, 25 novembre 2012)


Partita una nave iraniana con missili per Hamas

Londra, 25 nov. - I satelliti-spia israeliani hanno localizzato una nave iraniana con un carico di missili che potrebbe essere diretto alla Striscia di Gaza: lo ha rivelato il Sunday Times, che cita fonti israeliane secondo cui la nave trasporterebbe missili Fajr 5 per rimpiazzare quelli distrutti dall'aviazione dello Stato ebraico durante l'offensiva Pilastro di difesa e quelli lanciati su Tel Aviv dai militanti di Hamas. Vi potrebbero essere anche missili Shahab-3 che, secondo il domenicale inglese, potrebbero essere dispiegati in Sudan per tenere sotto tiro Israele "da sud".
La rotta della nave sarebbe quella gia' seguita in passato per le forniture militari a Gaza: Mar Rosso, Sudan e poi Egitto, da dove arriverebbero via terra a Hamas. "Sospettiamo che navi da guerra iraniane all'ancora in Eritrea scorteranno le armi appena la nave entrera' nel Mar Rosso". Il carico sarebbe stato preparato appena si e' avuta notizia del cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, ma la fonte israeliana ha avvertito che l'esercito dello Stato ebraico distruggera' le armi appena riuscira' a localizzarle. Uno dei dirigenti di Hamas a Gaza, Mahmud al-Zahar, ha confermato che il movimento islamico non rinuncera' ad armarsi, nonostante il cessate il fuoco con Israele: "Non abbiamo altra scelta che continuare ad introdurre armi con tutti i mezzi possibili, abbiamo il diritto di ricevere finanziamenti ed armi dall'Iran che ci aiuta per ragioni puramente religiose, senza secondi fini".

(AGI, 25 novembre 2012)


La mia Lazio del cuore ha i colori di Israele

di Danco Singer

ROMA - Sono diventato laziale in prima elementare, nei primi anni Cinquanta. Era stato mio padre a spingermi per la Lazio anziché per la Roma. Mi portò allo stadio, era un derby: segnò Bredesen, se non ricordo male. Perché la Lazio me lo spiegò anni dopo. Era stato anche lui, da giovane, tifoso di una squadra di calcio nella ex Iugoslavia prima della Seconda guerra mondiale. Poi, scampato alle persecuzioni naziste e fasciste, era arrivato a Roma. C' era una squadra, mi disse, che aveva un giocatore ebreo, Di Veroli, e aveva i colori biancazzurri come lo Stato d'Israele: era la Lazio. E il mio tifo nel corso degli anni non è mai venuto meno. E quando mi dicevano che "i tifosi laziali sono tutti di destra e fascisti", rispondevo con un elenco di tifosi di provata fede democratica, se non addirittura comunista, e con la presenza nelle altre squadre di ultras di estrema destra. Ma ora questo gioco non regge più. Ora mi vergogno di essere laziale e ne soffro moltissimo. Ho conosciuto qualche anno fa il presidente Lotito e lo stimo perché non ha ceduto ai tifosi che lo ricattavano e ha resistito alle mire di cordate malavitose. Ma ora serve una svolta contro nazisti, fascisti, estremisti di ogni genere. Lotito proponga un gemellaggio tra la tifoseria della Lazio e quella del Tottenham e organizzi una partita all'Olimpico tra la Lazio e la nazionale israeliana: saremo in tanti a venire a vederla. Tutti con le bandiere bianco azzurre: alcune con la stella di Davide e altre senza.

(la Repubblica, 25 novembre 2012)


Da Israele arriva il jazz dei Third World Love

  
   
«Musica intellettuale da party». Migliore definizione non potrebbe esserci per raccontare l'etno-jazz ritmato e contagioso prodotto dall'ensemble Third World Love, forse il più significativo gruppo musicale sulla scena israeliana, oggi fra le più vive, stimolanti e creative del mondo, dal vivo alle 11 di questa mattina al Teatro Manzoni (ingresso 12/8 euro), nell'ambito dell'edizione numero 28 di «Aperitivo in Concerto». Il gruppo è un collettivo aperto che ruota attorno a quattro strumentisti fra i più acclamati a livello internazionale: il contrabbassista Omer Avital, il pianista Yonatan Avishai, il batterista Daniel Freedman e il trombettista Avishai Cohen (quest'ultimo omonimo del contrabbassista che si presentò a Milano nel 2011 in trio). Il quartetto di arditi improvvisatori non solo si esibisce per la prima volta nel nostro Paese, ma in prima assoluta anche in una formazione allargata, arricchita per l'occasione dal sassofonista Greg Tardy, il tastierista Jason Lindner e dal chitarrista Nadav Remez, nuova stella del firmamento musicale israeliano, realtà indagata a più riprese negli ultimi anni da «Aperitivo in Concerto», promotore di un cartellone internazionale e che ha il merito di proporre «pietanze musicali» assolutamente inusuali. Come il caleidoscopio di musica, linguaggi e colori del combo di Tel Aviv che non ha certo paura di mettere assieme improvvisazione, influenze mediorientali, tradizioni ebraiche fuse con mondi musicali affini e diversi quali quelli marocchini e yemeniti, jazz e, pure, un pizzico di rock. Insomma, i Third World Love, usciti da poco col quinto album «Songs and Portraits», sono la prova che il jazz non è una musica off limits ai giovani. Domenica prossima, sarà in scena il trombettista statunitense Steven Bernstein.

(il Giornale, 25 novembre 2012)


Likud alle urne per le primarie

Attesa per il ritorno di Livni alla politica attiva

TEL AVIV, 25 nov - Centoventitre' mila membri del Likud si recano oggi alle urne per le elezioni primarie in vista delle politiche del gennaio 2013 in cui il partito di Benyamin Netanyahu si presentera' con quello di destra radicale Israel Beitenu, del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Nel frattempo cresce l'attesa per il ritorno alla politica attiva di Tzipi Livni, ex dirigente di Kadima e ora, secondo la stampa, impegnata ad organizzare una nuova lista centrista con cui presentarsi alle politiche.

(ANSA, 25 novembre 2012)


Gaza - Il numero due di Hamas rifiuta l'interruzione degli armamenti

CAIRO, 24 nov. - Il numero due di Hamas Moussa Abu Marzouk ha dichiarato all'Associated Press che il gruppo militante islamico non smetterà di costruire armi nella Striscia di Gaza e di contrabbandarle dall'esterno. Moussa Abu Marzouk ha sottolineato i grandi ostacoli per una mediazione tra Israele e gli islamici su un nuovo accordo sul confine. Un funzionario della sicurezza israeliana ha detto che lo stato ebraico potrebbe pensare a un significativo allentamento del blocco delle frontiere di Gaza se Hamas smetterà di armarsi. Israele e Hamas, dal 14 novembre, si sono scontrati più volte sulla linea di confine. Colloqui ulteriori tra Israele e Hamas sono previsti per lunedì.

(LaPresse, 25 novembre 2012)


Scritte anti Israele sui muri della sinagoga di Genova

di Alberto Maria Vedova

GENOVA - Scritte anti Israele sono state trovate stamani sui muri esterni della sinagoga ebraica di Genova, nel centro cittadino. Sul posto, dopo la segnalazione di un passante, sono intervenuti i carabinieri e la Digos.
Le scritte «Palestina Libera» e «Israele Stato Nazista» sono state fotografate e repertate da personale della sezione Rilievi dell'Arma. Accertamenti sono in corso per riuscire a risalire agli autori.
Sembrerebbe che alcuni abitanti della zona abbiano visto ieri, nel tardo pomeriggio, un furgone bianco avvicinarsi e fermarsi vicino alla sinagoga. Quattro giovani poi, sarebbero scesi per stendere degli striscioni.
Altre scritte anche nei pressi della sede della chiesa Valdese, che rimane a poca distanza dalla sinagoga.

La comunità ebraica di Genova

(Il Secolo XIX, 24 novembre 2012)


Hamas ammette: i missili Fajr-5 sono stati forniti dall’Iran

GAZA, 24 nov. - Il movimento palestinese Hamas ha ammesso per la prima volta che i missili di lunga gittata Fajr-5, utilizzati durante gli ultimi scontri con Israele, sono stati forniti dagli iraniani. Lo scrive il quotidiano panarabo 'al-Sharq al-Awsat', riportando le dichiarazioni di Mahmoud al-Zahar, numero due del movimento islamico palestinese. Al-Zahar ha dichiarato dopo una parata "trionfale" a Gaza dell'ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, che "alcuni razzi erano di fabbricazione iraniana, ma lanciati da mani palestinesi".

(Adnkronos, 24 novembre 2012)


L'ombra di Teheran protegge Hamas

di Lorenzo Bianchi

L'IRAN ha rivendicato in tutte le salse il suo sostegno militare e finanziario ad Hamas e alla Jihad islamica. Ieri il presidente del Parlamento di Teheran Ali Larijani e Bashar al-Assad, il capo dello stato siriano, hanno ribadito pubblicamente la loro soddisfazione per il «fallimento» dell'offensiva di Israele contro la Striscia di Gaza e hanno annunciato che continueranno ad appoggiare «la resistenza palestinese».
Il tripudio degli ayatollah riporta all'origine dell'operazione «Colonna di nuvole», l'assassinio «mirato» di Ahmed Jabari, il comandante delle Brigate Ezzeddin al-Qassam, l'esercito di Hamas, il movimento islamico che governa la striscia di Gaza dopo avere sconfitto con le armi in pugno nel 2007 i rivali palestinesi di al-Fatah.
Fonti di intelligence israeliane raccontano un retroscena significativo. Tre mesi fa una delegazione guidata da Mahmoud al-Zahar, l'ex ministro degli Esteri dell'organizzazione che governa ora Gaza, e da Marwan Issa è andata a Teheran e a Beirut e ha «firmato» patti di mutua assistenza e difesa con gli ayatollah e con gli Hezbollah libanesi. La molla potrebbe essere stata il fatto che la protezione siriana (il capo politico di Hamas, Khaled Meshaal, ha abitato per anni a Damasco) si stava liquefacendo nel tragico e sanguinoso vortice della guerra civile.
Hamas aveva bisogno di un nuovo protettore. Teheran non chiedeva di meglio. Subito dopo è cominciata un'escalation delle aggressioni a Israele. L'8 novembre con un telecomando è stato fatto saltare un tunnel profondo 4 metri imbottito di esplosivo lungo la linea di confine. La potenza della deflagrazione era sufficiente a distruggere i veicoli militari di Gerusalemme schierati nelle vicinanze. Per un puro caso erano vuoti e non ci sono state vittime.
Due giorni dopo un missile anticarro teleguidato sparato da Sejaya ha colpito una jeep blindata della Brigata Givati vicino al valico commerciale di Karni ferendo quattro militari, tre dei quali piuttosto gravemente. In quella stessa giornata 16 missili sono stati lanciati contro il sud di Israele. Yaacov Amidror, il consigliere della pubblica sicurezza del premier israeliano Benjamin Netanyahu, è stato inviato a Washington a ragguagliare Tom Donilon, il suo pari grado alla Casa Bianca, sulle scoperte degli 007. Quattro giorni dopo un missile sparato da un jet israeliano ha centrato l'auto di Ahmed Jabari, nel centro di Gaza. L'operazione è cominciata così.

(Quotidiano.net, 24 novembre 2012)


I riservisti di Tsahal rientrano finalmente a casa

Grazie a loro e Shabbat shalom a tutti.



(Tsahal IDF, 23 novembre 2012


Museo della Shoah a Roma, mutuo da 21 milioni

Un mutuo da 21 milioni di euro finanzierà la realizzazione del Museo della Shoah di Roma. La Giunta capitolina approva la variazione di bilancio

ROMA, 23 nov. Il progetto per la realizzazione di un museo della Shoah a Roma è più vicino. Oggi la Giunta capitolina ha approvato la variazione di bilancio per finanziare la realizzazione dell'opera con un mutuo da 21 milioni e 720mila euro.
"Abbiamo deciso di accelerare questa decisione su cui c'eravamo già impegnati nel consiglio di amministrazione della Fondazione del Museo della Shoah - ha dichiarato il sindaco Alemanno - per dare una risposta immediata ai troppi segnali di antisemitismo che si sono verificati recentemente nella nostra città".
"Oltre a questo stanziamento - ha aggiunto il sindaco di Roma - è necessario che, come auspicato dal presidente Monti e promesso dal ministro Grilli, il governo e il parlamento inseriscano nella legge di stabilità, attualmente in discussione al Senato, una corrispondere deroga al Patto di Stabilità. Siamo fiduciosi di poter far partire la gara di appalto all'inizio del prossimo anno".

(Il Ghirlandaio, 23 novembre 2012)


Svastiche al cimitero ebraico di Vercelli

Due svastiche, realizzate con vernice spray di colore blu, sono comparse nella notte sul muro di cinta del cimitero ebraico di Vercelli. "Un gesto sconsiderato", afferma la presidente della Comunità ebraica di Vercelli, Rossella Bottini Treves. "Spero che resti isolato - aggiunge - e che nessuno lo imiti". Il cimitero ebraico di Vercelli è uno dei più antichi d'Italia. Le svastiche sono state realizzate vicino all'ingresso di corso Randaccio, sul muro di cinta che era stato da poco imbiancato. "Quel muro non veniva rifatto da quasi vent'anni", aggiunge Rossella Bottini Treves.
Da una prima ricognizione del cimitero, le tombe non risultano danneggiate."E' un gesto terribile, inqualificabile". Con queste parole il sindaco di Vercelli, Andrea Corsaro, commenta l'episodio. Le due croci uncinate, di colore blu e di circa un metro di altezza ciascuna, sono state disegnate nella notte scorsa utilizzando una bomboletta spray.
"Non possiamo che esprimere un sentimento di condanna per quanto accaduto - continua il primo cittadino - anche perché la città è sempre stata molto attenta e vicina alla comunità ebraica locale. Sono gesti che fanno male, da censurare in ogni loro forma". Le forze dell'ordine si sono già attivate alla ricerca degli autori. Potrebbero essere fondamentali le registrazioni delle telecamere di sicurezza poste nei pressi del cimitero. Quello di Vercelli è uno dei cimiteri ebraici più antichi d'Italia: i responsabili del gesto, secondo una prima ricostruzione, non sono entrati all'interno del camposanto, che non presenta alcun segno di infrazione.
Per il sindaco di Torino Piero Fassino, le svastiche tracciate sul muro del cimitero ebraico di Vercelli sono "un gesto terribile che denuncia solo la violenza e la stupidità di chi lo ha compiuto" e che "offende la memoria di persone scomparse oltre che la loro storia".
"Sono azioni - sottolinea Fassino - che rispondono a una volontà di ignorare la verità e la storia e che tutti dobbiamo combattere con i mezzi del dialogo, della diffusione di conoscenza".
"Mi auguro che i responsabili - aggiunge - vengano individuati al più presto"

(la Repubblica, 24 novembre 2012)


Milano - Corso Venezia imbrattato di scritte dopo il corteo pro Palestina

Slogan tracciati sull'asfalto e sui muri dei palazzi storici

   
MILANO - Cittadini indignati, venerdì mattina, per le decine di scritte tracciate con vernice rossa e bianca su palazzi, anche storici, di corso Venezia. Nessun ritegno da parte dei manifestanti pro Palestina, che in pochi minuti sono riusciti a coprire di scritte sia l'asfalto sia le pareti dei palazzi del corso, senza risparmiare quelli d'epoca. Il presidio, con presenza massiccia di forze dell'ordine, era stato organizzato giovedì sera in solidarietà con la popolazione palestinese, dopo i bombardamenti sulla striscia di Gaza. Circa trecento persone hanno sfilato da piazza San Babila a Porta Venezia, urlando slogan pro-Palestina e lanciando fumogeni. A un certo punto è stata bruciata una bandiera d'Israele. Il corteo si è sciolto in piazza Oberdan senza incidenti, ma il giorno dopo, e per molti giorni a venire, corso Venezia presenta un desolante spettacolo.

(Corriere della Sera, 23 novembre 2012)


Di questo tipo sono i nemici d'Israele. Forse qualcuno comincerà a capire che continuare a coccolarli può portare qualche inconveniente anche a se stessi, e non solo a Israele.


Startup Genome: Tel Aviv miglior ecosistema dopo la Silicon Valley

Nello studio la città israeliana descritta come la seconda area più ricca al mondo di venture capitalist e sviluppatori di software. Anche Google e Facebook hanno aperto uffici in città

di Luciana Maci

È Tel Aviv il miglior ecosistema per le start up nel mondo dopo la Silicon Valley. Ad attribuire la medaglia d'argento alla città israeliana è un recente studio di Startup Genome, che comunque conferma il predominio, dal terzo al sesto posto in classifica, dei grandi centri nordamericani.
La ricerca ha preso in esame otto elementi per valutare la performance di ciascuna città, tra cui per esempio, l'andamento economico delle imprese locali e l'accesso ai finanziamenti.
Tel Aviv si è conquistata il secondo posto, dopo la scontatissima medaglia d'oro per la Valley californiana, perché, hanno spiegato i ricercatori, è ricca di sviluppatori di software e venture capitalists. Inoltre diversi grandi gruppi, tra cui Google, hanno aperto uffici in città, e anche Facebook è presente nell'area dopo aver acquistato Face.com, azienda tecnologica per il riconoscimento facciale.
Tuttavia, rileva Startup Genome, Tel Aviv è uno di quei centri che ha attinto di meno alle risorse umane e intellettuali della Silicon Valley. Solo il 13% di fondatori di start up israeliane ha vissuto occasionalmente in California settentrionale, mentre per esempio a Londra o Parigi la percentuale è di uno ogni quattro neo-imprenditori. Infine lo studio sottolinea che i capitani d'azienda di Israele tendono a rischiare meno di altri loro colleghi residenti in Paesi diversi.
Nella classifica le prime file sono tutte appannaggio degli statunitensi: Los Angeles, Seattle, New York e Boston. Seguono Toronto, Vancouver, Chicago, Parigi, Sidney, Sao Paulo, Mosca, Berlino, Waterloo, Singapore e Melbourne. Agli ultimi due posti Bangalore (India) e Santiago del Cile. Nessuna città italiana compare in questo elenco delle top 20.

(Corriere Comunicazioni.it, 23 novembre 2012)


Security Fair. L'Ambasciatore di Israele Naor Gilon visita la Fiera di Vicenza.

di Paola Farina

       
  Da sinistra. Il prefetto Fallica, il presidente Ditri, l'ambasciatore Gilon
Impegni e momento politico difficili non hanno impedito a Naor Gilon di mantenere la promessa esternata al Presidente di Fiera di Vicenza, Ing. Robert Ditri. E' giunto puntuale alle ore 11:10 in via dell'Oreficeria, a significare che la stima che l'Ambasciatore nutre nei confronti del Presidente Ditri andava rispettata, nonostante lo attendesse un altro impegno a 400 km da Vicenza.
L'evento è stato volutamente gestito con discrezione, mantenendo un profilo di notorietà molto basso, nonostante questa sia stata prima visita ufficiale dell'Ambasciatore. Molte le personalità: il prefetto Melchiorre Fallica, il Questore Angelo Sanna, Giuseppe Zigliotto Presidente Confindustria Vicenza, Stefano Dolcetta vice presidente Confindustria nazionale per le Relazioni Industriali, Monsignor Marangoni direttore Archivi Ecclesiastici della Diocesi di Vicenza e in rappresentanza del Sindaco Achille Variati l'assessore Dalla Pozza.
Il Presidente Ditri ha dato il benvenuto a S.E. l'Ambasciatore Naor Gilon e l'ha ringraziato di cuore per la sua presenza. "La settimana scorsa a Tel Aviv ho partecipato a HLS (Home Land Securety 2012) ed ho visto cose veramente all'avanguardia per la sicurezza di stati, città e persone: Fiera di Vicenza desidera Israele come Country Partner nel campo della Sicurezza a tutto tondo".
Roberto Ditri ha conosciuto S.E. L'Ambasciatore Naor Gilon a maggio e subito si sono instaurati rapporti di reciprocità e stima, con l'auspicio che gli stessi valori siano trasferiti anche nel mondo del lavoro, dare vigore ad un mondo economico dormiente, dovrebbe essere la finalità primaria di ogni imprenditore.
L'Ambasciatore, riconfermando che l'obiettivo predominante di questa breve visita è stato l'Ing. Ditri e di conseguenza fiera di Vicenza, si è detto dispiaciuto per non aver avuto abbastanza tempo da dedicare a Vicenza, ma si ripropone una nuova visita con finalità economiche e d'interscambio, riservando magari anche un piccolo spazio alla cultura.
In effetti, io sono fermamente convinta che raffinare lo spirito e l'occhio, giova anche ai rapporti commerciali ed istituzionali!

(Notizie su Israele, 23 novembre 2012)


La Spagna agli eredi degli ebrei sefarditi: "Vi daremo subito la cittadinanza"

Costretti all'esilio dai re cattolici, oggi ricevono un riconoscimento da parte del governo di Madrid.
"Molti dei loro discendenti vogliono soltanto morire spagnoli"


di Gian Antonio OrighI

MADRID - Meglio tardi che mai. 520 anni dopo, il governo popolare (centro-destra a maggioranza cattolica) del premier Mariano Rajoy concederà la nazionalità spagnola ai discendenti degli ebrei sefarditi (in ebraico, Sefarad significa Spagna), vergognosamente cacciati nel 1492 dai re cattolici con un pògrom che viene considerato il primo Olocausto della storia del popolo di Israele. Quanti sono? Secondo il quotidiano Abc, sui 3 milioni, sparsi dagli Usa alla Turchia.
La riparazione è stata annunciata ieri, nel centro Sefarad-Israel di Madrid, dai ministri della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardón, e degli Esteri, José Manuel García-Margallo, alla presenza di Isaac Querub, presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche di Spagna. Finora, i discendenti degli ebrei cacciati da Isabella La Cattolica e Fernando d'Aragona ( ben 150 mila ) potevano acquisire la nazionalità spagnola dopo 2 anni di residenza nel Paese. Adesso, con una riforma del codice civile del 1982, basterà accreditare la condizione di sefardita con un certificato rilasciato dalla Federazione delle Comunità Ebraiche. Poi, basterà giurare fedeltà alla Costituzione post-franchista del '78 e al re di Spagna.
"Mesi fa un anziano sefardita di Serajevo ci contattò per cercare di diventare spagnolo. Non voleva venire in Spagna, solo morire come spagnolo - ha ricordato Querub -. È solo un esempio del sentimento che si mantiene vivo tra la comunità sefardita in diversi Paesi del mondo". García-Margallo, dal canto suo ha precisato: "Uno degli obbiettivi di questa decisione è quella di recuperare la memoria della Spagna, ridotta al silenzio durante troppo tempo, e concludere il cammino degli spagnoli che hanno nostalgia di Sefarad e vivono nella diaspora".

(La Stampa, 23 novembre 2012)


Le truppe israeliane lasciano la linea dal fronte

Parziale smobilitazione dopo il cessate il fuoco

Le truppe israeliane smobilitano, almeno parzialmente, la linea del fronte con la Striscia di Gaza dopo l'entrata in vigore della tregua con Hamas. Un ritiro che preoccupa gli israeliani che vivono sul confine ma che molti osservatori ritengono solo provvisorio.

Video

(TMNews, 23 novembre 2012)


Se a Gaza gioia e morte sono solo propaganda

I giorni dei cadaveri esibiti sono già svaniti: ora serve una felicità da stadio

di Gian Micalessin

La terra delle tombe è ancora fresca. Negli ospedali le ferite non hanno smesso di sanguinare. E in 160 case il lutto è appena iniziato. Eppure il dolore, quello da raccontare ai giornalisti, esibire davanti alle telecamere, sintetizzare in un cinguettio di twitter è già svanito. Al suo posto sono arrivati lo strombazzare dei clacson, il riecheggiare dei kalashnikov scaricati in aria, le urla e gli slogan gettati al vento dai cortei di auto e pedoni incolonnati tra l'asfalto e il cemento dell'Omar Mukhtar, arteria e cuore pulsante di Gaza. C'è poco da sorprendersi. Dietro un tale repentino sconvolgimento umorale c'è poco di umano. A Gaza i cuori hanno smesso di battere da tempo. E chi si permette il lusso di far funzionare la mente lo fa solo nel silenzio della propria casa. Tutto il resto è teatro, rappresentazione, apparenza. Un teatro mosso ad arte dalla macchina della propaganda di Hamas. In questo meccanismo i 160 morti, il carico di feriti e mutilati, il dolore dei sopravvissuti non hanno più valore reale. Sono semplicemente il combustibile da usare per alimentare la rappresentazione ed adattarla alle esigenze.
Fino ad un attimo prima della tregua servivano corpi straziati, feriti insanguinati e fiumi di lacrime. Quella tragedia era una rappresentazione univoca e uniforme. Nella sua sceneggiatura non c'era spazio per nessuno capace di alzare la mano e ipotizzare che forse anche i missili lanciati su Israele avevano contribuito ad innescare quei fiumi di sofferenza. Dal minuto successivo alla firma della tregua la macchina della propaganda continua a funzionare al massimo regime, ma in senso inverso. Stop alle lacrime e alla disperazione. Al loro posto felicità da stadio, entusiasmo e tifo degni di una vittoria in finale di Coppa del mondo. Certo la mano allungata ai capi di Hamas dal presidente egiziano Morsi - «fratello musulmano» come loro - ha sicuramente regalato al movimento fondamentalista un riconoscimento politico internazionale senza precedenti. Ma in una società libera una semi-vittoria politica non basta a rassettare le pieghe del lutto. Tanto meno a cancellarle in 24 ore. Tre anni fa non era così neppure a Gaza. Nel 2009 dopo l'operazione israeliana «Piombo fuso» Hamas non riuscì a mantenere il consenso, non riuscì a vendere ai propri sudditi l'ebbrezza della vittoria. Oggi invece la macchina della propaganda appare perfettamente rodata, capace di funzionare a pieno regime. E non è solo questione di numeri. I «solo» 160 morti contro gli oltre mille del 2009 non spiegano da soli la capacità di smuovere gli umori e i sentimenti di una popolazione. Dietro c'è piuttosto la spregiudicatezza di un movimento capace di combattere usando i missili forniti da Teheran e di trattare usando la diplomazia egiziana. La freddezza di gruppo capace di sfruttare al meglio l'aiuto di una nazione sciita e di una sunnita pronte in altri casi, come la Siria insegna, a farsi la guerra.
Dietro le lacrime e le gioie di Gaza pulsa insomma il rodato cinismo di una dirigenza che ha trasformato i propri territori in un teatro a cielo aperto. Sul suo palcoscenico guerra e pace, vita e morte non hanno più alcun significato. In quella tragica arena i palestinesi di Gaza sono solo comparse da muovere ed esibire secondo le esigenze e gli obbiettivi del momento.

(il Giornale, 23 novembre 2012)


Il processo di distruzione

di Marcello Cicchese

C'era una volta il processo di pace. Scalino dopo scalino si cercava faticosamente di salire verso la meta agognata: due stati che vivono l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza. Adesso la scala non c'è più. O meglio, non c'è mai stata, ma se ne parlava. Forse adesso non se ne parlerà più, perché è da folli continuare a discutere di ciò che non esiste. Nell'operazione Piombo Fuso Hamas era ancora visto come il fastidioso ostacolo che impedisce ad Abu Mazen di presentarsi al mondo come il legittimo rappresentante di un popolo che aspira alla pace con Israele. Autorità Palestinese ed Egitto presero allora le distanze da Hamas e lasciarono che Israele facesse il suo lavoro.
Adesso le cose sono cambiate. Adesso è Hamas che tiene il pallino del gioco, e Abu Mazen è costretto ad inseguirlo e deve dichiarargli la sua solidarietà. Il "popolo palestinese" si avvia dunque ad una nuova unità interna nel nome di Hamas. Ma Hamas ha sempre dichiarato e continua a dichiarare che il suo obiettivo è la distruzione di Israele. Dunque, se adesso le Nazioni Unite riconosceranno l'esistenza di uno stato palestinese, vorrà dire che accettano l'esistenza di uno stato che si propone la distruzione di un altro stato.
Questo però non avverrà subito: per ogni cosa ci vuole il suo tempo. Ci si dovrà arrivare per gradi. Al centro dell'interesse non c'è più l'avanzamento del processo di pace, ma il rallentamento del processo di distruzione. L'intervento delle nazioni buone, prima fra tutti quegli Stati Uniti di cui oggi anche i più accaniti antiamericani di un tempo lodano la saggezza, consisterà nel contrastare la fretta delle nazioni cattive che vorrebbero tutto e subito, e nell'adoperarsi per un assennato rallentamento del processo di distruzione. Che dovrà andare avanti, ma con giudizio. I razzi arrivati a Gaza sono indubbiamente più potenti di quelli di una volta, ma non bastano, come si è visto. Anche l'Iran non può fare miracoli, bisogna capirlo.
Ci sarebbe stato un altro modo per impedire l'invasione di Gaza da parte di Israele. Avrebbe potuto farlo l'Egitto, naturalmente con il sostegno diretto ed indiretto degli Stati Uniti. Sarebbe stata certamente un'invasione ben poco cruenta. L'ostacolo dell'illegittima dittatura di Hamas che impedisce l'unità del popolo arabo-palestinese sarebbe stato rimosso, e dopo la regolare elezione di un governo che avesse fin dall'inizio dichiarato di accettare l'esistenza dello stato ebraico sarebbe potuto nascere uno stato palestinese "che vive accanto allo stato ebraico in pace e sicurezza". Ipotesi fantasiosa? Certo, ma non più di quella rappresentata per anni dal processo di pace.
La nazione buona e la nazione cattiva si sono dunque accordate e hanno trovato una soluzione che non solo salva Hamas, ma addirittura lo legittima in modo irreversibile davanti al mondo. Perché? Perché la Gaza di Hamas ha un carattere altamente rappresentativo che la Cisgiordania di Abu Mazen non può avere. Gaza è un territorio "santo", perché è stato totalmente purificato da ogni presenza di ebrei. "Judenrein", dicevano i nazisti in tedesco, e qualcuno dovrebbe dirci qual è oggi la corrispondente espressione in arabo.
Hamas dunque deve continuare a vivere a Gaza perché dichiara apertamente ed esprime in modo plastico qual è l'obiettivo a cui tende il processo di distruzione in atto. E perché rappresenta lo svago di coloro che seguono compiaciuti lo svolgersi di questo processo e ne aspettano la conclusione.

(Notizie su Israele, 23 novembre 2012)


Nazioni buone e nazioni cattive


Cerimonia per chi salvò quasi 300 ebrei dalla furia nazista

di Fabio Zizzo

APRICA (SO) - Mercoledì scorso 21 novembre il Comune di Aprica ha reso tributo a chi aiutò e salvò dalla furia nazista 70 anni fa oltre 230 internati civili. In grande maggioranza ebrei, questi confinati furono ospiti nella località valtellinese in abitazioni di privati, a partire dalla fine del 1941 e fino al 10 settembre 1943. L'omaggio istituzionale è stato voluto per ricordare quanti, persone con responsabilità militari e religiose o semplici cittadini, li ospitarono nelle loro case e poi li aiutarono a fuggire oltreconfine, subito dopo l'armistizio dell'8 settembre.
Insieme a numerosi cittadini, molte le autorità civili, militari e religiose che erano presenti alla cerimonia in piazza dei Caduti per la posa, sul lato nord del triangolo basale del monumento, di una targa metallica preparata dagli organizzatori dell'evento, il vice sindaco Aprica Bruno Corvi e il presidente tiranese dell'Associazione Carabinieri in congedo Vanni Farinelli. Ecco il testo: "L'Amministrazione Comunale intende onorare gli Aprichesi ed i militari che nell'ultimo conflitto mondiale si prodigarono per la salvezza dei confinati ebrei all'Aprica, mettendo a repentaglio la propria vita.
Il Brigadiere Bruno Pilat, Comandante della locale stazione Carabinieri, con i suoi uomini: il Vice Brigadiere Massimo Apollonio, il Carabiniere Gaston Giustetto, il Carabiniere Angelo Balsamo, il Carabiniere Giuseppe Pina aiutarono i deportati ebrei dopo l'8 settembre 1943, avvalendosi della collaborazione di Don Giuseppe Carozzi, sostenuto dal Capitano Leonardo Marinelli della G.d.F. di Tirano, dal Finanziere Claudio Sacchelli e da Don Cirillo Vitalini e ne salvarono circa 300. Aprica, 21 novembre 2012?. Introdotte da Edoardo Cioccarelli, hanno preso la parola le maggiori autorità. Il sindaco Carla Cioccarelli ha detto: "Gli Aprichesi possono essere orgogliosi di questa parte della loro storia, che c'insegna la solidarietà con cui i nostri padri hanno accolto quelli che loro chiamavano Zagàbri e li hanno aiutati, facendoli sentire parte della comunità.
Gli uomini che oggi ricordiamo e molte persone di Aprica non hanno esitato a mettere a repentaglio la propria vita per salvare quei 230 ebrei che, attraverso gli Zapéi d'Abrìga, sono stati portati, attraverso il Passo di Lughina e il Col d'Anzana, fino in Svizzera". Tra questi traghettatori c'era anche il cav. Attilio Bozzi, classe 1921, presente alla cerimonia, non lontano da altre persone che ben ricordano quegli eventi per aver ospitato famiglie ebree. Tra queste persone anche Adele e Domenico Negri. Al termine del suo intervento, il sindaco ha letto il messaggio di Alan Poletti, l'autore della ricerca riportata nel suo libro "Una seconda vita" edito in inglese e ora in italiano, che ha permesso di far meglio luce su quelle tragiche vicende.
    "Carissima Carla, è per me un grande piacere che il modo straordinario in cui è stata salvata la vita di 200 ebrei stranieri nell'autunno del 1943 stia ora per essere commemorato. Non dobbiamo dimenticare che essi stessi sapevano che dovevano fuggire in Svizzera dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. È stata una loro grande fortuna quella di essere in grado di chiedere per tempo l'aiuto di don Giuseppe Carozzi. Naturalmente, come sappiamo, solo lui era in grado di arruolare Bruno Pilat, Leonardo Marinelli e don Cirillo Vitalini in questa impresa. Ma ci sono stati molti altri di Aprica, Villa di Tirano, Bianzone e Tirano, i cui nomi non conosciamo, che hanno guidato gli internati, prima alla valle dell'Adda e poi attraverso le montagne, al confine nei successivi giorni e settimane. È stata una mia grande fortuna quella di salvare questa storia dall'oblio e renderla disponibile per tutti. Un popolo che dimentica la propria storia perde la sua anima. È una storia di cui si può essere tutti orgogliosi. Con i miei più cordiali saluti, Alan Poletti".
Salvatore Angieri, viceprefetto di Sondrio, ha detto che "quelli ricordati oggi sono fatti che ci riempiono d'orgoglio. È bene lasciare alle nuove generazioni il ricordo di chi non solo ha salvato gli Ebrei, ma ha anche gettato le basi del nuovo Stato". Dal canto suo, Pierluigi Gabrielli, colonnello comandante provinciale dei Carabinieri di Sondrio, ha sostenuto: "Valore civile più che militare dimostrarono coloro che, con più o meno responsabilità sulle spalle, agirono in quei frangenti, specialmente se si pensa alle difficoltà quotidiane della gente di montagna 70 anni fa in tempo di guerra.
La vita non era facile come oggi. I nostri figli non sono abituati a sacrifici e fatiche paragonabili a quelli di allora, difficoltà che rendevano tutti più uniti". Dopo l'onore ai Caduti, esclamato dal nuovo comandante della stazione dei Carabinieri di Aprica Maurizio Magnani, che ha fatto scattare sull'attenti due rappresentanti dell'Arma in alta uniforme, Vanni Farinelli ha narrato per sommi capi la vicenda del salvataggio degli internati davanti alla nuova targa benedetta dal parroco don Augusto Azzalini e scoperta, a tre mani, da Bianca Pilat, figlia del brigadiere medaglia d'argento al valor civile Bruno Pilat, e da Dolores Apollonio e sorella, figlie del vicebrigadiere Massimo Apollonio. Da citare la presenza alla cerimonia dei famigliari di tutti coloro i cui nomi sono scolpiti nella targa (Carozzi, Vitalini, Sacchelli, ecc.) e di alcune delegazioni, oltre a quella aprichese, di associazioni degli Alpini, dei Finanzieri e delle Fiamme Verdi Valle Camonica, con le quali ultime il Comune di Aprica collabora nell'Ecomuseo della Resistenza del Mortirolo. E infine anche la presenza dell'assessore alla Cultura del Comune di Tirano, Bruno Ciapponi, e del sindaco di Villa di Tirano, Giacomo Tognini. La giornata è terminata con due spezzoni dello spettacolo "Portami di là", inscenato dai Pueri Cantores presso la sala congressi del Centro Direzionale e una messa nel santuario di Maria Ausiliatrice a San Pietro.

(l'Eco delle Valli, 23 novembre 2012)


Circa trecento persone a un corteo pro Palestina. Bruciata una bandiera di Israele

Manifestazione da piazza San Babila a Porta Venezia

MILANO - Presidio giovedì sera in solidarietà con la popolazione palestinese dopo i bombardamenti sulla striscia di Gaza. Circa trecento persone si sono ritrovate in piazza San Babila e hanno poi sfilato fino a Porta Venezia. Durante il corteo slogan pro-Palestina, scritte sui muri e qualche fumogeno. A un certo punto è stata bruciata una bandiera d'Israele. Il corteo si è sciolto in piazza Oberdan senza incidenti.

(Corriere della Sera, 23 novembre 2012)


'Juden Tottenham', 'Free Palestine'; tifosi Lazio antisemiti? Pronta stangata Uefa

I tifosi della Lazio si sono resi protagonisti di nuove manifestazioni antisemite: nella sfida contro il Tottenham, valida per la quinta giornata del gruppo K disputata stasera allo stadio Olimpico e terminata 0-0, gli ultrà prima si sono resi protagonisti di cori tipo "Juden Tottenham" e poi, al 10' del primo tempo, in Curva Nord è apparso uno striscione con la scritta «Free Palestina». L'episodio confermerebbe dunque la pista dell'antisemitismo seguita dagli inquirenti che indagano sull'aggressione nel pub di mercoledì sera, quando una banda di tifosi di Roma e Lazio, armati di bastoni e coltelli con i volti coperti dai caschi, avevano assalito dei malcapitati inglesi a Campo de' Fiori. Risultato: una decina di tifosi del Tottenham feriti, uno in gravi condizioni, due ultrà della Roma di 26 e 27 anni arrestati con l'accusa di tentato omicidio.
La curva del Tottenham, nelle partite della sua squadra, espone spesso la Stella di David. La squadra ha fama di essere la squadra degli ebrei di Londra, perché nell'omonimo quartiere londinese risiede una comunità yiddish. Questi gesti, di norma, non passano inosservati agli occhi della Uefa, che sicuramente imporrà una squalifica alla Lazio, società già recidiva.

(calciomercato.com, 22 novembre 2012)


Perché parlare di antisemitismo? Non si è vista forse la scritta "Free Palestine"? Non sono antisemiti, sono solo antisionisti. Come tanti altri.


Roma - Feriti dieci tifosi del Tottenham. Stasera la partita con Lazio

   
ROMA - Dieci tifosi della squadra britannica del Tottenham sono rimasti feriti, riferisce la polizia, durante una aggressione avvenuta stanotte in un pub nel centro di Roma, prima della partita di Europa League con la Lazio che si giocherà stasera nella Capitale.
Uno dei tifosi è ricoverato in ospedale in gravi condizioni per una coltellata che gli ha lesionato l'aorta.
L'aggressione, che potrebbe avere anche motivi di razzismo - dato che la squadra londinese ha molti tifosi anche nella comunità ebraica d'oltremanica - è avvenuta intorno all'una in un pub della zona di Campo De' Fiori, uno dei luoghi della "movida" romana, il "Drunken Ship", gestito da un americano.
Gli agenti hanno fermato 15 persone, tutte italiane.
Secondo testimoni, gli aggressori sembravano aver pianificato l'attacco, erano armati di mazze e portavano caschi e passamontagna.
I feriti sono nove britannici e uno statunitense.
Per la polizia è "probabile" che gli aggressori, alcune decine di persone, fossero ultras della Lazio. E un funzionario, che preferisce restare anonimo, dice che si sta indagando anche su "motivazioni razziali".
Il senatore del Pd, Emanuele Fiano, condannando l'episodio ha detto: "ancora più sconvolgente sarebbe l'ipotesi investigativa che si affaccia in queste ore secondo la quale il movente dell'aggressione sarebbe di carattere antisemita, data la caratterizzazione ebraica della squadra londinese".
A ottobre la Lazio è stata multata di 40.000 euro per cori razzisti contro alcuni giocatori neri del Tottenham durante una partita giocata a settembre a Londra.
Un altro senatore democratico, Raffaele Ranucci, che è stato anche manager sportivo, ha chiesto di annullare la partita di stasera.
Questa sera alle 19, allo Stadio Olimpico, si terrà l'atteso match tra la Lazio e il Tottenahm, dove in palio c'è il primato in classifica. Se vincesse, la squadra romana potrebbe aggiudicarsi matematicamente la vittoria del girone J di Europa League. Sugli spalti è prevista anche la presenza dell'ex stella del calcio Paul Gascoigne, che ha giocato in entrambe le squadre.

(Reuters, 22 novembre 2012)

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Lazio-Totthenam. L'antisemitismo dietro l'aggressione di Roma

La storia del tifo e le origini politiche e religiose dei sostenitori del Totthenam, storico club calcistico londinese, aiuta a comprendere meglio quanto accaduto questa notte a Roma. Un gruppo di ultrà laziali ha aggredito i supporter inglesi all'interno di un pub di Campo de' Fiori, con conseguenze gravi per alcuni di loro. Si parla, infatti, di un ferito grave.
La stessa Bbc, pur senza azzardare premature ipotesi nel mezzo di indagini e accertamenti della polizia italiana, a sottolineare come l'assalto ai tifosi del Tottenham potrebbe avere una matrice antisemita, proprio perche il club londinese è, per ragioni storiche, punto di riferimento sportivo della comunità ebraica londinese.
All'interno dell'omonimo quartiere, infatti, risiede da sempre un'importante colonia cosiddetta 'yiddish', la lingua un tempo parlata dalla grande maggioranza degli ebrei nell'Europa centrale e orientale. Ciò è anche all'origine del nomignolo loro affibbiato, ossia 'Yids' (abbreviazione di Yiddish, appunto). Un termine di cui i tifosi del Tottenham vanno orgogliosi, ma che può anche essere usato in senso dispregiativo. Yid Army' (l'Armata ebraica), è anche il nome di uno dei gruppi di tifosi degli 'Spurs'.
Nel 2010 il club londinese, in vista dell'incontro di Champions League contro l'Inter, e a seguito di un provvedimento emesso dalla Polizia Italiana, proibì ai propri supporter di portare ed esporre al Meazza vessilli con la Stella di Davide, al fine di evitare tensioni con la tifoseria della squadra avversaria. Fu un episodio inedito, che sembrò un atto di cedimento nei confronti delle peggiori pulsioni razziste della tifoseria di casa. La bandiera con la stella di David è uno dei simboli del Tottenham da quando è nata la squadra.
L'episodio di questa notte, dunque, non è inquadrabile esclusivamente all'interno di un conflitto tra tifoserie ma assume contorni che vanno al di là dell'evento sportivo. Il Tottheneam viene spesso accompagnato da polemiche e minacce. Non è un caso, quindi, se alcuni testimoni degli incidenti di questa notte hanno dichiarato che nel corso dell'assalto i tifosi laziali gradivano 'ebrei' a quelli del Totthenam.
Un'aggressione che dunque sembra più spinta da ragioni 'politiche' e di matrice razzista che da un contrasto tra due club che non hanno in comune pezzi significativi di storia, al di quel Gascoigne che ha vestito le casacche dei due club.

(L’INKontro, 22 novembre 2012)


Hamas, un drappello di eroi per i soliti indignati d'Europa

di Bernard-Henri Lévy

Bernard-Henri Lévy
Rimettiamo le cose in ordine. L'esercito israeliano Tsahal ha evacuato Gaza, unilateralmente, senza condizioni, nel 2005, su iniziativa di Ariel Sharon. Da allora, non c'è più presenza militare israeliana in questo territorio che, per la prima volta, è sotto controllo palestinese. Le persone che lo amministrano — e che, tra parentesi, non sono arrivate al potere attraverso le urne ma con la violenza e al termine (giugno 2007) di uno scontro sanguinoso con altri palestinesi durato parecchi mesi — non hanno ormai, con l'ex occupante, nemmeno l'ombra di un contenzioso territoriale, come quello per esempio che aveva l'Olp di Yasser Arafat.
Si poteva ritenere che le rivendicazioni di Arafat, e quelle di Mahmud Abbas oggi, fossero eccessive, o formulate male o in parte inaccettabili: almeno esistevano e lasciavano la possibilità di un accordo politico, di un compromesso. Mentre ora, con Hamas, prevale un odio nudo, senza parole né sfide negoziabili: solo una pioggia di razzi e missili sparati secondo una strategia che, avendo come unico fine la distruzione della «entità sionista», bisogna pur chiamare guerra totale.
   Quando Israele si accorge infine di questo, quando i suoi dirigenti decidono di rompere il riserbo che per mesi li aveva portati ad accettare quello che nessun altro dirigente al mondo ha mai dovuto accettare; quando constatano, oltretutto nel terrore, che il ritmo dei bombardamenti è passato da una media di 700 lanci all'anno a quasi 200 in qualche giorno, e che l'Iran ha cominciato a consegnare ai suoi protetti i razzi Fajr-5 che possono colpire non più soltanto il Sud, ma il cuore stesso del Paese, fino ai sobborghi di Tel Aviv e Gerusalemme, e si decidono a reagire e a farlo con vigore, cosa crediamo che succeda?
   Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, che raramente abbiamo visto negli ultimi mesi così pronto a scattare, si riunisce con urgenza: non tuttavia per dibattere dell'eventuale sproporzione della legittima difesa israeliana, ma del suo principio stesso.
   Il ministro degli Esteri britannico — al quale non auguriamo di vedere il Sud del suo Paese sotto il fuoco di una organizzazione che riprendesse il sentiero della guerra terroristica — avverte minaccioso lo Stato ebraico che, facendo il suo lavoro di proteggere i propri cittadini, perderà gli ultimi magri sostegni che egli ha la bontà di riconoscergli sulla scena internazionale. La responsabile della diplomazia europea, Catherine Ashton, comincia con lo sdoganare Hamas da attacchi che, secondo lei, sarebbero in parte fomentati da «altri gruppi armati» e — stimando nel più puro stile tartufesco che i torti siano da condividere fra gli estremisti dei due campi — si limita a deplorare una «escalation della violenza» in cui, come nella notte hegeliana, tutte le vacche diventano nere.
   Il Partito comunista, in Francia, esige «sanzioni». I Verdi, che non si son quasi sentiti né sulla Siria né sulla Libia, né sulle centinaia di migliaia di morti delle guerre dimenticate in Africa o nel Caucaso, proclamano che «l'impunità di Israele deve finire». I manifestanti «pacifisti», che non si degnano di uscir di casa quando sono Gheddafi o Assad a uccidere, scendono in piazza: ma è per dire la loro solidarietà con l'unico partito che, in Palestina, rifiuta la soluzione dei due Stati, dunque la pace. E non parliamo degli esperti in complotti che in questa storia vogliono vedere solo la mano demoniaca di un Netanyahu felice di una nuova guerra che faciliterà la sua rielezione.
   Non mi addentrerò in conteggi che dimostrerebbero a questa gente ignorante come tutti i sondaggi, prima della crisi, davano Netanyahu già vincitore. Non mi abbasserò a confidare a coloro che comunque ritengono Israele, qualsiasi cosa faccia, come l'eterno colpevole, i motivi che, se fossi israeliano, mi dissuaderebbero dal votare per la coalizione uscente. Cosa serve ricordare a tali piccoli furbi che, se c'è una manovra, una sola, all'origine dell'attuale tragedia, è quella di un establishment Hamas pronto a tutti gli eccessi e a tutte le fughe in avanti, e deciso, in realtà, a lottare fino all'ultima goccia di sangue dell'ultimo palestinese pur di non dover restituire il potere, e i relativi vantaggi, ai nemici giurati del Fatah?
   Di fronte a questo concerto di cinismo e di malafede, di fronte al due pesi e due misure, secondo cui un morto arabo è degno di interesse solo se si può incriminare Israele; di fronte all'inversione dei valori che trasforma l'aggressore in aggredito e il terrorista in resistente; di fronte all'abile gioco di prestidigitazione che vede gli Indignati di ogni Paese «eroicizzare» una Nomenklatura brutale e corrotta, spietata con i deboli, le donne, le minoranze, e che arruola i propri bambini in battaglioni di piccoli schiavi inviati a scavare i tunnel attraverso cui transiteranno i traffici fruttuosi che la arricchiranno ancora di più; di fronte all'ignoranza crassa della natura reale di un movimento di cui i Protocolli dei saggi di Sion sono uno dei testi costitutivi, e di cui è capo Khaled Meshaal, che fino a poco tempo fa lo dirigeva da una confortevole villa di Damasco, c'è una sola parola: oscenità.

