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Notizie 16-30 settembre 2016
Funerali di Peres, l'ingiuria di Hamas: "Felici della sua morte"
Circa 80 tra capi di stato e di governo sono intervenuti a Gerusalemme per dare l'ultimo saluto a l'ex presidente israeliano Shimon Peres. Peres se n'è andato a 93 anni, ed è stato sepolto accanto a Rabin nel cimitero sul monte Herzl dove riposano i Grandi della Nazione.
Alle esequie era presenti tra gli altri Obama, Renzi, Netanyahu, Hollande, Sarkozy, Federica Mogherini, Kerry e inoltre il re del Marocco, il principe Carlo D'Inghilterra e il sovrano di Spagna. Il premier israeliano Netanyahu ha ricordato che "Nel Medio Oriente in tumulto non si raggiungerà la pace se non garantendo la nostra potenza. Ma gli obiettivi - ha aggiunto "Bibi" indicando il presidente palestinese Abu Mazen, seduto in prima fila - sono la prosperità e la pace per noi e i nostri vicini".
Se al funerale di Peres c'era il numero uno dell'autorità palestinese, Abu Mazen, qualcuno ha notato tuttavia delle assenze importanti, come quella del re Abdallah di Giordania o del presidente egiziano. Giordania ed Egitto hanno mandato ai funerali il vicepremier e il ministro degli esteri.
A rompere la compostezza di questa giornata di lutto, ci ha pensato, come al solito, Hamas, l'organizzazione terrorista al potere nella striscia di Gaza. Proprio nel giorno del funerale di Peres, Hamas infatti ha indetto una delle sue "Giornata di Collera", ricordando l'ondata di attentati e violenze, l'ultima iniziata nel settembre del 2015, contro Israele, in Cisgiordania e a Gerusalemme.
"Il popolo palestinese è molto felice di apprendere la morte di questo criminale che è stato la causa di così tanto sangue versato," ha detto un portavoce di Hamas, "Shimon Peres è stato l'ultimo statista israeliano colpevole dell'occupazione, e la sua morte è la fine di una fase storica caratterizzata da questa occupazione e l'inizio di una nuova fase di debolezza".
L'antisemitismo e l'odio contro Israele per Hamas non si ferma davanti a nulla.
(l'Occidentale, 30 settembre 2016)
Dieci film italiani al XXXII Festival Internazionale di Haifa
Dal 15 al 24 ottobre. In collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura
HAIFA - Dieci i film italiani parteciperanno al XXXII Festival Internazionale del Cinema di Haifa, uno dei più importanti appuntamenti in Israele per appassionati e addetti ai lavori.
Il nostro Paese sarà presente con alcune delle pellicole più recenti che hanno ottenuto un vasto successo di pubblico e di critica: "La pazza gioia' di Paolo Virzì , film che aprirà il Festival, dopo essere stato presentato in concorso a Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des réalisateurs; 'Le confessioni' di Roberto Andò e 'L'ultima spiaggia' di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan, entrambi presenti al Festival di Cannes 2016 ed entrambi in concorso a Haifa nella sezione Golden Anchor; 'Perfetti sconosciuti' di Paolo Genovese, Premio Donatello 2016 come miglior film e migliore sceneggiatura, oltre che miglior sceneggiatura al Tribeca Film Festival 2016, presente a Haifa nella sezione Gala; 'Fiore' di Claudio Giovannesi e 'Fai bei sogni' di Marco Bellocchio, entrambi pure già presentati in concorso a Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des réalisateurs; 'A bigger splash' di Luca Guadagnino, a Haifa nella sezione Double feature insieme all'originale francese La piscine; 'La ragazza del mondo' opera prima di Marco Danieli, quest'ultimo direttamente dalla 73^ Mostra del Cinema di Venezia 2016.
In programma anche un omaggio a due giganti del cinema italiano, con la proiezione fuori concorso di 'Una giornata particolare' di Ettore Scola e de 'Il giardino dei Finzi-Contini' di Vittorio De Sica .
La partecipazione italiana alla manifestazione, che si chiuderà lunedì 24 ottobre e che si svolge nella splendida cornice del Monte Carmelo, è stata organizzata in collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura di Haifa (Programma della partecipazione italiana).
(Inform, 30 settembre 2016)
Israele ha risarcito la Turchia per l'attacco alla flottiglia
Indennizzi alle famiglie di civili uccisi
Israele ha pagato un risarcimento alla Turchia di 20 milioni di dollari per la morte di nove cittadini turchi coinvolti nell'incidente della "flotta della libertà", ha riportato il canale televisivo NTV. Il presidente della Turchia Erdogan aveva già precedentemente approvato la ratifica del parlamento dell'accordo per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Turchia, firmato il 28 giugno. Secondo l'accordo, Israele deve pagare la Turchia nel corso di 25 giorni venti milioni di dollari come risarcimento dell'incidente della "Flotta della libertà" avvenuto nel 2010, che era stato causa di un peggioramento delle relazioni tra i due paesi. Secondo la fonte del canale televisivo, il governo turco ha ricevuto i soldi ricevuti sul conto del Ministero della Giustizia Turco e saranno suddivisi tra i famigliari delle vittime. E' stato annunciato inoltre che la Turchia nominerà un nuovo ambasciatore in Israele.
