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Notizie 16-30 novembre 2022


Casale e il ricordo degli avvocati espulsi

“Una ferita aperta da non dimenticare”

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La targa è di marmo, per sfidare il tempo. “Una riconciliazione” l’ha chiamata il sindaco di Casale Monferrato Federico Riboldi prima di scoprirla nella centralissima via Roma, proprio a fianco della porta che dava l’accesso alla Corte d’Appello locale. Su quel marmo sono incisi i nomi di sette avvocati casalesi che nel giugno del 1939 vennero espulsi dall’ordine per solo fatto di essere ebrei. La cerimonia che si è svolta stamane per ricordarli era stata preannunciata già nel giugno di questo stesso anno, quando la lapide era stata presentata in municipio contestualmente alle iniziative per fare memoria degli avvocati di Vercelli, tribunale da cui oggi dipende anche la giustizia casalese. Ma nel 1939 la magistratura e l’avvocatura casalese erano quelle di una grande città, con due gradi di giudizio. Il provvedimento antisemita, in quella stagione, colpì duramente tanti professionisti e le loro famiglie.
  Numerose le autorità che hanno voluto ricordare quel momento. Lo stesso coordinatore dell’incontro, l’assessore Giovan Battista Filiberti, di professione avvocato, ha ricordato l’emozione nel ritrovare negli archivi del palazzo di giustizia il documento con i nomi dei propri colleghi, così vigliaccamente allontanati dalla loro vita. “Tutto – ha detto il sindaco Riboldi, rivolgendosi anche ai tanti giovani presenti – è nato da una chiacchierata con il presidente della Comunità di Casale ebraica Elio Carmi in cui abbiamo ricordato i tanti professionisti casalesi allontanati dal fascismo in diversi campi. Oggi riconciliamo una ferita aperta, un dramma collettivo che attraverso questi nomi acquista un’identità propria. Ci auguriamo che il silenzio di tanti allora non si ripeta più”.

(moked, 30 novembre 2022)

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Israele arresta diversi sospetti legati agli attentati di Gerusalemme

"Tutti i terroristi coinvolti negli attentati saranno arrestati nei prossimi giorni"

Medici legali raccolgono prove sul luogo di un'esplosione a una fermata di autobus a Gerusalemme
Diversi sospetti in relazione agli attacchi a Gerusalemme sono stati arrestati a Gerusalemme est e in Cisgiordania durante la notte da martedì a mercoledì, secondo le informazioni trasmesse da Ynet.
  Si tratta dei primi arresti nell'ambito delle indagini sul doppio attentato dinamitardo di mercoledì scorso che ha provocato due morti e decine di feriti. Il numero di sospetti arrestati non è noto. A seguito di questi arresti, un funzionario della polizia di frontiera ha assicurato che "tutti i terroristi coinvolti negli attentati saranno arrestati nei prossimi giorni".
  Dopo l'attacco, le ricerche si sono concentrate sull'intelligence, mentre le forze di sicurezza sono state in massima allerta per il timore che la cellula terroristica tenti di compiere un altro attacco nei giorni successivi. Una cellula speciale è stata istituita all'interno dei servizi segreti interni dello Shin Bet per gestire la caccia all'uomo.
  La scorsa settimana sono stati raccolti filmati da dozzine di telecamere di sorveglianza posizionate dentro e intorno a Gerusalemme nel tentativo di tracciare il percorso dei terroristi. I primi elementi dell'indagine indicavano che gli attacchi erano stati pianificati con settimane o addirittura mesi di anticipo. Gli esplosivi utilizzati, sofisticati ma di dimensioni piuttosto ridotte, hanno provocato molti feriti soprattutto a causa dei chiodi e dei bulloni posti all'interno in modo da provocare più danni.

(i24news, 30 novembre 2022 - trad. www.ilvangelo-israele.it)

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Il ministero delle finanze israeliano raccomanda nuove linee guida per i regolamenti sulle criptovalute

Il capo economista del ministero delle finanze israeliano, Shira Greenburg, ha pubblicato un elenco di raccomandazioni per la regolamentazione delle risorse digitali il 28 novembre.
  Ha chiesto un quadro normativo più completo che allinei le piattaforme di trading e gli emittenti di criptovalute, ampliando al contempo i poteri conferiti ai suoi regolatori finanziari.
  Questo elenco di raccomandazioni includeva la costruzione di una nuova infrastruttura normativa, l'introduzione di una legislazione per autorizzare e supervisionare l'emissione di risorse digitali garantite come le stablecoin e l'agevolazione dei servizi finanziari attraverso tali token.
  Le linee guida includevano anche la necessità di una legge che conferisse alla Banca d'Israele il diritto di supervisionare le risorse digitali con stabilità o effetto monetario significativi.
  Inoltre, consentirebbe il pagamento delle tasse sulle criptovalute detenute al di fuori di Israele attraverso la banca centrale. Infine, la proposta creerebbe un comitato interministeriale per vigilare sulla regolamentazione delle organizzazioni autonome decentrate (DAO).
  Greenberg ha anche suggerito che al supervisore dei fornitori di servizi finanziari dovrebbe essere conferita maggiore autorità per supervisionare le regole di licenza e sviluppare un quadro fiscale più completo per l'acquisto e la vendita di risorse digitali. Ha sottolineato l'importanza che i legislatori considerino il concetto di neutralità tecnologica quando emanano regole relative alle risorse digitali.

• Israele non è un paese cripto-centrico?
  I dati suggeriscono che i residenti israeliani hanno rappresentato 21 milioni di transazioni basate su blockchain, il che equivale allo 0.04% di tutte le transazioni crittografiche in tutto il mondo.
  All'inizio di settembre, il regolatore dei mercati del paese ha concesso la sua prima licenza permanente a Hybrid Bridge Holdings per fornire servizi di crittografia. Alla fine di ottobre, la Borsa di Tel Aviv (TASE) ha annunciato che il corpo stava pensando di costruire una piattaforma di trading di asset digitali basata su blockchain.
  Israele, tuttavia, non è un paese grande per le criptovalute poiché si trovava al 111° posto nell'indice globale di adozione delle criptovalute pubblicato di Chainalysis.

(BitcoinErhereumNews.com, 30 novembre 2022)

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Barzelletta antisemita in sinagoga a Genova

Il consiglio regionale stigmatizza il comportamento dell’assessore comunale Rosso. Imbarazzo nel centrodestra. Approvata una mozione presentata dal capogruppo del Pd, Luca Garibaldi. Gran parte del centrodestra si astiene e “condanna” l’assessore dello stesso orientamento politico.

di Mario De Fazio

GENOVA – Il consiglio regionale ligure ha stigmatizzato il comportamento dell'assessore comunale Lorenza Rosso, rispetto alla barzelletta dal contenuto antisemita raccontata in Sinagoga durante la Giornata della cultura ebraica, lo scorso 19 settembre. Una posizione che mette in imbarazzo il centrodestra, che guida la maggioranza in Regione ma di cui, allo stesso tempo, è espressione la giunta comunale guidata dal sindaco Marco Bucci di cui fa parte lo stesso assessore Rosso.
  L'assise regionale ha infatti approvato una mozione presentata dal capogruppo del Pd, Luca Garibaldi, in cui si chiedeva di stigmatizzare il comportamento della Rosso. Tutta l'opposizione ha votato compatta a favore, mentre gran parte del centrodestra si è astenuta, con il voto contrario del presidente Giovanni Toti e del consigliere di Forza Italia, Claudio Muzio, mentre non hanno partecipato al voto i consiglieri Stefano Anzalone e il capogruppo della Lista Toti, Angelo Vaccarezza. Si sono invece astenuti gli altri consiglieri di centrodestra, facendo quindi approvare la mozione del Pd e creando più di un malumore nella fila della stessa maggioranza.

(Il Secolo XIX, 30 novembre 2022)

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San Severino Marche medaglia d’oro per la lotta partigiana

Rav Di Segni: "San Severino luogo di ospitalità e riscatto, il conferimento è un atto molto importante"

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Importante riconoscimento per la Città di San Severino Marche, a cui lunedì è stata conferita la Medaglia d'oro al Merito Civile per aver partecipato alla lotta partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. L’onorificenza è stata consegnata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nelle mani della sindaca Rosa Piermattei. L’emozionante assegnazione della medaglia ha seguito una cerimonia nella quale si sono ricordate le vicende vissute dalla città durante gli anni terribili del conflitto. Alla cerimonia erano presenti i fratelli Elio, Frida e Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma. "Questa città è un luogo di ospitalità e riscatto" ha detto il Rabbino Capo Riccardo Di Segni.
  La famiglia dell’attuale Rabbino Capo di Roma, durante la Guerra, fuggì dalla Capitale e fu successivamente ospitata nella località Serripola, una frazione di San Severino Marche, tra il 1943 e il 1944. Il padre del Rabbino Capo Di Segni, Mosè Di Segni, fu uno dei principali protagonisti della lotta di Liberazione nelle fila del Battaglione Mario, contribuendo in qualità di medico a salvare molte vite. Durante la cerimonia i fratelli Di Segni, già cittadini onorari di San Severino Marche dal 2011, hanno condiviso molte storie, rivolgendosi soprattutto agli studenti presenti in sala. "Il conferimento della medaglia d’oro alla città è un atto molto importante e dispiace solo che sia arrivato così tardi. Ma nel frattempo la città si è impegnata a mantenere il ricordo e a promuovere nuovi importanti studi che hanno fatto luce su aspetti estremamente interessanti delle vicende di quei giorni. Anche la dedica di una strada al nome di mio padre che si rifugiò là e partecipò alla resistenza è un segno molto importante della volontà di mantenere la memoria" ha detto a Shalom il Rabbino Capo di Roma.
  Tra gli ospiti sul palco anche Monsignor Menichelli, compagno di giochi della piccola località di Serripola della famiglia Di Segni. Il Monsignore ha voluto mostrare sul palco la foto di tre bambini assieme. Lo scatto ritrae Menichelli con i fratelli Frida ed Elio Di Segni. “Eravamo come un’unica famiglia perché chi trovò rifugio qui a San Severino Marche si trovò a vivere come nella propria famiglia e nella propria casa” ha raccontato il Monsignore. "Questa onorificenza è un lascito per la città, per il futuro e per i giovani", ha aggiunto invece la sindaca, che durante il suo intervento ha sottolineato l'importante ruolo delle figure femminili durante la lotta partigiana. Anche la Senatrice Liliana Segre, superstite e testimone sempre attiva della Shoah, si è unita al coro delle istituzioni cittadine che hanno elogiato l'onorificenza concessa dal Capo di Stato. “Un caro saluto a tutte le partecipanti e tutti i partecipanti alla cerimonia di conferimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Città di San Severino Marche. Un saluto particolare alla signora sindaco, a tutte le autorità, al rabbino capo di Roma che so presente all’iniziativa. Un pensiero speciale al nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha voluto insignire la Città di tale prestigiosa medaglia. È giusto che la vostra Città e il vostro territorio abbiano ricevuto questo riconoscimento da parte della Repubblica, perché la Resistenza qui e in tutta Italia non fu solo un fatto di minoranze e di formazioni armate, ma senza un retroterra di aiuti, di informazioni, di solidarietà la vittoria contro il nazifascismo sarebbe stata impossibile. E fu la vittoria di tutti gli Italiani” ha sottolineato la Senatrice Liliana Segre.

(Shalom, 30 novembre 2022)

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Israele: polemiche per film giordano 'denigratorio'

TEL AVIV - Un film giordano che sta per essere presentato su Netflix - 'Farha' del regista Darin J. Sallam - e che accusa soldati israeliani di essersi macchiati di crimini di guerra nel 1948 in un villaggio palestinese è al centro di accese polemiche in Israele.
Ha infatti destato scalpore la iniziativa di un teatro arabo di Jaffa (Tel Aviv), 'al-Saraya', di proiettarlo oggi in anteprima. Il ministro della cultura Hili Troper si è detto sorpreso per la decisione del teatro di presentare un'opera "altamente denigratoria" nei confronti di soldati israeliani. "E' una vergogna che una istituzione israeliana si presti a diffondere tali menzogne" ha aggiunto e ha chiesto al ministro delle finanze Avigdor Lieberman di verificare la opportunità di negare in futuro finanziamenti pubblici a quel teatro. Ancora non è noto se queste pressioni avranno effetto su 'al-Saraya'.
Presentato nel 2021 al festival internazionale del cinema di Toronto, 'Farha' narra le drammatiche vicende di una 14.enne palestinese, testimone oculare di brutalità contro i suoi familiari durante una operazione dell'esercito israeliano nel suo villaggio.
Secondo la produzione la storia del film si ispira ad "eventi reali".

(ANSAmed, 30 novembre 2022)

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Israele: questo Hanukkah le sufganiot aumenteranno del 20%

di Michelle Zarfati

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Roladin, famosa catena di panetteria, pasticceria e caffetteria israeliana nota per la vendita di sufganiot (bombe fritte) di ogni genere durante la festività di Hannukkah, ha annunciato che il prezzo delle sufganiot quest’anno aumenterà del 20%.
  La catena ha spiegato che i prezzi stanno aumentando a causa di un incremento a livello di mercato dei costi degli ingredienti e della manodopera, aggiungendo che l'ultimo aumento simile era avvenuto nel 2018.
  Roladin ha spiegato che i prezzi si alzeranno soprattutto per le sufganiot ripiene come quelle con lampone, vaniglia, caramello mou e cioccolato. Lo scorso anno questo genere di dolci venivano venduti a circa 10 shekel (circa 1,82 euro), mentre quest’anno saliranno a 12 (3,37 euro circa), aumentando quindi il loro prezzo del 20%.
  Le ciambelle di Roladin, così come le sue famose sufganiot, sono diventate un simbolo della festività di Hannukah in Israele, rappresentando un punto fermo della catena. I loro aumenti di prezzo si aggiungono a molti altri incrementi nel mercato dei caffè in generale. Anche altri caffè hanno aumentato i loro prezzi nel 2021.
  Secondo Roladin, il prezzo è aumentato a causa dell'aumento del costo degli ingredienti, principalmente del burro, che è passato da 18 a 28 Shekel al kg (dunque dai 5,05 a 7,86 euro). La farina è un altro ingrediente che secondo la catena è aumentato di prezzo tre volte nell'ultimo anno. Un’altra problematica, è legata alla mancanza di manodopera e all’aumento del costo del lavoro che hanno causato una forte inflazione.
  Tuttavia la catena ha spiegato che l’ultimo aumento dei prezzi risaliva a circa quattro anni fa. L’evento, legato alle amate sufganiot, si colloca all’interno di un ben più intricato ingranaggio che vede un’impennata dei prezzi e dello stile di vita in Israele che si è andato a modificare, in tutti gli ambiti, a partire dell’inizio dello scorso anno. Per gli affezionati quindi niente panico, seppur un po’ più care, anche quest’anno le sufganiot non mancheranno.

(Shalom, 29 novembre 2022)

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Una patria comune per ebrei e palestinesi. Il Vaticano abbandona la soluzione dei due Stati

di Sandro Magister

Ancora nel gennaio di quest’anno, parlando di Israele e di Palestina al corpo diplomatico, papa Francesco diceva di voler “vedere questi due popoli arrivare a vivere in due Stati fianco a fianco, in pace e sicurezza”.
  Ma oggi non lo ripeterebbe più. Perché nei giorni scorsi, per la prima volta dopo molti decenni di costante adesione alla soluzione dei due Stati, la Santa Sede ha detto che è giunta l’ora di “ripensare la ripartizione”. E di puntare piuttosto a “l’uguaglianza di israeliani e palestinesi in qualunque quadro politico possa evolversi la situazione”, anche in un solo Stato.
  A segnare la svolta è stata “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma pubblicata con l’autorizzazione previa, riga per riga, del papa e della segreteria di Stato, in un articolo in data 19 novembre col titolo: “Ripensare la ripartizione della Palestina?”.
  L’autore dell’articolo è un gesuita dal profilo molto singolare, David M. Neuhaus, di famiglia ebrea tedesca emigrata in Sudafrica negli anni Trenta, nato a Johannesburg nel 1962, mandato in Israele da adolescente a studiare e lì affascinato dall’incontro con monache venute dalla Russia, battezzato a 25 anni nella Chiesa cattolica e poi entrato nella Compagnia di Gesù, prima negli Stati Uniti e poi in Egitto, ma sempre rimasto ebreo e israeliano, anzi, dal 2009 al 2017 vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica in Israele, nonché professore al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme.
  L’articolo di Neuhaus comincia col ricordare quando e come nacque l’idea dei due Stati:

    “Settantacinque anni fa, il 29 novembre 1947, le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 181, che divideva la Palestina in due Stati: uno ebraico e l’altro arabo-palestinese. Lo Stato israeliano è entrato a far parte dell’ONU nel maggio 1949. Invece, non esiste ancora uno Stato pienamente membro della Palestina, sebbene, a distanza di 65 anni dall’approvazione della Risoluzione 181, il 29 novembre 2012, l’ONU abbia accordato alla Palestina la condizione di ‘Stato osservatore non membro’, ovvero una posizione che essa condivide soltanto con la Santa Sede”.

Trent’anni prima, nel 1917, la Santa Sede aveva espresso contrarietà alle parole del ministro degli esteri britannico, Lord Arthur Balfour, a favore di “un focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, pur nel rispetto dei “diritti civili e religiosi delle comunità non ebree” lì presenti. Ma nel 1947 essa approvò l’idea della ripartizione, e ancor più volentieri quella di un controllo delle Nazioni Unite su Gerusalemme e dintorni, come un “corpus separatum” in attesa di una futura sistemazione negoziale.
  I due Stati, però, non nacquero, e nemmeno lo statuto speciale per Gerusalemme. Gli arabi rifiutarono la ripartizione e fu guerra, vinta da Israele che si aggiudicò il 78 per cento del territorio conteso. All’epoca, la popolazione complessiva era di circa 1.845.000 residenti: 608.000 ebrei e 1.237.000 arabi. Di questi ultimi, circa 700.000 si videro costretti a lasciare il territorio occupato da Israele e chiamarono Nakba, catastrofe, questo loro esodo forzato.
  Ebbene, Neuhaus collega la Nakba alla Shoah, lo sterminio degli ebrei, ed è proprio sull’onda di questo ragionamento che arriva ad avanzare dubbi sulla soluzione dei due Stati:

    “Molti insistono sul fatto che la Shoah non sia paragonabile ad altri eventi, e qui non intendiamo fare confronti. […] Tuttavia il piano di ripartizione, progettando una patria per gli ebrei sulla scia della Shoah con la speranza di fare spazio anche a una patria araba palestinese, mise in moto la Nakba. Fu una conseguenza necessaria? Il dibattito accademico, politico e speculativo che vorrebbe rispondere al quesito non cambia la realtà derivante da quegli eventi: l’istituzione di uno Stato definito ebraico ha portato a relegare i palestinesi ai margini della storia. […] La decisione di ripartire la Palestina, ‘due Stati per due popoli’, si basa appunto sulla convinzione post-Shoah che il popolo ebraico abbia bisogno di una patria sicura e che ciò non dovrebbe significare che i palestinesi perdano la loro. Ma la sicurezza ebraica può essere compaginata con la giustizia palestinese? Oggi la soluzione dei due Stati è ancora attuale?”.

A quest’ultima domanda Neuhaus risponde no. Perché “se si osserva la realtà sul campo dopo decenni di invasione israeliana delle terre ulteriormente occupate nella guerra del 1967, con l’incessante costruzione di insediamenti ebraici, di strade israeliane e di altre infrastrutture, la soluzione dei due Stati oggi sembra poco realistica”.
  Anzi, prosegue Neuhaus, c’è di più e di peggio: “A partire dal 2004, alcuni hanno sostenuto che il concetto appropriato per definire la situazione attuale è quello dell’apartheid. Negli ultimi anni, l’accusa che Israele utilizzi un sistema di apartheid per dominare i palestinesi è stata persino allargata dai territori occupati allo stesso Stato di Israele e al suo controllo sui cittadini arabi palestinesi di Israele”.
  A sostegno di questa accusa di “apartheid”, Neuhaus cita una dichiarazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, riunito a Karlsruhe, in Germania, nel settembre del 2022, pur non condivisa da alcuni membri dello stesso Consiglio.
  La conseguenza che Neuhaus deriva da questo stato di cose è che in campo politico e diplomatico “l’attenzione si stia lentamente spostando verso un mutato vocabolario”, la cui parola chiave è “uguaglianza”.
  Anche la demografia, a suo giudizio, spinge in questa direzione: “oggi in questi luoghi vivono fianco a fianco sette milioni di ebrei israeliani e sette milioni di arabi palestinesi”, due milioni dei quali risiedono in Israele, circa un quarto della popolazione, e “chiedono uguali diritti esprimendo al tempo stesso una crescente delusione nei confronti del processo politico in atto nel Paese”. Quindi “la lotta per l’uguaglianza tra ebrei israeliani e arabi palestinesi fa parte integrante del tentativo di risolvere il conflitto in corso”.
  Insomma, “poiché l’eventualità della ripartizione – in una realtà in cui Israele ha quasi annesso gran parte dei territori occupati durante la guerra del 1967 – sembra ogni giorno più dubbia, questo potrebbe essere il momento giusto per rafforzare la coscienza della necessità di una lotta per l’uguaglianza di israeliani e palestinesi, in qualunque quadro politico possa evolversi la situazione”.
  Già nel 2019, fa notare Neuhaus, i vescovi cattolici di Terra Santa si erano detti scettici sulla soluzione dei due Stati, e invece convinti che l’uguaglianza dei diritti fosse la soluzione giusta: “Nel passato abbiamo vissuto insieme in questa terra, perché non potremmo viverci insieme anche in futuro? Questa è la nostra visione per Gerusalemme e per tutto il territorio chiamato Israele e Palestina, che è posto tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo”.
  E anche il sentire maggioritario dei cittadini dei due popoli si è già discostato dalla prospettiva dei due Stati, scrive Neuhaus. “In un sondaggio del settembre 2022 dell’Israel Democracy Institute, solo il 32 per cento degli ebrei israeliani si è detto favorevole a tale soluzione. E secondo un sondaggio condotto nell’ottobre 2022 dal Palestinien Center for Policy and Survey Research, l’appoggiava solo il 37 per cento dei palestinesi presenti in Palestina”.
  E i cristiani che risiedono nella regione? A loro riguardo, l’ultimo rapporto di “Aiuto alla Chiesa che soffre” tratteggia un quadro statistico a due facce.
  In Israele e in Palestina insieme, dove gli ebrei sono il 49 per cento e i musulmani il 43,5 per cento, i cristiani sono oggi l’1,5 per cento dell’intera popolazione, in cifre assolute 217.000, dei quali un po’ più della metà greco-cattolici melchiti.
  Ma mentre in Israele i cristiani sono 182.000, il 2,6 per cento, un punto e mezzo in più dell’anno precedente, in Palestina sono calati a picco, dal 18 per cento del 1948 all’1 per cento di oggi. E questo loro esodo non sembra aver fine.

(L'Espresso, 29 novembre 2022)

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L'articolo è costruito su un insieme di contraffazioni della verità e presenta l'ultima proposta curiale per raggiungere l'obiettivo sempre perseguito dal Vaticano: la fine dello Stato ebraico. La cosa non sorprende: che gli ebrei possano avere uno stato proprio è teologicamente inaccettabile da quell'istituzione politico-religiosa che si chiama Chiesa Cattolica. M.C.

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Perfezionata la fusione tra Leonardo DRS e RADA

Leonardo comunica il perfezionamento dell’operazione di fusione tra la controllata statunitense Leonardo DRS, Inc. e la società israeliana RADA Electronic Industries Ltd. , con automatica quotazione di Leonardo DRS. Come annunciato in precedenza, Leonardo continuerà a mantenere la quota dell’80,5% di Leonardo DRS, attraverso la controllata statunitense Leonardo US Holding, mentre agli azionisti attuali di RADA verrà assegnato il rimanente 19,5%.
  Le azioni di Leonardo DRS saranno quotate al NASDAQ e alla Borsa di Tel Aviv (“TASE”) con il simbolo “DRS” a partire dall’apertura delle negoziazioni del NASDAQ il 29 novembre 2022 e del TASE il 30 novembre 2022. La fusione è perfettamente allineata agli obiettivi strategici, commerciali e finanziari di Leonardo, consentendo al Gruppo di raggiugere un posizionamento unico nel segmento dei radar di superficie grazie alla sinergia derivante dal proprio portafoglio prodotti unitamente a quello di RADA, di Hensoldt e di GEM.
  L’operazione garantirà inoltre a Leonardo una presenza domestica stabile nel contesto industriale israeliano, supportando lo sviluppo del mercato internazionale di Leonardo, e consentendo allo stesso tempo a RADA di accedere a opportunità nei mercati e programmi europei ed export, facendo leva sulla presenza globale di Leonardo. L’operazione consentirà inoltre di trarre i benefici derivanti dalla quotazione di Leonardo DRS.
  Alessandro Profumo, CEO di Leonardo, ha commentato “Abbiamo finalizzato il processo di fusione tra Leonardo DRS e di RADA, un’importante mossa strategica di Leonardo in un segmento in rapida crescita del mercato della difesa di oggi e di domani, rappresentato dalla Force Protection. C’è un ottimo livello di complementarità tra la nostra controllata statunitense Leonardo DRS, RADA e il resto del Gruppo Leonardo che genererà crescita, espansione dei margini e ulteriori opportunità per il Gruppo. Con questa operazione stiamo anche cogliendo l’opportunità di quotare DRS nell’attuale contesto di volatilità dei mercati, realizzando così quanto prospettato lo scorso anno”.
  Negli ultimi anni, Leonardo ha rafforzato il posizionamento competitivo di Leonardo DRS, mantenendo le promesse, focalizzandola sul proprio core business, attraverso la cessione di GES e AAC, e facendo ora un significativo passo avanti strategico attraverso la combinazione con RADA, aggiungendo un solido business nelle soluzioni di difesa attive.
  “Ci prepariamo a portare sul mercato la presenza mid-tier di Leonardo DRS rafforzata dalle soluzioni di radar tattici di RADA”, ha affermato William J. Lynn III, Presidente e CEO di Leonardo DRS.
  “L’ampia esposizione di Leonardo DRS ai segmenti in rapida crescita nel mercato della difesa e le posizioni di leader di mercato nella sensoristica avanzata, nella force protection, nel network computing, nella generazione e propulsione elettrica ci rendono un fornitore della difesa unico con prospettive di crescita importanti, capacità di espansione dei margini e stato patrimoniale e posizione finanziaria solidi.

(Analisi Difesa, 29 novembre 2022)

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Esponente di Fatah: Non riconosciamo Israele, gli accordi sono solo un passo nella lotta per la sua cancellazione

Intanto il terrorista di Hamas esorta i palestinesi di Cisgiordania a imparare ad usare tutte le armi per uccidere quanti più israeliani possibile.

Sirhan Yousef, capo delle relazioni politiche di Fatah (il movimento che fa capo ad Abu Mazen), ha dichiarato alla tv iraniana in lingua araba Al-Alam che l’ala militare di Fatah, l’ala militare di Hamas, la Jihad Islamica Palestinese e il nuovo gruppo terrorista “Fossa dei leoni” sono tutti uniti nella determinazione di continuare l’attività militare contro Israele. Yousef ha spiegato che Fatah ha sempre sostenuto sin dalla sua nascita che l’unico modo per liberare la Palestina è la lotta armata in ogni sua forma, che ogni israeliano è considerato un nemico, che Fatah non riconosce lo Stato d’Israele e che gli accordi firmati con Israele sono solo un passo verso la “liberazione” di tutti i 27mila kmq della Palestina....

(israele.net, 29 novembre 2022)

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Israele e Usa: tengono un’esercitazione aerea congiunta che simula l’attacco agli impianti nucleari dell’Iran

L’esercitazione, una delle più grandi esercitazioni dell’aeronautica israeliana degli ultimi anni, includerà voli a lungo raggio come quelli che i piloti israeliani potrebbero dover effettuare per raggiungere l’Iran.

dal Jerusalem Post

L’aeronautica israeliana questa settimana terrà una delle sue più grandi esercitazioni da anni con l’aeronautica degli Stati Uniti simulando attacchi offensivi contro il programma nucleare iraniano .
  L’esercitazione si svolgerà da martedì a giovedì sul Mar Mediterraneo e su Israele. Comprenderà voli a lungo raggio come quelli che potrebbero essere necessari ai piloti israeliani per raggiungere la Repubblica islamica.
  L’esercitazione includerà rifornitori di carburante e aerei da combattimento di entrambe le forze.
  Washington e Israele hanno firmato un accordo che vedrebbe gli Stati Uniti venire ad assistere Israele con la difesa missilistica in tempo di guerra, e le due forze armate hanno tenuto numerose esercitazioni congiunte di difesa aerea negli ultimi anni.

• Resta alta la tensione tra Israele e Iran
  L’Iran, che possiede oltre 1.000 missili balistici a corto e medio raggio, continua a contrabbandare armi a paesi e attori non statali come Hezbollah, che si stima abbia un arsenale di circa 50.000 missili sul confine settentrionale di Israele.
  Con le tensioni elevate sul programma nucleare iraniano e l’ostilità regionale, Israele e la Repubblica islamica si sono minacciate a vicenda con alti ufficiali affermando che i loro militari sono in grado di colpirsi a vicenda.
  Israele ha aumentato in modo significativo il suo livello di prontezza e ha adottato misure durante lo scorso anno per preparare un’opzione militare credibile contro gli impianti nucleari iraniani.
  L’imminente esercitazione è stata discussa dal capo di stato maggiore dell’IDF, tenente gen. Aviv Kohavi durante la sua visita a Washington la scorsa settimana. Kohavi, che è tornato in Israele un giorno prima del previsto a seguito di un mortale doppio bombardamento a Gerusalemme, ha incontrato alti funzionari americani tra cui il presidente del Joint Chiefs of Staff, il generale Mark Milley, e il comandante del CENTCOM, il generale Michael Kurilla.
  Nell’ultimo anno, le forze dell’IDF e del CENTCOM hanno tenuto diverse esercitazioni congiunte e missioni operative.
  Kurilla era in Israele una settimana prima della visita di Kohavi e ha visitato il confine settentrionale e la flotta di caccia stealth F-35 Adir dell’IDF
  “Stiamo operando insieme su tutti i fronti per raccogliere informazioni, neutralizzare le minacce e prepararci a vari scenari in una o più arene”, ha detto Kohavi durante la visita di Kurilla, aggiungendo che i due Paesi stanno “sviluppando capacità militari congiunte a un ritmo accelerato”. contro l’Iran e altre minacce in Medio Oriente.
  Il ministro della Difesa uscente Benny Gantz ha detto ai giornalisti all’inizio del mese che mentre Israele ha la capacità di colpire gli impianti nucleari iraniani , il primo ministro designato Benjamin Netanyahu deve considerare la questione “con attenzione” prima di dare l’ordine.
  “Israele ha la capacità di agire in Iran. Abbiamo la prontezza, le capacità di sviluppo e i piani a lungo termine che stiamo gestendo. Dobbiamo  prepararci a questa possibilità e dovremo anche considerare molto attentamente questo problema prima di portarlo a termine “, ha affermato.

“Israele ha la capacità di agire in Iran. Abbiamo la prontezza, le capacità di sviluppo e i piani a lungo termine che stiamo gestendo. Dobbiamo prepararci a questa possibilità e dovremo anche considerare molto attentamente questo problema prima di portarlo a termine”.

Secondo Gantz, l’opzione di colpire l’Iran “dovrebbe essere preparata e anche questo problema dovrebbe essere considerato con molta attenzione prima dell’attuazione”.
  L’ex ufficiale dei servizi segreti militari dell’esercito sionista Mordechai Kedar, esperto del mondo arabo e dei movimenti islamici, in un’intervista all’emittente israeliana Canale 14:
“Non esiste la “nazione iraniana”. Dietro di me vi è la bandiera del movimento secessionista di Ahvaz (Iran meridionale). Dobbiamo armare, addestrare e finanziare tutte le minoranze che vogliono l’indipendenza. Questo è ciò che dividerà il paese. La caduta dell’Iran è esattamente ciò che è nei nostri interessi…”

(maurizioblondet.it, 29 novembre 2022)

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Kosher ai Mondiali del Qatar? Oggi si può

di Michelle Zarfati

Il capo della comunità ebraica ashkenazita in Turchia e capo dell'Alleanza dei rabbini negli Stati islamici, il rabbino Mendi Chitrik, ha parlato con il notiziario israeliano Arutz Sheva - Israel National News- dell’iniziativa di distribuire cibo kosher ai tifosi ebrei ai Mondiali del 2022 in Qatar. Chitrik ha detto di essere entusiasta della prospettiva di aiutare gli ebrei che potrebbero avere delle difficoltà a trovare cibo kosher in un luogo come il Qatar.
  "Le autorità locali non stanno solo collaborando con noi, ma stanno facendo di tutto per rendere le cose semplici", ha detto Chitrik, il cui progetto offre ai fan ebrei più di 100 bagel sandwich al giorno insieme a oltre 300 challot durante lo Shabbat. “È importante che gli ebrei sappiano che sono liberi di rispettare la loro reclusione ovunque si trovino", ha aggiunto il rabbino.
  Il rabbino Chitrik ha inoltre smentito le notizie secondo cui il Qatar non aveva inizialmente consentito la distribuzione di cibo kosher. "Mio figlio era in cucina quando ha sentito la notizia. Eravamo confusi, perché non abbiamo avuto nessun problema con le autorità del Qatar- ha aggiunto il rabbino - Questo è un passo storico per noi, e se posso dire in questo senso, gli Accordi di Abramo sono molto importanti. Hanno influenzato molti giovani. Le differenze politiche non dovrebbero impedire agli ebrei di vivere una vita ebraica nei paesi arabi”.
  Il rabbino ha sottolineato più volte che “ la persecuzione religiosa subita dagli ebrei nel mondo islamico” non esiste realmente. “Siamo felici di vivere in questa parte del mondo in pace con i nostri vicini” ha concluso il rabbino.