(Corriere della Sera, 22 novembre 2012)


Milano - Aperitivo in concerto con il jazz israeliano

Al Manzoni, in prima mondiale, i Thrid World Love in una inedita formazione allargata

   
Appuntamento d'eccezione per la rassegna "Aperitivo in Concerto". Domenica 25 novembre, alle 11, sul palco del teatro Manzoni di Milano salirà lo straordinario ensemble israeliano Third World Love, per l'occasione in una inedita formazione allargata. Uno spettacolo in prima mondiale dove, tra America e Medio Oriente, si trovano riunite le stelle del jazz israeliano.
Quasi dieci anni fa a Barcellona, quattro amici si riunirono per formare quello che oggi è diventato un super-gruppo, Third World Love. Il trombettista Avishai Cohen, il pianista Yonatan Avishai, il bassista Omer Avital e il batterista/percussionista Daniel Freedman. Prima riuniti per un tour occasionale e poi rapidamente consolidatisi in un gruppo regolare che si può facilmente identificare dopo soli pochi secondi di ascolto.
In tutta Israele e in Europa Third World Love suona regolarmente per grandi folle, di cui la maggior parte composta da giovani che ballano e fanno festa, non proprio lo scenario tipico del jazz - ma in realtà una parte molto eccitante della storia perpetua del jazz e della world music. Third World Love è una band che sta generando entusiasmo nel jazz, tra una nuova generazione di fan, con una musica distintiva che è un piacere assorbire sia fisicamente che intellettualmente.
Third World Love è, dunque, il più significativo e acclamato gruppo musicale sulla scena israeliana, oggi fra le più vive, stimolanti e creative. Il gruppo si presenta per la prima volta in Italia e, occasione unica, in prima assoluta, in una formazione allargata, con la partecipazione del sassofonista Greg Tardy (straordinario strumentista che ha collaborato con artisti quali Elvin Jones, Tom Harrell, Dave Douglas, Wynton Marsalis, Jay McShann, Steve Coleman, Betty Carter, James Moody, Bill Frisell, Rashied Ali, John Patitucci, Joe Lovano, Mark Turner, Chris Potter, Dewey Redman, Ravi Coltrane, Steve Swallow e che il pubblico del Teatro Manzoni forse ricorderà a fianco del geniale pianista Andrew Hill), del tastierista Jason Lindner (eccezionale collaboratore di Roy Haynes, Paquito D'Rivera, Paul Simon, Matisyahu, Elvin Jones, Anat Cohen e Roy Hargrove) e il chitarrista Nadav Remez, nuova stella del firmamento musicale israeliano.
Improvvisazione, influenze mediorientali, tradizioni ebraiche fuse con mondi musicali affini e diversi quali quelli marocchini e yemeniti, jazz e rock: Third World Love porta con sé, nel suo tribalismo contemporaneo, la vetrina del variegato e vivacissimo melting pot di Tel Aviv e del Vicino Oriente, in un caleidoscopio di linguaggi e colori reso con straordinario e trascinante virtuosismo.

PER INFORMAZIONI
Teatro Manzoni
via Manzoni, 42 - Milano
tel. 02 7636901
fax 02 795674
info@teatromanzoni.it
www.teatromanzoni.it

(TGCOM.it, 22 novembre 2012)


Attacco cracker contro un Ministro israeliano

Un gruppo di hacker ha rubato l'identità digitale del Vice Primo Ministro, sabotando tutti gli account su Facebook, Twitter e altri servizi online.

'ennesimo conflitto tra israeliani e palestinesi non si combatte solo sul campo, ma anche e sfruttando i moderni mezzi di informazione messi a disposizione su Internet da giganti del settore come Twitter, Google e Facebook. Un gruppo di cracker, denominato ZCompanyHackingCrew (ZHC), ha compiuto un massiccio attacco contro tutti gli account posseduti dal Vice Primo Ministro di Israele Silvan Shalom. Non solo hanno modificato le sue pagine su Facebook, Twitter e Blogger, ma sono riusciti anche ad accedere alle email conservate su Gmail, il cui contenuto verrà reso pubblico domani (nella speranza la cosa non pregiudichi la fragile tregua appena conseguita grazie alla mediazione egiziana).
Come sottolinea The Next Web, il Vice Primo Ministro non ha un grande seguito sul social network più famoso, ma come tutti i politici ha contatti importanti, per cui il vero danno sarebbe la pubblicazione delle email private. Come se non bastasse, il gruppo ZCompanyHackingCrew ha dichiarato su Twitter di essere in possesso del suo numero di telefono personale. La pagina Facebook di Shalom è stata eliminata, mentre il suo profilo è ancora online, ma la copertina originale è stata sostituita da un'immagine con la scritta "Free Palestine". L'account Twitter ha subito la stessa sorte e ora è colmo di tweet non originali e non riconducibili dal politico israeliano. L'account YouTube invece è diventato uno strumento per pubblicare video a favore della popolazione palestinese. Il blog su Blogger mostra infine un messaggio che non ha bisogno di traduzione:
    Oops I got Hacked BY ZCOMPANY HACKING CREW
    World stands united against zionist Israel. F**k you Israel Long Live Palestine
ZHC ha promesso di divulgare tutta la vita digitale del Vice primo Ministro: email, documenti, immagini e contatti. I cracker non fanno parte di Anonymous, ma collaborano con loro nell'Operazione Israele. Lo scorso fine settimana, il famoso gruppo di hacktivisti ha attaccato oltre 650 siti israeliani, cancellando il database di alcuni di essi e rubando indirizzi email e password.

(web news, 22 novembre 2012)


Vicini a Israele. Per la libertà, la democrazia, la pace

Prosegue in tutto il paese l'impegno di numerosi cittadini a fianco di Israele. Questo pomeriggio, a Roma, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e la redazione del portale dell'ebraismo italiano porteranno una testimonianza alla maratona oratoria 'Per la verità, per Israele' in programma a piazza di Montecitorio."Ritengo che per amore della pace dobbiamo ristabilire la verità sul conflitto in corso e cancellare le parole malate con cui si criminalizza Israele e si delegittima il sacrosanto diritto di qualsiasi Stato democratico a difendere la sua popolazione civile gratuitamente attaccata", spiega la vicepresidente della commissione Affari Esteri della Camera Fiamma Nirenstein, tra le promotrici dell'iniziativa.
Dopo i tanti flash mob di sensibilizzazione che nelle scorse ore hanno attraversato il paese - da Torino a Roma, da Milano a Firenze - nelle Comunità ebraiche si continua a lavorare intensamente sul fronte della solidarietà. Molto significativo l'appuntamento in programma questa sera a Torino con la partecipazione del sindaco, Piero Fassino, del consigliere dell'ambasciata d'Israele in Italia Livia Link, dei giornalisti Vittorio Dan Segre e Carlo Panella, del rabbino capo Rav Eliahu Birnbaum, del vicepresidente della Comunità ebraica Emanuel Segre Amar e di Marco Brunazzi.
Ed assume uno straordinario valore simbolico la sfida lanciata in queste ore in riva all'Arno con la corsa per la pace che vedrà correre domani mattina sulle stesse frequenze otto podisti israeliani e palestinesi. L'appuntamento è alle 10 davanti alla sinagoga di Firenze dove gli sportivi saranno accolti dai vertici della Comunità ebraica e dal rabbino capo rav Joseph Levi per poi percorrere, a passo di corsa, il breve tratto che separa la sinagoga dalla moschea di piazza dei Ciompi e là incontrare l'imam Izzedin Elzir. Un'iniziativa di grande significato, anche alla luce degli ultimi drammatici sviluppi dal Medio Oriente, che è promossa dalla onlus Enzo B in collaborazione con l'Opera del Tempio Ebraico e con il Maccabi Italia e che si inserisce nel quadro delle iniziative legate alla Maratona di Firenze e al suo prossimo gemellaggio con la Maratona di Gerusalemme annunciato in anteprima ai nostri lettori nelle scorse settimane. A seguire conferenza stampa a Palazzo Vecchio cui prenderanno parte, oltre ai runner e alle autorità religiose delle due Comunità, il presidente di Firenze Marathon Giancarlo Romiti, l'assessore comunale alle Politiche Giovanili e Pari Opportunità Cristina Giachi, il presidente del Maccabi Italia Vittorio Pavoncello, il presidente dell'Opera del Tempio Ebraico Renzo Funaro e il presidente di Enzo B Cristina Nespoli. Nel corso dell'incontro, organizzato grazie al contributo tra gli altri di Sara Funaro, sarà inoltre proiettato un videomessaggio dei due sindaci, Matteo Renzi e Nir Barkat.

(Notiziario Ucei, 22 novembre 2012)


Sinagoga di Parma imbrattata: la condanna delle associazioni partigiane

La sinagoga di Parma
Nella notte del 18 novembre ignoti hanno imbrattato il portone d'ingresso. Le associazioni partigiane condannano fortemente il gesto ed esprimono "profonda solidarietà verso la Comunità Ebraica"
Vernice rossa contro la sinagoga di Parma. Nella notte del 18 novembre ignoti hanno imbrattato il portone d'ingresso. Le associazioni partigiane condannano fortemente il gesto e lo definiscono "un vile oltraggio". "Le Associazioni Partigiane A.L.P.I. - A.N.P.I. e A.N.P.C. -si legge in una nota congiunta- esprimono fortissimo sdegno per il vile oltraggio arrecato nella notte del 18 novembre scorso ai danni della Sinagoga di Parma e manifestano sentimenti di profonda solidarietà verso tutta la Comunità Ebraica.
"E' dovere di chi vuole tramandare i valori dell'antifascismo e della Resistenza esprimere il massimo disprezzo nei confronti di qualsiasi forma di antisemitismo che non può trovare alcuna giustificazione nelle controverse vicende legate agli scenari politici e militari in medio oriente. E' altrettanto dovere di tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia e della libertà rievocare, in particolare alle nuove generazioni, i precedenti storici gravissimi di azioni efferate che, come quelle avvenute in Germania il 9 novembre 1938, nella famigerata "Notte dei Cristalli", anticiparono la tragedia del genocidio nazista".

(ParmaToday, 21 novembre 2012)


Due app salvano dai razzi palestinesi

Due programmi gratuiti lanciano l'allarme missilistico e suggeriscono il rifugio più vicino

Gli israeliani si difendono dai razzi palestinesi anche con la tecnologia. Come racconta il "Jerusalem Post" sono state messe a punto due applicazioni salvavita, fruibili gratuitamente da smartphone. "Tzeva Adom" (cioè colore rosso) invia avvisi sugli imminenti raid missilistici e aiuta a distinguere il suono della sirena che segnala un razzo in arrivo.
L'app aiuterà a distinguere le sirene che segnalano i raid dalle sirene di ambulanze e polizia. E si annuncia molto utile anche per chi ha problemi di udito e per chi non riesce proprio a fare a meno degli auricolari con la musica.
"Secure Spaces" invece, suggerisce agli israeliani i rifugi più vicini nei quali ripararsi durante gli attacchi. La lista dei luoghi sicuri viene compilata dagli stessi cittadini che vogliono offrire riparo ai vicini o ai passanti in pericolo e sfrutta il gps del cellulare per fornire una mappa dettaglia dei bunker.

(TGCOM.it, 21 novembre 2012)


Gerusalemme e Tel Aviv, i razzi non fermano il turismo

di Franca Giansoldati

TEL AVIV - I venti di guerra al momento non sembrano avere arrecato troppi danni al comparto turistico. L'ufficio del Turismo Israeliano ha fatto sapere che nonostante i fatti di questi giorni i siti turistici di Gerusalemme, Tel Aviv e Nazareth, in Galilea, «continuano ad essere pieni di turisti e non vi sono al momento significativi rientri da Israele. Poche le cancellazioni».
«Sono giorni di incertezza e tristezza che lasciano un sapore amaro a tutti», ha detto Tzvi Lotan, direttore dell'Ufficio del Turismo Israeliano in Italia che ha dato un aggiornamento sulla situazione: «In questi giorni migliaia di turisti e pellegrini girano per le strade di Israele. Tutti i servizi turistici continuano a funzionare normalmente. Il Ministero del Turismo ha aperto una linea diretta, 972-50-6214079, per chi ha bisogno di informazioni aggiornate, ed è anche in contatto continuo con gli operatori israeliani, per aggiornare, tutelare e proporre itinerari alternativi in caso sia richiesto. Anche l'Ufficio del Turismo Israeliano in Italia rimane a disposizione per i viaggiatori il telefono è 02 804905».
Più di 100.000 turisti sono attualmente in viaggio nel Paese e ad oggi, il Ministero non ha rilevato partenze di massa. «I siti turistici a Tel Aviv, Nazareth e Gerusalemme sono pieni come al solito. Ci sono stati alcuni annullamenti nei giorni scorsi, ma non a un livello tale da suggerire una tendenza. Solo una manciata di gruppi attualmente nel Paese ha anticipato la data di partenza».
Diverse navi da crociera tuttavia hanno annullato il loro arrivo, previsto a breve termine, nei porti israeliani. Il Ministero ha ricevuto segnalazioni di gruppi provenienti da varie destinazioni che hanno rinviato il loro arrivo ma, dicono a Tel Aviv, non in numero significativo. «Fino ad, oggi e in questa fase, è ancora difficile valutare l'entità del danno per l'industria del turismo a lungo termine», ha aggiunto Zvi Lotan.
Il Ministero del Turismo ha istituito una sala operativa che riceve gli aggiornamenti sulla situazione in corso ed esamina costantemente la situazione. Al momento, il lavoro principale del Ministero consiste nello spiegare la situazione agli operatori turistici locali
La sala operativa rimane in costante contatto con i tour operator, guide turistiche, agenzie di viaggio, compagnie aeree, imprese, condividendo informazioni e linee guida per i turisti attraverso una pubblicazione distribuita - in 7 diverse lingue - in tutti gli alberghi,

(Il Messaggero, 21 novembre 2012)


Hamas va bene, ma i suoi missili no

Ironia della sorte: un gruppetto di arabi manifesta davanti all'Università Ebraica di Gerusalemme, quando sono dissuasi dall'ennesimo missile sparato da Hamas.
Per loro fortuna, non hanno nulla da obiettare nei confronti dei rifugi anti-missile gentilmente messi a disposizione dal governo israeliano.



(Il Borghesino, 21 novembre 2012)


Chissà che cosa sarebbe successo se un gruppo di arabi cristiani a Gaza avesse manifestato contro Hamas per difendere il diritto di Israele a esistere.


Quando gli arabi bombardavano i palestinesi. E tutti tacevano

di Emilio Fabio Torsello

Israele bombarda i palestinesi e l'Italia si indigna davanti ai bambini morti, i giornali sbattono in prima pagina i loro cadaveri (facendo una seconda violenza a quei corpicini), si moltiplicano gli appelli contro l'esercito con la Stella di Davide per un cessate il fuoco. E poi le bandiere, le proteste, le manifestazioni, gli attivisti pronti a tutte le Freedom Flotilla possibili. Una perfetta manifestazione di strumentale ipocrisia.
Per concretizzare l'ipocrisia, però, conviene raccontare una storia. Quella di Mahmoud Kiali, palestinese del campo di Yarmouk che ospitava oltre 100mila rifugiati. Un ragazzo con i capelli arruffati e gli occhi pieni di vita. Nella foto spiegazzata che lo ritrae, indossa una camicia bianca a quadri. Mahmoud viene ucciso in uno dei bombardamenti di Yarmouk effettuato nei mesi scorsi dalle truppe di Assad. Insieme a lui muoiono almeno almeno 21 persone - diverse centinaia dall'inizio del conflitto - e numerose restano ferite. E i cannoneggiamenti proseguono per molti giorni, da terra - con l'artiglieria - e dal cielo, con i cacciabombardieri che sganciavano tonnellate di esplosivo senza sosta. In una delle testimonianze si legge:
    "I Palestinesi segnalano bombardamenti - iniziati nei giorni precedenti - aerei e di artiglieria, che hanno colpito persino il cimitero del campo. In un'atmosfera definita di "orrore e panico", sono state bombardate le zone di Uruba Street, quella dell'ospedale Palestine, quella della scuola Jerusalem, quella della scuola Abaad, quella di Takadm, la strada n. 30 e, nei pressi del campo, l'area di Hajer Al Aswad. Cinque persone sono state uccise da bombardamenti aerei nel campo di Henderat ad Aleppo ed altre cinque sono state ferite nel campo di Daraa. A Yarmouk è rimasto ferito un volontario della Fondazione Jafra, che cerca di assistere le vittime della violenza. Oggi, lunedì 11 settembre, continuano i bombardamenti sul campo di Yarmouk: fino ad ora, si registrano due morti e numerosi feriti, mentre dall'ospedale arrivano appelli per donare il sangue e si sta evacuando l'area di Uruba Street verso posti più sicuri".
E il palestinese Abu Mazen cosa dichiarava in quei giorni? La stampa riporta appena due parole di commento: "crimini orribili". Null'altro. Silenzio anche dai pacifisti nostrani che scendono in strada solo quando a cannoneggiare è Israele. E se sono gli arabi a maciullare i corpi dei fratelli arabi? Pare che il ruolo del cattivo sia solo di Israele. I pacifisti e la politica, infatti, tacciono e continuano per lo più a tacere su grandi questioni come la Siria o le guerre dimenticate che maciullano piccoli corpi inermi proprio come i tank israeliani. Per loro non c'è e non ci sarà mai alcuna Freedom Flotilla. Il silenzio su questo aspetto quasi è totale. E ipocrita.

(Diritto di critica, 21 novembre 2012)


Laurent Fabius: nei conflitti responsabilità molto pesante dell'Iran

PARIGI, 21 nov - Il capo della diplomazia francese, Laurent Fabius, denuncia una ''responsabilita' molto pesante'' dell'Iran nei conflitti in Medio Oriente, come quello di Gaza.
A Gaza, ha detto il ministro a Radio France Culture, ''ci sono armi a lungo raggio, fino a 75 km, e sono armi iraniane.
La responsabilita' iraniana e' molto pesante''. E ha aggiunto: ''Abbiamo trovato l'Iran in Libano, Siria, Iraq, Gaza, di volta in volta con intenzioni estremamente negative''.
''L'orientamento del governo iraniano e' pericolosissimo per la pace nel mondo'', ha sottolineato Fabius.
Le ostilita' intanto proseguono tra Israele e Gaza, nonostante le trattative diplomatiche per strappare una tregua, verso la quale il ministro degli Esteri francese dice di continuare a nutrire ''una forte speranza''.

(ASCA, 21 novembre 2012)


Siria e Iran avevano tutto l'interesse a istigare l'escalation di Hamas contro Israele

   
Tariq Alhomayed
Mentre tutto il mondo arabo condanna gli attacchi israeliani contro i terroristi di Hamas nella striscia di Gaza e l'operazione "Colonna di nube difensiva" occupa tutti i titoli dei mass-media arabi, una guerra civile (assai più sanguinosa) continua a imperversare in Siria fra i ribelli e il regime del presidente Bashar Assad: una guerra che dura ormai da un anno e otto mesi (con un bilancio di vittime che praticamente ogni giorno equivale a quello di tutta la "guerra" di Gaza).
È su questo sfondo che Tariq Alhomayed, direttore di "al-Sharq al-Awsat", il quotidiano più influente nel mondo arabo, ha cercato di riportare l'attenzione dei suoi lettori su quest'altra tragedia del mondo arabo, sottolineando l'elemento-chiave che a suo parere ha portato all'escalation nel sud di Israele: gli iraniani e Assad.
In un editoriale intitolato "La soluzione per Gaza: tornare alla Siria", Alhomayed scrive: "Purtroppo le guerre nella nostra regione sono diventate come una gara, sicché ogni guerra ne copre un'altra. In altre parole, queste guerre non sono altro che una mossa per fughe in avanti. Dunque ciò che sta accadendo a Gaza è una fuga in avanti, in particolare nella speranza di salvare Assad, o almeno assicurarsi che il prezzo del suo rovesciamento sia più caro per tutti. E il grande architetto di queste guerre è l'Iran".
Secondo Alhomayed, gli iraniani hanno cercato di incendiare i fronti sui confini di Israele attraverso i loro agenti. Non avendo avuto successo sui fronti siriano e libanese, hanno optato per la striscia di Gaza. "Quando il fronte del Golan non si è mosso abbastanza in fretta, Assad e Iran hanno fatto ricorso al fronte di Gaza, che può essere infiammato molto più velocemente".
Riguardo alla Siria, Alhomayed scrive: "Ora, la migliore soluzione per uscire da questa guerra, o raid aerei, a Gaza è tornare alla Siria, e con forza, giacché chiunque sia responsabile del lancio dei razzi da Gaza, lo ha fatto pur sapendo benissimo che non c'era nessuna equivalenza. L'unico scopo era salvare Assad, i cui giorni sono contati: anzi, la sua cacciata è dietro l'angolo".
Mentre le forze di Assad continuano a bombardare pesantemente città e quartieri ribelli e le vittime in Siria si contano a decine ogni giorno, la scorsa settimana il regime siriano ha approfittato della crisi nella striscia di Gaza per condannare quelli che ha definito "i crimini della barbarie israeliana contro la nazione palestinese e il governo di Gaza", e ha fatto appello alla comunità internazionale perché costringa Israele a cessare i raid. E al giornale statale siriano "Al-Tishreen" non è parso vero di poter riempire le sue pagine con i fatti di Gaza e le condanne del "nemico occupante".
Esattamente come gli altri mass-media del mondo arabo, e non solo.

(da YnetNews, 19 novembre 2012)

*

Commento di israele.net:
Quella di Tariq Alhomayed non è una voce isolata. Accanto alle condanne arabe ufficiali dell'operazione israeliana a Gaza e alle proteste popolari, non mancano editorialisti e opinionisti arabi che accusano pesantemente Hamas. Sono critiche che giungono prevalentemente da stati del Golfo, Autorità Palestinese e alcuni elementi in Egitto: cioè dal campo di coloro che si oppongono a Iran, Siria e Hezbollah. I critici sostengono che gli attacchi missilistici di Hamas su Israele sono irresponsabili e inefficaci, e che non fanno che offrire un pretesto a Israele per attaccare Gaza. Molti accusano l'Iran di sfruttare la causa palestinese e infiammare l'intera regione al fine di dimostrare la propria forza, migliorare la propria posizione nei negoziati sul nucleare e distogliere l'attenzione dalla crisi in Siria. Vale la pena sottolineare che questi critici danno per scontato che la crisi è stata innescata dai lanci di razzi di Hamas che hanno scatenato la reazione di Israele.

(israele.net, 21 novembre 2012)


Imperia: anche gli agenti del Mossad per tutelare le pallanuotiste israeliane?

Vista la situazione in atto in Medio Oriente, anche il Prefetto ha riunione le forze dell'ordine per la valutazione delle eventuale misure da adottare.

Da domani ad Imperia potrebbero anche essere presenti alcuni agenti del servizio segreto israeliano, per proteggere la squadra israeliana di pallanuoto femminile Kiryat Tiv'on.
Come scrive oggi La Stampa, infatti, le atlete saranno presenti ad Imperia per giocare la fase eliminatorie della Coppa dei campioni, insieme ad altre 5 squadre, tra cui ovviamente la Mediterranea Imperia. Vista la situazione in atto in Medio Oriente, anche il Prefetto ha riunione le forze dell'ordine per la valutazione delle eventuale misure da adottare.

(Sanremo News, 21 novembre 2012)


San Severino, il museo della Shoà interessato a patrocinare il libro su Di Segni

SAN SEVERINO MARCHE (MC) - Il Museo della Shoà ha mostrato interesse all'idea di patrocinare la traduzione in ebraico del libro "Mosé Di Segni, medico partigiano" realizzato dall'Anpi e dal Comune di San Severino Marche ed edito dalla Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito con il contributo della Comunità Montana settempedana.
Ad anticipare la notizia al sindaco, Cesare Martini, è stato in questi giorni il professor Elio Di Segni che nei mesi scorsi ha ricevuto la cittadinanza onoraria di San Severino Marche insieme ai fratelli Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, e Frida Di Segni Russi, scrittrice e farmacista divenuta marchigiana d'adozione. "Anche se penso che il progetto possa interessare solo un pubblico particolare - ha scritto in una missiva Di Segni al sindaco Martini -, ritengo che sia estremamente importante che il ruolo di San Severino nella lotta di Liberazione e nel salvataggio degli ebrei sia conservato nel museo di Gerusalemme e nelle biblioteche e archivi storici israeliani e per questo mi sono messo al lavoro di buona lena".
La notizia della traduzione della pubblicazione, contenente un prezioso manoscritto, alcune ricerche ed altre notizie riprodotte e raccolte dal giornalista settempedano Luca Maria Cristini, è stata accolta con grande felicità in città. I contatti fra la famiglia Di Segni e San Severino Marche sono vivi e costanti. A Natale, intanto, la scrittrice Frida Di Segni Russi darà alle stampe un nuovo libro in cui si parlerà, fra l'altro, proprio del legame fra questa famiglia e la comunità locale. In molti settempedani è indelebile la memoria del medico Mosè Di Segni, padre di Riccardo, Elio e Frida, il quale, allontanatosi da Roma per evitare la persecuzione nazista contro gli ebrei, si rifugiò fra il 1943 ed il 1944 con la sua famiglia proprio a Serripola di San Severino Marche. Nei dieci mesi della sua permanenza, Mosè Di Segni si arruolò, come medico, con i partigiani del battaglione Mario e salvò molte persone.

(Macerata Notizie, 20 novembre 2012)


Polonia - Vandali nel cimitero ebraico a Lodz

Venti tombe profanate. Qui nel 1940 la Germania nazista creò ghetto Litzmannstadt

ROMA, 20 nov. - Vandali hanno profanato circa 20 tombe in un cimitero ebraico a Lodz, Polonia centrale. "Sul caso sono in corso le indagini", ha confermato un portavoce della polizia, Adam Kolas, aggiugendo che i fatti sono accaduti nella notte tra domenica e lunedì.
Secondo i capi della comunità ebraica di Lodz, la maggior parte delle lapidi, ora spaccate a metà, erano state recentemente restaurate dai parenti che vivono all'estero. Lodz, terza maggiore città della Polonia, è stato un grande centro per l'industria tessile prima della Seconda Guerra Mondiale, con circa un terzo dei suoi residenti che era ebreo. La Germania nazista nel 1940 creò un ghetto a Lodz (Litzmannstadt in tedesco), racchiudendovi circa 220mila ebrei provenienti dalla Polonia occupata e da altri paesi europei.

(TMNews, 20 novembre 2012)


"Noi che non ci arrendiamo alle sirene, ai missili, al terrore"

Le mille voci degli italkim in queste ore difficili

di Adam Smulevich

  
"La prima volta che ho assistito ad un'esercitazione della popolazione civile in Israele è stato due anni fa. Non avendo sentito la notizia alla radio, la sirena mi ha colta di sorpresa ed ero terrorizzata. Gli israeliani del mio ufficio mi sbeffeggiavano. Io volevo correre nel bunker, mentre tutti sembravano infischiarsene. D'altra parte era solo un'esercitazione". Adesso invece si fa sul serio e per Alessia Di Consiglio, studentessa romana trapiantata in Israele, è l'occasione per raccontare il 'suo' primo attacco missilistico. È giovedì pomeriggio quando gli ordigni di Hamas colpiscono Tel Aviv. Alessia si trova all'Università di Herzliya, a pochi chilometri di distanza. Nonostante il clima di tensione che serpeggia nell'aula, racconta nella nuova area blog di Hatikwa, la voglia di reagire, di sdrammatizzare, di guardare avanti, prende il sopravvento. "Con la sfiga che ho è sicuramente caduto su casa mia", dice uno studente. "Ci ho messo quattro ore a convincere i miei figli che a Tel Aviv non sarebbe successo niente e ora si prenderanno gioco di me a vita", replica l'insegnante. Una prova di coraggio, tra i tanti aneddoti a riguardo, che l'ha impressionata. "Devo dire che non ho mai ammirato così tanto gli israeliani. Di solito mal digerisco la loro aggressività e il loro modo di fare troppo informale. Ma non è proprio in questo tipo di eventi - si chiede - che vengono realmente fuori le persone?".
Tra i blog più interessanti e aggiornati dal Medio Oriente 'Diario da una città di mare' di Daniela Fubini, torinese. Un intervento è dedicato alla prima angosciante sirena a Tel Aviv. "Ero appena tornata a casa - racconta Daniela - stavo preparandomi a cenare in fretta prima di una serata a teatro. Nell'istante in cui mettevo il pane sulla tavola e mi apprestavo a spostare la sedia, sono rimasta con le mani a mezz'aria mentre le mie orecchie comunicavano incredule al cervello: questa che suona è 'la sirena'. Per ovvio che sia, ho sentito il cuore rimbombare in tutto il corpo, le mani mi tremavano un pochino, ho preso il cellulare, mi sono infilata le scarpe e sono scesa al piano di sotto". E del teatro che ne è stato? "Dopo la paura e l'immersione nel cinismo condito di rassegnazione e fatalismo dei vicini - prosegue Daniela - la domanda era che fare dei biglietti. All'ora dell'appuntamento (45 minuti dopo il suono della sirena) la decisione è stata: tra aspettare tutti soli a casa la prossima, e sentirla eventualmente a teatro, in compagnia, buona la seconda".
"Non so cosa voglia dire esattamente questa situazione, ma soprattutto non so quanto possa durare. Oggi che, per la prima volta nella mia vita, ho visto cos'è un rifugio e ci sono entrata - spiega Rebecca Treves, torinese, sul blog Tre.no - mi sembra incredibile pensare che ci sono città in cui questo succede quasi tutte le settimane. Sderot per esempio. C'è una grande forza in questo Stato che sopporta". Rebecca sottolinea di aver colto tra la gente massimo senso di appartenenza e condivisione. "Le persone sono consapevoli. Tutti sanno cosa fare e cosa vuol dire Zeva Adom. Vuol dire allarme - scrive - vuol dire che suona la sirena".
Numerose le testimonianze di 'italkim', gli italiani d'Israele, anche sui social network. Gabriel Maisto, livornese: "Stavo guidando il motorino, in trenta secondi sono arrivato al bunker e poi un boom assurdo. Maledetti!". "Sto bene!", posta da Gerusalemme Alisa Hagen, fiorentina, che se la prende con i giornali italiani colpevole di trasmettere "solamente ciò che interessa loro". La vita intanto va avanti. Malgrado le insidie, i missili, la tensione. "Sono spaventata e senza sonno ma fiduciosa che presto finirà", si augura Ylenia Tagliacozzo. Aviva Bruckmayer, milanese, pubblica la foto di una performance musicale svoltasi in piazza pochi istanti dopo l'ultimo allarme. Con annesso commento: "Cari nemici di Israele, ecco la nostra risposta". Michael Sorani, torinese, non ha rinunciato a partecipare all'evento organizzato da Tsad Kadima a sostegno dei ragazzi cerebrolesi. "Alla faccia di Hamas", sottolinea con orgoglio.

(Notiziario Ucei, 20 novembre 2012)


Peres: l'Iran, centro del terrorismo mondiale, incoraggia Hamas a bombardare

WASHINGTON, 20 nov - Il presidente israeliano Shimon Peres ha accusato l'Iran di incoraggiare i palestinesi a proseguire la loro campagna missilistica contro lo Stato ebraico. ''E' sgradevole che gli iraniani stiano cercando ancora una volta di incoraggiare Hamas a continuare i bombardamenti contro Israele'', ha dichiarato in un'intervista alla Cnn.
''Non abbiamo intenzione di aprire una guerra contro Teheran, ma stiamo cercando di evitare che la Repubblica islamica invii ad Hamas i suoi missili a lungo raggio'', ha aggiunto Peres, secondo cui l'Iran resta tuttavia ''un problema globale, non solo dal punto di vista del suo programma nucleare, ma anche perche' rappresenta il centro del terrore mondiale''.

(ASCA, 20 novembre 2012)


Commando israeliani già dentro Gaza

Già mossi i reparti migliori sin dentro la Striscia, in profondità, verso Gaza. I SAS israeliani di Sayeret Matkal, pronti a indirizzare l'attacco di terra.

La chiamano semplicemente "L'Unità", ma il nome è Sayeret Matkal ed è una delle unità di élite dello stato maggiore dell'esercito israeliano. Gli ambasciatori a dare copertura diplomatica al Il Cairo e gli uomini di Sayeret Matkal, specializzati nella penetrazione in territorio ostile a fare da avanguardia e segnalatori dell'ormai imminente attacco di terra, già appostati dentro la Striscia di Gaza. In profondità nel territorio di Hamas, con "l'Unità 269", secondo fonti di Globalist.
Il Sayeret Matkal è un'unità militare di forze speciali delle Forze di Difesa Israeliane (Idf) ed è la principale unità israeliana con compiti di ricognizione speciale, alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore. Specializzati in operazioni di antiterrorismo, nella ricognizione a lunga distanza e nella raccolta di informazioni operative in territorio ostile. "Unità" prende da modello il SAS inglese e riferisce le sue informazioni strategiche all'Aman (l'intelligence militare israeliana).
L'unità è diventata nota per l'Operazione Thunderbolt, la cosiddetta "Operazione Entebbe" del 1976, nella quale liberò più 100 passeggeri del volo Air France dirottato in Uganda da armati dell'Olp. Durante l'azione, l'Unità perse solamente il suo comandante, Yonatan Netanyahu, il fratello dell' attuale premier israeliano Benjamin Netanyahu, ucciso mentre guidava l'assalto dei suoi uomini. Si discute insomma di cessate il fuoco bilaterale ma ci si prepara la guerra.
Nei suoi primi anni di esistenza l'unità fu mantenuta top-secret. Gli operatori ed i comandanti della stessa venivano selezionati direttamente e riservatamente da altre unità dell'Esercito, e l'unità venne integrata anche con militari che hanno legami famigliari o di conoscenza diretta con i membri già presenti. Le reclute migliori sono assegnate a una piccola unità interna al Sayeret Matkal, l'"Unità 269", orientata alle operazioni a lungo raggio fuori dai confini nazionali. Sono loro a Gaza.

(Globalist, 20 novembre 2012)


Renzi: la sinistra dica che Israele ha diritto di esistere

ROMA, 20 nov - ''La sinistra italiana deve abituarsi a ridire che Israele ha il diritto di esistere, perche' troppo spesso c'e' stato atteggiamento della sinistra anti-israeliano inconcepibile e insopportabile''. Lo ha detto Matteo Renzi questa mattina a Omnibus su La7. ''Israele e' un paese che e' circondato da realta' che vogliono la sua distruzione, a partire dall'Iran'', ha proseguito il sindaco di Firenze candidato alle primarie di centrosinistra. ''Si blocchino le operazioni militari e si torni al dialogo - ha sottolineato Renzi - perche' e' inaccettabile che muoiano dei bambini ed e' fondamentale che si torni alla pace e alla liberta', ma una posizione chiara e' quella che sta prendendo l'amministrazione Obama''.

(ASCA, 20 novembre 2012)


Che Israele ha il diritto di esistere la sinistra l’ha sempre detto. E’ una giaculatoria che i capi storici del comunismo italiano hanno sempre recitato con devozione tutte le volte che hanno preso posizione pubblica contro Israele e a favore degli arabi appoggiati dall'Unione Sovietica. Il che da un certo momento in poi è avvenuto sempre. Quello che bisognava dire allora e bisogna dire adesso è che ISRAELE HA IL DIRITTO DI DIFENDERSI, e indicare, anzi raccomandare, i passi che a questo scopo Israele può e deve fare. Se tutto quello che si sa dire, dopo aver recitato la giaculatoria di rito, è che bisogna convincere Israele a tornare al tavolo delle trattative, allora sarebbe meglio tacere e aspettare in silenzio che si compia quello che molti sperano: la fine dell’esistenza di Israele. Ma questo, comunque, non accadrà. M.C.


Un cane salva il padrone dai razzi di Gaza

  
L'eroico Louisa
Tra Israele e Palestina è di nuovo conflitto: le immagini di guerra hanno fatto rapidamente il giro del globo, lasciando l'opinione pubblica con il fiato sospeso per quella che appare come una diatriba di difficile soluzione. Non entreremo nel merito di stabilire ragioni e responsabilità di palestinesi e israeliani perché non di nostra competenza, tuttavia vale la pena raccontare la storia di un eroico cane: Louisa.
I cani non hanno appartenenze politiche, credo religiosi o ideologie da seguire. I cani, semplicemente, vivono nell'amore incondizionato del loro padrone, indipendentemente dalla sua nazionalità. E così ha fatto Louisa in quel di Ashkelon, Israele, quando ha percepito l'arrivo di un razzo lanciato dalla Palestina: ha tratto in salvo il suo padrone.
Il tutto sarebbe successo lo scorso sabato, quando Louisa ha iniziato ad abbaiare freneticamente e a richiamare, anche con una certa aggressività, le attenzioni del proprietario Alex Leibowitz. Alex aveva deciso di non uscire di casa perché influenzato e stava passando la sua giornata al primo piano della sua abitazione, per riposarsi in salotto davanti alla TV. I modi poco piacevoli di Louisa, una cagnolona di grossa taglia, l'hanno però convinto a spostarsi in camera da letto per trovare un po' di pace. Dopo pochi minuti, forse meno di 5 dal trasloco al piano superiore, un razzo si è conficcato a livello del primo piano dell'abitazione. I danni paiono essere comunque limitati, ma si sarebbe potuto manifestare un epilogo ben più nefasto. Queste le dichiarazioni di Leibowitz:
«È stato un miracolo! Se avessi sentito la sirena sarei sceso al primo piano e il razzo mi avrebbe colpito in pieno. L'abbaiare di Louisa mi ha salvato la vita.»
Con tutta probabilità, è stato l'udito sopraffino del cane a percepire l'arrivo del razzo con discreto anticipo rispetto a quanto possibile dagli umani. Una peculiarità che si è rivelata fondamentale per la salvezza del suo amato amico a due zampe.

(Pets GreenStyle, 20 novembre 2012)


La beffa dei razzi di Hamas: li lanciano contro Israele ma ricadono sulla Striscia

Oltre cento missili esplosi a Gaza durante lo sparo. La minaccia: "Torneranno i kamikaze". Obama: i miliziani fermino gli attacchi

di
Fausto Biloslavo

Oltre cento razzi lanciati dal braccio armato di Hamas contro Israele hanno fatto cilecca e sono precipitati a Gaza per malfunzionamenti o grazie allo zampino degli israeliani. Lo rivela con un Tweet tragicamente sarcastico il portavoce dell'esercito ebraico: «Hamas apre il fuoco dalle aree civili .... e colpisce la propria gente».
I fondamentalisti palestinesi replicano annunciando di aver lanciato 1.500 missili contro Israele. Però negli ultimi cinque giorni oltre 100 razzi sarebbero esplosi in fase di lancio cadendo a Gaza, invece che colpire le città ebraiche. In molti casi potrebbe trattarsi di malfunzionamenti, soprattutto per gli ordigni più artigianali. Non è escluso che ci sia lo zampino delle forze armate israeliane che sorvegliano Gaza dall'alto palmo a palmo. Con i droni, i caccia o gli elicotteri sono in grado di colpire i missili in fase di lancio. Le squadre «ciliegia», di infiltrati a terra che si mescolano ai palestinesi potrebbero aver sabotato alcuni razzi. E magari l'intelligence è riuscita a far arrivare nella striscia razzi farlocchi. O a farli impazzire con qualche sistema di inibizione.
Per non parlare degli obiettivi distrutti dall'aviazione che ieri ha annunciato di aver centrato 1.350 «siti terroristici». Solo nella notte fra domenica e lunedì sono stati colpiti 80 fra rampe di lancio sotterranee dei missili, tunnel, basi di addestramento e cellule impegnate nel lancio dei razzi. I militari ammettono che dall'inizio dell'offensiva sono piombati su Israele 848 missili e intercettati 302. Ieri l'aviazione ha bombardato lo stadio di Gaza ed il grattacielo dei giornalisti, la famosa torre Shoruq. Secondo le autorità israeliane era un nascondiglio per quattro comandanti delle milizie palestinesi. Uno di questi, Ramez Harab («responsabile per la propaganda della ?Brigata di Gaza? della Jihad islamica») era conosciuto come giornalista. Nel sesto giorno di guerra si sfiorano le cento vittime dall'inizio delle ostilità. Su Twitter le brigate al Qassam hanno postato uno spezzone di un video di una tv israeliana prendendo in giro il sistema difensivo israeliano. «Un missile Iron dome insegue un razzo Grad e ambedue colpiscono il bersaglio (cadendo in una zona abitata ndr). Ottimo colpo» riporta un Tweet dei miliziani palestinesi. Nella guerra dei nervi i seguaci di Hamas hanno pure minacciato il ritorno di kamikaze con un video in ebraico su YouTube. Sembra una pubblicità che comincia in tono ammiccante: «Prossimamente nei caffè più vicini a casa vostra (...) ritorneranno gli attacchi suicidi. Ne avevamo nostalgia».
Ma la guerra di propaganda si gioca soprattutto sui bambini. Secondo l'Unicef sarebbero 18 le piccole vittime dall'inizio del conflitto. Resta però sempre il dubbio che l'abbondante esibizione di corpi di bambini straziati rientri nella strategia mediatica, come dimostra il caso della foto di un bimbo siriano postata dai palestinesi, come se fosse vittima degli israeliani a Gaza. Gli israeliani comunque avrebbero decimato per sbaglio la famiglia palestinese al Dalu sepolta domenica sotto le macerie della loro casa. In zona era stato segnalato Ihya Abia, il comandante del lancio dei razzi di Hamas.
Sul piano diplomatico è arrivato ieri al Cairo il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, che si recherà anche a Gerusalemme e in Cisgiordania. Nel frattempo il nuovo «sultano» turco, il premier Erdogan, ha dichiarato che «Israele sta compiendo atti terroristici a Gaza». L'Europa chiede un immediato cessate il fuoco e per il ministro degli Esteri Terzi «ci sono le premesse perché si arrivi a una tregua nelle prossime ore». In serata la telefonata di Obama a Morsi e Netanyahu: il presidente Usa ha chiesto a Hamas di fermare il lancio di razzi.

(il Giornale, 20 novembre 2012)


L'attesa dei soldati israeliani nella Striscia di Gaza

E' in corso un tentativo di arrivare al cessate il fuoco

Di fronte al rischio di un'imminente offesiva di terra israeliana nella Striscia, la tregua a Gaza sembra ancora un miraggio lontano, ma secondo una fonte palestinese a Ynet è entrata "in una fase importante". Israele ha inviato un emissario al Cairo, che è stato trasferito immediatamente dall'aeroporto alla sede dei colloqui con i mediatori egiziani.
Shaath ha definito i contatti tra Israele ed Egitto come "un tentativo serio di arrivare al cessate il fuoco". E al Cairo è atteso nelle prossime ore anche il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che dovrebbe visitare anche Ramallah e Gerusalemme. Secondo Ynet, Hamas vuole la fine degli omicidi mirati e l'allentamento del blocco navale su Gaza; mentre Israele punta a una tregua di 15 anni, allo stop del lancio dei missili, l'interruzione del contrabbando di armi e degli attacchi ai soldati di frontiera. Secondo fonti palestinesi, Israele ha minacciato che se non avrà risposte nel giro di 48-72 ore, lancerà l'offensiva di terra, accompagnata da raid aerei e navali fino a che il regime di Hamas sarà rovesciato.

(RaiNews24, 20 novembre 2012)


2o Convegno Internazionale di Evangelici d'Italia per Israele

Il 2o Convegno Internazionale EDIPI “Aliyah, una meta genetica” del 7-8-9 dicembre a Pomezia-Roma sarà ricco di contenuti. E' stata confermata la partecipazione dell'Ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, che ci parlerà della situazione politico-economica in Israele alla luce della recente recrudescenza del conflitto arabo-israeliano.
Inoltre sarà presentata in anteprima la nuova iniziativa editoriale dell'Istituto Biblico Evangelico Italiano, fondamentale per riportare l'insegnamento su Israele nei corretti binari biblici. L'autore è il prof. Rinaldo Diprose, già direttore degli studi dell'IBEI e socio fondatore di EDIPI di cui è consulente teologico. Si tratta di un manuale di studio, un vero strumento didattico, utile sia per la ricerca personale che per l'insegnamento nella chiesa; allegato ci sarà un "Libretto degli esami" da utilizzare all'occorrenza con test molto agili.
Il corso "Israele e la chiesa" (IBEI Edizioni), di Rinaldo Diprose, si divide in due parti principali.
Le prime sei lezioni presentano l'Israelologia biblica e l'insegnamento biblico su quello che dovrebbe essere il rapporto fra Israele e la Chiesa. Nelle lezioni 7-9 vengono esaminati l'origine della Teologia della Sostituzione (nei secoli II - V) e gli effetti prodotti da quest'errore teologico in altri settori del pensiero e della pratica della Cristianità. Segue una lezione sul ritorno alle Scritture, a partire dalla seconda generazione dei riformatori e, infine, una valutazione, sempre alla luce delle Scritture, della direzione che sta prendendo il dialogo giudeo-cristiano avviato dopo la Shoah.

(EDIPI, novembre 2012)


Diciassette artisti internazionali modellano la luce al Museo della Ceramica di Mondovì

Le lampade di Chanukkah del Museo ebraico di Casale Monferrato a Mondovì. La mostra si inaugura sabato 1o dicembre, aperta fino al 20 gennaio 2013: diciassette artisti internazionali interpretano la channukia, candelabro ebraico

  
Una nuova mostra è in arrivo al Museo della Ceramica di Mondovì: dopo il successo de' "La fabbrica dei sogni" di Giorgio Laveri (che chiude sabato 24 novembre), sarà ancora la volta dell'arte contemporanea, con particolare riferimento alla ceramica.
Si tratta di "Forme di luce. Dal Museo dei Lumi diciassette artisti internazionali modellano la luce", che si inaugura sabato 1o dicembre alle 18,30 (e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2013) e vede esposte 17 lampade di Chanukkah (la festa ebraica delle luci) provenienti dal Musei dei Lumi di Casale Monferrato.
La mostra è a cura di Christiana Fissore, in collaborazione con Claudia De Benedetti e Elio Carmi.
Le lampade presenti a Mondovì sono state selezionate dalla collezione di oltre cento "lumi" del Museo ebraico casalese, prediligendo le creazioni in ceramica: in questo modo si viene ulteriormente a marcare la matrice culturale ebraica del Museo (nato su iniziativa di Marco Levi, ultimo rappresentante della comunità ebraica monregalese, scomparso nel 2001) e lo storico retaggio ebraico di Mondovì, che ci ha lasciato una preziosa sinagoga nel quartiere di Piazza.
La chanukkiah, tipico candelabro a otto bracci (più uno per l'ampolla di olio), è stata reintepretata da numerosi artisti di fama: in particolare i pezzi presenti in mostra a Mondovì sono quelli creati da Mimmo Paladino, Arman, Roland Topor, Ugo Nespolo, Antonio Recalcati, Emanuele Luzzati, Roberto Barni, Elio Carmi, Enrico Colombotto Rosso, Vincent Maillard, Georges Jeanclos, Silvio Vigliaturo, Luigi Mainolfi, Giosetta Fioroni, Marco Silombria, Margherita Levo Rosenberg, David Gerstei.
Le opere sono di grande pregio e originalità, oggetti pieni di fascino e rivisitati con gli occhi dell'artista, che spesso ha reinventato una nuova forma per quell'oggetto che ce l'ha già.
La festa di Chanukkah ricorre nel mese di dicembre del calendario italiano (quest'anno si festeggia dall'8 al 16 dicembre) e ricorda l'epopea dei fratelli Maccabei, che nel II secolo A.C. guidarono la rivolta del popolo ebraico della Giudea contro il regime della monarchia seleucide della Siria.
Il Tempio di Gerusalemme era stato profanato e saccheggiato; dopo la vittoria contro l'oppressore venne riaccesa la menorah, simbolica lampada a sette bracci che deve rimanere permanentemente accesa nel Tempio, alimentata da puro olio d'oliva. L'olio era appena sufficiente per una sola giornata, ma durò miracolosamente per otto giorni, giusto il tempo necessario per produrre nuovo olio puro.
Da allora, per celebrare la vittoria contro l'oppressore e il miracolo dell'olio per otto giorni viene acceso un candelabro a otto bracci chiamato chanukkiah, ogni giorno un lume in più rispetto al giorno precedente.
La festa ricorda simbolicamente anche il contrapporsi della luce e delle tenebre, quasi a ricordare il valore universale della rinascita della luce.
La Mostra vuole essere anche un omaggio alla memoria di Marco Levi, ideatore e fondatore del Museo, ultimo ebreo della storica Università Israelitica di Mondovì, che accendeva sempre la "sua" chanukkiah, che farà parte della Mostra, e la esponeva ben in vista dietro la finestra della sua abitazione verso Piazza Statuto, oggi Piazzetta Marco Levi.