(Sputnik Italia, 30 settembre 2016)
L'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede alla cerimonia del "Labirinto della Memoria"
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La messa a dimora degli allori
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TARQUINIA - Una giornata per non dimenticare e per guardare al futuro, perché quello che è successo nel passato non si ripeta. È stato tutto questo la cerimonia di messa a dimora degli allori del "Labirinto della Memoria" che si è tenuta il 29 settembre alla Cittadella (Tarquinia), sede di Semi di Pace. Ad aprire l'evento il minuto di raccoglimento per ricordare Shimon Peres. Poi, il presidente di Semi di Pace Luca Bondi ha sottolineato l'importanza dell'iniziativa e cosa significhi per l'associazione il progetto "Labirinto della Memoria".
Parole di profondo apprezzamento sono state espresse da parte dell'ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede Oren David. Elisa Guida, del DISTU dell'Università della Tuscia, gli studenti e i docenti della VA geometri dell'IIS "Vincenzo Cardarelli" di Tarquinia, hanno illustrato tutti gli aspetti del progetto "Labirinto della Memoria". Lello Dell'Ariccia, romano scampato alle deportazioni naziste, ha portato la sua testimonianza a un pubblico molto attento di oltre 250 persone, gran parte studenti, ricordando le terribili vicende vissute a Roma e come si salvò dai rastrellamenti e rivolgendo alla fine un'esortazione ai ragazzi di raccontare quanto udito, perché questo non accada più.
Bellissime le parole espresse dal consigliere dell'associazione KKL Italia Onlus Daniele Ajon e dal presidente del Progetto Memoria Enrico Modigliani, che hanno sottolineato la forte valenza sociale e culturale del Labirinto della Memoria. A chiudere gli interventi del vice sindaco Enrico Leoni, che ha portato i saluti del Comune di Tarquinia, e del dirigente scolastico dell'IISS "Vincenzo Cardarelli" Laura Piroli. A conclusione grande festa con la messa a dimora di oltre 150 allori nel Labirinto della Memoria, con studenti, volontari di Semi di Pace, autorità istituzionali, persone comuni che per un po' si sono improvvisati "giardinieri", piantando un simbolo di speranza.
(EtruriaOggi.it, 30 settembre 2016)
La cybersecurity sbarca a Roma
Spazi di business al più importante convegno di settore per la prima volta in Europa. Secondo le stime il settore sviluppa un giro d'affari di 25 miliardi nel continente e di 2.4 miliardi in Italia Israele modello da seguire.
di Gianni Dragoni
ROMA - Si chiama Cybersecurity, una parola di moda che significa "sicurezza informatica", dietro la quale si intravede un altro significato: affari, grandi affari.
Almeno a giudicare dall'affollata partecipazione al convegno internazionale «Cybertech Europe 2016», ieri a Roma. «Dopo l'ultima edizione a Tel Aviv, il più grande evento in ambito di cyber security al di fuori degli Stati Uniti si tiene per la prima volta in Europa», ha rilevato Leonardo-Finmeccanica, il gruppo dell'aerospazio e difesa che aspira ad occupare una buona quota di mercato.
Insieme all'amministratore delegato del gruppo, Mauro Moretti, c'erano dirigenti di aziende internazionali, americane come Cisco e Kaspesky, ma in particolare di Israele, paese considerato all'avanguardia nel settore per le esigenze di sicurezza, la protezione dei dati, l'intelligence. C'era Marco Carrai, amico del premier Matteo Renzi e imprenditore con attività nella Cybersecurity in Italia e in Israele. Nel programma era indicato come «presidente e co-fondatore di Cmc Labs».
Carrai, del quale si è molto parlato nei mesi scorsi anche per l'intenzione di Renzi_poi abortita in seguito alle critiche_ di nominarlo a capo di una nuova struttura di intelligence e della sicurezza informatica a Palazzo Chigi, ha esordito con una frase ironica, in inglese: «Il mio ruolo è semplice, sono qui come anchorman. Non mi presento, la gente che legge i giornali conosce molte più cose di me di quanto sappia io». Carrai ha chiamato sul palco a illustrare le loro attività i rappresentanti di quattro start up. Si è soffermato con elogi su Reuven Aronashvili, fondatore e amministratore delegato della società israeliana Hyver. «Ecco il mio grande amico Ruby. Vi consiglio di ascoltarlo e per alcuni minuti di non armeggiare con i vostri telefonini», ha detto Carrai.
Anche Leonardo-Finmeccanica cerca convergenze con Israele per svilupparsi in un mercato ad alta tecnologia che, dice il gruppo, vale 25 miliardi l'anno in Europa e 24 miliardi in Italia. Le stime indicano una crescita annua del 9% per il prossimo quinquennio. «Questa conferenza, ha detto Moretti vuole essere un collegamento con l'industria della sicurezza israeliana, allo scopo di promuovere un confronto aperto e uno scambio concreto di esperienze, ed avviare una collaborazione con il settore cyber israeliano. Bisogna allargare i confini».
Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha ricordato che lo Stato mette a disposizione 150 milioni l'anno per la cybersecurity. «Una goccia rispetto a quello che fanno molti paesi europei e gli Stati Uniti, che investono diversi miliardi all'anno», ha osservato Luigi Rebuffi, presidente della European Cyber security organization.