(Shalom, 28 novembre 2022)

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«“...la persecuzione religiosa subita dagli ebrei nel mondo islamico" non esiste realmente», ma è proprio così? Si può davvero credere alle parole del rabbino turco? "Per lo più incontriamo odio - fanno sapere i giornalisti israeliani dal Qatar", titola il giornale israeliano ynet .

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Giornata dei profughi ebrei dei Paesi arabi, II Convegno internazionale

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In occasione della Giornata dei Profughi Ebrei dei Paesi Arabi, l’Associazione Salvaguardia Trasmissione Retaggio Ebrei di Libia (ASTREL) invita a partecipare al II Convegno Internazionale ‘Dalla sofferenza alla gioia’. Due i giorni dedicati al convegno nella città diRoma (29-30 novembre) e uno quello che si svolgerà a Milano il prossimo 1 dicembre (qui il programma in pdf). A introdurre e coordinare tutte e tre le giornate, il presidente ASTREL David Gerbi.
  A dare il via al convegno domani, alle ore 11, le testimonianze degli ebrei di Libia presso le Scuole ebraiche di Roma. Poi, alle 19.30 presso il Beth El di via Padova, nuove testimonianze degli ospiti presenti, ma anche la proiezione di fotografie del cimitero di Tripoli prima e dopo la distruzione. Mercoledì 30 novembre, quindi, presso il Cimitero israelitico di Prima Porta e alla presenza, tra gli altri, del Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, delle presidenti Ucei e Cer, Noemi Di Segni e Ruth Dureghello, di un rappresentante dell’ambasciata di Israele e del senatore Giulio Terzi, avrà luogo lo scoprimento del Maghen David, della scritta e delle 16 lapidi in memoria dei defunti. Infine, alle 20, cena tripolina di beneficenza.
  Interventi, testimonianze degli ospiti e cena a base di piatti libici tradizionali anche nella giornata milanese organizzata da ASTREL giovedì 1 dicembre alle 19.00 presso il centro Noam di via Montecuccoli 27. Oltre al presidente ASTREL Gerbi, sarà presente il Rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, il presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi e David Nassimiha, presidente Noam. Presenti e collegati in streaming anche ebrei di Libia provenienti da Milano, Livorno, Israele, Uk e Usa.

(Sbircia la Notizia Magazine, 28 novembre 2022)

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«Non decide lo Stato come devo curarmi»

Intervista a Alberto Giubilini. Lo studioso di bioetica: «Si vuole istituzionalizzare una misura di emergenza. Il sistema sanitario pubblico rischia di scomparire. Se la salute sarà garantita dalla tecnologia aumenteranno le disparità. E’ giusto proteggersi ma senza togliere diritti individuali».

di Maddalena Loy

«Se questa è la situazione, non chiamiamolo più "sistema sanitario pubblico": è una perversione etica», Alberto Giubilini è senior research fellow allo Uehiro centre for practical ethics della facoltà di filosofia dell'università di Oxford. Ha lavorato per anni su questioni di bioetica ed etica della salute pubblica in Australia e in Inghilterra. Ha scritto il libro The ethics of vaccination e collabora con scienziati come Sunetra Gupta (prima firmataria della Great Barrington declaration) e Cari Heneghan, epidemiologo e direttore del centro di Evidence based medicine a Oxford. Con lui analizziamo i risvolti etici del nuovo paradigma sanitario che si sta profilando, la vaccinazione di tutti i sani e green pass per accedere ai diritti di base. 

- Cosa non le torna? 
  «Se è questa la direzione, si sta adottando una misura istituita in una situazione di emergenza, in un momento in cui l'emergenza non c'è». 

- Gli esperti però dicono che siamo in «permacrisi»: si parla di «perennizzazione della crisi sanitaria», che tutto giustificherebbe. 
  «L'emergenza è per definizione una situazione limitata nel tempo, non si può assumere che sia perenne: è un ossimoro. C'è inoltre l'aggravante che se si adottano queste misure a livello preventivo, sarà difficile porre un limite. Senza contare che l'accesso non è garantito a tutti: la dipendenza dalla tecnologia rischia di compromettere diritti fondamentali. Non tutti hanno accesso agli strumenti tecnologici per accedere al green pass globale». 

- Si parla anche di strumenti «non digitali», che condizionerebbero comunque il diritto di circolazione. 
  «E questa è la seconda criticità: se il green pass viene usato per limitare i diritti, è una perversione etica, una deriva pericolosa. I diritti fondamentali devono essere il punto di partenza, non il punto di arrivo; la base, non una concessione». 

- Durante la pandemia si diceva che chi non era vaccinato occupava inopportunamente un posto in ospedale. 
  «Affinché il sistema sanitario possa definirsi pubblico, tutti devono aver diritto ad accedervi. Se iniziamo a dire che alcune persone non lo meritano, il concetto di servizio pubblico perde significato». 

- ln pandemia, molti hanno lamentato che lo Stato sia intervenuto in maniera pervasiva sulle scelte individuali delle persone. 
  «È così, è una novità e ha aperto la strada a precedenti prima inimmaginabili. Fino a oggi, ad esempio, lo Stato ci diceva "il fumo fa male", ma ognuno di noi è stato libero di fumare anche cinque pacchetti di sigarette al giorno. Beh, in Nuova Zelanda è stata approvata una nuova policy per cui dal 2026 chi diventa maggiorenne non potrà fumare. Il tabacco sarà illegale». 

- Incredibile. 
  «Sembra sorprendente, ma bisogna pensare al contesto in cui ciò accade: è il contesto della pandemia, in cui lo Stato ha iniziato a porre restrizioni sulle scelte individuali delle persone. E’ quasi scontato che poi si arrivi a queste situazioni estreme». 

- Vale soltanto per il fumo? 
  «No, riguarda il nostro stile di vita. Lo Stato si sente autorizzato a "contenerlo" in nome dell'emergenza: prima era il vaccino per il Covid, ora le sigarette, domani chissà. Nel Regno Unito, le bevande gassate sono tassate attraverso la sugar tax: è un'opzione, migliore dell'obbligo, anche se più onerosa per il cittadino. Le policy ambientaliste sono uguali. Qui nel City Council di Oxford stanno pensando di introdurre una policy per cui chi usa l'auto più di tot volte a settimana, paga 70 sterline in più. Avranno gioco facile, visto il trend. I legislatori sostengono di farlo "per la salute pubblica”». 

- E se qualcuno, ad esempio, avesse necessità di usare la macchina per assistere un malato? 
  «Vede la deriva? È un problema etico e politico, Dov'è la libertà individuale? E una questione di democrazia. Se iniziamo a fare discorsi di questo genere, cominciamo a togliere diritti un po' troppo facilmente alle persone. Bisogna tenere i diritti in equilibrio». 

- Chi decide qual è l'emergenza? 
  «Altra questione che lascia perplessi. Lo Stato può decidere in modo non democratico chi è esperto e chi no? Sembra che lo Stato sia diventato un circolo di esperti. Ma in cosa? Epidemiologia o salute pubblica? Salute mentale o diritti? C'è un problema di scelte arbitrarie, e ciò aumenta il rischio di abusi, perché gli esperti oltretutto non costituiscono blocco unico. La comunità scientifica si è divisa, in pandemia». 

- Eccome, nonostante le istituzioni dicessero il contrario. 
  «Il rischio di abuso è dietro l'angolo. Chi decide fino a che punto io debba prendermi cura di me stesso? La cura di sé stessi è per definizione una responsabilità individuale. Se lo Stato mi promette servizi a patto che io mi prenda cura di me stesso, chi decide quale sia la "cura sufficiente" per meritarsi l'accesso al sistema sanitario pubblico? Lo Stato esiste nella misura in cui fa gli interessi dei cittadini, tutti». 

- In che modo? 
  «Proteggendo la salute ma proteggendo anche i diritti individuali: bisogna avere equilibrio». 

- Diritto alla salute e diritto alla libertà, se ne è parlato molto durante il Covid. 
  «Dipende da cosa i cittadini si aspettano dallo Stato. Io, ad esempio, voglio vivere in uno Stato che rispetti le mie libertà fondamentali, qualcun altro vuole vivere in uno Stato che tuteli la sua salute: è un problema di democrazia, in realtà». 

- Non esistono diritti tiranni, aveva detto nel 2020 l'ex presidente della Corte costituzionale Giancarlo Coraggio.
  «È un principio che condivido. Chi decide che il valore del diritto alla salute è più importante di tutti gli altri diritti? In base a cosa? I cosiddetti "esperti" che sostengono questo punto di vista non sono esperti di etica o politica». 

- Gli esperti pensano di tutelare la salute attraverso terapie preventive mRna. 
  «Guardi, il punto non è se mRna funzioni o no. Il punto è: anche se la scienza mi dice che funziona e me la consiglia, ho il diritto di dire che non la voglio usare? Se lo Stato mi dice "te la offro (o impongo) anche se non la vuoi", il problema diventa politico ed etico». 

- Bisognerebbe aprire un dibattito civile con la popolazione? O il mandato elettorale consente allo Stato libertà di azione? 
  «L'esito elettorale dovrebbe riflettere le aspettative dei cittadini, ma su temi come questi sarebbe meglio ascoltare tutta la popolazione e usare tutti gli strumenti democratici a disposizione, a_ cominciare dai referendum. E una questione di diritti civili. L'accesso al servizio sanitario pubblico è un diritto civile, l'idea che sia lo Stato a decidere se e come devo curarmi è un problema. Durante la pandemia non è mai stato chiaro fino a che punto le misure introdotte fossero supportate dalla popolazione. Serve un dibattito civile, bisogna che chi ha il potere di decidere ascolti». 

(La Verità, 28 novembre 2022)

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Coscienza ingannata

L'uomo di coscienza lotta da solo contro le forze preponderanti di situazioni ineludibili che richiedono una decisione. Ma è schiacciato dalla vastità dei conflitti in cui deve prender posizione, sostenuto e consigliato soltanto dalla propria coscienza. Gli infiniti travestimenti in cui il male gli si presenta, tutti onorevoli e seducenti, lo rendono ansioso e incerto, finché in ultimo si contenta di salvare la coscienza anziché avere una coscienza limpida, e mente alla propria coscienza pur di non cadere nella disperazione; infatti l'uomo che ha come unico appoggio la propria coscienza non riuscirà mai a capire che è più sana e più robusta una cattiva coscienza che una coscienza ingannata.
Dietrich Bonhoeffer

 
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Scoperta antica maledizione nelle catacombe di Gerusalemme

Un terribile avvertimento è stato scoperto in una tomba a Beit She’arim. 

di Lucia Petrone

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Un’antica maledizione dipinta è stata scoperta in una tomba a Beit She’arim. Rappresentando la prima scoperta del genere in 65 anni, il logoro testo greco avverte i ladri che Yaakov (Giacobbe) “il Proselito” li maledirà. Yaakov visse circa 1.800 anni fa. Il suo titolo, “il Proselito”, significa che si convertì al giudaismo. Dopo essere morto intorno ai 60 anni, Giacobbe fu sepolto in una grotta a Beit She’arim, l’antica città e necropoli ebraica della Bassa Galilea durante il periodo romano. L’area simile a un parco intorno alla necropoli si trova a circa 100 chilometri o 62 miglia a nord-ovest di Tel Aviv ed è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO dal 2015.
  Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 dC, il consiglio ebraico del Sinedrio si trasferì a Beit She’arim, che divenne il nuovo centro ebraico di istruzione e apprendimento. Gli archeologi dell’Israel Antiquities Authority ( IAA ) e dell’Università di Haifa hanno rivelato mercoledì che la maledizione è stata trovata dipinta in una catacomba nella necropoli di Beit She’arim.Secondo un rapporto di Haaretz , è stato Jonathan Price, professore di storia antica all’Università di Tel Aviv, a scoprire le due iscrizioni greche all’interno della camera più interna di una tomba inesplorata. La maledizione dipinta, o maledizione, era scritta in greco, con vernice rossa, su un muro vicino alla loggia funeraria. È stato specificamente progettato per scoraggiare i ladri di tombe e come tale dice: “Giacobbe il Proselito giura di maledire chiunque voglia aprire questa tomba, quindi nessuno la aprirà. Aveva 60 anni”.I ricercatori sospettano che la sua età, 60 anni, sia stata scritta da qualcuno dopo la morte di Jacob. Il prof. Adi Erlich dello Zinman Institute of Archaeology dell’Università di Haifa , che guida gli scavi a Beit She’arim, ha affermato che l’iscrizione risale al periodo tardo romano o primo bizantino (cioè circa 390-400 dC). Il Prof. Erlich spiega anche che Jacob, o Yaakov il Proselito, era probabilmente un cristiano , o era appartenuto a uno dei culti popolari di Iside o Mitra.

(Scienze Notizie, 28 novembre 2022)

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Nuove opportunità di viaggio per chi vuole scoprire il Mar Rosso israeliano

Nuove opportunità di viaggio per gli italiani desiderosi di scoprire il Mar Rosso Israeliano e prolungare l’estate…. nel deserto del Negev: dove l’inverno non esiste. Wizz Air ha annunciato una nuova importante espansione del suo network con la nuovissima rotta dall’Italia per Israele, coinvolgendo per la prima volta in una rotta diretta gli aeroporto di Roma Fiumicino e il nuovissimo aeroporto di Ramon di Eilat. “Un grande impegno da parte del nostro Ministero del Turismo in accordo con la Municipalità di Eilat per offrire questa straordinaria opportunità ai turisti italiani. Eilat è la porta più immediata per scoprire il deserto, il Mar Morto e per trascorrere una vacanza al caldo sole dell’inverno israeliano” ha dichiarato Kalanit Goren, direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo.
  Collocata sulle rive del Mar Rosso, Eilat è una meta turistica in ascesa e sempre più apprezzata dai passeggeri più giovani e dalle famiglie, capace di soddisfare le esigenze degli appassionati di sport acquatici e non e anche quelle di passeggeri alla ricerca di un po’ di relax da assaporare sulle sue spiagge bianchissime. Molti gli eventi in programmazione nei prossimi mesi, significativi per una scelta di un turismo alla ricerca di sempre nuove esperienze. A testimonianza dell’importanza della crescita dell’area del sud del Paese, la realizzazione di un nuovo resort “Midbar” – in ebraico deserto – , frutto di un investimento di oltre 200 milioni di Nis ( ca 60 milioni di Euro ndr) che sarà aperto nel prossimo 2025.

(La Prima Pagina, 28 novembre 2022)

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Miriam, un personaggio profetico (6)

di Gabriele Monacis

Il genere letterario della poesia caratterizza il libro dei Salmi. Tuttavia, pur non essendoci in esso una vera e propria narrazione, di alcuni componimenti è possibile conoscere il contesto narrativo in cui sono stati scritti, grazie alla sovraiscrizione che si trova all’inizio del salmo; quella che in molte versioni della Bibbia in italiano è riportata in corsivo, per differenziarla da ciò che la segue. Tale sovraiscrizione viene comunemente ed erroneamente trattata come un’aggiunta e non come parte integrante del salmo. Tant’è che non è compresa nella ripartizione in versetti. Nell’originale ebraico però, va precisato, la sovraiscrizione, quando c’è, è il primo versetto del salmo, ed è da considerarsi Parola di Dio alla stessa stregua di ciò che segue.
  La sovraiscrizione del salmo 51, per esempio, chiarisce al lettore la circostanza in cui il suo autore lo scrisse: “Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui, dopo che Davide era stato da Bat-Sceba”. Se questa sovraiscrizione non ci fosse, lo slancio dell’intero salmo perderebbe molto del suo vigore. Il contesto narrativo contenuto nella sovraiscrizione garantisce un appoggio indispensabile alle parole che Davide rivolge al Signore nel resto del salmo, proprio come i blocchi di partenza per un centometrista quando scatta alla partenza.
  Il contesto narrativo del salmo 51 riporta il lettore alla storia narrata nei capitoli 11 e 12 di 2 Samuele. Attraverso le parole del profeta Natan, il re Davide viene a sapere che il Signore era profondamente contrariato per il peccato che egli aveva commesso unendosi a Bat Sceba, moglie di Uria; il quale, per giunta, fu messo in condizione di morire in battaglia per ordine del re. Dopo l’incontro con il profeta, Davide non ci mise molto a capire che gli effetti di quel peccato sarebbero stati devastanti, per se stesso e per tutti quelli che lo circondavano. Ma da questo salmo risulta una cosa: ciò che attanagliava maggiormente Davide, e che poi lo spinse a scrivere questo salmo, era sapere che la relazione che aveva con il Signore si era incrinata. Davide sapeva che, in quella condizione di peccato, l’accesso alla presenza del Signore gli era precluso, come un suddito ribelle non può essere benvenuto alla presenza del suo re. Nel versetto 11, infatti, Davide dice al Signore: “Non respingermi dalla tua presenza”. Aggravato dal proprio peccato, ma consapevole di rivolgersi a un Dio misericordioso che non respinge un cuore profondamente umiliato e afflitto, Davide chiede al Signore di purificarlo da ciò che ha commesso, di riammetterlo alla Sua presenza affinché possa goderne e gioire di nuovo. Nel versetto 8 Davide sembra esclamare: “Fammi udire gioia e allegrezza, e quelle ossa che hai spezzate esulteranno”. Attraverso quest’ultima immagine, che richiamano alla mente le percosse e il supplizio, Davide sta praticamente chiedendo al Signore di far rivivere un morto.
  Nel versetto 7, Davide allude alla malattia della lebbra: “Purificami con l'issopo, e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve”. Davide vede se stesso come un lebbroso che ha bisogno di essere purificato e proprio il racconto di Numeri 12, quello in cui Miriam diventò lebbrosa dopo aver parlato contro Mosè, potrebbe essere stato l’oggetto delle sue riflessioni. Rivedendosi in Miriam, allontanata dalla presenza di Dio a motivo della lebbra, Davide chiede al Signore di essere purificato con l’issopo, una pianta che veniva usata per purificare i lebbrosi, insieme con due uccelli vivi e puri, del legno di cedro e dello scarlatto (Levitico 14:4). Una volta purificato e bianco più della neve, Davide sa che sarebbe stato riammesso alla presenza del Signore. Il riferimento al bianco riporta la mente al colore della pelle di Miriam lebbrosa. In modo piuttosto lampante per i suoi contemporanei, che questi rudimenti della Torah li conoscevano bene, Davide mette il suo peccato al pari della lebbra, quella malattia mortale che uccide la gente poco alla volta. Chiedendo di essere purificato, Davide non fa altro che supplicare Dio di riportarlo in vita.
  Come già visto in precedenza, Miriam è stata, per molti versi, un esempio per il popolo di Israele, sia in positivo che in negativo. Non solo nell’epoca in cui visse, ma soprattutto nei secoli seguenti, Miriam fu per Israele un personaggio in cui rispecchiarsi e riconoscersi; riflettendo sugli avvenimenti della vita di questa donna, Israele è portato a riflettere su ciò che Dio lo chiama a fare, allora come oggi. Nel suo duplice ruolo di almà e di profetessa, cioè sia portatrice di vita in modo miracoloso, sia annunciatrice della Parola di Dio ad un popolo, Miriam offre una chiara immagine di quale sia il ruolo di Israele nella storia: essere il popolo del Messia, Colui che Dio ha scelto per salvare il popolo stesso in primis e poi il resto dell’umanità; ed essere il profeta di Dio, cioè il popolo che Dio si è scelto per proclamare la Sua Parola: ad Israele prima e poi anche al resto dell’umanità.
  Se le figure di almà e profetessa rappresentano piuttosto bene la posizione di Israele nel mondo e nella storia, quale contributo potrebbe dare la figura di Miriam lebbrosa e allontanata dalla presenza di Dio? E che cosa Israele farà una volta che si confronterà con questa immagine di Miriam tutt’altro che attraente? La risposta è da cercare in ciò che fece il re Davide quando riconobbe il suo peccato davanti a Dio e vedendosi come un lebbroso al pari di Miriam: non esitò a chiedere a Dio di essere purificato completamente, per essere riammesso alla Sua presenza, affinché potesse di nuovo gioire ed esultare davanti a Lui, come per un morto a cui la vita è riconcessa.
  Le parole di Miriam contro Mosè in Numeri 12:2 - L'Eterno ha forse parlato solo per mezzo di Mosè? Non ha egli parlato anche per mezzo nostro? - ricordano la posizione che ebbero molti in Israele quando Gesù si presentò a loro come il Messia: “Cos’ha questo Gesù di tanto speciale? Dio non ha forse parlato anche per mezzo di altri?”. E tutt’oggi questa posizione non è così distante da quella che molti ebrei mantengono ancora. Ma come Dio aveva scelto Mosè per parlare a Israele in quel determinato periodo storico, mantenendo con lui una relazione che non aveva con nessun altro nel resto del popolo, così Dio ha scelto Gesù per rivelarsi a Israele, allora come oggi, e attraverso Israele anche al resto del mondo. Egli ha con il Padre una relazione unica, essendone il Figlio. Rigettare Lui significa rigettare Dio in persona; così come per Miriam, aver parlato contro l’autorità di Mosè aveva significato andare contro l’autorità di Dio stesso.
  Anche l’apostolo Paolo, scrivendo la sua lettera ai Romani, nel capitolo 9 parla del popolo Israele in termini che ricordano la sua posizione di rilievo rispetto agli altri popoli, ma anche il suo indurimento nei confronti della rivelazione di Dio in Gesù il Messia. Dopo aver attestato di essere lui stesso un membro di questo popolo, Paolo elenca tutti i privilegi che nel corso della storia Dio ha concesso a Israele rispetto agli altri popoli: tra questi, annovera l’adozione di Israele come figlio, l’aver visto Dio nella Sua gloria e l’aver udito la Sua voce, l’aver ricevuto la legge scritta, le Sue promesse fedeli. E per ultimo in ordine cronologico ma non di importanza, l’aver dato i natali al Messia, ossia essere il suo popolo, la famiglia in cui è nato e cresciuto.
  Ma se da una parte riconosce tutto ciò che rende unico Israele, in quanto popolo eletto di Dio, Paolo dice anche di provare grande tristezza e continuo dolore nel cuore, pensando ai suoi fratelli secondo la carne, i quali hanno rigettato Gesù, il Messia. Addirittura, preferirebbe lui stesso essere separato da Cristo, pur di vedere i suoi uniti a Lui (Romani 9:2,3). È pur vero che, continua Paolo, non tutti in Israele hanno rifiutato Gesù il Messia. Alcuni, come lui, hanno creduto alla Sua Parola. Questo dimostra, dice Paolo, che Dio non ha allontanato tutto il popolo dalla Sua presenza. Non solo. Nel capitolo 11 della lettera ai Romani, Paolo afferma che non soltanto l’allontanamento non è totale, come mai lo è stato nel corso della storia fino ad oggi. Ma un giorno questo allontanamento di Israele da Dio avrà fine e tutto il popolo sarà riammesso alla Sua presenza. 

    Ad Israele è avvenuto un indurimento parziale finché sarà entrata la pienezza dei gentili, e così tutto Israele sarà salvato come sta scritto: «Il liberatore verrà da Sion, e rimuoverà l'empietà da Giacobbe. E questo sarà il mio patto con loro, quando io avrò tolto via i loro peccati»” (Romani 11:25-27).

Non è forse Miriam, ancora una volta, una figura di Israele quando sarà purificato, perdonato e riammesso alla presenza di Dio? Miriam fu sì rigettata da Dio, come un padre rigetterebbe la propria figlia. Ma Miriam fu allontanata dall’accampamento se non per un periodo di tempo limitato. Dopodiché rientrò, fu riammessa, così che il popolo poté continuare il suo cammino. Essi non si mossero dal luogo in cui si trovavano per tutto il tempo in cui Miriam rimase fuori dall’accampamento. Solo quando fu ristabilita, il popolo fu in grado di proseguire il cammino. Proprio in quel frangente così difficile della vita di Miriam, la simbiosi tra lei e il popolo era totale.
  Secondo il Nuovo Testamento, dunque, la partita tra Dio e Israele non è ancora chiusa. Anzi. Un giorno l’esempio di Miriam tornerà alla mente di Israele, proprio come Mosè chiese di fare al popolo mentre era ancora nel deserto: 

    Ricorda ciò che l'Eterno, il tuo DIO, fece a Miriam durante il viaggio” (Deuteronomio 24:9). 

Un giorno Israele, ritrovando se stesso e il proprio ruolo nella storia forse anche grazie all’esempio di Miriam, capirà di aver parlato per secoli non contro un individuo come un altro, uno del popolo, ma contro Dio stesso. 

    Essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto” (Zaccaria 12:10).

Allora quelle ossa spezzate esulteranno.

(6. continua)

(Notizie su Israele, 27 novembre 2022)


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Israele, a Ben Gvir la Sicurezza nazionale

Benyamin Netanyahu ha fatto concessioni all'estrema destra per riuscire a formare un nuovo Governo

Itamar Ben Gvir, esponente di spicco della destra radicale israeliana, sarà ministro della sicurezza nazionale in Israele, un nuovo dicastero con pieni poteri su dossier importanti e che gestirà per esempio direttamente la polizia di frontiera, un corpo scelto di oltre 2'000 uomini chiamato in particolare a gestire disordini, compiere arresti ma anche evacuare insediamenti illegali nei Territori palestinesi. Compiti fin qui alle dipendenze del comando centrale dell'esercito. La formazione di Ben Gvir riceverà inoltre altri due dicasteri. È questo il primo accordo annunciato venerdì dal Likud, il partito che ha vinto le elezioni del 1° novembre, le quinte in meno di quattro anni nel Paese. Il premier incaricato Benyamin Netanyahu - già alla guida del Paese per 16 degli ultimi 26 anni - sta negoziando con altre tre formazioni per costituire quello che si profila come il Governo più a destra della storia del Paese. Riuscire a restare al potere è per lui vitale: lo proteggerebbe dai procedimenti giudiziari in corso nei suoi confronti, anche se per questo deve scendere a patti. E proprio la nomina di Ben Gvir, che ha ottenuto quanto aveva chiesto (la sua formazione "Otzma Yehudit", "Potere ebraico", avrà altri due dicasteri) e che ha celebrato la propria vittoria su Twitter, fa particolarmente discutere.

• Chi è Itamar Ben Gvir
  In Parlamento dal 2021, Itamar Ben Gvir è un avvocato 46enne, che ha fra i suoi clienti coloni illegali (anche gli occhi di Israele e non solo del diritto internazionale). Ha una lunga storia di dichiarazioni anti-arabe e di gesti eclatanti, che inizia già negli anni '90, quando apparve in tv con il simbolo della Cadillac staccato dalla vettura di Yitzhak Rabin. "Siamo arrivati alla sua auto, arriveremo anche a lui", disse. Parole profetiche, perché poche settimane dopo il premier che portava avanti il processo di pace venne assassinato da un estremista. Ora Ben Gvir, colono a sua volta, assicura però di aver moderato le proprie posizioni, che gli sono valse in passato decine denunce e anche alcune condanne. È stato un seguace del rabbino razzista Meir Kahane, bandito dal Parlamento e il cui partito Kach fu dichiarato terrorista dagli Stati Uniti. Kahane morì assassinato a New York nel 1990. Ben Gvir gira con la rivoltella alla cintura, non ha esitato a estrarla di fronte a una guardia palestinese, si oppone alla creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e sostiene gli ebrei che pregano sulla Spianata delle moschee a Gerusalemme. Ha auspicato sanzioni durissime nei confronti dei manifestanti (arabi) che lanciano pietre o molotov e ammorbidite se non addirittura cancellate per i soldati che invece aprono il fuoco.

• Le reazioni politiche
  L'annuncio della nomina ha suscitato le immediate reazioni di centristi e sinistra in Israele. L'attuale responsabile della difesa, Benny Gantz, ha attaccato Netanyahu interrogandosi su quello che ha definito "uno smantellamento della sicurezza" e il pericolo della "istituzione di un esercito privato per un uomo forte". L'ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot ha definito la futura nomina di Ben Gvir a ministro della Sicurezza nazionale "un triste gioco sulle spalle dei cittadini di Israele" e "con nessun collegamento alla realtà o ai bisogni del Paese".
  Bisognerà vedere inoltre che ne penserà l'amministrazione democratica degli Stati Uniti, che da tempo ha messo in guardia Netanyahu sul coinvolgimento di Ben Gvir e di altri esponenti dell'estrema destra nel Governo che probabilmente verrà annunciato all'inizio del prossimo mese. Tel Aviv e Washington sono già in disaccordo per la decisione a metà novembre della Casa Bianca di indagare in maniera indipendente sulla morte della giornalista palestino-statunitense Shireen Abu Akleh, colpita da soldati israeliani a Jenin l'11 maggio.

(RSI News, 26 novembre 2022)

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Le Giudecche di Sicilia e la comunità ebraica di Catania nel XV secolo

Dove viveva la comunità ebraica di Catania nel XV secolo e che ruolo aveva nel tessuto economico e sociale della Sicilia e di Catania?

È il tema del saggio di Andrea Giuseppe Cerra “La città sepolta. Politica e istituzioni ebraiche a Catania nel XV secolo” (Rubbettino editore) che Martedì 29 novembre, 17:30 sarà presentato al Castello Ursino.
  L’iniziativa è co-organizzata da Comune di Catania, dalle Librerie Cavallotto, dalla Delegazione FAI di Catania e dalla Società Dante Alighieri – Comitato Catania. Dopo i saluti di Federico portoghese il Commissario Straordinario del Comune di Catania, dialogherà con l’autore Maria Licata presidente della Delegazione FAI di Catania, e Dario Stazzone, presidente della Società Dante Alighieri – comitato di Catania. Modera il giornalista Luigi Provini.

    “La Comunità Ebraica di Catania – spiega Cerra, PhD in Scienze Politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Catania – a differenza di quanto avvenne in Castiglia e Aragona, vide l’applicazione dell’editto di Granada tre mesi dopo, così come nel resto della Sicilia. Non a caso l’originario ceppo ebraico definisce la Sicilia “Achèr Israel”, ovvero “Altro Israele”. Ciò consente di ipotizzare un ruolo particolare della comunità ebraica nel tessuto economico e sociale della Sicilia e, nello specifico, di Catania. Si pensi, ad esempio, al caso di Virdimura, la prima donna ebrea siciliana ufficialmente autorizzata all’esercizio della medicina e della chirurgia”.

Il volume – che in copertina mostra un’opera di Emilio Isgrò, Menorah matematica”, tecnica mista su tavola, 2014 – ricostruisce le vicende della comunità ebraica catanese nel XV secolo, nel più ampio contesto delle Giudecche siciliane, fino all’applicazione dell’Editto di Granada. Ciò che emerge è un quadro chiaro della comunità giudaica etnea, degli spazi fisici che occupava e del ruolo istituzionale, economico e sociale che ricopriva; l’affresco di una comunità operosa e integrata, seppur inevitabilmente caratterizzata da forti tratti distintivi. La prefazione del volume è affidata a Asher Salah professore associato presso il Dipartimento di Storia e Teoria dell’Accademia di Belle Arti Bezalel e docente presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, specializzato in storia e letteratura degli ebrei in età moderna e traduttore di Abraham Yehoshua.