(targatocn, 20 novembre 2012)


Quel missile su Gerusalemme che non dimenticheremo

di Pierpaolo Pinhas Punturello

Per gli ebrei è la città santa, per Hamas solo un semplice obiettivo da distruggere
Eravamo alla seconda strofa del canto mistico Yedid Nefesh, il pyut che in alcuni riti accompagna il pubblico verso l'accoglienza dello Shabbat. Stavamo per concluderla, richiamando la gioia eterna che avrebbe avvolto l'anima quando il gelo ha fermato le nostre voci.
Il gelo della sirena. Il gelo del segno di un inverno nel quale gli abitanti del Sud di Israele si trovano ormai da anni. La mia prima sirena.
Il primo trauma non solo per me ma per molti abitanti di Gerusalemme colpiti nell'immaginario prima ancora che nelle loro vite da quella che gli analisti hanno sottolineato come una grande novità militare: il coinvolgimento dell'aerea di Gerusalemme nel lancio dei missili di Hamas. Durante il lungo suono della sirena personalmente non ho avuto tempo di analisi storiche o militari. Ho a malapena continuato a respirare, a cantare, a prendere per mano mio figlio Joshua e portarlo, per quanto serenamente, nella sala antimissile della costruzione nella quale ci trovavamo. Nessuno, tra coloro che stavano pregando, ha interrotto il suo canto: testardamente, in lacrime, serenamente, con rabbia, con tristezza, con angoscia, nessuno ha cambiato il proprio tono. Un codice sottile di sguardi però univa tutti nell'ansia del momento e nel pensiero fatale: "Sanno arrivare anche a Gerusalemme!"
Chi legge questa frase senza una adeguata consapevolezza potrebbe pensare ad un gruppo di abitanti viziati della capitale che hanno sempre considerato la guerra come una cosa da "Sud" di Israele, un problema di Beer Sheva, Ashkelon, Ashdod, Sderot… le cose non stanno in questo modo. Il trauma della sirena a Gerusalemme è indice di molte altre riflessioni, di un vento freddo che improvvisamente ha spalancato in una sola volta, con un solo soffio alcune delle innocenti certezze degli abitanti della capitale.
Gerusalemme non è una città santa per gli arabi. Non è nei loro pensieri come è nei nostri, non è nelle loro preghiere come nelle nostre, non è nei loro cuori come nei nostri, non è sulla loro lingua come nella nostra. Gerusalemme non ha per loro nessun diritto inalienabile, Gerusalemme per loro è un obiettivo come un altro, come lo fu per l'imperatore Adriano, pagano e romano, che la rase al suolo perché per lui era solo una città nemica, non Gerusalemme.
Gli arabi voltano le spalle a Gerusalemme quando pregano per indirizzarsi verso la Mecca. Hamas è pronta a sparare su Gerusalemme, pronta anche a sparare sulla moschea dalla cupola d'oro, sui fratelli mussulmani che vivono ad Est pur di tentare di ammazzare un nemico non mussulmano di Gerusalemme ovest. Quanta distanza etica tra questo approccio e quello di chi cerca, come Israele, di colpire solo obiettivi militari.
Gerusalemme non è per il mondo arabo un respiro dell'anima, uno stato del pensiero, un sospiro atavico. Da venerdì scorso i palestinesi di Hamas hanno dimostrato al mondo che Gerusalemme è un obiettivo militare. Come Sderot, come Ashkelon, senza alcuna differenza. Che il mondo segni e ricordi questa data, che il mondo tenga impresso nella mente questo missile quando ai prossimi negoziati di pace verrà risollevata la "questione di Gerusalemme". Che il mondo cristiano e cattolico in particolare ricordi il silenzio del Pontefice nell'Angelus di questa domenica 18 novembre 2012, perché dopo due giorni, dal missile che ha minacciato il cuore delle nostre tre fedi, dal cuore di Roma non è stata detta una parola per Gerusalemme ed a difendere, questo luogo, le nostre fedi ed il nostro cuore, restano solo gli ebrei e la loro santa testardaggine. Una difesa che non è solo nostra, ma salvaguardia ogni singola libertà della quale godiamo in Occidente, a cominciare da quella di religione. Perché Gerusalemme è capitale indiscussa di Israele, ma è pupilla dell'occhio del mondo, suo cuore, suo respiro eterno.

(Roma ebraica, 19 novembre 2012)


Sondaggio: 84% degli israeliani a favore dell'operazione contro Gaza

TEL AVIV, 19 nov - L'84% degli israeliani appoggia l'operazione 'Colonna di nuvola', contro un 12% che la rifiuta: questo il risultato di un sondaggio condotto dal quotidiano Haaretz e pubblicato al sesto giorno dell'operazione aerea sulla Striscia. A schierarsi per un attacco via terra su Gaza è solamente il 30% del campione di israeliani consultato dal giornale, mentre il 39% intende continuare solo con gli attacchi aerei. A chiedere l'immediato cessate il fuoco è il 19% della gente. Il 63% del campione non pensa ci sia un collegamento tra l'attacco alla Striscia e le elezioni politiche di gennaio, mentre il 28% ritiene che le due vicende siano unite. "Israele - commenta il giornale - da così un chiaro segno di approvazione alla leadership che ha ordinato e diretto l'operazione, ovvero il premier Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Ehud Barak".

(ANSAmed, 19 novembre 2012)


La testimonianza da un kibbutz al confine con Gaza dove piovono missili

di Pietro Vernizzi

  Una casa nel kibbutz Ruhama
Il suo kibbutz si trova a 12 chilometri dalla Striscia di Gaza e i missili lanciati da Hamas continuano a cadere a poca distanza dalla sua abitazione. Asa Lebel vive vicino a Sderot, una delle città nel sud dello Stato ebraico più colpite dai razzi Fajr-5 di fabbricazione iraniana. La campagna nella quale si trova Lebel per fortuna non è presa di mira come le aree urbane, e il cittadino israeliano spiega di non avere paura per la sua vita ma di provare molta tristezza per quanto sta avvenendo in queste ore.

- Lebel, che cosa ne pensa dell'escalation tra Hamas e Israele?
  Ritengo che quanto sta avvenendo sia molto triste per entrambi i popoli, ma Hamas ha messo Israele in una situazione tale da non lasciargli più scelta costringendolo a rispondere. Il kibbutz di Ruhama nel quale vivo si trova vicino a Gaza e ci arrivano continuamente dei missili. Nessun altro Stato al mondo permetterebbe questa continua aggressione senza reagire. Ricordo che nel sud di Israele vive oltre un milione di persone, cioè circa il 20% della popolazione dello Stato ebraico.

- Quanto vicino cadono i missili rispetto alla sua abitazione?
  I razzi cadono molto vicino, ma per fortuna finora non hanno colpito le strutture all'interno del mio kibbutz.

- Teme per la sua vita?
  Non ho paura. L'unico mio sentimento è la tristezza: sono triste sia per la popolazione del Sud di Israele, sia per la maggioranza degli abitanti di Gaza, che di certo non vogliono questo conflitto.

- La maggioranza degli israeliani è d'accordo con la reazione di Benjamin Netanyahu contro Gaza?
  Assolutamente sì. Una maggioranza altissima della popolazione, quasi la totalità, sostiene completamente l'attuale reazione del governo Netanyahu. Gran parte delle persone è certa del fatto che Hamas ha scatenato la guerra contro Israele, e le nostre autorità non avevano altra scelta che reagire.

- Il suo kibbutz non è molto lontano da Gaza. Che cosa ne pensa dei suoi vicini palestinesi?
  Considero i palestinesi uguali a qualsiasi altro essere umano, ritengo che non ci sia alcuna differenza e auguro loro qualsiasi bene possibile. Spero soltanto che la loro leadership diventi a sua volta in grado di vedere gli israeliani come degli esseri umani.

- Lei dice che israeliani e palestinesi sono uguali, ma finora sono morti tre israeliani e 59 palestinesi. Non pensa che ci sia una grande differenza?
  Sarebbe una grande differenza se non fosse stato necessario. Ma guardiamo a quello che sta realmente accadendo: Hamas sta lanciando dei missili il cui obiettivo specifico è la popolazione nelle grandi città ebraiche. Per fortuna io mi trovo in un piccolo kibbutz, che finora è stato risparmiato dai missili, ma Sderot, Ashdod o Ashkelon sono colpite di continuo. Significa che Hamas vuole uccidere il maggior numero possibile di israeliani. D'altra parte Israele ha la potenza e la tecnologia per fare altrettanto ai palestinesi, ma si sta limitando a compiere un'operazione chirurgica, cercando di minimizzare le perdite civili tra gli abitanti di Gaza.

- E lei chiama "operazione chirurgica" l'uccisione di donne e bambini?
  Nello Stato ebraico le vittime sono state di meno che a Gaza solo perché Israele ha una difesa antiaerea con la quale abbatte i missili, e i suoi abitanti sono molto più addestrati a mettersi in salvo nei rifugi ogni volta che scattano gli allarmi. L'unica vera sproporzione in quanto sta avvenendo è che i palestinesi stanno puntando in modo intenzionale i loro missili contro il territorio ebraico, e ogni giorno ci sono oltre 150 razzi indirizzati sulle grandi città israeliane, dove si trova la maggioranza della popolazione civile.

- Dopo i fatti di queste ore, spera ancora nella pace per il futuro del suo Paese?
  Spero nella pace e in un cessate il fuoco, nella possibilità che entrambi i popoli possano trovare un po' di quiete e che la tregua duri per lungo tempo. Ma di fronte a un'ideologia estremista come quella di Hamas, che crede nella distruzione dello Stato di Israele, purtroppo ci sono davvero poche speranze per la pace.

- Quindi lei desidera la pace, ma non ci spera veramente ...
  Non è vero. Dobbiamo andare nella direzione della creazione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese. Il presidente dell'Autorità Palestinese in Cisgiordania, Abu Mazen, rappresenta un'ideologia e una prospettiva politica che ci dà una speranza nel fatto che la pace possa essere raggiunta.
   La speranza è davvero l'ultima a morire


(ilsussidiario.net, 19 novembre 2012)


Tel Aviv: le sirene suonano, ma la paura non vince

TEL AVIV - Le sirene d'allarme continuano a suonare a Tel Aviv nei giorni della vera e propria guerra aerea che si combatte intorno alla Striscia di Gaza. Nella sola giornata di domenica su Israele sono stati lanciati 125 razzi, quasi tutti intercettati dal sistema di difesa dello Stato ebraico, e almeno due di questi erano diretti a Tel Aviv. Nella città più cosmopolita del Paese la vita continua apparentemente senza differenze, ma qualche abitante comincia a porsi delle domande.
"Certo che penso ai razzi - spiega un uomo - ho scoperto che sono enormi, lunghi come un autobus e poi che fanno, esplodono? Mi trovo a pensare a cose che non credevo appartenessero al mio mondo".
C'è però anche chi non rinuncia a scherzare, in perfetto stile israeliano, sulla minaccia incombente. "Non sentivo le sirene da tanto tempo - racconta un altro abitante di Tel Aviv - e personalmente la cosa non mi dispiace, crea un'atmosfera di azione. Ma so che parlerei in modo molto diverso se fossi un abitante di Sderot: lì gli abitanti sono davvero degli eroi".
Al di là dell'ironia, la tensione in Medioriente è sempre più alta. Gli israeliani, comunque, sostengono per la stragrande maggioranza l'operazione militare in corso e non manca chi, come il figlio dell'ex premier Sharon, chiede di "radere al suolo Gaza".

Video

(TMNews, 19 novembre 2012)


Vernice rossa contro la sinagoga di Parma

di Laura Frugoni

Imbrattato l'ingresso della sede della Comunità ebraica in vicolo Cervi: indagano la Digos e la scientifica

L'ingresso della sinagoga di Parma
PARMA - La sinagoga di vicolo Cervi imbrattata con la vemice rossa. Una pioggia scarlatta che la notte scorsa ha inondato il portoncino blindato, è colata sul marciapiedi, sugli infissi, sui muri. E' comparsa anche una scritta: le primee tre lettere di una parola monca («sto»). Chi la stava scrivendo si dev'essere.accorto della telecamera che sorveglia l'ingresso della sinagoga e ha rinunciato all'ultimo momento.
Ad avvertire i responsabili della Comunità ebraica di Parma sono stati gli uomini della Digos, arrivati ieri mattina in vicolo Cervi con la polizia scientifica: con il conflitto tra Israele e Gaza tomato drammaticamente a infiammarsi negli ultimi giorni, toma l'esigenza di proteggere gli obiettivi sensibili. Come le sinagoghe.
Sabato pomeriggio a Parma, come in molte città d'ltalia, c'era stata una manifestazione di solidarietà per i palestinesi. Sotto i portici del grano erano comparsi manifesti contro «Israele terrorista». TI tempio - che sta a due passi da piazza Garibaldi - era stato discretamente sorvegliato fino a tardi: non era successo niente. Chi ha azzardato quel lancio dev'essere arrivato parecchie ore dopo nel vicolo. A mezzogiomo la vernice era ancora fresca.

*

Il precedente: quelle svastiche incise nel legno con un cacciavite

«Per noi questa è la prima volta. In passato qualcosa era successo, ma sempre piccole cose», fa notare il vice presidente della Comunità. Scrutando i muri intorno alla sinagoga qualche disegnino di troppo lo scopri, ma non pare roba preoccupante. C'è anche una stella di David. Da molto tempo il tempio di vicolo Cervi non veniva profanato da veli atti vandalici. L'ultima volta successe otto anni fa, novembre 2004: qualcuno incise con un cacciavite due svastiche sulla porta della sinagoga. Tutto un altro gesto rispetto alla vernice rossa lanciata l'altra notte: qui si sconfinava nell'odio razziale, nel fanatismo o semplicemente nella totale idiozia. Il responsabile rimase un fantasma e comunque la profanazione non venne sottovalutata dalla città; tra i rappresentanti delle istituzioni si levarono diverse voci a bollare la gravità di un gesto che non feriva solo la comunità ebraica, ma la coscienza civile di tutti.

*

«Noi nel mirino per gli eventi in Medio oriente»

«E' sicuramente un gesto da mettere in stretto rapporto con quel che sta succedendo tra Israele e Gaza, non credo affatto sia riferito alla comunità ebraica di Parma».
Il vice presidente Riccardo Joshua Moretti scandisce a voce alta un pensiero condiviso da tutti gli altri che ieri mattina sono accorsi davanti alla Sinagoga violata.
La dietrologia dell'atto vandalico pare fin troppo facile. E perònel drappello che si raccoglie intorno al portone inzaccherato di vernice color sangue, insieme alla preoccupazione si respira anche un certo stupore.
«Siamo una delle più piccole comunità d'Italia, 24 persone in tutto. Questa sinagoga è stata costruita nel 1866. Raramente abbiamo avuto problemi, Parma è sempre stata rispettosa nei nostri confronti, ma purtroppo queste cose vanno al di là della convivenza pacifica».
E' una storia che Moretti conosce ormai a menadito («e si .spera sempre che non degeneri mai»): quando i venti di guerra tornano a soffiare in Medioriente, in Europa si accende facilmente la miccia del vandalismo e della violenza.
Ci tiene anche a rimarcare «la collaborazione straordinaria con le forze dell'ordine: francamente da loro non possiamo pretendere di più...».
Il problema della sicurezza però in vicolo Cervi resta e nessuno minimizza. Giusto tre settimane fa da Roma era arrivato il responsabile della sicurezza per un sopralluogo.
Il portone che è stato imbrattato l'altra notte è blindato e a proteggere il tempio c'è anche un'altra porta con la vetrata antiproiettile. Di fianco all'ingresso svetta una telecamera ed è stata proprio quella, l'altra notte, a fermare gli imbrattatori: la vernice devono averla lanciata con un sacchetto restando all'imbocco del borgo dalla parte di piazzale Cervi (sul selciato è rimasta la scia delle goccioline rosse). In quel punto non potevano essere inquadrati, ma, quando si sono spinti davanti al portone la presenza dell'occhio elettronico li ha fatti desistere.
Una protezione comunque insufficiente, a sentire le voci del gruppetto che s'è radunato: manca un sistema d'allarme e ci vorrebbero le sbarre alle finestre.
Preoccupati di ripulire tutto al più presto, ma anche con il cuore e la mente lontani da qui, alla guerra riesplosa in Medio Oriente. «Sembra di essere ripiombati ai tempi della Guerra del Golfo».
Alon Arohef pensa a sua madre che abita aTei Aviv: «L'ho sentita anche stamattina: ha dormito in un corridoiointerno della casa. Un modo per proteggersi un po' di più, seppure una protezione esile. Quando l'altro giorno le sirene si sono alzate per la prima volta, la gente non ci credeva che fosse per i missili: ha pensato che fosse un'esercitazione».

(Gazzetta di Parma, 19 novembre 2012)


Vita nei rifugi antimissile israeliani

Ai bambini è insegnato ad intonare canzoni al ritmo delle sirene che suonano l'allarme. Anche il gioco serve a sconfiggere la paura e l'ansia.


(Il Borghesino, 18 novembre 2012)


Radio Hamas in mano a Israele

Inviati messaggi ai palestinesi: state alla larga da Hamas

GAZA, 18 nov - Sfruttando una netta superiorita' tecnologica l'esercito israeliano si e' oggi impadronito a Gaza della frequenza 106.7 utilizzata da radio al-Aqsa di Hamas e ha mandato alla popolazione palestinese perentori messaggi, in buon arabo. ''State alla larga - e' stato detto - dai miliziani di Hamas, che giocano con le vostre vite''. L'attacco ai grattacieli utilizzati dai mass media stranieri a Gaza e' stato duramente condannato dall'Associazione della stampa estera in Israele

(ANSA, 18 novembre 2012)


Israele posiziona verso la frontiera palestinese carri armati e truppe

Rafforza le difese Israele, contro i lanci di razzi palestinesi. L'esercito ha attivato anche la quinta batteria di Iron Dome, nei dintorni di Tel Aviv. Il sistema anti-missile, del costo di quaranta milioni di euro, era previsto che entrasse in funzione a partire dal 2013.
I lanci da Gaza proseguono peró senza sosta. Tre soldati sono rimasti feriti in prossimità della frontiera palestinese, mentre i razzi hanno raggiunto anche la città di Ashdod. Cinque i civili feriti in modo lieve. Secondo il portavoce dell'esercito israliano le altre quattro batterie anti-missile, posizionate alla frontiera con Gaza, stanno intercettando i razzi, di cui 222 sarebbero stati neutralizzati.
Al tempo stesso Israele ha richiamato con urgenza in servizio i riservisti. Dei 75 mila mobilitati, già 20 mila hanno raggiunto le proprie unità militari.
"Sto bene - dice Doron, soldato israeliano - Siamo venuti ad aiutare per qualsiasi evenienza e faremo quello di cui c'è bisogno".
"Sono un po' agitato - aggiunge Ihab, riservista - ma non è stato un problema lasciare la mia casa. Sono uscito per venire qui e basta".
Oltre a truppe in assetto militare, verso la frontiera della Striscia di Gaza, Israele sta ammassando carri armati e bulldozer. Tutti elementi che rendono sempre più probabile l'inizio di una vasta operazione di terra.

Video

(euronews, 18 novembre 2012)


Israele ha subìto 44 milioni di cyber attacchi

Il governo ha ammesso oggi di essere stato bersagliato più volte dai pirati informatici da quando sono riprese le ostilità aperte con i palestinesi

Il fronte palestinese non è l'unico sul quale Israele si trova impegnato in questi giorni. Il governo ha ammesso di essere stato bersagliato, dall'inizio dell'offensiva a Gaza, da milioni di cyber-attacchi condotti da pirati informatici contro i siti web delle istituzioni pubbliche.
E' il ministro delle Finanze, Yuval Steinitz a dare l'allarme: "Il governo israeliano attualmente è impegnato in una guerra su un "secondo fronte, quello dei cyber-attacchi contro Israele". Negli ultimi quattro giorni, Israele ha "intercettato 44 milioni di cyber-attacchi contro i siti web del governo. Tutti gli attacchi sono stati sventati, tranne uno che aveva colpito un sito internet che è rimasto paralizzato per sei o sette minuti", ha aggiunto il ministro.
Ieri i pirati informatici del gruppo Anonymous avevano annunciato di avere bloccato i siti di decine di organizzazioni israeliane. Il collettivo hacker aveva lanciato due giorni fa l'operazione #OpIsrael in sostegno ai palestinesi di Gaza, ha inoltre annunciato d'aver oscurato già oltre 9.000 siti web israeliani e di aver "cancellato il database di Bank of Jerusalem", uno dei principali istituti finanziari, e del ministero degli Esteri.

(TGCOM24, 19 novembre 2012)


«La mia Gerusalemme sotto attacco»

di Lorenzo Bianchi

«Il traffico è poco, come sempre di sabato. La gente è tornata con calma alle occupazioni di sempre». Sergio Della Pergola, 70 anni, il demografo più noto di Israele, racconta la sua città, Gerusalemme, dopo il primo attacco con un missile sparato dall'esercito di Hamas. «Certo, c'è apprensione. Ma quasi tutti hanno grande fiducia nel sistema antimissile Kipat Barzel, impropriamente tradotto 'Cupola di ferro'. La percentuale di intercettazioni è dell'80 per cento. È in grado di distinguere i razzi che atterreranno in aree disabitate da quelli che possono fare vittime. Anche oggi ne ha polverizzato uno a Tel Aviv». Il professore ieri è andato regolarmente alla sinagoga italiana della Città Santa: «Era più affollata del solito, per la cerimonia di Bar Mitzvah, la maturità religiosa, di Gai, tredici anni, un ragazzino di famiglie molto note arrivate qui negli anni Trenta. Non è mancato il Kiddush, il ricevimento con la benedizione del vino. È un sabato come tanti altri. Certo nel sud è molto diverso, la vita è scompaginata, si sta nei rifugi per molte ore al giorno». L'arrivo di un missile nei pressi di Gerusalemme è stato il brusco risveglio dall'illusione che l'alto numero di abitanti palestinesi fosse una sorta di scudo. «Dimostra — dice Della Pergola — progressi nella tecnologia di Hamas, e che Gaza non è isolata. Attraverso i tunnel arrivano missili, benzina e derrate. Dall'operazione Piombo Fuso di quattro anni fa sono caduti su Israele 6mila razzi».
Su un attacco di terra è cauto: «Entrare in massa a Gaza significa per forza coinvolgere la popolazione civile, suscitare lo sdegno dell'opinione pubblica anche internazionale. Subentra un calcolo dei costi e dei benefici. Il richiamo di tanti riservisti, in sostanza, per ora è solo una minaccia».

(Quotidiano.Net, 18 novembre 2012)


Gli ebrei romani in preghiera: per la pace e contro la disinformazione

E, intanto, il loro forum chiude: "Troppi infiltrati"

di Marco Pasqua

   
Una veglia di incontro e preghiera per i fratelli israeliani impegnati in una guerra che la comunità ebraica romana segue, ora dopo ora, con apprensione e angoscia. E' un conflitto che spaventa, ancora una volta, e al quale gli ebrei della capitale hanno deciso di rispondere riunendosi in preghiera nella Sinagoga. Un incontro, quello che si è tenuto sabato sera, per ribadire il "no" ai fondamentalismi, al disprezzo della vita umana e all'"odio seminato dai terroristi di Hamas". All'appello hanno risposto in tanti, famiglie, ragazzi, anziani, che nel Tempio Maggiore hanno voluto far sentire la loro vicinanza a chi ha reagito ai razzi lanciati da Gaza, in difesa dei cittadini di Israele. Tanti avevano la bandiera di Israele sulle spalle, altri mostravano volantini in cui si attaccava una parte della stampa italiana per non aver fornito informazioni corrette sul conflitto. "Cari giornalisti - si leggeva su un manifesto posto all'ingresso della sinagoga - 'Israele non attacca, semmai risponde'".
   Una guerra che, in questi giorni, è arrivata a far sentire la sua eco anche sul web. La comunità ebraica romana ha, infatti, deciso di chiudere temporaneamente il forum di discussione interno. Pagine virtuali utilizzate per confrontarsi sui problemi, per discutere (anche di politica) oppure anche solo chiedere suggerimenti sui luoghi dove comperare cibo kasher. Una decisione sicuramente drastica presa, come ha spiegato il presidente della comunità, Riccardo Pacifici, perché da qualche tempo "si era notata la presenza di strani personaggi, con nomi apparentemente della comunità, ma dietro ai quali si celavano degli infiltrati". Il timore, tra i ragazzi che gestiscono quelle pagine - a partire dall'anima e motore del forum, Alex Zarfati - è che dietro ad alcuni nickname vi potessero anche essere dei neonazisti, a caccia di "informazioni". Un nome che riecheggia è quello di Mirko Viola, il moderatore del forum neonazista Stormfront finito in manette venerdì scorso e che, negli ultimi mesi, ha più volte commentato (con insulti) il sito ufficiale della comunità ebraica. La chiusura è comunque provvisoria. "Dalla prossima settimana riapriremo il forum - spiega Pacifici - ma facendo molta più attenzione alle persone che si registrano. Diciamo che il meccanismo di filtro sarà molto più rigido". Inoltre, sarà anche lanciato il "Progetto Dreyfus": un sito di notizie su Israele al quale hanno già aderito alcuni portali storici dell'ebraismo italiano (come Informazione Corretta e Focus on Israel), e il cui obiettivo "sarà quello di dare informazioni precise e puntuali - sottolinea Pacifici - da più punti di vista. Ospiteremo posizioni interventiste ma anche più pacifiste, ma sempre in modo da dare una visione corretta di cosa sta accadendo nel Paese".
   A scendere in campo contro la "disinformazione dei media" sono stati anche l'ambasciatore d'Israele in Italia Naor Gilon e il rappresentante diplomatico di Gerusalemme presso la Santa Sede, Zion Evrony, entrambi presenti in sinagoga. "Israele - ha detto l'ambasciatore - è stato costretto ad agire per porre fine a una situazione divenuta insostenibile. L'atteggiamento di chi non vuole vedere è una vergognosa ipocrisia che deve essere denunciata con forza. Ci troviamo in questa sinagoga, così numerosi, così coinvolti e così vicini, anche per questo. In un rapporto di mutua responsabilità che rende ebrei della Diaspora e Israele un'unica famiglia". " La nostra è una battaglia - ha detto Pacifici - da vincere anche sul fronte di un'informazione che ci è spesso ostile e che tende a mistificare la realtà".
   Il rabbino capo rav Riccardo Di Segni ha ribadito che "la cultura della morte non potrà prevalere": "Il popolo di Israele non può arrendersi. Dobbiamo resistere, andare avanti, continuare a seminare frutti. Ci sarà sempre qualcuno che vorrà cacciarci e ostacolarci. L'importante è tenere duro e restare fermi nelle nostre certezze. Nessuno potrà toglierci Israele". "Noi tutti, uniti e determinati - ha detto a fine serata il presidente dell'Ucei, Renzo Gattegna - abbiamo il compito di rendere chiaro a ognuno che Israele è il fulgido esempio di uno Stato che, pur costretto a combattere per affermare il proprio diritto a esistere, non ha mai rinunciato né al rispetto dei diritti umani, né alla civiltà e al progresso civile e sociale, né alla libertà e alla democrazia, né a percorrere tutte le strade possibili per arrivare a una pace stabile e sicura". "Oggi - ha esortato Pacifici - chiediamo protezione e pace per tutto il mondo. È questo l'unica cosa che vogliamo".

(L'Uffington Post, 18 novembre 2012)


L’esercito israeliano continua i preparativi per una vasta offensiva di terra

L’esercito israeliano sta continuando i preparativi per ampliare la portata dell'operazione a Gaza e tenersi pronto per una vasta offensiva di terra. Lo ha detto il vice premier israeliano Moshe Yàalon, secondo quanto riferito dal Jerusalem Post. Yàalon si è detto "soddisfatto" della mobilitazione dei riservisti e ha riferito che il morale dell'esercito è alto. Il vice premier ha inoltre accusato Hamas di "nascondersi dietro ai civili per colpire i cittadini israeliani. Israele tenta di evitare di colpire i civili, ma è difficile", ha detto. Yàalon ha poi negato che Israele intenda rovesciare il regime di Hamas a Gaza: "Spetta ai palestinesi decidere chi li governa, non è la nostra missione. La nostra missione è fermare Hamas". "Prima abbiamo bisogno che il fuoco cessi e poi possiamo discutere qualsiasi altra cosa. Metà Israele è sotto il fuoco, questo non può andare". Lo ha detto il premier Beniamyn Netanyahu a margine di un colloquio con il ministro degli esteri francese. Alti dirigenti - citati in forma anonima da Ynet - hanno sottolineato che "se c'è una via per completare gli obiettivi della missione senza azioni di terra", sarebbe "meglio" anche per Israele. Ma hanno comunque ribadito che il Paese è pronto se necessario all'offensiva.

(la Repubblica, 18 novembre 2012)


Pallywood, la fabbrica delle foto bugiarde costruite contro Israele

Una lunga lista di immagini truccate dai palestinesi per favorire la loro causa. L'ultima: un piccolo ferito davvero, ma in Siria

di Fiamma Nirenstein

A volte si tratta di film in cinemascope e tre dimensioni, come la storia di Mohammed Al Dura, o quella di Jenin. A volte, è solo una bambina con la dermatite la cui penosa immagine viene diffusa e descritta («fonti palestinesi») spiegando che si tratta di una creatura colpita dal «fosforo bianco» che gli israeliani spargono sulle creature. Ma sempre Pallywood è.
   Mettiamoci dunque comodi in prima fila: con questa guerra, Pallywood ha ricominciato il solito spettacolo. Con tutto il rispetto per i feriti e i morti veri, e dispiace non poco per il neonato perduto dal cameraman della BBC a Gaza, di nuovo è in corso una guerra parallela, non meno importante: quella delle bugie mediatiche con cui Pallywood (l'Hollywood palestinese) delegittima Israele e vittimizza la sua popolazione civile. Già la guerra in corso sui media internazionali è stata manipolata; la sua origine, nei titoli, è la gratuita decisione israeliana di eliminare Ahmad Jabari, capo militare di Hamas. Da qui poi sarebbe seguito il lancio di missili e l'escalation. Ma come sa chi ha seguito gli eventi, l'eliminazione mirata è avvenuta solo dopo che il sud d'Israele era diventato un tirassegno in cui la popolazione civile israeliana veniva bersagliata da Gaza. Contro ogni evidenza ora i palestinesi coadiuvati dalle solite Ong (finanziate da noi cittadini ignari, come dimostra un nuovissimo rapporto di Giovanni Quer, edito dalla Federazione delle Associazioni Italia-Israele) sostengono la tesi che è Israele ad attaccare i civili, e non Hamas.
   Le foto manipolate sono il mezzo migliore: un Tablet Magazine di Adam Chandler, poi ripreso ovunque, ha mostrato un padre disperato con un bambino morto in braccio, e sarebbe accaduto sotto il fuoco israeliano. La foto è vera purtroppo, solo che si riferisce a un episodio accaduto in Siria. Un altro «documento» degli attacchi di Israele è apparso alla BBC: un signore con giacca beige e t-shirt fotografato alle 2,11 di tre giorni fa è morto. Peccato che ci sia un'altra foto delle 2,44 in cui lo stesso personaggio è ripreso mentre cammina. I morti che risorgono ebbero la loro sequenza più famosa filmata da un drone a Jenin nel 2002: la città madre di tanti attentati terroristi fu cinta d'assedio, alla fine ci furono 52 morti palestinesi e una quarantina di israeliani. Una battaglia in piena regola. Ma la propaganda palestinese sostenne che i morti erano stati un migliaio, una strage, disse Terje Larsen inviato dell'Onu «come a Srebrenica». La cronista che era sul posto non se la bevve, non era necessario credere solo alle «fonti palestinesi», basta cercarsene anche altre. Dopo la «strage», un funerale trasportava a braccia un morto su una lettiga, coperto da un drappo verde. Ma la lettiga oscillava troppo, così il morto fu costretto a saltare giù: un morto che cammina.
   Pallywood è fantasioso, c'è «una bambina palestinese che lava il sangue del fratello» (2010, blog di Noam Abed) e invece è la pulizia di un mattatoio di Ramallah; c'è un padre che secondo un inviato all'Onu, Khullood Badawi, porta la sua bambina uccisa al cimitero, ma siamo in Iraq; c'è un bambina, Asil Ara'ra di 4 anni, deceduta per ferite d'arma da fuoco, ma è una terribile foto presa in Yemen, Israele non c'entra. Chi ha dato una gran mano a Pallywood è Hezbollywood: ricordiamo durante la guerra del Libano (2006) l'ambulanza con un buco nel tetto, ma non era un foro di proiettile bensì una finzione praticata ad arte; le foto di famiglia spostate da una parte all'altra di varie rovine fumanti, insieme ai giocattoli, sempre gli stessi. E il fumo nero di esplosioni a Beirut, tutte finte, per cui venne licenziato un fotografo della Reuters. Seguiteremo a scrivere «da fonte palestinese apprendiamo che...»?

(il Giornale, 18 novembre 2012)


Israele è sotto attacco… zzzzzz… Israele reagisce: assassini!

Israele è sotto attacco; lo è da molto tempo, anche se per i media la guerra è cominciata esattamente alla prima risposta di Israele. Finché ogni giorno da Gaza partivano decine di razzi, no… tutto normale. Poi quando i lanci sono diventati quotidiani, dalle decine sono diventati centinaia, quando i già temibili razzi Grad hanno lasciato il passo ai Fajr5 iraniani, a lunga gittata, quando Israele ha deciso che non poteva sopportare più cio' che nessun Stato al mondo sopporterebbe inerte, allora per i media è "scoppiata la guerra"! E naturalmente la colpa è stata tutta del "bullo del quartiere", di quel piccolo Paese che non si vuol rassegnare a scomparire dalla faccia della terra, sotterrato dai missili e dall'odio....

(Bugie dalle gambe lunghe, 17 novembre 2012)


A Tel Aviv strade e spiagge affollate nonostante la paura

TEL AVIV - A Tel Aviv la vita continua a scorrere normalmente nonostante l'escalation di violenza dopo l'attacco israeliano alla Striscia di Gaza. Alcuni missili hanno anche colpito la città per la prima volta dal 1991. Le autorità hanno riaperto dopo 21 anni i rifugi in cui cittadini cercano protezione appena suonano le sirene d'allarme."I razzi sono serviti a ricordare a un milione di residenti di questo quartiere di Tel Aviv che noi siamo minacciati - dice questo ragazzo - Ma come vedete nelle strade non c'è panico, le persone continuano ad uscire"."Si deve andare fino in fondo questa volta - afferma con durezza questa donna - Altrimenti noi lanciamo un attacco, poi si ristabilisce la calma e fra due mesi si ricomincia, non possiamo continuare così. Dobbiamo colpire forte adesso per mettere fine a tutto questo una volta per tutte".

(TMNews, 17 novembre 2012)


Iron Dome, come funziona il sistema antimissile israeliano che sta salvando Tel Aviv

di Gianandrea Gaiani

Il sistema di Difesa Iron Dome
Gli sporadici lanci di razzi iraniani Fajr-5 contro Gerusalemme e Tel Aviv costituiscono una notizia al tempo stesso buona e cattiva per Israele. L'aspetto preoccupante è rappresentata dal fatto che Hamas e la Jihad Islamica palestinese dispongono ancora di questi razzi a lungo raggio, imprecisi ma in grado di colpire fino a 75 chilometri di distanza. I primi raids aerei israeliani nei giorni scorsi hanno preso di mira proprio i depositi di Fajr-5 segnalati dalla ricognizione aerea e soprattutto dagli informatori palestinesi dell'intelligence di Gerusalemme.
   La notizia positiva è che di questi razzi non devono esserne rimasti molti a giudicare da come i lanci vengono centellinati dai palestinesi in un contesto che vede invece un intenso impiego di ordigni più piccoli e con minore gittata, dagli artigianali Kassam (5/12 chilometri di raggio d'azione) ai Grad da 122 millimetri (20/40 chilometri a seconda delle versioni). In tre giorni di conflitto infatti Hamas e i suoi alleati hanno già lanciato contro Israele circa 600 razzi cioè lo stesso numero di ordigni che impiegarono nei 24 giorni dell'operazione "Piombo fuso", tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009. Un dato che la dice lunga sul riarmo effettuato da Hamas in questi anni grazie agli amici iraniani e sudanesi ma anche grazie all'aiuto dei trafficanti che hanno fatto arrivare a Gaza molte armi prelevate dai depositi di Gheddafi durante la guerra civile libica.
   Circa un terzo dei razzi lanciati da Gaza è stato intercettato dal sistema di Difesa Iron Dome e si trattava certamente degli ordigni che avrebbero provocato più danni e vittime poiché il radar dello "scudo" israeliano calcola la traiettoria del razzo valutando se intercettarlo per evitare che cada in aree abitate o lasciarlo andare se destinato a colpire zone disabitate. Non si tratta solo di sofisticazione tecnologica ma di una forma di risparmio non indifferente poiché Il gioiello tecnologico realizzato dalle aziende israeliane Elta e Rafael (con un contributo finanziario statunitense pari a 275 milioni di dollari) utilizza un missile intercettore Tamir molto rapido e preciso ma che costa circa 30 mila dollari a esemplare e viene utilizzato solitamente per distruggere razzi del valore di poche migliaia di dollari, a volte anche meno come nel caso dei rudimentali Kassam prodotti con 800 dollari al pezzo.
   L'Iron Dome è operativo da oltre un anno lungo i confini con Gaza e con il Libano (a difesa dai razzi di Hezbollah) ma in queste ore una batteria è stata spostata nell'area metropolitana di Tel Aviv. Le iniziative militari israeliane non sono certo solo difensive. Oltre al migliaio di missioni aeree effettuate su Gaza si infittiscono i segnali che indicano l'imminenza di un'offensiva terrestre contro Gaza. Il comando militare israeliano ha avvertito la popolazione del sud a prepararsi ad almeno sette settimane di battaglie, una tempistica compatibile con una lunga e meticolosa campagna terrestre tesa a smantellare le capacità militari dei gruppi armati palestinesi presenti a Gaza. La mobilitazione iniziale di riservisti, 16 mila richiamati in servizio più altri 14 mila in preallarme, poteva risultare compatibile con un'operazione ad ampio respiro nella Striscia di Gaza.
   L'annuncio di una mobilitazione ampliata a 75 mila riservisti cambia però la valutazione sulle possibili opzioni militari di Israele. Certo potrebbe trattarsi di un bluff per impressionare i palestinesi e soprattutto gli egiziani sempre più palesemente schierati con Hamas ma la mobilitazione di così tanti riservisti fa pensare che Israele si prepari a una guerra vera e propria più che a un'operazione a Gaza. Basti pensare che quattro anni or sono per l'operazione "Piombo Fuso" vennero richiamati 10 mila riservisti mentre nel 2006 la campagna nel sud del Libano ne vide mobilitati beh 60 mila. Secondo la Jihad islamica le minacce di Israele di lanciare un'incursione terrestre a Gaza e la decisione di richiamare 75.000 riservisti sono azioni di guerra psicologica ma anche questa valutazione, rilasciata dall'alto esponente della Jihad Ahmad al Mudallal all'agenzia iraniana Fars, potrebbe indurre Gerusalemme a cogliere di sorpresa gli avversari. Penetrando in forze a Gaza e rinforzando le postazioni al confine col Sinai egiziano a scopo di deterrenza contro eventuali iniziative militari del Cairo.

(Il Sole 24 Ore, 17 novembre 2012)


Times: questo fine settimana l'offensiva di terra a Gaza

Fonti militari israeliane: siamo pronti a muoversi in un'ora

ROMA, 17 nov. - Alti ufficiali dell'esercito israeliano ritengono che l'offensiva di terra a Gaza inizierà questo fine settimana. Stando a quanto riferito da queste fonti al quotidiano britannico The Times, le forze armate hanno ricevuto l'ordine di prepararsi "ad essere pronti al massimo livello". Le incursioni aree di questi giorni sono servite anche a creare corridoi per l'incursione delle truppe, hanno aggiunto. "Stiamo creando un corridoio, l'area di incursione per le nostre truppe per iniziare a muoverci a Gaza quando arriverà l'ordine - ha detto un alto ufficiale del comando meridionale delle forze israeliane - aspettiamo il via libera questo fine settimana". "Il nostro attuale livello di mobilitazione è tale che quando l'ordine arriverà, potremo muoverci nell'arco di un'ora", ha detto un'altra fonte. Ieri sera, il governo israeliano ha autorizzato la mobilitazione di 75.000 riservisti.

(TMNews, 17 novembre 2012)


Su Gerusalemme piovono i razzi. Su Israele l'odio

di Fiamma Nirenstein

La mia amica Ruthie che vive al centro di Gerusalemme credeva che fosse la sirena che annuncia l'ingresso di Shabbat, quando la gente si sorride, augura Shabbat Shalom, popolo di Israele, un sabato di pace. Invece era la sirena che annuncia l'arrivo di un missile, chissà in che punto, chissà che cosa, chi colpirà, corri, hai quindici secondi per trovare un tetto di cemento. Ruthie ha capito dopo un po' che quella sirena era troppo lunga, troppo ululante, e che lei era troppo lontana da un rifugio, così si è accucciata sotto le scale come consiglia la radio. L'ultima volta che Gerusalemme è stata colpita, nel 1990, i palestinesi sui tetti, nonostante i loro fratelli vivano in una parte di Gerusalemme, invitavano Saddam Hussein a colpire. Adesso si odono spari e botti di gioia da Gerusalemme est perché gli ebrei vengono colpiti. È dalla fondazione dello Stato che a causa di un odio tetragono, religioso, e anche di una irresponsabile incomprensione da parte occidentale delle ragioni di Israele, che esso combatte assalitori pieni d'odio da ogni parte. Difficile spiegarsi perché il mondo non capisca. Non si dica che la situazione è complessa; essa è invece semplicissima, e solo la malafede può impedire di elencare cronologicamente la successione degli eventi: centinaia di missili da Gaza, due milioni di persone sotto il fuoco, una reazione di difesa che qualunque Paese avrebbe doverosamente avuto. Adesso una parte sola ha in mano le chiavi della pace, ed è Hamas: se cessasse il lancio, Israele non continuerebbe neppure per un minuto a bombardare i covi dei terroristi, i depositi di missili e le gallerie, molti posti in zone abitate. Ma neppure durante la visita di ieri del primo ministro egiziano Isham Kandil, mentre Haniyeh usciva tranquillo in strada, Hamas ha smesso di lanciare missili a valanga, e questo mentre Israele si asteneva da attacchi durante l'incontro. Israele non ha in programma, come Hamas, di distruggere il nemico, né tantomeno di provocare l'Egitto, mentre Hamas ne ha tutto l'interesse. Fu lo Stato ebraico a sgomberare Gaza; ha a cuore la vita e la salute di ciascuno dei suoi cittadini, non vuole vedere soldati feriti o morti, né bambini colpiti fra i suoi o fra quelli di Gaza. Hamas invece vuole distruggere Israele e indottrina i suoi perché divengano shahid, martiri della guerra santa, non tenendone in conto la vita e il benessere, mescolando i combattenti con i civili così da creare incidenti per cui Israele venga biasimata.
Ci vuole una laurea a capire queste semplici verità? Shabbat shalom Israele. La giornata di ieri è stata piena di simboli, il mondo islamico gode che lo speaker della radio, che interrompe continuamente i programmi per dire tzeva adom colore rosso, allarme, correte ai rifugi, elenchi con finta flemma i nomi di Gerusalemme e di Tel Aviv fra gli altri sotto il fuoco. A Gerusalemme la santa, così, la sirena si confonde con l'entrata del giorno santo: che altro può fare? E a Tel Aviv di venerdì, nel week end, vogliamo scherzare? Il missile vola da Gaza, ma tu siedi in un caffè e comincia il riposo; gli amici si affollano intorno ai tavolini carichi di bevande sotto il sole. Dov'è il rifugio, dove potrà proteggersi dall'attacco il cuore gaudente di Israele? La sirena suona, i bambini le fanno il verso mentre le madri li riacchiappano e cercano di trascinarli in un rifugio, Sderot, Ashdod, Ashkelon, Bersheeba, le città regolarmente colpite, province poco interessanti, sono ora unite a Gerusalemme e a Tel Aviv nella costrizione a guardare il cielo infuocato.

(il Giornale, 17 novembre 2012)


Torna l'ombra dei palestinesi sulla strage di Bologna

La procura: un mistero il viaggio a Roma di Abu Saleh nell'81

di Francesco Grignetti

ROMA - La notizia ha il crisma dell'ufficialità in quanto comunicata al Parlamento dal ministero dell'Interno: la procura di Bologna, nell'ambito dell'inchiesta sulla Strage di Bologna, sta indagando su un misterioso viaggio a Roma nel novembre 1981 del palestinese Abu Anzeh Saleh, uomo di riferimento in Italia dei guerriglieri marxisti del Fplp e del superterrorista Carlos.
    Un viaggio inquietante, considerando che Saleh era agli arresti domiciliari a Bologna e che fu necessaria un'autorizzazione specifica della magistratura dell'Aquila (il palestinese era stato arrestato per l'indagine sui missili palestinesi sequestrati a Ortona). E siccome all'Aquila non erano tanto d'accordo, si mosse da Bologna il giudice Aldo Gentile, che scrisse ai colleghi abruzzesi spiegando che la deroga ai domiciliari era «necessaria» alle sue indagini sulla bomba alla stazione.
    Sono passati 32 anni da quella strage, eppure le indagini della magistratura bolognese vanno avanti. E siccome ci sono dei condannati a pena definitiva (i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro), come si sa, ogni passo in avanti lungo la cosiddetta «pista palestinese», a seconda dei punti di vista scatena rabbia o speranza. C'è un deputato del Fli, Enzo Raisi, che da tempo si batte per la «pista palestinese»; le ultime rivelazioni sono legate a una sua interrogazione. Chiedeva, Raisi, se fosse vero che ad Abu Anzeh Saleh era stato concesso di lasciare i domiciliari e andare a Roma, perché si fosse mobilitato il giudice Gentile, che cosa ne sapesse il ministero dell'Interno.
    Ed ecco che il sottosegretario all'Interno, Carlo De Stefano, uno che di certe materie se ne intende essendo stato per anni il responsabile dell'Antiterrorismo, risponde che in effetti è tutto vero. Dagli archivi della corte di appello dell'Aquila, miracolosamente intatti nonostante il terremoto, è riemersa una istanza di Abu Anzeh Saleh del 22 settembre 1981 «per essere autorizzato a lasciare Bologna per poter svolgere il proprio lavoro». La richiesta è bocciata una prima volta a ottobre. Saleh ci riprova nei mesi seguenti ogni volta cambiando la motivazione. Una volta in ragione «dell'attività di intermediazione commerciale tra imprese italiane ed operatori arabi». Un'altra volta perché ha necessità di conferire con il suo avvocato difensore. Alla fine, l'autorizzazione arriva e Saleh può andare a Roma, dove rimane una decina di giorni, tra novembre e dicembre 1981.
    Ebbene, ora la procura di Bologna indaga su quel soggiorno capitolino di Saleh. L'interrogativo è ovvio: perché tanta insistenza nel lasciare i domiciliari? Chi doveva incontrare nella Capitale? Perché il giudice Gentile lo voleva a Roma? «Mi sembra abbastanza incredibile che gli sia stato concesso un permesso del genere - sostiene Raisi - per un incontro con l'avvocato. La spiegazione ufficiale non regge».
    La risposta del sottosegretario De Stefano, molto dettagliata (ed è la prima volta che finalmente le questure e gli archivi dei tribunali trovano documenti che troppo spesso dichiarano «smarriti»), al riguardo si chiude con una esplicita postilla. «Sono in corso attività investigative della questura di Bologna delegate dall'autorità giudiziaria nell'ambito del procedimento penale n. 13225/11 concernenti, tra l'altro, la posizione del cittadino Abu Anzeh Saleh e coperte da segreto istruttorio. Non risultano disponibili, pertanto, ulteriori elementi, in quanto anche i dati richiesti con lo specifico quesito posto dagli onorevoli interpellanti, sono coperti da segreto istruttorio». La vicenda non è chiusa.

(La Stampa, 17 novembre 2012)


Michael Sfaradi: è la stessa guerra che dura da 12 anni

   
Michael Sfaradi
La tregua chiesta da Israele per la visita a Gaza del premier egiziano, Hisham Qandil, è sfumata. Proseguono infatti da ieri mattina gli attacchi palestinesi da Gaza verso Israele nonostante l'annuncio del premier Benjamin Netanyahu di uno stop dei raid israeliani. Mentre Israele accusava Hamas di non rispettare la tregua proclamata in concomitanza con la visita in corso nella Striscia di Gaza del premier egiziano Hisham Qandil, il gruppo radicale palestinese a sua volta ha denunciato un nuovo raid dell'aviazione dello Stato ebraico. Per Ilsussidiario.net abbiamo contattato lo scrittore Michael Sfaradi, che ha partecipato come giornalista "embedded", al seguito delle truppe israeliane, all'operazione "Piombo fuso" del 2009. Attualmente si trova nella zona di Tel Aviv e collabora con la Tel Aviv Jounalist Association scrivendo per due testate web.
"Sono pronto per partire in caso abbiano inizio le operazioni di terra" ci dice e aggiunge: "Non sono un giornalista, ma uno scrittore. Tutto è iniziato nel 2007, quando contattai alcune redazioni per concordare recensioni per il mio primo romanzo Il sorriso della morte. Proprio in quel periodo uscì su uno dei soliti siti nazi-comunisto-islamici la famosa lista dei docenti di religione ebraica: non si trattava di critiche fondate e ragionate, ma solo di un vero e proprio atto di antisemitismo che rischiava, peraltro, di mettere in pericolo persone che non avevano mai fatto nulla di male. Quel fatto mi fece così male che chiesi alla persona con cui ero in contatto, il direttore de L'opinione della libertà, di scrivere un pezzo".