Tra le aziende israeliane presenti lai, del settore difesa, Check Point, Cyberbit, Cybergym, Iec, Siga. «Con Israele abbiamo una collaborazione tecnologica. Israele va visto come un modello a cui guardare. Sono molto avanti, sono quelli che subiscono più attacchi di hacker al mondo. Nascono 3-400 start up all'anno che poi vendono e ricominciano da capo», ha detto Andrea Biraghi, capo della divisione di Leonardo per la sicurezza e i sistemi informatici. Biraghi ha detto che in Europa «è stata lanciata un'iniziativa di partenariato pubblico-privato in Europa con la Commissione Ue, dotata di circa 380 milioni di euro per finanziare e sviluppare progetti». Tra le aziende italiane presenti Vitrociset, Eurotech, Selta e l'Enel, un altro colosso pubblico che guarda ad Israele.
(Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2016)
Addio a Shimon Peres
di Deborah Fait
Mentre scrivo si stanno svolgendo a Gerusalemme i funerali di Shimon Peres alla presenza di 70 capi di stato e una novantina di rappresentanti delle nazioni del mondo tutti riuniti sotto il cielo blu della capitale di Israele. Obama, Hollande, Mogherini, Carlo d'Inghilterra, Clinton, Renzi, molti rappresentanti africani, ministri degli esteri e, naturalmente, il presidente Rivlin, Benjamin Netanyahu, tutta la Knesset di Israele...meno, vergogna immensa, i deputati arabi che si sono rifiutati di intervenire a conferma dell' odio per il Paese che anche loro dovrebbero rappresentare, del Paese che paga i loro stipendi e che, grazie alla sua democrazia, permette loro di sputare veleno e di girare il mondo per diffondere, con le menzogne che raccontano, antisemitismo e ostilità. Shimon Peres è stato anche il loro presidente, partecipare ai suoi funerali era un dovere, un segno di civiltà che non doveva dimostrare amore ma riconoscimento e rispetto verso l'uomo che, durante tutta la sua vita, con esagerato ottimismo, si era battuto anche per loro.
Ho avuto modo di incontrare Peres due volte, la prima a Milano durante il Congresso della Federazione Italia-Israele, la seconda a Gerusalemme e la mia impressione è stata di chiacchierare con una persona molto ironica, un po' sorniona e pungente, molto intelligente ma che non esprimeva calore. Forse anche per questo il popolo di Israele che aveva adorato Rabin non ha mai provato verso di lui gli stessi sentimenti. Peres è stato comunque un grande israeliano, è stato il fautore del nucleare, dello sviluppo del sistema di difesa di Israele per terra, per mare, per aria, il programma Rafael, nato nel 1948, e arrivato alla perfezione negli anni a seguire. E' stato anche il più entusiasta creatore della Midreshet Ben Gurion, il Jakob Blaustein Institutes for Desert Research, ispirato a David Ben Gurion, sepolto proprio al suo interno insieme alla moglie Paula.
Era un idealista, in inglese la parola, nel suo caso, è più corretta: "visionary". E' stata proprio questa sua utopia a fargli distorcere la realtà in modo tale da portarlo a fidarsi di una serpe come Arafat. E' andato a scovarlo a Tunisi dove il terrorista si era rifugiato dopo la fuga dal Libano, e lo ha portato agli onori del mondo e al premio Nobel per aver firmato, solo firmato, gli accordi di pace di Oslo. Questo è stato il suo errore. Arafat voleva solo uscire dal suo buco, fingersi, gongolante, uomo di pace per avere il mondo ai suoi piedi e dare inizio al peggior periodo della storia di Israele. Quella firma e quell'indegno premio Nobel a un terrorista, sono costati più di 2000 morti israeliani: autobus che saltavano, bar, ristoranti, pizzerie, cecchini palestinesi che sparavano alla testa di bambini ebrei. Oslo è stato l'inizio di un disastro che paghiamo ancora oggi, passando da un'intifada all'altra, con Arafat e il suo successore, quell'omuncolo che risponde al nome di Abu Mazen, che hanno sempre e soltanto parlato della distruzione di Israele.
Sicuramente Shimon Peres non si aspettava il tradimento di Arafat, Lui era convinto di aver posato il primo mattone alla costruzione di un nuovo Medio Oriente di collaborazione e di pace, non aveva voluto o pensato di fare i conti con l'imbroglio e la doppiezza palestinesi. Quel nuovo Medio Oriente è rimasto un sogno mai realizzatosi ed è la dimostrazione che a volte le utopie e le illusioni se riposte in chi non ne è degno, la speranza che un lupo possa trasformarsi in agnello, possono essere terribilmente pericolose e mortali.
Izchak Rabin, da soldato realista qual era e da intelligente conoscitore di Arafat, è andato a Oslo malvolentieri, a Washigton ancora più malvolentieri e ancora oggi ricordiamo la sua riluttanza nello stringere la mano del terrorista che, poche ore dopo, telefonava a Re Hussein di Giordania per dirgli di aver fatto il primo passo verso la conquista e la distruzione di Israele. Fa male al cuore il pensiero che tutto sia stato inutile, ogni generosa offerta respinta, ogni proposta di pace gettata alle ortiche con disprezzo e il rifiuto dei deputati arabi della Knesset di partecipare ai suoi funerali è la più esplicita dimostrazione di questa triste realtà, nessuno sforzo mai li porterà a riconoscere Israele e lo spirito malevolo, traditore, pieno di odio aleggia proprio nel cuore di Israele. Nonostante questa macchia involontaria ma indelebile che l'inganno e l'orrore di un uomo indecente come Arafat, tanto dolore ha portato a Israele, quando è apparsa la bara avvolta nella bandiera colla Stella di Davide, mi sono commossa e ho sorriso pensando che Shimon Peres, ovunque egli sia lassù tra le stelle, starà guardando i suoi funerali con i tanti discorsi di circostanza, alcuni sinceri e altri meno, col suo solito sorrisetto un po' ironico e un po' sornione. Shanà tovà, Shimon, a te e a tutto il popolo di Israele.