(Italy 24, 26 novembre 2022)

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Kabul-Israele, la sfida di Fariba

Il filantropo Sylvan Adams con le due sorelle Hashimi
Non era passata neanche un'ora dalla fine del campionato nazionale di ciclismo femminile dell'Afghanistan quando la giovanissima vincitrice Fariba Hashimi (19 anni) ha ricevuto la notizia che, professionalmente parlando, potrebbe cambiarle la vita: l'ingaggio per il 2023 nelle file della Israel - Premier Tech.
  L'epilogo di una giornata dalle grandi emozioni, con 49 cicliste al via dalla cittadina svizzera di Aigle sede dell'Unione Ciclistica Internazionale (UCI).
  Una giornata di sport e soprattutto di ritorno alla "normalità" che porta anche la firma del filantropo israeliano Sylvan Adams. Tra gli artefici, lo scorso anno, di un ponte aereo di soccorso che ha messo in salvo molte di queste sportive. Tutte in pericolo di vita sotto i talebani. Tra cui la vincitrice, che vive oggi in Italia, in Abruzzo, dove è arrivata grazie ai corridoi umanitari.
  Fariba si è imposta sulla sorella Yulduz: al traguardo, entrambe commosse, si sono lasciate andare al pianto. Ricordando anche la loro drammatica fuga da Kabul nelle ore in cui faticose conquiste civili di vent'anni sono andate in frantumi.
  "Mai avrei immaginato di poter correre per una squadra del World Tour e di andare al Tour de France. Affronterò la sfida a testa alta e gareggerò per tutte le donne in Afghanistan", ha dichiarato Hashimi. “L’Afghanistan è oggi un pericolo per le donne, che non sono libere di vivere e prosperare come desiderano. Vedendomi gareggiare al Tour, forse, vedranno che tutto è possibile". Anche Yulduz, si è poi appreso, avrà la possibilità di gareggiare con un team collegato alla squadra israeliana.
  Ma tutte e 49 le cicliste, e non solo le due più forti, hanno gioito per questa giornata di "normalità". Così Marjan Seddiqi, capitana della nazionale, prima del via: "Sono un essere umano, una donna e una ciclista. Per andare in bicicletta ho rischiato la vita. Mi hanno sparato, ma non ho rinunciato. Col ritorno dei talebani sono fuggita, ho trovato una nuova casa e adesso sto per disputare la mia prima gara in libertà".
  Una giornata indimenticabile anche per Adams e per i suoi collaboratori. Prima dell'avvio della competizione il mecenate, nato in Canada ma residente in Israele da alcuni anni, aveva raccontato: "Quando ho saputo che molte cicliste erano rimaste bloccate in Afghanistan, un Paese dove sarebbero state perseguitate o uccise per il solo fatto di andare in bicicletta, ho sentito il dovere di aiutare. Essere in grado di offrire questo aiuto come ebreo, e come proprietario di una squadra israeliana, è stato ancora più significativo: un segno di vera responsabilità condivisa. Il Talmud ci dice che anche una singola vita salvata eleva il nostro mondo".
  Coinvolto nell'impresa il presidente dell'UCI David Lappartient. "È molto importante, per noi, prendere un impegno con i membri della famiglia del ciclismo che stanno soffrendo a causa dell'attuale situazione in Afghanistan", le sue parole nel momento in cui l'operazione di salvataggio era stata resa di pubblico dominio.
  Lappartient si è detto in particolare lieto "che i nostri sforzi possano offrire delle opportunità, e per questo ringrazio i governi di Svizzera, Francia, Canada, Albania, Emirati Arabi Uniti e Israele e di altri Paesi che hanno lavorato a questo progetto". Appena due mesi prima del ritorno dei talebani 20 cicliste si stavano sfidando in una corsa tutta al femminile nella provincia di Bamyan, tristemente celebre dopo l'episodio delle due statue di Buddha distrutte nel 2001. Gli ultimi momenti di libertà, per loro, in sella a una bicicletta. A queste coraggiose donne a alle loro scelte di vita è dedicato un documentario trasmesso nel 2016 e fruibile anche su Youtube: "Le piccole regine di Kabul". A risaltare tra gli altri è il profilo di Masomah Ali Zada, che è poi riuscita a fuggire dal Paese ed è stata in gara ai Giochi olimpici di Tokyo.

(Pagine Ebraiche, novembre 2022)

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Israele sbarca a Osimo: Paskal Group Israel e Tecnografting al lavoro insieme  

di Silvia Santini

OSIMO – Israele sbarca ad Osimo grazie alla partnership siglata tra Paskal Group Israel e Tecnografting, impresa marchigiana che opera nel settore vivaistico dal 2000. Un’operazione che mantiene al momento come Amministratore di Tecnografting Giuseppe Stacchiotti e che porta Osimo ancora alla ribalta sul piano regionale e nazionale valorizzando l’intero territorio proprio in virtù di accordi come quello stretto tra le due realtà.

• IL TRAGITTO
  Un tragitto lungo un anno, costruito con perseveranza e pazienza e andato recentemente a buon fine: Tecnografting, prevede che la forte presenza di Paskal nei mercati internazionali ed il suo grande team di vendita contribuiranno alla distribuzione dei propri prodotti. La società osimana, ora acquisita dal Gruppo israeliano – collocato nel territorio di Haifa – è una società specializzata nella produzione e commercializzazione di clips per innesto di piante orticole per il settore vivaistico con un fatturato di due milioni di euro. I suoi prodotti sono attualmente venduti in tutto il mondo, la società esporta in Sud e centro America, Europa ed Asia meridionale, rappresentando un brand molto noto nel settore. Paskal Group Israel è un’azienda leader mondiale nel settore delle colture orticole in serra. Gestisce una rete internazionale di distributori ed affiliati in tutto il mondo. È produttore e venditore di accessori per l’orticoltura che fornisce soluzioni e prodotti per i coltivatori durante tutto il ciclo di vita della pianta, a partire dal seme, attraverso l’innesto, fino al processo di crescita in serra.
  «Conoscevamo l’azienda da anni in quanto da tempo collaborava con noi e sui muoveva negli stessi segmenti di mercato – dice l’Amministratore Giuseppe Stacchiotti – e abbiamo pensato che come grande azienda, potesse essere particolarmente interessata a stringere un accordo con noi. La nostra struttura commerciale, che vende in diverse parti del mondo, era piuttosto limitata rispetto a questi obiettivi e con l’entrata di questa nuova realtà, che possiede un’organizzazione decisamente diversa e più ampia, crediamo ci possa far ulteriormente crescere, aggiungendo quote consistenti di mercato. E così al momento restiamo a far parte della loro struttura attraverso una sinergia che ci permetterà di sviluppare nuovi prodotti e soluzioni innovative».

(CentroPagina, 26 novembre 2022)

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Sono 3000 i bambini palestinesi operati al cuore in Israele

A 5 anni, Amir Yichya Mabchuch è stato operato al cuore domenica scorsa in Israele, la madre del bambino dice che a Gaza sanno che dei medici israeliani “ci si può fidare ciecamente”.

Un bambino di 5 anni di Gaza è stato portato domenica al Centro Medico Wolfson di Holon, in Isarele, dove i medici hanno eseguito un’operazione a cuore aperto per salvargli la vita, diventando così il 3.000° bambino di Gaza ad essere sottoposto ad un intervento chirurgico di questo tipo in Israele nell’ambito di un programma di una ONG israeliana. Amir Yichya Mabchuch di Jabaliya, appena a nord di Gaza City, è stato portato da Save a Child’s Heart, una ONG israeliana che, dalla sua fondazione nel 1995, ha aiutato più di 6.000 bambini a viaggiare dall’estero con le loro famiglie per le operazioni critiche. I bambini provengono da oltre 65 Paesi, la maggior parte dei quali in via di sviluppo e molti dei quali non hanno legami diplomatici con Gerusalemme.
  A Mabchuch è stato diagnosticato un difetto cardiaco all’età di due mesi. Sua madre, Maha, lo aveva portato a farsi visitare per un’infezione virale, quando il medico di famiglia ha individuato un’ostruzione in una delle arterie coronarie del bambino. Fin dall’inizio, “abbiamo capito che Amir avrebbe avuto bisogno di un’operazione per risolvere il difetto”, ha detto la madre.
  Il bambino non ha vissuto un’infanzia normale e spensierata. Non è stato in grado di svolgere compiti semplici e non gli è stato permesso di correre e nemmeno di camminare per lunghi periodi, per evitare che lo sforzo si rivelasse eccessivo per il suo fragile cuore. Per tutta la vita, invece, è stato sottoposto a un costante controllo medico. Quando la famiglia di Amir ha scoperto la possibilità di sottoporlo a un intervento chirurgico al cuore in Israele durante una visita di controllo a Gaza, ha colto al volo l’opportunità.
  “Quando i medici ci hanno detto che c’era la possibilità che i medici israeliani eseguissero la complicata operazione di cui Amir aveva bisogno, siamo stati molto felici. Qui a Gaza tutti parlano di come i medici israeliani siano i più professionali al mondo e che ci si può fidare completamente di loro”, ha detto la madre di Amir. Per portare Amir in Israele, Save a Child’s Heart ha presentato a nome suo e della sua famiglia una richiesta di permesso di ingresso in Israele, mentre la famiglia ha presentato una richiesta separata alle autorità di Gaza per uscire dal territorio.
  Secondo quanto riferito, le operazioni cardiache vitali sono continuate anche durante la pandemia, sebbene il numero degli abitanti di Gaza autorizzati a entrare in Israele per le cure mediche sia stato drasticamente ridotto, presumibilmente per prevenire la diffusione della COVID19. Anche prima della pandemia, una percentuale significativa di richieste di viaggiare fuori da Gaza per cure mediche è stata esplicitamente respinta o lasciata senza risposta, il che significa che i richiedenti non hanno potuto recarsi agli appuntamenti medici programmati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un organismo delle Nazioni Unite, nell’anno precedente alla pandemia, circa un terzo dei circa 24.000 abitanti di Gaza che hanno richiesto il permesso, tra cui centinaia di persone affette da patologie cardiache, alla fine non l’hanno ricevuto.
  L’operazione a cui è stato sottoposto Amir, 5 anni, era complicata e richiedeva una tecnologia avanzata non disponibile a Gaza – e l’intervento si è svolto senza problemi, secondo il chirurgo Hagi Dekel.
  “L’intervento è stato eseguito per rimuovere un’ostruzione nel ventricolo sinistro. Un’ostruzione di questo tipo, se non trattata, può danneggiare la valvola e, nel peggiore dei casi, causare una morte improvvisa… La valvola aortica è stata aperta e il tessuto spesso che ostruiva la valvola è stato rimosso con successo”, ha dichiarato.
  “Salviamo le vite dei bambini palestinesi da più di vent’anni e dico sempre che oltre a salvare vite e a dare speranza alle loro famiglie, riusciamo anche a costruire ponti tra popoli diversi”, ha detto il vicedirettore di Save a Child’s Heart, Tamar Shapira.
  I membri della famiglia Mabchuch hanno dichiarato che torneranno a Gaza con profonda gratitudine verso gli israeliani che si sono fatti in quattro per aiutare Amir. Poco prima dell’intervento, la madre di Amir ha detto: “So che c’è sempre tensione tra Gaza e Israele, ma questo non cambia la storia di mio figlio. Mi fido dei medici israeliani e so che salveranno la vita di mio figlio”.

(israele 360, 23 novembre 2022)

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Netanyahu, primo accordo di coalizione: Ben-Gvir ministro della Polizia

Al leader dell’estrema destra assicurato anche un posto nel gabinetto di sicurezza di Israele. Ben-Gvir in una nota parla di “grande passo” verso la nascita del nuovo governo. Ora resta aperta la partita per la Difesa e il ruolo di Smotrich. Che sembra ripiegare sulle Finanze con delega all’Amministrazione civile per controllare i territori. E mettere la parola fine allo Stato palestinese. 

GERUSALEMME - Il Likud del primo ministro incaricato Benjamin Netanyahu ha ufficializzato oggi il primo accordo di coalizione, finalizzato alla formazione del nuovo governo. Al leader del partito Potere ebraico (Otzma Yehudit), Itamar Ben-Gvir, sarà assegnato il ministero della Polizia e un posto all’interno del gabinetto di sicurezza di Israele. Per l’esponente dell’estrema destra è un dicastero chiave cui spetta, fra gli altri, il controllo della Spianata delle moschee (o Monte del Tempio), con possibili tensioni future legate alle camminate di ebrei ortodossi e preghiere in un’area che i musulmani considerano terzo luogo santo per l’islam. 
  Un primo passo ufficiale, quello di oggi, verso la nascita del nuovo esecutivo che verrà ultimato con tutta probabilità nei tempi previsti dall’ordinamento costituzionale, sebbene vi siano in gioco ancora poltrone chiave, come quella del ministero della Difesa. “Abbiamo fatto un grande passo - ha sottolineato Ben-Gvir in una nota - verso un accordo di coalizione completo, verso la formazione di un esecutivo nel pieno delle sue funzioni” e orientato “a destra”.
  Il Likud e i suoi alleati religiosi e di estrema destra hanno ottenuto una chiara vittoria nelle elezioni del primo novembre, ponendo fine a quasi quattro anni di instabilità politica. L’esecutivo in fase di costruzione sembra destinato a essere il più a destra della storia di Israele, tanto da costringere il suo leader Netanyahu ad un intenso sforzo diplomatico e di mediazione fra le derive radicali interne alla coalizione e gli alleati occidentali. Su tutti gli Stati Uniti e i nuovi partner arabi nel novero dei cosiddetti “Accordi di Abramo”
  Il nodo è legato all’ala dell’ultra-destra religiosa, fondamentale per garantire una solida maggioranza fra i 120 deputati della Knesset, il Parlamento israeliano. Al voto il fronte si era presentato unito, per garantirsi maggiore forza sul piano elettorale ma al momento della distribuzione dei seggi si sono consumate le spaccature con sette deputati al Partito sionista religioso di Bezalel Yoel Smotrich, sei per Ben-Gvir e un ulteriore gruppetto minoritario. 
  Raggiunto l’accordo sulla Polizia, una posizione chiave che consente di controllare l’accesso ai luoghi santi, ora resta aperta la partita per l’ambito ministero della Difesa. Smotrich lo ha reclamato a più riprese in questi giorni di trattative di governo, prendendo al contempo di mira le ong e i gruppi attivisti pro-diritti umani che si battono contro l’occupazione.
  L’intervento da dietro le quinte di Washington e i malumori del mondo arabo hanno con tutta probabilità chiuso la porta della Difesa al leader dell’ultra-destra, il quale però sembra orientato al dicastero delle Finanze, con delega all’Amministrazione civile. In questo modo, egli si assicurerebbe il controllo della Cisgiordania perché l’organismo vigila sulla vita civile di circa il 60% della regione (l’Area C). Una prospettiva inquietante per molti movimenti attivisti, fra i quali Peace Now che parla - in caso di accordo sulla nomina - di una “annessione di fatto” dei territori, una spinta ulteriore alla politica espansionista delle colonie e il riconoscimento degli avamposti.
  In pratica, la parola fine su qualsiasi prospettiva di Stato palestinese. 

(AsiaNews, 25 novembre 2022)

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Rapimento di Eitan, ora il bambino chiede i danni al nonno di Israele

Attraverso un avvocato si costituirà parte civile nell’udienza di oggi in cui è imputato Shmuel Peleg. Il giudice dovrà decidere sulla richiesta della procura di processo anche per il presunto complice.

di Maria Fiore

I legali del nonno di Eitan
Il piccolo Eitan, il bambino di sei anni sopravvissuto alla strage della funivia del Mottarone, sarà parte civile, per la richiesta dei danni, contro il nonno materno, Shmuel Peleg, accusato di averlo sequestrato. Oggi, alle 12, comincia l’udienza preliminare in cui il giudice Pietro Balduzzi dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla pm Valentina De Stefano, che contesta a Peleg e al presunto complice, Gabriel Alon Abutbul, le accuse di sequestro aggravato, sottrazione di minore all’estero e appropriazione indebita del passaporto.
  La vicenda è quella del presunto rapimento del piccolo, avvenuto l’11 settembre del 2021, quando Eitan fu prelevato dalla casa della zia paterna di Travacò, Aya Biran, imbarcato dal nonno a Lugano, su un volo privato, e portato in Israele. A guidare l’auto fino a Lugano, secondo l’accusa, fu Alon Abutbul. Il piccolo rientrò in Italia, a Travacò, solo a dicembre dello stesso anno, dopo una battaglia legale combattuta nei tribunali di Tel Aviv. L’avvocato del bambino, Fabrizio Ventimiglia: “Vicenda delicata che va affrontata con buon senso, speriamo di trovare un accordo per il risarcimento, visto che parliamo del rapporto tra un nipote e un nonno”. 

• DUE PARTI CIVILI
  All’udienza di questa mattina gli avvocati difensori (Sara Carsanigna e Mauro Pontini per Peleg, Francesco Isolabella per Alon), potranno presentare istanze, eccezioni e anche chiedere eventuali riti alternativi, come un patteggiamento o l’abbreviato. L’incognita sui possibili scenari è rappresentata dal fatto che Isolabella ha annunciato un impedimento e quindi, al suo posto, ci sarà probabilmente un collega in sostituzione. Di sicuro ci saranno, come annunciato ieri, le costituzioni di parte civile delle persone offese, che la procura ha indicato nel piccolo Eitan (avvocato Fabrizio Ventimiglia) e nella zia Aya Biran (rappresentata dall’avvocato Emanuele Zanalda), ex tutrice legale e attuale collocataria del bambino, che vive ancora a Travacò.
  Per l’avvocato Ventimiglia, il bambino rischia di subire un ulteriore danno dalle tensioni tra le famiglie. «Questa situazione conflittuale tra la famiglia materna e quella paterna del minore – spiega l’avvocato Ventimiglia – che ha raggiunto il suo culmine con il sequestro di Eitan, purtroppo non ha fatto altro che peggiorare la situazione del piccolo che si trova suo malgrado in mezzo a queste tensioni familiari, dopo avere già dovuto affrontare l’immane tragedia che tutti conosciamo».
  L’auspicio, prosegue il legale, «è, dunque, che questo conflitto possa trovare quanto prima una soluzione, in modo che Eitan possa ritrovare la serenità che deve necessariamente accompagnare il percorso di crescita di un bambino».

• LA RICHIESTA DELLA PROCURA
  A meno di un rinvio del giudice, il pubblico ministero Valentina De Stefano avrà modo di discutere e ribadire la sua richiesta di rinvio a giudizio.
  Peleg e Abutbul, stando alle indagini della procura di Pavia, guidata da Fabio Napoleone, avrebbero rapito il bimbo, la mattina dell’11 settembre, «prelevandolo dal domicilio stabilito dall’autorità giudiziaria italiana», a Travacò «sottraendolo alla tutrice» (a quell’epoca Aya Biran) che era stata «nominata con decreto del 26 maggio 2021» del giudice di Torino. E l’avrebbero fatto con un «piano premeditato e organizzato», privando il minore della «libertà personale» e portandolo in Israele, con un volo privato da Lugano, «contro la volontà della persona che ne aveva la custodia».
  Sia su Peleg che su Abutbul pendeva un’ordinanza di custodia cautelare, che è stata eseguita quando si sono presentati nei mesi scorsi in Tribunale a Pavia per l’interrogatorio di garanzia.
  Il giudice delle indagini preliminari Pasquale Villani ha sostituito per entrambi la custodia in carcere con il divieto di dimora a Milano, Varese e Pavia e col divieto di avvicinamento al piccolo. «Pensavo di avere diritto di poter stare con mio nipote – si è difeso il nonno –, di aver fatto una cosa lecita. Il piccolo è sempre stato bene con me, non l’ho mai nascosto, appena siamo arrivati a Tel Aviv ho informato subito la zia Aya e le autorità locali». Una difesa che sarà ribadita, con ogni probabilità, nell’udienza preliminare.

(La Provincia Pavese, 25 novembre 2022)

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Insulti antisemiti e minacce su Zoom alla scrittrice Tagliacozzo: denunciati due minorenni

I ragazzi abitano in due regioni diverse, non si conoscono ma avevano risposto allo stesso invito. All'incontro nel 2021 sulla piattaforma, per la presentazione di un libro di Lia Tagliacozzo, sono stati postati messaggi truci: “Ebrei ai forni”, “Sono tornati i nazisti”.

Sono due minorenni, abitano in due regioni diverse, non si conoscono né si sono mai incontrati, ma avevano risposto allo stesso invito a colpire con attacchi hacker di matrice nazista e antisemita diversi incontri online organizzati durante la pandemia.
  C’era proprio un elenco che circolava sul web con gli appuntamenti e i link da prendere di mira. La procura di Torino, che indagava su vari episodi di “zoombombing”, ha lavorato a lungo per identificare gli autori. Molti non sono stati individuati, protetti da sistemi informatici che garantiscono l’anonimato. Gli investigatori sono invece riusciti a risalire ai due adolescenti e hanno passato il fascicolo alla procura dei minori del Piemonte.
  I due ragazzi sono indagati per l’attacco all’incontro su Zoom organizzato nel gennaio 2021 dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e dal Centro di studi ebraici di Torino per la presentazione di un libro di Lia Tagliacozzo. Pochi minuti dopo l’inizio dai profili di alcuni dei partecipanti sono stati postati messaggi truci: “Ebrei ai forni”, “Sono tornati i nazisti”, “Vi bruciamo tutti”. Altri attacchi si erano verificati in quel periodo e avevano avuto come obiettivo anche la comunità cinese, l’Anpi e altri enti.

(la Repubblica, 25 novembre 2022)

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La Malesia, uno degli stati più antisemiti al mondo, ha un nuovo primo ministro

Il leader riformista Anwar Ibrahim è stato nominato primo ministro della Malesia, ponendo fine a una lunga incertezza dopo che le elezioni legislative di sabato non sono riuscite a dare la maggioranza a nessun partito. Lo riporta il Times of Israel.
  Il signor Anwar, che è stato fino ad ora il principale leader dell’opposizione, è nominato “decimo Primo Ministro della Malesia”, ha affermato il Palazzo Reale in un comunicato.
  Pakatan Harapan (Alleanza della Speranza), la coalizione riformista multietnica guidata da Anwar, ha ottenuto il miglior risultato nelle elezioni legislative di sabato con 82 seggi. Ma resta lontana dalla maggioranza assoluta, in un Parlamento di 222 seggi. Al secondo posto è arrivato il partito Perikatan Nasional, sostenuto dal Pan-Malaysian Islamic Party (PAS), che è a favore di una rigida applicazione della legge della Sharia.
  Anwar ha 75 anni, ha avuto una lunga carriera politica all’opposizione ed è arrivato più volte vicino alla carica di primo ministro senza mai ottenerla. Prima di diventare leader dell’opposizione, aveva avuto ruoli di rilievo fino al 1998 nei governi guidati dallo storico primo ministro malese Mahathir Mohamad (che è quello che ha ricoperto la carica più a lungo nella storia del paese). Durante gli anni all’opposizione ha trascorso anche circa 10 anni in carcere, per accuse che lui ha sempre definito politicamente motivate.

• Antisemitismo e odio per Israele in Malesia
  La Malesia è spesso considerata uno dei paesi più antisemiti al mondo. L’ex primo ministro Mahathir Mohamad ha notoriamente affermato di essere felice di essere definito un antisemita e ha affermato che gli ebrei “dal naso adunco” governano il mondo.
  Alla fine degli anni ’90, Anwar è stato capo delle finanze e vice primo ministro di Mahathir, sebbene i due in seguito siano diventati nemici politici. È stato anche accusato di aver fatto osservazioni antisemite, inclusa l’affermazione, quando era leader dell’opposizione, che le spie del Mossad controllassero il governo malese e che gli ebrei controllassero una società di pubbliche relazioni assunta dal primo ministro dell’epoca, Najib Razak”.
  Nel 2012, è stato sospeso dal parlamento malese per aver suggerito che una campagna governativa promossa da Razak fosse ispirata da una campagna elettorale israeliana del 1999.
  La Malesia non ha legami ufficiali con Israele ed è vista come particolarmente ostile allo stato ebraico. L’anno scorso, un campionato della World Squash Federation a Kuala Lumpur è stato cancellato dopo che le autorità malesi hanno negato l’ingresso agli atleti israeliani.
  Nel 2012, Anwar ha dichiarato al Wall Street Journal: “Sostengo tutti gli sforzi per proteggere la sicurezza dello Stato di Israele”, commenti che hanno suscitato indignazione in Malesia, che si identifica fortemente con la causa palestinese.
  Anwar è stato costretto a rispondere a quei commenti, riemersi durante la sua recente campagna elettorale, dichiarando il mese scorso di essere “il combattente numero uno per il popolo palestinese nel nostro Paese”.
  Ha anche dovuto rinnegare qualsiasi legame con Israele o il Mossad dopo che agenti malesi – uno dei quali era presumibilmente affiliato al suo partito – che si credeva stesse lavorando per conto del Mossad, hanno preso parte a un’operazione fallita per interrogare un uomo apparentemente palestinese.

(Bet Magazine Mosaico, 25 novembre 2022)

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Le scelte obbligate di Israele

Gli attentati impongono una nuova conoscenza del nemico. Cosa è cambiato

Terza Intifada è stato il termine più utilizzato per descrivere gli attacchi che mercoledì hanno causato la morte di una persona e almeno venti feriti a Gerusalemme. La sensazione che si faticherà a ripristinare il senso di sicurezza nelle strade è stato acuito ieri dalla notizia di un presunto attentato a Beersheba e dell’attacco di hacker iraniani che hanno violato le telecamere installate a Gerusalemme da una grande agenzia di sicurezza e hanno pubblicato i video dell’attentato. Gli hacker erano già noti con il nome Moses Staff e all’inizio di quest’anno avevano pubblicato conversazioni private rubate da un cellulare della moglie del capo del Mossad, David Barnea.
  La consapevolezza di vivere tra i nemici è un punto fermo della politica israeliana, ma cosa succede quando i nemici cambiano? Secondo l’analista esperto di difesa Yoav Limor, gli attentati di mercoledì indicano che gli esplosivi potrebbero provenire da un laboratorio in Giudea e Samaria, di cui la sicurezza israeliana non era al corrente: trovarlo e scoprire chi ci opera è il primo obiettivo. Ci sono almeno quattro sospetti: Hamas, che ha invitato a compiere attacchi in Giudea e Samaria; il Jihad islamico, che ha fatto altrettanto; il Fronte per la liberazione della Palestina, che cerca di riguadagnare importanza e il Tanzim, una propaggine di Fatah. In quest’ultimo caso, Israele dovrebbe fare pressione sull’Autorità palestinese, che è nel bel mezzo di cambiamenti e questo è uno dei punti chiave per capire la nuova situazione dello stato ebraico. Quello che ha permesso a Israele – e ai palestinesi – di fare passi avanti in materia di sicurezza era proprio la conoscenza del nemico e la collaborazione di intelligence.
  Se tutto questo viene meno, Israele dovrà aumentare la presenza militare in alcune aree dove potrebbe rinascere, se non è già rinato, il terrorismo. Si torna indietro, a una situazione che Israele ha cercato di evitare, ma che con un’ondata di attentati che da marzo riporta l’insicurezza dove si era installata una cauta e forzata fiducia, potrebbe essere inevitabile.

Il Foglio, 25 novembre 2022)

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Le bombe di Gerusalemme: un crimine e un grave segnale d’allarme

di Ugo Volli

• Un omicidio feroce
  Il doppio attentato di ieri a Gerusalemme è orribile ed efferato. Piazzare delle bombe in un bersaglio assolutamente civile come la sempre affollata stazione degli autobus, imbottirle di chiodi e bulloni per straziare le carni degli innocenti che avessero avuto la sfortuna di trovarsi nel raggio dell’esplosione, uccidere un ragazzino di quindici anni, l’israeliano-canadese studente di yeshiva Aryeh Schopak   e ferire altre due dozzine di persone non è un atto di “resistenza” e neppure di guerra, è un delitto atroce, un omicidio feroce anche perché casuale, un crimine contro l’umanità.

• Come la “seconda intifada”?
  Se si cerca di analizzare freddamente le circostanze dell’attentato, esso rappresenta anche un grave segnale d’allarme, la testimonianza di un salto di qualità del terrorismo. In primo luogo, le bombe fatte esplodere in luoghi pubblici, in particolare all’interno del territorio “storico” dello stato di Israele, non solo in Giudea e Samaria, richiamano agli israeliani la grande ondata terroristica di vent’anni fa, che sui giornali venne chiamata “seconda Intifada”. Vi furono stragi nei pub, nei ristoranti, nei supermercati, negli autobus, dappertutto. Nessuno poteva sentirsi sicuro. La costruzione della barriera di sicurezza contribuì a rendere più difficile questo tipo di attentati, una campagna militare stroncò le basi del terrorismo e alla fine questo pericolo fu scongiurato per due decenni. Ma nonostante la barriera e i controlli stradali non è impossibile fare entrare delle bombe nel territorio di Israele e tentare di ripetere quel periodo difficilissimo.

• La tecnica dell’attentato
  Rispetto a quei crimini vi è però una differenza fondamentale. L’omicidio non è stato compiuto da un attentatore suicida con una cintura esplosiva, bensì da qualcuno che ha lasciato le due borse esplosive alle fermate dei bus e le ha fatto esplodere in maniera coordinata usando un cellulare che ha innescato il detonatore. È una tecnica più avanzata, che non costa la vita al terrorista e che permette di agire da lontano e anche con un certo anticipo di tempo, com’è già accaduto qualche volta in Libano. Indiscrezioni giornalistiche attribuite ai responsabili delle indagini rimandano a finanziamenti provenienti dal centro di Hamas in Turchia. Ma è significativo che non vi siano stati per tutte le prime ore di ieri arresti o indicazioni di possibili responsabili. Anche le telecamere, che non mancavano nel luogo dell’esplosione e che hanno funzionato perfettamente, non sono risultate particolarmente utili, perché in quella zona vi è un gran passaggio di persone, che spesso portano borse o zaini. Insomma, dietro l’attentato vi è una rete internazionale e una competenza tecnica nettamente superiore al passato, il che fa temere che questo tipo di attacchi possano ripetersi. 

• Il contesto
  Dopo l’attentato vi sono state numerose dichiarazioni di solidarietà per Israele, dagli Usa, dall’Unione Europea e anche da parte del ministro degli Esteri italiano Tajani. Da parte palestinese vi sono state le solite scene disgustose di dolcetti offerti per strada a Gaza e anche in numerose località di Giudea e Samaria per festeggiare l’omicidio. Ma vi sono state anche prese di posizione sostanzialmente complici del terrorismo da parte di esponenti della sinistra israeliana: il solo deputato ebreo della “lista unitaria” comunista-nazionalista araba, Ofer Cassif, in un discorso alla Knesset ha paragonato la vittima Aryeh Schopak a un terrorista arabo morto negli scontri con la polizia l’altro ieri a Shechem, mentre cercava di impedire con le armi che fedeli ebrei potessero andare a pregare alla tomba di Giuseppe, com’è esplicitamente statuito negli accordi di Oslo; a Hadas Steif, una giornalista della “radio militare” (che in realtà non esprime le posizioni delle gerarchie militari, ma un’ideologia di sinistra) è stata tolta la copertura dell’attentato, dopo che ne aveva attribuito la colpa alla progettata nomina di Itamar Ben-Gvir a ministro della Sicurezza interna.   

• Un altro episodio raccapricciante di terrorismo
  Sempre ieri è successo un altro episodio terribile. Il corpo di Tiran Fero, un ragazzo druso-israeliano di 17 anni, abitante a Dilyat HaCarmel, sopra Haifa, ferito gravemente in un incidente stradale nella città di Jenin, e portato d’urgenza all’ospedale della città, è stato rapito da una trentina di terroristi palestinesi. Essi, saputo della presenza di un cittadino israeliano, hanno fatto irruzione in ospedale, l’hanno staccato dal respiratore che lo teneva ancora in stato vegetativo, benché ne fosse stata dichiarata la morte clinica, l’hanno portato via e lo hanno tenuto in ostaggio per un possibile riscatto. I drusi sono una popolazione araba, distribuita anche in Libano e Siria, con una loro distinta identità religiosa. In genere sono fedeli allo stato di appartenenza e in Israele prestano onorevolmente servizio militare, ma mantengono buoni rapporti con i palestinesi. Tiran Fero era solo un ragazzo ed ora la famiglia ha cercato disperatamente di recuperare almeno il suo corpo. La popolazione drusa si è mobilitata, ha minacciato di andare a riprendersi con la forza la salma del ragazzo a Jenin e anche l’esercito israeliano ha preparato un’operazione militare a questo scopo. Alla fine, dopo trenta ore di sequestro, i terroristi hanno ceduto e hanno restituito il corpo alla famiglia. Ma anche questo episodio testimonia il totale imbarbarimento del movimento palestinista. 