- Qual era il contenuto del pezzo?
  Una sorta di condanna, un urlo che servisse a dare la sveglia all'opinione pubblica su un imperante ritorno dell'antisemitismo. Pensavo che quello fosse un caso isolato, ma la redazione continuò a contattarmi e mi chiese altri pezzi. Ho collaborato anche con molte altre testate e sono diventato un giornalista professionista.

- Cosa ti ha spinto a seguire le truppe israeliane?
  I motivi sono molti, ma ce n'è uno che ha vinto su tutti. Durante la seconda guerra in Libano, quando furono rapiti due soldati israeliani, che tornarono cadaveri, e durante l'operazione "Muro di difesa", che portò all'azzeramento degli attentati suicidi all'interno del territorio di Israele, la stampa italiana, nella quasi totalità, non riportava mai le notizie per ciò che erano veramente.

- Disinformazione?
  Certo, la disinformazione sui media italiani, anche in questi giorni, è vergognosa. Per me stare dieci, venti o trenta passi dietro la prima linea per vivere in prima persona ciò che succedeva e vedere da vicino il comportamento dei soldati di Israele nei confronti dei prigionieri e della popolazione civile, che non ha nulla a che fare con ciò che viene raccontato in Italia, è stato il motivo per andare avanti a raccontare agli italiani la verità dei fatti. E' molto difficile destreggiarsi in un mondo come quello dell'informazione italiana, che è in mano a persone che hanno interesse a non far capire qual è l'oggettività dei fatti. Alla quasi totalità dei giornali. Ci sono decine di esempi, in cui la notizia di un attentato nei confronti di militari israeliani di stanza al confine o lanci di missili verso le città israeliane nel raggio di tiro dei Qassam è stata sistematicamente "congelata" in attesa di una risposta da parte dell'esercito israeliano, per poi mettere in prima pagina, e a pieno titolo, l'aggressione israeliana.

- La stampa italiana è filo-palestinese?
  Una parte della stampa è filo-palestinese e un'altra parte non fa ordine in ciò che scrive. E questo è grave perchè la gente, in Italia, non conosce la realtà. Il livello è da terzo mondo, altrimenti io avrei continuato la mia tranquilla carriera di scrittore.

- Quindi, la tua è una sorta di missione?
  Alla fine lo è diventata, ed è per questo che sono free-lance e non accetto imposizioni sui pezzi che scrivo.

- Se ti chiedessero, come giornalista, di seguire l'esercito israeliano?
  Non potrei mai farlo. Mi ammazzerebbero dopo un minuto.

- Tornando ad oggi: è possibile che si scateni una guerra?
  La situazione non è grave solo oggi ma lo è da dodici anni. Gaza è stata completamente evacuata: non c'è più un colono e i gazani non hanno un solo motivo politico di lanciare missili verso Gerusalemme. Ariel Sharon decise di lasciare Gaza senza chiedere contropartite, ma con la sola speranza che la liberazione di quei territori potesse essere il seme di un nuovo ordine, da cui scaturissero colloqui seri. Così non è andata. L'evacuazione di Gaza ha spostato soltanto la linea di fuoco e ha messo città importanti come Ashkelon, Ashdod e Sderot sotto il tiro dei missili. In quel periodo, l'Iran ha pensato bene di dare una mano rifornendo Al-Qassam, l'ala militare di Hamas, dei missili più avanzati, mettendo automaticamente sotto tiro anche Tel Aviv. Il resto è storia delle ultime ore.

- Non esiste, quindi, un' occupazione di Gaza?
  No, è un falso e occorre che la gente lo sappia. Gaza, ormai da anni, non è più occupata. Eppure si continua ancora a sparare su città all'interno della Linea Verde, quel confine del 1948 che racchiude i territori israeliani "propriamente detti" che, sottolineo, non fanno parte delle aree contese: si tratta di Israele "nuda e pura" che, nonostante ciò, è stata presa di mira da 14mila missili per dodici anni. Un milione e ottocentomila persone vivono, giornalmente, sotto questa continua minaccia ed è da dodici anni che il mondo finge di non vedere e apre gli occhi solo quando Israele dice: "Adesso basta". Poi, improvvisamente, inizia il cessate il fuoco che dura due settimane. E poi tutto inizia da capo. Occorreva intervenire prima e spiegare ad Hamas che lanciare missili su una nazione è un atto di guerra. I palestinesi dovrebbero conoscere bene le convenzioni di Ginevra e l'espressione "crimine contro l'umanità". Sparare contro una città è un crimine contro l'umanità. Purtroppo, le convenzioni di Ginevra sono come la Sacra Bibbia: tutti ne sono in possesso ma nessuno le legge.

- C'è una scena o un episodio che non avresti mai voluto vedere?
  Posso raccontare ciò a cui ho assistito e sono felicissimo di aver visto. Durante "Piombo fuso" l'esercito israeliano, tutti i giorni dalle 11 alle 13, fermava le operazioni militari per permettere il passaggio dei feriti dal territorio di Gaza verso Israele, in modo che venissero trasferiti in ospedale. Ho visto corridoi umanitari sfruttati per poter far passare camion carichi di beni di prima necessità da Israele verso la popolazione di Gaza. E ho anche visto Hamas approfittare di queste due ore di pausa per lanciare più comodamente missili verso Israele.

(ilsussidiario.net, 17 novembre 2012)


"Gaza è la via più breve per al Aqsa"

La nomina di Issa a generale di Hamas segna una "svolta iraniana"

di Giulio Meotti

ROMA - Il nome di Marwan Issa apparve per la prima volta nel 2005, quando in una sorta di fuga dalla clandestinità, l'allora capo militare di Hamas, l'imprendibile Mohammed Deif e i suoi sei luogotenenti, pubblicarono sul sito di Hamas i propri nomi e imprese. Era la prima volta dal 1988 che Hamas rivelava i propri vertici operativi. Di questa cupola faceva parte anche Ahmed Jaabari, "il generale" ucciso tre giorni fa da Israele in un raid nella Striscia di Gaza. Issa è il suo successore a capo degli squadroni della morte palestinesi. Issa guida il gruppo "Fajr al Intisar", l'alba della vittoria. Debka, sito vicino all'intelligence israeliana, rivela che a settembre Issa guidò la delegazione di Hamas in visita a Teheran, dove avrebbe firmato un patto militare con gli ayatollah. La nomina di Issa segna la vittoria degli "scissionisti", l'ala "iraniana" di Hamas, uscita rafforzata nella faida che vede contrapposti chi, più legato all'ideologia dei Fratelli musulmani, spinge per la trasformazione di Gaza in una "comunità religiosa modello" da cui avviare, "gradualmente", la lotta per la liberazione anche della Cisgiordania, e i militari che invece vogliono assumere il controllo politico di Gaza per intensificare la guerra a Israele tramite piani "ad alta mortalità". Issa vede la Striscia di Gaza come "la via più breve per la moschea di al Aqsa" a Gerusalemme. Issa è già sopravvissuto a uno strike dell'aviazione israeliana nel 2006, in cui rimase ferito al bacino. Il nuovo capo militare di Hamas è una delle "sagome" pubblicate dall'esercito israeliano con i nomi dei most wanted, assieme a Zahar e al defunto Jaabari. Issa è stato anche uno dei fautori dell'alleanza con Abu Musab al Zarqawi, il capo terroristico di al Qaida in Iraq, le cui cellule sarebbero state fatte entrare nella Striscia di Gaza a partire dal 2006. A maggio Issa è stato eletto nella shura di Hamas, scelta che gli analisti israeliani hanno definito "pasdaranizzazione". E' l'inizio della svolta iraniana.
Teheran usa il Sudan - di recente colpito da un micidiale raid israeliano - per inviare le armi ai terroristi palestinesi. Sono i razzi che possono raggiungere Tel Aviv. Issa ha voluto che nel consiglio di Hamas entrassero, in absentia, anche i quattro maggiori stragisti che languono nelle carceri israeliane: Ibrahim Ahmed, capo delle brigate al Qassam in Cisgiordania condannato per 96 omicidi; Abbas al Sayyed, mente della strage al Park Hotel di Netanya (30 morti israeliani nella Pasqua del 2002); Hassan Salameh, architetto degli attentati suicidi degli anni Novanta con 38 ergastoli da scontare, e Jamal Abu al Haija, ex comandante di Jenin. Sono i leader in carcere che hanno dettato a Gaza le condizioni del rilascio di Gilad Shalit, operazione guidata dal defunto Jaabari e da Issa, appunto. Un percorso simile a quello delle Guardie della Rivoluzione in Iran, che da centurioni del regime si sono impadronite anche del processo decisionale.
A testimonianza della "svolta iraniana" è anche il fatto che Issa era uno degli aiutanti di Nizar Rayan, il capo dell'ala radicale di Hamas che ha voluto che da "martire" morissero anche due mogli e quattro figli. In nome del modello iraniano, Rayan era sia un chierico sia un militare, noto come "il Professore", l'esperto dei detti del Profeta docente di Diritto all'Università di Gaza. Secondo questa generazione di militari al potere, Hamas è impegnata in una "guerra fra l'islam e gli eretici". Dopo il golpe contro Fatah a Gaza, Issa ha trasformato gli uffici dell'Anp in luoghi di preghiera e orchestrato i "processi del popolo" contro "gli ammutinati

(Il Foglio, 17 novembre 2012)


A Settimia Spizzichino sarà dedicato un ponte

ROMA - "Settimia fino all'ultimo ha voluto ricordare e raccontare la terribile esperienza di Auschwitz, dimostrando che il tempo che passa non puo' essere un alibi per dimenticare, ne' per abbassare la guardia di fronte a qualsivoglia episodio di razzismo - continua Alemanno - Invito tutta la citta' e tutte le istituzioni a partecipare all'inaugurazione ufficiale prevista per il prossimo 3 dicembre".
"E' il modo migliore per mantenere viva la memoria di una donna straordinaria vittima di una persecuzione atroce - sostiene l'assessore alle Politiche Culturali e Centro Storico, Dino Gasperini - Settimia Spizzichino ha regalato all'umanita' preziosi insegnamenti di vita che saranno ricordati dalla Capitale con un luogo a lei dedicato e continueranno a vivere nella coscienza di tanti giovani. Rispettiamo cosi' anche il suo desiderio profondo che la testimonianza che ci ha lasciato sulla tragedia dell'Olocausto non sia dimenticata, perche' simili orrori non si ripetano mai piu'".

(Adnkronos, 16 novembre 2012)


Gerusalemme: l'urlo della sirena sorprende i cittadini

Nella città santa, tra timore e sangue freddo

di Virginia Di Marco

GERUSALEMME, 16 nov - In un primo momento, qualcuno lo aveva scambiato per il suono della sirena che tradizionalmente annuncia l'inizio dello shabat a Gerusalemme. Ma l'illusione è durata poco: e ben presto tutti hanno compreso che si trattava di una sirena anti-missile. Un allarme che nella città santa non risuonava dai tempi della prima guerra del Golfo. Per le strade, pedoni sorpresi e impauriti hanno cominciato a correre, sfrecciando verso i bunker domestici. Qui, come a Tel Aviv, e ancor di più nel sud del Paese, bersagliato ripetutramente dai razzi sparati da Hamas dalla Striscia, ogni palazzo ha la propria camera di sicurezza.
Per alcuni minuti, buona parte della popolazione gerosolimitana ha trattenuto il fiato; ma all'allarme non è seguita alcuna detonazione. E lentamente le famiglie sono uscite dai rifugi e hanno ripreso a cucinare la cena del venerdì sera, appuntamento familiare e religioso molto importante. Ha fatto così anche Tania Uzzielli, italiana che vive a Gerusalemme da trent'anni, sposata e con tre figli. "In principio ho creduto che fosse la radio, che stessero trasmettendo le sirene di Tel Aviv o di Bersheeva. Ho detto ai miei figli di spegnere l'apparecchio, ma poi ho capito e siamo corsi fuori casa: in questi casi, le scale sono più sicure.
Tutti gli israeliani sanno come devono comportarsi in situazioni di emergenza. Sul pianerottolo abbiamo incontrato i nostri vicini, ebrei osservanti; loro hanno rifornito il bunker condominiale e, se stasera dovessero risuonare nuovamente le sirene, ci ritroveremo tutti là". Malgrado lo sbigottimento e il panico iniziali, dopo aver atteso un quarto d'ora sul pianerottolo (l'intervallo di tempo canonico entro il quale un missile sparato da Gaza verso Gerusalemme dovrebbe eventualmente raggiungere la città), la famiglia Uzzielli è rientrata in casa, facendo mostra di un sangue freddo comune a molti israeliani. "Stasera, nonostante tutto, penso che dormiremo tranquilli", dichiara Tania. La pensa così anche Galia, giovane pianista che abita nel quartiere bene di Rechavya. Lo stesso dove si trova il palazzo presidenziale e dove è cresciuto l'attuale Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. "Le sirene mi hanno colta di sorpresa, non avrei mai pensato che Hamas potesse puntare Gerusalemme o i suoi dintorni. Noi gerosolimitani - aggiunge - non siamo abituati a questo genere di allarme come chi abita vicino Gaza. E forse qui la popolazione è meno preparata all'emergenza. Tuttavia - conclude anche lei - non mi sento particolarmente preoccupata". Parole che trovano un riscontro nelle vie ormai buie della Città santa, dove l'atmosfera che si respira non è certo quella di panico collettivo. Famiglie di ebrei religiosi vestiti a festa camminano lente per le strade; nessuno appare particolarmente concitato. I più eccitati sono i bambini, intere nidiate al seguito dei genitori, ignari della portata di quanto è avvenuto nel pomeriggio di oggi alla periferia di Gerusalemme.

(ANSAmed, 16 novembre 2012)


Il Missile e i riservisti

di Michael Sfaradi

Se i due missili lanciati su Tel Aviv, uno ieri e uno stamattina, avevano convinto il governo ad arruolare sedicimila dei trentamila riservisti in lista, il lancio del missile verso Gerusalemme ha cambiato le regole del gioco.
Questa sera il ministero della difesa ha fatto sapere che saranno settantacinquemila i riservisti richiamati in attesa dell'inizio delle operazioni di terra e questa nuova notizia può essere letta in tanti modi.
Da una parte non vuole dire che questo richiamo massiccio sia certamente l'inizio dell'operazione terra, ma se la fanteria meccanizzata e l'artiglieria pesante incominceranno a far parte della partita le cose potrebbero non finire come fu con 'Piombo Fuso', ma il governo di Israele potrebbe anche aver deciso di chiudere i conti, una volta per tutte con il terrorismo di Hamas.

(Rights Reporter, 16 novembre 2012)


Il portavoce di Netanyahu: continueremo a colpire Hamas

ROMA, 16 nov - ''Continueremo a colpire la macchina militare di Hamas, continueremo a colpire il loro comando e il loro arsenale. Devono comprendere che non possono colpire i civili israeliani impunemente''. Cosi', in un'intervista all'emittente panaraba al Jazeera, Mark Regev, il portavoce del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
''La popolazione del sud di Israele - ha aggiunto - e' sotto il mirino degli attacchi palestinesi. Abbiamo avuto tre persone uccise e i bambini invece di andare a scuola, sono bloccati nei rifugi''.

(ASCA, 16 novembre 2012)

Vita di tutti i giorni nel sud di Israele


Israele siamo noi. Sacrosante le ragioni della controffensiva

Non è guerra ma legittima difesa. Messi alla prova i governi della primavera araba.

di Marco Ventura

Le ragioni di Israele sono sacrosante (sia detto per essere chiari). Duecento razzi nelle ultime settimane, morti, feriti e un milione di civili nei rifugi sono ben più di un atto di guerra.
Il sud di Israele, che neppure è zona contesa, è stato sottoposto a un continuo martellamento che aveva l'unico obiettivo di fare più male possibile. I razzi lanciati dalla striscia di Gaza sono frutto di una politica deliberata e criminale del "governo di fatto" di Hamas, forte del sostegno della popolazione palestinese che l'ha votato.
I civili di Gaza, scegliendo Hamas e in parte formazioni ancora più estremiste di islamici fondamentalisti, erano consapevoli delle conseguenze del voto sia sui civili israeliani oltre frontiera, sia sulle proprie famiglie (esposte non a quelle che malamente vengono definite "rappresaglie", ma all'azione o reazione di legittima difesa dello Stato d'Israele).
Perfino uno scrittore da sempre promotore della causa della pace come Abraham Yehoshua, proprio alla vigilia della controffensiva israeliana ha detto a Repubblica: "È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. E agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza".
Non bastano le azioni mirate per eliminare i capi militari, se poi i razzi palestinesi continuano a piovere su Beer Sheva, Ofakim, Sderot, Ashkelon… Il missile finito a mare a Tel Aviv era di fabbricazione iraniana, sarà pur questo un elemento sul quale riflettere...
Yehoshua non s'intenerisce neppure per la gente di Gaza: "Sta partecipando alla guerra contro Israele, ha eletto il governo di Hamas che è responsabile delle sue azioni. Abbiamo ritirato i coloni, siamo andati via, perché continuano a spararci?". Già, perché. E, soprattutto: ora basta.
Poche altre considerazioni.
  1. La prima: Israele siamo noi, è Occidente, che significa democrazia, libertà, vita, Israele è il nostro avamposto e baluardo in Medio Oriente.
  2. Secondo: l'Egitto e i governi scaturiti dalla primavera araba sono ora messi alla prova, faranno la voce grossa contro Israele (il premier egiziano visita Gaza e gli israeliani hanno annunciato una tregua) ma dovranno anche dimostrare di saper garantire la pace mantenendo un equilibrio che salvaguardi l'assetto regionale.
  3. Terzo: i palestinesi sono sempre più divisi tra loro e questo è uno dei principali ostacoli ad accordi di pace; l'Autorità palestinese in Cisgiordania dissente dai metodi e dalla politica di Hamas, e la osteggia.
  4. Quarto: l'attacco a Gaza ritarda i tempi di un possibile attacco israeliano all'Iran (che non rinuncia a volersi dotare dell'arma nucleare).
  5. Quinto: il premier israeliano Benjamin Netanyahu si prepara alle elezioni di gennaio mostrando fermezza, e indipendenza nelle decisioni dall'opinione pubblica internazionale (come dalla rielezione di Barack Obama, non a caso appena avvenuta).
  6. Sesto: la controffensiva di Israele offre ai molti attori del conflitto israelo-palestinese la possibilità di rimarcare la propria importanza, dall'Egitto della fratellanza musulmana di Morsi nel dialogo (e nelle richieste di aiuto economico) con gli Stati Uniti, fino alla Turchia di Erdogan che già fa trapelare la disponibilità a svolgere un'opera di mediazione, da potenza regionale qual è.
Come in tutte le guerre israelo-palestinesi, i tempi sono fondamentali. Più sarà breve ed efficace il conflitto, più grande sarà il vantaggio politico per Israele e per gli Stati arabi potenzialmente coinvolti. Ma occorre anche che agli attacchi di Hamas sia messa fine una volta per tutte.

(Panorama, 16 novembre 2012)


Vertice Peres-Netanyahu: la nostra reazione è giustificata

GERUSALEMME, 16 nov. - Il presidente israeliano Shimon Peres e il premier Benjamin Netanyahu si sono incontarti stamani per discutere dell'escalation nella Striscia di Gaza. "Non possiamo abbandonare le donne e i bambini alla follia di Hamas che continua a colpire i civili senza ragione", ha detto Peres, definendo "giustificata" l'operazione Pilastro di Difesa avviata da Israele. Peres, riporta il sito del Jerusalem Post, ha inoltre riferito di avere parlato con i leader mondiali, compreso il presidente Usa Barack Obama, che hanno concordato sulla legittimita' della reazione israeliana.

(Adnkronos, 16 novembre 2012)


Gli israeliani costretti a una guerra di sopravvivenza

di Fiamma Nirenstein

  Kiryat Malachi, 15 novembre 2012
"Stamani ci raggiunge, appena tornati da Israele con una delegazione dell'Associazione Parlamentare di Amicizia Italia - Israele, la notizia dell'uccisione volontaria di tre civili innocenti nella loro casa di Kiryat Malachi, causata del lancio di 250 missili in 24 ore indiscriminatamente su una popolazione di un milione e mezzo di civili del Sud. Dico "volontaria" perché è evidente che il bombardamento è indirizzato alla popolazione civile, come sempre peraltro da quando nell'agosto 2005 Israele ha sgomberato Gaza, oggi interamente nelle mani dei palestinesi di Hamas. Da allora dalla Striscia, con qualche intervallo, piove su Israele un'insopportabile quantità di missili in parte di lunga gittata ( Fajr) di probabile fabbricazione iraniana, in parte Grad, katiushe e razzi vari. L'Associazione ha visitato la popolazione e portato la sua solidarietà in un kibbutz, Kfar Asa, duramente colpito nei giorni scorsi. Abbiamo visto i bambini rinchiusi da giorni nelle stanze blindate, le case bombardate, i negozi chiusi, la gente pronta a raggiungere in quindici secondi i rifugi costruiti in ogni casa. Abbiamo ascoltato episodi di morti e di feriti. La mia impressione è che gli israeliani abbiano vissuto e vivano nelle ultime settimane una condizione inaccettabile per qualunque Paese, incluso il nostro, in cui si colpisce gratuitamente e con studiata crudeltà la popolazione civile. Penso anche che l'esercito israeliano abbia cercato di contenere al massimo il numero dei palestinesi uccisi nell'ambito dell'operazione in corso, Israele non ha mai cercato altro che di fermare il lancio di missili colpendo i responsabili e i nidi di armi, e che l'esposizione volontaria che Hamas fa dei propri civili rende molto difficile un'operazione mirata con perfezione, della qual cosa certamente ci dobbiamo dispiacere speeando che anche Gaza un giorno pensi al proprio sviluppo e alla propria gente piuttosto che alla distruzione di Israele. Dall'altra parte, è chiaro che l'enorme investimento israeliano nella vita degli abitanti con un sistema di protezione capillare, un rifugio per ogni casa e il continuo investimento per proteggere le scuole e i luoghi di lavoro, rendono più difficile colpire i civili.Per questo i numero di morti è contenuto nonostante i lanci ormai continui e senza tregua. Speriamo che quanto prima il fuoco di guerra si spenga, ma è evidente che al di là della logica pena umana per ogni morto e ferito, occorre che l'organizzazione terrorista Hamas cessi dalla sua insistita determinazione a distruggere lo Stato d'Israele. Molte famiglie simili alle nostre stanotte stanno di nuovo per affrontare una notte di incubo nei rifugi sotto un attacco che cerca i civili per ucciderli, e a loro va la nostra solidarietà mentre speriamo nella pace."

(Informazione Corretta, 16 novembre 2012)


Terra in cambio di pace?

Chi non ricorda quel promettente slogan che ha accompagnato per anni il cosiddetto "processo di pace"? L'ultimo atto di "buona volontà" che Israele ha fatto è stata la consegna della striscia di Gaza nelle mani degli arabi. Il mondo ha lodato il bel gesto israeliano, e questo oggi è il risultato. La lode a Israele avrebbe dovuto trasformarsi in severa riprovazione per coloro che hanno ringraziato con i razzi la buona volontà israeliana, ma non è così. I razzi arabo-palestinesi sono considerati alla stregua delle perturbazioni atmosferiche, sgradevoli ma inevitabili; la risposta israeliana è invece biasimevole atto morale da riprendere con indignati accenti di riprovazione. Israele è lodato quando cede e biasimato quando resiste. Conseguenza: il mondo aspetta di celebrare con commozione una nuova "giornata della memoria". La memoria di uno stato ebraico che una volta c'era, era molto interessante, ma adesso non c'è più. E i sopravvissuti si rallegreranno per le manifestazioni di simpatia che riceveranno da ogni parte.
Al di là di tutte le sottili analisi politiche che si sono fatte e si faranno, tra cui quella secondo cui è tutta una manovra elettorale di Netanyahu che, con la diabolicità tipica degli ebrei, avrebbe perfino auspicato e favorito l'arrivo di missili su Israele che ammazzino persone per potersi legittimare come l'unico duro leader politico in grado di salvare il paese, è evidente un fatto: Hamas, spalleggiato dall'Iran, ha ripetutamente e coerentemente dichiarato che il suo obiettivo è distruggere lo stato ebraico. I missili di oggi sono soltanto la rinnovata, concreta formulazione di questo proposito. Chi cerca e trova argomenti per allargare il discorso, complicarlo e deviare il centro dell'attenzione da questo proposito di annientamento è un complice oggettivo di questo proposito. E come tale deve essere considerato. La maggior parte dei tedeschi certamente non voleva l'olocausto, ma ha contribuito a renderlo possibile. La stessa cosa si può ripetere oggi per lo stato ebraico. Chi dice di non volere la sparizione dello Stato ebraico, ha soltanto un modo per dirlo: appoggiare pubblicamente e senza riserve quello che in questo momento le autorità di quello Stato stanno facendo, in mezzo a inevitabili dubbi e rischi, per difendere il loro paese dalla distruzione. Chi dice cose diverse vuole la distruzione di Israele. M.C.

Nazioni buone e nazioni cattive

(Notizie su Israele, 16 novembre 2012)


Bayt Baws: antico villaggio ebraico abbandonato nello Yemen

Bayt Baws
La blogger yemenita Rooj Alwazir (@Rooj129) condivide su Twitter delle straordinarie foto scattate durante una visita a un insediamento abitativo ebraico abbandonato, abbarbicato su una montagna rocciosa, a 15 minuti da Sana'a.

Stipati in un furgoncino bianco (eravamo quattordici!), abbiamo deciso di visitare Bayt Baws, un insediamento ebraico abbandonato, abbarbicato su una montagna rocciosa, a 15 minuti da Sana'a.
Alla fine degli anni '40, all'indomani della nascita dello Stato israeliano, molti ebrei yemeniti si sono trasferiti in Israele durante l'"Operazione Tappeto Volante". Solo una piccola parte della comunità ebraica è rimasta nello Yemen. Il numero degli ebrei yemeniti è, infatti, tristemente diminuito a causa delle minacce degli islamisti radicali che li costringono a lasciare il paese. La comunità ebraica yemenita si è preservata (e con essa la propria cultura) soprattutto nella parte settentrionale dello Yemen godendo della diffusa fama di artigiani e argentieri di qualità.

(GlobalVoices, 16 novembre 2012)


Israele: rinviate due partite di calcio

La Lega calcio israeliana ha rinviato due partite della massima divisione in programma domani a causa delle violenze nella Striscia di Gaza. Gli incontri Hapoel Beersheba-Hapoel Ramat Gan e Ashdod Sc-Hapoel Acre sono stati rinviati nell'ambito delle misure adottate da polizia ed esercito, che prevedono tra l'altro il divieto di assembramenti per il timore di attacchi con lanci di razzi da parte di militanti palestinesi. Il conflitto israelo-palestinese si è riacceso in seguito all'uccisione mercoledì, in un attacco aereo, di Ahmed Jaabari, comandante militare del movimento radicale Hamas, al governo a Gaza. I palestinesi hanno reagito lanciando oltre 270 razzi contro Israele, mentre le Forze armate dello Stato ebraico hanno bombardato la Striscia da terra, cielo e mare. Nei combattimento sono rimasti uccisi tre israeliani e 19 palestinesi. La Lega calcio israeliana ha comunicato che le altre partite in programma nel fine settimana verranno regolarmente disputate, svolgendosi in località ritenute al di fuori della portata dei razzi palestinesi. Nel sud di Israele, invece, sono state annullati anche i match delle categorie inferiori e giovanili.

(la Repubblica, 16 novembre 2012)


Exodus, si parte con il tributo al comandante Amelio Guerrieri

La Spezia - Domani la menzione speciale per il partigiano di Giustizia e Libertà che comandò l'accerchiamento della città occupata. Aiutò i profughi ebrei sopravvissuti ai lager.

LA SPEZIA - Prende il via domani sabato 17 novembre il Premio Exodus 2012, dedicato al tema "La dignità e la memoria".
All'indomani del secondo conflitto mondiale, infatti, la Spezia fu al centro di una formidabile gara di solidarietà alle migliaia di profughi ebrei provenienti dai campi di sterminio, che, attraverso la partenza delle navi Fede, Fenice ed Exodus appunto, riuscirono faticosamente a riconquistare la terra di Israele. La città della Spezia è conosciuta come Porta di Sion ed è annoverata nell'Elenco dei Giusti. Tale episodio ha fatto ottenere la medaglia d'oro al valore civile conferita nel 2006 alla città dal Presidente della Repubblica.
   L'appuntamento è per le 17 in Sala Dante (Via Ugo Bassi). La dodicesima edizione si apre con un video messaggio di Moni Ovadia - primo "premio Exodus" dell'anno 2000 - dal titolo "Madre Dignità". Seguiranno i saluti di Diego Del Prato, assessore alla cultura del Comune della Spezia, dell'assessore Raffaella Paita in rappresentanza della Regione Liguria e di Adolfo A.Croccolo, Responsabile del Culto delle Comunità Ebraiche della Spezia.
Culmine della giornata sarà la consegna da parte del sindaco della Spezia Massimo Federici della menzione speciale Exodus 2012 ad uno dei protagonisti di quella altissima pagina della storia della città, il Comandante Partigiano di Giustizia e Libertà Amelio Guerrieri, Medaglia d'Argento al Valor Militare.
   Le motivazione della menzione speciale recita: "Al Comandante Partigiano Amelio Guerrieri che con generoso slancio portò soccorso a quella gente che in riva al nostro mare traguardò Israele. Nobile esempio di solidarietà che accomuna gli uomini rendendoli fratelli"
   Classe 1920, Amelio Guerrieri ha frequentato come allievo ufficiale la Scuola di Fanteria di Ravenna. Dopo l'8 settembre 1943 rientra fortunosamente alla Spezia ed è tra i primi ad aderire alla Resistenza nella Colonna Giustizia e Libertà. Dopo la morte di Ermanno Gindoli, il 12 aprile 1945, assume il comando della seconda Brigata della Colonna Giustizia e Libertà composta da 450 uomini. Dal 22 aprile 1945 guida l'accerchiamento alla città della Spezia e, con l'arrivo delle truppe alleate, la liberazione della città (nella foto allegata: 25 aprile 1945 è il primo da sinistra).
   E' stato insignito della Medaglia d'Argento al Valor Militare per il contributo dato alla guerra di Liberazione. La fedeltà agli ideali dei Fratelli Rosselli e di Ferruccio Parri e ai valori della Resistenza, lo hanno sempre contraddistinto e guidato. Fu tra coloro che maggiormente si spesero nel sostegno ai profughi ebrei che partirono dalla Spezia alla volta di Israele.
   In chiusura Antonella Rampino, giornalista de La Stampa, coordinerà quindi un dialogo tra l'editore Carlo Gallucci e lo storico e documentarista Marco Cavallarin. Gallucci, giovane ma affermato editore di libri per giovanissimi e ragazzi ha recentemente inaugurato una collana di classici la "Universale Gallucci" e giusto nel Gennaio del 2012 ha distribuito nelle librerie una nuova edizione di "Exodus", il racconto di Leon Uris che narra, in forma romanzata, le vicende della nave che da il titolo anche al premio.
   Il produttore e documentarista Marco Cavallarin, da parte sua, ha seguito e sta attivamente collaborando alla realizzazione di un film di produzione israeliana, regia di Micha Sahgrir, che riporta 10 giovani israeliani sulle strade che dai campi di sterminio nazisti arrivarono al porto di La Spezia e che "sulla scia dell'Exodus" giunsero infine in Palestina. A loro il compito di raccontare le ragioni per riportare la memoria alla consapevolezza dei più giovani.
   Il Premio Exodus è realizzato dal Comune della Spezia, Istituzione per i Servizi Culturali, con il sostegno e patrocinio della Regione Liguria e sostenuto da UBI- Banco di San Giorgio. Per il terzo anno consecutivo si conferma il patrocinio dell 'U.C.E.I .( Unione Comunità Ebraiche Italiane). La consulenza scientifica e organizzativa è di Laterza-Agorà.

(Città della Spezia, 16 novembre 2012)


La Knesset discute il richiamo di unità di riserva

Volantini di Israele sulla Striscia: state lontani da Hamas

TEL AVIV, 15 nov - Il Comitato Affari esteri e difesa della Knesset (il Parlamento israeliano) discuterà nel pomeriggio il richiamo di unità di riserva per l'esercito israeliano. La richiesta - secondo i media - è stata avanzata dal ministro della Difesa Ehud Barak, alla luce di quanto sta avvenendo nel Sud del Paese. Intanto, sono state chiuse al traffico alcune strade del Sud, prossime alla Striscia a causa del lancio dei razzi.
Volantini che invitano la popolazione di Gaza a tenersi lontana dai miliziani e dalle installazioni di Hamas e di altre organizzazioni sono stati lanciati dal cielo dalle forze armate israeliane su diverse località della Striscia. Lo comunicano le stesse forze armate in un comunicato. "Per la vostra sicurezza - si legge nei volantini - siate responsabili ed evitate di essere presenti vicino ad esponenti operativi di Hamas e a loro installazioni e di altre organizzazioni terroristiche, che rappresentano un rischio per la vostra sicurezza". "Hamas ancora una volta sta trascinando la regione nella violenza e nel sangue - aggiunge il volantino -. Le Forze armate israeliane sono determinate a difendere i residenti dello Stato di Israele. Questo annuncio è valido finché la calma non sarà riportata nella regione".

(ANSAmed, 15 novembre 2012)


L'ambasciatore di Israele Naor Gilon: avanti fino a quando Hamas capirà

Israele - spiega all'Ansa l'Ambasciatore israeliano Naor Gilon - e' stata bersaglio dall'inizio dell'anno di "circa 800 ordigni" sparati dalla Striscia di Gaza. Un livello "inaccettabile e insopportabile", tornato a essere "piu' o meno pari a quello precedente all'operazione Piombo Fuso" del 2008-2009, ha detto.

  
   L'Ambasciatore israelano Naor Gilon con il
   presidente dell'Ansa Giulio Anselmi
ROMA - Israele e' deciso ad andare avanti nell'offensiva su Gaza fino a quando Hamas non capira' che un livello di lanci di razzi contro il territorio israeliano come quello degli ultimi mesi e' inaccettabile. Lo ha detto oggi all'ANSA l'ambasciatore dello Stato ebraico a Roma, Naor Gilon.
"L'obiettivo e' rendere chiaro all'altra parte che cosi' non si puo' andare avanti, speriamo che capiscano presto, se no dovremo agire piu' a lungo e piu' in profondita"', ha avvertito Gilon. Secondo l'ambasciatore, Israele e' stato bersaglio dall'inizio dell'anno di "circa 800 ordigni" sparati dalla Striscia di Gaza. Un livello "inaccettabile e insopportabile", tornato a essere "piu' o meno pari a quello precedente all'operazione Piombo Fuso" del 2008-2009, ha detto.
La decisione di agire, ha sostenuto Gilon, e' legata proprio alla nuova escalation di lanci imputata a Hamas e alle altre fazioni radicali palestinesi di Gaza, nonche' all'opportunita' - aperta da "informazioni" d'intelligence - di colpire da un lato il capo militare di Hamas, Ahmed Jaabari, e dall'altro "depositi di missili Fajjar forniti dall'Iran": missili il cui raggio minaccia in teoria "Tel Aviv o Gerusalemme".
L'ambasciatore ha viceversa negato legami fra l'offensiva militare di queste ore e la scadenza ravvicinata delle elezioni politiche israeliane di gennaio, notando come "tutti i maggiori partiti israeliani d'impronta sionista" siano favorevoli - senza distinzioni fra maggioranza e opposizione - all'azione e osservando che essa e' stata ordinata da "un governo di centro-destra" mentre l'operazione 'Piombo Fuso' (condotta quattro anni fa pure in periodo pre-elettorale) fu decisa da "un governo di centro-sinistra".
Gilon ha infine additato Jaabari come responsabile diretto di numerosi "attacchi terroristici condotti contro Israele negli ultimi dieci anni" e quale regista della cattura nel 2006 del caporale Ghilad Shalit.
L'ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon, si e' detto oggi "dispiaciuto" della reazione di dura condanna espressa dall'Egitto nei confronti d'Israele per l'offensiva aerea in corso sulla Striscia di Gaza controllata da Hamas. "Le relazioni con l'Egitto sono molto importanti per noi e l'accordo di pace (israelo-egiziano) resta un pilastro per la stabilita' del Medio Oriente", ha dichiarato all'ANSA il diplomatico rispondendo a una domanda sul cambiamento di toni verso Israele generato nei Paesi vicini dagli effetti delle cosiddette Primavere arabe. "Nello stesso tempo - ha precisato - non possiamo cedere sulla difesa del nostro Paese, ne' essere ostaggi di altri eventi verificatisi nella regione".

(euronews, 15 novembre 2012)


Che cosa vuole ottenere Israele?

Gli obiettivi dell'operazione "colonna di nuvola"

di Johannes Gerloff
corrispondente evangelico da Gerusalemme

"Se i nostri bambini non possono dormire in pace", ha detto il ministro israeliano degli Interni Eli Yishai, "deve essere chiaro che anche loro non potranno dormire bene!" Il parlamentare del Likud Dan Danon è della stessa opinione: "Senza la pace nel sud di Israele, non ci può essere pace neanche a Gaza! " Di questo parere è la stragrande maggioranza della popolazione israeliana, cosicché anche i politici che in vista della campagna elettorale avrebbero usato toni completamente diversi e avrebbero piuttosto assunto il ruolo di opposizione e alternativa, hanno dovuto concordare: l'obiettivo principale dell'operazione "colonna di nuvola" è portare la pace nel sud di Israele.
E 'notevole - soprattutto in vista della campagna elettorale - come i leader politici, che spesso sono stati "provetti" militari, sottolineino parole come "la più grande pace" e sicurezza possibili. Chiunque conosca la situazione in ed intorno a Israele sa che la pace assoluta e la sicurezza sono un lusso che lo Stato ebraico nella sua esistenza di almeno mezzo secolo di vita non ha mai potuto godere.
Di conseguenza, il ministro israeliano della difesa Ehud Barak ha definito "il ripristino del potere deterrente dell'esercito" come il primo obiettivo. Con Hamas, che non riconosce il diritto fondamentale di Israele ad esistere e rifiuta Israele per motivi religiosi, non si deve parlare. Tuttavia, le regole del gioco nei rapporti reciproci a cui la storia ha condannato i due acerrimi nemici devono essere ridefinite. I politici di Israele forse hanno anche voluto inviare un messaggio all'organizzazione madre di Hamas, i Fratelli Musulmani in Egitto. "Qui prendiamo atto di un nuovo Medio Oriente", riconosce la nota giornalista israeliana Ajalah Chason-Nesher ", ma non come lui [il presidente Shimon Peres] ha pensato", che ha coniato l'espressione "Nuovo Medio Oriente" nei tempi di speranza che avevano caratterizzato gli accordi di Oslo.
Un altro obiettivo della guerra israeliana è di limitare in modo significativo le capacità delle organizzazioni terroristiche a Gaza di sparare razzi su Israele. Quasi in contemporanea con l'attacco a Ja'abari sono state bombardati almeno venti depositi di armi in tutta la Striscia di Gaza. Per anni i servizi segreti israeliani hanno aggiornato database creati per questo scopo, con particolare attenzione ai missili 5-Fajr , che negli ultimi mesi sono arrivati a Gaza soprattutto dalla Libia e hanno una portata di più di 70 chilometri.
Israele non ha alcun interesse a rovesciare il regime di Hamas a Gaza, in quanto Fatah e la sua Autorità Palestinese, comunemente considerata più moderata, non ha da offrire alcuna alternativa. Come una delle ultime rappresentanti di rango delle vecchie dittature arabe, che la cosiddetta "primavera araba" ha fatto sparire dalla scena politica, Fatah adesso si trova con le spalle al muro. Come alternativa ad Hamas Israele quindi vede solo un caos di jihadisti salafiti e ogni sorta di altri terroristi che potrebbero colmare un vuoto di potere a Gaza. Quindi, chiaramente l'obiettivo dell'operazione militare israeliana non è la distruzione delle strutture del terrore di Hamas, ma solo la loro restrizione. Il ministro delle finanze Yuval Steinitz comunque ha detto alla radio israeliana, la mattina prima dell'inizio dell'operazione "colonna di nuvola", che alla lunga non si potrebbe permettere che nella striscia di Gaza si costituisca un esercito islamico che abbia l'obiettivo di distruggere Israele.

(israelnetz.com, 15 novembre 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Gaza, ucciso un comandante di Hamas

Un razzo israeliano ha colpito l'auto su cui viaggiava Ahmed Jaabari. Per Israele si tratta solo di "un inizio", mentre gli estremisti promettono vendetta. Gli Usa: "Israele ha il diritto di difendersi"

Torna alta la tensione in Medio Oriente, dopo che Israele ha lanciato una massiccia offensiva aerea sulla Striscia di Gaza, uccidendo Ahmed Jaabari, 52 anni, comandante del braccio armato della fazione islamica (Brigate Ezzedin al-Qassam), il regista della cattura di Ghilad Shalit e di fatto "l'uomo forte" di Gaza. Jaabari è rimasto ucciso nell'esplosione della sua auto, nella quale viaggiava con il figlio, colpita da un razzo israeliano.
L'uccisione del capo militare di Hamas è "l'inizio di una campagna che ha l'obiettivo di eliminare i miliziani di Gaza", ha affermato il governo israeliano. L'esercito di Israele ha infatti annunciato di aver dato vita a un'operazione - per il momento solo aerea - denominata 'Colonna di nuvola' (Cloud Pillar) contro Hamas e altri fazioni palestinesi nella Striscia di Gaza. "La situazione era divenuta insostenibile", si è giustificato il premier Benyamin Netanyahu, "dovevamo assolutamente reagire. Nessuna altra nazione al mondo avrebbe accettato una situazione simile".
Ma l'esercito israeliano si dice anche pronto a un'operazione "di terra" nella Striscia di Gaza. "Se necessario", ha riferito un portavoce militare, si sceglierà questa opzione per smantellare le milizie che sparano razzi sulle città israeliane. Dopo l'uccisione del comandante, i raid si sono susseguiti quasi senza sosta, colpendo anche i depositi di razzi Fajjar capaci di raggiungere da Gaza la periferia di Tel Aviv.

(Fonte: TGCOM24, 15 novembre 2012)


Dopo un lungo silenzio i media scoprono la crisi di Gaza

Fermo impegno di Israele per la sicurezza e la pace

La grave tensione che sta caratterizzando in queste ore la realtà del Medio Oriente è costantemente seguita dalle istituzioni ebraiche italiane e dagli operatori dell'informazione. La redazione del Portale dell'ebraismo italiano, in questi giorni riunita a Milano, ha analizzato brevemente la situazione anche in occasione dell'incontro con il presidente della Comunità ebraica milanese Walker Meghnagi avvenuto questa mattina, poco dopo la diffusione della notizia del criminale attacco missilistico che ha portato alla morte di tre civili israeliani.
Allarme e sconcerto per l'escalation di attacchi e di violenze provenienti dalla striscia di Gaza che sta colpendo Israele sono sentimenti diffusi che sono però vissuti con la consapevolezza di quanto sia importante, di fronte alla minaccia del terrorismo e dell'odio islamico, innalzare la vigilanza e continuare con fermezza e senza cedere all'emotività la propria normale vita lavorativa. Nella riunione mattutina i giornalisti hanno ribadito che la redazione deve continuare così a impegnarsi per garantire regolarità e l'equilibrio alle proprie pubblicazioni senza cedere alle minacce e alla paura di chi vorrebbe ridurre la realtà di Israele a un perenne conflitto e a una perenne minaccia per la stabilità internazionale. Israele è non solo l'unica democrazia della regione, ma anche il modello minacciato di una società che pratica in concreto la pace, lo sviluppo e la cultura a beneficio di tutti i popoli della regione e gli attacchi contro la popolazione che provengono dalle organizzazioni oltranziste islamiche non devono condizionare l'agenda di lavoro e una visione ferma e costruttiva della situazione.
Negli scorsi giorni le centinaia di razzi che hanno colpito lo Stato ebraico, provocando danni alle cose e alcuni feriti erano stati largamente taciuti dai principali mezzi di informazione italiani. Con la risposta israeliana per via aerea e l'eliminazione del leader di Hamas e carceriere di Gilad Shalit Ahmed al-Jabari, l'interesse dei giornali sembra essersi ora risvegliato. Solo 16 schede entrate nella sezione Medio Oriente della rassegna stampa del mattino ieri, nessuno o quasi dedicato alle tensioni fra Israele e Striscia di Gaza, ben 40 stamattina. Ma la situazione si aggrava di ora in ora: ancora tanti i razzi caduti nella notte. Uno ha colpito un palazzo a Kiryat Malachi stamattina: si parla di tre morti tra cui un neonato, e persone ancora intrappolate nella struttura.
Le tensioni tra Israele e Gaza vengono raccontate da tutti i principali quotidiani italiani. "Offensiva di Israele su Gaza. Tel Aviv: pronti all'attacco di terra. L'Egitto richiama l'ambasciatore" titola il Sole24 Ore che porta l'analisi di Ugo Tramballi, che racconta gli obiettivi fondamentali dell'operazione Pilastro di Sicurezza (nome in codice dell'operazione israeliana su Gaza), le minacce di Hamas e la posizione egiziana.
I retroscena dei rapporti fra la componente politica di Hamas e quella più vicina ai salafiti sono al centro dell'articolo di Maurizio Molinari sulla Stampa.
La dichiarazione di Obama "Israele ha diritto all'autodifesa" è riportata sul pezzo di Francesco Battistini sul Corriere della Sera, che parla anche di "almeno otto vittime palestinesi in seguito ai raid israeliani". Su Repubblica drammatica intervista allo scrittore israeliano Abraham Yoshua, da sempre schierato nell'impegno per la pace che però oggi dichiara la guerra contro Gaza inevitabile "E' tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico".

(Notiziario Ucei, 15 novembre 2012)


Storie della Shoah: i racconti di sei diariste

Dall'Archivio di Pieve di Santo Stefano al palco di un teatro

Dall'Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano al palco del teatro di San Lazzaro di Bologna: è questo il percorso di sei storie che raccontano sotto forma di diari e memorie la Shoah. Con lo spettacolo Se non sarò me stesso, dal 14 novembre la Compagnia del Teatro dell'Argine mette in scena brani e vicende tratte da alcuni diari. Sul palco sei attrici che rappresentano sei diariste, daranno voce alle migliaia e migliaia di storie perdute e messe a tacere per sempre nei campi di sterminio.
"Dall'incredibile ricchezza umana e di memoria dell'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano - si legge nel cartellone dell'Itc Teatro - un nuovo spettacolo del Teatro dell'Argine sulle piccole storie che si fanno racconto vibrante della Grande Storia, per fare della memoria un valore presente e vivo, da vestire quotidianamente e non solo nei giorni di festa".
Una drammaturgia di Nicola Bonazzi, Azzurra D'Agostino e Vincenzo Picone, con in scena Giada Borgatti, Micaela Casalboni, Lea Cirianni, Deborah Fortini, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi, con le musiche di Andrea Laino e per la regia di Andrea Paolucci. Le diariste sono Bianca Levi, Ave Tiddi, Eugenia Bassani, Dora Klein, Fiorenza Di Franco, Fanny Bailey.
Lo spettacolo andrà in scena fino al 2 dicembre. alle ore 21:00 al teatro di San Lazzaro (via Rimembranze, San Lazzaro di Savena, Bologna). Per informazioni e prenotazioni www.itcteatro.it telefono 0516270150.

(Arezzo Notizie, 15 novembre 2012)


Israele dichiara il monopolio sulle riserve di gas di Tamar

TEL AVIV, 14 nov. - Il Direttore Generale dell'Autorita' Antitrust israeliana, David Gilo, ha deciso di dichiarare il monopolio sulle riserve gas di Tamar, con effetto da meta' del 2013. La decisione implica, tra le altre cose, l'obbligo da parte delle compagnie di rendere pubblici i prezzi e i margini di profitto nonche' l'impossibilita' di rifiutare la fornitura del prodotto. Sulla base della legge vigente in materia in Israele, i partner di Tamar vedranno sottoporsi le direttive e i divieti che si applicano ad un monopolio per tutte le attivita' che esse svolgono, non solo nel giacimento Tamar ma anche negli altri, come Leviathan e Shimshon.