(Inviato dallautrice, 30 settembre 2016)
L'America contro Obama, l'amico dei sauditi
Il Congresso Usa annulla il veto presidenziale. Ora si potranno citare in giudizio i complici dei terroristi dell'11 settembre
di Carlo Panella
Uno schiaffo a Barack Obama e una imminente crisi disastrosa col principale alleato arabo: il Congresso Usa ha deciso di chiudere in maniera inedita, con una umiliazione che apre una burrasca internazionale epocale, gli otto anni del presidente. Il tutto, sulla ferita aperta, apertissima, delle 2.999 vittime (e i 24 dispersi) degli attentati dell'11 settembre 2001. Il 9 settembre, infatti il Congresso Usa ha promulgato una legge (Justice Against Sponsors of Terrorism Act), che permette ai familiari delle vittime delle Twin Towers, del volo United93e del Pentagono, di citare in giudizio i funzionari del governo di Riad (15 dei 19 attentatori erano sauditi) che potrebbero avere avuto un ruolo negli attentati. Il 23 settembre Obama ha posto il suo veto alla legge, sostenendo, tra l'altro, che queste azioni giudiziarie avrebbero potuto provocare una reazione speculare, spingendo i sauditi a processare funzionari americani e che avrebbero violato segreti attinenti la sicurezza Usa. Ma mercoledì, per la prima volta durante i mandati di Obama, il Congresso è riuscito non solo a superare, ma addirittura a surclassare il veto presidenziale (348 voti contro il veto contro 77 alla Camera e 97 voti contro il veto, contro uno solo a favore al Senato). La legge è quindi operativa. È dunque evidente la volontà di infliggere un'umiliazione bruciante a Obama, nonostante le conseguenze gravissime di queste inchieste.
Ritorsioni arabe
L'Arabia Saudita, che ha veementemente protestato contro la legge, controlla infatti asset dell'economia statunitense per l'abnorme somma di 4mila miliardi di dollari e ha quindi armi abbondanti per rispondere con disastrose ritorsioni. Ma la tempesta saudita che si può abbattere sull'economia americana è poca cosa rispetto alle conseguenze politiche di una così aspra crisi tra Washington e Riad.
Il punto dolente di questa vicenda è infatti che è certo che vi siano responsabilità dirette nella vicenda di Al Qaeda, non solo a livello di funzionari sauditi, ma addirittura di massimi esponenti della corte di Riad.
Si pensi solo che fu il principe Turki bin Feisal (figlio dire Feisal, ucciso nel 1975), dirigente del Mukhtabarat, il servizio segreto di Riad, a favorire negli anni '80 l'attività di Osama Bin Laden e addirittura a «inventare» i Talebani in Afghanistan in funzione antisovietica e poi, negli anni '90, per fare di Kabul un protettorato saudita-pakistano. In seguito, Turki (che è stato ambasciatore a Washington), ha tentato di catturare il suo ex protetto. Ma il disastro era ormai irrecuperabile.
Non basta: sono agli atti i finanziamenti di charity saudite (non controllate dal governo, va detto) sia ad Al Qaeda, che direttamente agli attentatori dell'11 settembre. La ragione di queste dinamiche è semplice: settori consistenti della strabordante corte saudita (ben 30mila principi), hanno usato di Al Qaeda, sia per ragioni ideologiche - la comune fede wahabita-salafita - che per mere ragioni dinastiche.
La asperrima lotta per la successione al trono in un Paese in cui il re ha poteri autocratici illimitati, ma che non ha definito regole per la rotazione dinastica, è passata, e passa tuttora, anche per un cinico «gioco di sponda» con i jihadisti.
Basta vedere l'appoggio aperto che settori della corte di Riad - e del potente e ricchissimo corpo degli Sheikh, i successori di Mohammed Al Wahab, che controllano l'islam saudita hanno dato e danno in Siria sia ad Al Qaeda che all'Isis che a altri gruppi jihadisti.
Non sarà dunque difficile per gli avvocati dei familiari delle vittime dell'11 settembre ottenere verdetti clamorosi di colpevolezza nei confronti di altissime personalità saudite. Con conseguenze geopolitiche inimmaginabili.
Amici imbarazzanti
Infine, ma non per ultimo, tutti ricordiamo la incredibile foto di George W. Bush e re Abdullah che passeggiano letteralmente mano nella mano nel ranch texano del presidente. Un'intimità che ha una storia: negli anni '40, Prescott Bush, nonno di George W. Bush fu il primo grande petroliere americano a acquistare petrolio da Riad. Un legame inquietante.