(Shalom, 24 novembre 2022)

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Meloni-Netanyahu, si lavora a un bilaterale tra i governi

Incontrando il numero uno del World Jewish Congress, la presidente del Consiglio ha sottolineato l’impegno contro ogni sua forma di antisemitismo. È anche il punto di partenza per i rapporti con Israele, con la prospettiva di una visita di Stato

di Gabriele Carrer

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Mercoledì mattina Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha incontrato Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress, accolto a Palazzo Chigi nel giugno dell’anno scorso dall’allora presidente Mario Draghi. “È emersa piena sintonia sulla necessità di un forte e più incisivo impegno comune per combattere in ogni sua forma l’antisemitismo, fenomeno in preoccupante crescita anche attraverso il web e i social network”, ha comunicato Palazzo Chigi. Inoltre, Meloni ha sottolineato “l’imprescindibile importanza delle comunità ebraiche per l’identità nazionale italiana ed europea”, si legge nella nota.
  Al colloquio hanno partecipato anche Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, e Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma. Secondo quanto riferito dal Foglio, con Meloni c’erano Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, oltre ai consiglieri diplomatici Francesco Maria Talò (già ambasciatore in Israele) e Ludovico Ortona.
  Racconta Il Foglio che Lauder ha detto a Meloni “di aver apprezzato le sue parole, il giorno della fiducia, contro tutti i totalitarismi, il fascismo e le leggi razziali”. I due hanno parlato molto di America, con Lauder che rappresenta un pezzo del mondo repubblicano che guarda alla presidente del Consiglio e sembra pronto a scommettere su Ron DeSantis, governatore della Florida, in chiave anti Donald Trump – proprio come Meloni.
  Meloni guarda agli Stati Uniti, forte anche del bilaterale con il presidente Joe Biden a margine del G20 di Bali, in Indonesia. Ma anche a Israele, dopo i contatti con il futuro primo ministro Benjamin Netanyahu, vecchio amico di Lauder (che pur non gli ha risparmiato critiche per la svolta troppo a destra), leader di quel Likud partner del Partito dei conservatori e dei riformisti europei che lei stessa presiede. “Meloni e Netanyahu si sono già sentiti dopo le elezioni, e la sintonia tra i partiti dei nostri Paesi può essere la premessa di una relazione forte”, ha raccontato nei giorni scorsi Alon Bar, nuovo ambasciatore israeliano a Roma, a Repubblica. “Poi ci sono in gioco gli interessi nazionali, e qui dovremo lavorare per trasformare quella sintonia in cooperazione. Non posso escludere divergenze, ma l’atmosfera è positiva e mi aspetto che i rapporti facciano un salto in avanti”, ha aggiunto.
  La lotta all’antisemitismo e il rapporto con le comunità ebraiche, dunque, è un punto di partenza. “So bene che ci sono ancora antisemiti, sebbene siano una minoranza, e che ci sono simpatizzanti del regime fascista”, ha detto l’ambasciatore Bar. “Ma su questo abbiamo già detto al governo italiano – lo hanno fatto sia [Yair] Lapid (premier uscente, ndr) che Netanyahu – che intendiamo lavorare a stretto contatto con la comunità ebraica, e che su questo ci aspettiamo dal nuovo governo una politica di tolleranza zero”.
  Tra gli impegni assunti da Meloni, racconta ancora Il Foglio, “c’è anche un viaggio in Israele, appena si sarà formato un governo” guidato da Netanyahu.
  A quanto risulta a Formiche.net le diplomazie sono al lavoro per un incontro tra i due esecutivi. A giugno, in occasione della visita in Israele, Draghi si era impegnato con l’allora primo ministro israeliano Naftali Bennett ad approfondire i rapporti tra i due governi. Si lavorava a un summit bilaterale tra i governi a ottobre da organizzare a Gerusalemme e a una visita in Israele di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, in estate. Poi però entrambi gli esecutivi sono caduti in Parlamento spianando la strada alle elezioni che hanno portato Meloni a Palazzo Chigi e riportato Netanyahu alla guida del governo israeliano. Appuntamento nel 2023, forse già nella prima metà dell’anno.

(Formiche.net, 24 novembre 2022)

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La Grande Restaurazione dei conservatori d’Occidente

Fratelli d’Italia ha costruito l’immagine di partito conservatore attraverso i legami con Likud (Israele) e Repubblicani (Usa)

di Lorenzo Bagnoli e Christian Elia

Ci sono voluti anni di conferenze, dibattiti, incontri pubblici per ricostruire l’identità politica dei nuovi conservatori italiani. Una “Grande Restaurazione”, un ritorno in auge delle destre nazionaliste “di governo”. In Italia, questa fase storica ha prodotto Giorgia Meloni presidente del Consiglio: un governo in cui il primo partito – Fratelli d’Italia – continua a tenere la fiamma mussoliniana nel simbolo, ricordano le opposizioni; un governo semplicemente conservatore, replica invece la vasta rete di alleati nella destra internazionale. Quella di Fratelli d’Italia è in ogni caso una mutazione politica da opposizione nata dalle ceneri del fascismo e diventata formazione di governo a guida di una coalizione percepita dagli altri partiti conservatori esteri come centro-destra.
  Questa nuova identità è passata anche attraverso il consolidamento di due storiche alleanze molto lontane dall’universo del fascismo d’Europa: quella con il partito Repubblicano negli Stati Uniti e quella con il Likud in Israele.
  Se per la Lega di Matteo Salvini e le altre forze della destra identitaria tra il 2015 e il 2019 il modello di partito era Russia Unita di Vladimir Putin (con i quali la Lega ha stretto un accordo programmatico), per Fratelli d’Italia a svolgere lo stesso ruolo sono stati il partito conservatore negli Stati Uniti e il Likud in Israele. Entrambe queste formazioni appartengono all’eurogruppo dei Conservatori e dei riformisti europei (Ecr nella sigla in inglese), proprio come Fratelli d’Italia. Rappresentano i valori di Dio, patria e famiglia all’interno del contesto atlantista. Sono la versione del pensiero della destra identitaria nazionalista, diversa dalla destra identitaria “delle piccole patrie” della Lega.
  La fase emergente delle forze identitarie stile Lega si è eclissata dopo una serie di scandali nel 2019 (nel caso del Carroccio, l’affaire Metropol) e soprattutto con lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha reso l’alleato Russia Unita impresentabile in Europa. La stessa Lega, nel corso degli ultimi due anni, aveva anche cercato di ravvivare i propri legami con Israele, che come abbiamo già raccontato sono datati 2011, ma senza la sponda Likud.

• Il conservatorismo delle nazioni
  Tra le prime uscite pubbliche di Giorgia Meloni dopo aver vinto le elezioni del 25 settembre, c’è stata la commemorazione del rastrellamento al Ghetto di Roma. «Il 16 ottobre 1943 è per Roma e per l’Italia una giornata tragica, buia e insanabile», ha detto. Quel giorno, all’alba, uomini, donne e bambini ebrei vennero strappati alle loro case dai nazifascisti e avviati alla deportazione, che per la maggior parte di loro volle dire sterminio fisico. «Un orrore che deve essere da monito perché certe tragedie non accadano più», ha concluso la leader di Fratelli d’Italia.
  Francesco Giubilei – presidente della Fondazione Tatarella e di Nazione Futura, due delle organizzazioni più attive nella costruzione dell’internazionale dei conservatori occidentali – ritiene che l’uscita di Meloni non risponda a una convenienza politica ma a una reale vicinanza: «La destra istituzionale ha da sempre questo atteggiamento nei confronti del mondo ebraico e di Israele». «È chiaro che l’Occidente – prosegue Giubilei – è costituito da tre grandi anime: il mondo europeo, cioè noi, il mondo americano e il mondo israeliano».
  «Destra istituzionale» è una definizione che abbraccia la compagine di governo, di contrasto con «posizioni margini» di coloro che, nell’estrema destra, sono contrari alla stessa esistenza di una nazione ebraica. “Nazione” è proprio uno dei concetti sui quali si è rinsaldato il nuovo spirito dei conservatori. La National Conservatorism Conference è la piattaforma internazionale dove, secondo Giubilei, avvengono alcuni degli scambi più proficui. È una piattaforma prettamente politica ma che ricorda per certi aspetti il World Congress of Families (Wcf) di cui abbiamo parlato in passato.
  Si parla degli stessi valori di sicurezza, di contrasto all’immigrazione, di religione, di difesa della famiglia tradizionale, di Stati-nazione contrapposti alle istituzioni europee. Queste idee prendono forma nel movimento National Conservatorism, il quale è promosso dalla Fondazione Edmund Burke, nata nel 2019 e guidata dall’intellettuale israelo-americano Yoram Hazony. Ha sede a Washington, dispone di poco meno di 500 mila dollari, messi a disposizione da fondazioni americane con una forte presenza in Israele. Nel dettaglio, dai dati del 2019 si legge che la Fondazione Edmund Burke ha ottenuto 174 mila dollari dal Jewish Philosophy Fund, fondo a sua volta sostenuto principalmente dalla Ner Tzion Foundation, di cui è sempre presidente Hazony. Altri 100 mila dollari provengono dal Thomas D. Klingenstein Fund il cui fondatore, Tom Kilngestein, è un filantropo pro Trump che ritiene che «siamo in una guerra civile fredda e che il nostro nemico – che lui chiama “il risveglio dei comunisti” – stia vincendo, in gran parte perché i leader repubblicani non si sono ancora impegnati», si legge sul suo sito. Yoram Hazony presiede anche l’Hertzl Institute, il cui scopo è «contribuire alla rivitalizzazione del popolo ebraico, dello Stato di Israele e della famiglia delle nazioni attraverso un rinnovato incontro con le idee fondamentali dell’ebraismo», si legge nel sito.

• L’avanguardia del pensiero conservatore è di casa tra Israele e Stati Uniti.
  All’ultima edizione della conferenza europea del National Conservatorism, tenutasi a Bruxelles a marzo, hanno partecipato tra gli altri i primi ministri di Slovenia e Polonia, Janez Janša e Mateusz Morawiecki; parlamentari ed europarlamentari da Grecia, Ungheria, Croazia, Finlandia, Paesi Bassi, Spagna e Gran Bretagna, affiliati sia al Partito popolare europeo sia a Ecr. Per l’Italia erano presenti il leghista Lorenzo Fontana (oggi presidente della Camera) e Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia con una lunga militanza in Forza Italia e presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia tra Italia e Israele, che in un’intervista con Formiche ha spiegato che non avrebbe «mai aderito al partito» se non fosse stato certo «dell’amicizia profonda e del rispetto che Giorgia Meloni ha degli ebrei e dello Stato d’Israele».
  I partiti di destra sono «più vicini alle istanze degli ebrei e di Israele», è il commento di Giubilei. Da un lato cita il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, in cui dopo aver parlato dei «passi in avanti verso una piena e consapevole storicizzazione del Novecento», ha affermato: «Combatteremo qualsiasi forma di razzismo, antisemitismo, violenza politica, discriminazione». Dall’altro, ricorda un evento organizzato dalla Lega nel gennaio 2020 intitolato Le nuove forme dell’antisemitismo. Aveva fatto notizia perché la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, aveva rifiutato di prendervi parte perché, aveva dichiarato, «occorre anche la ripulsa del razzismo».
  «Gli amici di Israele – dichiarava Salvini alla chiusura della conferenza – sono amici della libertà, dei diritti, del progresso e della pacifica convivenza tra i popoli» e parlava di imparare dal passato per evitare qualunque forma di antisemitismo. Riassume così lo svolgimento dell’incontro Lidia Baratta su Linkiesta: «La conclusione è che l’aumento dei flussi migratori in Europa genera un aumento della presenza di cittadini musulmani, da cui si spiega anche l’impennata degli episodi di antisemitismo nel vecchio continente, in un clima di odio verso lo Stato di Israele generato da una alleanza “rosso-verde” tra la sinistra favorevole alle frontiere aperte e l’Islam».

• L’uso politico dell’antisemitismo
  Il giorno dopo l’evento promosso dalla Lega, il governo ha adottato la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), «un organismo intergovernativo il cui scopo è porre il sostegno dei leader politici e sociali dietro la necessità di educazione, memoria e ricerca sull’Olocausto sia a livello nazionale che internazionale», come recita la presentazione dell’iniziativa sul sito del Consiglio d’Europa, con una conseguente strategia di contrasto all’antisemitismo.
  La definizione è un passo in avanti nel contrasto ai crimini di odio verso gli ebrei, a cui hanno partecipato anche importanti esponenti delle comunità ebraiche. Del percorso per raggiungere la definizione parleremo in un’altra puntata della serie, mentre qui ci concentriamo sui problemi posti dal modo attraverso cui alcuni partiti di destra stanno cercando di utilizzare la definizione.

• La definizione: Il movimento BDS
  Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) è un movimento internazionale che si ispira alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Obiettivo degli attivisti è colpire gli interessi economici d’Israele, denunciare le relazioni di aziende internazionali con i territori occupati illegalmente in Palestina, per sensibilizzare l’opinione pubblica e aumentare la pressione politica internazionale su Israele.
  Già prima dell’approvazione in Italia della definizione, a livello di istituzioni locali ci sono stati diversi tentativi di usare l’antisemitismo per colpire alcune organizzazioni umanitarie, politiche e sindacali. Un esempio è la mozione presentata dal Gruppo consiliare della Lega alla Regione Lombardia il 19 dicembre 2019.
  Si legge nel testo che «è emerso lo stretto legame tra antisemitismo e le violenze ad esso collegate con il crescente sentimento di delegittimazione e boicottaggio dello Stato ebraico, con particolare riferimento al Movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) che ha mostrato sin dalla sua nascita molteplici tendenze antisemite; in Italia, sono numerosi i gruppi che hanno firmato l’appello BDS, tra cui organizzazioni politiche come Rifondazione Comunista e Comunisti italiani, sindacali come FIOM-CGIL e ONG come “Un Ponte Per…” e Servizio Civile Internazionale; Alcune di queste realtà inoltre sarebbero beneficiarie di finanziamenti pubblici, essendo organizzazioni accreditate presso il Ministero Affari Esteri».
  La mozione alla fine è stata approvata. Come in Lombardia, è accaduto anche altrove, con altre organizzazioni inserite sotto tiro.
  Alcune delle organizzazioni bersaglio delle mozioni in Italia sono indicate come sostenitrici del movimento BDS e di conseguenza antisemite. “Un Ponte per…” insieme ad altre sei organizzazioni italiane già nel 2017 era stata bollata come organizzazione terroristica dal governo di Israele, grazie all’interpretazione della legge antiterrorismo varata l’anno precedente: «Si tratta del culmine di una lunga campagna diffamatoria, denigratoria, di delegittimazione e intimidazione che il governo israeliano da anni sta portando avanti, anche con il supporto di organizzazioni come NGO Monitor, contro le organizzazioni della società civile palestinese impegnate nella difesa e promozione dei diritti umani», scriveva “Un Ponte Per…” nel comunicato.
  In Israele c’è un’organizzazione che si occupa del monitoraggio delle ong “politicizzate”: si tratta dell’Institute for Ngo Research – Ngo monitor, un portale fondato nel 2002 da Gerald M. Steinberg, professore emerito dell’Università Bar Ilan e forte critico del ruolo di ong come Amnesty International o Human Rights Watch nella politicizzazione del conflitto in Palestina ai danni di Israele. Nella pagina sull’Italia, si trovano nominate come ong “politicizzate” COSPE, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, ActionAid, Islamic Relief Palestine (IRPAL), Save the Children, Oxfam, Norwegian Refugee Council e WeWorld – Gruppo Volontariato Civile Onlus, tutte organizzazioni con un’ottima reputazione nel contesto italiano.
  Ngo Monitor è ritenuto una fonte affidabile da Barbara Pontecorvo, che la nomina in una conversazione con IrpiMedia a inizio novembre. L’avvocatessa – a capo del più importante osservatorio sull’antisemitismo in Italia, l’Osservatorio Solomon – ha precisato che «non esiste un uso politico dell’antisemitismo» e che l’odio verso gli ebrei è un fenomeno reale sia nell’estrema destra, sia nell’estrema sinistra. Ha specificato che la sua organizzazione è apolitica e non prende fondi da alcun Paese e si fonda sul lavoro di volontari, tutti professionisti che dedicano il loro tempo libero. Il Jerusalem Post nel 2018 ha indicato Solomon come una delle organizzazioni impegnate nel contrasto al movimento BDS invitate in Israele dal ministero per gli Affari Strategici, dal 2006 al 2021 dicastero predisposto ad attività di intelligence e contrasto delle minacce verso lo Stato ebraico.
  Il tema dell’antisemitismo e dell’amicizia delle destre con Israele sta impattando sulle stesse comunità ebraiche, che al loro interno presentano posizioni molto sfaccettate.
  La lista Milano Ebraica, componente della Comunità ebraica milanese, a maggio ha chiesto le dimissioni del presidente della Comunità ebraica, Walker Meghnagi, dopo che quest’ultimo aveva espresso vicinanza a Fratelli d’Italia e a Ignazio La Russa, che l’aveva invitato a un evento programmatico del partito. Meghnagi, in un articolo pubblicato dalla testata della comunità ebraica Mosaico, aveva spiegato: «Sto seguendo con attenzione l’evoluzione della destra che, seppur dimostri vicinanza allo Stato di Israele e abbia fatto passi avanti nella consapevolezza della storia della Shoah, ha ancora una forte necessità di fare i conti con le sue pericolose frange estremiste, condannando senza ambiguità gli orrori del fascismo».
  Nel 2020, sempre su Mosaico, un gruppo di giovani ebrei tra Italia e Israele aveva scritto un appello per esprimere «la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, oggi, al piano di annessione previsto dal nuovo governo israeliano», in vista dell’inizio del piano previsto per la Cisgiordania dal luglio 2020. All’appello aveva risposto proprio l’Osservatorio Solomon, replicando sulla stessa testata: «Il “gruppo di giovani ebrei” autori della lettera ha di fatto lanciato un suo manifesto politico, avendo dichiarato: “Ci accomuna la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi”. Così facendo, costoro hanno avallato un ricorrente argomento di propaganda antiebraica, dissimulato in “opposizione all’occupazione”, utilizzato da numerose entità ostili all’esistenza stessa d’Israele, ma contrario alla realtà storica ed al diritto internazionale, per il quale Israele sarebbe uno Stato insediato su terre palestinesi».
  Il giornalista e scrittore ebreo David Bidussa, tra il 2015 e il 2018 direttore della Fondazione Feltrinelli, in un editoriale dell’ottobre 2022 su DoppioZero dà una sua interpretazione del modo in cui Fratelli d’Italia sta facendo i conti con il proprio passato:
  «Fratelli d’Italia nasce dalla convinzione che il Pdl e soprattutto la linea politica di Gianfranco Fini aveva portato all’annullamento dell’identità del post-fascismo italiano – scrive Bidussa-. Dunque la scelta politica di fondare un nuovo soggetto significava invertire il percorso inaugurato nel 1993-1994 – al netto del carattere problematico di quel processo –, tornare al bivio di quella scelta per riprendere la strada della continuità che quel percorso aveva messo in questione». Perché «le radici profonde non gelano mai», come diceva J.R.R. Tolkien, scrittore di cui la destra si è appropriata per la fascinazione che ne subiva Benito Mussolini. Anche quando si diventa “conservatori”.

(Irpimedia, 24 novembre 2022)

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Roy Chen, fantasmi ebraici di sfida e speranza

L'INTERVISTA. Parla l’autore di «Anime», un brillante esordio edito da Giuntina. Il viaggio di Grisha, che si reincarna da 400 anni, da uno shtetl del XVII secolo alla Giaffa di oggi. «Il protagonista illustra il mio album di famiglia personale. Tel Aviv dove sono nato, il Marocco di mia madre, la Russia delle mie radici letterarie, il Ghetto di Venezia. E, infine, Dachau». «La mia famiglia da parte di padre abita in Israele da 500 anni: il mio bisnonno era un traduttore dall’arabo. Sono sicuro che se non impariamo a vivere insieme sarà la nostra fine».

di Guido Caldiron

Grisha e Marina, sua madre, vivono a Giaffa, la vecchia città di mare col tempo inglobata nell’area urbana di Tel Aviv. In Israele sono arrivati dall’ex Unione sovietica, ma lui che oggi ha quarant’anni e ha l’aspetto di un giovane uomo chiuso e un tantino depresso, di vite dice di averne vissute davvero tante. Sono quattrocento anni che si reincarna e che, di volta in volta, è stato Ghetz, 9 anni, in un villaggio ebraico della confederazione polacco-lituana all’inizio del XVII secolo; Ghedalia, 17 anni, nel ghetto di Venezia nel 1700; Gimol, una donna di 29 anni nella mellah ebraica di Fez, in Marocco, nel 1856 e Golia, parte del «Circo delle pulci», tra le baracche del lager di Dachau nel 1942.
  E mentre Grisha racconta le sue tante vite, le sue tante morti, le sue continue reincarnazioni al di là del tempo, dei luoghi e dei generi, Marina, che legge di nascosto le memorie dell’uomo, spiega ai lettori che è tutto inventato, tutto senza senso e che suo figlio, di vita fa decisamente fatica a condurne normalmente anche una soltanto, la propria.
  Esordio narrativo di Roy Chen (Tel Aviv, 1980), scrittore, traduttore e dal 2007 drammaturgo stabile del Teatro Gesher, uno dei più importanti teatri israeliani, Anime (Giuntina, traduzione di Shulim Vogelmann e Bianca Ambrosio, pp. 336, euro 19) è un romanzo che ne contiene altrettanti, perlomeno quanti servono a descrivere le peripezie di Grisha che attraverso le proprie reincarnazioni sembra tracciare un itinerario nella storia e nella memoria ebraiche. Ad ogni passaggio, trasformazione, nuova vita cambiano anche il tono, la forma, la lingua, consegnando al lettore, al termine del romanzo, la sensazione di aver compiuto, malgrado la costante messa in guardia di Marina dal lasciarsi troppo andare con l’immaginazione, quel viaggio tenendo per mano il suo protagonista, quale ne fosse il nome o il volto in quel momento.

- Partiamo dall’inizio: come è nata l’idea di questo bizzarro romanzo?
  Quando è nato mio figlio, che oggi ha sedici anni, l’ho guardato negli occhi e gli ho chiesto: cosa porti con te? Hai in te tutti i traumi e le felicità del popolo ebraico, o sei una tabula rasa, un foglio bianco sul quale io devo scrivere? Ho deciso di scrivere un romanzo su Grisha, un protagonista che si reincarna per quattrocento anni, un romanzo sulla vita prima della vita e sul nostro rapporto con le generazioni precedenti. Avevo paura di scrivere un romanzo storico, ma Marina, la seconda protagonista del romanzo mi ha salvato perché non crede nella reincarnazione delle anime ed è convinta che suo figlio non è capace di prendere decisioni nella vita.

- Le storie del libro, le «anime» che ne sono al centro, sembrano muovere dall’idea di un cambiamento che però non smarrisce mai fino in fondo le proprie radici: perché ha scelto di evocare proprio la prospettiva della reincarnazione per narrare questo percorso?
  Una delle domande che questo romanzo pone è: «Cambieresti se rinascessi oppure ripeteresti gli stessi errori?». L’errore principale di Grisha è che invece di vivere, è impegnato con la domanda su come vivere mentre Marina, sua madre, crede che di vita ce ne sia una sola e tutto il resto sia una metafora. Si dovrebbe vivere ora. Oggi è l’unico giorno importante.

- Cosa rappresentano per lei i diversi personaggi e le diverse epoche descritte: sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di strano album di famiglia, è così?
  È il mio album di famiglia personale, ogni parte del romanzo rappresenta una delle mie radici. Israele è il luogo dove sono nato. Dal Marocco è venuta la mia famiglia da parte di madre. La Russia rappresenta le mie radici letterarie. Dachau è una parte della storia del mio popolo su cui non potevo soprassedere. E l’Italia, rappresentata dal Ghetto di Venezia – un luogo che è stato multiculturale e affascinante dal punto di vista intellettuale – esprime le radici che avrei voluto avere.

- Si ha l’impressione che «Anime» sia anche in qualche modo una storia di fantasmi ebraici dove la tradizione, la storia e la fede si intrecciano con il soprannaturale, un po’ come accade con la leggenda del Golem. È una prospettiva che le interessava esplorare?
  Credo che anche un ateo abbia il diritto di avere una vita spirituale. La mia sinagoga è il teatro. Ci vado ogni giorno a pregare sui testi che per me sono sacri: Shakespeare, Chechov, Pirandello. I miti sono importanti perché ci aiutano a sentirci meno soli in questo mondo.

- Ritiene che si possa parlare di un «canone israeliano» a proposito della letteratura e se sì pensa che il suo romanzo ne faccia parte o meno?
  Il mio posto nel canone israeliano lo decideranno i lettori o i critici. Per quanto mi riguarda, io mi sento vicino e al tempo stesso lontano a questo «canone». I miei genitori letterari sono Dostoevskij, Salinger e Isaac Bashevis Singer e sì, anche la Bibbia è un libro non male…

- I due narratori principali del romanzo, Grisha e Marina, portano con sé la memoria e i ricordi di luoghi e figure lontane, l’uno per descriverli, l’altra per negarli o metterli in discussione. Quasi una metafora della società israeliana dove ciascuno è giunto da qualche altra parte: una società di immigrati le cui storie non sempre si armonizzano. Voleva ci fosse anche questo nel suo libro?
  Grazie ai miei amici immigrati in Israele ho imparato a guardarmi di lato, a guardare diversamente il mio Paese e la mia lingua. Mi sono innamorato di cose che fino ad allora erano scontate. Israele è un Paese di immigrati e ciò è parte della sua bellezza, della sua varietà. Ma in senso più profondo siamo tutti emigrati. Siamo emigrati tutti da un Paese chiamato infanzia in un Paese chiamato adolescenza e da là in un Paese chiamato età adulta.

- Un’anima che passa da un’epoca all’altra attraverso un filo conduttore costruito sull’identità: viene da pensare alla storia di Israele lungo i più di 70 anni trascorsi dalla sua fondazione. In questa prospettiva viene però anche da chiedersi in cosa il volto attuale del Paese, i politici di estrema destra che lo guidano attualmente, conservino qualcosa degli ideali laici e socialisti della sua nascita e quanto le nuove generazioni che li hanno votati assomiglino o meno a quelle cresciute nei kibbutz?
  Come in tutto il mondo c’è anche in Israele una tendenza forte verso la destra, una destra che si basa sull’intolleranza verso l’altro. Mi fa molta paura. La mia famiglia da parte di padre abita in Israele da 500 anni: il mio bisnonno era un traduttore dall’arabo. Sono sicuro che se non impariamo a vivere insieme sarà la nostra fine. Abbiamo tutti, in tutto il mondo, molto lavoro da fare ancora. Investiamo molto nel culto del corpo, ginnastica, vitamine, botox, ma forse sarebbe meglio investire di più nell’anima.

(il manifesto, 24 novembre 2022)

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Siria, la Russia chiede a Israele di fermare gli attacchi

Mosca chiede ad Israele di smettere con i bombardamenti sul territorio della Siria, ma nessuna risposta positiva alla richiesta.

di Francesca Leoci

La Russia si oppone fermamente agli attacchi aerei israeliani che continuano a colpire la Siria. Israele però sembra non voler ascoltare, né tantomeno seguire, l’opinione di Mosca. Questo, che è stato dichiarato dall’inviato presidenziale per la Siria Alexander Lavrentiev, durante l’incontro internazionale di Astana, esprimendo il suo rammarico.

• No agli attacchi israeliani
  Continuano gli attacchi in Siria da parte dell’Israele, ma la Russia si oppone ai bombardamenti aerei che avvengono sul territorio. Dopo il 19° incontro internazionale sulla Siria nel formato di Astana, l’inviato presidenziale per la Siria Alexander Lavrentiev ha dichiarato mercoledì il rammarico che prova perché l’Israele continua a non ascoltare l’opinione di Mosca.
  “Per quanto riguarda gli attacchi aerei israeliani, siamo fermamente contrari a tali azioni da parte di Israele, anche se continuano a dire che questo è un loro diritto legale. Ma vediamo che le persone muoiono, non solo le infrastrutture e l’arsenale vengono distrutti, e tutto questo sta accadendo su territorio di uno stato sovrano”, ha detto Lavrentiev, precisando che “tali azioni, ovviamente, sono illegali e non rispettano alcuna norma e legge internazionale. Non stiamo solo chiedendo, chiediamo che Israele fermi questi attacchi aerei e continueremo a farlo”.
  La posizione da parte del governo israeliano, secondo l’inviato siriano, richiede un aggiustamento.

(NewsMondo, 23 novembre 2022)

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Guerra in Ucraina: “Ora bisogna trattare”

di Antonio Giuseppe Di Natale

C’è qualcosa di inquietante che non si riesce a comprendere nella guerra russo-ucraina. Le dichiarazioni fatte dal generale polacco Mieczyslaw Biniek, cioè che dal 2016 truppe speciali ucraine erano state addestrate dalla Nato per far fronte ad una possibile/probabile invasione russa, lasciano sconcertati. La rivelazione del generale fatta al quotidiano “La Repubblica” apre scenari che gli storici dovranno sviscerare. L’alto ufficiale polacco ha svolto ruoli di primo piano nell’Alleanza nordoccidentale, in quanto era vicecomandante strategico della Nato e ha partecipato, insieme agli americani, nelle guerre in Medio Oriente e in Afghanistan.
  Parrebbe che l’Alleanza atlantica, secondo l’ufficiale, si stesse preparando ex ante a sostenere il conflitto che si è concretizzato il 24 febbraio di quest’anno. Come abbia fatto l’intelligence a prevedere la guerra ben sei anni prima rimane un mistero. Si spiega però, ex post, la ferocia dei russi contro il battaglione Azov che ha resistito a lungo dentro le acciaierie Azovstal. Durante l’assedio all’impianto industriale, si vociferava della presenza di istruttori Nato all’interno della struttura. La cattura dei militari assediati era finalizzata a far emergere la partecipazione di soggetti appartenenti al Patto Atlantico. Elemento, questo, che avrebbe permesso alla propaganda della Federazione Russa di “giustificare” l’invasione, in quanto si stava adottando la strategia di accerchiamento della Nato ai confini della Russia.
  Nelle condizioni date, è mai possibile che nessuno dei leader occidentali si assuma l’iniziativa politica per una risoluzione negoziata della crisi? Il costo in vite umane ha raggiunto livelli che non si registravano dai tempi dei conflitti mondiali. I mesi invernali aumenteranno il numero delle vittime, in ragione del freddo intenso tipico di quelle aree del mondo. La strategia militare, adottata dai generali russi, di puntare sulla distruzione delle infrastrutture energetiche ucraine può letteralmente modificare le sorti dello scontro. A chi giova tenere un intero popolo al freddo e alla fame? Il generale americano Mark Milley ha dichiarato “ora bisogna trattare”. Ha perfettamente ragione!

(l'Opinione, 23 novembre 2022)
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"Ora bisogna trattare", dice adesso il generale americano. Prima no. Prima non si doveva dire. Guai a chi l'avesse detto: era accusato di putinismo, un'etichetta di infamia pari quasi a quella di no vax. Gli Stati Uniti hanno sostenuto la guerra per procura contro la Russia e chi ne sta facendo le spese sono prima di tutto gli ucraini. Poi gli europei. Questo era chiaro fin dall'inizio, ma l'impero del Bene targato USA sentiva il dovere morale di combattere a tutti i costi l'impero del Male targato Russia. Adesso i costi si vedono, ma che importa? E' una questione di principio, dicono. La libertà, la democrazia, ecc. ecc. M.C.

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Gerusalemme, due attentati terroristici: un morto e 19 feriti

Questa mattina due attentati terroristici hanno colpito Gerusalemme. Il bilancio è di un morto e 19 feriti. La prima bomba è esplosa poco dopo le 7 del mattino nei pressi di una fermata dell’autobus all’ingresso della città. La seconda esplosione si è verificata mezz'ora dopo a Ramot, quartiere a nord di Gerusalemme.
  I feriti, due dei quali in gravi condizioni, sono stati trasportati presso il servizio d’emergenza del Magen David Adom. La polizia sta perlustrando l’area e ha avviato le indagini. Le autorità pensano ad un attacco coordinato: “E’ un tipo di attacco che non si vedeva da molti anni” ha detto il commissario della polizia Kobi Shabtai , esortando i civili a fare attenzione ai pacchi sospetti.
  La Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello, ha commentato in un tweet l’accaduto: “Due attentati terroristici a Gerusalemme un morto e diciannove feriti, tra cui tanti bambini che andavano a scuola. Non può esserci pace con chi odia, uccide e giustifica il terrore”.

(Shalom, 23 novembre 2022)


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Gerusalemme, il terrore torna a uccidere

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Aveva 16 anni Aryeh Shtsupak, la giovanissima vittima del duplice attacco terroristico che ha colpito Gerusalemme nelle scorse ore. Quando uno degli ordigni è esploso si stava dirigendo in una yeshivah, una scuola religiosa ebraica situata nelle vicinanze. Secondo quanto riporta la stampa israeliana Shtsupak era un cittadino canadese e viveva nel quartiere di Har Nof.
  Numerosi i feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. Il primo attacco è avvenuto alle 7 ora locale con l’esplosione di un ordigno a una fermata di un autobus all’ingresso della città a nord. Mezz’ora dopo un’altra esplosione si è verificata a un’altra fermata poco distante.
  Il Presidente dello Stato ebraico Isaac Herzog, commentando l’accaduto, ha testimoniato la propria vicinanza “ai familiari delle vittime”, esprimendo l’auspicio di una pronta “guarigione dei feriti”. Herzog si è anche detto certo del fatto che le forze di sicurezza “agiranno con tutta la loro forza per sradicare il terrorismo in generale, e in particolare i responsabili degli attacchi odierni”.
  Il commissario della polizia israeliana Kobi Shabtai, visitando i luoghi colpiti dai terroristi, ha detto che potrebbero esserci stati due attentatori. “È un tipo di attacco che non si vedeva da anni” ha dichiarato Shabtai, invitando i cittadini a stare attenti ai pacchi sospetti. Due paramedici intervenuti sulla scena del primo attacco hanno raccontato di aver sentito l’esplosione mentre si trovavano alla stazione del Magen David Adom: “Abbiamo avvertito una forte esplosione e siamo subito andati sul posto. Due feriti erano sdraiati in gravi condizioni: uno di loro era un ragazzo di 16 anni”.