(AGI, 14 novembre 2012)


Italia-Israele: nuova collaborazione su startup e high-tech

Italia ed Israele hanno siglato una collaborazione sul fronte di imprese startup e high-tech, con lo scopo di rafforzare la competitività del sistema italiano sull'esempio del tessuto imprenditoriale israeliano, tra i più innovativi al mondo.

Il Ministro Corrado Passera ha siglato con il Ministro per gli Affari Esteri israeliano Avigdor Lieberman un accordo per rafforzare e promuovere la collaborazione tra Italia e Israele sul fronte delle imprese innovative startup e, più un generale, dell'industria high-tech. Tale accordo prevede forme di cooperazione rafforzata tra i due Paesi, in particolare su trasferimento tecnologico, formazione, investimenti e condivisione di esperienze tra imprese dei rispettivi Paesi. Il Ministero dello Sviluppo economico selezionerà un gruppo di giovani imprenditori di startup italiane per consentire di svolgere in Israele, annualmente, corsi intensivi di gestione delle imprese innovative sulla base dell'esperienza israeliana. Da parte sua, il Ministero dell'Industria, del Commercio e del Lavoro israeliano agevolerà l'accesso e i rapporti delle aziende italiane con le imprese innovative high-tech israeliane. Italia e Israele si impegnano a creare opportunità di reciproco investimento verso le imprese startup, anche attraverso gli incubatori tecnologici. Entro 120 giorni a partire dal 25 Ottobre, un team definirà il programma di interventi necessario per l'applicazione di tutti i termini dell'accordo.
   "Il tessuto imprenditoriale delle startup israeliane è tra i più vivaci e sviluppati al mondo, ed è uno degli esempi a cui ci siamo ispirati per la definizione delle nuove norme per le imprese innovative contenute nel secondo decreto per la crescita - ha commentato il Ministro Corrado Passera - Siamo convinti che le startup siano un valido strumento per rafforzare la competitività del nostro sistema economico e generare nuova occupazione qualificata. L'accordo firmato oggi tra Italia e Israele consentirà di fare importanti passi in avanti nella collaborazione tra i settori produttivi più innovativi dei nostri due Paesi".
   Rendere l'Italia un Paese più ospitale per le nuove imprese innovative, le startup, significa innanzitutto tentare di innescare un'inversione di tendenza in fatto di crescita economica e di occupazione, in particolare giovanile. È con gli ultimi decreti-sviluppo che nell'ordinamento italiano viene introdotta la definizione di nuova impresa innovativa, la cosiddetta "startup". Ed è proprio qui che viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico riguardo a semplificazioni amministrative, mercato del lavoro, agevolazioni fiscali, diritto fallimentare. Tali misure toccano tutti gli aspetti più importanti del ciclo di vita di una startup, con l'obiettivo di porre l'Italia all'avanguardia nel confronto con gli ordinamenti dei principali partner europei: le ragioni di questa riflessione si possono leggere nel Rapporto "Restart, Italia!".

(First online, 14 novembre 2012)


Veleni

di Francesco Lucrezi

La macabra pagliacciata della riesumazione della salma di Arafat (prevista per il prossimo 26 novembre, nel quadro di un bizzarro scenario di diritto penale internazionale, con una complessa e inedita cooperazione tra sistemi giudiziari francese e palestinese, su denuncia della vedova Suha, secondo cui il marito sarebbe stato avvelenato col polonio) ha riproposto all'attenzione dei media la figura di un personaggio che, indubbiamente, ha ininterrottamente dominato la scena mondiale per decenni e del quale, francamente, non si avvertiva molto la nostalgia.
   Assolutamente nessuna curiosità, nessuna 'suspence', da parte nostra, riguardo all'esito delle raffinate perizie a cui i tecnici francesi e palestinesi sottoporranno i resti del defunto, con i più sofisticati sistemi di analisi, perché il risultato dell'operazione, comunque, è già pienamente raggiunto e passato alla storia. Se si troveranno le tracce di polonio, la 'verità storica' sarà che Arafat è stato ucciso, indovinate da chi; se non si troveranno, sarà l'ulteriore prova che il micidiale Mossad è tanto efficiente non solo da eliminare i propri nemici, ma anche da eliminare le tracce dell'eliminazione; se i pareri saranno discordanti o incerti, la dimostrazione della macchinazione sarà ancora più evidente. Non interessano a nessuno, pertanto, le inutili spiegazioni di chi ricorda, assolutamente inascoltato, che il polonio ha un tempo di dimezzamento di 138 giorni, il che vuol dire che ogni quattro mesi e mezzo metà della sostanza decade e se, due anni fa, ne sono state trovate tracce negli effetti personali del leader, ciò vuol dire che l'esposizione alla sostanza deve essere stata necessariamente recente (a meno che, al momento della morte del leader, ossia otto anni fa, ne sia stata messa una quantità tale da sterminare l'intera Palestina). Si tratta di considerazioni del tutto inutili, la sentenza è già scritta.
   Se ci si può interrogare sulla durata della capacità nociva del polonio, piuttosto, pochi dubbi sussistono sulla durata della nocività della persona di Arafat, che, a otto anni dalla scomparsa, dimostra ancora un'invidiabile forza di irradiazione. Campione indiscusso di ambiguità, camaleontismo, teatralità, doppiogiochismo, Arafat ha saputo offrire al mondo, come nessun altro, un variegato 'menu' di approccio all'ebraismo, fatto di innumerevoli portate, adatte a tutti i palati: dal più rozzo ed esplicito antisemitismo ai più fumosi e bizantini proclami di pace, dalle più sanguinarie ed efferate stragi ai più radiosi e smaglianti sorrisi, con dei fantastici piatti di fiori e pallottole, carezze e pugnali, panna e veleno. In virtù di tale variegata capacità culinaria, ha goduto di un successo senza pari, godendo di lunghi anni di ininterrotta preminenza, al riparo da qualsiasi tentativo di 'rottamazione'. Premio Nobel per la Pace (perché no?), intervistato quasi quotidianamente dalle principali testate del mondo, ospite fisso del Vaticano (ben 12 colloqui personali solo con Giovanni Paolo II, record assoluto), "guest star" dell'Assemblea dell'ONU e di molti Parlamenti nazionali (tra cui l'italiano), interlocutore di riguardo di sovrani, Capi di Stato e Primi Ministri, Arafat è stato ammirato da politici di destra, di centro e di sinistra, da masse di poveri diseredati e da regine e principesse, da barbuti tagliatori di gole e da paciosi borghesotti in doppiopetto, da fanatici bombaroli analfabeti e da raffinati artisti e intellettuali, permettendo a tutti - a ciascuno secondo il proprio gusto - di scegliere il modo preferito di risolvere la "questione ebraica". Nel ristorante Arafat ce n'era per tutti i gusti, chiunque entrasse poteva essere ottimamente servito "à la charte". Nessuno, dopo di lui, ha potuto neanche lontanamente avvicinarsi al suo livello.
   Buon lavoro agli esperti francesi e palestinesi, con la preghiera di non comunicarci l'esito delle indagini. Da parte nostra, pur fidandoci della loro professionalità, non li chiameremo per esaminare i resti delle vittime delle stragi di Lod, Monaco, Ma'alot, Fiumicino e tante altre. Sappiamo come sono avvenute quelle morti, e chi le ha volute.

(Notiziario Ucei, 14 novembre 2012)


King Holidays consolida l'impegno su Israele

A partire da questo autunno il Paese è stato inserito anche nel catalogo delle proposte King Light. Al Museo Ebraico di Roma l'incontro con le adv

A pochi mesi dal lancio di Israele in programmazione, King Holidays consolida gli impegni sulla destinazione e presenta ufficialmente l'offerta alle agenzie di viaggio italiane.
Dopo Bologna e Milano l'operatore ha incontrato gli agenti ieri sera a Roma, scegliendo come location la suggestiva cornice del Museo Ebraico nel Ghetto, in collaborazione con l'Ente del Turismo Israeliano.
A partire da questo autunno Israele è stato inserito anche nel catalogo delle proposte King Light con 7 partenze a date fisse da Roma, da fine novembre a metà marzo, per soggiorni di 4 notti su Gerusalemme e Tel Aviv. Chi lo desidera potrà anche personalizzare il viaggio acquistando servizi ed escursioni come la visita completa di Gerusalemme o l'ingresso al "The Cat and the Dog", uno dei locali più trendy di Tel Aviv. Il pacchetto "Luxury" invece, prevede assistenza dedicata in aereoporto, transfer privati, visite guidate di Gerusalemme, un ingresso all'Indipendence Hall di tel Aviv e una cena nell'elegante ristorante Cavalier di Gerusalemme.
Consultando il catalogo Asia e Medio Oriente si può trovare il tour di gruppo "La Terra Promessa", in hotel 4 stelle con mezza pensione e voli di linea, ideale per una panoramica completa del Paese con tappe a Tel Aviv, in Galilea, lungo la valle del Giordano, nel Mar Morto e a Gerusalemme. In alternativa, si può optare per il circuito "Giordania e Gerusalemme" che conduce alla scoperta di Ammam, Jerash, Petra e Wadi Rum con sosta di 2 giorni nella Città Santa.
"In catalogo Israele entra solo quest'anno ma in realtà lo lavoriamo da anni con gruppi e viaggi personalizzati - ha detto Giancarlo Brunamonti, outgoing division manager del t.o. -, siamo in grado perciò di offrire anche proposte su base individuale e circuiti tailor made. Con King Light puntiamo invece a rendere la destinazione anche economica ed accessibile a tutti i target".

(Guida Viaggi, 14 novembre 2012)


Berlino, nostalgia nazista

La Germania riscopre la xenofobia e l'estremismo di destra. E il 20% dei tedeschi è ancora antisemita.

di Pierluigi Mennitti

  
BERLINO - Norimberga ha un problema di targhe automobilistiche. La combinazione della «n», che rappresenta la sigla cittadina, con le lettere «su», che in alcuni casi precedono la parte numerica, produce la spiacevole conseguenza che circa 500 auto circolano per la Germania portandosi appresso la sigla del National-sozialistischer untergrund, la cellula terrorista neonazista che ha seminato morte e terrore nel Paese prima di autodissolversi in una spettacolare azione di suicidio, lasciando una scia di sospetti sull'efficacia e la lealtà dei servizi di sicurezza tedeschi.
«L'amministrazione vorrebbe modificare le targhe incriminate», ha riferito la Welt, «ma l'operazione si presenta complessa e costosa, perché a ogni targa è associato il libretto di circolazione, quello del carburante e i codici dei portachiavi».

ALLARME SULL'ESTREMISMO DI DESTRA - Una questione d'immagine, che difficilmente risolverà il problema emerso dall'ultimo rapporto pubblicato dalla fondazione Friedrich-Ebert sulla diffusione dell'estremismo di destra in Germania.
Un lavoro elaborato ogni due anni da due ricercatori di sociologia, Elmar Brähler e Oliver Decker, che per l'edizione del 2012 hanno interpellato più di 2.400 cittadini e che viene considerato il barometro più autorevole per misurare la pressione della società tedesca.

IL PERICOLO DELLE NUOVE GENERAZIONI - «Gli scienziati sono allarmati», ha commentato la Tageszeitung, «perché nelle regioni orientali della Germania un tedesco su sei ha una visione del mondo improntata a ideologie di estrema destra. I risultati appaiono estremamente preoccupanti soprattutto nella fascia di giovani compresi tra i 14 e 30 anni, fra i quali sentimenti di razzismo e di simpatia per il nazismo risultano maggiori che fra gli adulti oltre i 60 anni. Qui sta crescendo una generazione che rischia di superare nei suoi atteggiamenti radicali ogni precedente, una forza esplosiva che non deve essere per nessuna ragione sottovalutata».
Il primo studio risale al 2002. Allora i ricercatori avevano evidenziato una maggiore presenza di posizioni radicali nelle regioni occidentali. Da allora la situazione si è invertita.
«Oggi, di fronte a un 7% di tedeschi occidentali che mostra posizioni di estrema destra, c'è il 16% registrato nei nuovi Länder orientali, una tendenza molto allarmante».
Ancora più alti i numeri che hanno registrato consenso per asserzioni di tipo xenofobo: il 54% dei tedeschi dell'Est è convinto che gli stranieri arrivino in Germania solo per sfruttare lo Stato sociale (a Ovest è il 31%), il 44% ritiene che l'immigrazione stia pericolosamente snaturando il Paese (a Ovest il 36%), il 39% si dichiara esplicitamente xenofobo (a Ovest il 22%).
«È il valore più alto mai raggiunto negli studi compiuti in 10 anni», hanno affermato Brähler e Decker, «l'ostilità nei confronti degli stranieri si è intrecciata profondamente nel dibattito all'interno della società e rappresenta una sorta di droga d'ingresso nel mondo dell'estremismo di destra».

NOSTALGIA DA NAZIONALSOCIALISMO - Più forte a Est che a Ovest anche il sentimento di avversione nei confronti dell'Islam (41% contro 35%) mentre viaggia a percentuali quasi identiche quello antisemita: 19% a Est, 20% a Ovest.
Il nazionalsocialismo trova invece più nostalgici nei cosiddetti Vecchi Länder, quelli che non hanno vissuto l'esperienza del socialismo reale: per l'11% dei tedeschi occidentali il nazismo ha avuto anche aspetti positivi, affermazione che trova a Est solo il 9% dei consensi.
Secondo gli autori del rapporto, si può parlare scientificamente di visione del mondo improntata a ideologie di estrema destra quando gli interpellati non si limitano a condividere solo singole affermazioni razziste, ma forniscono più risposte inquadrabili in tale contesto.

L'ESPANSIONE DELLA XENOFOBIA - «Una spiegazione esauriente per la crescita del radicalismo xenofobo nelle regioni orientali non è stata però fornita», ha concluso la Tageszeitung, «dal momento che i due ricercatori ritengono che i problemi strutturali presenti in quelle aree, che a oltre 20 anni dalla riunificazione non sono stati completamente superati, non bastino da soli a spiegare la tendenza, specie fra le giovani generazioni. Certo, la xenofobia risulta più radicata nella componente dei cittadini senza lavoro, ma il fenomeno ha ormai travalicato la fascia della marginalità e comincia a insediarsi nel mezzo della società tedesca, specie di quella orientale. Queste regioni trascurate incubano al loro interno problemi di lungo periodo per la tenuta democratica che non sono più riconducibili soltanto alla disoccupazione o agli alti tassi di indebitamento».
È un allarme che riguarda l'intera società tedesca e a spegnerlo non sarà l'ennesimo dibattito sulla proibizione del partito neonazista Npd.

(Lettera 43, 14 novembre 2012)


Israele. Parlare di Apartheid è antisemita?

Sì. E’ la risposta di “Notizie su Israele” al titolo di un articolo di Haaretz ripreso e commentato con evidente compiacimento da un sito italiano che non merita neppure di essere nominato. Riportiamo soltanto le prime righe di introduzione:
    "L'analogia con il Sudafrica è una questione delicata che comincia a trovare spazio nel dibattito pubblico israeliano. Un sondaggio scatena la polemica. Un bene secondo Gideon Levy. Perché permette agli israeliani di rendersi conto dell'occupazione."
L’antisemitismo pensoso e moraleggiante di un certo intellettualismo ebraico e non ebraico è oggi più funesto degli sfoghi razzistici dei naziskin.

(Notizie su Israele, 14 novembre 2012)


Il sud d'Israele: una terra dove il tempo è scandito dal rosso di una sirena

di Costantino Pistilli

"Even one Qassam is one too many" questo lo slogan che rappresenta la battaglia dei cittadini del sud israeliano martoriati quotidianamente dal lancio di missili palestinesi: più di novecento da inizio 2012. Lo scorso giovedì i "vicini" dei gazawi hanno indossato una t-shirt rossa (rosso, come l'allarme che avvisa dell'arrivo di un razzo) e si sono dati appuntamento a Tel Aviv per chiedere al governo centrale di fermare una volta per tutte il continuo lancio di missili da Gaza.
E infatti, passata qualche ora dalla manifestazione degli israeliani in rosso, nelle giornate di sabato e domenica sono stati lanciati almeno 100 razzi, azione subito rivendicata da Hamas e dalla Jihad palestinese che insieme ai Comitati di Resistenza Popolare avrebbero istituito una sorta di stato maggiore congiunto per coordinare le operazioni contro Israele.
"Siamo esausti di dipendere dai capricci dei terroristi" ha dichiarato ai media nazionali una maestra d'asilo e un rappresentante del Eshkol Regional Council ha aggiunto: "Abbiamo bisogno di una soluzione immediata: se un Qassam avesse colpito uno spazio aperto a Tel Aviv, lo Stato avrebbe reagito con forza. A volte i media dicono che non c'è stato nessun danno materiale o si parla di assenza di feriti ma questo non è completamente vero perché ogni razzo procura dei danni psicologici molto gravi. Quello che vogliamo è vivere in pace: non chiediamo troppo". Intanto, le scuole restano chiuse ad Ashkelon, Ashdod, Sderot (dove una fabbrica è stata colpita per la quarta volta), nell'area di Eshkol e in quella di Be'er Tuviya.
Il governo di Gerusalemme ha risposto immediatamente al grido d'aiuto che parte dal sud del Paese. Innanzitutto, l'IDF sta lavorando per potenziare i sistemi di difesa dei propri automezzi montati su i veicoli di pattuglia come le Hammer o i blindati Wolf, così da garantire ai soldati il tempo sufficiente per uscire dal veicolo qualora fosse raggiunto da un razzo; la nuova escalation, infatti, è iniziata quando terroristi palestinesi hanno colpito con un missile anti-carro un veicolo delle Forze di Difesa israeliane in normale servizio di pattuglia al confine fra Israele e la Striscia di Gaza.
Inoltre, il premier Netanyahu ha promosso un nuovo programma per la difesa di 1.700 case e delle istituzioni che si trovano tra i 4 e i 7 chilometri dalla Striscia per un costo totale di circa 70 milioni di dollari. Il programma di difesa prevederebbe anche l'infoltimento di alberi ad alto fusto, soprattutto lungo la Route 232 (la strada principale che circonda il perimetro di Gaza), per ridurre al minimo le capacità di osservazione dei terroristi palestinesi e la gittata dei loro missili.
Il premier israeliano incontrando ad Ashkelon circa 100 ambasciatori stranieri, tra cui quello italiano, è stato chiaro: "Il mondo deve comprendere che Israele ha il diritto e il dovere di difendere i propri cittadini. Nessuno dei vostri governi accetterebbe una situazione del genere e nemmeno noi la accettiamo. Io non sono disposto ad accettarla. Pertanto opereremo per porvi fine".
Anche una delegazione italiana di parlamentari e senatori appartenenti a diversi partiti e che in questi giorni si trovava in Israele, si è recata ieri, lunedì 12 novembre, in visita di solidarietà in un kibbutz che in questi giorni è stato duramente colpito dalle continue scariche di missili provenienti dalla Striscia. Quando torneranno dal viaggio organizzato dall'Associazione Parlamentare di Amicizia Italia-Israele chiederemo a qualcuno dei nostri deputati cosa ha visto e vissuto per mimesi - scriveva da Israele Pasolini a Moravia- in una terra dove il tempo è scandito dal rosso di una sirena.

(l'Occidentale, 14 novembre 2012)


"Si chiude una pagina della storia ebraica di Ferrara"

Al cimitero ebraico di Ferrara l'ultimo saluto all'avvocato Paolo Ravenna

"Oggi si chiude una pagina della storia ebraica di Ferrara". Sono parole semplici eppure dense di significato quelle con cui il rabbino Luciano Caro ha voluto avviare la celebrazione funebre in memoria dell'avvocato Paolo Ravenna, svoltasi nel cimitero ebraico di via delle Vigne. Il cielo bianco si è aperto alla pioggia esattamente nel momento in cui amici, familiari e conoscenti si sono avviati verso il tempio: una sobria processione che ha accompagnato il defunto verso la sua ultima dimora terrena, e che ha voluto salutarlo ricordando le sue tante anime, le sue tante passioni.
La vita e l'impegno dello storico presidente della sezione locale di Italia Nostra - morto domenica 11 novembre nell'ospedale Sant'Anna, all'età di 86 anni - è stata raccontata dal figlio Daniele, seguendo un insolito percorso. "Voglio parlare di lui a partire dai suoi progetti, dalle tante idee che, sebbene anziano e malato, aveva intenzione di realizzare. Voleva scrivere un libro sui suoi incontri più belli, ma non c'è stato tempo. Ci provo ora io a ripercorrerli, anche se il tracciato sarà sicuramente diverso da quello che lui aveva immaginato".
Dai cugini assassinati ad Auschwitz al padre Renzo, dagli artisti ferraresi Annibale Zucchini e Galileo Cattabriga al genovese Emanule Guzzati, da Arrigo Minerbi a Nino Manfredi, senza dimenticare Giorgio Bassani.
"Quell'amicizia nacque ai tempi della scuola ebraica di via Vignatagliata, dove Bassani insegnava da giovane. Il loro rapporto si consolidò grazie all'intensa consuetudine e all'impegno per Italia Nostra, e nonostante fosse improntato a grande confidenza e intimità restò sempre tra loro l'atteggiamento dello studente che si rivolge al professore e viceversa". Per Bassani Paolo Ravenna fu "l'occhio e l'orecchio in città", ma non solo per lui. Anche Gherardo Ortalli, professore di storia e componente del direttivo nazionale di Italia Nostra, ha sottolineato come la presenza dell'avvocato a Ferrara funzionasse come "il centro di una costellazione", punto di riferimento obbligato per tante personalità del mondo politico e culturale italiano che dal capoluogo estense partivano, ma alla cui vitalità volevano restare allacciate.
Al compianto collettivo hanno contribuito gli interventi di Marcella Ravenna, a nome dell'Unione delle comunità ebraiche italiane e della Comunità ebraica ferrarese, dell'arcivescovo di Ferrara monsignor Paolo Rabitti (in sua vece ha letto una lettera di cordoglio il segretario don Carlo Adesso), del sindaco Tiziano Tagliani e del presidente dell'Istituto di studi rinascimentali Gianni Venturi. Ognuno ha voluto condividere ciò che ha significato, in termini di esperienza sia privata che professionale, incontrare Paolo Ravenna - "ho perso un collaboratore", ha esordito il primo cittadino, "grazie candido e ingenuo amico" ha concluso Venturi -. A fare da collante tra racconti e ricordi tanto diversi un profondo senso di gratitudine nei confronti dell'avvocato.
"Sabato scorso in sinagoga abbiamo citato il passo biblico in cui si tratta la morte di Abramo e di Davide - ha commentato il rabbino -. Quando sono venute a mancare quelle figure gigantesche erano già pronte altre persone in grado di sostituirle. Oggi, di fronte alla scomparsa di Paolo Ravenna, non percepisco la possibilità che qualcuno riesca a prendere il suo posto, ma mi auguro che ci sia chi voglia trarre ispirazione dal suo esempio, e continuare il suo percorso e con lo stesso entusiasmo i suoi studi".

(estense.com, 13 novembre 2012)


A novant'anni dalla scomparsa di Giacomo Levi Civita

Il 22 novembre a Padova, dalle ore 9:15 fino alle ore 18:30, organizzato dall'Univesità di Padova e dall'Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell'età contemporanea, si terrà, presso la sala Livio Paladin del Municipio di Padova, un importante convegno sulla vita di Levi Civita.




Nel 90o anniversario della scomparsa di Giacomo Levi Civita, che fu sindaco di Padova dal 1904 al 1910 e senatore nel 1908, si parlerà dell'importante esperienza ebraica a Padova e nel Nord-Est a cavallo dell'Otto e Novecento.

Locandina


In aumento i visitatori in Israele

Da gennaio ad ottobre 2012, piu' 8%

TEL AVIV, 13 nov - Aumenta il numero dei turisti che visitano Israele: da gennaio a fine ottobre di quest'anno sono stati 3 milioni, con un incremento dell'8% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso e del 5% riguardo al 2010. Per restare al solo mese di ottobre - indicano i dati diffusi dal Ministero del turismo israeliano - sono stati circa 391 mila quelli arrivati, con un aumento del 13% rispetto all'anno passato. Nello specifico, crescono anche i flussi turistici verso Eilat nell'estremo sud del paese. Obiettivo dichiarato del turismo israliano - se le tendenze attuali saranno confermate anche nei prossimi anni - e' quello di raggiungere 5 milioni di visitatori per il 2015. (ANSAmed).

(ANSAmed, 13 novembre 2012)


In Russia e Polonia i nazionalisti rialzano la testa

La "marcia dell'indipendenza" a Varsavia l'anno scorso. I nazionalisti polacchi godono di un sostegno crescente e delle simpatie di Chiesa cattolica e destra parlamentare | Foto di: Wikimedia Commons

di: Marco Siddi

La "marcia dell'indipendenza" a Varsavia l'anno scorso. I nazionalisti polacchi godono di un sostegno crescente e delle simpatie di Chiesa cattolica e destra parlamentare.

L'Europa orientale è di nuovo scossa da un'ondata di nazionalismo dai toni razzisti e antisemiti. Dopo l'Ungheria di Viktor Orban e degli ultranazionalisti di Jobbik, nuovi segnali preoccupanti arrivano da Russia e Polonia. Nei due paesi le feste nazionali - celebrate rispettivamente il 4 novembre e l'11 novembre - sono state segnate da imponenti manifestazioni dei gruppi dell'estrema destra.
L'11 novembre la Polonia festeggiava il 94esimo anniversario dell'indipendenza ottenuta nel 1918, dopo 123 anni di occupazione straniera. A Varsavia, i nazionalisti hanno organizzato una marcia parallela alle commemorazioni ufficiali (e a quelle della sinistra) che è rapidamente degenerata in scontri violenti con la polizia.
Per il secondo anno consecutivo, i nazionalisti polacchi hanno radunato migliaia di seguaci nelle strade della capitale - stando alle prime indicazioni, quest'anno sarebbero stati anche più dell'anno scorso. I dimostranti hanno inneggiato alla "grande Polonia" e cantato slogan xenofobi e antisemiti. I riferimenti a un "complotto giudeo-comunista" che starebbe svendendo il paese all'Unione europea e alla Russia sono una costante in questi ambienti. Queste "teorie" sono condivise anche da molti rappresentanti del partito Diritto e giustizia di Jaroslaw Kaczynski, che alle elezioni del 2011 ha ottenuto quasi il 30% dei voti, e da numerosi esponenti della Chiesa cattolica polacca.
L'estremismo religioso è una delle componenti più peculiari del nazionalismo in Polonia. Gli ultras dell'estrema destra polacca aspirano, almeno a parole, a una società fortemente conservatrice e religiosa, intollerante verso le minoranze etniche (per altro esigue nella Polonia di oggi) e oscurantista nelle politiche sociali. Poco importa se la legislazione vigente a Varsavia su temi come l'aborto è già una delle più retrograde in Europa.
La componente antisemita si ricollega a una lunga tradizione che attraversa tutti i periodi della storia moderna della Polonia. Oggi non restano che poche centinaia dei più di 3 milioni di ebrei che abitavano in Polonia fino alla seconda guerra mondiale. Eppure l'antisemitismo è ancora diffuso, frutto anche di un insufficiente dibattito pubblico sulle responsabilità di molti polacchi nell'Olocausto. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le devastazioni dei monumenti che commemorano la Shoah. Nell'agosto 2011, ad esempio, alcuni vandali, presumibilmente nazionalisti, hanno sfigurato e disegnato svastiche sul monumento agli ebrei di Jedwabne; lo scorso marzo hanno distrutto il cimitero ebraico di Wysokie Mazowieckie.
Xenofobia ed estremismo religioso sono anche caratteristiche essenziali del nazionalismo russo, come ribadito dagli slogan scanditi durante le manifestazioni del 4 novembre, il "giorno dell'unità nazionale". Dal 2005 le celebrazioni hanno sostituito quelle per l'anniversario della rivoluzione d'ottobre (che si svolgevano il 7 novembre) e stanno diventando un'occasione per il raduno di migliaia di nazionalisti nelle principali città russe.
Quest'anno i dimostranti sarebbero stati un numero compreso tra 6000 (dati della polizia) e 10000 (da fonti nazionaliste). Al canto di "la Russia ai russi, Mosca ai moscoviti", gli estremisti di destra hanno espresso con veemenza la loro ostilità all'immigrazione nel paese. Il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni notevoli nei centri urbani russi, soprattutto a Mosca, ma è fondamentale per l'economia di un paese che affronta da anni una grave crisi demografica.
I manifestanti hanno sfilato anche di fronte alla gigantesca cattedrale di Cristo Salvatore (distrutta da Stalin e ricostruita negli anni '90), sfoggiando crocifissi, simboli religiosi e magliette con la scritta "ortodossia o morte". La decisione di autorizzare la marcia in pieno centro si inserisce nelle strategie politiche di Putin: il presidente ha più volte cercato di ottenere il sostegno dei nazionalisti dipingendosi come fervido patriota.
I nazionalisti russi però sono molto critici anche nei suoi confronti. Gli rimproverano di non aver fatto abbastanza per contrastare l'immigrazione e di destinare una parte spropositata del budget federale alla pacificazione del Caucaso settentrionale. Non sono piaciuti nemmeno i recenti riferimenti di Putin a una Russia multietnica e aperta alle nazionalità dello spazio post-sovietico.
L'anno scorso il blogger e attuale leader dell'opposizione, Alexei Navalny, aveva partecipato alla marcia. Un'adesione che dovrebbe far riflettere chi sostiene a priori le fazioni anti-Putin in Russia. Quest'anno Navalny ha preferito disertare l'appuntamento dandosi malato. I nazionalisti hanno comunque cinque rappresentanti nel comitato di coordinamento dell'opposizione a Putin (su un totale di 45 delegati) e godono di un forte sostegno attivo e passivo nella società russa.
Il riemergere di istanze nazionaliste, razziste e antisemitiche accomuna Polonia e Russia, due paesi post-comunisti che da ormai due decenni hanno seguito strade differenti. La Polonia ha aderito alla Nato e oggi è uno dei paesi più autorevoli nell'Unione europea anche grazie al trend economico positivo - caso unico nella Ue. La Russia sta invece ricostruendo la sua potenza nel contesto euroasiatico e post-sovietico, con un modello di sviluppo che combina lo sfruttamento delle ingenti risorse energetiche a disposizione e una forte presenza dello Stato nell'economia.
Il nazionalismo esasperato che ha caratterizzato l'Europa orientale nel ventesimo secolo non è affatto morto. Di recente ha rialzato la testa e fa nuovi adepti. Uno scenario allarmante, soprattutto per una regione che in età contemporanea è stata teatro dei peggiori genocidi e delle più radicali pulizie etniche.

(MRI, 13 novembre 2012)


Torino - La danza di Israele conquista la scena

Nonostante i lunghi minuti di applausi, alla fine di Sadeh 21 - il primo dei due spettacoli presenti a Torinodanza in questi giorni - la Batsheva Dance Company non torna in scena, ma continua a cadere, lanciarsi e tuffarsi nel vuoto in maniera sempre più leggera dal quel muro che per tutto lo spettacolo ha delimitato la scena. Scena vuota, bianca, in cui i diciassette ballerini hanno mostrato una capacità di emozionare percepita in tutta la sua potenza dal numerosissimo pubblico che, all'uscita, non ha smetto un attimo di commentare con sorpresa la bellezza dello spettacolo. La sala delle Fonderie Limone era colma e sono state molte le persone che avevano pensato di trovare posto semplicemente presentandosi alle casse, e che hanno dovuto rinunciare a vedere la compagnia israeliana. Anche per lo spettacolo di questa sera, quel Deca Dance dal contenuto mutevole che presenta una sorta di antologia delle creazioni di Ohad Naharin, i biglietti sono esauriti da settimane, a riprova della fama della compagnia e del successo ottenuto già a Roma dal nuovo ambasciatore di Israele Naor Gilon e dall'ottimo staff che lo affianca. L'addetto culturale Ofra Farhi con la grinta che la caratterizza raccontava ieri come è arrivata a portare a Romaeuropa prima e ora a Torinodanza questi ambasciatori di cultura e di pace che stanno avendo tanto successo da aver già previsto di tornare in Italia nell'autunno del prossimo anno. E anche per Pagine Ebraiche, che ha pubblicato la scorsa estate un dossier sulla danza contemporanea israeliana e che nell'ultimo numero ha dedicato una intervista al coreografo Ohad Nahari, la serata è stata un successo: le tantissime copie richieste dall'organizzazione di Torinodanza sono state sia portate in sala e lette nell'attesa dello spettacolo che poi prese all'uscita, con evidente interesse a capire e conoscere quel patrimonio di cultura e bellezza che sa esprimere la minoranza ebraica italiana.

(Notiziario Ucei, 13 novembre 2012)


Piovono razzi da Gaza su Israele. Netanyahu: pronti a tutto

Gerusalemme avverte Siria e Hamas dopo un weekend di tensioni, con oltre 110 razzi sparati da Gaza verso lo Stato ebraico e un colpo di mortaio proveniente dalla zona smilitarizzata del Golan che ha colpito una caserma dell'esercito. Dopo una riunione del suo esecutivo, il primo ministro Netanyahu ha spiegato che le forze armate e l'intelligence sono impegnate in un attento monitoraggio di quanto avviene alla frontiera con la Siria e che Israele è pronta ad ogni evenienza

GERUSALEMME - I razzi da Gaza contro il sud di Israele non si fermano, né per ora sembrano concretizzarsi le voci di una tregua circolate ieri. Stamattina un missile e' caduto su una casa di Netivot, cittadina nei pressi della Striscia; nell'esplosione l'edificio è stato danneggiato e numerose persone sono state colte da attacchi di panico e curate sul posto. Tre colpi di mortaio sono invece esplosi in un'area disabitata nella zona di Eskol, sempre vicino Gaza. Un razzo diretto verso la zona di Ashkelon è invece stato intercettato dal sistema antimissile Iron Dome, schierato nella regione.
In risposta ai lanci di razzi di questi giorni (dal 10 novembre - secondo l'esercito - sono stati 110), il portavoce militare ha detto che durante la notte l'aviazione israeliana ha colpito un tunnel e un nascondiglio di armi nel nord della Striscia, così come un sito di lancio nel sud di Gaza.
Il ministro degli Affari strategici e vice primo ministro Moshe Yaalon ha detto alla radio militare di non avere fiducia che la Jihad islamica dichiari un cessate il fuoco e di aspettarsi dunque altri lanci di razzi da Gaza.
''Nessuno dei nostri governi accetterebbe una situazione del genere, e nemmeno noi la accettiamo. Io non sono disposto ad accettarla. Pertanto operiamo per metterle fine''. Lo ha detto - riferendosi a Gaza - il premier israeliano Benyamin Netanyahu incontrando ad Ashkelon circa 100 ambasciatori stranieri, tra cui quello italiano.
''Il mondo - ha aggiunto il premier parlando agli ambasciatori - deve comprendere che Israele ha il diritto ed il dovere di difendere i propri cittadini''. Poi ha aggiunto: ''Non staremo con le mani in mano di fronte agli attacchi ripetuti, quasi ogni giorno, sui nostri civili, sui nostri bambini''.
L'alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, è ''molto preoccupata'' per l'escalation della violenza tra Gaza e Israele. Asthon, in una nota, condanna il lancio di razzi e colpi di mortaio verso Israele e rivolge un appello alle due parti affinché si astengano da azioni che possono ulteriormente esasperare la situazione. Il 'ministro degli Esteri' Ue è da oggi in visita al Cairo e nella nota ribadisce il sostegno alla mediazione egiziana e condanna ogni violenza.

(RaiGiornaleRadio, 13 novembre 2012)


Un'operazione di guerra informatica contro Israele e i palestinesi

di Francesco Lanza

Non capita molto spesso di vedere accomunati come vittime di uno stesso attacco isrealiani e palestinesi, ma se quello che alcuni esperti di sicurezza informatica hanno detto è vero, questa volta alle spalle di una serie di atti di cyberspionaggio verso i due contendenti in uno dei conflitti più annosi della nostra epoca ci sarebbe un'unica matrice.
La prima traccia è stata ottenuta da un attacco al network della polizia israeliana, che è stata costretta a fermare le proprie operazioni informatiche per dare la caccia ad un trojan di tipo Xtreme RAT, infiltrato nei terminali grazie alle solite tecniche di ingegneria sociale.
Niente di particolarmente elaborato: un eseguibile malizioso accoppiato ad un semplice file word, studiato per sembrare proveniente dall'ufficio di Benny Gantz, capo della IDF. Xtreme RAT, identificato subito da Trend Micro, è un malware creato per rubare e ritrasmettere informazioni - cyberspionaggio, in poche parole.
La norvegese Norman ASA, basata ad Oslo, ha continuato la ricerca da questo punto. L'origine dell'attacco è tutt'ora sconosciuta ma l'inclusione di un certificato Microsoft auto-generato ha consentito di collegare il malware che ha bersagliato la polizia israeliana ad una serie di altri "bachi". Il certificato, assolutamente finto e pertanto non riconosciuto da Windows nella maggior parte dei casi, è un tentativo di apparire legittimi - e l'autore non si è preoccupato di crearne più d'uno da quasi un anno a questa parte.
Il più vecchio dei malware dotati di questo certificato farlocco risale all'ottobre 2011, ed era allegato ad un bombardamento di spam, che contenevano false notizie in arabo riguardanti il popolo palestinese. Il network di controllo del malware era posizionato talvolta a Gaza, talvolta a Ramallah. A distanza di otto mesi il bersaglio è diventato l'altra fazione, gli israeliani, ed in quel momento i server dalla Palestina si sono spostati negli Stati Uniti.
Norman ASA ipotizza che si possa trattare di un gruppo di hacker indipendenti, intento a vendere informazioni al miglior offerente, anche se ammette che la metodologia (che non è poi tanto sottile) è praticamente identica a quella degli attacchi che tradizionalmente vengono considerati come provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese.
Di sicuro in questo caso c'è una novità: è forse il primo caso nella storia in cui una cyberspia viene colta a spiare due contendenti nello stesso scenario di conflitto. Cina o non Cina, il modus operandi indica che si tratta di una fazione non coinvolta direttamente.

(Download blog.it, 13 novembre 2012)


“Il vangelo attraverso gli occhi dei profeti”

Convegno messianico

CASA CARES Reggello - Firenze
28 Dicembre - 1 Gennaio

Locandina

(Alleanza Messianica Italiana, 13 novembre 2012)


Siria-Israele: nuovi spari sul Golan

Ancora uno scambio di tiri tra Israele e Siria. Un nuovo colpo di mortaio è caduto sulle Alture del Golan. Forse sparato dalle forze regolari siriane, non avrebbe causato danni né feriti, ma sarebbe finito in una zona aperta nelle vicinanze di una postazione dell'esercito. I tank israeliani hanno risposto centrando l'artiglieria mobile siriana.
Il Golan è un territorio occupato da Israele nel 1973 e mai restituito alla Siria per la sua importanza strategica militare. Tsahal afferma che ulteriori episodi non saranno più tollerati e che la risposta sarà ''severa''.
Ieri uno scontro analogo era stato provocato da un tiro che aveva sconfinato per errore durante una sparatoria tra forze pro e anti Assad.

Video

(euronews, 12 novembre 2012)


il Presidente della Regione Calabria ha incontrato il Rabbino capo del Mezzogiorno

  
Giuseppe Scopelliti
Il Presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti ha incontrato in visita ufficiale questa mattina a Reggio Calabria, presso Palazzo Campanella, il Rabbino capo del Mezzogiorno d'Italia Scialom Bahbout. La riunione - informa una nota dell'ufficio stampa della Giunta - ha riguardato il prosieguo della collaborazione tra la Regione Calabria e la comunità ebraica. In particolare, sono stati affrontati i temi dell'istituzione di una sede per un centro della diffusione della cultura ebraica, la creazione di prodotti alimentari per l'esportazione e la promozione di un convegno nel corso della "settimana di cultura ebraica" in Calabria. Insieme al Presidente Scopelliti erano presenti, tra gli altri, gli Assessori regionali Luigi Fedele, Michele Trematerra, Antonio Caridi e Mario Caligiuri.
La riunione è stata introdotta da Attilio Funaro, del Consiglio di Amministrazione di Fincalabra che ha promosso il progetto "JoMeda Job for Mediterranean Actions", teso ad agevolare l'incontro domanda/offerta tra le comunità ebraiche del bacino del mediterraneo e le imprese della Calabria. Tra i diversi temi trattati, inoltre, una prossima visita dell'Ambasciatore israeliano in Italia, le collaborazioni culturali e universitarie, il ricordo della cacciata degli ebrei dal Regno di Napoli, la creazione di un centro studi gemmologici.
"La Calabria è una regione - ha dichiarato il Presidente Scopelliti - dove le testimonianze ebraiche sono ancora vive, e grazie a queste stiamo creando una collaborazione concreta per uno sviluppo economico, civile e culturale".

(strettoweb, 13 novembre 2012)


Nuova scoperta di gas naturale nel giacimento offshore Karish

GERUSALEMME 12 nov. - Un gruppo di compagnie che opera al largo delle coste israeliane ha annunciato la scoperta di riserve di gas naturale nel giacimento offshore Karish. Le compagnie del consorzio che opera il campo sono Noble Energy, che detiene una quota del 47,1%, insieme a Delek Drilling Ltd. Partnership e Avner Oil Exploration, ognuna con il 26,47%. Test geologici avrebbero confermato la presenza di circa 2 trilioni di piedi cubi di gas con il 50% di probabilita' di successo di estrazione. Le compagnie hanno dichiarato, tuttavia, di non avere ancora l'approvazione governativa per iniziare le attivita' di perforazione e di non avere ancora deciso se intraprenderle o meno.

(AGI, 12 novembre 2012)


La vita impossibile degli abitanti di Sderot sotto i razzi di Hamas

Attacchi di panico e stress

di Monica Ricci Sargentini
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"Dopo 29mila attacchi in dieci anni non vediamo la fine del tunnel". E' esasperato Danny Dahan, capo della Sderot Business Association. E esasperati sono gli abitanti della cittadina del Neghev che si trovano ogni giorno a fare da bersagli umani con conseguenze devastanti per la loro salute. La dottoressa Adriana Katz, direttrice del Centro di igiene mentale della zona, la scorsa settimana ha lanciato l'allarme: "La popolazione non sopporta più la situazione. Abbiamo 3mila casi di stress acuto e siamo soltanto in tre a lavorare". Katz chiede al governo ma anche alle organizzazioni di aiuti internazionali un aumento immediato del personale. Ieri l'ultimo sfogo con l'agenzia Ansa: "Ecco, adesso è tornata a risuonare la sirena. La popolazione è scioccata da 13 anni di continui attacchi. La gente - ha spiegato - soffre di disturbi psico-somatici, con sintomi identici per bambini ed adulti. Gli attacchi di panico sono simili. In particolare i bambini hanno anche una visibile regressione negli studi. Vivono in simbiosi con gli adulti, non vogliono mai lasciare i genitori, nè di giorno nè di notte. Abbiamo anche casi molto gravi di persone che hanno sviluppato vere e proprie patologie psichiatriche".
I cittadini di Sderot si chiedono se ci sarà mai una fine all'inferno. Accusano il governo israeliano di non fare nulla per fermare l'arrivo delle armi a Gaza. Ieri dalla Striscia per tutta la giornata sono continuati a volare decine di razzi Qassam e Grad in direzione del Neghev. E il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha minacciato un'escalation militare. Durante la riunione del governo israeliano, si è tornati a sentire invocazioni a favore di una nuova operazione terrestre di Israele nella Striscia, analoga alla "Operazione Piombo Fuso" di quattro anni fa, o dell'eliminazione fisica dei comandanti di Hamas, "dal capo dell'esecutivo Ismail Haniyeh, in basso".
Ad accogliere l'appello dei cittadini di Sderot è stato ieri il ministro della Sicurezza interna Yitzhak Aharonivic: "Non si può tenere all'infinito la popolazione come se fossero tanti anatroccoli al bersaglio. Molti di loro necessitano ormai assistenza mentale - ha convenuto il ministro - Abbiamo il dovere di liberare gli abitanti del Sud di Israele da questo incubo". E poi ha criticato il comportamento dei palestinesi: "Ma come? - ha esclamato - Noi teniamo aperti i valichi di transito con la Striscia, gli inoltriamo ogni ben di Dio, e loro sparano razzi sui nostri civili?».

(Corriere della Sera, 12 novembre 2012)


Israele avverte Siria e Hamas: basta con i razzi o la risposta sarà dolorosa

ROMA - Israele avverte Siria e Hamas dopo un weekend di tensioni, con oltre 110 razzi sparati da Gaza verso lo Stato ebraico e un colpo di mortaio proveniente dalla zona smilitarizzata del Golan che ha colpito una caserma dell'esercito. Dopo una riunione del suo esecutivo, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegato che le forze armate e l'intelligence sono impegnate in un attento monitoraggio di quanto avviene alla frontiera con la Siria e che Israele è pronta ad ogni evenienza. E senza giri di parole ha assicurato che qualora avvengano nuove violazioni del cessate il fuoco, la risposta sarà "dolorosa". Finora, lo Stato ebraico si è limitato a lanciare un missile a scopo dimostrativo, ma la palpabile tensione in una zona sostanzialmente calma da quasi trent'anni, fa temere conseguenze pesanti. Ne è consapevole il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, il quale ha lanciato un appello a favore del rispetto degli accordi del 1974, che prevedono il cessate il fuoco e la smilitarizzazione di una striscia cruciale di territorio nelle alture del Golan.
Ai timori per l'eventualità che il conflitto civile in Siria sconfini oltrefrontiera, in Israele o in Libano, si aggiunge la nuova ondata di tensione con i palestinesi. Due giorni fa un razzo proveniente da Gaza ha colpito una pattuglia israeliana e il governo Netanyahu ha risposto con pesanti bombardamenti aerei sulla Striscia, che secondo un portavoce di Hamas hanno causato sei morti. Così, il movimento per la resistenza islamica ha intensificato la propria azione, con il massiccio lancio di razzi avvenuto ieri. "Israele non resterà a guardare", minaccia ora Netanyahu, al quale ha fatto eco il ministro della Difesa Ehud Barak, che non ha escluso l'ipotesi di un'offensiva di terra, la prima dopo il conflitto del 2009. "Se sarà necessario per provvedere alla sicurezza dei cittadini israeliani, non esiteremo a rientrare a Gaza", ha detto Barak.

(il Velino, 12 novembre 2012)


Il rabbino capo di Roma: puntare sulla cucina kosher contro i pregiudizi

'Gusto Kosher', i sapori della tradizione ebraica

di Virginia Di Marco

  Il famoso carciofo alla giudia
ROMA, 12 nov - Prendere gli antisemiti per la gola, a tavola: è la ricetta del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che punta anche sulla cucina ebraica per contrastare pregiudizi e discriminazioni. "La cucina ebraica è l'arma migliore per combattere l'antisemitismo", ha dichiarato ieri Di Segni, intervistato da ANSAmed durante l'evento eno-gastronomico 'Gusto Kosher', tenutosi nel vecchio ghetto della capitale.
"Molta gente - ha spiegato - mostra simpatia sostanziale per l'ebraismo quando si siede a tavola. Mangiando i nostri dolci, scopre un mondo ricco di cose piacevoli". Anche per questo, la manifestazione di ieri era aperta a chiunque, ma in particolare a chi non conosce la cucina kosher: vale a dire quella che rispetta i dettami della Bibbia e dei suoi commentatori. Daniele e Giovanni Terracina, animatori principali di 'Gusto Kosher' e titolari del catering kosher più affermato della città, stanno cercando di esportare la loro cucina al di fuori della comunità ebraica. "L'etichetta kosher - afferma lo chef Giovanni Terracina - è garanzia di verifiche rigorose, certificate da un'autorità rabbinica esterna. Tendenzialmente, gli ingredienti utilizzati rispettano la stagionalità e sono a chilometro zero; inoltre, la particolare cura posta nella scelta degli ingredienti permette di conoscere l'esatta composizione di un piatto". Il che semplifica la vita di chi soffre di certe intolleranze alimentari.
Oltreoceano, la cucina kosher è diventata qua e là una moda. "In America c'è chi dice che, se un ristorante va male, bisogna chiuderlo e riaprirlo kosher", racconta Terracina. In Italia, per ora, sta riscuotendo gran successo il vino prodotto secondo i dettami dell'ebraismo religioso. Vinitaly 2011 ha premiato come migliore cantina del Lazio la Cantina S. Andrea, che produce anche bottiglie kosher. Mentre il premio per il miglior vino del mondo se l'è aggiudicato la cantina israeliana Golan Heights. Del resto, vino ed ebraismo sono tradizionalmente legati, come spiega Di Segni: "Nel rito e nel costume ebraico esistono avvertenze e divieti a non abusare, ma anche obblighi cerimoniali connessi con il vino. Per esempio, la mensa festiva si inaugura con una benedizione sul vino, che dà solennità alla cerimonia domestica". L'uso sacrale del vino mette a riparo da qualsiasi rischio di sofisticazione. "Esiste una normativa rigorosissima sul vino kosher - spiega il rabbino capo -, il quale, tra l'altro, può essere prodotto e manipolato soltanto da ebrei osservanti".