(Libero, 30 settembre 2016)
Alla scoperta degli ebrei di Recife
La Comunità ebraica risale ai primi anni del '500. Riscoperta l'antica e bellissima sinagoga.
di Daniele Toscano
In quanti sanno che la prima sinagoga dell'intero continente americano fu a Recife, capitale del Pernambuco, stato del Nord-Est del Brasile? La presenza ebraica nell'America centro-meridionale risale già ai primi anni del '500, quando in molti attraversarono l'Oceano a seguito della cacciata dalla Spagna e dal Portogallo. Il Pernambuco, situato sulla costa, fu meta naturale di questi emigrati, cosicché già nei primi anni del XVII secolo si ha la certezza di una forte presenza ebraica in quest'area. Nel 1630, il primo sconvolgimento: il Nord-Est del Brasile fu conquistato dall'Olanda, provocando un miglioramento delle condizioni di vita degli ebrei. Nei Paesi Bassi, infatti, c'era piena tolleranza religiosa e questo li aveva resi meta prediletta per coloro che fuggivano dalla penisola iberica. L'occupazione olandese generò benefici anche sotto il profilo economico: la conoscenza della lingua portoghese da parte degli ebrei fu infatti un mezzo essenziale per la gestione dei commerci, tanto che molti acquisirono posizioni di prestigio come interpreti, divennero proprietari di raffinerie di zucchero o liberi professionisti, come il fisico Abraham de Mercado, l'avvocato Michael Cardoso e il costruttore Balthasar da Fonseca. Gli stimoli dunque non mancarono: furono costruite scuole e un cimitero, mentre a Recife si formò un quartiere ebraico intorno alla Rua dos Judeos. Proprio in questa strada, nel 1636, fu costruita la Sinagoga Kahal Zur Israel, la prima a sorgere oltreoceano. Nel 1642, la comunità, composta da circa 600 famiglie per un totale di oltre 1600 membri, fu completata dall'arrivo di un noto rabbino di Amsterdam, Isaac Aboab da Fonseca. Ancor prima di avere una sinagoga, gli ebrei di Recife si erano preoccupati della loro condizione. In una lettera al rabbino di Salonicco Haim Shabetai chiedevano infatti come potessero adattare al Nuovo Mondo le loro preghiere con riferimento alle stagioni, visto che i periodi di aridità e di pioggia erano diversi dall'emisfero settentrionale. In altri termini, bisognava chiedere la pioggia tra i mesi di Tishrì e Nissan come gli altri ebrei del resto del mondo o avrebbero dovuto adattare le preghiere al clima locale?
Quest'epoca felice ebbe però breve durata. Nel 1645 iniziò una cruenta guerra tra portoghesi e olandesi per questa terra, con gli ebrei che finirono coinvolti come il resto della popolazione, patendo fame, epidemie, paura. Il conflitto durò fino al 1654 e vide il ritorno del dominio portoghese: per molti ebrei fu il momento di un nuovo viaggio, di ritorno in Olanda, verso le isole caraibiche o il Nord America. Alcuni però decisero di rimanere a Recife e nel Pernambuco, pur dovendo nascondere la propria identità religiosa. La tolleranza olandese era infatti scomparsa: anche la Rua dos Judeos cambiò nome, prima in Rua da Cruz e poi in Rua do Bom Jesus, nome che mantiene tuttora.
Dall'800, la regione conobbe una nuova ondata di immigrazione ebraica, proveniente dal Nord Africa e dall'Europa: in molti misero qua le proprie radici dando nuovamente vita alla comunità. Oggi gli ebrei di Recife sono poco più di un migliaio; la sinagoga è stata restaurata e aperta al pubblico nel 2001. I lavori non hanno recuperato lo splendore originale del XVII secolo, ma gli scavi hanno restituito gli otto differenti livelli di pavimento e, tra i vari reperti, il mikvé, il bagno rituale, riconosciuto da una commissione di rabbini brasiliani e argentini. La Kahal Zur Israel oggi è usata solamente per alcuni matrimoni e qualche celebrazione specifica, ma resta fonte di orgoglio per gli ebrei pernambucani e attrazione per i turisti provenienti da tutto il mondo.
(Shalom, settembre 2016)
Ai confini della traduzione
ROMA - Si è concluso ieri dopo due giornate intense e stimolanti il convegno "Yafet nelle tende di Shem. L'ebraico in traduzione", ideato e organizzato da Raffaella Di Castro al Centro bibliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Numerosi gli interventi che hanno analizzato il complesso tema della traduzione dei testi sacri, guardando a esso attraverso prospettive storiche e geografiche, religiose, filosofiche, sociologiche e linguistiche, approfondendo così il tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica, quest'anno dedicata a "Lingue e dialetti ebraici", e gli stimoli suscitati dalla pubblicazione del primo trattato del Talmud babilonese in italiano.
Ad aprire l'ultimo pomeriggio del convegno alcune "Letture di testi biblici e talmudici" sul tema, presentate dallo scrittore Stefano Levi Della Torre e dal preside della Scuola ebraica di Roma rav Benedetto Carucci Viterbi, moderati dal coordinatore del Collegio Rabbinico Italiano Gianfranco Di Segni. "La Torre di Babele, dalla lingua divina alla creazione umana delle lingue" il titolo dell'intervento di Levi Della Torre, il quale ha osservato tra le altre cose come il linguaggio sia specchio della capacità dell'uomo di internedere il mondo, ma anche come essa trovi proprio nella lingua una gabbia, e dunque il suo limite. "In questo modo - ha sottolineato lo scrittore - la Torah ci avverte che le cose più meravigliose, come il linguaggio, hanno anche una parte negativa".
La riflessione di Carucci ha invece tratto spunto da un versetto del Talmud, "Mi sei destinata a condizione che io sia un lettore
" (Talmud Babilonese, Qiddushin 49a). Un passo che fornisce una definizione precisa di cosa sia un lettore, una abilità che per la tradizione ebraica va di pari passo con quella di traduttore. "Il testo - ha spiegato il rav - pone due importanti paletti, insegnando da un lato che vaneggia chiunque dica che esiste la traduzione letterale, e dall'altro che tuttavia anche nell'interpretazione non è possibile aggiungere qualunque cosa venga in mente, ma deve esserci comunque un criterio".