(moked, 23 novembre 2022)

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Ucraina, Israele cede alle pressioni Usa

Il regime degli Stati Uniti ha spinto Israele a un accordo per fornire all’Ucraina misteriosi “materiali strategici”, ha rivelato giovedì il quotidiano israeliano Haaretz. Secondo quanto riferito, Tel Aviv vuole che i dettagli dell’accordo siano tenuti nascosti per evitare di infastidire Mosca.
  Citando tre “alti funzionari diplomatici europei”, Haaretz ha riferito che Washington si è avvicinata al governo di occupazione israeliano diverse settimane fa, sollecitandolo a fornire all’Ucraina batterie antiaeree. Sebbene l’entità sionista abbia rifiutato, ha invece accettato di finanziare i “materiali strategici”.
  Diversi milioni di dollari sono stati trasferiti a “uno stato membro della Nato che è profondamente coinvolto nella fornitura di attrezzature militari all’Ucraina”, spiega il rapporto.
  Questo Stato ha quindi acquistato i materiali e li ha inviati in Ucraina. Le fonti di Haaretz hanno chiesto che la natura di questi materiali fosse tenuta segreta, mentre Tel Aviv ha chiesto a tutte le parti coinvolte nell’accordo di non rivelarlo pubblicamente, “per non far arrabbiare il presidente russo Vladimir Putin”.
  Il rapporto di Haaretz non ha nominato il membro della Nato coinvolto nell’accordo. Tuttavia, assomiglia a un precedente accordo di mercato grigio che coinvolgeva la Polonia.
  A settembre, il sito di notizie ebraico Zman Yisrael ha riferito che almeno un appaltatore della difesa israeliano stava spedendo sistemi anti-drone in Polonia, con Varsavia che poi li inviava in Ucraina.
  Secondo quanto riferito, il governo israeliano ha chiuso un occhio su questo accordo, nonostante il suo rifiuto ufficiale di fornire armi offensive a Kiev.

(Il Faro sul Mondo, 23 novembre 2022)

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Aperta inchiesta contro l’Università di Berkeley, per discriminazione a danno degli studenti “sionisti”

di Michael Soncin

L’antisemitismo ha preso ormai forma nei campus universitari degli Stati Uniti, discriminando gli studenti attraverso il già conosciuto antisionismo, una fetta avvelenata, che si aggiunge alle altre forme di odio verso gli ebrei.
  Alla luce di questi gravissimi episodi a sfondo razzista, come riporta Algemeiner, è stata aperta un’inchiesta contro l’Università della California a Berkeley, per le discriminazioni nei confronti degli oratori sionisti, in seguito alla decisione avvenuta nel mese di agosto 2022, dove almeno 9 gruppi studenteschi, attraverso un regolamento, volevano escludere gli oratori sionisti dagli eventi organizzati all’interno dell’università.
  Tale proposta è stata contestata dall’Ufficio per i Diritti Civili del Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti. Domenica scorsa gli avvocati Arsen Ostrovsky e Gabriel Groisman hanno presentato una denuncia al Governo federale. Nel dettaglio la querela chiede al dipartimento di competenza di indagare sull’università per la “profonda e radicata discriminazione antisemita”, che viola il Titolo VI della Legge sui Diritti Civili.
  Chi ha perpetrato questo atto discriminatorio ha chiaramente voluto nascondere l’odio verso gli ebrei, volendo escludere solo i “sionisti”. Questo è quanto è stato riportato in un comunicato dai due avvocati, aggiungendo che: “Questo velo sottile è completamente trasparente, poiché il sionismo è un elemento integrale, indispensabile e centrale dell’identità ebraica“.
  Inoltre, la denuncia chiede al Governo Federale di obbligare l’Università ad adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA, ‘International Holocaust Remembrance Alliance, istituendo anche un programma formativo che educhi all’antisemitismo, nuove varianti incluse.
  “Per molti ebrei, il sionismo è una componente fondamentale della loro identità e del loro patrimonio etnico e ancestrale. Come istituzione educativa, ci auguriamo che i gruppi studenteschi che hanno sottoscritto la proposta “Nessun oratore sionista”, si impegnino nel dialogo su questi temi”. È quanto si legge da una dichiarazione di ottobre firmata da Erwin Chemerinsky, preside della Facoltà di Legge, assieme ad altri due docenti.
  Secondo le fonti il preside non avrebbe adottato dei provvedimenti significativi in merito al divieto proposto, informando che “nessuno avrebbe escluso un oratore per il fatto di essere ebreo o di avere particolari opinioni su Israele”, ribadendo che se una cosa del genere dovesse mai accadere sarebbe “soggetta a sanzioni”.
  Poco importa se la proposta sia o meno stata messa in pratica. Stando i fatti concreti, è già molto grave solo avere pensato ad una simile idea. La storia ci insegna già quanto le idee possano diventare pericolose. Questo fatto è un campanello d’allarme da non sottovalutare.

(Bet Magazine Mosaico, 23 novembre 2022)

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La posizione di Lucio Malan sull’omosessualità

Per spiegarla il capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato ha citato la Bibbia, che parla di «abominio».

In un’intervista data a Un Giorno da Pecora (Rai Radio1) Lucio Malan, oggi capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, ha spiegato i motivi per cui aveva deciso di lasciare Forza Italia e unirsi al partito di Giorgia Meloni. Malan ha detto che una delle ragioni era stato l’appoggio di Forza Italia al governo Draghi, il quale aveva sostenuto il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia e altre discriminazioni. Il ddl Zan era stato approvato alla Camera e poi, dopo mesi di scontri e discussioni, nell’ottobre del 2021 era stato affossato al Senato dai partiti della destra e da un certo numero di “franchi tiratori”.
  Durante l’intervista, a Malan è stato fatto notare che la chiesa valdese, di cui lui fa parte, è favorevole ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Malan ha precisato che non c’è «il dovere di obbedienza» e che «la chiesa evangelica valdese è fondata sulla Bibbia e non sulla gerarchia» aggiungendo che nella Bibbia ci sono parole molto esplicite sulle persone omosessuali. Quando gli è stato chiesto se nella Bibbia ci fosse scritto che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono vietati, lui ha risposto:
  «C’è scritto di peggio, se vogliamo, e in modo anche più esplicito. Non sui matrimoni ovviamente, che nessuno ha mai pensato che potessero esserci duemila anni fa. C’è scritto che l’omosessualità è un abominio e una serie di altre cose, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento».
  Nella Bibbia l’omosessualità viene menzionata più volte, e anche se non vi è consenso su come esattamente debbano essere interpretati questi passi, degli atti omosessuali, così come di tutte le pratiche che avvengono fuori dal matrimonio, viene dato un giudizio negativo. Il Catechismo della Chiesa cattolica (cioè l’esposizione ufficiale della catechesi della Chiesa cattolica in una grande sintesi di tutta la sua dottrina) dice che «appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (Genesi 19:1-29; Lettera ai Romani 1:24-27; Prima lettera ai Corinzi 6:9-10; Prima lettera a Timoteo 1:10), la tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”».
  Nel Libro del Levitico dove vengono elencate tutte le forme vietate di rapporti sessuali si dice: «Non devi giacere con un maschio come fai con una donna: è un abominio». E ancora: «Se un uomo giace con un maschio come fa con una donna, hanno commesso tutti e due un abominio: saranno messi a morte entrambi. Il loro sangue ricadrà su di loro». E nel Nuovo Testamento, nella Lettera ai Romani, Paolo parla di donne che «hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura» e di uomini che abbandonano «il rapporto naturale con la donna (…) commettendo atti ignominiosi uomini con uomini».
  Secondo l’interpretazione tradizionale e letterale, considerata largamente superata, sia l’Antico che il Nuovo Testamento sono concordi nel rifiutare le relazioni tra persone dello stesso sesso.

(il Post, 23 novembre 2022)
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Qualcuno ha detto che fra poco sarà messo sotto accusa anche chi dice che due più due fa quattro. Ci siamo già arrivati. Dire che nella Bibbia l'omosessualità (volutamente praticata) è un abominio, è come dire che due più due fa quattro. Grazie per averlo detto, senatore Malan. M.C.

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La diplomazia del football, primi voli tra Israele e Qatar

MILANO - Il primo volo commerciale tra Israele e il Qatar, due paesi senza relazioni diplomatiche, è partito domenica da Tel Aviv per Doha nell'ambito di un programma speciale per la Coppa del Mondo FIFA.

(askanews, 21 novembre 2022)

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Duello Netanyahu-ultradestra sul ministero della Difesa. Smotrich lo pretende, ma gli Usa frenano

Per il premier incaricato, insidie nella formazione del governo, con il leader del Partito Sionista Religioso che pretende il cruciale dicastero. Il nodo del controllo della Cisgiordania e le possibili reazioni degli Stati arabi partner degli Accordi di Abramo.

di Rossella Tercatin

GERUSALEMME – Ancora stallo in Israele nella formazione del nuovo governo. A più da una settimana da quando Benjamin Netanyahu ha ricevuto l’incarico di formare l’esecutivo, dopo essersi assicurato il sostegno di 64 parlamentari sui 120 della Knesset, i negoziati con i partner di coalizione si mantengono burrascosi. E per il leader del Likud, le grane principali arrivano da destra, e in particolare dal capo del Partito Sionista Religioso Bezalel Smotrich.
  Per gran parte della campagna elettorale a finire sotto le luci dei riflettori è stato Itamar Ben Gvir. La sua formazione di estrema destra Otzma Yehudit (“potere ebraico”) ha corso alle elezioni in una lista unica con i Sionisti Religiosi di Smotrich – insieme al gruppo dichiaratamente omofobo Noam. Ben Gvir, pronto a brandire la sua pistola personale in occasione di alterchi con arabo-israeliani e a tessere le lodi del rabbino Meir Kahane, bandito dalla Knesset negli anni Ottanta per razzismo, ha condotto una campagna elettorale con il piglio di una rock star.
  E tuttavia è Smotrich, che gli analisti giudicano meno impetuoso ma altrettanto inflessibile e più disciplinato, che oggi presenta a Netanyahu il conto più salato per l’appoggio dell’ultradestra (i tre partiti della lista dopo le elezioni si sono separati come da programma, anche se hanno promesso di continuare a coordinarsi tra loro.
  Smotrich infatti insiste nel reclamare la posizione di Ministro della Difesa. Un ministero chiave per tutti gli Stati del mondo, ma cruciale in un paese che è ancora formalmente in guerra con due dei suoi Stati confinanti, che si confronta quotidianamente con la minaccia del terrorismo e che mantiene il controllo militare della Cisgiordania, un’area che le autorità israeliane definiscono come contesa e la comunità internazionale come occupata.
  Proprio il controllo della Cisgiordania rappresenta una delle ragioni cruciali per cui Smotrich non vuole rinunciare al Ministero della Difesa. Rafforzare la presenza ebraica in Cisgiordania – le regioni bibliche di Giudea e Samaria – rappresenta un punto fondamentale per il Partito Sionista Religioso. Con l’obiettivo esplicito di impedire per sempre la nascita di uno Stato palestinese e anzi di arrivare all’annessione da parte di Israele.
  Se Netanyahu secondo quanto è stato riportato dalla stampa israeliana è stato pronto ad accogliere la richiesta di Otzma di legalizzare alcune decine di avamposti in Cisgiordania, il leader del Likud non vuole accogliere le pretese di Smotrich, cui oltretutto manca esperienza significativa nell’esercito, dove ha servito per soli 14 mesi quando era già ventottenne (per i ragazzi israeliani di solito la leva dura tre anni e molti leader politici, incluso lo stesso Netanyahu, vantano periodi ancora più lunghi, spesso in unità di élite).
  A suggerire prudenza con le nomine chiave del governo è stato anche il primo alleato di Israele nel mondo, gli Stati Uniti. L’ambasciatore americano Tom Nides, incontrando Netanyahu dopo le elezioni, ha esplicitamente chiesto di considerare attentamente gli incarichi per certe posizioni date le ramificazioni in materia di sicurezza e gli stretti contatti tra gli establishment della difesa dei due paesi.
  Come notano gli analisti poi, lo stesso Netanyahu – che ha già servito come primo ministro per un totale di quasi 15 anni - e ininterrottamente dal 2009 al 2021 – in passato sulla questione di insediamenti e operazioni militari si è dimostrato assai più pragmatico di quanto la sua retorica non voglia far credere. Nel 2020 per esempio, dopo aver annunciato che il suo governo avrebbe annesso parti della Cisgiordania, ritirò il piano un paio di mesi dopo. Nelle diverse operazioni militari contro Hamas, l’organizzazione terroristica che controlla Gaza, Netanyahu ha sempre evitato di trasformare i pure durissimi conflitti in guerra totale contro il regime, scontentando i falchi che la evocavano.
  Oggi il premier incaricato si preoccupa di mantenere buoni rapporti con Washington, magari nella speranza che un presidente repubblicano più aperto alle rivendicazioni di Israele sostituisca Biden alla Casa Bianca nel 2024. Ma Netanyahu spera anche di vedere altri paesi arabi entrare a far parte degli Accordi di Abramo. Anche se la questione palestinese è meno centrale di un tempo nei palazzi del potere degli Stati arabi, implementare la visione di Smotrich potrebbe non solo impedire nuovi sviluppi positivi ma mettere a repentaglio quanto già ottenuto.
  Da qui l’impasse. Smotrich non appare aperto a compromessi, né ideali né politici. Netanyahu ha cercato finora invano di convincerlo ad accettare il Tesoro – che pure è rivendicato da un altro alleato chiave, il partito ultraortodosso sefardita Shas.
  Pure Otzma Yehudit ha annunciato l’interruzione dei negoziati con il Likud dopo che è stata respinta la richiesta del Ministero per lo Sviluppo del Negev e della Galilea, oltre a quello della Sicurezza Interna rivendicato da Ben Gvir.
  Netanyahu ha altre tre settimane prolungabili di altre due per formare il governo.
  Due anni fa, fu una sua operazione politica a far coalizzare Smotrich e Ben Gvir per evitare che voti di destra andassero sprecati verso partiti che (all’epoca) rischiavano di finire sotto la soglia di sbarramento – offrendo una legittimazione a figure e idee che in precedenza erano considerate inaccettabili nel discorso pubblico israeliano, anche a destra. Oggi quella scelta gli sta costando cara.

(la Repubblica, 22 novembre 2022)

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Ucraina, Zelensky vuole l’Iron Dome per proteggere i suoi. Ma Netanyahu tentenna

di Roberto Colella

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto ancora una volta la fornitura del sistema di difesa aerea israeliano Iron Dome durante una conferenza stampa il 16 novembre con il premier Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo ha affermato che avrebbe preso in considerazione la proposta, visto che al momento a Kiev sono stati forniti solo dei giubbotti antiproiettile per i non combattenti e un ospedale da campo al confine tra Ucraina e Polonia. Già il 15 febbraio, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth riportava che l’Ucraina aveva cercato senza successo il sistema Iron Dome.
  Il 9 novembre, il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha dichiarato ai giornalisti che le capacità produttive di Israele non erano sufficienti per fornire all’Ucraina sistemi di difesa aerea. “È chiaro che anche se si decidesse di cambiare la nostra politica è impossibile svuotare la nostra fornitura di sistemi di difesa aerea” ha affermato Gantz.
  Tuttavia, durante le osservazioni a una tavola rotonda dello Stimson Center sull’Ucraina e il futuro della guerra aerea pronunciate il 14 novembre, Tom Karako, membro anziano del Programma di sicurezza internazionale e direttore del Progetto di difesa missilistica presso il Centro per gli studi strategici e internazionali, è apparso contraddittorio su quanto riferito da Gantz: “C’è un sistema che gli Stati Uniti potrebbero condividere, ma non l’hanno fatto ed è il nostro Iron Dome. Non abbiamo bisogno di togliere nulla a Israele per la sua stessa difesa. Gli Stati Uniti hanno due batterie di Iron Domes”.
  “E se, dal punto di vista della politica estera, Israele dovesse dare il via libera sarebbe un’aggiunta utile” ha continuato Karako riferendosi all’accordo tra Israele e gli Stati Uniti – nazioni che hanno sviluppato congiuntamente l’Iron Dome, solo per vendere la tecnologia a terzi tramite mutuo consenso.
  Dopo le elezioni di questo mese in Israele e il cambio di partito al governo, a Zelensky è stato chiesto se ci fosse stato un cambiamento nelle relazioni con Israele: “Il cambiamento è che siamo tornati in contatto con Netanyahu. Abbiamo trasmesso loro tutti i dettagli riguardanti la difesa aerea. Questa è la massima priorità. Mi ha assicurato che risolverà questo problema il prima possibile”.
  Il sistema Iron Dome è stato progettato appositamente per intercettare razzi a corto raggio, colpi di mortaio e pezzi di artiglieria provenienti dai territorio palestinesi e dall’area del Libano sottoposta al controllo di Hezbollah. Sistema mobile terrestre, l’Iron Dome si colloca nella categoria “V-Shorad”, per la difesa di minacce a raggio più che corto, entro i quaranta chilometri. Si compone di tre elementi principali: il radar Elm 2084, il sistema di gestione e controllo (Bmc) e i lanciatori trasportabili dotati di missili “Tamir”, vettori da tre metri di lunghezza per un diametro di 160 millimetri, peso di 90 chilogrammi e raggio da due a 40 chilometri.
  Una batteria di Iron Dome consiste di 3-4 lanciatori fissi trasportabili su camion ciascuno dei quali dotato di 20 missili “Tamir” associati ad un radar sviluppato dalla israeliana Elta. Ogni razzo difensore costa all’incirca 80mila dollari. Eppure sull’efficacia del sistema antimissilistico israeliano c’è qualche dubbio. Su tutti il commento di Ted Postol, esperto di difesa missilistica del Mit (Massachusetts Institute of Technology), che sostiene che Iron Dome avrebbe una reale efficacia non del 90% come sostenuto dagli israeliani, ma solo del 5%. In un suo rapporto ha infatti analizzato le scie – e quindi le caratteristiche di volo – dei missili “Tamir” unitamente alle caratteristiche degli stessi, stabilendo che per neutralizzare un razzo in arrivo Iron Dome deve colpirne la testata e non semplicemente danneggiare la parte dedicata alla propulsione.
  Israele al momento continua a tentennare per ragioni sicuramente politiche legate al ruolo della Russia in Medio Oriente, vedi la situazione in Siria, e per ragioni ancor più pratiche temendo il rischio che tecnologie sensibili finiscano in mano russa e quindi potenzialmente iraniana.

(il Fatto Quotidiano - blog, 22 novembre 2022)

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S&P riafferma il rating AA- di Israele, citando un’economia “ricca e resistente”

L’agenzia S&P prevede una crescita del PIL israeliano del 6% quest’anno, ma solo del 2% nel 2023, alla luce delle tendenze economiche globali

L’agenzia di rating Standard & Poor’s (S&P) ha mantenuto invariato il rating favorevole di Israele a AA- con prospettive “stabili”, nella sua ultima analisi pubblicata nel fine settimana. L’agenzia ha previsto che l’economia israeliana crescerà di un 6% quest’anno, ma che l’andamento dell’economia globale ostacolerà la crescita nel 2023, ed il PIL israeliano crescerà di circa il 2% l’anno prossimo.
  Nelle proiezioni aggiornate il mese scorso, la Banca d’Israele ha dichiarato di prevedere una crescita del PIL israeliano del 6% nel 2022 e del 3% nel 2023, dato che il Paese – come ogni altro – continua a lottare contro l’inflazione. La banca ha aumentato i tassi d’interesse di riferimento poiché l’inflazione in Israele ha raggiunto il 4,6% negli ultimi 12 mesi, secondo i dati di ottobre, in calo rispetto al 5,2% calcolato in agosto, ma ancora ben al di sopra dell’intervallo superiore del 3% previsto dalla banca a gennaio.
  Nella sua analisi, S&P ha elogiato “l’economia ricca e resistente” di Israele come motivazione per il suo rating favorevole, ma ha detto che tali valutazioni “rimangono limitate da significativi rischi politici e di sicurezza interni e regionali”. L’agenzia ha accolto con favore i risultati delle ultime elezioni israeliane del 1° novembre, che hanno prodotto un blocco di destra, estrema destra e partiti religiosi con 64 seggi sui 120 della Knesset, ma ha osservato che “la volatilità politica interna potrebbe persistere se l’aumento del sostegno ai partiti di estrema destra portasse a tensioni più forti, anche in Cisgiordania”.
  La coalizione entrante guidata da Benjamin Netanyahu del Likud comprende la fazione di estrema destra del Sionismo religioso e i partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism. Domenica scorsa Netanyahu ha ricevuto il mandato di formare il prossimo governo con questi partner di coalizione.
  S&P ha dichiarato che “è improbabile che lo spostamento politico a destra influisca sulla performance economica nel prossimo futuro, che negli ultimi anni è stata ampiamente non correlata ai cicli politici”, ma che “la volatilità politica interna potrebbe persistere se l’aumento del sostegno ai partiti di estrema destra dovesse portare a tensioni più forti, anche in Cisgiordania”. Pur sottolineando i recenti sviluppi positivi, come la firma degli Accordi di Abramo che hanno normalizzato i legami e incrementato le relazioni economiche tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco, e l’accordo sui confini marittimi con il Libano, l’agenzia ha affermato che i rischi politici regionali sono ancora “elevati” e che “l’escalation delle ostilità tra l’esercito israeliano, Hamas e altri gruppi rimane una possibilità”.
  Ciononostante, negli ultimi anni l’economia israeliana si è dimostrata resistente di fronte all’incertezza e all’instabilità. L’economia, trainata dalle esportazioni di servizi informatici ad alto valore aggiunto, ha registrato solo una lieve contrazione dell’1,9% in termini reali nel 2020, all’inizio della pandemia COVID19, per poi registrare una forte crescita dell’8,6% nel 2021, secondo S&P.

(israele 360, 22 novembre 2022)

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Israele: L’ex primo ministro Olmert condannato per diffamazione nei confronti di Netanyahu

di Ugo Volli

• Il processo
  Non succede tutti i giorni che un ex primo ministro accusi un altro ex primo ministro (e tutta la sua famiglia con lui) di essere “pazzo”, “mentalmente instabile”, “inabile a svolgere il suo ruolo”. E che a queste dichiarazioni ripetute in diverse interviste segua una querela per diffamazione. E infine che la querela sia accolta e il primo ministro condannato. È successo ieri in Israele, la cui politica non smette di sorprenderci nel bene e nel male. Il primo ministro diffamato è Benjamin Netanyahu (con la moglie Sarah e il figlio maggiore Yair), il diffamatore Ehud Olmert, il teatro della condanna la corte distrettuale di Tel Aviv. Nell’aprile dell’anno scorso Olmert aveva concesso a una rete televisiva (DemocraTV) un’intervista in cui sosteneva che tutta la famiglia Netanyahu era fatta di pazzi isterici, incapaci di controllarsi, soggetti a crisi di panico e di furore, aggiungendo commenti insultanti su ciascuno. Minacciato di querela se non avesse ritirato queste dichiarazioni, Olmert era invece tornato in televisione a ripeterle e il processo era incominciato a gennaio di quest’anno. Netanyahu aveva testimoniato di non aver mai subito nessun trattamento psichiatrico e la moglie Sarah (in genere poco amata in Israele) aveva accusato di montaggio adulterato un video esibito dalla difesa di Olmert in cui la si vedeva dare in escandescenze.

• La sentenza
  Anche qui Olmert aveva rifiutato di ritirare o moderare le sue affermazioni, aveva anche rinunciato a presentarle come mere espressioni di polemica politica, ed aveva chiesto di essere assolto per aver detto la verità. E’ una tesi che il giudice Amit Yariv ha giudicato inaccettabile e particolarmente grave perché presentata come se fosse un’opinione medica, tanto da squalificare un personaggio pubblico come Netanyahu. Olmert è stato così condannato a pagare dei danni ai Netanyahu, anche se per una cifra minore a quella che era stata richiesta dai querelanti (270.000 euro): dovrà dare in totale circa 18.000 euro ai Netanyahu, più le spese legali. Ma quel che conta è il principio e il dato politico che vi sono limiti alla libertà di critica anche dei leader, quando questa usa delle menzogne insultanti.

• Fanatismo
  Anche prima della sentenza, tutta la causa è il sintomo di un clima di odio che da tempo si è sviluppato intorno alla figura di Bibi Netanyahu. Proprio domenica scorsa, in concomitanza con la sentenza, a Ramat Gan, un sobborgo elegante di Tel Aviv, è scoppiato uno scandalo perché un maestro della scuola elementare del quartiere ha appeso nel corridoio davanti alla sua classe una foto di Netanyahu, deturpata da una svastica e da un nodo scorsoio. Sono fanatismi che conosciamo bene anche noi in Italia, e che purtroppo sono diffusi pure nella politica israeliana. Oltre a Olmert anche un altro ex primo ministro è spesso intervenuto molto polemicamente contro Netanyahu: è Ehud Barak, ultimo premier laburista (1999-2001). In effetti il ruolo di capo del governo nella politica israeliana è molto ricco di potere e di responsabilità; rinunciarvi serenamente non è facile.

• Olmert
  Il caso di Olmert è però in parte diverso. Nato nel 1945, diventato deputato ad appena ventott’anni, rieletto alla Knesset per sette volte, primo sindaco di Gerusalemme del Likud, la sua carriera si scontra con quella di Netanyahu quando lo sostituisce al ministero delle finanze nel governo di Sharon da cui Bibi si era dimesso perché non condivideva il ritiro da Gaza. Olmert segue Sharon nell’uscita dal Likud e nella fondazione di Kadima e lo sostituisce nel 2006 quando un ictus lo toglie dalla vita politica. La sua leadership dura però abbastanza poco. Nel 2007 viene rivelato al pubblico che è sotto indagine per corruzione, nel 2008 si dimette e non si presenta più alle elezioni successive dove Netanyahu ottiene una grande vittoria e diventa primo ministro al suo posto. Negli anni successivi si svolgono diversi processi per corruzione contro Olmert, che si concludono con pene detentive e multe. Scontato il suo debito con la società, Olmert non rientra direttamente in politica, ma si pronuncia spesso sulla stampa, esprimendo posizione di sinistra, per esempio pronunciandosi contro un possibile attacco all’Iran. Ma soprattutto polemizza ogni volta che può contro Netanyahu, che l’ha sostituito e si deve difendere da accuse formalmente simili alle sue, ma dalla sostanza molto diversa: la corruzione per cui è stato condannato Olmert erano bustarelle ricevute da sindaco di Gerusalemme e ministro per operazioni immobiliari; mentre Netanyahu è soprattutto accusato di avere acconsentito a discutere di una copertura favorevole che alcuni organi di stampa in genere ostili al suo governo potevano dargli. Olmert poi rivendica spesso il proprio ruolo come l’ultimo ad aver tentato accordi di pace con l’Autorità Palestinese. Ancora pochi giorni fa Olmert ha parlato di nuovo della propria offerta a Mohamed Abbas di quasi tutti i territori contesi, “più di quel che lui chiedeva”, rammaricandosi di non aver avuto mai risposte da lui.

(Shalom, 22 novembre 2022)

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Proiezione della discordia al “Rossi” di Vicenza

L'Associazione Italia Israele critica il mancato contraddittorio

La presidente dell’Associazione Italia Israele, Cristina Franco, interviene sulla querelle innescata dalla proiezione di "Erasmus in Gaza" all’Istituto Tecnico Alessandro Rossi di Vicenza.
  Il riferimento è ad "Erasmus in Gaza", film-documentario di Chiara Avesani e Matteo Delbò sull’esperienza di Riccardo, laureando in medicina dell’Università di Siena e primo studente al mondo a partecipare al programma europeo di scambi universitari Erasmus scegliendo come destinazione la Striscia di Gaza.
  L’iniziativa è stata proposta alla scuola da Salaam Ragazzi dell’OlivoVicenza e da altre associazioni cittadine che promuovono iniziative di solidarietà e informazione sulla situazione del popolo palestinese.
  Elena Donazzan ha bollato come “inopportuna” l’iniziativa per gli studenti “senza alcun contraddittorio. Mi chiedo quale giustificazione in merito al rispetto dei programmi di studio, di leggi nazionali o relative alla costruzione di un pensiero critico, possano aver portato ad autorizzare tale uscita didattica”, ha detto.
  Questa di seguito è la posizione della presidente dell’Associazione Italia Israele:

    “All’Istituto Rossi di Vicenza è stato proiettato il docufilm Erasmus a Gaza a dieci classi quarte e quinte, al termine del quale i due registi e rappresentanti del comitato vicentino per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi hanno risposto alle domande degli studenti sul conflitto fra Israele ed Hamas e sulla questione mediorientale.
    Sull’opportunità della proiezione di un simile documento a senso unico e senza contraddittorio e sul confronto con gli studenti, sempre senza contraddittorio alcuno, si è espressa manifestando le sue perplessità l’assessore regionale Elena Donazzan.
    Non pare che l’assessore Donazzan abbia voluto o cercato di impedire la proiezione ma che abbia soltanto espresso il suo libero pensiero, rispetto al quale ogni censura va rigettata.
    E le perplessità sono tante in merito non tanto al docufilm per se stesso ma alla scelta di proiettarlo a una decina di classi scolastiche senza contraddittorio, scelta che suggerisce una netta presa di posizione di parte, piuttosto discutibile.
    E non è difficile qualificarla come discutibile nel momento in cui a raccontare un conflitto decennale che oppone lo Stato di Israele ad un’organizzazione terroristica, Hamas, ad accompagnare la visione del film e a rispondere alle domande degli studenti vi sono solo rappresentanti di organizzazioni palestinesi, della cui imparzialità e oggettività è lecito dubitare.
    Intanto il docufilm pare a senso unico, perché se il suo obiettivo è far riflettere su una realtà drammatica dove i giovani vivono costantemente in una condizione di rischio si sarebbe dovuta menzionare la pesante oppressione dal 2006 di Hamas sulla popolazione con persecuzioni, detenzioni illegali, tortura e assassini degli oppositori, le violente repressioni delle manifestazioni di piazza.
    E avranno poi questi unici interlocutori menzionato che Gaza è, appunto, retta da Hamas, un’organizzazione definita terroristica anche dalla Ue? Avranno menzionato che lo Statuto di Hamas fa rabbrividire a leggerlo? Che fra gli obiettivi (art. 9) vi è quello di portare l’Islam in tutto il mondo perché senza l’Islam il male prevale, l’oppressione e l’oscurità infuriano e bisogna con la Jihad ristabilire l’ordine?
    Che nelle premesse dello Statuto si presenta la morte nel nome di Dio come il più dolce desiderio? Che l’art. 7 (fra gli altri) chiama alla distruzione di tutti gli ebrei, non solo israeliani? Avranno menzionato il fatto che Hamas usa scudi umani durante il conflitto? Che a Gaza esiste ed è molto efficiente la polizia religiosa o dei costumi? Che questa ha vietato di consumare alcolici e ha imposto parecchie limitazioni alle donne, per esempio relative all’abbigliamento e al divieto a girare accompagnate da uomini diversi dai propri parenti più stretti o dal proprio marito?
    Avranno menzionato che l’esordio della polizia religiosa a Gaza è stato l’assassinio di una studentessa palestinese di 22 anni, a proposito di Erasmus e esperienze formative a Gaza, Yusra al Hazzami per essersi fatta vedere in pubblico sola con il fidanzato?
    Le organizzazioni non governative che operano nella Striscia di Gaza e che non garantiscono la segregazione dei sessi sono state osteggiate, qualcuna è stata costretta a chiudere. Avranno menzionato il fatto che gli omosessuali a Gaza sono perseguitati e debbono scappare (spesso in Israele)?
    Solo poche fra le molte domande che si potrebbero fare e alle quali farebbe piacere avere risposta, magari anche dagli uffici scolastici, magari esiste anche una registrazione dell’evento, magari quelle risposte (e ci confidiamo) sono state tutte date ai ragazzi nel corso dell’evento, per carità.
    Ecco perché la scelta dell’Istituto Rossi desta perplessità che è legittimo manifestare. O l’autonomia dell’insegnamento esclude, censurandolo, il diritto al dissenso e alla critica? Perché è una precisa scelta che mal si concilierebbe con il dovuto rigore scientifico, con impostazioni di laicità e oggettività che devono permeare gli insegnamenti scolastici per consentire ai ragazzi di sottrarsi a manipolazioni, distorsioni e revisioni intellettuali che nel passato hanno portato alle più grandi tragedie umane. E’ una scelta che mal si concilierebbe, soprattutto, con le recenti Linee Guide per il contrasto dell’Antisemitismo nella Scuola (che si presume tutte le scuole abbiano ben presenti) le quali, rifacendosi alla definizione IHRA di antisemitismo, sollecitano gli istituti scolastici a fare particolare attenzione anche al profilo del rischio della demonizzazione e delegittimazione dello Stato di Israele (pur essendo perfettamente lecita la critica alla sua azione di governo) in un momento storico in cui l’antisemitismo, soprattutto quello di nuovo conio, è innegabilmente in forte crescita. Sarebbe interessante e importante capire”.

(ViPiù, 21 novembre 2022)

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Il triangolo Netanyahu-Erdogan-Putin apre possibilità alla pace Ucraina?