(ANSAmed, 12 novembre 2012)


Ferrara - Paolo Ravenna (1926-2012)

di Gadi Luzzatto Voghera

Paolo Ravenna
Quando si spegne una voce come quella di Paolo Ravenna, mancato ieri nella sua Ferrara all'età di 86 anni, se ne va irreparabilmente un pezzo della cultura critica italiana e nel contempo un elemento fondamentale di quel legame d'amore forte e profondo che caratterizza il rapporto fra l'ebraismo e l'Italia tutta, intesa come territorio, beni artistici, panorama umano e intellettuale. Primo di tre figli dell'avvocato Renzo Ravenna - che era stato podestà di Ferrara per tre lustri e che aveva incarnato nel suo operato le contraddizioni di una questione ancora assai dibattuta come quella del rapporto fra mondo ebraico e fascismo - Paolo si era formato nutrendosi dell'amicizia e della cultura di Giorgio Bassani. Aveva scelto la professione di avvocato, sulle orme del padre, e come il padre aveva da subito colto l'imprescindibile necessità di operare attivamente per il recupero e la salvaguardia di un territorio come quello di Ferrara che sentiva profondamente suo. Assieme all'amico Giuseppe (Beppe) Minerbi aveva fondato Italia Nostra, un'associazione che solo in seguito prendeva forma a livello nazionale. Iniziava in questo modo un lavoro lungo decenni, che ha portato fra l'altro al recupero dell'intera cinta delle mura di Ferrara. Convinto profondamente che la vita e la storia della sua comunità ebraica non potesse essere concepita come disgiunta dal territorio, Paolo Ravenna si adoperò per recuperare e rendere fruibile il monumentale edificio di via Mazzini (la storica via dei Sabbioni) che ospita tre sinagoghe e che oggi è anche sede del bel museo della comunità. Sull'edificio, sulla sua importanza storica, culturale e artistica, e sulla sua centralità per l'intera realtà ferrarese, Paolo Ravenna aveva appena finito di realizzare un prezioso volume che purtroppo non ha fatto in tempo a vedere pubblicato. L'impegno nella salvaguardia del patrimonio culturale ebraico, concepito nella sua connessione stretta con la realtà italiana, lo ha spinto in anni recenti ad essere fra gli ideatori e poi attore protagonista nella realizzazione del MEIS, il Museo dell'Ebraismo Italiano e della Shoà che va prendendo forma nella sua Ferrara, dalla quale il recente terremoto l'ha dolorosamente espulso rendendo inagibile la sua storica abitazione di via Palestro. Mancherà ai vivi, che il suo ricordo sia di benedizione.

(Notiziario Ucei, 12 novembre 2012)


Israele reagisce, colpi di avvertimento su Gaza e nel Golan

La diplomazia egiziana sta cercando di concordare un cessate il fuoco fra Hamas ed Israele, per mettere fine ai combattimenti in corso da ieri fra Gaza e il Neghev. "Le forze israeliane hanno esploso dei colpi diavvertimento e trasmesso un messaggio alla Siria.

GERUSALEMME - La diplomazia egiziana sta cercando di concordare un cessate il fuoco fra Hamas ed Israele, per mettere fine ai combattimenti in corso da ieri fra Gaza e il Neghev. Lo riferisce la televisione commerciale israeliana, Canale 10. Secondo l'emittente, il cessate il fuoco dovrebbe entrare in vigore alle ore 18 locali, le 17 in Italia.
Nel Neghev, anche nell'ultima ora, sono comunque esplosi altri razzi e colpi di mortaio, e la popolazione israeliana che vive a ridosso della striscia di Gaza e' chiusa nei rifugi.
Tensione anche con la Siria
"Le forze israeliane hanno esploso dei colpi di avvertimento e trasmesso un messaggio alla Siria attraverso le Nazioni Unite in mettiamo in guardia sul fatto che in caso di ulteriori colpi esplosi vi sara' un veloce risposta". La scorsa settimana un colpo di mortaio siriano era arrivato a Alonei Habashan.

(RaiNews24, 12 novembre 2012)


Bill Shapiro: Moschino-Tel Aviv, matrimonio riuscito

Maison italiana apre 'Tel Aviv Fashion Week'

di Massimo Lomonaco

  
TEL AVIV, 12 nov - "Quello con Tel Aviv è un matrimonio riuscito": Bill Shapiro lo stilista che, insieme a Rossella Jardini, disegna Moschino non ha dubbi nel raccontare alla stampa internazionale il senso della sfilata della maison italiana che ieri sera ha inaugurato la seconda edizione della 'Tel Aviv Fashion Week', in programma fino al 13 novembre nella 'Ha Tachana', la vecchia stazione ristrutturata di Giaffa. "Una città viva, ottimista, energica che rappresenta benissimo - ha aggiunto subito - lo spirito del nostro 'marchio'". Moschino ha scelto per la passerella di ieri sera la collezione Primavera-estate 2013 "solare e dinamica", capi per l'uomo e infine una retrospettiva degli abiti storici della maison che meglio fanno risaltare l'essenza della casa. Shapiro - che non ha escluso la possibile prossima apertura di uno store a Tel Aviv - ha esaltato la moda israeliana che nella tre giorni di Tel Aviv farà sfilare le collezioni dei più influenti stilisti israeliani (da Ishtar ad Anya Fleet, Galit Levi) e darà spazio anche agli studenti della Shenker, la più importante scuola di design del paese. "La creatività - ha spiegato lo stilista - non ha confini e quella israeliana è ben nota. Ha una grande capacità di interpretare il cambiamento, il movimento". Ma senza dimenticare la moda italiana che ha una sua grande storia: "l'Italia - ha detto - può insegnare tutto a tutti. Da voi, e lo dico io che sono americano e lavoro per un grande marchio italiano, la moda è cultura e va preservata ad ogni costo".
Del resto la Tel Aviv Fashion Week ha un legame profondo con l'haute couture italiana: l'anno scorso ospite d'onore - come in questa edizione Moschino - è stato Cavalli e questo - ha detto Ofir Lev, presidente della manifestazione - "dimostra il forte legame tra la moda italiana e israeliana". "Moschino - ha spiegato Lev - rappresenta per i giovani stilisti israeliani un esempio di creatività, coraggio, carisma senza tempo che percorre cavalcando le mode uno stile indiscusso e inconfondibile". Lev ha poi detto che l'iniziativa - risorta dopo una lunga pausa - vuole "mostrare la creatività israeliana e anche cambiare il look di come Israele è percepita nel mondo".
Le sfilate - dove si attendono 20.000 persone e tutti i buyers internazionali - hanno come obiettivo l'aumento dell'export israeliano. "La fashion week di Tel Aviv è la più importante manifestazione di questo paese ed ha il supporto ufficiale del governo ma ovviamente - ha sottolineato - ben vengano tutte le altre iniziative. Noi le sosterremo, perché è obiettivo comune esportare la nostra moda all'estero".
Rossella Jardini in un messaggio ha insistito molto sulla scelta di partecipare alla manifestazione, che ha avuto il supporto dell'ambasciata italiana: "Tel Aviv è una città che rappresenta il dinamismo, l'energia e l'evoluzione: doti che rispecchiano lo spirito di Moschino".(ANSAmed).

(ANSAmed, 12 novembre 2012)


Il conflitto siriano sconfina verso Israele


(euronews, 11 novembre 2012)


Sudan: Bashir, Israele nemico numero 1, risposta dolorosa all’attacco di Khartoum

''Israele resta il nemico numero uno'' del Sudan e Khartoum dara' una risposta ''dolorosa'' all'attacco sferrato dagli aerei israeliani contro la fabbrica di munizioni 'Yarmouk ' nella capitale, a ottobre. E' quanto ha assicurato il presidente Omar Al-Bashir nella sua prima dichiarazione pubblica dopo l'intervento alle corde vocali al quale si è sottoposto in Arabia Saudita.
''Sono in perfetta salute e la nostra risposta a Israele sara' dolorosa'', ha detto Bashir, 68 anni, in un messaggio letto dalla radio di Stato. Il mese scorso il Sudan ha accusato Israele di aver condotto un raid aereo sulla fabbrica di armi Yarmouk a sud di Khartoum, uccidendo almento quattro persone. Israele non ha mai commentato, ma da lungo tempo accusa il Sudan di fornire armi all'Iran e a Hamas.

(Aki, 10 novembre 2012)


Torino ha il suo ristorante Kasher

Un locale dove si rispettano le norme della religione ebraica, domani l'inaugurazione. Domani all'inaugurazione del ristorante «Alef» , in via Sant'Anselmo 4, verranno spezzati due tipi di pane. Due, come le tavole della legge.

di Antonella Mariotti

     
  Domani all'inaugurazione del ristorante «Alef» , in via
  Sant'Anselmo 4, verranno spezzati due tipi di pane. Due, come
  le tavole della legge
TORINO - Spezzeranno il pane, vi spargeranno un po' di sale sopra e berranno vino. Kasher naturalmente. È la festa più che l'inaugurazione di «Alef» primo ristorante di cucina che rispetta le regole kasher: «Ma non chiamiamoli divieti, sono una serie di indicazioni da seguire per scegliere e preparare il cibo».
Sarah Kaminski, docente universitaria è una dei tre soci del locale in via Sant'Anselmo 4, dalle vetrine in diagonale guardi la facciata splendida della Sinagoga.

- Le regole
  Ieri Sagit Aravà, architetto e cake designer era in cucina, ma «solo fino alle cinque del pomeriggio, perché per noi poi è festa». Il cibo servito domenica sarà comunque «fresco» di preparazione «perché cucinare non è come lavorare». Il terzo socio di «Alef» - come la prima lettera dell'alfabeto, a significare un inizio propiziatorio di una proficua prosecuzione - è il marito di Sagit, Antonio Inserillo, siciliano, che si occupa dei vini, degli alcolici e delle bevande in genere: «Non tutti sono ammessi, ma il vino sì: Avremo prodotti israeliani che sono controllati all'origine».

- Gli ingredienti
  A Torino la comunità ebraica conta circa 35 mila persone [Evidente refuso: non a Torino, ma in tutta Italia sono circa 35mila persone, ndr]: «Siamo pochi per questo non ci sono centri specializzati per la nostra alimentazione - dice Sarah Kaminski -, alcuni alimenti li facciamo provenire da Milano. In Francia c'è un centro per la fornitura del cibo kasher, negli Usa addirittura due». E tra gli americani il cibo kasher è diventato quasi una moda, il 50 per cento lo preferisce, anche perché è sottoposto a controlli severissimi, «l'insalata deve essere lavata quattro volte» sottolinea Sagit, mentre prepara profumati dolcetti al cioccolato.
Alla tavola kasher si siedono volentieri anche ambientalisti e animalisti: solo alcuni animali vengono macellati ed è vietato farli soffrire, pochi esseri viventi diventano cibo, e nessuna carne deve essere mescolata con il latte. «La nostra tavola è ottima per chi è intollerante ai latticini - spiega Antonio - prepariamo ottimi cappuccini con la schiuma con il latte di mandorle o di soia». Il caffè macchiato al profumo di mandorle è una delizia. Se lo stomaco si troverà benissimo da «Alef» altrettanto lo farà la mente, perché tra i tavoli ci saranno libri sulla cultura ebraica.

- Il rabbino
  All'apertura di «Alef» ci sarà il rabbino capo di Torino Eliahu Birnbaum che - spiega Sarah Kaminski - poserà un cofanetto sullo stipite con tre preghiere d'augurio. «Sarà un buon viatico per il ristorante». Ma anche i profumi che provengono dalla cucina saranno convincenti.

(La Stampa, 10 novembre 2012)


Domani la sinogoga di Alessandria sarà aperta per le visite guidate

Sinagoga di Alessandria
ALESSANDRIA - Domenica 11 novembre la sinagoga di Alessandria (in via Milano n. 7), sarà aperta con orario 10.30-12.30; 14.30-16.30 per visite guidate. I visitatori potranno ammirare il raccolto tempietto invernale e il suggestivo tempio grande, salvaguardati da un paziente lavoro di restauro non ancora del tutto concluso. La sinagoga è stata edificata nella sua forma attuale tra il 1867 e il 1870, ma la presenza ebraica in città è molto più antica e risale al XV secolo. La visita sarà quindi l'occasione per ripercorrere la storia e la memoria della comunità ebraica di Alessandria: una comunità che, nel corso dei secoli, ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo della città e che è stata brutalmente decimata dalle Leggi razziali e dall'Olocausto nazifascista; una comunità di cui la sinagoga di via Milano costituisce una testimonianza visibile e interessante dal punto di vista architettonico e artistico.
Le visite guidate sono a cura di Società Cooperativa Culture, in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino. La durata media della visita è di circa 30 minuti, il costo della visita è di 2 euro a persona e sarà possibile prenotarsi a partire dalle h. 10.30 presentandosi all'ingresso.

(Tuono News.it, 10 novembre 2012)


«Gusto Kosher», a tavola con il menu della tradizione ebraica romana

Domenica 11, al Ghetto degustazioni gratuite: cibi controllati e sostenibili, consigliati anche a chi soffre di intolleranze e celiachia. E ci sono anche i vini israeliani

di Carlotta De Leo

ROMA - Mangiare Kosher per sentirsi meglio. Al di là dei precetti religiosi, alcune buone pratiche della cucina ebraica possono migliorare la salute di tutti. Kosher, infatti, è sinonimo di biologico, km zero, vegetariano ed è quindi adatto a chi osserva un regime alimentare controllato e sostenibile. Ma è consigliato anche a chi soffre di problemi alimentari come intolleranze e celiachia. Non ultimo, mangiare Kosher vuol dire anche riscoprire i sapori della tradizione. Per avvicinare il grande pubblico a questa cucina, domenica 11 novembre 2012 dalle 11 fino alle ore 14 al Vecchio Ghetto di Roma è in programma «Gusto Kosher».

MINESTRA DI BROCCOLO- L'evento, totalmente gratuito, coinvolgerà diversi spazi del Vecchio Ghetto e, grazie a Lebonton Catering, quest'anno oltre al vino si potranno degustare anche i piatti della tradizione Kosher . Il cortile del Palazzo della Cultura ospiterà le degustazioni enogastronomiche. Per deliziare il palato sfizi d'autunno, assaggi di prodotti gourmet e piatti della gastronomia giudaico-romanesca e medio-orientale. Tra i piatti pensati per l'appuntamento, la minestra di broccolo romanesco e pesce di scoglio, è una rivisitazione in chiave ebraica della classica minestra di broccoli e arzilla (o razza) poiché agli ebrei è consentito mangiare solo pesci che abbiano squame e pinne. Ma anche i torselli d'indivia (cuori di indivia - verdura originaria dell'India ma conosciuta a Roma fin dal '500 - cotti al forno o fritti in padella e conditi con olio, sale e pepe)e la shakshuka (è un piatto di origine algerina e tunisina, introdotto poi nella cucina israeliana dagli ebrei tunisini immigrati in Israele).

DAL NEGHEV 70 ETICHETTE - Ma ci sarà spazio anche per un bicchiere di vino, o forse due. Si celebra quest'anno uno «gemellaggio di bottiglie» tra l'Italia e Israele: 70 etichette tra vini bianchi, rossi, rosati e bollicine. Il pubblico sarà accolto in un'atmosfera conviviale, sarà condotto alla degustazione dai consigli dei sommelier ai banchi d'assaggio e potrà orientarsi con l'aiuto della guida distribuita all'ingresso.
«Quando abbiamo iniziato l'attività 20 anni fa - spiega con soddisfazione Giovanni Terracina di Lebonton Catering - a Roma non esisteva nemmeno un ristorante Kosher. Eppure con passione, abbiamo realizzato il nostro sogno. Adesso abbiamo un nuovo obiettivo: promuovere fuori dall'ambiente ebraico i benefici, oltre che la bontà, della nostra cucina e del nostro vino».

(Corriere della Sera - Roma, 10 novembre 2012)


Milano - Le virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa

di Francesca Matalon

Si parla tanto d'Europa in questi ultimi tempi, un'entità grande ma un po' vacillante, che si cerca di aiutare in tutti i modi a stare in equilibrio, sorreggendola da ogni lato e scavando a fondo per capirla meglio. In questo dibattito s'inserisce il convegno internazionale Le virtù dei giusti e l'identità dell'Europa, organizzato dall'Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano, costituita da Comune di Milano, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Gariwo, la foresta dei Giusti. Due pomeriggi, quelli del 9 e del 13 novembre dalle 15 alle 19, di incontri rivolti agli insegnanti e aperti alla cittadinanza, nella bella cornice di Palazzo Marino, per riflettere con filosofi e scrittori sui valori fondanti dell'identità europea attraverso l'esempio dei Giusti. Verità, dignità, solidarietà, responsabilità, giustizia, tolleranza, questi sono i vessilli di cui questi uomini e donne sono stati portatori e che potrebbero essere la chiave per risolvere i problemi di un'Europa così confusa. Il convegno rappresenta il primo appuntamento in vista delle celebrazioni che si terranno in diverse città europee il 6 marzo, Giornata europea in Memoria dei Giusti, istituita dal Parlamento di Strasburgo in risposta all'appello di Gariwo. Il 6 marzo 2007 è morto Moshe Bejski, presidente per molto tempo della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, e in suo onore è stata scelta questa data. A intervenire nel pomeriggio del 9 novembre saranno Salvatore Natoli, filosofo, Università di Milano Bicocca, Stefano Levi Della Torre, saggista, Politecnico di Milano, Sante Maletta, filosofo, Università della Calabria, introdotti da Gabriele Nissim, vicepresidente dell'Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano. Il quale parlerà anche il 13 novembre, insieme a Francesca Nodari, filosofa, direttrice del festival "Filosofi lungo l'Oglio", Francesco Tava, filosofo, Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, e Massimo Cacciari, filosofo, Università Vita e Salute S.Raffaele di Milano. Interverranno inoltre Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale, Gabriele Albertini, eurodeputato, primo firmatario per l'istituzione della Giornata Europea dei Giusti, Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia, Giorgio Mortara, consigliere UCEI. "Dopo l'importante risultato ottenuto al Parlamento Europeo, questo convegno è fondamentale per capire quale significato può assumere oggi in Europa la Giornata dedicata ai Giusti", ha dichiarato Gabriele Nissim. "Milano è ancora una volta capofila nella riflessione e nelle iniziative su questo tema".

(Notiziario Ucei, 9 novembre 2012)


Trento: Provincia, ok al bando sulla ricerca industriale con Israele

TRENTO, 9 nov - Nuova tappa nella collaborazione tra la Provincia autonoma di Trento e Israele con l'approvazione, nella seduta odierna della Giunta Provinciale, del 'Bando per l'avvio di progetti congiunti di ricerca applicata tra imprese operanti in Trentino e nello Stato di Israele'. Lo comunica, in una nota, la Provincia di Trento.
Dopo l'Accordo-quadro siglato la scorsa primavera a Tel Aviv dal presidente Lorenzo Dellai e dal ministro del commercio e del lavoro del Governo Israeliano Shalom Shimon, e la visita, nei giorni scorsi, dell'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, l'approvazione del Bando consentira' alle imprese trentine e israeliane di sviluppare progetti congiunti di ricerca industriale e cosi' attivare alleanze concrete per la commercializzazione di nuovi prodotti e servizi.

(ASCA, 9 novembre 2012)


Israele, scheletri nel pozzo antico: il giallo

di Valentina Tosoni

Potrebbe custodire un mistero il pozzo scoperto in un villaggio della Valle Jezrel e costruito 8.500 anni fa. Sul fondo sono stati ritrovati gli scheletri di una donna di 19 anni e di un uomo quarantenne. Accidentale caduta o omicidio? Gli scienziati studiano i reperti archeologici per aggiungere conoscenze storiche e chissà se sveleranno anche indizzi sul possibile "giallo Primordiale".

(la Repubblica, 9 novembre 2012)


Siria: Israele, sappiamo come difenderci dalle violazioni sul nostro territorio

GERUSALEMME, 9 nov - ''Il regime siriano e' responsabile di cio' che accade lungo il suo confine'' e se il conflitto in corso nel Paese dovesse ''condizionare'' lo Stato d'Israele ''difenderemo i nostri cittadini e la sovranita' del nostro Paese, perche' sappiamo come farlo''.
E' la dura risposta del vice primo ministro di Tel Aviv, Moshe Yaalon, ai tre colpi di mortaio esplosi ieri dal territorio siriano e caduti in una zona rurale delle alture del Golan occupate da Israele.

(ASCA, 9 novembre 2012)


L’ambasciatore Talo' porta solidarietà agli italiani di citta' colpite da razzi

Visita Sderot, Beer Sheva, Ashkelon e Ashdod

TEL AVIV, 9 nov - La solidarieta' ai civili italiani ed israeliani esposti al lancio di razzi dalla Striscia di Gaza e' stata portata dall'ambasciatore italiano in Israele Francesco Maria Talo' in visita in alcune citta' del sud di Israele.
Talo' ha incontrato i rappresentanti delle comunita' italiane di Sderot, Beer Sheva, del Kibbutz Ruhama, di Ashkelon ed Ashdod: a loro ha manifestato l'attenzione del governo italiano per le sfide alla sicurezza che affrontano "a causa dell'azione di milizie estremiste operanti a Gaza".
Dopo l'incontro con il sindaco di Sderot, la citta' piu' colpita da razzi e colpi di mortaio in arrivo da Gaza, Talo' ha discusso con il sindaco di Beer Sheva "possibili iniziative" di cooperazione tra la "capitale del Neghev" e l'Italia, in particolare nel settore scientifico, delle start-up, e della promozione della lingua e della cultura italiane.
La visita si e' conclusa con un sopralluogo alle nuove aree agricole create dal Keren Kayemeth, Fondo Nazionale Ebraico, anche con finanziamenti di cittadini italiani.

(ANSAmed, 9 novembre 2012)


Un film marocchino su ebrei berberi accende ll dibattito

'Tinghir-Gerusalemme, gli eco del Mellah' presentato a Roma

di Virginia Di Marco

ROMA, 9 nov - Se un professore di storia decide di girare un documentario da regista autodidatta, in pochi scommetterebbero che la sua opera prima possa essere un successo internazionale. Eppure e' quello che e' accaduto a Kamal Hachkar, marocchino d'origine, ma francese d'adozione. Il suo film, 'Tinghir-Gerusalemme, gli echi del Mellah', ripercorre la storia della comunita' ebraico-berbera di Tinghir, piccola citta' marocchina circondata dalle montagne, dove oggi non abitano piu' ebrei. Dopo oltre 2000 anni di pacifica convivenza con i musulmani, la comunita' ebraica si e' svuotata progressivamente tra gli anni Cinquanta e Sessanta, stabilendosi in Israele, spinta da uno slancio sionista e dagli incoraggiamenti dell'Agenzia ebraica, che prometteva lavoro, case e benessere in Israele.
''Ma all'epoca le condizioni di vita nel giovane Stato ebraico erano molto dure, e non solo. Gli ebrei berberi venivano considerati dei selvaggi rispetto agli ebrei dell'Europa centro-orientale'', racconta ad ANSAmed Hachkar, il quale, nel suo viaggio alla ricerca degli ebrei di Tinghir, ha percorso in lungo e in largo Israele. Il suo approccio da studioso, che non lascia spazio per l'ideologia, gli ha pero' attirato in patria l'accusa di voler 'normalizzare' le relazioni con Tel Aviv. ''Il conflitto arabo-israeliano non c'entra con il mio film - ribatte lui -, se gli ebrei di Tinghir si fossero stabiliti in Papuasia, sarei andato li'. Certi attacchi strumentali vengono mossi da panarabisti e islamisti che, secondo me, non hanno nemmeno visto il documentario e che, comunque, per i palestinesi non hanno mai alzato un dito''. In Israele, al contrario, il suo lavoro e' stato molto apprezzato, al punto da aggiudicarsi il premio per il Miglior documentario al recente Festival di Ashkelon. Ottime recensioni sono arrivate anche da San Francisco e Bruxelles, dove il film e' stato presentato, mentre in Marocco tutti gli istituti culturali francesi lo hanno messo in programma. ''Cio' che mi rende piu' orgoglioso - dichiara pero' Hachkar - e' essere riuscito ad arrivare all'opinione pubblica marocchina, soprattutto quella piu' semplice, la piu' vulnerabile ai discorsi di populisti e oscurantisti''.

(ANSAmed, 9 novembre 2012)


"Ebrei a Roma", memoria e presente. Un documentario racconta la comunità

Sarà presentato al Festival internazionale del Film il lavoro di Gianfranco Pannone. Una lunga storia attraverso le testimonianze di tre generazioni. Un ritratto di una comunità che è parte integrante del tessuto economico e culturale della capitale

di Alessandra Vitali

Trailer
Ricotta e marmellata di visciole, o ricotta e cioccolato. Dipende dai gusti. Pochi a Roma non conoscono la torta del Forno Boccioni. Pasticceria kosher piccola e spartana, gestita da un drappello di signore energiche di diverse generazioni. È il profumo della tradizione quello che esce dalla porta a vetri in via del Portico d'Ottavia numero 2. Siamo nel cuore del Ghetto di Roma, voluto a metà Cinquecento da Papa Paolo IV che con la bolla Cum Nimis Absurdum revocò tutti i diritti concessi agli ebrei. E sentenziò la nascita di quel "serraglio" lungo il Tevere.
   Con il passare del tempo, da luogo di contenzione il Ghetto è diventato via via baluardo della tradizione, da area malsana fatta di stradine anguste e case senza servizi si è trasformato, grazie a diversi cambiamenti dell'assetto urbano e ristrutturazioni, in una delle zone più belle della capitale; così come, dopo secoli di persecuzioni, gli ebrei romani sono divenuti parte integrante del tessuto economico e culturale della città. Una storia lunga e affascinante che il regista Gianfranco Pannone ha saputo sintetizzare in Ebrei di Roma, il documentario che verrà presentato in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma (giovedì 15 novembre alle 20.30 al cinema Barberini, ingresso gratuito), un racconto fatto di immagini e di testimonianze che legano il presente della comunità a un passato fatto di tragedia e di orgoglio.
   "Avvicinarmi alla Roma ebraica con Agostino Mellino, che firma con me il soggetto di questo film documentario - spiega Pannone - è stata un'esperienza che mi ha arricchito molto, sono sempre stato affascinato dalla cultura ebraica, tant'è che due anni fa ho dedicato agli ebrei di Roma due cortometraggi. Quella che vorrei offrire è una fotografia di un piccolo grande mondo, miracolosamente vivo". Un mondo fatto di strade e di vestigia di Roma antica, di famiglie e di cognomi inconfondibili - Sonnino, Sermoneta, Terracina, Limentani - di riti religiosi dentro e fuori dal Tempio Maggiore (la sinagoga, una delle più grandi d'Europa, fulcro della comunità), di memoria, come il ricordo del 16 ottobre del 1943, il sabato nero, quando le SS rastrellarono 1024 persone. Dai campi ne tornarono solo sedici, fra quelle sedici non c'era nessuno dei duecento bambini portati via.
   Alle immagini del presente si affiancano quelle del passato con alcuni preziosi documenti dell'Istituto Luce e a fare da collante ci sono i racconti di tre testimoni che rappresentano altrettante generazioni: David, Giovanni, Michela. David Limentani (anni fa braccio destro dell'ex Rabbino Capo Elio Toaff), il più anziano è a capo di un'attività commerciale di cui rappresenta la settima generazione; Giovanni, quarant'anni, ha deciso di investire nel campo dell'enogastronomia ebraica e, come altri suoi coetanei, coltiva un forte sentimento religioso in cui mangiare kosher, cioè conforme alle leggi di Dio, così come rispettare lo shabat e le altre festività ebraiche diventa anche una riscoperta della propria identità. E poi c'è Michela, mamma trentenne, guida turistica del Ghetto: lei accompagna i turisti lungo un itinerario le cui tappe testimoniano le vicende drammatiche dei "giudei de Roma", dalle persecuzioni dei papi alla Shoah. In tutti e tre, l'orgoglio di rappresentare un pezzo di cultura nel cuore della capitale.

(la Repubblica - Roma, 8 novembre 2012)


Da Ramallah un video musicale contro il delitto d'onore

di Michele Monni

RAMALLAH - Avviare un dibattito sulla questione del delitto d'onore nella societa' palestinese: questo l'obiettivo del video musicale del gruppo hip hop palestinese 'Dam' dal titolo 'Se potessi tornare indietro nel tempo'.
Realizzato in collaborazione con 'UN Women' (l'agenzia delle Nazioni Unite per l'Uguaglianza di Genere e l'Empowerment Femminile), il video - ha detto Tamer Nafar leader della band - non racconta un episodio specifico ''ma descrive il fenomeno del delitto d'onore in generale''. L'opera, presentata ad una conferenza stampa del gruppo a Ramallah, racconta la storia di una ragazza palestinese uccisa dalla sua famiglia in quello che sembra essere un tipico caso di violenza domestica. ''Uccidere in nome dell'onore - ha sottolineato durante la conferenza stampa Alia El-Yassir, rappresentante speciale di 'UN Women' nei Territori occupati Palestinesi (che ha finanziato il progetto) - e' la forma piu' estrema di discriminazione contro le donne. Ogni donna ha il diritto alla vita e a un futuro.'' Un anno fa, l'Autorita' Nazionale Palestinese (Anp), sotto l'input del presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha varato un decreto per cancellare le disposizioni giuridiche che trattavano gli autori di delitti d'onore con maggiore indulgenza dei casi di ''semplice'' omicidio. Il decreto, tuttavia, resta ancora inefficace: secondo un rapporto delle Nazioni Unite ci sono stati 32 casi di delitti d'onore nei Territori Palestinesi tra il 2004 e il 2006 e 12 donne sono state uccise da un membro maschio della famiglia tra gennaio e agosto di quest'anno.
Diretto da Jackie Salloum con l'assistenza di Suhail Nafar, i video e' gia' disponibile online ed e' stato visto da migliaia di visitatori. Il leader dei Dam ha inoltre messo in risalto che il video e' rivolto ad una platea piu' vasta di quella palestinese. ''E 'un messaggio al mio popolo, a tutti gli arabi. Le rivoluzioni della Primavera Araba - ha spiegato - non sono solo contro l'oppressione delle dittature, devono essere rivoluzioni che mettano al centro i diritti civili e la parita' tra uomini e donne''.

(ANSAmed, 8 novembre 2012)


Russia-Israele - Peres emozionato inaugura a Mosca museo ebraico

MOSCA, 8 nov. - Era molto emozionato il presidente israeliano Shimon Peres, quando oggi ha inaugurato a Mosca un nuovo museo ebraico che ripercorre la storia tumultuosa degli ebrei in terra russa, dai tempi dello zar al presente, passando per le repressioni staliniane e l'Olocausto. "Non esiste un altro museo come questo", ha detto Peres in occasione dell'apertura in un sito già di per sè d'eccezione: un ex deposito di autobus costruito nel 1926 dall'architetto Konstantin Melnikov.
"Questa è una importante testimonianza storica della grandezza dell'uomo, ma anche delle sue debolezze", ha detto il capo dello Stato ebraico, che ha 89 anni ed è nato sul territorio dell'attuale Bielorussia prima che la famiglia emigrasse in Palestina nel 1930.
Il museo ha preso il posto della galleria Garage di Dasha Zukova, compagna del magnate Roman Abramovich, costretta a spostare la sua sala espositiva a Gorky park. Peres ha detto che i suoi genitori sono nati nell'impero russo, al termpo tutti parlavano "yiddish, ebraico e russo" a casa e la madre cantava canzoni in russo. "Questo è un momento molto emozionante per la mia gente, per il mio Paese e per me", ha affermato il presidente israeliano alla presenza di molti rappresentanti della comunità ebraica russa, tra cui Abramovich, proprietario del Chelsea football club inglese, e del miliardario Viktor Vekselberg.

(TMNews, 8 novembre 2012)

Video


Turismo da Italia verso Israele: da gennaio a settembre +16%

Israele mette a segno un nuovo record e sta per lanciare una campagna per incoraggiare gli israeliani ad essere loro stessi ambasciatori del turismo

Prosegue il trend positivo per Israele, con il mese di settembre che ha registrato un nuovo record. Sono stati, infatti, 305.000 i visitatori che si sono recati nel Paese, l'8% in più di settembre 2011. "I nuovi record - afferma il ministro del Turismo, Stas Misezhnikov - e l'aumento costante e continuo nel turismo incoming sono il risultato del lavoro di marketing intenso e mirato del ministero e del miglioramento del prodotto turistico. Siamo riusciti a far conoscere a molti visitatori da tutto il mondo il turismo israeliano, consentendo l'esperienza di una visita, trasferendo ad altri la positiva esperienza di un soggiorno in Israele. Stiamo lanciando una campagna per incoraggiare gli israeliani ad essere loro stessi ambasciatori del turismo verso Israele sia per il suo valore economico sia per il valore nel promuovere un'immagine positiva per Israele".
L'Italia è in questo momento uno dei Paesi con la crescita più interessante. Da gennaio a settembre la crescita dall'Italia è, infatti, del 16%, con 125mila turisti che hanno visitato il Paese.

(Guida Viaggi, 8 novembre 2012)


A Moretta (CN) Israele incontra l'Italia dei formaggi

L'Agenform, presso l'Istituto Lattiero-Caseario e delle Tecnologie Agroalimentari ha ospitato una delegazione di israeliani per un ciclo di lezioni sulla caseificazione artigianale

La delegazione di israeliani a Moretta
Si è appena concluso all'Agenform - Istituto Lattiero - Caseario e delle Tecnologie Agroalimentari di Moretta - un ciclo di sei lezioni sul tema della caseificazione artigianale, cui ha preso parte un gruppo di uomini e donne provenienti da Israele.
L'idea di organizzare questo corso è nata dalla volontà, manifestata dai partecipanti, di approfondire quelle che per loro erano conoscenze possedute soltanto a livello elementare sul tema della caseificazione: gli ospiti non erano digiuni di nozioni sull'argomento (ciascuno di loro proveniva da un background molto ricco di esperienze di produzione di formaggi a livello familiare) ma era necessaria una breve esperienza formativa che desse loro la possibilità di praticare "l'arte casara" secondo tecniche moderne e all'avanguardia.
La sede Agenform morettese - la cui storia vanta un'ormai ventennale esperienza nell'ambito di corsi di formazione in ambito agroalimentare - è stata quindi identificata come struttura ideale e idonea per fornire a queste persone conoscenze precise e mirate sulla produzione e commercializzazione dei prodotti lattiero-caseari.
Le lezioni, tenute dal docente e responsabile dell'Istituto Guido Tallone, sono state accolte con entusiasmo dagli allievi, i quali hanno avuto modo di affiancare agli insegnamenti frontali attività pratiche svoltesi nel "caseificio didattico", dove si sono svolte prove di lavorazioni di alcuni prodotti tipici del nostro territorio: mozzarella, ricotta, tomino fresco.
Il corso si è inoltre proposto di offrire ai partecipanti nozioni di marketing: dal momento che Israele è un paese che sta investendo molto sulla lavorazione di formaggi - biologici e di capra - e sulla nascita di piccoli caseifici (delle moderne kibbutz), è sembrato utile concedere agli studenti la possibilità di vedere e apprendere come avvengono in Italia la commercializzazione e la relativa promozione dei prodotti di azienda agricola.
L'esperienza appena conclusasi ha avuto il merito di scrivere le battuti iniziali di un dialogo - che si spera possa proseguire positivamente e in modo analogo magari anche in Israele - tra due realtà con tradizioni culturali e alimentari diverse, ma non poi così distanti.

(targatocn, 8 novembre 2012)


Moschino aprirà la settimana della moda di Tel Aviv con una sfilata evento

TEL AVIV (fashion) caput mundi - E' da qualche stagione che la settimana della moda di questa città fa parlare e movimenta la schedule di redattrici, giornalisti e moda-maniaci. Dopo la volta di Roberto Cavalli, quest'anno l'onore di aprire "le danze" va a un'altra prestigiosa casa italiana: Moschino. Che parteciperà come ospite d'onore alla seconda edizione della Tel Aviv Fashion Week, il più importante evento moda d'Israele. La kermesse si terrà dall'11 al 13 novembre e sarà aperta domenica 11 da Moschino con una sfilata evento che vedrà in passerella le collezioni Donna e Uomo P/E 2013 più una ricercata selezione di capi storici e iconografici dell'archivio Moschino. "Siamo felici di aver scelto Moschino come ospite d'onore della seconda edizione della Tel Aviv fashion week. La partecipazione di Moschino, marchio di riferimento della moda internazionale, che aprirà questa edizione, dimostra ancora una volta il forte legame tra la moda italiana e israeliana. Moschino rappresenta per i giovani stilisti israeliani un esempio di creatività, coraggio, carisma senza tempo che percorre cavalcando le mode uno stile indiscusso e inconfondibile" afferma Ofir Lev, presidente dalla Tel Aviv fashion week. Un commento-tributo a cui Rossella Jardini, direttore creativo di Moschino, ha risposto dichiarando: "Tel Aviv è una città che rappresenta il dinamismo, l'energia e l'evoluzione: doti che rispecchiano lo spirito di Moschino. Per questo quando ho ricevuto l'invito ad essere l'ospite d'onore della Tel Aviv fashion week ho accettato con entusiasmo, conscia di portare la forza e la positività del marchio in un paese così unico". Dopo il successo della scorsa edizione, la Fashion Week presenterà le collezioni dei più influenti stilisti israeliani e darà spazio agli studenti della Shenker, la più importante scuola di design del paese, di mostrare le loro creazioni ad un pubblico di giornalisti e buyer internazionali.
I tre giorni presenteranno sette sfilate al giorno, con 20.000 ospiti attesi da tutto il mondo.

(Elle.it, 8 novembre 2012)


Colpi di mortaio dalla Siria cadono nel nord di Israele

GERUSALEMME, 8 nov - Alcuni proiettili di mortaio, tirati dalla Siria, sono caduti oggi nel nord del territorio israeliano. Uno di questi - secondo quanto riporta il sito Ynet - vicino la cittadina di Alonei HaBashan, nella parte centrale delle Alture del Golan, mentre un altro e' piombato in prossimita' del confine con la Siria. Non ci sono stati feriti.

(ANSAmed, 8 novembre 2012)


Il sindaco di Gerusalemme incontra le donne del G8

di Fabio Pipinato

Con il sindaco di Gerusalemme
Si respirava un'aria davvero buona oggi nella municipalità di Gerusalemme, per l'incontro fra il sindaco Barkat e le "donne del G8" che hanno animato le prime due edizioni di Officina Medio Oriente: Hedva Goldschmidt, Faten Helzinaty, Tehilabila Barshalom, Suha Ibrahim Maraee, Adina Barshalom, Dganit Fashima, Nuba Farran. Le G8 lavorano nel sociale, nel mondo dell'istruzione o dei media e rivestono ruoli importanti all'interno delle comunità di riferimento. Si sono incontrate a Gerusalemme per elaborare un percorso di azioni comuni, per superare molti ostacoli, non solo quelli presenti all'interno della società israeliana, con le sue contraddizioni e i suoi conflitti, ma anche quelli legati alla loro condizione "di genere". Il loro essere donne all'interno di mondi dove tradizionalmente è più spesso l'uomo ad avere potere ed autorità. Una sfida importante, dunque, quella del "G8" delle donne, che ha favorito l'incontro di sensibilità così apparentemente lontane, per religione, esperienze, opportunità. Una sfida che il sindaco di Gerusalemme ha mostrato di tenere in grande considerazione ricevendole con tutti gli onoru alla city hall.
   Qualche esempio delle cose fatte in questi primi due anni. Innanzitutto, il corso per la risoluzione nonviolenta dei conflitti organizzato dallo Haredi college, l'università degli ebrei ultraortodossi creata da Adina Barshalom, figlia del Gran rabbino di Gerusalemme, con il sostegno della Provincia autonoma di Trento. Un'esperienza unica, nata in un contesto apparentemente molto chiuso, che per l'occasione ha aperto le sue porte anche a corsiste arabe e delle altre comunità che convivono nel paese. Il percorso si è concluso oggi con la consegna dei primi diplomi a quelle che diventeranno le prossime "ambasciatrici di pace" del Paese. Un altro concreto è il centro comunitario di Lod, aperto in un quartiere degradato della città, abitato prevalentemente da beduini inurbati; il centro in passato, e nonostante la sua collocazione, era caduto in disuso, soprattutto per mancanza di fondi, e di fatto privatizzato da alcune associazioni, divenendo più un luogo di discriminazione che d'incontro. Ma recentemente, grazie ad un impegno congiunto delle famiglie del quartiere, è stata avviata una nuova gestione. La direttrice della struttura è ora Faten Helzinaty, musulmana, che ha in quest'occasione in Tehilabila Barshalom il suo braccio destro.
   A giorni aprirà il primo doposcuola per i bambini delle famiglie beduine del quartiere, e quindi altre attività rivolte ai giovani e alle donne. Il centro promuove inoltre un programma per il recupero del fatiscenti condomini della zona: con 10000 euro si possono risanare fino a 40 appartamenti, ricorrendo al lavoro semi gratuito della popolazione. I cambiamenti, come ha potuto constatare la delegazione trentina, sono evidenti. Ed ancora: a Tel Sheva, cittadina beduina nel deserto del Neghev, è partito un progetto per sostenere e migliorare la scuola pubblica. Il tutto rientra nel programma Revadim, finanziato da una fondazione ebraica Rashi Foundation e da altri donatori anche esterni ad Israele. Quella di Tel Sheva è la prima scuola beduina ad esserne interessata, delle oltre 65 fino ad oggi coinvolte in tutto Israele. 5 di queste 65 sono miste ebraico-arabe. Se pensiamo che tutte le scuole primarie dell' Alto Adige hanno una segregazione su base etnolinguistica potremmo affermare che c'è molto da imparare.
   Si tratta di un "fare assieme", senza peraltro rinunciare alla loro identità. Un concetto questo ribadito anche dal sindaco di Gerusalemme nell'incontro di oggi, dopo avere ringraziato la Provincia Autonoma di Trento ed in specifico il presidente Dellai e l'assessore Beltrami. "La nostra città è per tradizione una città aperta a tutti. Nella tradizione ebraica si dice che dopo la cattività in Egitto le tribù di Israele ebbero ognuna una terra dove abitare. Ma Gerusalemme non andò a nessuna tribù, perché doveva rimanere una città aperta a tutte le popolazioni e a tutte le religioni. Anche oggi noi possiamo vedere questo camminando per le strade di Gerusalemme. Possiamo vedere ebrei ultraortodossi camminare assieme a musulmani o cristiani, possiamo vedere gente di ogni nazionalità, di ogni credo o provenienza, vivere assieme. E questo è in fondo il fondamento stesso delle moderne democrazie." Gerusalemme, infatti, ospita un terzo di ebrei ultraortodossi, un terzo di ebrei laici ed un terzo di arabi. Quest'ultimi non votano non riconoscendo l'autorità politica di Israele.
   "E se facessimo di Gerusalemme la nuova sede dell'Onu?", ha chiesto il direttore di Unimondo, riprendendo una proposta elaborata dall'Università di Padova, grazie al professor Antonio Papisca, e fatta propria dalla Tavola per la pace. Il sindaco si è detto possibilista. A patto, naturalmente, che sia tutta la città a volerlo e che gli equilibri internazionali, naturalmente, lo consentano. Il G8 delle donne è stato organizzato lo stesso giorno delle elezioni Usa. Ha vinto Obama. C'è ancora un margine di speranza!

(unimondo.org, 8 novembre 2012)


Due culture sono meglio di una. Chi ha vissuto all'estero fa più carriera

Ricerca dell'Università di Tel Aviv: "L'esperienza internazionale è un fattore che aumenta le probabilità di successo e realizzazione personale"

WASHINGTON - Vivere o andare all'estero per un periodo può aiutare a fare carriera secondo un nuovo studio dell'Università di Tel Aviv. La ricerca ha dimostrato che abbracciare due culture aiuta a salire la scala del successo lavorativo e personale con maggiore facilità ed elasticità mentale. L'indagine è stata pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology. Ma il segreto del successo, stando allo studio, non è semplicemente trasferirsi altrove ma riuscire a sfruttare le complessità e le consapevolezze più sofisticate prodotte dal vivere secondo principi biculturali e in contesti diversi.
«A differenza dei modelli di identificazione culturale in cui le persone appoggiano solo una cultura, l'identificazione biculturale richiede alle persone di prendere in considerazione e combinare punti di vista di entrambe le culture, la vecchia e la nuova», ha spiegato Carmit Tadmor, autore dello studio. «Nel corso del tempo questa capacità di elaborazione delle informazioni o complessità integrativa - ha aggiunto - diventa uno strumento che può aiutare le persone a muoversi più efficacemente nei contesti professionali e privati. Non tutte le esperienze internazionali ovviamente conducono a un risultato migliore e non tutti gli individui che hanno vissuto altrove traggono gli stessi vantaggi. Il beneficio di un'esperienza internazionale dipende, secondo i nostri risultati, dalla capacità acquisita di identificarsi simultaneamente con entrambe le culture, quella di provenienza e quella ospitante».

(La Stampa, 7 novembre 2012)


Troppi commenti negativi sulla rielezione di Obama: Netanyahu ordina di tacere

GERUSALEMME, 7 nov. - Troppi i commenti negativi sulla rielezione di Barack Obama, o comunque "poco diplomatici", negli ambienti della destra israeliana, diversi dei cui esponenti non hanno nascosto la propria delusione per la sconfitta del repubblicano Mitt Romney nelle presidenziali Usa.
Cosi' il primo ministro Benjamin Netanyahu si e' visto costretto a diramare una circolare con cui vietare a ministri, alti funzionari e deputati del suo partito, il Likud, di continuare a rilasciare dichiarazioni sull'argomento senza averle prima concordate direttamente con il capo del governo: lo ha reso noto l'edizione on-line del quotidiano 'Yedioth Ahronoth', secondo cui per essere piu' sicuro che i destinatari obbedissero, il premier ha fatto pervenire a ciascuno di loro un sms con il testo dell'ordine di tacere. "Nell'ufficio del primo ministro sono molto tesi per le reazioni negative che sono state diffuse" sull'esito delle elezioni americane, hanno riferito fonti riservate del Likud citate dal giornale. La maggior parte delle voci critiche si sono levate in forma anonima, ma c'e' stato anche chi non ha esitato a esporsi: per esempio il parlamentare likudista Dani Danon. "Israele non si inchinera' davanti a Obama", ha ammonito. "Non abbiamo nessuno di cui fidarci, a parte noi stessi". E' il caso che ha maggiormente irritato Netanyahu, giacche' nello Stato ebraico Danon e' considerato da analisti politici e giornalisti come l'interprete ufficioso delle posizioni del premier, a proposito delle questioni sulle quali non e' opportuno che questi si pronunci in prima persona. Ufficialmente, comunque, il primo ministro israeliano non ha lesinato le congratulazioni a Obama, sottolineando come "l'alleanza strategica" tra i due Paesi sia "piu' forte che mai". Netanyahu ha quindi ricevuto a Tel Aviv l'ambasciatore degli Stati Uniti, Dan Shapiro, con il quale ha rincarato la dose: "I rapporti di sicurezza israelo-americani sono solidi come la roccia", ha affermato. "Non vedo l'ora di collaborare con il presidente Obama per rafforzarli ulteriormente, e per far progredire i nostri obiettivi di pace e sicurezza". (AGI)

(AGI, 7 novembre 2012)


Catturato il coccodrillo 're' di Gaza: lo cercavano da due anni

Il rettile di 170 cm sarà ora trasferito allo zoo

  
ROMA - Ha seminato terrore per anni. Alla fine è stato catturato: si tratta di un coccodrillo che controllava tutta la rete fognaria a nord di Gaza, e che ha spaventato gli abitanti della zona di Beit Lahiya, nei territori palestinesi. Un rettile lungo 170 centimetri, che ora sarà trasferito allo zoo di Gaza.Il coccodrillo era nell'acqua ed è uscito per mangiare anatre, polli e montoni, poi è ritornato a nascondersi sott'acqua - racconta un abitante della zona - non riuscivamo più a controllare i suoi movimenti, nessuno lo ha mai fatto in questi due anni perchè stava sempre nascosto"."I cacciatori provavano a sparargli - dice questo ragazzo - ma non riuscivano e anche la gente ha provato a catturarlo, ma invano".