Il compito di chiudere il convegno è spettato infine al germanista Massimiliano De Villa (Istituto italiano di studi germanici) e alla filosofa Irene Kajon (Università di Roma La Sapienza), protagonisti di una sessione sulle "Traduzioni tedesche della Bibbia" moderata da Roberta Ascarelli. De Villa si è concentrato sulle traduzioni della Bibbia di Martin Buber e Franz Rosenzweig, da lui definite "estreme". "Per restituire il colore originario del suono della lingua di partenza - ha infatti spiegato - hanno sospinto il tedesco quasi ai limiti del dicibile, forzando il testo allo scontro con i propri limiti". Buber è stato l'oggetto anche delle riflessioni di Kajon, che l'ha invece messo a confronto come traduttore e interprete dei salmi con Moses Mendelssohn, analizzando analogie e differenze. "Mendelsshon - ha spiegato - è il rappresentante di un ebraismo che aspira ad entrare a far parte della storia della cultura mostrando l'universale valore umano delle sue fonti peculiari, mentre Buber di un ebraismo che trova nelle sue fonti peculiari elementi diversi rispetto a quelli presenti nella storia della cultura".
(moked, 30 settembre 2016)
Mastrapasqua rischia il processo per l'Israelitico
La Procura di Roma chiude le indagini. L'ex direttore dell'ospedale e altre 16 persone tra dirigenti e operatori sotto accusa per truffa.
di Pina Sereni
La procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini nei confronti dell'ex direttore generale dell' ospedale Isreaelitico, Antonio Mastrapasqua, e di altre sedici persone, tra manager e operatori dello stesso nosocomio, coinvolti in una inchiesta su una presunta truffa ai danni del sistema sanitario. Quindi ha depositato gli atti, che ora sono a disposizione delle parti. Nell'inchiesta, affidata ai pubblici ministeri Corrado Fasanelli e Maria Cristina Palaia, vengono contestati a vario titolo i reati di truffa e falso.
Stando all'accusa, gli indagati attribuivano arbitrariamente codifiche tecniche riconducibili a prestazioni sanitarie complesse per semplici biopsie e interventi di correzione dell'alluce valgo, richiedendo poi rimborsi maggiorati. Non solo. Sempre in base a quanto sarebbe stato accertato nel corso dell'inchiesta giudiziaria, attraverso l'emissione di false fatture sono state presentate richieste di rimborso spese gonfiate alla Regione Lazio anche per altri interventi, come biopsie prostatiche e tiroidee.
Tra le contestazioni mosse dai pm c'è anche quella di aver falsamente indicato ricoveri e dimissioni di pazienti ricoveratiin un reparto di ortopedia come se fossero avvenuti in quello effettivamente accreditato con il sistema sanitario regionale, mentre così non era. Per i fatti contestati Mastrapasqua il 21 ottobre dello scorso anno finì agli arresti domiciliari e poi decise di dare le dimissioni. Secondo quanto si contesta il danno provocato al Servizio sanitario nazionale ammonterebbe a circa sette milioni e mezzo.
Entro venti giorni i difensori dei diciassette imputati dovranno depositare inchieste istruttorie dopodiché la Procura della Repubblica potrà chiedere il rinvio a giudizio.
(Il Tempo, 30 settembre 2016)
iPhone 8, Apple segretamente al lavoro in Israele
Secondo quanto riferito da un dipendente vicino all'azienda, Apple sta segretamente lavorando al prossimo iPhone 8 in una fabbrica situata a Israele, il motivo è la necessità di conservare la massima segretezza sul progetto in via di sviluppo.
Nel corso degli anni abbiamo sempre avuto accesso alle informazioni riguardanti le anticipazioni dei dispositivi Apple, a tal punto che su iPhone 7 e iPhone 7 Plus si sapeva già tutto prima della sua uffcializzazione, ma non sarà più così per iPhone.
Apple sta usando la sede di Herzliya in Israele per lavorare su iPhone 8, questo quanto riferito dalla fonte al prestigioso Business Insider. Il dipendente afferma di aver già provveduto alla saldatura di alcuni componenti del dispositivo di Apple ed ha confermato che lo smartphone sarà presentato come "iPhone 8" tralasciando la versione S per il prossimo anno. Il dispositivo è dotato di una riprogettazione molto importante e signficativa dove la fotocamera iSight sarà ancora la protagonista.
"Il prossimo iPhone avrà il compito di commemorare il 10o anniversario di Apple e l'azienda ha pensato in grande"
Il dipendente è la prima voce ad arrivare dalla fabbrica di Israele e per il momento non è ancora stata verificata, ma se Apple ha pensato di mantenere alta la segretezza questa traslazione non evidenzia un buon punto di partenza.
iPhone 8, il nome con cui la fonte ha definito il prossimo dispositivo di Apple, potrebbe essere messo in discussione dalla stessa azienda in quanto le speculazioni si fanno consistenti intorno all'arrivo dell'anniversario dove il nome potrebbe giocare un ruolo importante per essere ricordato nella storia di Apple.