Il 17 novembre Netanyahu telefonava a Recep Erdogan, un contatto storico, dal momento che i due avevano chiuso i contatti dal 2013. La telefonata aveva come scopo rinsaldare i rapporti tra i due Paesi, riaperti dopo la visita, a suo modo storica, del presidente Herzog ad Ankara (Timesofisrael).
  Ma anche altro, a quanto pare. Netanyahu, infatti, ha detto al suo interlocutore che gli sforzi di mediazione della Turchia tra Ucraina e Russia “sono stati importanti per il mondo”.

• L’incrocio dei report ufficiali
  Un accenno non riferito dal report ufficiale israeliano, ma solo in quello turco, particolare che però non ne scalfisce l’autenticità. È ovvio che il premier israeliano voglia evitare ulteriori problemi di immagine rischiando, con un elogio tanto esplicito, di passare per un filo-putiniano (perché chiunque parli di pace, ormai, viene annoverato tra le fila dei filo-putiniani, tale la tragedia in cui è sprofondato l’Occidente).
  Ed è altrettanto ovvio che un report ufficiale come quello turco non può mettere in bocca a un leader straniero parole non dette, ancor più se l’interessato è una persona assertiva come Netanyahu.
  Il giorno successivo Erdogan ha chiamato Putin. Nel report ufficiale dell’Agenzia stampa Anadolu vengono dettagliati i temi di cui hanno parlato, per lo più riguardanti i rapporti tra i due Stati, tra i quali spicca la costruzione in Turchia di un hub di stoccaggio del gas russo, che quindi verrà commercializzato da Ankara (l’Europa, così, comprerà il gas russo come prima, solo a prezzi più alti…).
  Nella conversazione tra i due anche il significativo elogio di Erdogan al presidente russo per aver accettato la richiesta di prolungare la libera commercializzazione del grano ucraino per altri 120 giorni, proroga in bilico dopo l’attacco al ponte di Kerch (che collega la Russia alla Crimea) e alla flotta russa a Sebastopoli, operazioni compiute usando a scopo militare il corridoio umanitario, da cui l’irritazione di Mosca.
  Ma soprattutto Anadolu riporta questo cenno: “Erdoğan ha affermato che i contatti dei capi dell’intelligence russa e americana in Turchia stanno svolgendo un ruolo chiave nel prevenire un’escalation incontrollata” in Ucraina.

• La posizione di Netayahu
  Fin qui i report delle due conversazioni. Va aggiunto che la sequenza temporale delle telefonate appare significativa come anche quel cenno di Netanyahu sulla mediazione turca. Due particolari che inducono a pensare che Netanyahu abbia fatto pervenire qualche messaggio a Putin, col quale ha rapporti di lunga data.
  Israele ha sostenuto tacitamente la mediazione turca tra Ucraina e Russia durante il passato governo. E seppur in seguito si è tirata indietro, quando ormai era chiaro che non c’era nulla da fare in tal senso, ha comunque conservato una posizione di neutralità, pur con tante ambiguità.
  Netanyahu ha la forza che il precedente governo non ha e potrebbe essere una pedina importante per spingere verso un eventuale compromesso. Certo, Netanyahu non nasconde le proprie propensioni muscolari, in particolare nei confronti di Siria, Iran e Libano, alleati strategici di Mosca.
  E tante sono le ambiguità del personaggio, come anche la sua spregiudicatezza. Ma è anche persona pragmatica, come lo è Putin. Potrebbero trovare punti di accordo.

(piccolenote, 21 novembre 2022)

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Coppa del Mondo FIFA 2022: tifosi israeliani volano in Qatar

Una decisione che sorprende, in considerazione del fatto che il Qatar non ha rapporti diplomatici con Israele e che, quindi, normalmente agli israeliani non è permesso entrare nel paese. Il governo di Israele ha accolto con prudenza questa apertura, avvertendo i tifosi in trasferta nel paese arabo di avere un comportamento riservato, che non sveli l’”identità israeliana”.
  Sono circa 20.000 gli israeliani che sono già o si recheranno in Qatar durante l’evento calcistico più atteso dai tifosi di calcio di tutto il mondo. Secondo il Jerusalem Post, però, solo 3.500 useranno il passaporto israeliano per questo viaggio. Le autorità del Qatar hanno autorizzato nuovi voli diretti Tel Aviv – Doha, purché Israele permetta il viaggio anche ai palestinesi: il primo volo charter, operato dalla compagnia cipriota TUS Airways, è partito domenica mattina.
  Il ministero degli Esteri israeliano ha lanciato un sito dedicato per aiutare i connazionali a districarsi nelle leggi e nei costumi locali, con lo scopo di evitare tensioni e incidenti (qui sotto il video della stella del calcio ed ex-capitano della nazionale israeliana, Tal Ben-Haim, con consigli di comportamento)  e una delegazione con funzioni di consolato è già al lavoro in Qatar. La preoccupazione di Israele è anche la contemporanea presenza di tifosi iraniani, viste le continue minacce del regime dell’Iran, che tra l’altro ha solidi legami con il Qatar.
  Ci saranno migliaia di tifosi a seguire le partite sia dell’Iran che di altri paesi del Golfo con cui Israele non ha rapporti diplomatici. Per questo l’alto diplomatico israeliano Lior Haiat ha esortato i visitatori israeliani a nascondere i simboli quali ad esempio bandiere o stelle di David, per proteggere la propria sicurezza personale. Viene anche consigliato di evitare eccessi di alcol e relazioni omosessuali in pubblico, in quanto illegali in Qatar.
  Che lo sport debba rimanere estraneo alla politica e ai conflitti internazionali è ormai un’utopia. Ma forse questo piccolo passo, in uno dei più contestati e controversi mondiali di calcio, potrà essere il primo sulla strada della distensione.

(RiflessiMenorah, 21 novembre 2022)

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Rilasciato ad un bambino il primo passaporto israeliano dall’ambasciata ad Abu Dhabi

di Luca Spizzichino

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Giovedì scorso l'ambasciata israeliana ad Abu Dhabi ha rilasciato il primo passaporto a un bambino israeliano nato negli Emirati Arabi Uniti. Il bambino, Mateo David, è nato lo scorso 13 maggio 2022, dalla cittadina israeliana Daniel Talvi e il marito belga Mitz Bekovens, che lavora come agente nel club calcistico emiratino Al-Jazeera.
  L'ambasciatore israeliano negli Emirati Arabi Uniti Amir Hayek, che ha consegnato personalmente il passaporto ai genitori, ha rivelato a Ynet come quel momento sia stato per lui “emozionante".
  Secondo la madre del piccolo Mateo David, il rilascio del passaporto segna un “momento storico nelle relazioni tra i Paesi”. Daniel Talvi, che ha passato l’ultimo anno ad Abu Dhabi, ha raccontato al sito israeliano di come gli Emirati siano “un posto molto adatto alle famiglie. Tranquillo e sicuro, dove le persone sono molto gentili e rispettose".
  "C'è un grande apprezzamento per Israele negli Emirati Arabi Uniti", ha aggiunto. “Siamo trattati con molto rispetto quando dico che siamo israeliani”.
  Sebbene Mateo David non sia effettivamente il primo bambino israeliano ad essere nato nel paese del Golfo, è la prima volta che viene rilasciato un passaporto israeliano a un bambino nato negli Emirati Arabi Uniti. La prima bambina israeliana nata sul suolo emiratino è la figlia dell'ex console generale di Israele a Dubai Ilan Sztulman Starosta. Ma alla neonata allora le era stato rilasciato solamente un certificato di transito temporaneo, poiché non era ancora possibile rilasciare i passaporti in ambasciata.

(Shalom, 21 novembre 2022)

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“Testimoni dello sterminio. I prigionieri ebrei dei Sonderkommando”

Convegno internazionale al Teatro Galli di Rimini

di Roberto Di Biase

RIMINI – Si è svolto ieri nelle due sessioni – mattutina e pomeridiana – il primo convegno di studi sui Sonderkommando, “Testimoni dello sterminio. I prigionieri ebrei dei Sonderkommando”. Una giornata di studi e approfondimento storico che la città di Rimini ha voluto dedicare a Shlomo Venezia, in un Teatro Galli pieno di persone tra cui anche tantissimi giovani che al momento dell’ingresso – questa mattina – hanno fatto una lunga fila per entrare, fino alla piazza Cavour. 
  Nell’anno in cui ricorre il decimo anno della sua scomparsa, la città di Rimini lo ricorda, con un evento di eccezionale livello accademico a cui hanno partecipato, oltre a relatori internazionali anche diversi membri della sua famiglia.  Rimini è fortemente legata a Shlomo Venezia  per  i tanti viaggi ad Auschwitz, organizzati dal Comune di Rimini con insegnanti e studenti di Rimini, ai quali Shlomo ha partecipato, portando sempre la straordinaria tangibile testimonianza dei suoi tragici ricordi. Ma anche per le volte in cui è venuto a Rimini per partecipare a convegni e raccontare la sua terribile storia.
  Il convegno è stato promosso dal Comune di Rimini insieme alla Fondazione Museo della Shoah di Roma e al Mémorial de la Shoah di Parigi, con la collaborazione del Museo di Auschwitz e dell’Istituto storico della Resistenza di Rimini. 

(unieuro, 21 novembre 2022)

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Alon Bar: "Sintonia tra Netanyahu e Meloni. Mi aspetto un salto in avanti nella cooperazione tra Italia e Israele"

Archiviate le elezioni che hanno portato le destre al potere in entrambi i Paesi, il nuovo ambasciatore a Roma ostenta ottimismo sull'evoluzione dei rapporti bilaterali. E in un'intervista a tutto campo affronta anche eventi di questi mesi: dalla storica intesa col Libano sul gas al futuro degli Accordi di Abramo, dalla cooperazione militare con altri Stati arabi all'aumento della tensione in Cisgiordania.

di Marco Contini

Una foto dall'alto di Gerusalemme e il ritratto d'ordinanza del primo ministro. Ma se la prima è destinata a star lì in eterno, il secondo ha i giorni contati, con il volto di Yair Lapid, che lascerà presto il posto a quello, di ritorno, di Benjamin Netanyahu. E' la scenografia dello studio nel quale l'ambasciatore israeliano a Roma Alon Bar, fresco di nomina e ancor più del gradimento del Quirinale, ha concesso questa intervista a Repubblica. Sessantacinque anni, nato e cresciuto a Sasa, un kibbutz dell'Alta Galilea proprio al confine con il Libano, Bar è un diplomatico di lungo corso che in passato è stato membro della delegazione israeliana all'assemblea generale dell'Aiea (l'agenzia dell'Onu per l'energia atomica), vicedirettore generale del ministero degli Esteri per gli affari scientifici e culturali, direttore politico dello stesso ministero e ambasciatore a Madrid. Ma, soprattutto, negli ultimi mesi è stato uno dei membri della delegazione israeliana che ha raggiunto lo storico accordo sui confini marittimi e l'estrazione del gas off-shore tra Israele e Libano.

- Ambasciatore Bar, lei si trova a rappresentare lo Stato d'Israele in Italia nel momento i cui entrambi hanno il governo più di destra della propria storia. E i due partiti di maggioranza relativa, Fratelli d'Italia e il Likud, fanno parte della stessa "famiglia politica" europea, il gruppo dei Conservatori. Pensa che questo possa facilitare le relazioni tra i due Paesi? O, viceversa, che la storia molto particolare di FdI possa rappresentare un ostacolo?
  "Solo una premessa: in Italia il nuovo governo di destra c'è già. In Israele il percorso non si è ancora compiuto. Ma certo, è probabile che succeda. Detto questo, tutti i partiti della coalizione di governo in Italia hanno sempre manifestato il loro sostegno a Israele e questo induce a essere ottimisti. Meloni e Netanyahu si sono già sentiti dopo le elezioni, e la sintonia tra i partiti dei nostri Paesi può essere la premessa di una relazione molto forte. Poi ci sono in gioco gli interessi nazionali, e questo è un terreno su cui dovremo aspettare, capire, e lavorare per trasformare quella sintonia in cooperazione. Ma posso dire di ritenermi fortunato, e credo onestamente di poter contribuire a creare una relazione proficua tra i due Paesi. Questo non esclude che ci possano essere divergenze, ma l'atmosfera è positiva e mi aspetto che i rapporti tra Italia e Israele facciano un salto in avanti".

- Non ha paura che al di là delle posizioni dei leader, nella destra italiana - nella sua base elettorale - ci sia ancora un diffuso antisemitismo?
  "Non la definirei paura. So bene che ci sono ancora antisemiti, sebbene siano una minoranza, e che ci sono simpatizzanti del regime fascista. Ma su questo abbiamo già detto al governo italiano - lo hanno fatto sia Lapid che Netanyahu - che intendiamo lavorare a stretto contatto con la comunità ebraica, e che su questo terreno ci aspettiamo dal nuovo governo una politica di tolleranza zero".

- Lei dice di aspettarsi un ulteriore miglioramento delle relazioni tra Italia e Israele. Nei giorni scorsi forse se n'è visto il primo esempio quando l'Italia, interrompendo un'antica tradizione di astensioni, alle Nazioni Unite ha votato No alla richiesta di chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia di indagare su "occupazione, insediamenti e annessioni israeliane in Cisgiordania".
  "Ovviamente siamo molto contenti del No italiano. Da tempo chiediamo ai governi italiani di non schierarsi con i Paesi europei che sono più critici nei nostri confronti. Nel mondo multilaterale - il Consiglio per i diritti umani, le risoluzioni dell'Onu - il mio Paese è sottoposto a una campagna costante di demonizzazione che crediamo sia non solo ingiusta, ma anche controproducente. Perché alla fine il linguaggio aggressivo e la riproduzione quasi in automatico di documenti contro di noi finisce per togliere credibilità a tutte le istituzioni dell'Onu, e mina qualsiasi possibilità di riconciliazione tra noi e i palestinesi. Nel caso specifico, l'Italia ci ha spiegato che dietro alla decisione di votare contro c'è il fatto che il documento proposto faceva riferimento, in arabo, al Kharam el Sharif (la Spianata delle Moschee) ma non al Monte del Tempio: né col termine inglese (Temple Mount) né tantomeno con quello ebraico (Har ha Bayit). E' un modo, e non è certo la prima volta che succede, per negare il legame storico tra l'Ebraismo e Gerusalemme. Dirò di più: il riferimento esclusivo ai luoghi santi dell'Islam è un modo, quasi un messaggio in codice, per negare anche il legame dei luoghi santi di Gerusalemme con il Cristianesimo".

- Prima lei ha accennato agli interessi comuni tra Italia e Israele. Il primo capitolo che viene in mente, per forza, è il gas. Israele attraverso il giacimento di Karish si candida a diventare un grande esportatore di metano in Europa. Quali sono le prospettive? E a che punto è la discussione sulla costruzione del gasdotto East-Med, che dovrebbe collegare Karish con l'Europa meridionale? Ci sono ostacoli politici?
  "Il gasdotto East-Med è una delle opzioni in campo, non l'unica. Mi risulta che siano ancora in corso le verifiche sulla fattibilità, sui costi, sulle tecnologie, sui tempi di realizzazione. E poi ci sono le questioni politiche, come il conflitto tra gli interessi della Turchia, della Grecia e di Cipro. Ma con o senza East-Med, bisogna ragionare  sull'efficienza del trasporto, sull'uso di piattaforme mobili, su come aumentare i volumi, eccetera. Però bisogna essere chiari: Israele non potrà mai sostituire interamente le forniture dalla Russia, può diventare uno dei tasselli di un piano per diversificare le fonti. L'Italia è parte integrante di questo processo, fa parte dell'Emgf (East Mediterranean Gas Forum), è tra i firmatari dell'accordo iniziale per il gasdotto East-Med, ed è bene che continui a svolgere un ruolo da protagonista. Quando in Israele nascerà il nuovo governo, e avremo un ministro per l'Energia, mi auguro che riprendano i contatti già avviati con Draghi e che ci sia un incontro bilaterale tra i nostri due governi proprio su questi temi. Vorrei sottolineare però che non c'è solo il gas: ci sono interessi comuni su cui Israele può essere un partner importante per l'Italia in merito alla conservazione dell'acqua, alle energie alternative a partire da quella solare, all'agricoltura e alla cybersecurity. Terreni che per l'Italia rappresentano alcune tra le grandi sfide del futuro".

- Oltre a Karish c'è il giacimento di Kana, su cui Israele e Libano hanno firmato un accordo storico, il primo che non sia un cessate-il-fuoco. E lei faceva parte della delegazione israeliana che ha negoziato quel patto.
  "Non è solo il primo accordo tra Israele e Libano, è anche la prima volta in assoluto che il Libano firma un accordo sulle frontiere con uno qualsiasi tra i suoi vicini. Al momento non ne hanno neanche uno sui confini terrestri con la Siria e, per quel che riguarda quelli marittimi, con Cipro. Sì, è vero, è un accordo storico. Ma non vorrei esagerare il mio ruolo in questa vicenda: io ero uno dei membri della delegazione israeliana, nient'altro".

- Ma eravate cinque in tutto. Se anche lei fosse stato il meno importante tra loro, non sarebbe certo un contributo irrilevante...
  "Io c'ero e ne sono orgoglioso. Punto. Sottolineerei invece il ruolo di mediazione degli americani e di Amos Hochstein in particolare. E' stato un negoziato lungo, difficile, e oltretutto pieno di punti interrogativi perché dovevamo immaginare una struttura finanziaria sui diritti di estrazione e sulle compensazioni economiche senza sapere esattamente l'ampiezza, la capienza, il potenziale estrattivo di quel giacimento. Ancora oggi ci sono degli spazi bianchi, che saranno riempiti quando saranno più chiari i dettagli. Ma la struttura dell'intesa è solida. Ci sono stati incontri a Naqoura (nella base dell'Onu sul confine israelo-libanese), e ci sono state trattative condotte separatamente, sempre con la mediazione americana. E alla fine l'accordo è stato raggiunto".

- Un accordo che ha come contraenti Israele e Hezobollah è, oggettivamente, abbastanza clamoroso.
  "In una trattativa con il Libano c'è sempre un punto interrogativo, perché per arrivare al traguardo è necessario il benestare di tutte le diverse fazioni. All'inizio non sapevamo nemmeno noi se ci fosse davvero da parte loro la volontà politica di trovare un'intesa, e c'è voluto più tempo del previsto. Ma credo che il fattore determinante sia stato il fatto che questo accordo porta dei benefici economici importanti anche al Libano, che al momento è in condizioni difficilissime, ha energia elettrica per 2-3 ore al giorno, è in preda a una crisi economica disastrosa ed terribilmente instabile. Se Hezbollah si fosse opposto, sarebbe stato accusato di non far nulla per migliorare le condizioni di vita del popolo libanese".

- Netanyahu in campagna elettorale ha accusato il governo Lapid di aver svenduto gli interessi israeliani firmando questo accordo. Ora che ha vinto le elezioni, non c'è il rischio che tiri indietro la mano?  O era solo retorica elettorale?
  "Qualsiasi cosa lei mi chieda su quali saranno le decisioni del prossimo governo, devo per forza rispondere con cautela: non posso ancora saperlo, vedremo dopo che sarà entrato in carica. Ma sono convinto che Israele andrà avanti sulla strada tracciata, e che rispetterà l'accordo se anche il Libano farà altrettanto. Credo sia nell'interesse di tutti. Certo, essendo Hezobollah la principale forza militare presente in Libano, non posso escludere che un'eventuale decisione di tornare ad attaccarci militarmente possa mettere in pericolo l'applicazione dell'intesa sul gas. Purtroppo anche questa è un'eventualità".

- Chiaro, del resto quello che avete firmato è ben lungi dall'essere un trattato di pace. Però mi domando che effetto faccia a lei, che è nato e cresciuto ad appena 500 metri dal confine più instabile del Medio Oriente, vedere che anche due nemici giurati come Israele e Libano possono scendere a patti.
  "Non sono naif, sono un diplomatico stagionato. Ma non posso nascondere il fatto che venendo dal kibbutz Sasa, e avendo ancora lì parte della mia famiglia, vedere che si può affrontare anche solo un centesimo dei nostri contrasti, e aiutare a creare un minimo di stabilità, per me è una cosa estremamente positiva, che mi rende molto felice. Ripeto, conosco i rischi connessi: ma credo sia un fatto eccezionale, e che potenzialmente possa avere un effetto positivo in tutta la regione, soprattutto sotto il profilo psicologico, perché dimostra anche ai nostri vicini, e mi riferisco alla gente comune, che quel che sentono dire su di noi alla tv, che siamo l'incarnazione del demonio, non è necessariamente vero. E questo vale sempre, per qualsiasi intesa venga firmata, che sia sul gas o siano gli Accordi di Abramo. Il messaggio è sempre il medesimo: Israele c'è, non sparirà, e prima o dopo siamo destinati a trovare una forma di convivenza. Che ci piaccia o meno".

- A proposito degli Accordi di Abramo. Ci sono sviluppi? Tentativi di estenderli ad altri Paesi?
  "Ovviamente si continua a parlare della possibile adesione da parte dell'Arabia Saudita, che è il più grande e il più ricco tra i Paesi del mondo arabo. Per quel che riguarda il mio ministero, posso solo dire che ci muoviamo sempre su due piani: da un lato l'allargamento degli accordi, e ci sono aperture verso il Qatar, l'Oman, la Mauritania e altri ancora; dall'altro vogliamo approfondire quelli già esistenti, perché alla fine è necessario dimostrare che questo genere di intese non riguardano solo le leadership politiche ma anche la vita delle persone, i contatti tra culture diverse. Per questo abbiamo aperto un secondo capitolo per sviluppare la cooperazione regionale in ambito turistico, energetico, ambientale, di sicurezza alimentare. Ci sono progetti comuni in campo tra noi e gli Emirati in Africa, altri con gli Emirati e l'India, altri ancora con la Giordania... Vorremmo che i benefici di questi progetti arrivassero a tutti, compresi i palestinesi. Ma è un percorso, non è una cosa che si risolve in uno o due anni. Le faccio un esempio, che riguarda il turismo: il Qatar non è tra i contraenti degli Accordi, ma dalla prossima settimana ci saranno migliaia di israeliani e di palestinesi che saliranno sull'aereo - con voli diretti - per andare lì a vedere le partite dei Mondiali di calcio. E già abbiamo un numero sempre crescente di cittadini israeliani che visitano il Marocco e gli Emirati. Quel che sto cercando di dire è che più le persone hanno l'opportunità di vedere che Israele non è solo quella che viene mostrata dalle televisioni nel mondo arabo, e più si creerà un ambiente favorevole al dialogo. Questo i palestinesi lo sanno già, perché siamo interconnessi. Gli altri meno".

- Sempre parlando di diplomazia regionale, si è parlato molto di un possibile accordo militare, una sorta di Nato mediorientale. E' ancora in agenda?
  "Credo sia molto prematuro. Vediamo adesso che tipo di difficoltà affronta un'alleanza come la Nato, con le divisioni al proprio interno e con le diverse reazioni quando un missile cade in Polonia, e onestamente ritengo che non sia ancora matura un'alleanza di questo tipo in Medio Oriente. Questo non significa che non cercheremo forme di cooperazione militare nella nostra regione per affrontare problemi comuni di sicurezza, ma saranno più flessibili, meno vincolanti. E' chiaro che alla base degli Accordi di Abramo ci sono anche questi temi, a partire dal ruolo destabilizzatore dell'Iran che continua a fornire armi e droni a Hezobollah, in Siria e in Yemen o ad attaccare direttamente l'Arabia o gli Emirati".

- Però adesso in Israele sta nascendo un governo che non ha precedenti. Non c'è il rischio che l'ingresso in maggioranza della destra radicale, con leader come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, possa frenare la disponibilità a dialogare con voi?
  "Gli Accordi di Abramo sono stati firmati quando al potere c'erano Donald Trump e Benjamin Netanyahu, e questo non ha rappresentato un ostacolo. Quindi la mia risposta è che non nasceranno necessariamente nuovi problemi. In fondo, il fenomeno che lei sta descrivendo non è diverso da quello a cui assistiamo in molte altre parti del mondo, Italia compresa, con la crescita dei movimenti conservatori, nazionalisti, e sovente portatori di una retorica molto diversa. Alla fine quello che conterà davvero saranno le scelte, le policies... Vedremo".

- E alla fine arriviamo ai palestinesi. La situazione in Cisgiordania sta deteriorando rapidamente, i morti da una parte e dall'altra continuano ad aumentare. Mi rendo conto che è una domanda a cui un ambasciatore in carica può aver difficoltà a rispondere, ma vede all'orizzonte una possibilità di abbassare il livello della tensione?
  "Di nuovo, quando si parla di prospettive future bisogna essere molto cauti: spesso non sappiamo bene neppure cos'è successo in passato o cosa sta succedendo nel presente, figuriamoci se rivolgiamo lo sguardo ai prossimi mesi o anni. Però devo sottolineare una cosa: nella nostra storia, spesso la vittoria di partiti di sinistra, più aperti al dialogo o a fare concessioni, è coincisa con un aumento degli attentati terroristici. E purtroppo negli ultimi sei mesi, a dispetto del fatto che nessuno parlasse di costruire nuovi insediamenti nella West Bank, è partita una nuova ondata di attacchi terroristici incoraggiata da Hamas per accrescere il livello di instabilità e di insicurezza. E questo ha condizionato la campagna elettorale, spostando l'attenzione sui temi di sicurezza. Quindi, è anche possibile che con l'insediamento del nuovo governo la situazione si plachi un po'. Onestamente, non lo so".

(la Repubblica, 21 novembre 2022)

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New York: arrestati due uomini per minaccia contro la comunità ebraica

Il 4 novembre l’FBI aveva avvisato gli enti ebraici e le sinagoghe del New Jersey di avere informazioni su gravi minacce di attacchi antisemiti. Ebbene, il 19 novembre due uomini sono stati arrestati sabato alla Pennsylvania Station di Manhattan per quella che il dipartimento di polizia di New York ha definito “una minaccia in via di sviluppo per la comunità ebraica”. Lo riporta la Jewish Telegraphic Agency
  Uno degli uomini si era recato a New York City dopo aver postato sui social media che avrebbe potuto “sparare a una sinagoga e morire”, hanno detto fonti delle forze dell’ordine a organizzazioni di media locali e nazionali. Gli agenti hanno sequestrato armi, tra cui un’arma da fuoco illegale e un grosso coltello da caccia; munizioni; e un bracciale nazista apparentemente appartenente ai sospetti, secondo i rapporti.
  Il commissario della polizia di New York (NYPD) Keechant Sewell ha annunciato gli arresti in una dichiarazione, in cui ha affermato che il dipartimento di polizia stava dispiegando strategicamente risorse in “luoghi sensibili” in tutta la città a causa della minaccia.
  Sewell ha affermato che il NYPD e l’FBI hanno lavorato insieme per “raccogliere rapidamente informazioni, identificare coloro che vi stanno dietro e neutralizzare operativamente la loro capacità di fare del male”.
  Venerdì scorso il NYPD aveva allertato gli agenti di stare all’erta per Christopher Brown, 22 anni, notando che aveva una storia di malattia mentale, aveva minacciato le sinagoghe e che “dovrebbe essere considerato armato e pericoloso”. L’avviso diceva che Brown aveva indicato online che era interessato a viaggiare da casa sua ad Aquebogue, Long Island, a New York City per acquistare un’arma.
  Sewell ha detto che gli agenti che pattugliavano la Penn Station hanno notato Brown sabato presto e lo hanno arrestato, insieme a un secondo uomo, Matthew Mahler di Manhattan. Brown è accusato di minaccia terroristica, molestie aggravate e possesso criminale di un’arma, ha detto il NYPD, mentre Mahler è accusato di possesso di un’arma.
  “Oggi siamo estremamente grati agli investigatori del NYPD e ai nostri partner delle forze dell’ordine che hanno scoperto e fermato una minaccia alla nostra comunità ebraica”, ha twittato Sewell. “Gli arresti di questa mattina alla Penn Station e i sequestri di armi sono la prova della loro vigilanza e collaborazione che mantiene i newyorkesi al sicuro”.

• Antisemitismo in crescita
  Gli arresti arrivano poche settimane dopo che l’FBI ha avvertito le sinagoghe del New Jersey di una “minaccia credibile” fatta loro; il NYPD ha intensificato la sicurezza nelle sinagoghe cittadine per precauzione. L’FBI ha successivamente annunciato che un uomo di 19 anni che ha dichiarato di aver giurato fedeltà all’ISIS era stato arrestato per aver minacciato.
  Gli arresti arrivano anche in un momento di maggiore ansia per l’antisemitismo a New York City e oltre. Il NYPD ha registrato un aumento del numero di incidenti antisemiti segnalati, una tendenza che corrisponde ai conteggi rilasciati da città e paesi di tutto il mondo nell’ultimo anno. Nel frattempo, le celebrità Kanye West e Kyrie Irving hanno acceso le preoccupazioni sull’antisemitismo con i loro commenti e tweet, e le turbolenze su Twitter hanno alimentato un aumento dei post di odio, anche contro gli ebrei.

(Bet Magazine Mosaico, 21 novembre 2022)

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Miriam, un personaggio profetico (5)

di Gabriele Monacis

    L'Eterno disse subito a Mosè, ad Aaronne e a Miriam: «Voi tre uscite e andate alla tenda di convegno». Così loro tre uscirono. Allora l'Eterno scese in una colonna di nuvola, si fermò all'ingresso della tenda e chiamò Aaronne e Miriam; ambedue si fecero avanti. L'Eterno quindi disse: «Ascoltate ora le mie parole! Se vi è tra di voi un profeta, io, l'Eterno, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno. Ma non così con il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa. Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli contempla la sembianza dell'Eterno. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?».

Con queste parole continua la storia di Miriam in Numeri 12, fino al versetto 8. Dopo aver udito le parole di Miriam e Aaronne contro Mosè, l’Eterno interviene subito, come dice il testo. Non lascia passare del tempo inutilmente: il Signore convoca subito i tre fratelli e scende fisicamente in una colonna di nuvola per incontrarli all’ingresso della tenda di convegno. Questa tenda era il luogo dove Dio era solito incontrare Mosè per parlargli e dargli indicazioni da riportare al popolo. Questo era il luogo in cui la relazione personale tra Dio e Mosè, volta dopo volta, prendeva forma, acquistava profondità e ampiezza. Ed è proprio lì che Dio li convoca, perché quel luogo parla da sé, ribadisce che quella tra Dio e Mosè non è una relazione come le altre. Dio chiama Aaronne e Miriam a venire avanti e chiede loro di ascoltare le Sue parole, così come Egli aveva ascoltato il loro affronto poco prima, a sottolineare che il loro dire contro Mosè non era affatto solo una faccenda di famiglia.
  La difesa di Dio nei confronti di Mosè è basata fondamentalmente sulla relazione unica che sussisteva tra i due. Mosè non era come uno dei profeti, e tali evidentemente erano Miriam e Aaronne. Ai profeti Dio si rivelava in visioni o in sogni o tramite detti oscuri. A Mosè, invece, Dio parlava faccia a faccia, facendosi vedere. Mosè poteva contemplare la sembianza dell’Eterno. Questa intima relazione con Dio, e non i suoi meriti, rendeva stabile e durevole – “fedele” secondo la traduzione qui riportata – la posizione di Mosè in tutta la casa di Dio. “Come vi siete arrogati il diritto, dice il Signore ad Aaronne e Miriam, di parlare contro Mosè, il servo del Signore?”
  Mettiamoci un attimo nei panni di Miriam in questo preciso momento della sua vita: convocata dal Dio di Israele in persona per essersi espressa contro suo fratello; in piedi davanti a Lui, appena sceso in terra in forma di nuvola; chiamata ad ascoltare le Sue parole che la rimproveravano per essersi opposta all’eletto di Dio in Israele. Le sarà passata davanti la vita intera, come quando uno vede la morte con gli occhi. Avrà pensato a quando era stata lei a salvare dalle acque del Nilo quel fratellino inerme e condannato a morte dal faraone. Stavolta era invece lei sulla graticola. O a quando, preso in mano il suo tamburello, si era messa a danzare alla guida delle donne del popolo per esaltare il nome del Signore che aveva salvato Israele dai suoi nemici. Stavolta lei, invece di esaltare il nome del Signore, Gli si era rivoltata contro. Quei successi personali del passato, benché fossero passi importanti per la realizzazione del piano di Dio per Israele, si erano improvvisamente ridimensionati. Miriam si era appena ribellata non ad uno di famiglia, come forse intendeva fare lei, ma all’autorità suprema, a Dio stesso. E il destino per tali ribelli è uno solo: la condanna a morte.

    Così l'ira dell'Eterno si accese contro di loro, poi egli se ne andò. Quando la nuvola si fu ritirata di sopra alla tenda, ecco Miriam era lebbrosa, bianca come neve; Aaronne guardò Miriam, ed ecco era lebbrosa. Aaronne disse a Mosè: «Deh, signor mio, non addossare su di noi la colpa che abbiamo stoltamente commesso e il peccato che abbiamo fatto. Deh, non permettere che ella sia come uno morto, la cui carne è già mezza consumata quando esce dal grembo di sua madre!».