(TMNews, 7 novembre 2012)


Gerusalemme: un database per multare chi lascia in giro escrementi di cane

Il problema degli escrementi dei cani lasciati un pò ovunque per strade e parchi si fa sempre più difficile .Tanti i sistemi brevettati e messi in atto per prevenire che ogni luogo diventi un immondezzaio ma nessuno finora efficace o almeno completamente soddisfacente .
Una dei soli modi per multare cane e padrone sarebbe quello di cogliere in fragrante entrambi ma non sempre è possibile anche perchè di sicuro cercherebbero di sfuggire alle autorità e alla multa .
Per eliminare tutti questi problema e trovare una giusta soluzione Gerusalemme ha pensato di creare un database con le salive di tutti i cani . In questo modo risalendo al dna del cane e della sua "defecazione " non ci sarebbe equivoci e/o errori e la multa sarrebbe riferita al padrone in totale sicurezza. Visto che ci sarebbero circa 11.000 cani registrati regolarmente e solo una piccola percentuale non controllata ,almeno per l'80%, la saliva sarebbe catalogata.
La multa per i padroni che sporcano la città è di 750 shekel che è pari a 150 euro. L'idea non è male e già è stata brevettata a Petah Tikva riscuotendo un buon successo … vedremo come sarà accolta .
Di sicuro se ci fosse un pò più di buonsenso e di amore per la città ed il benessere comune non ci sarebbe stato bisogno o meglio non ci sarebbe bisogno di tutta questa catalogazione .
E non solo a Gerusalemme ma dovunque. Raccogliere la "cacca" del cane non è proprio piacevole ma pensare di finirci con le scarpe o le ruote dell'auto ….

(SocialPost, 7 novembre 2012)


Il sindaco di Gerusalemme: permettiamo agli ebrei di pregare sul Monte del Tempio

Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, la scorsa settimana ha sottolineato vigorosamente che era giunto il momento di introdurre una reale libertà religiosa e di permettere agli ebrei di pregare sul Monte del Tempio.
"In ultima analisi, è il governo che ha la responsabilità di decidere se gli ebrei possono pregare sul Monte del Tempio, e non l'amministrazione comunale", ha detto Barkat agli studenti di una scuola religiosa. "Secondo me, tutti lì dovrebbero poter pregare."
Anche se il Monte del Tempio è il luogo più sacro per il giudaismo, e anche per molti cristiani, adesso in quel posto solo i musulmani possono pregare. In realtà, tutti avrebbero potuto pregare, ma le minacce di violenza musulmane hanno indotto la polizia a vietare agli ebrei e ai cristiani di pregare sul Monte del Tempio. Negli ultimi tempi molti ebrei hanno ignorato queste disposizioni con preghiere silenziose sul Monte, e sono stati arrestati dopo che le guardie musulmane si sono lamentate.
I musulmani considerano il Monte del Tempio di Gerusalemme "possesso islamico", e considerano le preghiere degli "infedeli" come una profanazione dei loro luoghi sacri. Visite di ebrei di spicco sul Monte del Tempio nel passato hanno provocato risposte violente, anche mortali.

(israel heute, 7 novembre 2012 - trad. www.ilvangelo-israele.it)


Due borse di studio per studenti universitari israeliti di condizioni economiche disagiate

La Fondazione «Amelia Minghini ved. Forti e Novelli», istituita presso l'Accademia Nazionale dei Lincei, al fine di onorare la memoria della istitutrice, bandisce una pubblica selezione a due borse di studio a favore di studenti universitari israeliti di condizioni economiche disagiate.
Le borse, della durata di 8 mesi, dell'importo di € 9.000 ciascuna, al lordo delle eventuali ritenute fiscali previste dalla legge, sono destinate una a studenti universitari in discipline scientifiche e una a studenti universitari in discipline umanistiche. [...]
Al predetto concorso possono partecipare studenti universitari israeliti, di cittadinanza italiana o straniera, che versino in condizioni economiche disagiate, che siano regolarmente iscritti, per l'anno accademico 2012-2013, a corsi di laurea presso Facoltà universitarie aventi sede in Italia, e che non siano fuori corso.

Bando

(Notizie su Israele, 7 novembre 2012)


La comunità ebraica di Milano, in collaborazione con italiaebraica

presenta:

Ebrei: Alià o Fuga dopo il 1960? Dai paesi islamici a Milano


Giovedì 22 novembre 2012

Degustazioni: Finger food in tema
Testimonianze dal vivo: Libia , Egitto , Siria,Iran,Libano,iraq.
Anteprima del film: di SKY tv "Ebrei fuggiti da paesi arabi"

Tra una Mila' e un Matrimonio cosa è rimasto del paese in cui sono nati i nonni.

   OSPITI:
   Alberto Ades
   Rolando Cohen
   Moussy Braun
   Amos Saada
   Walker Meghnagi
   Yossi Aminoff
   Heskel Gabbai
   Eddi Jamous
   Amir Kohanim
   Miro Silvera
   Vittorio Halfon

Regia e conduzione di Hamos Guetta

Locandina

(Scuola Sally Mayer Milano, novembre 2012)


Mavi Marmara: in Turchia un “processo farsa”

GERUSALEMME, 6 nov - ''Una farsa, non ha nulla a che fare con la giustizia o con la legge''. Cosi', il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, ha definito il processo aperto questa mattina ad Istanbul a carico dei quattro ex capi dell'esercito di Tel Aviv, accusati di aver ordinato l'assalto nel 2010 alla nave ''Mavi Marmara'', costato la vita a nove cittadini turchi.
Si tratta di ''un processo propaganda'', ha spiegato il portavoce. ''Se il governo turco avesse davvero voluto trovare una soluzione al caso, avrebbe instaurato dei contatti con Israele''.
''Gli imputati - ha aggiunto Palmor - non sono stati informati in alcun modo del processo e della natura delle accuse mosse contro di loro. Non hanno nemmeno ricevuto la minima possibilita' di essere rappresentati sul piano giuridico''.

(ASCA, 6 novembre 2012)


Non c'è futuro senza memoria: Marcia in ricordo della deportazione degli ebrei genovesi

GENOVA - Mercoledì 7 novembre, a 69 anni dalla deportazione degli ebrei genovesi, la Comunità di Sant'Egidio e la Comunità ebraica di Genova organizzano una marcia, perché la città mantenga viva la memoria di questo tragico evento: il 3 novembre 1943, con un agguato dentro la sinagoga, iniziò la deportazione degli ebrei genovesi con l'arresto di circa venti persone. Altri arresti seguirono nei giorni immediatamente successivi. In tutto furono deportate 261 persone, e fra queste furono solo venti i sopravvissuti.
"La marcia della memoria è una iniziativa di popolo - afferma Andrea Chiappori della Comunità di Sant'Egidio - che ci vede insieme non solo agli ebrei genovesi ma a tutta la città, ed in particolare ai giovani studenti ed ai "nuovi genovesi", provenienti da tanti paesi del mondo. Fare memoria della Shoah vuol dire assumersi una responsabilità: combattere ogni forma di antisemitismo e lavorare perché in Italia tutte le minoranze siano protette"
Mercoledì 7 novembre, alle ore 17,45; la marcia silenziosa partirà da Galleria Mazzini davanti alla "pietra d'inciampo" nel luogo in cui fu arrestato il rabbino Riccardo Pacifici per giungere alla sinagoga di via Bertora, dove vennero attirati con un tranello e catturati tanti ebrei genovesi. Interverranno: Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova; Amnon Cohen, presidente della Comunità ebraica; Marco Doria, sindaco di Genova; Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Genova; Gilberto Salmoni, uno degli ultimi testimoni genovesi della Shoah.
    La deportazione degli ebrei genovesi
    Il pomeriggio del 2 novembre 1943 gli uffici della Comunità ebraica di Genova in Passo Bertora, vicino a via Assarotti, erano aperti e i bambini del custode Bino Polacco giocavano davanti alla sinagoga.
    Alle ore 17 giunsero le SS tedesche e, sotto la minaccia di uccidere i bambini, costrinsero il custode a consegnare i registri della Comunità, che contenevano l'elenco degli ebrei genovesi, registri che per prudenza erano stati nascosti nelle cantine del palazzo vicino. I tedeschi obbligarono il custode a telefonare agli iscritti, fissando loro un appuntamento per il giorno dopo.
    La mattina del 3 novembre le SS, che nella notte avevano occupato la sinagoga, attendevano che gli ebrei convocati arrivassero all'appuntamento. Mentre salivano lungo la strada che conduce alla sinagoga, molti avranno ricordato il 3 giugno 1935, quando era stato inaugurato il nuovo Tempio di Genova alla presenza delle autorità cittadine e delle massime personalità dell'Ebraismo italiano. Da allora molti eventi avevano dato inizio ad un periodo drammatico per l'intera Europa: le leggi razziali, nel 1938, la guerra, i bombardamenti, l'armistizio dell'8 settembre e l'arrivo delle truppe tedesche, il vuoto intorno e la fiducia che, a tanti faceva ancora dire, «tanto in Italia queste cose non succedono».
    Quel 3 novembre, forse con questi pensieri, gli ebrei genovesi convocati entrarono nella Sinagoga. Qui, con le armi in pugno, li attendevano i soldati delle SS, che li radunarono nella vasta aula. Una signora, non ebrea, che abitava nei pressi della Sinagoga, capì ciò che stava succedendo e iniziò a fare segni disperati a quelli che arrivavano. Alcuni capirono e tornarono indietro; altri proseguirono. Tra quelli che salivano c'era anche un'interprete dei tedeschi. Appena giunta nella Sinagoga denunciò la signora, che fu immediatamente arrestata.
    Le SS portarono i prigionieri, in tutto una ventina, nel carcere di Marassi, dove il giorno seguente li raggiunse il Rabbino Riccardo Pacifici. Sempre in contatto con la sua comunità, anche se per prudenza gli incontri erano stati fortemente ridotti, Pacifici era stato arrestato nei pressi di Galleria Mazzini, il luogo dove da tempo era previsto un incontro con il custode. Quel giorno, all'appuntamento si presentarono le SS, che percossero e trascinarono il Rabbino fino al carcere.
    Nei giorni seguenti, sulla base degli elenchi estorti, molte famiglie di ebrei genovesi furono catturate nelle loro case. Nelle settimane successive toccò agli sfollati che avevano trovato rifugio nelle località delle riviere. Tutti furono rinchiusi nella prigione genovese da dove, il 1o dicembre 1943, dopo essere stati caricati su due vagoni merci, partirono in direzione di Milano. Da lì, il 6 dicembre un trasporto ferroviario partì per destinazione ignota. Dopo una sosta a Verona per raccogliere altri ebrei provenienti da Firenze, il treno giunse ad Auschwitz l'11 dicembre.
    Non si è mai saputo quante fossero le persone su quei treni; si sa, però, che dopo la selezione che seguì l'arrivo del treno al campo entrarono 62 uomini e 35 donne. Per gli ebrei genovesi che si erano salvati dalla prima razzia in città iniziò una fuga disperata nelle campagne e verso i monti. Molto spesso la solidarietà di un parroco, di un maresciallo dei carabinieri, della gente comune, che pur sapendo non li denunciò, permise loro di salvarsi. Ma la caccia continuò e molti vennero arrestati nei loro nascondigli, spesso per delazione. Altri furono fermati a un passo dalla salvezza, al passaggio della frontiera svizzera, che ormai rappresentava l'unico rifugio sicuro.
    Dopo l'aprile del 1945, nella confusione delle città semidistrutte dai bombardamenti, iniziarono ad arrivare anche a Genova i sopravvissuti della Shoah. Prima giunsero coloro che erano riusciti a rifugiarsi in Svizzera e poi, uno alla volta, i superstiti dei lager. Allora si misurò, in tutta la sua enormità, la tragedia che aveva colpito un intero popolo.
    A Genova 261 ebrei, uomini, donne e bambini, furono deportati, più del 20% degli iscritti alla Comunità. Tornarono solo in dieci.
(Albenga Corsara, 6 novembre 2012)


Masada e Mar Morto: Israele da scoprire

Fra le tappe più significative dell'Israele Blog Tour 2012, c'è sicuramente quella nella regione del Mar Morto. Per secoli questa è stata considerata una "terra maledetta" e solo i nuovi insediamenti iniziati negli anni '30 sono riusciti a trasformare tale "maledizione del terreno di sale" e dell'acqua salata in una benedizione.
Oggi è una perla ecologica della natura, nota in tutto il mondo, nel cuore della Rift Valley, ed è giustamente considerata una Meraviglia della Natura, anzi, la meraviglia più bassa del Mondo.
Infatti il Mar Morto si trova esattamente nel punto di depressione più profondo del pianeta, ed è praticamente la più grande stazione termale naturale del mondo. Panorami mozzafiato, di deserto e di canyon, circondano le acque azzurre di un mare dal nome assolutamente improprio....

(Travel, 6 novembre 2012)


L'ambasciatore di Israele Gilon in visita dal presidente della Provincia di Trento

Al termine dell'incontro annunciata l'attivazione di un bando comune per la ricerca applicata allo sviluppo d'impresa

   
Lorenzo Dellai e Naor Gilon
TRENTO, 5 nov - Stamani in Provincia, poco prima di mezzogiorno, il presidente Lorenzo Dellai ha accolto l'ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, che guida una delegazione ospite in Trentino per il «Trento-Israele day», una giornata di incontri con i rappresentanti istituzionali ed economici organizzata dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Ambasciata d'Israele in Italia, con la collaborazione di Trentino Sviluppo, Fondazione Bruno Kessler e Trento Rise.
L'incontro di stamani è uscito dai consueti canoni dettati dal protocollo, per trasformarsi in un'occasione di vero e proprio confronto sui contenuti: una tavola rotonda sul tema «Le relazioni scientifiche e tecnologiche tra il sistema della ricerca e dell'alta formazione trentino e lo Stato di Israele».
  Il presidente Lorenzo Dellai, nel suo intervento di apertura, ha ricordato la storia ventennale di scambi e di collaborazioni che coinvolge praticamente tutti i principali soggetti della ricerca in Trentino e che ha avuto uno dei suoi più alti riconoscimenti nell'incontro a Gerusalemme del 25 ottobre scorso, per la conferenza sui temi della ricerca e dell'alta formazione nell'ambito del vertice bilaterale Italia-Israele, al quale come si ricorderà hanno preso parte tra gli altri il premier Mario Monti, i ministri Francesco Profumo e Giulio Terzi, il governatore della Banca d'Israele Stanley Fisher e lo stesso Dellai. "
  «Tutto ciò sta a dimostrare - ha proseguito il presidente trentino, - che il nostro è un rapporto di scambi e collaborazioni assai ricco, che è stato coronato la scorsa primavera dalla firma tra la Provincia autonoma di Trento e lo Stato di Israele di un accordo di cooperazione nel campo della ricerca industriale che ci consentirà nei prossimi giorni di attivare il primo bando congiunto per la ricerca applicata rivolto a imprese trentine e israeliane, le quali, per presentare e poi per realizzare propri progetti di innovazione e di commercializzazione di nuovi prodotti, potranno essere assistite tecnologicamente e scientificamente dalle università e dai centri di ricerca operanti nelle nostre due realtà.»
  Le aree sulle quali si incentrerà il bando sono quelle dell'ICT, delle biotecnologie, delle energie rinnovabili, delle tecnologie ambientali e dello sviluppo di dati, software e applicazioni innovative, aree sulle quali si sono incentrati i principali rapporti di collaborazione sinora intrapresi.»
  «Si tratta di un bando di collaborazione - ha continuato Dellai, - che pone al servizio delle nostre imprese un vasto capitale di conoscenze e tecnologie già acquisite attraverso le collaborazioni tra i rispettivi sistemi della conoscenza e delle nuove esperienze congiunte. È anche un'importante opportunità di lavoro in comune e di accesso privilegiato a una delle realtà di innovazione più dinamiche al mondo.
  ««Sono convinto che l'unica via di sviluppo per il nostro territorio e per il nostro Paese sia legata alla esigenza di rafforzare l'interazione e l'integrazione tra le attività di ricerca e sviluppo e le attività d'impresa, iniettando nel nostro sistema produttivo dosi massicce di conoscenze tecnologiche innovative in modo da valorizzare le capacità e le distintività tipiche delle aziende trentine e quindi di sostenere l'adozione di nuovi modi di ideare, produrre e vendere beni e servizi.»
  «La vostra visita di oggi - ha concluso Dellai rivolgendosi all'ambasciatore, - rafforza questa collaborazione e ci conforta nella nostra scelta strategica di puntare con decisione e convinzione nel coinvolgimento del mondo imprenditoriale per fare economia e cultura d'impresa nuove.
«Il fatto poi che la reciproca intesa fra Trento e Israele si sia avviata molto tempo fa, proprio quando in Italia molte università si tiravano indietro, sta a significare, ha sottolineato con forza il presidente Dellai, che "la nostra collaborazione può essere anche uno strumento di pace fortissimo e profondo.»
  «Il Trentino si pone quale partner d'eccellenza per Israele - ha sottolineato da parte sua l'ambasciatore Naor Gilon, - non solo perché è la prima regione italiana con cui firmiamo un accordo di ricerca e sviluppo, ma per le sue continue ed estese attività di collaborazione e amicizia con Israele nel corso di questi anni.
«L'accordo siglato con Trento, che darà vita a un bando rivolto alle imprese trentine e israeliane, è importante perché costituisce un ponte tra le eccellenze di entrambi i territori, a beneficio dei nostri sviluppi industriali.»
  «Alcuni settori in cui lavorare assieme già ci sono - ha ricordato l'ambasciatore. - Le telecomunicazioni, le tecnologie legate all'acqua, le tecnologie ambientali, l'elettronica, i dispositivi medicali. La Provincia autonoma di Trento è proiettata a pieno titolo nei progetti a livello europeo grazie alla sua Università, ai suoi incubatori tecnologici, ai suoi centri di ricerca e sicuramente permetterà che le collaborazioni congiunte generino risultati positivi per l'ambiente scientifico, accademico, tecnologico e industriale.»
  Il mondo è in crisi, ha ricordato l'ambasciatore Gilon, e due cose sono ormai chiare: le cose non si metteranno bene nel breve termine e alcuni dei problemi di natura economica rimarranno nel tempo.
«Sappiamo però che un ottimo modo per affrontare questa situazione può essere quello di investire nella ricerca applicata e nello sviluppo. Ecco la forza del network che si sta creando fra Trento e Israele, una rete che farà di ricerca e sviluppo non un semplice appuntamento, bensì una relazione stabile che darà i frutti che tutti noi ci aspettiamo.»
  Sono poi intervenuti i rappresentanti dell'università, dei centri di ricerca e delle fondazioni del Trentino che sono al centro della partnership con Israele. Ne è uscito un sintetico ventaglio dei progetti attualmente in viaggio.
  Carla Locatelli, pro rettore dell'Università degli Studi di Trento con delega ai rapporti internazionali ha ribadito l'importanza di passare dalla ricerca pura alla ricerca applicata «e in questo i colleghi israeliani possono esserci di grande aiuto, per dare concretezza ai progetti in corso che riguardano un numero grandissimo di settori, promossi grazie al contributo della provincia autonoma di Trento, ma finanziati anche in modo autonomo dall'ateneo trentino.»
  E se per Francesco Salamini, presidente della Fondazione Edmund Mach la collaborazione con Israele è attiva e vivace nei settori dei cambiamenti climatici, dell'ambiente e dell'alimentazione, per Fausto Giunchiglia, presidente di Trento Rise, i settori più promettenti sono quelli della salute, dell'ambiente e delle smart city.
«Noi - ha detto Giunchiglia rivolgendosi direttamente all'ambasciatore - puntiamo ad essere la vostra porta che vi introduce all'Europa.»
  Altre esperienze di collaborazioni comuni sono state portate da Andrea Simoni, segretario generale della Fondazione Bruno Kessler, mentre per Paolo Chighine, Managing Director Events and Institutional Relation, EAI-CreateNet [vedi banner a pié di pagina inserito di nostra iniziativa - NdR], ha presentato una piattaforma che, partendo dall'analisi dei social-media, passa attraverso il concret management alla distribuzione di un prodotto finale.
  ««Il prossimo dicembre saremo a Tel Aviv per presentare i risultati del nostro progetto e per coinvolgere imprese israeliane disposte a collaborare.»
  In conclusione, Aviv Zeevi Balasiano, Israel Europ R&D, Directorate, Director ICT-Security, s'è detto piacevolmente sorpreso dal numero e dalla qualità delle collaborazioni già in atto fra Trento e Israele, aggiungendo che «nella giornata odierna abbiamo identificato altri settori che sono pertinenti per le proposte del prossimo bando aperto a imprese trentine e israeliane.»
  «Sentire tutte queste iniziative - ha poi detto l'ambasciatore Gilon, - mi ha rassicurato, anche perché tutte le idee e i progetti in definitiva girano attorno alle persone che ci lavorano, e oggi ne ho conosciute molte di grande qualità.»
  «Questo giro di tavolo - ha quindi concluso il presidente Dellai, - ci ha detto quanto sia importante il percorso comune che stiamo facendo, ma anche che questo percorso può essere ulteriormente ampliato. La nostra attenzione è oggi rivolta alle imprese, vorrei ribadirlo.
«Ecco perché chiedo alla nostra università e al nostro sistema della ricerca la massima attenzione su progetti che sappiano creare cultura e capacità d'impresa. Il bando che a giorni renderemo pubblico è una prima concreta occasione e vi ringrazio - ha detto rivolto alla delegazione israeliana, - per aver scelto di collaborare con noi.»
  Il programma odierno di «Trento-Israele day» è assai nutrito di appuntamenti.
Al termine dell'incontro in Provincia, la delegazione israeliana (composta, oltre all'ambasciatore Naor Gilon, da Jonathan Hadar, Consigliere per gli Affari commerciali dell'Ambasciata d'Israele in Italia; da Aviv Zeevi Balasiano, Israel Europe R&D , MATIMOP; da Giovanna Bossi, Trade Officer, Ambasciata d'Israele in Italia; da Vanessa Zerilli, Business Development Officer, Ambasciata d'Israele in Italia) si è recata presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige.
  «Nel pomeriggio ha fatto tappa alla Fondazione Bruno Kessler per incontrarsi con le imprese impegnate nei business-to-busineee e per visitare alcuni laboratori e le strutture della Fondazione Bruno Kessler e del Consorzio Trento Rise. In serata l'ambasciatore Gilon avrà modo di incontrarsi anche con Bruno Dorigatti, presidente del Consiglio provinciale, col sindaco di Trento Alessandro Andreatta e col Commissario del governo Francesco Squarcina.

(l'Adigetto, 6 novembre 2012)


Veicolo militare israeliano colpito da proiettili siriani sulle alture del Golan

Una jeep raggiunta da proiettili vaganti: al confine è in corso una battaglia tra militari e ribelli




Ancora tensioni ai confini siriani. Un veicolo militare israeliano è stato colpito nel Golan da proiettili siriani. Lo afferma l'esercito dello Stato ebraico, citata dalla britannica Sky News.

PROIETTILI VAGANTI - La jeep israeliana, afferma l'esercito dello Stato ebraico, è stata colpita da «proiettili vaganti» mentre effettuava un pattugliamento di routine: non si registrano feriti. Secondo fonti dell'opposizione siriana, a poca distanza, nel villaggio di frontiera di Quneitra, è in corso una furiosa battaglia tra ribelli e governativi. Secondo le fonti, la battaglia è in corso nella zona demilitarizzata del Golan.
L'episodio però acquista maggiore importanza alla luce di quanto era avvenuto due giorni fa con lo sconfinamento di alcuni carri armati siriani in territorio israeliano.

(Corriere della Sera, 5 novembre 2012)


Al-Jazeera: forze del regime di Assad assaltano le sedi di Hamas in Siria

BEIRUT, 5 nov. - Le forze di sicurezza siriane hanno preso d'assalto tutti gli uffici di Hamas nel paese e hanno messo i sigilli a ognuno di essi, tagliando quindi i rapporti con l'organizzazione palestinese. Lo riferisce la tv satellitare al-Jazeera, senza fornire ulteriori dettagli sulla vicenda.
Negli scorsi mesi Hamas ha preso le distanze dal regime di Bashar al-Assad e chiuso la sua sede a Damasco. La tensione e' salita dopo le dichiarazioni contro il regime rilasciate da Khaled Mashaal ad Ankara all'inizio del mese e dopo la recente visita a Gaza dell'emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa al-Thani, tra piu' strenui avversari di Assad.

(Adnkronos, 5 novembre 2012)


Ebrei a Scicli. Il sottosegretario Mazzamuto ricevuto da Susino

A margine del convegno del FAI

SCICLI, 5 novembre 2012 - Il sottosegretario alla giustizia del governo Monti, Salvatore Mazzamuto, è stato ricevuto sabato sera dal sindaco di Scicli Franco Susino in Municipio.
Accompagnato dall'avv. Salvatore Campanella, l'esponente del governo ha partecipato al convegno promosso dal FAI di Scicli sulle vicende degli ebrei in città.
Mazzamuto, già preside di Giurisprudenza a Palermo e Rettore dello stesso Ateneo, consigliere giuridico del ministro Angelino Alfano nel governo Berlusconi, è un fine cultore della storia ebraica in Italia e in Sicilia. Suo il saggio "Ebraismo e diritto dalla prima emancipazione all'età repubblicana", apparso nel 1997 nel vol. XI, 2 degli «Annali» Einaudi.
Il sindaco Susino, al termine della conferenza del FAI, patrocinata dall'amministrazione, ha fatto dono di una copia de "L'Oro di Scicli" all'illustre ospite.

(ondaiblea, 5 novembre 2012)


Una consigliera di Obama cura i contatti con Teheran

WASHINGTON, 5 nov. - Una donna avvocato di Chicago, Valerie Jarrett, lavora dietro le quinte per conto del presidente Barack Obama per aprire un canale di dialogo tra gli Stati Uniti e l'Iran. Lo scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, spiegando che la Jarrett e' consigliera di Obama e amica intima di sua moglie Michelle e assiste l'amministrazione Usa nei contatti segreti con i rappresentanti della guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei. La Jarrett e' nata nella citta' iraniana di Shiraz.
Lo scorso mese il New York Times scriveva di contatti segreti tra Usa e Iran destinati a creare una linea di comunicazione diretta dopo le elezioni presidenziali americane. Dopo alcune iniziali smentite, esponenti dell'amministrazione Obama hanno confermato i contatti, pur negando che altri colloqui siano stati programmati.

(Adnkronos, 5 novembre 2012)


Israele si prepara al conflitto con la Siria

Il Capo delle Forze armate Benny Gantz ha ribadito che Israele non può più stare ad osservare ciò che accade a pochi Km dai suoi confini. Le alture del Golan sono continuamente violate dai ribelli e dalle forze militari siriane. Israele per prevenire eventuali attacchi ha rafforzato le basi missilistiche sulle alture del Golan.
Israele è pronta ad intervenire in ogni momento se la situazione dovesse precipitare. Dai villaggi israeliani a ridosso dei confini siriani si avvertono colpi di artiglieria siriana a breve raggio, le esplosioni sono continue e a pochi chilometri dalle frontiere israeliane.
Le forze armate israeliane non possono permettere che colpi di mortaio colpiscano cittadini israeliani. Le violazioni sul Golan sono ripetitive. Nella giornata di ieri tre carri armati siriani sono entrati nel villaggio di Ajam a pochi chilometri da Quneitra nella zona smilitarizzata per colpire i ribelli.
L'altura, zona cuscinetto, è controllata da 1200 uomini della forza di pace dell'ONU.

(Agora magazine, 5 novembre 2012)


L'uomo sopravvissuto a Shoah, cancro e Sandy (a 101 anni)

Morris Sorid, un anziano di New York, al Ny Daily News ha raccontato una vita di sacrifici e pericoli scampati

di Donato De Sena

  
Morris Sorid
L'uragano Sandy che ha travolto la costa occidentale degli Stati Uniti è solo l'ultima battaglia vinta dall'anziano Morris Sorid, 101 anni, già sopravvissuto ad Olocausto e cancro al colon retto.

SCAMPATO ALL'OLOCAUSTO - Sorid è uno dei tremila abitanti della Grande Mela costretto a lasciare il letto d'ospedale e le cure prima dell'arrivo della tempesta, nella sua vita scampato a gravi pericoli, ma non è affatto nuovo ai gravi pericoli. "Sono stato quasi distrutto sei o sette volte nella mia vita", ha raccontato al NY Daily News. La prima grande prova risale alle Seconda Guerra Mondiale. Morris viveva con moglie e figlia a Pruzany, attuale Bielorussia, dove i tedeschi raccolsero diecimila ebrei da deportare nel campo di concentramento di Auschwitz. Quando i nazisti invasero la cittadina Sorid e la famiglia si chiusero per diciotto giorni in un nascondiglio sotto casa, nella foresta. Scamparono alla Shoah, e qualche anno dopo emigrarono in America, a Brooklyn, nel 1948.

NONNO E FELICE - Negli Stati Uniti Morris cominciò poi una nuova vita. Guidò un camion per il trasporto di bevande, poi aprì un negozio di generi aimentari. E' stato anche un tassista. Nel '95 ha scritto un libro di memorie dal titolo "Un miracolo in più". Ora è nonno di cinque nipoti. "Sono al sicuro. Di che altro devo preoccuparmi?", chiede oggi ripercorrendo la sua lunga esistenza. Prima dell'arrivo di Sandy, Morris è stato trasferito in una biblioteca. A chi gli chiede il segreto della longevità non ha dubbi: un bicchierino di whisky prima del pisolino pomeridiano e l'amore per la gente.

(Giornalettismo, 5 novembre 2012)


Israele: vita da popolo eletto (nonostante la paura)

di Paolo Sorbi

«Shurat HaDin», il «percorso della legge». Questo vuol dire il nome dell'associazione di avvocati israeliani che ha organizzato un viaggio in luoghi di Israele difficilmente accessibili a qualunque corrispondente che vada da solo. Vado per comprendere come sia possibile che un popolo profondamente occidentalizzato possa reggere serenamente nella vita quotidiana a tutti gli stress che gli osservatori ravvisano. Oppure, come nel linguaggio delle scienze sociali, se c'è una serendipity, un'inattesa realtà sociale che conduce a cogliere novità collettive da interpretare senza pregiudizi. «Shurat HaDin» compie un diffuso numero di azioni legali, in molti Paesi del mondo, comprese molte nazioni arabe, per contrastare terroristi o imprese o gruppi privati che aiutano il terrorismo contro l'Occidente; l'associazione si ispira alle azioni legali collettive delle organizzazioni americane degli anni '60-'70 vicine a Martin Luther King e a Simon Wiesenthal. Al centro religioso di Notre-Dame di Gerusalemme invece incontro Sergio Della Pergola, ordinario di demografia all'Università Ebraica, dalle cui ultime ricerche emerge che gli stili di vita israeliani risultano all'ottavo posto nel mondo, accanto alla Svizzera, come forte livello di serenità. Il dato viene confermato sia da Eran Lerman, consigliere governativo per la sicurezza nazionale, che dall'ambasciatore Yoram Ettinger, chairman di progetti speciali strategici dell'Ariel Center. Ambedue partono dalla constatazione che in questi ultimi anni, in controtendenza sulla scala internazionale, ci troviamo in uno dei rari periodi della millenaria storia di Israele in cui crescita economica e sociale migliorano senza alleanze geopolitiche. I settori trainanti, dal 2006, sono quelli del commercio e delle aree biotecnologiche, con diffusissime applicazioni anche in
agricoltura, dove il ruolo della distribuzione informatizzata dell'acqua è fondamentale. Sicurezza, sanità, robotica e new media sono cresciuti in modo da creare una diffusione di nuovi distretti industriali attorno a Tel Aviv e a Gerusalemme. Per ambedue gli esperti, gestione dell'economia e monitoraggio delle dinamiche socio-demografiche sono strettamente connesse.
   Nel suo ultimo lavoro Jewish Demographic Policies («Politiche demografiche israeliane») Della Pergola sintetizza una serie di raccomandazioni in cui è urgente l'elaborazione di un nuovo contratto sociale fra le parti politiche e culturali del Paese, in modo da riequilibrare la difficile polarità tra democrazia e Stato degli ebrei che è il tormento del pensiero sionista sin dalla fondazione nel 1948. Nei briefing con l'ambasciatore Ettinger e con Uzi Arad, grande amico del generale Sharon, presidente del National Security Council, il tema dell'odierna solitudine d'Israele è emersa in tutte le sue sfaccettature. Con gli israeliani prima o poi sorgono sempre quesiti teologico-politici; magari in termini laici, ma con radici bibliche. Paradossalmente la carenza di alleanze di Israele con altri Paesi non è vissuta dalla popolazione come elemento di debolezza, né limita le dinamiche sociali. Va detto che di questa tematica psico-sociale si interessano anche settori speciali dell'esercito denominati Magav, che vuol dire «Controllo dei confini e percorsi di combattimento». Che gli operatori istituzionali abbiano sempre orientato - così viene detto - le loro scelte decisionali verso «rimozioni» positive dei quotidiani tragici avvenimenti, gestendo linee pubbliche spesso caratterizzate da atteggiamenti non negoziabili, è una questione assodata; di continuo però sono accettati compromessi e patteggiamenti e di fatto si è negoziato con gli avversari su tante e microdiffuse soluzioni.
   Sempre secondo i nostri interlocutori, questa sorta di «doppiezza esistenziale» avrebbe evitato nei decenni trascorsi la depressione sociale che, altrimenti, sarebbe sfuggita di mano ai governanti, provocando un controesodo ebraico, sicuramente una crisi verticale del progetto sionista. Ma di nuovo contratto sociale parlano anche Yossi Yonah e Avia Spivak della Ben Gurion University di Tel Aviv, sostenitori del movimento giovanile che nell'ultimo anno ha espresso - in una fase di sviluppo economico - disagi sociali e nuove richieste di welfare. Crescita economica e disagio sociale spesso si sono accompagnati nei Paesi occidentali; così anche in Israele. Il movimento di rivendicazioni, piuttosto pragmatico, a volte sfugge dalla concretezza, collegandosi a temi di politica estera come il rifiuto delle colonizzazioni nei territori di Giudea e Samaria. Su quelle questioni, per ora, una stragrande maggioranza di israeliani rifiuta il movimento giovanile, mentre per il 69% - come documenta il Jerusalem Report del 30 luglio - il movimento è appoggiato nelle richieste di nuove case popolari, nuovi trasporti, crescita di investimenti scolastici, salute e sicurezza sociale. Anche l'importante rivista di sociologia Eretz Acheret («L'altro Paese») insiste sulla conflittualità intorno a temi di politica interna, aprendo indagini sul carattere giudaico dell'eredità religiosa di 5000 anni, oppure sull'autonomia laica dell'esperienza sionista. La rivista e gli intellettuali di Tel Aviv come Bamby Shelleg e David Banon accordano grande spazio alle questioni sociali, ai problemi dei palestinesi d'Israele, ai rapporti fra negritudine e giudaità, alle nuove minoranze.
   La voluta rimozione degli incubi di politica estera fa meglio comprendere come la serenità negli stili di vita sia frutto di un difficilissimo modo di vivere nell'instabile equilibrio, ormai più che cinquantennale, a cui è obbligata la popolazione ebraica se vuol restare lì e, al tempo stesso, aspirare a una serenità - come dire - umana. Gli israeliani vogliono restare "umani" e sperare in un futuro più umano di tutto il contesto mediorientale. E non è, ancora una volta, una scelta di vita che scaturisce da sommerse radici bibliche?

(Avvenire, 5 novembre 2012)


Tunisia - La comunità ebraica chiede la protezione dell'esercito

Un poliziotto tunisino e quattro cittadini libici sono stati arrestati a Zarzis, mentre preparavano il rapimento di un giovane ebreo, per l'ottenimento di un riscatto.

  
Ebrei a Djerba
La comunità ebraica in Tunisia ha chiesto domenica la protezione dell'esercito, dopo l'arresto di quattro libici e di un poliziotto tunisino che preparavano il rapimento di un giovane ebreo a Zarzis, nel sud del paese, per chiedere poi un riscatto, ha dichiarato Perez Trabelsi, presidente della comunità ebraica a Djerba. La comunità ebraica in Tunisia si è ridotta oggi a 1'500 persone, contro le circa 100'000 persone che contava nel 1956, prima dell'indipendenza della Tunisia. Rimane comunque una delle comunità più importanti dei paesi arabi. Una comunità preoccupata anche dall'escalation del movimento salafista nella vita politica e sociale del paese.
L'11 aprile scorso un tunisino aveva fatto esplodere un camion cisterna davanti alla sinagoga di Ghriba, a Djerba, il più antico edificio del culto ebraico del continente africano. Ventuno persone erano rimaste uccise: quattordici turisti tedeschi, cinque tunisini e due francesi.

(Ticinolive, 5 novembre 2012)


Israele teme le ripercussioni del conflitto in Siria

Dopo l'incursione di carri armati siriani sulle alture del Golan, il capo delle Forze armate israeliane Benny Gantz ha reso visita ai soldati che sorvegliano la frontiera.

Gantz ha dichiarato domenica che il conflitto siriano potrebbe avere ripercussioni per lo Stato ebraico, mentre combattimenti fra ribelli e forze del regime di Damasco si svolgono in prossimità delle posizioni israeliane sull'altopiano del Golan.
"E' una questione siriana che potrebbe diventare una nostra questione - ha commentato Gantz durante una visita alle truppe israeliane stazionate alla frontiera tra l'altopiano, occupato da Israele e la Siria.
I soldati israeliani possono udire il rumore dei combattimenti che oppongono le forze del regime e i ribelli siriani, ha indicato il portavoce dell'esercito Yoav Mordechai, che accompagnava Benny Gantz nel suo giro d'ispezione.
"Dall'altra parte della frontiera si sente il rumore dei tank e dei tiri di armi leggere - ha aggiunto - Le forze israeliane si preparano a vedere i tiri cambiare direzione a ogni momento e puntare verso di noi."
L'esercito israeliano ha sporto denuncia presso le Nazioni Unite dopo che carri armati siriani sono entrati sabato mattina nella zona smilitarizzata tra i due paesi, sull'altopiano del Golan. Dopo questo incidente l'esercito israeliano ha innalzato il suo livello d'allerta.
Ufficialmente la Siria è in stato di guerra con Israele, che durante la guerra dei Sei giorni nel 1967 aveva preso al paese parte dell'altopiano del Golan.
Un accordo siglato tra i due governi nel 1974 prevede lo stazionamento di circa 1'200 osservatori della Forza delle Nazioni Unite, incaricati di sorvegliare la zona di separazione, per una distanza di circa 6 chilometri.
Già lo scorso luglio lo Stato ebraico aveva protestato presso le Nazioni Unite per l'infiltrazione di soldati siriani nella zona smilitarizzata.

(Ticinolive, 5 novembre 2012)


Israele potenzia il sistema antimissile Iron Dome

Nuovi test della Difesa su Iron Dome

Il ministero della Difesa israeliano ha annunciato che potenzierà il sistema antimissile Iron Dome, dopo aver effettuato con successo nuovi test. Lo scrive il Jerusalem Post. Grazie alle implementazioni, il sistema avrà la capacità di colpire missili nemici a una distanza più grande. Iron Dome ha già intercettato e distrutto oltre 100 razzi lanciati da Gaza contro il sud di Israele.

(TGCOM.it, 4 novembre 2012)


Giovani Ebrei: vincono le donne. Senza quote rosa

di Vito Kahlun

Le elette del Consiglio Ugei
Cinque donne e quattro uomini. Elette, non nominate. L'Unione Giovani Ebrei Italiani ha appena scelto il nuovo consiglio esecutivo.
Senza regole sulle quote rosa, o correttivi di altro tipo, le donne hanno ottenuto la maggioranza. Non in quanto donne, ma in quanto persone capaci. Un evento, questo, che dovrebbe far riflettere la classe politica su una serie di pregiudizi e preconcetti. In particolar modo su uno: siamo sicuri che le donne non facciano politica per mancanza di tempo? Siamo sicuri che siano disinteressate alla partecipazione civile? Siamo sicuri che la scarsità di donne in politica non dipenda dall'assenza di meccanismi democratici di selezione della classe dirigente? I risultati di questo congresso mi portano a pensare di no, ma questo è un mio punto di vista.
Questi, comunque, sono i loro nomi: Alessandra Ortona, Sara Astrologo, Susanna Calimani, Giorgia Campagnano, Fiammetta Rimini.
Complimenti alle ragazze e ai ragazzi dell'Ugei.

(Linkiesta, 4 novembre 2012)


4 novembre 1945: il pogrom di Tripoli

Verità sugli ebrei della Libia

di Leone Nauri

Leggo continuamente dei bei tempi andati in Libia… E rimango incredulo e stupito. Basterebbe ricordarsi che da quel paese siamo stati cacciati dopo tre pogrom e senza una lira in tasca per non credere a queste menzogne ma probabilmente non è sufficiente per cui vorrei ricordare ai miei compaesani come vivevamo, senza sindromi di Stoccolma o altro. Vorrei ricordare che quando uscivamo di casa il consiglio silenzioso dei genitori era: testa bassa e passo svelto. Che le possibilità di essere insultai, sputazzati, picchiati erano tra il 30 ed il 50 per cento. Che quando uscivamo da casa eravamo possibilmente più di uno e che ci accompagnavamo vicendevolmente. In genere ogni uno di noi aveva un accompagnatore "ghibbor e coraggioso" per tornare. Mia madre Z' L' quando tornavo mi diceva sempre che… ero un attaccabrighe perché in fin dei conti se avessi seguito strade più sicure, a testa bassa, con passo svelto o di corsa avrei probabilmente ridotto il numero degli scontri!
Nelle stradine più strette con marciapiedi piccoli se eri sovrappensiero e non ti accorgevi che dalla parte opposta arrivava un mussulmano e quindi non scendevi dal marciapiedi beccavi un ceffone ed una serie di insulti dal "ia kelb", a "iudi kafr". E questa era le regola, non era una situazione speciale era così e basta. Quando si tornava dal tempio ti aspettavano fuori e ti attaccavano. Mi ricordo che il nostro gruppetto in uscita da Slat dar el malte era Leone Nauri, Victor Meghnagi Z' L' e Simo Dula questo era il vero ghibbor, metteva la lingua fra i denti e diceva: non rispondere a caso se ti picchiano rispondi al loro capo e non agli altri.
Ai miei genitori quando dicevo di andarcene mi rispondevano sempre che ero un esagerato!
Vorrei ricordarvi anzitutto che nel 1945 in Libia vivevano 40000 ebrei e 500000 arabi in un territorio grande tre volte l'Italia e che il nostro annichilimento ha portato ad una nostra progressiva cacciata nonostante noi fossimo residenti da oltre 2000 anni, molto prima dei mussulmani, ma questo non viene mai ricordato, nessuno si alza con le chiavi di casa a richiedere le nostre case ed i nostri diritti. Noi eravamo circa l'otto per cento della popolazione e ci spetterebbe l'8 per cento del territorio, del petrolio, dei soldi che ci hanno derubato, oltre la rivalutazione e gli interessi. Centinaia di sinagoghe trasformate in moschee o date alle fiamme, centinaia di morti e il nostro cimitero coperto con l'asfalto di una autostrada. Non abbiamo resistito con le armi, non ci hanno ascoltato né l'ONU e nemmeno le altre associazioni internazionali. Ma credo che dovremmo cominciare a pensare ad un movimento politico, anche con l'uso delle flottiglie che vanno di moda. Maledetti loro.

- I morti del 1945
  Vorrei anzitutto ricordare il contesto in cui si è svolto il pogrom. La Libia era una colonia Turca, poi una colonia Italiana e dopo la guerra era sotto il controllo della Gran Bretagna. Il 4 Novembre 1945 i mussulmani hanno attaccato gli ebrei ovunque fossero, hanno dato alle fiamme centinaia di negozi, case, sinagoghe ed hanno assassinato 133 persone. Le autorità Inglesi non hanno mosso un dito per quattro giorni e quattro notti! Il risultato è stato l'assassinio a Tripoli di:
Amira Izhak (Huga Giabin), Attia Regina (Tesciuba), Barabes Huatu Asciusc, Barda David, Bendaud Masauda, Dadusc Lisa, Fellah Musci-Kisc, Fellah Rubina, Genah Barkhani-Kassis, Genah Yosef Kassis, Gerbi Hmani Barghut, Guetta Meri, Habib Pinhas, Haiun Mazala, Halfon Hmani-Aruah, Halfon Masuda-Buda, Hassan Mas'auda, Leghziel Mamus - Ghezal, Makhluf Nissim, Meghnagi Gebri, Messica Hai Glam, Messica Raffael- Halil, Nahum Pinhas, Nahum Shlomo-Nawi, Naim Bekhor, Naim Bekhor Baiiba, Naim Raffael, Naim Nasi, Naim Iosef-Haba, Rav Dadusc Sciaul, Rav Avraham Tesciuba, Serussi Iakov-Gabbai, Sofer Hanna (Haddad), Sofer Mas'ud, Zanzuri Rubina.

Ad Amrus sono stati assassinati:
  Buaron Misa, Baranes Zina, Baranes Miha, Baranes Mas'uda, Glam Abraham, Glam Giuara, Iamin Mas'uda, Cahlon Huatu, Cahlon Huatu, Cahlon Hai, Cahlon Micael, Cahlon Makhluf, Cahlon Mantina, Cahlon Saida, Cahlon Pinhas, Cahlon Sciuscian, Cahlon Sara, Makhluf Guta, Makhluf Huatu, Makhluf Khlafu, Makhluf Misa, Makhluf Misa, Makhluf Misa, Makhluf Mantina, Makhluf Nesria, Makhluf Sultana, Makhluf Scimon, Makhluf Scimon, Mimun Lisa, Mimun Sfani, Saada Wasi, SaadaMisa, Scmuel Bekhor, Scmuel Iaakov, Scmuel Meir, Scmuel Mergiana (Makhluf), Sasson Lisa, Scmuel Rahel, Scmuel Scimon.

A Zanzur sono stati assassinati:
  Cahlon Bachuna, Cahlon Huatu, Cahlon Mamus, Cahlon Masu, Cahlon Sturi (Debasc), Guetta Aziza, Guetta Aziza, Guetta Eliau, Guetta Fragi, Guetta Ghezala, Guetta Ghezala (Debasc), Guetta Hluma, Guetta Hmani, Gueta Kalifa, Guetta Khamsa, Guetta Khlafu, Guetta Khlafo, Guetta Lidia, Guetta Mas'uda (Serussi), Guetta Misa, Guetta Mosce, Guetta Nissim, Guetta Saruna, Guetta Sbai, Guetta Sfani, Guetta Toni, Hayun Dukha, Haiun Hmani, Haiun Khamus, Haiun Kheria, Hayun Khlafo, Haiun Mergiana (Makhluf), Makhluf Gamira, Makhluf Sara, Makhluf Scimon, Scmuel Nissim.

A Zawia sono stati assassinati:
  Bukris Ester (Dadusc), Badasc Giuara, Badasc Rahamin, Dadusc Scialom, Haggiag Nissim, Halal Eliau, Halal Hevron, Halal Khamus, Halal Somani, Haiun Sclomo, Hayun Ester (Tura), Leghziel Kheria (Dadusc), Zigdon Nesria.

A Tagiura sono stati assassinati:
  Arbib Bekhor, Arbib Khalifa, Arbib Scmuel, Attia Eliau, Buaron Amira, Frig Guta (Dadusc), Skhaib Abraham.

A Msellata hanno assassinato:
  Attia Rahmin-Agila, Attia Iehuda, Legtivi S'ayid

Gli ebrei si erano sempre fidati dei mussulmani, e nonostante alcuni problemi non avrebbero mai immaginato un assalto di quelle proporzioni. Questo provocò un abisso incolmabile con i mussulmani ed una assoluta mancanza di fiducia nelle autorità inglesi. I massacri durarono dal 4 al 7 novembre e non mi risulta nessuna commissione di inchiesta dell'Onu o delle associazioni Internazionali. Per onestà bisogna ricordare che anche alcuni dignitari mussulmani cercarono di bloccare i massacri e che solo dopo tale data gli inglesi intervennero fermandoli.

(blogdibarbara, 4 novembre 2012)


Netanyahu: bloccata l’immigrazione dall'Africa

Con la realizzazione (quasi completata) della barriera lungo il confine con l'Egitto Israele è riuscito di fatto a bloccare la immigrazione illegale dall' Africa. Lo ha affermato il premier Benyamin Netanyahu nella odierna seduta del consiglio dei ministri. "Ad ottobre - ha precisato il premier - complessivamente 54 infiltrati (provenienti dal Sinai egiziano) hanno attraversato il confine. Tutti sono stati arrestati, nemmeno uno ha raggiunto le città di Israele". "Voglio ricordare - ha aggiunto - che ancora sei mesi fa gli ingressi illegali avevano un ritmo di mille al mese, ed erano in fase crescente". "Possiamo dire - ha concluso - che abbiamo bloccato le infiltrazioni e che adesso dobbiamo concentrarci nel rimpatrio di quanti si trovano in Israele": diverse decine di migliaia di africani, in prevalenza originari del Sudan e dell'Eritrea.