In definitiva, per il momento le certezze le possono avere solo i primi dirigenti di Apple sul futuro del prossimo iPhone, dunque le voci che giungono agli arbori sono da prendere con le giuste distanze
(HardwareBrain, 29 settembre 2016)
Cyber security, ambasciatore Israele: Cooperazione con Italia buona, ma giovane e limitata
Ofer Sachs al VELINO: C'è comunque grande volontà politica di farla crescere e parte della missione dell'ambasciata è proprio svilupparla.
di Francesco Bussoletti
ROMA - C'è grande volontà politics di cooperare con l'Italia su diversi versanti, compreso quello della cyber security. Lo ha spiegato al VELINO l'ambasciatore d'Israele in Italia, Ofer Sachs, a margine dei lavori della conferenza internazionale Cybertech Europe, in corso a Roma. In relazione alla cyber defence, il diplomatico ha spiegato che "non posso essere molto specifico, ma ritengo che le nostre agenzie stiano cooperando scambiandosi informazioni e know how". Inoltre, ha aggiunto che all'Italia possiamo insegnare e dall'Italia possiamo imparare . A oggi c'è una cooperazione molto buona, ma anche altrettanto giovane e limitata - ha aggiunto parlando di cyber security -. Parte della missione dell'ambasciata è svilupparla. c'è grande volontà politica e forte amicizia tra i due paesi e la cyber è un altro buon esempio su come si può fare qualcosa in più". Il Paese ebraico su questo versante è uno dei top five player a livello globale, in quanto sono già dieci anni che se ne occupa e ci investe ingenti fondi e risorse. Ciò gli ha permesso, però, nonostante le migliaia di attacchi hacker che subisce ogni giorno di non subire danni rilevanti in nemmeno di un'occasione.
"Israele ha raggiunto questa posizione per 2 ragioni - ha spiegato l'ambasciatore Sachs . La prima è derivata dal fatto che abbiamo un favoloso ecosistema in questo ambito, unico. La seconda, invece, è la necessità, la madre di ogni invenzione". Sul primo versante, le Israeli Defence Forces (IDF) arruolano "giovani ragazzi molto intelligenti, diciottenni, non selezionati tramite i tradizionali processi nelle scuole e università - ha spiegato il diplomatico -. Li portiamo in un ambiente molto ricco di persone come loro ed estremamente innovativo. I giovani, poi, dopo tre anni nelle IDF tornano nel mondo civile e mettono i loro cervelli a disposizione delle imprese o cercano loro stessi di crearne di nuove". Contribuisce a questi primati anche la scelta del governo israeliano, fatta circa due anni fa, di far diventare la città di Beersheva come la capitale della cyber mondiale".
"Il concetto è semplice - ha proseguito l'ambasciatore. Si prendono alle unità d'elite delle IDF, le università e il settore privato e si mettono nello stesso posto. Pensiamo al fatto che può capitare che un giovane soldato vada a pranzo e si sieda allo stesso tavolo con un ricercatore o un imprenditore. E' naturale che mentre mangiano parlino e si confrontino. Lo fanno, però - ha voluto sottolineare Sachs - non in maniera lineare, ma spontanea, E ciò farà produrre loro migliori risultati nelle rispettive professioni". Questa "capitale digitale", peraltro, sta crescendo. Ogni anni vi nascono circa 100 nuove aziende e alcuni centri di Tel Aviv vi si stanno trasferendoì, creando quello che è un ecosistema unico". Non sono, comunque, tutte rose e fiori. "Anche nel cyber, come nel resto del settore high tech, ogni giorno nascono tante nuove imprese - ha concluso l'ambasciatore -. Molte di loro, però, non sopravvivono oltre il secondo o terzo anno di vita. E ciò non necessariamente perché i concetti che sviluppano non sono buoni. I fattori possono essere diversi, dal mercato a crescite iniziali troppo veloci".
(il Velino, 29 settembre 2016)
La mia settimana a Tel Aviv con investors e manager da tutto il mondo
Andrea Di Camillo, Managing Partner di P101, racconta il DLD Tel Aviv Digital Festival e la Conference dove startup, venture capitalist, investitori e leader multinazionali si confrontano sui temi della discontinuità tecnologica.
di Andrea Di Camillo
Abbiamo partecipato alla sesta edizione del DLD Tel Aviv Innovation Festival, uno tra i principali eventi dedicati al mondo del digitale e dell'innovazione. Il momento centrale del Festival, che si sviluppa in tutta la città un po' come il nostro Fuori Salone, è la DLD Tel Aviv Digital Conference: centinaia di startup, venture capitalist, investitori e leader multinazionali si incontrano per confrontarsi sui temi centrali della discontinuità tecnologica odierna: self driven car, futuro dei media, cybersecurity, Big Data e tutte le hot topics del momento. Un luogo di incontro per gli attori chiave del settore digitale provenienti da Israele e da molti altri paesi del mondo, che partecipano agli eventi di aziende eccellenti nella tecnologia: Amazon, Google, Microsoft, PWC, Intel, The Game Developers Association, Facebook, Bank Leumi, GarageGeeks, Infinity.
Quello che colpisce non è tanto il contenuto, o il livello degli speaker (eccellente), ma l'atmosfera e lo stato di tensione positiva che si respira in tutta la città. Nella start up nation che con lo Yozma project di fine anni '90 ha dimostrato come si possa fare evolvere un'intera economia, la parola d'ordine è "provarci".