Nei versetti dal 9 al 12 del capitolo 12, l’ira dell’Eterno si accese contro di lei e contro Aaronne, proprio come successe a Israele per ben tre volte nel capitolo 11, quando si lamentò nel suo cammino nel deserto e quando, spinto dalla propria cupidigia, si avventò sulle quaglie per mangiarne la carne. In quei casi, parte del popolo morì, consumato dal fuoco del Signore o colpito da un gravissimo flagello. Qui Miriam diventa lebbrosa, bianca come la neve. La sentenza di morte era scattata, e questa volta non era stato il faraone ad emetterla, come nel caso dei maschi ebrei in Egitto, ma Dio stesso. Contrarre la lebbra significava morte certa. Ma non una morte istantanea, da rimanerci secchi. Era una morte lenta, che consumava la vita del lebbroso pian piano, giorno dopo giorno, finché non ne rimaneva più. Un po’ come quando Dio disse ad Adamo nel giardino di Eden che se avesse mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, sarebbe certamente morto. Quando Adamo ed Eva trasgredirono al comandamento di Dio, non morirono istantaneamente, ma gradatamente. Il peccato nella vita di un individuo assomiglia molto alla malattia della lebbra: il peccatore, come il lebbroso, è prima o poi destinato a morire. Come Adamo ed Eva, anche questa volta un uomo e una donna, Aaronne e Miriam, si sono opposti alla Parola di Dio e hanno peccato. La supplica di Aaronne a Mosè lo conferma:

    Deh, signor mio, non addossare su di noi la colpa che abbiamo stoltamente commesso e il peccato che abbiamo fatto”.
È interessante ciò che sottolinea la Scrittura in merito al colore della pelle di Miriam dopo essere diventata lebbrosa: era bianca come neve. Questo dettaglio cromatico ci riporta alla polemica iniziata da Miriam in merito alla moglie cusita che Mosè si era preso. È un po’ come se il Signore le stesse dicendo: “Miriam, davvero non ti piace il nero? Va bene, eccoti il bianco, bianco come la neve. Ma sappi una cosa, cara Miriam. Il tuo problema non sta sulla pelle, ma sotto la pelle, nel cuore. Il colore della pelle non ha nessuna importanza”. Da notare è che solo Miriam diventa lebbrosa, Aaronne no, sebbene l’ira del Signore si accese contro entrambi. Dio aveva visto qualcosa nel cuore di Miriam che evidentemente non c’era nel cuore di Aaronne, il quale prontamente cerca il perdono per il peccato da loro commesso. 
  Miriam invece rimane in silenzio, come pietrificata. C’era qualcosa nel cuore di Miriam che andava rimosso, prima che fosse troppo tardi. Forse un sentimento di rivalsa per non essere considerata al pari di suo fratello minore Mosè, pur avendo ricoperto ruoli di tutto rispetto. Come quando protesse Mosè e gli garantì di vivere e crescere alla corte del faraone; o come quando da profetessa guidò le donne del popolo nella prima forma di adorazione collettiva del Signore, in un momento chiave della storia di Israele. Ciononostante, Miriam vedeva sé stessa e Aaronne un gradino sotto Mosè nella gerarchia. Da qui l’affronto: “Ma chi sarà mai questo Mosè per meritare la posizione che ha?”. Ecco, appunto. Il merito. Era proprio questo atteggiamento di orgoglio che andava spezzato una volta per tutte. La vita non è concessa ad un individuo per i suoi meriti, ma è un dono del Signore, il quale pure gliela la conserva per tutto il tempo della sua esistenza.
  Per arrivare a capire questo, Miriam doveva sentire di avere una sentenza di morte sulla testa. Solo sapendo di dover morire, avrebbe potuto chiedere a Dio di vivificarla. Solo con quella sentenza di morte, Miriam sarebbe stata indotta a chiedere perdono a Dio per la sua ribellione, per il suo peccato, e Dio l’avrebbe perdonata, le avrebbe dato una seconda vita. Questa volta, però, senza una sentenza di morte. Questa volta, Miriam perdonata avrebbe ricevuto la vita come dono, senza credere di doversela meritare. L’orgoglio di Miriam, quello sì che doveva morire, quello sì che doveva finire in fondo al mare e seppellito, senza tornare su mai più. Quell’orgoglio non era altro che ribellione a Dio, contro le sue decisioni, contro il suo modo di fare.

    Così Mosè gridò all'Eterno, dicendo: «Guariscila, o Dio, te ne prego!». Allora l'Eterno rispose a Mosè: «Se suo padre le avesse sputato in viso, non sarebbe forse nella vergogna per sette giorni? Sia dunque isolata fuori dell'accampamento sette giorni; dopo ciò sarà di nuovo ammessa». Miriam dunque fu isolata fuori dell'accampamento sette giorni; e il popolo non si mise in cammino finché Miriam non fu riammessa nell'accampamento. Poi il popolo partì da Hatseroth e si accampò nel deserto di Paran.

Aaronne sapeva che l’ira di Dio si sarebbe placata soltanto alla voce di Mosè, come era successo in precedenza con i peccati di Israele. Si rivolge dunque a Mosè, il quale grida all’Eterno affinché guarisca sua sorella Miriam. Il grido di Mosè è come quello del popolo che gridò nel momento del bisogno, in ebraico צעק (tzaaq). Mosè dimostra qui tutta la sua umiltà. Infatti era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra (Numeri 12:3). Mosè non rimane indifferente alla sofferenza di sua sorella, colpita dalla lebbra. Non le rinfaccia la polemica nei confronti della propria moglie. Non se ne lava le mani dicendo “Problema suo. Se l’è cercata”. Anzi, grida al Signore immedesimandosi in sua sorella, come se il problema della lebbra fosse anche suo come lo era di Miriam. Il Signore ascolta la supplica di Mosè, ma la risposta che gli dà è un macigno.
  Nel versetto 14, rispondendo a Mosè, il Signore parla dello sputo di un padre verso la propria figlia. Lo sputo è l’immagine di un rigetto totale, di qualcosa che si ha dentro e di cui ci si vuole liberare con viaggio di sola andata. Ma Dio non parla di un generico sputo, piuttosto dello sputo di un padre verso la propria figlia: è lo sputo di Dio sul viso di Miriam, per il peccato di ribellione che lei ha appena commesso. Se un padre arriva a sputare in faccia alla propria figlia, significa che vuole dimostrarle tutta la sua ira, il suo rigetto completo, la vergogna enorme provata per qualcosa che la figlia ha fatto o detto. Significa non volerla più vedere. Ma lo sputo di Dio a una figlia non può essere per sempre, perché Dio non è solo giusto, è anche un padre misericordioso. Lo sputo di Dio è sì un rigetto, ma momentaneo, per un periodo determinato. Poi c’è la riconciliazione, il perdono, la riammissione nella famiglia. Miriam rimarrà isolata per sette giorni, fuori dall’accampamento e lontana dalla presenza di Dio, poi sarà riammessa.
  Come visto in precedenza, il personaggio di Miriam rappresenta bene il popolo di Israele, come almà nel ruolo di madre e come profetessa. In questo senso, Miriam non è solo un personaggio storico, ma anche profetico. Cioè gli avvenimenti della sua vita sono un preludio di ciò che sarebbe avvenuto nella storia del popolo di Israele. Volendo continuare a seguire questa chiave di lettura, può anche il racconto di Miriam lebbrosa rappresentare degli eventi che avrebbero caratterizzato il popolo di Israele in un determinato momento della sua storia? E se sì, come? Proveremo a rispondere a questa domanda nelle prossime occasioni.

(5. continua)

(Notizie su Israele, 20 novembre 2022)


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Cultura sotto attacco: la razzia dei libri ebraici

Alla fine del 1943 migliaia di libri vengono depredati dal Collegio rabbinico italiano e dalla Biblioteca della comunità ebraica da parte delle forze naziste. È la grande razzia dei libri ebraici di Roma. Tantissimi preziosi volumi di quello che era tra i più importanti patrimoni librari d’Europa non sono stati più ritrovati.

di Antonio Pagliuso

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Autunno 1943. Nonostante la caduta del Fascismo e l’armistizio dell’8 settembre non si placa la furia nazista e italiana contro gli ebrei e la loro cultura.
  Nell’Italia in gran parte occupata dai tedeschi, architetti e padroni della neonata Repubblica Sociale Italiana, viene messa in atto la sistematica razzia dei libri ebraici: circa venticinquemila sono i libri prelevati durante il saccheggio del Collegio rabbinico italiano e della Biblioteca della comunità ebraica di Roma siti nella sinagoga della Capitale. Un patrimonio tra i più ricchi della Vecchia Europa che comprende, oltre a rarissimi incunaboli, pergamene e cinquecentine stampate a Lublino, Cracovia e Costantinopoli, anche esemplari unici che non sono stati più rivisti.
  I volumi confiscati, come ha riportato Dario Tedeschi (1929-2018), già consigliere dell’Unione delle comunità ebraiche, “erano prevalentemente scritti in ebraico e riguardavano, non soltanto argomenti strettamente religiosi, filosofici e cabalistici, ma anche di altra natura”.

• Dalle leggi razziali alla razzia dei libri ebraici del ‘43
  L’attacco culturale alla comunità ebraica in Italia era già cominciato nel 1938 con l’emanazione delle leggi razziali antiebraiche, divulgate col supporto di riviste ad hoc come il famoso quindicinale La difesa della razza e che avevano già ridotto all’osso le libertà del popolo “giudeo”.
  Uomini e donne privati dei diritti civili, espulsi dal Paese, dalle scuole, dagli uffici della pubblica amministrazione. Un processo di repressione che prosegue ancora nel gennaio 1944 quando gli ebrei romani subiscono la confisca dei beni mobili e immobili – ma anche di averi poveri come abiti e utensili – per finanziare le casse vuote della Repubblica di Salò.

• Studiare il sapere del nemico
  Ritorniamo al saccheggio dei libri ebraici di Roma del 1943. La espoliazione del patrimonio bibliografico ebraico si consuma in due tempi, tra ottobre e dicembre di quell’anno. Razzie simili erano già avvenute nelle biblioteche ebraiche di Salonicco e Minsk e coincidevano con il rastrellamento dei ghetti e la deportazione di migliaia di ebrei nei campi di concentramento polacchi e tedeschi.
  I volumi razziati nelle biblioteche romane vengono trasportati in Germania, con buone probabilità ma senza alcuna certezza alla Biblioteca di Francoforte sul Meno, centro principale in cui giungevano tutti i beni culturali depredati nel continente.
  L’obiettivo delle forze naziste è quello di studiare il nemico che intendono sterminare, scoprire tra le centinaia di migliaia di pagine i segreti della cultura ebraica per rubarne, dunque, il sapere.

• Il sogno del Museo del Führer
  Non soltanto libri: anche quadri, sculture e altre opere d’arte vengono dirottate in Germania, allineandosi all’interesse del Terzo Reich di fare convergere tutto il patrimonio culturale europeo in pochi centri. Nota utopia del cancelliere Adolf Hitler era anche quella di aprire a Linz – oggi popolosa città dell’Austria, ma allora, a seguito dell’Anschluss, sotto controllo tedesco – il Führermuseum, il più ricco museo del mondo.
  Parimenti agli altri diabolici sogni di Hitler, anche quello relativo al museo più grande del pianeta sarà annullato. La Seconda guerra mondiale si concluderà con la sconfitta della Germania e delle altre potenze dell’Asse, Italia in primis.

• Libri ritrovati e libri spariti nel nulla
  Terminato il conflitto bellico, circa seimila tra i volumi della grande razzia di Roma (in specie appartenenti al Collegio rabbinico italiano) saranno ritrovati in Germania – nel deposito archivistico di Offenbach – e restituiti all’Italia.
  La quasi totalità del patrimonio librario della Biblioteca ebraica, invece, è andata perduta, nonostante le ricerche non si siano mai fermate. È probabile che la biblioteca non sia stata distrutta e neppure dispersa sul mercato; più plausibile è che si trovi in mano a un unico soggetto/ente privato. Qualcuno che forse non è neppure a conoscenza del tesoro nelle sue mani.
  Alcuni preziosi libri depredati nell’autunno del ’43 e poi recuperati, oggi sono conservati a Roma, nelle sale dell’Archivio storico della comunità ebraica “Giancarlo Spizzichino”, dichiarato nel 1981 sito di notevole interesse storico.

(Glicine, 19 novembre 2022)

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Al Memoriale della Shoah il censimento degli ebrei milanesi

MILANO - Il primo atto ufficiale di discriminazione nei confronti dei cittadini ebrei residenti a Milano sotto il fascismo fu il censimento degli ebrei, disposto dal regime, per definire la consistenza numerica della loro presenza in Italia. Iniziò il 22 agosto del 1938 e fu gestito dalla Direzione generale della Demografia e razza (Demorazza) che la richiese a ogni singolo comune.

(askanews, 19 novembre 2022)

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Sabato 19 novembre torna "Musei in Musica". La cultura ebraica sempre protagonista

di Michelle Zarfati

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La cultura non dorme mai, e sabato 19 novembre è la notte perfetta per godere di musei, spettacoli dal vivo e concerti. Torna finalmente nella Capitale l'attesissimo appuntamento con “Musei in Musica”. Dopo lo stop di tre anni a causa della pandemia da Covid-19, Roma si prepara ad accogliere la dodicesima edizione della manifestazione. Per sabato sono previste molte aperture straordinarie accompagnate da eventi musicali e spettacoli dal vivo. Non solo musei civici, ma eccezionalmente anche istituzioni italiane e straniere.
  “Musei in Musica” è un'iniziativa che colora le notti romane ormai da anni, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura, che quest'anno vedrà anche la partecipazione di ospiti importanti come Fiorella Mannoia che si esibirà nella bellissima cornice dei Mercati di Traiano. La sera di sabato tutti musei civici apriranno le loro porte straordinariamente al pubblico dalle 20.00 alle 2.00 di domenica, il tutto al costo simbolico di un euro. Tuttavia, per i cittadini romani sarà anche l’occasione perfetta per visitare alcuni dei luoghi più significativi della città come: università, accademie, ambasciate e istituti stranieri, spazi espositivi e culturali, che saranno eccezionalmente aperti in orario serale. In tutto saranno circa 50 spazi con 35 mostre e oltre 100 eventi tra momenti di intrattenimento, musica, ballo e visite guidate
  La cultura ebraica non può mancare durante un’iniziativa come questa. Tra i musei che apriranno straordinariamente c’è anche il Museo Ebraico di Roma, un vero e proprio scrigno che custodisce il patrimonio storico artistico degli ebrei romani. Sarà aperto dalle ore 20.00 alle ore 01.00 con ultimo ingresso ore 00.15). Non solo, all’interno del Museo si potrà assistere ogni ora dalle 20.45 alle 00.30, allo spettacolo Musiche e storie da un lontanissimo villaggio ebraico, a cura dell’Orchestra Popolare Romana. Spostandoci nella Pinacoteca Capitolina si terrà dalle ore 21.00, 22.00, 23.00, 24.00 e 01.00, lo spettacolo Impronte Mediterranee, a cura dell’Alt Academy Produzioni. I lidi mediterranei incontrati nel viaggio del grande artista Marc Chagall rappresenteranno lo sfondo che accompagnerà la musica degli strumenti a corda percussivi suonati da Cristiano Califano e Bruno Zoi che faranno da sottofondo ai racconti della voce narrante e cantante Evelina Meghnagi, autrice e regista dello spettacolo. Nella Serra Moresca si terrà invece un tributo ad uno dei più importanti artisti della musica: Leonard Cohen, le cui canzoni saranno rivisitate dal trio di Gabriele Coen e dai racconti del giornalista Valerio Corzani. Il loro spettacolo “Coen racconta Cohen”, già apprezzato dal pubblico durante EBRAICA- il festival internazionale di cultura ebraica- è a cura dell’Accademia Italiana del flauto, e porterà nuovamente in scena tutta la magia del cantautore canadese.

(Shalom, 18 novembre 2022)

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Il fascino di un Pinot Noir d’Israele

di Brigida Mannara

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Sono stata emozionata perché è stata, a memoria, la mia prima volta con un vino israeliano.
Ero curiosa, assai curiosa di scoprire il carattere di un Pinot Noir proveniente da un territorio enologico a me praticamente sconosciuto.
Se di questo vino non avessi saputo che il terreno è vulcanico, ben drenato, che le vigne dell’azienda si sviluppano su un dislivello ampio che va dai 400 ai 1200 m s.l.m., tra il Mar di Galilea e il Monte Herman, mi sarei domandata l’origine del bellissimo incontro che ho avuto con lui.
Vino davvero bello, ricco, persistente.
Naso e bocca si sono tenute per mano tutto il tempo in lunghe e delicate passeggiate tra la frutta scura, prugna secca, carruba, le note speziate e i rimandi al cacao.
Il sorso è stato avvolgente, il vino ha accarezzato il mio palato ed è rimasto lì a farsi scrutare, e sentire, e capire.
Un dialogo tra i miei sensi e questo Pinot Noir d’Israele che non dimenticherò.
Quello che ho scoperto studiandolo: si tratta di un vino Koscher.
L’azienda è autorizzata dai rabbini a produrre vino che può essere bevuto anche dagli ebrei ortodossi.
Questo vino viene prodotto seguendo delle rigide regole che lo rendono appunto Koscher.
Riassumendo le regole per i più curiosi:
  1. l’uva deve provenire da viti con almeno 4 anni di età (quella precedentemente prodotta viene distrutta);
  2. tutto il personale che lavora alla produzione del vino, dalla vigna alla cantina deve essere ebreo osservante;
  3. tutta la strumentazione e l’attrezzatura necessaria alla produzione del vino deve essere kosher, e comunque deve subire dei processi di sterilizzazione, pastorizzazione, bollitura; 
  4. è possibile utilizzare lieviti, solforosa, mosto concentrato, a patto che sia tutto Koscher; 
  5. il vino Koscher, fino al momento della vendita, non può essere prodotto o toccato da non-ebrei, infatti sia in vigna sia in cantina possono accedervi sono ebrei osservanti; 
  6. tutto il processo che va dalla vigna all’imbottigliamento viene supervisionato da un rabbino che effettua molti controlli, anche a sorpresa e verifica il rispetto di tutte le regole Koscher, il nome di questo rabbino viene segnato in etichetta.
Insomma, una cultura che, a prescindere dalla condivisione o meno degli aspetti pratici ed etici, affascina.
Cheers!

(Resportage,it, 19 novembre 2022)

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Analisi dello Shabbàt dal punto di vista filosofico, etico, normativo e culturale

In un volume curato da Dario Coen, le conversazioni tra il rabbino Riccardo Shemuel Di Segni e il professor David Meghnagi

di Sara Ferrari

“E il settimo giorno Dio si riposò”, Genesi 2:2. Com’è noto, è il verso che stabilisce l’istituzione dello Shabbat e la sua santificazione, uno dei più noti e citati delle Scritture. Di recente la scrittrice Enrica Tesio e la musicista Andrea Mirò ne hanno elaborato una parafrasi ironica nel titolo dello spettacolo “E il settimo giorno lui si riposò, io no”, sulla fatica delle donne multitasking del nostro tempo, un tema che la Tesio affronta anche nel romanzo autobiografico di discreto successo Tutta la stanchezza del mondo (Bompiani 2022). Nonostante la diffusione ormai trasversale di questa immagine, il “riposo” di Dio, confesso che questa traduzione del testo biblico non mi è mai parsa troppo soddisfacente. Da un punto di vista etimologico, infatti, la parola Shabbàt – così come la radice š-b-t dalla quale essa è tratta – non indica il riposo in senso stretto, quanto piuttosto la cessazione del lavoro, l’astensione dalle proprie attività. Che poi quest’azione si traduca facilmente in riposo è piuttosto comprensibile, ma l’etimologia rimane comunque differente. Ne leggiamo una testimonianza concreta nell’ebraico moderno, dove troviamo, ad esempio, il sostantivo švitah, il cui primo significato è l’astensione volontaria dal lavoro per ragioni di protesta, ossia il più comune “sciopero”. Al contrario il concetto proprio di “riposo” è assegnato a un’altra radice, n-h-w, da cui deriva il termine di uso quotidiano menuhah.
  Al comandamento dello Shabbat inteso nel suo significato più profondo è dedicato il bel volume Shabbàt Shalòm. Il rinnovamento dell’umanità, in cui il giornalista Dario Coen raccoglie le conversazioni tra il rabbino Riccardo Shemuel Di Segni e il professor David Meghnagi, pubblicato poco tempo fa da Gangemi Editore. Questo breve volume è un viaggio intenso ed emozionante attraverso ogni aspetto dello Shabbàt, interpretato sia in ambito più strettamente normativo, sia etico, filosofico e culturale. Nulla è trascurato, nulla è lasciato privo di spiegazione: dalla minuziosa preparazione che precede l’ingresso dello Shabbàt, alle norme poste a regolamentare le azioni dell’uomo durante la giornata, fino alla sua conclusione, non meno importante poiché già ci proietta verso il sabato successivo. Non si pensi però che si tratti di un testo meramente erudito, incapace di coinvolgere il lettore. La levatura dei protagonisti del dialogo di certo anticipa lo spessore della trattazione, la quale tuttavia tocca spesso momenti di notevole bellezza. Ad esempio nel dettagliato excursus di David Meghnagi sullo Shabbàt nelle parole dei filosofi ebrei del XX secolo, tra i quali compare anche il poeta nazionale Haim Nahman Bialik, o nelle pagine finali sull’Havdalah, dove apprendiamo il significato del riso in conclusione dello Shabbàt, in uso presso le comunità ebraiche del mondo arabo: “Allo stesso modo in cui lo Shabbàt è stato accolto con gioia, lo si accompagna alla sua uscita”, scrive sempre Meghnagi. A corredare le parole di rav Di Segni e David Meghnagi le notevoli illustrazioni di Micol Nacamulli, le quali conferiscono ulteriore vivacità alla pubblicazione, e soprattutto una serie di box cui sono affidati ulteriori approfondimenti testuali, lessicali e halakhici. Così nello stesso libro ritroviamo le traduzioni di Lekhà Dodì e Nishmàt kol hài accanto a un ricordo di George Moustaki, la ricetta della Challà poco distante da citazioni da Il sabato di Avraham Joshua Heschel. Di queste ultime desidero ricordarne una più di altre: “Il Sabato è fatto per celebrare il tempo, non lo spazio. Per sei giorni alla settimana noi viviamo sotto la tirannia delle cose dello spazio; il Sabato ci mette in sintonia con la santità nel tempo: in questo giorno siamo chiamati a partecipare a ciò che è eterno nel tempo, a volgerci dai risultati della creazione al mistero della creazione; dal mondo della creazione alla creazione del mondo”. In questo risiede la soave bellezza dell’astensione, della cessazione delle attività.
  Nell’introduzione al volume il curatore Dario Coen si chiede a chi sia destinato davvero questo libro. Di sicuro esso può rappresentare un utile strumento di conferma per gli ebrei italiani, tuttavia mi permetto di auspicare che il volume raggiunga in particolare i non ebrei, al fine di colmare in maniera valida e rigorosa la curiosità che spesso ho incontrato nei miei anni di insegnamento, un sentimento talvolta viziato sia dal pregiudizio – sottile, talvolta impercettibile anche ai suoi portatori – sia da un’autentica ignoranza. Testi come Shabbàt Shalòm. Il rinnovamento dell’umanità sono qui per dirci che in questa Italia, nel 2022, non esistono più scuse.

(JoiMag, 18 novembre 2022)

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Oltre 180 organizzazioni del mondo a Twitter: “adottate la definizione di antisemitismo dell’IHRA”
  
Oltre 180 organizzazioni senza scopo di lucro e per i diritti civili da tutto il mondo, hanno chiesto in una lettera a Twitter e al suo nuovo azionista di maggioranza e amministratore delegato, Elon Musk, di adottare la definizione IHRA di antisemitismo. Dall’Italia hanno aderito, fra gli altri,  Solomon – Osservatorio sulle discriminazioni, Progetto Dreyfus,  Unione Associazioni Italia-Israele, Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) e CDEC.
  Alla lettera sono stati allegati più di 1.000 tweet antisemiti come prova.
  “Noi, le 180 organizzazioni per i diritti civili e no profit sottoscritte, crediamo che i discorsi di odio e discriminatori non dovrebbero essere tollerati sulle piattaforme dei social media, e che lo scambio di idee su Twitter non dovrebbe compromettere la sicurezza o il benessere degli utenti, e in particolare quelli che fanno parte di comunità vulnerabili – si legge nella lettera -. Coerentemente con questo principio, le politiche e le linee guida di Twitter dovrebbero proteggere gli utenti di fede ebraica da contenuti antisemiti e molestie”.
  Ciò è particolarmente urgente in considerazione dell’aumento del numero di incidenti antisemiti negli ultimi anni. Ad esempio, tra il 2020 e il 2021, gli incidenti antisemiti sono aumentati del 75% in Francia, il 78% nel Regno Unito, il 35% in Australia e il 30% in Germania. Negli Stati Uniti, l’antisemitismo ha raggiunto un livello record con 2.717 incidenti registrati, con un incremento del 34% rispetto all’anno precedente.
  “Attualmente, le politiche di Twitter utilizzano termini vaghi che si traducono da una definizione poco chiara dell’antisemitismo e da un basso tasso di applicazione realtà delle politiche comunitarie. Di conseguenza, l’antisemitismo è stato in grado di diffondersi liberamente su Twitter – continua la lettera -. Chiediamo a Twitter di aggiornare le sue politiche contro l’odio online, adottando la definizione universalmente riconosciuta di antisemitismo dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA) come strumento di riferimento per contrastare il dilagare dell’odio verso gli ebrei”.
  Quasi 40 paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e la stessa Francia, hanno già approvato o adottato ufficialmente la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Inoltre, la stragrande maggioranza dei gruppi della società civile, in prima linea nella lotta all’antisemitismo, incoraggiare l’uso e adozione di questa definizione.

(Bet Magazine Mosaico, 18 novembre 2022)

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Israele e Italia mai così vicini

A Travel Quotidiano il Premio Stampa Trade

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Israele chiama Italia e corre lungo la strada della ripresa ai livelli pre-pandemia. “I nostri due paesi non sono mai stati così vicini, con oltre cento voli diretti alla settimana, inclusa una grande novità: il collegamento Roma Fiumicino-Eilat“. Così Kalanit Goren Perry, consigliere affari turistici Ambasciata di Israele e direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo in Italia, in occasione del tradizionale appuntamento a Milano per l’assegnazione del Premio Stampa Israele. Quest’anno, in collaborazione con Fto, l’ente ha selezionato sei categorie per la premiazione: Cultura e spiritualità, Wellness e Luxury, Outdoor, Diversity, Special Mention e Trade: per quest’ultima il riconoscimento è andato proprio a Travel Quotidiano.
  L’offerta ampliata di verso Israele risponde ad una domanda di viaggio tornata a crescere, tanto che “da marzo ad oggi sono in Israele i visitatori italiani sono stati oltre 60.000, dato che posiziona l’Italia al sesto posto tra i mercati più importanti”. Avanti tutta, quindi, anche grazie ad una nuova “campagna promozionale ‘Two cities, one cabin bag‘ che mette in risalto un prodotto fruibile lungo tutto l’arco dell’anno, una destinazione facilmente raggiungibile e ideale anche per i city break (Gerusalemme e Tel Aviv)”.
  Gabriele Milani, direttore Fto, ha sottolineato come “malgrado i volumi del turismo organizzato sul medio e lungo raggio non abbiamo ancora recuperato i numeri del 2019, il recupero è però tangibile. Occorre comprendere quale sarà la nuova normalità del 2023, in risposta alla mutata domanda turistica dei clienti e per farlo sarà fondamentale continuare a lavorare insieme”.

(Travel Quotidiano, 18 novembre 2022)

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Israele e Giordania insieme per salvare il fiume Giordano

I due Stati hanno siglato a margine di Cop27 un documento per la salvaguardia di una delle principali risorse idriche dell'area. Il ministro dell'Ambiente israeliano: "Fondamentale per l'adattamento alla crisi climatica"

di Cristina Nadotti

In uno dei tanti incontri bilaterali, che si tengono in questi giorni a margine della Cop27 a Sharm el-Sheikh, è stato siglato un accordo storico per la salvaguardia di un fiume dall'alto valore ambientale, religioso e geopolitico. Israele e Giordania hanno infatti firmato giovedì una dichiarazione d'intenti per risanare e proteggere il Giordano, vicino al prosciugamento a causa di cambiamenti climatici, inquinamento e continui prelievi di acque per l'agricoltura.
  L'accordo è importante non soltanto dal punto di vista della cooperazione per mitigare l'impatto crescente del cambio climatico, i cui effetti sono maggiori nell'area del Mediterraneo e del Medio Oriente, ma perché segna un primo passo verso l'effettivo rispetto della collaborazione per lo sfruttamento delle risorse idriche, elemento chiave del trattato di pace che Israele e Giordania hanno firmato nel 1994. Gli ultimi decenni di crescente instabilità nell'area hanno portato a un raffreddamento delle relazioni anche tra Israele e Giordania e le azioni per salvaguardare l'approvvigionamento idrico del fiume Giordano sono state pressoché nulle.
  Anche il piano annunciato giovedì è solo un primo passo e poco si sa dei dettagli. Secondo un comunicato del governo israeliano, Israele e la Giordania hanno promesso di impegnarsi per ridurre l'inquinamento del fiume, costruendo impianti di trattamento delle acque reflue e migliorando i sistemi fognari, per evitare che le città rivierasche scarichino liquami grezzi nelle sue acque. I due Paesi intendono inoltre promuovere l'agricoltura sostenibile, controllando il deflusso delle acque dai campi coltivati e riducendo l'uso di pesticidi, ha aggiunto il documento, senza specificare come. Il ministro dell'Ambiente israeliano,Tamar Zandberg, ha così riassunto l'accordo: "Ripulire gli inquinanti e i pericoli, ripristinare il flusso dell'acqua e rafforzare gli ecosistemi naturali ci aiuterà a prepararci e ad adattarci alla crisi climatica".
  Israele e Giordania non sono gli unici Paesi che sfruttano il Giordano come risorsa idrica:  il fiume separa anche la Giordania, a est, dalla Cisgiordania, ed è quindi nodo cruciale anche del conflitto israelo-palestinese. Per i cristiani, inoltre, il basso Giordano è il luogo dove venne battezzato Gesù e quindi una meta del turismo religioso, una risorsa economica molto importante.
  Yana Abu Taleb, direttrice giordana di EcoPeace Middle East, che riunisce ambientalisti giordani, palestinesi e israeliani e fa pressione per una collaborazione regionale per salvare il fiume ha dichiarato alla Associated Press che il Giordano "è sicuramente una vittima del conflitto. È una vittima delle persone e ora è una vittima del cambiamento climatico". EcoPeace sostiene da anni che il Basso Giordano, che scorre a sud del Mar di Galilea, è minacciato non soltanto dall'inquinamento, ma da decenni di deviazione dell'acqua, per cui solo una minima parte del suo flusso d'acqua originario raggiunge oggi la sua foce nel Mar Morto.
  Anche per il declino del Mar Morto da anni gli esperti lanciano l'allarme, perché al rapido abbassamento del suo livello contribuiscono fattori naturali e responsabilità umane, fra cui appunto l’uso estensivo da parte di Israele delle acque del fiume Giordano nel deserto del Negev nel sud. A questo si aggiungono gli impianti di estrazione di sale e potassio sulle rive del mare, in particolar modo sul versante israeliano, che hanno contribuito all’enorme pompaggio di acqua. Infine, è l’estrema fluttuazione delle precipitazioni hanno ridotto, e non di poco, il contribuito di acqua ai fiumi che alimentano il bacino.
  Gidon Bromberg, direttore israeliano del gruppo EcoPeace Middle East, ha detto ad Ap che "ogni acqua dolce lasciata nel fiume, in passato, sarebbe stata vista come un'arma a favore del nemico. Si prende tutto quello che si può. Israele, da una prospettiva storica, ha preso circa la metà dell'acqua, mentre Siria e Giordania hanno preso l'altra metà". I palestinesi non possono più accedere o utilizzare l'acqua del Giordano, come hanno rilevato numerosi rapporti Onu, mentre la Siria, che non ha accesso diretto al fiume, ha contribuito ad alterare la sua portata costruendo dighe nel sottobacino del fiume Yarmouk, che fa parte del bacino del Giordano.
  Lo scorso luglio, Israele ha approvato un programma per il risanamento di un tratto del Basso Giordano, una decisione che il ministro dell'Ambiente Tamar Zandberg ha definito "storica". "Per decenni il fiume è stato trascurato e la maggior parte delle sue acque sono state prelevate, trasformandolo di fatto in un canale di scarico - aveva dichiarato Zandberg in un comunicato - In un'epoca di crisi climatica e di grave crisi ecologica, riabilitare il fiume Giordano ha un doppio significato"

(la Repubblica, 18 novembre 2022)

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Un incendio a Gaza provoca 21 vittime

Un incendio scoppiato in un edificio nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, ha provocato 21 vittime

Il Ministero degli Interni palestinese a Gaza, in una dichiarazione scritta ha riferito che in un edificio nel campo di Jabalia è scoppiato un incendio.
Mentre, in una dichiarazione dell'Amministrazione della Protezione Civile, si riferisce che i cadaveri di 21 persone, tra cui donne e bambini, sono stati ritrovati nell'edificio dove è scoppiato l'incendio. Nessuna informazione è stata fornita sul numero di persone ferite nell'incendio.
Le squadre della protezione civile prendendo sotto controllo l'incendio, hanno impedito la propagazione dell’incendio ad altri edifici.
Secondo le prime determinazioni, l'incendio sarebbe stato causato dalla benzina immagazzinata nell'edificio e sono in corso le indagini sull'incidente.
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas, a seguito del disastro dell'incendio ha dichiarato il lutto nazionale nel Paese per il venerdì.
D'altra parte, la Türkiye ha inviato un messaggio di cordoglio per le vittime che hanno perso la vita nell'incendio avvenuto nel campo profughi di Jabalia a Gaza.
In una dichiarazione diffusa dal Ministero degli Esteri, si legge quanto segue:
"Si è appreso con grande tristezza che molte persone, compresi bambini, sono morte e altre sono rimaste ferite in un incendio scoppiato in un edificio nel campo profughi di Jabalia a Gaza durante la sera del 17 novembre. Auguriamo la misericordia di Allah per coloro che hanno perso la vita, e porgiamo le nostre condoglianze alle loro famiglie, al popolo fraterno palestinese e allo Stato palestinese, e auguriamo una pronta guarigione ai feriti.”