(L'Unione Sarda, 4 novembre 2012)


Milano - Museo della Shoah e isola pedonale

Rinasce via Ferrante Aporti. Aprono i cantieri. «Spariscono 150 posti auto».

di Armando Stella

  Milano - Via Ferrante Aporti
MILANO - Un'isola pedonale all'ingresso del Memoriale della Shoah, una corsia ciclabile lungo l'asse centrale, nuova illuminazione-sicurezza e panchine tra i filari di platani. Il progetto di riqualificazione di via Ferrante Aporti incide un tessuto delicato e problematico, la striscia di città addossata alla stazione Centrale, e rilancia il processo di rinnovamento su cui hanno già investito Amazon e Disney, le due big company entrate negli uffici delle ex Regie Poste. I cantieri aprono domani sul parterre alberato e sul lato dei civici dispari, tra viale Palestrina e viale Brianza. Effetto immediato: spariscono 150 posti auto. Sul lungo periodo: i lavori occuperanno la strada per i prossimi undici mesi.
   Il Comune ha stanziato 1,28 milioni di euro per finanziare il restyling d'immagine e il riordino viabilistico della zona (il piano d'intervento è diretto da Mm). Il cuore del progetto, operativo e simbolico, è il ridisegno dell'area in cui la Fondazione per il Memoriale sta costruendo il polo museale e di studi dedicato alle vittime della Shoah. Da qui, dal Binario 21, nel biennio 1943-1945 migliaia di deportati vennero caricati su vagoni merci, agganciati ai treni e destinati ai campi di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau e Bergen Belsen, e ai campi italiani di raccolta a Fossoli e Bolzano. Come sarà il Memoriale è descritto nei disegni dell'architetto Guido Morpurgo: una biblioteca, una stanza per la riflessione, il Muro che porterà impressi i nomi degli uomini, delle donne e dei bambini cancellati dalla Storia. All'esterno, in corrispondenza dell'accesso al museo, il Comune lastricherà di pietra grigia un'ampia piazza pedonale e marcherà i confini di una Zona a traffico limitato (con dissuasori mobili antisfondamento).
   Il programma di riqualificazione di via Ferrante Aporti è articolato in più fasi d'intervento. La Ztl del Memoriale richiederà una modifica strutturale della circolazione viabilistica (con la creazione di un anello stradale); sarà eliminata la sosta selvaggia tra gli alberi e verranno modificati i parcheggi regolari (23 posti con strisce blu, 26 a strisce gialle, otto spazi riservati ai disabili e 25 posti moto); per le auto che provengono da via Palestrina sarà bloccato l'ingresso in via Ferrante Aporti, così come verrà interrotto il collegamento da viale Brianza a via Pergolesi. I residenti nel secondo tratto della strada, a nord di viale Brianza, chiedono al Comune di estendere il progetto: «È la parte più sofferente del quartiere. Treni abbandonati. Senzatetto. Degrado. E noi?».

(Corriere della Sera, 4 novembre 2012)


Memoria condivisa per vittime dei pogrom di Tripoli

Memoria condivisa, patrimonio di tutti. Saranno il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ad aprire, domani sera, lunedì 5 novembre, alle 20 nel tempio Bet El di via Padova, le celebrazioni dei tragici episodi che colpirono la comunità libica nel novembre del 1945. A 67 anni dal pogrom di Tripoli, quando nella capitale libica furono massacrati centinaia di cittadini ebrei inermi, Pacifici mette in evidenza che non si tratterà solo di un momento celebrativo, ma piuttosto di una svolta nella concezione della memoria della nostra storia. "Anche nel caso delle sofferenze degli ebrei di Libia - spiega - parleranno i testimoni, si apriranno le porte dei musei, si trasmetterà alla società e alle nuove generazioni cosa sono state le persecuzioni che si sono protratte ben oltre il Secondo conflitto mondiale, fino allo sradicamento di una realtà ebraica gloriosa e antichissima dal proprio ambiente naturale".
Su proposta di Leone Naouri, celebre mohel di origini libiche ora stabilitosi in Israele e di Shalom Teshuba, che con Pacifici è Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e presidente della comunità degli ebrei di Libia, si avvierà un processo che integri nell'azione di salvaguardia della Memoria anche la memoria degli ebrei tripolini. "All'incontro al Bet El - aggiunge Pacifici - seguiranno iniziative nell'ambito delle Scuole ebraiche, una nuova collaborazione con il Museo ebraico di Roma, che condurrà allo sviluppo di spazi espositivi soprattutto nella grande area della sinagoga principale cui fanno riferimento gli ebrei di Libia stabilitisi a Roma (oltre a quella di via Padova sono operativi a Roma altre tre tempi realizzati dagli ebrei di Libia). Una lapide che sarà scoperta porterà a perenne ricordo i nomi delle 136 vittime accertate del pogrom del 1945 (di molte altre vittime la documentazione non è completa) e ricorderà gli altri che soffrirono, anche nel 1948 e nel 1967, a causa degli attacchi antisemiti e dell'intolleranza islamica.

(Notiziario Ucei, 4 novembre 2012)


L'Arabia Saudita apre al dialogo stabile con l'ebraismo

CITTA' DEL VATICANO, 4 nov. - E' una piccola rivoluzione quella in corso: con l'inaugurazione il prossimo 26 novembre del "King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue" a Vienna, l'Arabia Saudita aprira' di fatto una forma di dialogo stabile con il mondo ebraico. Fra l'altro fara' parte della stessa iniziativa anche la Santa Sede in qualita' di membro "osservatore fondatore" dell'organismo.
L'iniziativa e' il frutto del lavoro portato avanti in questi anni da re Abdullah, 82 anni, che ha cercato di promuovere una nuova stagione di dialogo interreligioso e interculturale fra oriente e occidente, nonche' fra mondo arabo e islamico con il cristianesimo e l'ebraismo. Non a caso re Abdallah e' stato il primo sovrano saudita ad incontare un Papa, nel 2007 con Benedetto XVI.
Il nuovo centro che avra' sede a Vienna - scelta in qualita' di capitale di grandi istituzioni internazionali - e' il fiore all'occhiello di questo lavoro e di un piu' generale movimento graduale verso le riforme anche politiche all'interno del Paese promosso dallo stesso sovrano. Ma, particolare assai significativo, nel 'board' dell'organismo figura, insieme a rappresentanti di diverse religioni e confessioni cristiane, anche il rabbino David Rosen, uno dei leader dell'ebraismo piu' rappresentativi a livello mondiale nel dialogo interreligioso, personalita' per altro ben nota anche in Vaticano.

(Adnkronos, 4 novembre 2012)


Carri armati siriani entrano nel Golan

L'esercito israeliano riferisce di un'incursione nella zona smilitarizzata delle alture. E il regime bombarda Damasco

Tre carri armati siriani sono entrati nella zona smilitarizzata sulle alture del Golan. A riferire la notizia è l'esercito israeliano, secondo cui i mezzi corazzati, che inseguivano un gruppo di ribelli, si sono spinti fino a una certa distanza dalle postazioni israeliane, sebbene «non troppo vicino al confine», ha precisato. Per il Jerusalem Post, la mossa di Damsco potrebbe essere più dettata da motivazioni interne che dalla volontà di attaccare Israele, ma resta comunque la violazione dei trattati internazionali. Tel Aviv ha consegnato una formale nota di protesta agli osservatori dell'Undof, la Forza Onu di stanza nel Golan. Stando alla radio pubblica, come conseguenza nella zona è stato innalzato il livello di allerta.

(Corriere della Sera, 3 novembre 2012)


La Superbia dei Gentili - Le origini spirituali dell'odio antigiudaico

Ciclo di conferenze pubbliche

Luogo: Mondolfo (PU)
presso il salone Aurora, Via Cavour 21

Venerdì       9 novembre - ore 20.30
Sabato      10 novembre - ore 16
Domenica  11 novembre - ore 16

Relatore: Marcello Cicchese

Organizzato dalla Chiesa Cristiana Evangelica di Marotta
tel. 3398268687 - 3498791842

Locandina


Violenza contro la sinagoga di Oslo

di Antonio Scafati

La sinagoga di Oslo
Lanci di bottiglie, lanci di pietre, aggressioni verbali: tutto con al centro la sinagoga, tutto contro la comunità ebraica che vive a Oslo, nei confronti della quale gli episodi di violenza connotati da una chiara matrice antisemita sono sempre più frequenti.
L'allarme non è nuovo. Una delegazione dell'Ocse in visita a Oslo nel corso dell'estate aveva notato e denunciato un aumento dei sentimenti di intolleranza nei confronti degli ebrei e dei musulmani che vivono nel paese scandinavo. Fare di più: era stata questa la richiesta dei delegati dell' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, una richiesta rivolta sia alle istituzioni che alle forze dell'ordine.
Finora, ha scritto il quotidiano Politiken, è stata proprio la comunità ebraica locale ad autofinanziare i programmi di sicurezza messi in atto intorno alla sinagoga. Cosa che deve cambiare. Secondo alcuni politici locali - come Ola Elvestuen del partito Liberale - la città dovrebbe assumersi le sue responsabilità. E quando dice 'città', Elvestuen intende ovviamente l'amministrazione comunale. Come? Ad esempio regolamentando meglio o vietando del tutto il traffico nei pressi della sinagoga, un modo per limitare la circolazione intorno al tempio.

(Diretta News,it, 3 novembre 2012)


Egitto: prove di regime islamico

di Sarah F.

Si vedono sempre di più le conseguenze della cosiddetta "primavera araba" in Egitto, e non sono certo messaggi di democrazia. Ieri un migliaio di salafiti hanno manifestato in Piazza Tahrir, al Cairo, per chiedere l'applicazione della legge islamica (Sharia) in Egitto.
I manifestanti, che esponevano le bandiere nere dei salafiti (e di Al Qaeda) hanno urlato slogan che inneggiavano alla Sharia come unico fondamento della legislazione egiziana e hanno contestato il tentativo del Governo di introdurre una nuova costituzione definendo questo progetto "troppo liberista".
E dire che la nuova Costituzione voluta dalla Fratellanza Musulmana introduce già di fatto la legge islamica. Infatti in un articolo si afferma che "i principi della Sharia sono alla base delle leggi che regolano l'Egitto". Ma questo non è sufficiente per i salafiti che vogliono qualcosa di più definito in quanto temono che la frase "i principi della Sharia" sia facilmente interpretabile.
"Chi non è musulmano deve sottostare alle nostre leggi (islamiche n.d.r.) oppure andarsene dall'Egitto" diceva ieri uno dei leader salafiti alla folla. "Non vogliamo gli infedeli in Egitto" urlava un altro. "Islamiya, Islamiya" urlavano i manifestanti infervorati dai discorsi dei loro leader.
Per il prossimo venerdì è prevista una manifestazione più grande di quella vista ieri in Piazza Tahrir. Infatti dopo la preghiera si riuniranno tutti i gruppi islamisti e i Fratelli Musulmani. Per tutti una sola richiesta: l'introduzione della Sharia. E al diavolo la democrazia.

(Rights Reporter, 3 novembre 2012)


Polemiche tra i palestinesi perché Abbas nega il diritto al ritorno dei profughi

Ha sollevato un'ondata di polemiche tra i palestinesi, l'intervista che il presidente dell'Anp Abbas ha rilasciato alla tv israeliana, nel corso della quale ha detto di escludere il diritto al ritorno dei profughi nei luoghi al di fuori dei confini del 1967.
Affermazioni clamorose, subito censurate dai leader di Hamas, che da anni amministrano la Striscia di Gaza.
"Sono parole estremamente pericolose, e colpiscono il diritto al ritorno per i profughi. Non è qualcosa che riguardi solo la persona di Mahmud Abbas, ma soprattutto sei milioni di palestinesi".
Nei campi dove vivono i palestinesi espulsi dopo la nascita di Israele, le parole di Mahmud Abbas sollevano scarsi consensi.
"Nessuno qua si arrenderà o dimenticherà la propria terra. E lo stesso faranno le generazioni future. Nessuno ha il diritto di cancellare questo diritto, nemmeno il presidente".
Secondo alcuni osservatori, l'uscita di Abbas sarebbe in relazione con le imminenti elezioni israeliane, e potrebbe costituire un tentativo di togliere argomenti alle ali più oltranziste della politica ebraica.

Video


Milioni di arabi dunque non rinunceranno mai al loro “diritto” ad entrare (non rientrare, perché molti di loro non vi sono mai entrati) nella terra che ora appartiene allo Stato d’Israele. Questo significa che non rinunceranno mai all’idea di far sparire lo Stato ebraico da quella terra. E poiché Israele non accetterà mai di annullarsi educatamente “per amor di pace”, la speranza di vedere “due stati che vivono l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza” può essere lasciata a quelli che amano sognare cose piacevoli, anche se non sono né giuste, né realistiche, né vere. M.C.

(euronews, 3 novembre 2012)


Antisionismo e boicottaggio più forti della salute

di Michael Sfaradi

   
Sir Bob Russell
TEL AVIV - La scorsa settimana il parlamento europeo ha rimosso le barriere commerciali per i prodotti farmaceutici israeliani in modo da favorirne la diffusione e mantenerne bassi i costi al consumo, soprattutto per quello che riguarda i salvavita.
Se l'Europa ha deciso un passo di questo tipo certamente ha avuto il suo tornaconto, anche perché da una parte la ricerca israeliana è all'avanguardia mondiale nella produzione di nuove molecole e dall'altra le aziende farmaceutiche dello stato ebraico producono da anni, a basso costo e ad alta qualità, quei farmaci che non sono più sotto brevetto.
Questa politica di produzione e commercializzazione di massa a livello mondiale ha permesso l'uso di medicinali di base anche a quegli strati della popolazione alla quale è sempre stato difficile, se non impossibile, accedere a quei prodotti. L'accordo permetterà alle casse delle varie nazioni europee un risparmio notevole sull'acquisto dei farmaci da banco e di largo consumo che sono comunque classificati come erogabili dai servizi sanitari nazionali.
Ma ciò nonostante a qualcuno quest'accordo ha dato fastidio. Questo qualcuno, in Gran Bretagna, si chiama Sir Bob Russell e rappresenta il Colchester al parlamento Britannico. Sir Bob Russell è un liberal-democratico e nella sua storia politica è sempre stato decisamente critico nei confronti dello stato ebraico. Dopo che il parlamento europeo ha ratificato gli accordi, lui, alla prima occasione, durante un'interrogazione parlamentare, ha fatto delle richieste così insulse e offensive da far vergognare quello che resta della secolare democrazia britannica.
Visto che i prodotti farmaceutici hanno delle regole diverse e seguono canali distinti rispetto alle altre merci che vengono importate da Israele e, di conseguenza, un boicottaggio come quello sui pompelmi non può essere messo in atto, Sir Russell, dopo aver fortemente spremuto le sue meningi e quelle dei suoi collaboratori ha pensato bene di proporre una cosa mai sperimentata prima, e cioè di contrassegnare i farmaci israeliani in modo che possano essere facilmente riconoscibili. Come se ad una persona malata e sofferente possa importare la provenienza del farmaco che l'aiuterà a guarire. Sir Russell voleva comunque una sorta di stella gialla da applicare alle scatole dei medicinali prodotti dagli ebrei. Il parlamentare britannico, nella sua foga è andato oltre inserendo nella sua richiesta anche la possibilità di identificare le medicine prodotte nei territori contesi con la scritta 'prodotto nella Cisgiordania occupata'.
Norman Lamb, il Ministro della Sanità, ha respinto in toto le richieste specificando che i requisiti per l'etichettatura dei farmaci sono indicati nella legislazione sia europea che nazionale. Ha inoltre ribadito che non vi è alcun obbligo di indicare il paese di origine sulle etichette stesse. La Baronessa Sarah Ludford ha chiaramente manifestato il suo dissenso dichiarando che l'individuazione dei farmaci prodotti in Israele sarebbe discriminatoria.
Comunque Sir Bob Russel non si è dato per vinto e ha allora chiesto una stima del numero di posti di lavoro che andranno persi nell'industria farmaceutica britannica dal momento in cui arriveranno nel Regno Unito i medicinali prodotti in Israele. Questa sua seconda richiesta è stata ripetuta anche da Lord Warner, un pari del lavoro che è stato consulente politico di alto livello dell'ex Primo Ministro britannico Jack Straw.
Anche se David Willetts, rispondendo a nome del governo ha detto che non aveva alcuna intenzione di valutare quest'aspetto, è facile prevedere che quello che si è visto in questi giorni è solo il primo round e che i farmaci israeliani, nonostante gli accordi con l'Unione Europea, non avranno vita facile nel vecchio continente.
Quello che rattrista in tutta questa vicenda è che l'odio ormai palese verso lo stato ebraico non si ferma neanche davanti alla salute della gente e lo squallore delle argomentazioni sono solo la spia del decadimento di cui è vittima il continente intero.

(Secondo Protocollo, 2 novembre 2012)


Torna il circo a Gaza, non è un miraggio

Dopo 14 anni, Hamas accetta clown e maghi, ma no alle soubrette

di Sami al-Ajram

GAZA - Non è un miraggio. Sulle rovine di al-Saraya è stata eretta una tenda dai colori sgargianti. Il circo è arrivato a Gaza: un'esperienza esilarante e senza precedenti per una generazione intera di bambini che non possono ricordare l'ultima tournee precedente: quella del Circo Russo, nel lontano 1998. Da allora molto è cambiato. In particolare dal 2007, con l'avvento al potere di Hamas, la vita pubblica si è fatta ancora più sobria e severa, gli svaghi sono una rarità.
Comprensibile dunque l'entusiasmo dilagato fra i giovanissimi di Gaza quando a fine ottobre, in occasione della Festa islamica del Sacrificio, hanno sentito che dall'Egitto era appena arrivato il Circo al-Nubi, forte di 17 artisti. Nell'apprendere il prezzo dei biglietti molti genitori hanno avuto un tuffo al cuore: 40 shekel (otto euro) per i posti migliori, su seggiole di plastica con i braccioli, e 20 shekel (quattro euro) per quelli più lontani dall'arena, su incerte panche di legno. In una Striscia afflitta da povertà endemica e da tanti figli la visita al Circo ha rappresentato in molte famiglie una sfida economica non indifferente. Ma i bambini sotto ai cinque anni sono stati ammessi gratis.
E poi: come negare loro un'esperienza che potrebbe restare unica nella loro infanzia? Al cancello di ingresso Ahmed al-Mansi, originario del rione Sajaya (Gaza) accompagnato dagli otto figli, attendeva con ansia l'inizio dello spettacolo. "E' questa la prima volta che possono vedere un vero pagliaccio", ha spiegato. Esperienza forte anche per lui: in 48 anni di vita, non ha mai lasciato la Striscia. La visita del circo egiziano è stata preceduta da uno scambio di contatti delicati con i responsabili di Hamas che hanno chiarito agli ospiti che comunque avrebbero dovuto rispettare i costumi della popolazione locale. Niente ballerine; niente soubrette; niente artiste con calzamaglia ed abiti scollati. Ammessi invece clowns, illusionisti, acrobati. La rigidità del ministero dell'agricoltura egiziano, hanno appreso gli abitanti di Gaza, ha peraltro impedito l'ingresso di leoni e tigri. Ma anche così i mille posti della tenda sono andati a ruba e la festa è stata completa. Per soddisfare la domanda, con due spettacoli al giorno,il circo dovrà restare almeno un mese.

(ANSA, 3 novembre 2012)


Israele - Marijuana medica con il via libera del governo

Nel nord del paese, una industria produce cannabis terapeutica

TEL AVIV - Marijuana non per lo sballo ma a fini terapeutici. Nel nord di Israele a Tikkun Olam, in un laboratorio si lavora alla coltura di un ceppo di cannabis che dovrebbe alleviare i sintomi di alcune malattie croniche, ma senza gli effetti che possono accompagnare l'assunzione dell'erba. Il tutto con il via libera del governo: " Questa industria - ha detto Yuli Edelstein, il ministro dell'informazione - rende più facile la vita ai sopravvissuti all'olocausto, ai malati terminali e a tutti quelli che provano un forte dolore. Israele è all'avanguardia e un leader in questo campo". In sostanza nel laboratorio tentano di isolare il thc, la molecola che porta allo sballo, dal Cbd. Una volta isolati si possono dosare a piacimento i due ingredienti: con il giusto equilibrio, si può alleviare il dolore e stimolare l'appetito, riducendo o eliminando gli effetti indesiderati. "Abbiamo sviluppato diversi tipi di piante, da quelle con alto contenuto di thc a quelle con molto Cbd, a seconda delle esigenze", spiega Tzahi Klein, capo sviluppatore del progetto.Secondo i dati pubblicati all'inizio di quest'anno da Sheba Medical Centre e dalla Israel Cancer Association, la marijuana medica è stata approvata per circa 6.000 israeliani affetti da varie malattie. Ma non per questo, dicono dal governo, ne sarà mai legalizzato l'uso.

Video

(TMNews, 2 novembre 2012)


La campagna elettorale in Israele

A due mesi e mezzo dalle elezioni anticipata la destra è avanti, il principale partito di opposizione rischia di sparire e al centro ci sono novità

   
  Lapid (sopra) e Kahlon (sotto)
Oggi il quotidiano israeliano Yediot Ahronot ha pubblicato un sondaggio secondo cui Kadima, che attualmente è il principale partito di opposizione nel parlamento israeliano, non otterrebbe nessun seggio dopo le prossime elezioni politiche. Anche altri sondaggi recenti hanno avuto risultati simili: se si votasse oggi, il maggior numero dei seggi nel parlamento di 120 membri andrebbe alla nuova lista unica annunciata dall'attuale primo ministro Benjamin Netanyahu, del partito di destra Likud, insieme al partito ultranazionalista laico dell'attuale ministro degli Esteri Avigdor Lieberman (Yisrael Beiteinu, "Israele è la nostra casa").
Il prossimo 22 gennaio ci saranno le elezioni politiche, anticipate rispetto alla data prevista dell'ottobre 2013: Netanyahu le ha annunciate due settimane fa, dicendo che non c'erano le condizioni politiche perché la maggioranza di governo potesse approvare la nuova legge di bilancio, che prevede pesanti misure di austerità.
Secondo molti, però, la scelta di andare alle elezioni tra tre mesi ha altre motivazioni più politiche: da una parte la volontà di fare i conti con gli avversari interni, come il ministro della Difesa Ehud Barak, leader del partito di centro Hatzmaout; dall'altra quella di non dare all'ex premier Ehud Olmert - dimessosi nel 2009 perché accusato di corruzione - il tempo necessario a organizzare un suo ritorno in politica con Kadima e il centrosinistra.
Dopo la lista unica Likud-Beiteinu, il secondo partito nei sondaggi è lo storico partito socialdemocratico Labor, che è guidato da poco più di un anno da Shelly Yachimovich, 52 anni, ex giornalista. Secondo i sondaggi, il Labor aumenterà parecchio la sua presenza nel prossimo parlamento, in cui ha attualmente solo 8 seggi. Yachimovich è quindi la principale sfidante alle prossime politiche: in questo periodo di tagli e di difficoltà economiche, anche in Israele, il Labor propone di modificare il sistema di tassazione che attualmente, secondo la sua leader, è sbilanciato a favore dei più ricchi.
La campagna elettorale del Likud-Beiteinu, invece, sarà probabilmente dedicata ancora una volta ai temi della sicurezza di Israele e della questione palestinese, che sono sempre centrali nel dibattito politico israeliano. Secondo molti, il bizzarro disegno di una bomba mostrato all'Assemblea generale dell'ONU a proposito della preparazione della bomba atomica dell'Iran era già un discorso da campagna elettorale.
Nonostante le grandi proteste degli ultimi mesi contro l'aumento del costo della vita, al momento quella della destra sembra la linea vincente: il blocco formato dai partiti di destra, estrema destra e religiosi - tra cui l'ultraortodosso Shas - dovrebbe ottenere una nuova maggioranza, alle prossime elezioni, anche se non farà aumentare di molto i voti e i seggi rispetto al parlamento attuale.
Le grandi manovre, però, sembrano essere nei partiti di centro, vecchi e nuovi. Quelle di gennaio saranno anche le prime elezioni per il partito di Yair Lapid, un popolare conduttore televisivo, cantante e scrittore che ha lasciato la conduzione del suo talk show del venerdì sera a gennaio, annunciando la sua entrata in politica. Il suo nuovo partito, Yesh Atid, è dato al terzo posto dietro Likud-Beiteinu e Labor. È probabile che anche lui tolga voti a Kadima, visto che le sue convinzioni politiche sono laiche e moderate, con diversi punti di contatto con il partito di opposizione centrista.
Nella politica israeliana, estremamente mobile e legata a poche personalità di spicco, ci sono poi notizie recenti che riguardano la possibile candidatura di un altro personaggio che cambierebbe gli equilibri. Lo stesso sondaggio citato da Yediot Ahronot, infatti, dice che un partito guidato da Moshe Kahlon, 52 anni e attuale ministro delle comunicazioni per il Likud, vincerebbe una dozzina di seggi. Kahlon aveva detto due settimane fa che avrebbe lasciato la politica, ma negli ultimi giorni sembra aver cambiato idea e la stampa dice che si prepara a fondare il suo partito. Secondo i sondaggi, toglierebbe voti soprattutto al Likud da cui proviene.
Dopo le ultime elezioni politiche, nel 2009, Kadima era diventato il partito più numeroso in parlamento con 29 seggi, ma era dovuto andare all'opposizione a causa della formazione del governo Netanyahu: a metà dello scorso anno aveva trovato un accordo con il primo ministro ed era entrato a far parte della maggioranza, ma l'accordo era durato poco più di un mese prima che il partito tornasse all'opposizione. Kadima è nato nel 2005 da un gruppo di fuoriusciti moderati dal Likud ed è stato il partito principale di un governo di coalizione dal 2006 al 2009, ma negli ultimi tempi ha perso molti punti nei sondaggi, fino agli ultimi che lo indicano addirittura fuori dal parlamento.

(il Post, 2 novembre 2012)


Fill the void

Dalla Mostra di Venezia, un film di che accende un cono di luce sulla comunità ebrea ortodossa

Uomini e donne in salsa ortodossa. Rigidamente. Per raccontare un mondo cui non si da voce. Un mondo avvoltolato nel silenzio: "Non ho fatto questo film mossa da particolari intenzioni politiche o altro ma solo per aprire una finestra su questo mondo che mi piace e al quale appartengo. Io non lo giudico, anche se il film resta aperto a ogni interpretazione".
E non parliamo di un mondo qualunque ma del (quasi ignoto) mondo della comunità chassidica su cui punta i riflettori nel suo Fill the Void (in concorso alla scorsa Mostra veneziana e dal 15 nei nostri cinema) Rama Burshtein, 45 anni, nata a New York e da tempo impegnata a dare voce e immagini espressive a questa comunità.
Come racconta lei a un passo dalla presentazione domenica a Roma nell'ambito del Pitigliani Kolno'A Festival alla presenza della protagonista Hadas Yaron Coppa Volpi a Venezia: "Mi sono lanciata in questa avventura per il dolore che mi portavo dentro, sentivo che la comunità ultra-ortodossa non aveva alcuna voce nell'ambito del dialogo culturale. Come se fossimo muti. La nostra voce sul piano politico è forte ma sul piano artistico e culturale resta debole. Io ho cercato di parlare dal di dentro e di evitate di affrontare nel film il dialogo tra mondo religioso e mondo laico. Volevo mostrare una Tel Aviv che esiste, accanto a quella laica e moderna e che convive pacificamente con quella".
Per lo spettatore occidentale una rivelazione, la prima volta che ha la possibilità di conoscere quel mondo dal di dentro, nei suoi rituali (dalla festa del Purim alla prassi che precede ogni fidanzamento) e nelle sue icastiche figure (dal rabbino che guida la comunità anche nelle faccende domestiche alla matriarca che presiede alla casa e al destino dei suoi figli). Un mondo che la regista presenta dicendo: "Non so se sono rimasta fedele al mondo ortodosso, di certo sono rimasta fedele al mio modo di vederlo. Cosa ha di speciale? Questa mistura di gioia, dolore e tristezza che sa tenere assieme, senza scomporsi".
Il tutto al servizio di una storia d'amore "basata sullo spirito. La storia di Shira che ha 18 anni, è promessa a un ragazzo mai visto e che, giusto per vedere che faccia ha prima di incontrarlo ufficialmente, deve osservarlo da lontano al supermercato. Gli piace persino, si affeziona all'idea ma poi la sorella muore di parto e finisce che lei dovrà sposare qualcun'altro... Non siamo in un passato remoto ma nell'oggi della Tel Aviv di ebrei ortodossi, dentro un mondo di cui ignoriamo quasi tutto e che ci lascerà di stucco una storia che ricorda l'esperienza e il sentimento del primo amore, che vive soltanto nel cuore e non ha alcun aggancio con la ragione".
E il tutto partendo dalla vita reale. E' da qui che viene l'idea del film: "Shira (Hadas Yaron), la giovane protagonista della pellicola, la figlia più piccola di una famiglia di ebrei chassidici di Tel Aviv, promessa sposa ad uno della sua stessa età salvo poi essere persuasa dalla madre a ripiegare sul cognato e a crescere il figlio della sorella deceduta durante il parto, nasce da un fatto reale".
Questa la storia raccontata appassionatamente dalla regista che non ha dubbi:"Il mondo ortodosso è così interessante da non avere bisogno del mondo secolare".

(CineSpettacolo.it, 2 novembre 2012)


Tunisi 1988, ventisei minuti per uccidere. Così il Mossad eliminò la mente dell'intifada

di Fabio Scuto

   
La spiaggia di Gammarth
GERUSALEMME - Era una notte senza luna sulle acque meridionali del Mediterraneo quella del 16 aprile 1988. Gli uomini del commando scivolarono giù veloci da quattro gommoni neri con i motori silenziati sulla spiaggia deserta di Gammarth, a metà strada sulla costa fra Tunisi e Sidi Abu Said. Ventisei minuti più tardi se ne riandranno indisturbati per la stessa strada. La missione è stata compiuta: Khalil Al Wazir, più noto con il suo nome di battaglia di Abu Jihad, numero due di Al Fatah che fondò insieme ad Yasser Arafat, è nel suo letto in un lago di sangue. Crivellato da 50 proiettili. La Browning 7,65 che teneva sul comodino è nel palmo della sua mano, ma non è riuscito a sparare nemmeno un colpo. Quell'azione audace del Mossad rivive oggi sulle pagine del quotidiano israeliano Yedioth Aronoth, perché il giornale dopo una lunga battaglia legale con la censura militare, pubblica un'intervista, postuma, al capo dei commandos israeliani che agirono quella notte. Per dodici anni Yedioth ha tenuto nel cassetto l'intervista che Nahum Lev diede al quotidiano nel 2000, prima di poterla pubblicare. Ed è la prima volta che Israele ammette che furono i suoi uomini a uccidere Abu Jihad nella capitale tunisina nell'ambito di un'operazione destinata a decapitare la dirigenza della prima Intifada, che era scoppiata nei Territori occupati nel dicembre del 1987, e di cui Jihad era uno dei dirigenti all'estero.
   La missione - ha ricostruito il giornale - fu compiuta da 26 uomini del Sayeret Matkal, un gruppo d'élite dello stato maggiore dell'esercito israeliano, allora diretto da Moshe Yaalon, che oggi è ministro degli Affari strategici. A capo dei commandos c'era appunto il comandante Nahum Lev, che poi morì in un misterioso incidente di moto proprio quell'anno. Il commando sbarcato sulla spiaggia di Tunisi, si divise due gruppi: uno, quello di Lev, si diresse in macchina fino ai pressi della villa di Jihad. Accompagnato da un soldato travestito da donna in modo da sembrare una coppia in uscita la sera, in mano Lev ha una gran scatola di cioccolatini che nasconde una pistola con silenziatore. I due si abbracciano, scherzano. Si avvicinano e uccidono la prima guardia che è assopita in macchina davanti l'abitazione. Il secondo gruppo, ad un segnale convenuto, entra nella casa dopo aver forzato la porta di ingresso. Viene ucciso un secondo bodyguard palestinese e un ignaro giardiniere tunisino che dormiva nella baracca in giardino. Una volta all'interno e individuata la stanza da letto di Jihad, Lev e uno dei commandos con il passamontagna salgono rapidamente le scale. Il tempo è tutto. I colpi di pistola col silenziatore, specie quelli sparati con le mitragliette emettono un sibilo, una specie di gemito soffocato, inconfondibile per un esperto militare come Abu Jihad che forse sente qualcosa. Senza accendere la luce allunga la mano verso la pistola sul comodino nel momento in cui la porta viene abbattuta. Il soldato è più veloce del suo comandante e spara per primo, Lev racconta che sparò dopo una lunga raffica «attento a non ferire la moglie che dormiva a fianco di Abu Jihad», i due figli - dodici e due anni - dormivano nella stanza a fianco. «Ho sparato senza la minima esitazione — ha raccontato Lev al giornale - era votato a morire. Era coinvolto in crimini orribili contro civili israeliani».
   Quella notte un Boeing 707 equipaggiato per la guerra elettronica seguì l'operazione dal cielo volando in un corridoio aereo (Blue 21) che passa tra la Sicilia e la Tunisia. Il suo compito era quello di azionare le apparecchiature di disturbo elettronico per isolare i telefoni di tutta la zona interessata dall'operazione. Ma il Boeing senza insegne era anche il centro di comando dell'intera azione. A bordo c'era il generale Ehud Barak - allora vicecapo di Stato maggiore dell'Esercito e oggi ministro della Difesa - che già anni prima nel 1973 aveva guidato i commando israeliani (lui si era travestito da donna) che a Beirut, in maniera quasi identica a Abu Jihad, uccise tre alti dirigenti dell'Olp e decine di palestinesi. L'aereo comparve al largo della Tunisia alle 00.30 del 15 aprile e scomparve alle 01.26, quando ormai i ventisei commando sbarcati dai gommoni erano al sicuro a bordo unità navale israeliana. Il sommergibile fu inghiottito rapidamente dalle acque nere del Mediterraneo senza luna. Il messaggio in codice venne trasmesso a Gerusalemme ai due comandanti che avevano ordinato l'operazione: il primo ministro Yitzhak Shamir, il ministro della Difesa Yitzhak Rabin. La risposta fu una sola parola: "Mazel tov" (complimenti).

(la Repubblica, 2 novembre 2012)


Bianca Colbi Finzi
come la ricorda chi l' ha conosciuta

Aula del Consiglio Comunale di Bologna
Giovedì, 8 novembre 2012 ore 15.30 - 18.30

Simona Lembi
Presidente del Consiglio Comunale di Bologna
Saluto

Guido Ottolenghi
Presidente della Comunità Ebraica di Bologna
La Comunità Ebraica e la Città di Bologna nel secondo dopoguerra

Locandina


Sono arrivati lunedi con l'Operazione " Ali di colomba"

di Deborah Fait

Duecentosettanta Falasha Mura dall'Etiopia sono atterrati in Israele, frastornati, nei loro abiti variopinti , sorridenti ma con i volti bagnati di lacrime, con i bambini, tanti bambini per mano, sono scesi dalla scaletta, si sono inginocchiati e hanno baciato la terra di Israele che li stava accogliendo.
All'aeroporto Ben Gurion sono stati salutati con tutti gli onori dalle autorita' israeliane e chiamati a gran voce dai parenti, dagli amici gia' viventi in Israele dalle precedenti alyiot o semplicemente dalla gente che era andata ad applaudire il loro arrivo.
La commozione era talmente forte che quando i primi Beta Israel (Casa di Israele) sono apparsi sulla scaletta dell'aereo nessuno dei presenti e' riuscito a trattenere le lacrime.
Israele ha incominciato a salvare i primi ebrei dall'Etiopia nel 1986 con l'operazione Mose' evitando il massacro di 8000 ebrei Falasha' (Stranieri, questo erano per gli etiopi) che stavano fuggendo dalla guerra e dalla folla assassina che, come sempre accade quando in qualche paese ci sono problemi e miseria , dava la "caccia all'ebreo", colpevole di tutti i mali del mondo sotto qualsiasi latitudine.
Si sa che molti scapparono verso il Sudan per poi arrivare, a piedi, in Israele, e chi non fu ammazzato strada facendo dai predoni, ha poi raccontato la sua odissea attraverso i deserti d'Africa fin sotto le colline di Gerusalemme, il sogno di una vita e la salvezza .
Nel 1991 ci fu l'Operazione Salomone, uno dei grandi miracoli di questo paese quando, nel giro di 36 ore, con voli non-stop di 34 aeromobili israeliani, furono portati in Israele altri 14.500 ebrei etiopici che erano in pericolo di vita a causa della situazione dell'Etiopia dopo il collasso del governo di Menghistu.
Gli aerei erano stati completamente svuotati dei sedili e riempiti di materassi perche' i profughi erano quasi tutti malati, molti di tubercolosi, e denutriti (erano rimasti isolati nei loro villaggi per molti mesi senza cibo), equipe di medici israeliani erano presenti in ogni aereo per assisterli e curarli durante il viaggio.
Ricordo perfettamente il loro arrivo, piangevamo tutti, tutta Israele, chi non era all'aeroporto era davanti alla TV. Credo che in quel momento tutti gli ebrei del mondo, quelli veri, quelli che si sentivano ebrei nel cuore e nell'anima, stessero piangendo.
Adesso con l'operazione Ali di colomba stanno arrivando gli ultimi Beta Israel, gli ultimi ebrei d'Africa, il tutto dovrebbe concludersi tra un anno, nell'ottobre del 2013. Dopo potremo dire orgogliosamente di aver salvato tutti gli ebrei d'Etiopia la cui vita non deve essere stata molto facile per mantenere intatta la loro ebraicita' e lo dimostrano i tatuaggi a forma di croce che molte donne portano sulla fronte.
Israele con l'Agenzia Ebraica e gruppi di cristiani evangelici stanno facendo un meraviglioso lavoro a Gondar, in Etiopia, dove sono raccolti i Falasha in attesa di poter emigrare, hanno organizzato scuole, centri di salute, ospedali, corsi di ebraico, una preparazione perfetta che permettera' a questi ultimi Beta Israel di integrarsi meglio di quelli che li avevano preceduti vent'anni prima e che erano stati trasportati in Israele clandestinamente . Per queste persone abituate a vivere nella tribu', ad essere tutti una sola famiglia, la solitudine delle citta' e' a volte devastante soprattutto per gli anziani, i giovani col servizio militare vengono assorbiti meglio e si integrano piu' facilmente al resto della societa' israeliana.
I nuovi arrivati verranno smistati in vari centri di accoglienza facendo attenzione a non separare i clan, i bambini verranno subito scolarizzati e in poco tempo parleranno l'ebraico dalla pronuncia dolce e meravigliosa tipica dei Falasha'.
La storia degli ebrei, nei millenni, e' una storia di morte e di fughe disperate nel tentativo spesso vano di salvarsi, non sapevano dove fuggire; finalmente la fondazione dello Stato di Israele riusci a trasformare la speranza in realta' e milioni di persone spaventate ritrovarono finalmente la loro patria dove vivere una vita normale, lontani dall'odio e dai pericoli....
Lontano dall'odio e dai pericoli? Che dico mai? Questa sarebbe la Speranza, quella del nostro Inno Nazionale, purtroppo la realta' e' diversa.
Di odio siamo letteralmente avvolti, Israele considerato un cancro, Israele condannato da tutti, Israele che deve difendersi , Israele che non puo' reagire ai missili di hamas perche', se lo fa, il mondo, che tace per le centinaia di missili che grandinano ogni settimana nel sud del paese dove si e' costretti a chiudere le scuole, ci si rivolta contro e ci urla che siamo nazisti.
I veri nazisti, quelli arabi, sono invece molto apprezzati in occidente.
Professori israeliani vengono boicottati, studiosi israeliani vengono boicottati, i prodotti, la scienza e la tecnologia israeliane vengono boicottate, le notizie importanti tipo la recente visita del premier Monti e 7 ministri del suo governo, per iniziare collaborazioni di grande interesse, vengono taciute dai media. Non passa giorno che in qualche nazione del mondo non si faccia qualcosa contro Israele o contro gli ebrei. Il mondo arabo musulmano e' pronto a distruggerci, Israele e' l'unica nazione del mondo minacciata di annientamento.
Questo e' il nostro destino ma abbiamo imparato a difenderci colle unghie e coi denti, col nostro esercito e la nostra forza mai doma.
Gli ebrei del mondo continuano a venire in Israele, arrivano giovani, tanti giovani dall'America, dal Canada, giovani colti che nella multicolore societa' israeliana, insieme ai giovani d'Africa, portano alta la bandiera colla Stella di Davide perche' tutto il mondo veda che non potra' mai distruggerci.

(Informazione Corretta, 1 novembre 2012)


Israele non aspetta più. L'attacco all'Iran dopo il voto americano

Il premier non vuole più rimandare, chiunque vinca Oltreoceano. Teheran sarebbe pronta a testare una carica nucleare sotterranea

di Vittorio Dan Segre

A distanza di pochi giorni dalle elezioni americane (anche se si può già votare in anticipo come ha fatto il presidente Obama a Chicago) riaffiora l'incubo per Washington e per Gerusalemme di una azione militare israeliana contro l'Iran.
Molto faceva pensare che una intesa fosse stata raggiunta fra Netanyahu e Obama per evitare un attacco israeliano contro l'Iran prima delle elezioni. Ora si ha l'impressione che comunque esse vadano, l'operazione contro Teheran è prossima, anche se Washington si sforza ad assicurare a Gerusalemme che non permetterà all'Iran di fabbricare la bomba. (A riprova della determinazione americana oltre mille soldati statunitensi stanno partecipando a una grande manovra congiunta difensiva anti missilistica).
Nonostante l'opposizione a un attacco israeliano autonomo all'Iran resti forte (dal presidente Peres alle più alte gerarchie militari e di sicurezza) alla base di questa possibilità c'è la recentissima fusione del partito Likud di Natanyahu con quello del ministro della difesa Lieberman (Israel Beitenu). Secondo Haaretz si tratta della formazione di un «gabinetto di guerra». Il bombardamento «misterioso», la settimana scorsa, del deposito di armi e munizioni di origine iraniana nei pressi di Khartum, la capitale del Sudan, destinato a rifornire Hezbollah e Hamas, sarebbe una prova generale per l'attacco (1.700 km da Israele cioè stessa distanza che con Qom, la base sotterranea nucleare iraniana; uso apparente di un nuovo marchingegno capace paralizzare l'elettricità, ecc). Per il primo ministro Natanyahu, anche se riconosce che le sanzioni contro l'Iran stanno facendo effetto, non si può più rimandare ulteriormente la decisione militare per almeno cinque ragioni.
A - Che vinca Obama o Romney nessuno dei due potrebbe intervenire nell'immediato contro l'Iran. Il primo perché convinto di poter fermare la corsa iraniana alla bomba con le sanzioni e negoziati che prendono tempo; il secondo perché non sarebbe al potere che in gennaio.
B - L'Iran con le nuove centrifughe per l'arricchimento dell'uranio installate negli scorsi giorni nella base sotterranea di Qom sarebbe ormai in grado entro un mese se non meno di far esplodere una carica atomica sotterranea comprovante la capacità di Teheran di darsi in qualunque momento uno strumento nucleare montabile su un missile.
C - L'America si trova a migliaia di chilometri dall'Iran e può attendere, Israele a centinaia e non può aspettare che Teheran sia in grado di armare i suoi missili con una carica nucleare ridotta.
D - Un Iran con la bomba - anche se non la usasse mai - sarebbe un Iran dotato di una potenzialità negoziale centuplicata tanto nei confronti dell'Occidente che dei paesi del Medio oriente.
E - In tal caso Israele perderebbe la sua autonomia politica e militare nei confronto degli arabi, dell'Onu e in particolare sulla questione palestinese soprattutto nel caso vincesse Obama.
Natanyahu si prepara anche a far fronte a questa eventualità rafforzando alle prossime elezioni generali (22 gennaio, il giorno dopo l'entrata in carica del nuovo presidente americano) la propria posizione all'interno. Unendosi a Avigdor Lieberman potrebbe ottenere 50 seggi (su 120) al parlamento di Gerusalemme creando un governo di destra laico nazionalista, libero dai ricatti dei partiti religiosi (contrari ad una azione autonoma contro l'Iran) e meno sensibili alle pressioni di una presidenza Obama bis favorevole ai palestinesi e contraria alla estensione della colonizzazione ebraica in Cisgiordania.

(il Giornale, 1 novembre 2012)


L'impegno degli ebrei per la Liberazione: la vera storia in un documentario

Un film getta un fascio di luce su una vicenda poco conosciuta: l'impegno della Brigata Ebraica per la Liberazione in Romagna. Produzione voluta da Gabriele Zelli e realizzata da Alessandro Quadretti

La storia riserva innumerevoli pagine per i fatti più salienti della Seconda Guerra mondiale, per quelli più noti e conosciuti. Poche, però, sono le attenzioni riservate alle tante vicende e ai tanti contributi che resero possibile la liberazione del regime nazifascista. In Romagna un apporto fondamentale è arrivato dalla Brigata Ebraica, impegnata tra le file delle truppe alleate britanniche e accorpata al Gruppo di combattimento "Friuli".

DOPPIA PROIEZIONE - A questo mini-esercito di 5mila soldati volontari (tutti stranieri, nessun italiano), dopo il libro edito qualche anno fa, è dedicato il film-documentario prodotto da "Officinemedia" per Gabriele Zelli (storico e studioso della Romagna, nonchè sindaco di Dovadola) realizzato dal regista Alberto Quadretti con la collaborazione di Romano Rossi (presidente della Associazione nazionale reduci della Friuli). Anteprima lunedì sera 5 novembre alle 20.45 al teatro comunale di Dovadola, prima nazionale martedì sera 6 novembre alle 21.15 al cinema Saffi,

ROMAGNA - Un video dal valore storico alquanto rilevante, che fa luce sull'impegno che questi volontari misero nella liberazione di una parte importante della Romagna. La Brigata Ebraica fu impegnata nella battaglia sul Senio, fronte che riuscirono a sfondare nell'aprile del 1945. Combattendo, tra l'altro, per la prima volta con l'effigie dell'attuale bandiera dello stato di Israele che ancora all'epoca non era ufficiale. Bandiera che venne consegnata alla Brigata a San Ruffillo di Brisighella e che gli ebrei impegnati in guerra portarono con loro in battaglia.

PRECEDENTE - Un progetto storico, cinematografico e documentale che parte da lontano, dal 1992 quando Gabriele Zelli (all'epoca assessore) cominciò a interessarsi della vicenda della Brigata Ebraica partendo dal sanguinoso eccidio degli ebrei avvenuto in via Seganti. A loro venne dedicato un monumento funebre nel cimitero monumentale (inaugurato da Tullia Zevi, allora presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane). Dall'approfondimento di quella storia nacque il libro sulla 'Brigata ebraica' e oggi il film-documentario.

Un prodotto di qualità, realizzato a costo quasi nullo, se non al prezzo dell'impegno e della passione di chi ci ha lavorato. E che si inserisce in un solco già aperto, sempre da Gabriele Zelli e Alessandro Quadretti con il documentario sulla strage dell'Italicus (in cui morì il forlivese Silver Sirotti) e che proseguirà con un documentario sull'impegno degli indiani Sikh nella battaglia di resistenza (comunità a cui è dedicato un cimitero di fronte a quello monumentale).

NON SOLO CELEBRAZIONI - "C'era bisogno di fare qualcosa che andasse oltre le celebrazioni - commenta Gabriele Zelli - perché questa brigata a contribuito in maniera determinante alla lotta di Liberazione. E dopo il monumento funebre inaugurato da Tullia Zevi e il libro che abbiamo realizzato, ora questo documentario".
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Con l'obiettivo di portarlo nelle scuole, di farlo conoscere alle ragazze e ai ragazzi di oggi, come ulteriore elemento di informazione su un periodo del quale rimangono ormai pochissimi testimoni; e dunque lo sforzo per tenere viva la memoria deve essere ancora più intenso e collettivo.

(ForlìToday, 1 novembre 2012)


Israele e Iran, lo scontro è in Sudan

   
La notizia è stata confermata dall'agenzia di stampa iraniana: due navi da guerra, un cacciatorpediniere e un elicottero dell'esercito iraniano sono arrivati a Port Sudan, il principale porto del Sudan sul Mar Rosso.
Ufficialmente l'Iran ha fatto sapere che si tratta di un'operazione congiunta nell'ambito del contrasto alla pirateria ma, scrive l'Independent, la mossa potrebbe provocare un escalation nel conflitto a distanza che Iran e Israele stanno combattendo attraverso i due Sudan.
Il Sud Sudan, con capitale Juba, ha ottenuto l'indipendenza dal Sudan del nord soltanto lo scorso anno dopo una lunga e sanguinosa guerra civile. Nonostante l'indipendenza sancita, gli scontri armati tra i due stati continuano lungo la frontiera per questioni legate al petrolio.

- Chi giocherà un ruolo chiave per la Pace in Sudan?
  Dopo il processo di divisione in due stati separati, Israele è diventato un influente alleato militare e commerciale del Sud Sudan, mentre l'Iran ha rafforzato i suoi legami con il regime di Khartoum.
La scorsa settimana una fabbrica di armi di Khartoum è esplosa a quanto pare a causa di un bombardamento aereo. Il Sudan ha accusato Israele di aver condotto il raid con otto aerei da caccia. Israele non ha ne confermato ne negato le accuse limitandosi a non commentare. Il Sudan ha quindi deciso di segnalare il caso alle Nazioni Unite.
Per quanto riguarda le navi da guerra iraniane i funzionari di Khartoum hanno detto che si tratta di "relazioni amichevoli" aggiungendo che la missione congiunta era stata già programmata il mese scorso, prima dell'esplosione nella fabbrica di armi.

(il Journal, 1 novembre 2012)


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