(Zunge321& italiano, 18 novembre 2022)

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Montecopiolo insignita della Medaglia d' Argento al Merito Civile

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Il comune di Montecopiolo è Medaglia d'Argento al Merito Civile. La cerimonia di consegna è avvenuta questa mattina (giovedì 17 novembre) in Prefettura a Rimini.
  La Medaglia, apposta dal Prefetto sul gonfalone del comune, è stata conferita dal Presidente della Repubblica con la seguente motivazione: “Con generoso altruismo e coraggio, gli abitanti del comune di Montecopiolo hanno dato supporto durante la seconda guerra mondiale a molti ebrei che si allontanavano dalla Jugoslavia per sfuggire alle truppe tedesche. Consapevoli del rischio, hanno fornito loro rifugio e generi di prima necessità. Esempio di solidarietà e coraggio. 1943/1945 Montecopiolo”.
  All’evento hanno preso parte, tra gli altri, il Vescovo di San Marino Montefeltro Mons. Andrea Turazzi; il presidente della Comunità Ebraica di Ferrara Fortunato Arbib, competente per la Romagna; il sindaco di Montecopiolo Pietro Rossi, con giunta e consiglio; Filippo Giorgetti, sindaco di Bellaria Igea Marina, località in cui gli Ebrei si erano rifugiati in precedenza; alcuni membri della famiglia di Ezio Giorgetti, primo italiano ad essere riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni”, con la toccante testimonianza della sig.ra Maria Teresa; i Prof.ri Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni autori di un libro sul tema e i vertici provinciali delle Forze dell’Ordine.
  La cerimonia, arricchita da video documentaristici di natura storica, si è svolta tra testimonianze e approfondimenti.
  Nell’intervento di saluto, il Prefetto ha evidenziato che “Fratellanza, ospitalità e coraggio sono i tre termini con i quali può essere accompagnata la memoria della comunità di Montecopiolo che oggi viene celebrata con la consegna di una Medaglia d’Argento al Merito Civile, che non rappresenta solo un fregio, ma l’espressione di una umanità convinta tra le troppe brutture di un insensato conflitto”.

(altarimini.it, 18 novembre 2022)

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Il 17 Novembre del 1938 venivano approvate le leggi razziali in Italia

Oggi, in Italia, ricorre l’84esimo anniversario dell’approvazione delle leggi razziali. Un triste momento storico per il nostro Paese, una delle pagine di storia più controverse che ha visto la promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938-1939.

di Vanessa Amico

Il 17 novembre 1938, quindi, si arriva al decreto legge contenete i provvedimenti a tutela della razza italiana. Delle norme che avevano l’ideale di provocare l’odio delle masse contro un nemico, per il semplice motivo di essere diverso dall’altro e dall’intera comunità.

• La nascita delle leggi razziali
  Agli inizi del 1938, Benito Mussolini inizia a stringere rapporti con Adolf Hitler, un’alleanza che in seguito si trasformerà in Patto di Acciaio tra Italia e Germania. Nell’estate dello stesso anno, iniziano a diffondersi le pubblicazioni de La difesa della Razza, una rivista che anticipa la legge che sarà promulgata nel mese di novembre.
  A fine estate, il 5 settembre, viene varato dal Consiglio del ministri un decreto legge che esclude i bambini e i docenti ebrei dalle scuole. I provvedimenti antisemiti con divieti e limitazioni a tutta la comunità ebraica e discriminazioni non solo sulla conduzione della vita quotidiana, come ad esempio avere un animale domestico di razza ariana ma anche restrizioni a livello lavorativo: con le leggi razziali in Italia, gli ebrei, non potevano appartenere agli ordini di Stato, militare o civile, partito nazionale fascista, enti pubblici, banche e assicurazioni.

“La concezione del razzismo in Italia
deve essere essenzialmente italiana
e l’indirizzo ariano–nordico”.

Queste sono le parole che si leggono in un Manifesto razziale del 1938

• La persecuzione dei diritti secondo Michele Sarfatti
  Nella giornata dell’84esimo anniversario della nascita delle leggi razziali in Italia, Michele Sarfatti, un noto storico specializzato nella storia della comunità ebraica del novecento, fa una riflessione riguardo le leggi antisemite.
  Sarfatti ha descritto questo periodo storico con il termine “la persecuzione dei diritti”: con tale espressione si sta a indicare una prima parte di sterminio della persona ebrea, cioè la sua esclusione nel mondo del lavoro, scolastico e sociale, una sorta di preparazione a quella che purtroppo sarà la sua vita nel campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale.
  Infatti, successivamente, dalla persecuzione dei diritti, si passa alla persecuzione delle vite: tutte le persone ebree sono schedate e inserite in elenchi speciali, identificati, alcuni, come personaggi sospetti.
  Gli italiani in quel periodo si dividono in due categorie: chi decide di mettere in salvo gli ebrei a costo della loro stessa vita, e chi, invece decide di perseguitarli e annientarli.

(Nanopress, 17 novembre 2022)

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Attacco terroristico ad Ariel: tre morti e diversi feriti

di Sofia Tranchina

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L’ondata di terrorismo palestinese non accenna a fermarsi: ancora accoltellamenti, speronamenti e morti.
  Martedì 15 novembre mattina il diciottenne palestinese Muhammed Souf, residente a Hares, con un permesso di lavoro che gli dava la libertà di circolare in territorio israeliano, nell’insediamento di Ariel ha accoltellato una guardia di sicurezza, per proseguire e accoltellare tre civili vicino a una stazione di servizio. Secondo la ricostruzione pubblicata dal Times of Israel, il terrorista ha poi rubato una macchina che ha fatto schiantare contro altri veicoli sull’autostrada Route 5. È dunque sceso dalla macchina per accoltellare un’altra persona, per poi rubare un’altra auto che ha guidato contro il traffico cercando di causare più danni possibili. Quando è sceso dal veicolo distrutto, ha cercato di proseguire e finalmente è stato fermato e neutralizzato.
  Negli accoltellamenti sono morti Michael Ledigin (al centro) e Tamir Avichai (a destra), e molti altri sono stati feriti (di cui tre sono ricoverati in ospedale), mentre negli incidenti in macchina è stato ucciso Moti Ashkenazi (a sinistra).
  Michael, ebreo di soli 36 anni, si era trasferito in Israele dalla Russia soltanto cinque anni prima con la moglie e i due figli piccoli. Ottenuta la cittadinanza, ha preso casa poco a sud di Tel Aviv, a Bat Yam. La sua vedova, Yevgenia, distrutta dal dolore ha dichiarato ai media: «non capisco come potrò vivere senza mio marito». La famiglia di Michael in Russia è stata avvisata e cercherà di recarsi in Israele per il funerale.
  Tamir, di 50 anni, residente di Kiryat Netafim, lascia sei figli. «Quando abbiamo letto dell’attacco terroristico – racconta uno dei figli – eravamo dispiaciuti, ma ci siamo anche detti “okay, succede”, finché improvvisamente si tratta della tua vita e di tuo padre».
  La morte di Moti, 59 anni, padre di tre ragazzi residente a Yavne, riapre invece una ferita non ancora rimarginata nel cuore della vedova, che era stata già coinvolta dalla morte di suo fratello David Shamir in un altro attacco terroristico. «Non ci siamo mai del tutto ripresi, e ora è successo di nuovo. Di nuovo terroristi, di nuovo odio per Israele. […] Moti era amorevole, pieno di gioia per la vita, marito esemplare e uomo di famiglia, con una grande anima e sempre pronto ad aiutare tutti. Questa è una grande perdita per noi e per chiunque lo abbia conosciuto».
  Il terrorista è stato fermato da un soldato fuori servizio che stava giusto andando al memoriale di Shalom Sofer, un’altra vittima deceduta soltanto settimana scorsa per le ferite di un altro attacco terroristico palestinese: «quando mi sono accorto che quello a cui stavo assistendo era un attacco terroristico, sono sceso dal veicolo, ho identificato il terrorista e gli ho sparato per neutralizzarlo», ha commentato.
  Nel frattempo, Hamas festeggia e celebra il terrorista chiamandolo “eroe”, per incitare quanti più ragazzi a fare lo stesso.
  La violenza palestinese ha ucciso 25 israeliani dall’inizio dell’anno, facendo del 2022 l’anno con più morti dal 2006.

(Bet Magazine Mosaico, 17 novembre 2022)

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Oman: drone colpisce nave cisterna israeliana al largo dell’Oman

Una petroliera appartenente ad una società con sede a Singapore, di proprietà del miliardario israeliano Idam Ofer, è stata colpita da un drone mentre si trovava al largo della costa dell’Oman. La petroliera è la Pacific Zircon, battente bandiera liberiana, attaccata la scorsa notte mentre stava navigando a circa 240 chilometri dalla costa omanita. Secondo le prime notizie, l’ordigno non ha provocato danni all’equipaggio, né causato perdite del petrolio trasportato. Vengono solo segnalati ”alcuni danni minori allo scafo della nave, ma nessuna fuoriuscita di carico o infiltrazioni d’acqua”.
  Secondo un funzionario israeliano, citato a condizione dell’anonimato dall’Ap, la Pacific Zircon sarebbe stata colpita da un Shahed-136, un drone di fabbricazione iraniana (dello stesso tipo di quelli forniti alla Russia, che li sta utilizzando in Ucraina). Una ”firma” che induce gli analisti a pensare che dietro l’attacco ci possa essere l’Iran. Alla notizia dell’attacco i prezzi del petrolio (un mercato tradizionalmente molto sensibile agli eventi che maturano nella regione mediorientale) sono leggermente saliti.
  Non è la prima volta che navi in qualche modo riconducibili a Israele subiscono attacchi nel mare Arabico, mentre le tensioni che ci sono tra lo Stato ebraico e l’Iran vanno avanti da molti anni. Sempre al largo dell’Oman, due anni fa, un’altra petroliera associata a Israele, la Mercer Street, fu attaccata da droni, che causarono la morte di due membri dell’equipaggio.

(Italiani News, 17 novembre 2022)

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Israele: nuovo metodo permette di diagnosticare malattie croniche attraverso l’analisi dei social network dei pazienti

Gli ingegneri dell'Università Ben Gurion del Negev hanno sviluppato un innovativo metodo per raccogliere informazioni mediche dai messaggi dei pazienti sui social network. Con questo algoritmo è possibile individuare gli individui affetti da malattie croniche analizzando i loro post sui social media per generare approfondimenti medici.
  La piattaforma utilizzata da Maya Stemmer per il suo dottorato di ricerca è stata Twitter, focalizzandosi in particolare sulle malattie infiammatorie intestinali come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. La mole di post pubblicati dai pazienti è stata analizzata utilizzando le competenze dei Big Data così da ottenere informazioni sul mondo reale.
  Attraverso il metodo di apprendimento automatico, l’Università Ben Gurion è stata in grado di scoprire pazienti con malattie croniche. I ricercatori hanno identificato caratteristiche distintive del morbo di Crohn che hanno contribuito a differenziarlo dalla colite ulcerosa. Attraverso l’analisi dei contenuti pubblicati sui social network, è stato anche possibile confermare le informazioni esistenti sugli alimenti che aumentano oppure riducono le infiammazioni.
  La scelta di utilizzare come piattaforma di prova Twitter è dovuta alla possibilità di utilizzare un'API, ossia l’interfaccia di programmazione delle applicazioni, per i ricercatori accademici, che ha facilitato la raccolta delle informazioni. Tuttavia, secondo Stemmer, il sistema può essere modificato per altre piattaforme e altre malattie.
  "Il lavoro presentato dimostra che è possibile ricavare approfondimenti relativi alla salute dai post dei pazienti. - spiega Stemmer - Quest’ultimi non sono gli unici utenti che parlano di salute sui social media e il quadro presentato aiuta a eliminare i post tendenziosi delle parti interessate. L'utilizzo del quadro per identificare più pazienti e raccogliere più dati può far luce su come i pazienti affrontano la loro malattia e l’influenza che questa ha sulla loro qualità di vita”.
  La ricerca di Maya Stemmer è stata realizzata con la supervisione del Prof. Gilad Ravid e del Prof. Yisrael Parmet, membri del Dipartimento di Ingegneria Industriale e Gestionale della Facoltà di Scienze dell'Ingegneria e della Guilford Glazer Faculty of Business and Management.

(Shalom, 17 novembre 2022)
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Non è consolante venir a sapere che Israele è all'avanguardia, oltre che su vaccinazioni e green pass, anche su tecniche digitali di raccolta informazioni sulle persone "per identificare più pazienti e raccogliere più dati" al fine di "far luce su come i pazienti affrontano la loro malattia e l’influenza che questa ha sulla loro qualità di vita”. Certo, "il sistema può essere modificato per altre piattaforme e altre malattie", tra le cui malattie potranno comparire anche quelle, per esempio, che spingono ad appoggiare una certa tendenza politica o religiosa, considerata dall'algoritmo come "malattia". Siamo sempre sul piano della salvezza sanitaria del mondo attraverso la raccolta e la manipolazione algoritmica di informazioni sulle persone. M.C.

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I dilemmi di Netanyahu, al Governo l'estrema destra presenta il conto

Il nodo del contenzioso verte sul ruolo da affidare a Bezalel Smotrich, chairman di Sionismo Religioso, che rivendica il ministero della Difesa o quello delle Finanze. Ma Bibi vuole liberarsi in fretta di Yair Lapid e, come in passato, sfrutterà le sue doti nell'arte del compromesso per non lasciare nessuno a mani vuote.

di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi

Miracolo a Gerusalemme, o quasi. Compiuto dal solito Benjamin Bibi Netanyahu, che ha riportato stabilità nell'arena politica dopo anni di delirante fragilità. L'erede politico di Menachem Begin, con i suoi 64 dei 120 seggi del parlamento, si appresta ancora una volta a guidare Israele. Non è il primo e figuratevi se sarà l'ultimo prodigio politico di questo controverso camaleonte. Architetto di un'operazione elettorale, sapientemente modellata, di cui può vantare l'esclusiva paternità: il blocco rak Bibi! (solo Bibi!).
  Alchimia di destra variegata che potrebbe svanire domani, facendo pentire Netanyahu della scelta radicale di campo, ma oggi è il punto fermo al duraturo controllo del Paese. Il rischio che il longevo politico israeliano ha dovuto accollarsi in questa operazione è stato quello di presentarsi al pubblico quale garante dello sdoganamento dei movimenti nazional-religiosi dell'estrema destra, esponendosi in prima persona. Azzardo, vincente nelle urne, dalle innumerevoli insidie. Intanto, il leader del Likud ha in mano quello che voleva: l'incarico per formare il prossimo esecutivo. Il presidente Isaac Herzog, come da prassi, gli ha accordato il mandato di 28 giorni per presentare la lista dei futuri ministri, e se tale periodo tuttavia non fosse sufficiente a chiudere l'accordo nella maggioranza allora, il neo candidato potrebbe sfruttare il recupero dell'extra time approfittando dell'estensione di altre due settimane.
  L'opinione più diffusa è che comunque Netanyahu abbia la smania di chiudere la quadra in fretta, per liberarsi di Yair Lapid (premier facente funzioni) e non allungare troppo il brodo al tavolo dell'intesa di governo, segnale che lascerebbe trapelare debolezza e cedimento, minando credibilità ed autorevolezza. Da mesi ha lavorato a questo momento discutendo dettagliatamente i particolari con i partner, difficile che quindi si faccia trovare impreparato e tantomeno intrappolato in tranelli dell'ultimo minuto. Non a caso si era parlato con insistenza della data del 15 Novembre per annunciare il suo ritorno sul trono di Gerusalemme, in concomitanza con l'insediamento della nuova Knesset. Invece, a causa di qualche ritardo, avvenuto “in corso d'opera” nell'assegnazione dei dicasteri, Bibi ha dovuto rimandare l'incoronazione. E aprire, post campagna elettorale, una serrata “asta” con gli alleati.
  Il nodo dell'attuale contenzioso, e il relativo vicolo cieco nel negoziato, verte sul ruolo che dovrebbe rivestire Bezalel Smotrich, chairman della lista razzista Sionismo Religioso (HaTzionut HaDatit) espressione dell'ala oltranzista dei coloni e salita esponenzialmente a 14 seggi, ma già divisa e scomposta negli intenti. Smotrich rivendica per sé la poltrona di ministro della Difesa o in alternativa quella delle Finanze. Da un lato la sua nomina è caldeggiata da un gruppo di rabbini israeliani, dall'altra viene vivamente sconsigliata dalla Casa Bianca. L'entourage di Biden ha fatto sapere, a più riprese, che non sarebbe a proprio agio nel lavorare, a stretto contatto, con personalità di matrice kahanista (terrorista), in particolare in settori sensibili come la sicurezza. Il veto a figure chiave come lo stesso Smotrich e Itamar Ben-Gvir, per quanto si tenti di dire il contrario, suona come una intromissione negli affari interni israeliani. Nulla di nuovo o di male, trattandosi di una procedura frequentemente applicata anche in altri contesti sotto influenza statunitense. Praticamente, il tono stizzito del richiamo di Washington pone un serio dilemma a Netanyahu: allinearsi alle pressioni esterne, magari allargando la coalizione a forze più affini ai democratici americani, o smarcarsi, aprendo una complessa frattura diplomatica con il vecchio amico Biden? Il rifiuto da parte del falco della destra a concedere una delle due caselle a Smotrich risente direttamente e banalmente di questo aspetto.
  È bene comunque ricordare che in passato il pluri-indiziato politico israeliano ha persino dato vita a un mastodontico governo composto da 28 ministri, pur di non lasciare nessun alleato a mani vuote. Le talentuose doti di Netanyahu nel primeggiare nel suk dei compromessi sono un’arte nota a tutti, ma non da tutti apprezzata. La lista degli scottati dalle lusinghe e promesse non mantenute è assai lunga, e gli è costata cara quando si sono potuti vendicare, relegandolo temporaneamente all'opposizione.
  Al momento, Smotrich & C. sono i primi a non aver interesse che la corda si strappi. Alla fine del tira e molla per “stanchezza” le tensioni si abbasseranno, e qualcuno arrendevolmente si accontenterà di conciliare la spartizione dei dicasteri di governo, nel nome del bene dello stato. Fino ad allora la caratteristica dominante nel dibattito (e nella trattativa) sarà quella di puntare i piedi e fare la voce grossa. Tuttavia, alzarla sopra quella di chi non ha eguali (né rivali) nell'hasbara pare una strategia poco azzeccata. E forse nociva come dimostra l'esito del cartello anti-Bibi.

(L'HuffPost, 16 novembre 2022)

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La strage di Ariel: è possibile fermare i terroristi?

di Ugo Volli

• La scena
  È una scena che non è difficile immaginare: una mattina d’autunno, chiara e un po’ ventosa sulle colline della Samaria. Terra rossa sassosa, ulivi, un’autostrada, qualche capannone industriale. Sono circa le 8. All’ingresso dell’area industriale di Ariel, quattro o cinque chilometri ad est della città universitaria al centro della Samaria, entrano parecchi lavoratori arabi. Vi si fabbricano materiali edilizi, tubi di plastica e di metallo, contenitori tecnologici. Per una disposizione di legge molto chiara, i lavoratori arabi sono trattati come quelli israeliani: stessi stipendi, stesse condizioni contrattuali, stessa sicurezza sociale. Il che significa una situazione molte volte migliore di quella dei lavoratori impiegati presso le poche imprese palestinesi esistenti nei dintorni. I rapporti umani fra le maestranze e le imprese sono quindi in genere buoni, lavoratori arabi e israeliani lavorano fianco a fianco senza tensioni. L’ho visto io stesso visitando gli impianti qualche tempo fa.  

• La strage
  All’ingresso della zona industriale c’è un portinaio, più che una guardia: la zona non è considerata un obiettivo sensibile. Fra le persone che passano in fretta c’è un giovane conosciuto, abbastanza alto, con la faccia tonda, i capelli neri di tutti in quei dintorni, un paio di occhiali scuri. Ha diciotto anni, si chiama Mohammad Souf, viene dal villaggio di Khares, che dista appena un paio di chilometri verso nord dalla zona industriale. Si scoprirà che è figlio di un condannato per terrorismo, che fa parte di Fatah, il partito di Mohammed Abbas; ma questo non era noto, o non ci si badava. Il giovane lavora lì, ha un permesso israeliano, probabilmente varca quella soglia ogni giorno;  si avvicina al portinaio senza problemi, magari fa cenno di volergli chiedere qualcosa. Tira invece fuori un lungo coltello e glielo infila nel ventre e nel collo. Il guardiano morirà in mattinata per le ferite. Mohammad Souf scappa giù dalla collina, arriva a una pompa di benzina dove c’è parecchia gente. Ha ancora il coltello nascosto. Lo tira fuori e ne accoltella alcuni. Uno muore, altri sono feriti gravemente. Il terrorista si impadronisce di una macchina, fugge sull’autostrada 5 (trans-Samaria) che corre lì vicino. Non gli basta quel che ha fatto, investe apposta una macchina, uccidendo un’altra persona. Ne accoltella un’altra ancora. Scappa a piedi, non essendo riuscito a rubare un’altra macchina. Finalmente incontra un soldato fuori servizio, che cerca di accoltellare. Il soldato reagisce, gli spara e finalmente lo abbatte. Intervengono i servizi di soccorso che cercano di salvare i feriti. Il bilancio è pesantissimo: tre israeliani morti, due feriti molto gravi, altri più leggeri. Le tre vittime sono poi state identificate, i loro nomi sono Moshe Ashkenazi, Michael Ladygin e Tamir Avihai.  

• Le domande
  Ci si chiede come ha fatto Souf a compiere una strage del genere. C’era forse un complice? Le autorità indagano. Si poteva evitare l’attentato? Per questo come per i tanti, tantissimi altri attentati di questi giorni, la risposta è forse sì, militarizzando il territorio, tenendo sempre le armi pronte, evitando ogni contatto con gli arabi, rimanendo sempre barricati. Ma certamente è difficile vivere in questa maniera. La ragione è che quelli come Souf non cercano obiettivi militari, non vogliono conquistare o difendere un territorio, non vogliono colpire i soldati con il progetto di sconfiggere Israele. Vogliono uccidere gli israeliani (o meglio solo gli israeliani ebrei, e in definitiva tutti gli ebrei anche senza la cittadinanza israeliana). Chiunque sembri loro  far parte del popolo ebraico è un obiettivo: donne, bambini, vecchi, giovani, israeliani, europei. Il terrorismo è questo: colpire alla cieca con una logica non militare, ma genocida. Questo va spiegato a quelli che parlano di “resistenza” o “guerra di popolo”: non si tratta affatto di ciò, ma di pura e semplice volontà genocida, perfettamente analoga a quella nazista.  

• Come fermarli dunque?
  Chi può fermare questi attacchi, e in effetti ne blocca parecchi, ma purtroppo non tutti, sono i servizi di informazione e sicurezza israeliani. Anche negli ultimi mesi hanno fatto tanti arresti, tanti sequestri di armi, tante coraggiose battaglie per espugnare i covi dei terroristi. Ma il serbatoio è ampio. L’autorità palestinese e tutti i movimenti palestinisti, Fatah come Hamas come la Jihad islamica, compresi quelli che sul teatro internazionale fanno i pacifisti, incoraggiano ed esaltano questi crimini. A Gaza i militanti sono scesi nelle strade con vassoi di dolci da offrire ai passanti; magari a Hebron faranno i fuochi d’artificio per festeggiare gli omicidi, come è successo una decina di giorni fa. E l’Autorità Palestinese pagherà alla famiglia dell’assassino una grossa cifra e una pensione per tutti. Magari nel suo paese gli dedicheranno una piazza. I giornali e le televisioni lo esalteranno, nelle scuole, comprese quelle dell’UNRWA pagate dalle Nazioni Unite e dunque anche dalle nostre tasse, diventeranno oggetto di studio e di imitazione.  

• Fare pressione
  Fino a quando tutto ciò continuerà, ci saranno altri Souf pronti a scannare ebrei. Per fermarli bisognerebbe che si creasse un clima sociale che rifiuta il terrorismo, ma tutti i movimenti palestinisti rifiutano di condannare la “lotta armata”, cioè gli omicidi di israeliani. Bisognerebbe allora obbligare queste organizzazioni, almeno togliendo loro i fondi; ma i “progressisti” di mezzo mondo, dagli Usa all’Europa, compreso l’Italia, li appoggiano, li finanziano, li giustificano. Come dimenticare Craxi che in Parlamento giustificava la “lotta armata palestinese” al Risorgimento? Come dimenticare più di recente, le parole di appoggio alla “lotta palestinese” di diversi candidati del Pd alle ultime elezioni?  Per fermare il terrorismo bisogna fare una battaglia morale e politica anche in Occidente. E appoggiare qui come in Israele quel che fa Israele per difendersi.

(Shalom, 16 novembre 2022)

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Attentato alla Sinagoga, l'avvocato della Comunità Ebraica: "Allargare le indagini. Ci sono ancora piste insondate"

Il legale Joseph Di Porto approfondire "i rapporti tra gli attentatori e il terrorismo nostrano, in particolare quello delle Br". Nel raid del 9 ottobre 1982 morì Stefano Gaj Taché, due anni, e restarono ferite 37 persone.

di Marina de Ghantuz Cubbe

A 40 anni dal più grave attacco antisemita avvenuto in Italia, manca ancora una verità storica e giudiziaria sull'attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982. Per questo l'avvocato della Comunità Ebraica, Joseph Di Porto, chiede di "allargare il campo delle indagini e battere anche altre piste fino ad ora insondate".
  La Procura di Roma ha infatti recentemente riaperto le indagini e l'attenzione degli investigatori per Di Porto si dovrebbe finalmente concentrare anche "sui fiancheggiatori dei terroristi mediorientali che erano occidentali e ancora su come gli armamenti siano arrivati nelle mani degli attentatori".
  La richiesta è di approfondire anche "i rapporti tra questi e il terrorismo nostrano, in particolare quello delle Br, che sono già emersi ma nessun ex brigatista è mai stato interrogato".
  Il raid è stato attribuito al gruppo palestinese di Abu Nidal che, quel sabato alle 11.55, colpì il Tempio Maggiore mentre era gremito di fedeli.
  Morì Stefano Gaj Taché, due anni appena e altre 37 persone restarono ferite. Ma gli aspetti oscuri di quella vicenda sono ancora molti e su questi si è concentrata la discussione  del panel "L'attentato, cosa sappiamo e cosa resta ancora da capire", che si è svolto all'interno del convegno "9 ottobre 1982. L'attentato al Tempio Maggiore di Roma 40 anni dopo", all'Archivio Centrale dello Stato.
  Al dibattito, oltre all'avvocato Di Porto, hanno partecipato la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, il prefetto Franco Gabrielli e il direttore di Repubblica Maurizio Molinari.
  "È una pagina buia, triste e terribile della storia italiana che vede ancora troppe domande aperte - ha detto Ruth Dureghello  - Manca la giustizia, non abbiamo un colpevole che abbia scontato un solo giorno di pena. Noi non smetteremo mai questo impegno, la comunità ebraica e l'Italia meritano di avere risposte".
  In questo senso il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha assicurato "l'impegno a ogni necessaria apertura a tutti gli approfondimenti e a tutti gli accessi a documenti sotto la conduzione dell'autorità giudiziaria e a tutto quello che dovesse essere necessario per l'approfondimento storico". Che per il prefetto Franco Gabrielli può portare a "inchiodare i responsabili e chi ne ha garantito la copertura. Ci sono ancora molti interrogativi e bisogna fare ancora molto. Le verità devono essere ricercate e sono scettico circa un accertamento che trovi nelle aule parlamentari delle risposte perché lì c'è il problema del pregiudizio ideologico che molto spesso è la precondizione che non favorisce l'accertamento".

(la Repubblica, 16 novembre 2022)

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Il concerto per riscoprire la musica proibita nella Germania nazista e nell’Italia fascista

L’intento del Festival Viktor Ullmann nell'ambito del progetto europeo "Musica, memoria e  cittadinanza europea" è riscoprire quelle pagine musicali troppo a lungo dimenticate per far rivivere il genio creativo dei loro compositori e riflettere sulla Shoah da un diverso punto di osservazione.

Domenica 20 novembre alle ore 18.00 presso il Museo Ebraico di Trieste si terrà il Concerto dei Solisti dell’Orchestra Metropolitana di Lisbona, evento a ingresso gratuito organizzato in collaborazione con il Festival Viktor Ullmann nell'ambito del progetto europeo "Musica, memoria e  cittadinanza europea". Il programma prevede l'esecuzione di musiche di Pavel Haas, Hans Eisler, Fernando Lopes-Graça, Paul Hindemith e Kurt Weill.

• Gli obiettivi
  Si tratta di un evento particolarmente importante e prestigioso, in quanto - spiegano gli organizzatori - rientra in un progetto internazionale che coinvolge 12 Stati membri dell'Unione europea attraverso la realizzazione di concerti, conferenze internazionali ed eventi collaterali (mostre, documentari, laboratori di mediazione culturale e didattica), che intendono focalizzare l'attenzione del pubblico sui valori di democrazia e tolleranza.
  Nella cultura europea, la musica ha avuto un duplice ruolo politico nel XX secolo: come testimone degli sconvolgimenti dei regimi totalitari che hanno martoriato il continente - e in particolare dell'Olocausto, da cui questo concerto commemorativo - e come strumento di resistenza contro di essi, accompagnando in particolare la transizione all'indipendenza e alla democrazia di alcune nazioni. Il progetto "Musica, memoria e cittadinanza europea" mira a fare di queste caratteristiche gli strumenti di una memoria comune per i cittadini europei,  basata sulla comprensione di una storia collettiva e transnazionale che permetta loro di incarnare i valori della democrazia, della  tolleranza e del rispetto dello stato di diritto.

• Il festival
  Il Forum Muffled Voices riunisce per un anno, grazie alla sovvenzione assegnata nell'ambito del programma CERV 2022 (Cittadini, uguaglianza, diritti e valori), una rete di 21 partner che rappresentano 12 Stati membri dell'Ue tra cui l'Italia. 
  Organizzato dall’Associazione Musica Libera di Trieste, il Festival Viktor Ullmann, giunto quest'anno alla IX edizione, è l’unico in Europa dedicato alla musica concentrazionaria (così definita perché composta nei campi di concentramento e nei ghetti), alla musica degenerata (la musica proibita nella Germania nazista e nell’Italia fascista perché ritenuta decadente e dannosa) e alla musica dell’esilio. L’intento del festival è riscoprire quelle pagine musicali troppo a lungo dimenticate per far rivivere il genio creativo dei loro compositori e riflettere sulla Shoah da un diverso punto di osservazione. Il Festival, nato nel 2014, è dedicato infatti ai compositori, ebrei e non, perseguitati dal regime fascista e da quello nazista per il loro impegno culturale e la loro attività artistica. Molti di questi musicisti si sono salvati trovando rifugio nell’esilio, fuori dall’Europa, ma tanti sono stati catturati dai nazisti, imprigionati e deportati nei campi di concentramento e di sterminio dove morirono. Pochissimi di loro sono invece sopravvissuti. La loro arte fu etichettata come “degenerata” perché non corrispondente ai canoni estetici della “purezza” ariana.
  Fin dai primi concerti, la rassegna si è distinta per la proposta innovativa di musiche inedite, o sconosciute ai più, in quanto escluse dai repertori e dai circuiti teatrali a partire dalla promulgazione delle leggi razziali emesse dal regime fascista e da quello nazista nel 1938. Numerose sono state infatti le prime esecuzioni assolute, mondiali o italiane, che ne hanno arricchito i calendari, frutto di approfondite ricerche storiche e filologiche. I curatori del Festival hanno intrecciato infatti rapporti significativi con diversi studiosi dell’argomento, sparsi in tutto il mondo, e con i parenti dei compositori oggetto delle loro ricerche.

(TriestePrima, 16 novembre 2022)

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