Abbiamo incontrato decine di imprenditori, giovani e meno giovani, alla prima esperienza o seriali, e tutti animati dal fuoco sacro del fare impresa: confrontarsi con problemi vecchi per trovare soluzioni nuove. Imprenditori che scatenano un'energia positiva contagiosa, e proprio questo forse è uno dei punti da cogliere: la densità e frequenza del fenomeno non può che contaminare il territorio costruendo quello che è un modello di ruolo positivo che diventa il riferimento da emulare.
Altrettanto impattante è la partecipazione delle grandi aziende, e non solo quelle del digitale, che proprio qui hanno insediato laboratori di ricerca e di corporate development. Strutture nate per assorbire osmoticamente la mentalità e la predisposizione alla violazione di schemi organizzativi rigidi che dall'interno delle grandi organizzazioni, si sa, non si riescono a scardinare.
Insomma portiamo a casa sensazioni positive ed un bell'esempio del risultato a cui possiamo ambire anche in Italia, ovvero di quello che i Venture capital italiani e l'intero ecosistema dell'innovazione possono, e devono, sviluppare.
(Startup Italia, 29 settembre 2016)
Cybersecurity, Leonardo-Finm punta a rafforzare collaborazione con Israele
di Antonella Cinelli
ROMA - Leonardo-Finmeccanica vuole rafforzare la collaborazione pluriennale con Israele nel settore della cybersecurity, sempre più importante. Lo ha detto oggi l'AD del gruppo italiano Mauro Moretti.
"Bisogna allargare i confini dal momento che il cyberspace non ne ha", ha detto Moretti in apertura del Cybertech Europe, in corso a Roma.
"Questa conferenza vuole essere un collegamento con l'industria della sicurezza israeliana, allo scopo di... rafforzare la collaborazione con il settore israeliano", ha aggiunto.
Nel suo intervento Moretti ha anche detto che l'industria della sicurezza, specie in ambito 'cyber', è un settore promettente ma servono investimenti su obiettivi chiari e maggiore condivisione per crescere a livello globale.
"Nel pur difficile momento macroeconomico, l'industria della sicurezza si è affermata come un'area di prosperità: anche in prospettiva, il settore manifesta una notevole potenzialità di crescita in grado di creare nuovi posti di lavoro altamente specializzati", ha detto l'AD.
Perché il settore continui a crescere, ha spiegato Moretti, si devono "selezionare obiettivi chiari a cui dedicare i giusti investimenti e l'opportuna attenzione".
Secondo Moretti è poi necessario "aumentare la competitività dell'industria europea della sicurezza", e condividere standard e obiettivi.
(Reuters Italia, 29 settembre 2016)
Università di Tel Aviv: Super alghe rivoluzionano l'energia
I ricercatori dell'Università di Tel Aviv hanno trasformato una semplice alga in un motore per l'energia pulita. Il Dott. Iftach Yacoby e il suo team dell'Università di Tel Aviv, hann geneticamente modificato delle alghe unicellulari che emettono naturalmente idrogeno per tutta la giornata, permettendo all'organismo di aumentare la propria efficienza fino a cinque volte la sua capacità naturale.
Questa nuova scoperta potrebbe significare un possibile utilizzo delle alghe come ruolo chiave nella rivoluzione dell'energia rinnovabile.
Nella ricerca, gli scienziati hanno confutato la teoria secondo cui le micro-alghe producano idrogeno per pochi minuti all'alba, producendo solo una minima quantità di idrogeno. La squadra di Yacoby ha scoperto che le alghe continuano ad emettere idrogeno durante il giorno.
La scoperta significa che in futuro sarà possibile crescere micro-alghe con metodi di coltivazione convenzionali in modo che tutta l'energia necessaria possa essere prodotta su larga scala.
Yacoby sottolinea che già nel 1942, gli scienziati avevano scoperto che le micro-alghe unicellulari di colore verde e che si trovavano in qualunque pozza di acqua stagnante, rilasciavano idrogeno durante la fotosintesi. Tuttavia, la saggezza scientifica di quel tempo non riteneva la quantità di idrogeno presente fosse sufficiente.
Con loro grande sorpresa, i ricercatori hanno trovato che anche alla luce del giorno, quando si verifica il processo di fotosintesi, le alghe producono grandi quantità di ossigeno e anche emettono una piccola quantità di idrogeno.
Conclude Yacoby:
Questo rende chiaro che le alghe hanno un enorme potenziale non ancora utilizzato per la produzione di combustibile a idrogeno.
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(SiliconWadi, 29 settembre 2016)
I luoghi della Shoah, quella storia a cui non si può rimanere estranei
La memoria non è un esercizio rituale: la deportazione e lo sterminio in Europa di sei milioni di ebrei furono vissuti anche dalla città di Milano. A centinaia furono trasferiti al Binario 21 della Centrale, diretti ai campi di sterminio nazisti.
di Dino Messina
La memoria non è un esercizio rituale, un atto passivo, soprattutto se riguarda il capitolo più tragico della nostra storia, la Shoah. La deportazione e lo sterminio in Europa di sei milioni di ebrei cui Milano purtroppo non fu estranea. A centinaia vennero trasferiti da San Vittore o dall'albergo Regina di via Silvio Pellico, trasformato in luogo di tortura. Erano destinati al Binario 21, il binario sotterraneo della Stazione centrale dedicato ai vagoni postali, dove invece delle merci, in quell'anno buio che va dal dicembre 1943 al gennaio 1945, venivano stivate persone. Vecchi, donne, bambini, soprattutto ebrei, ma anche molti prigionieri politici, partigiani, antifascisti. Dal Binario 21, dal gennaio 2013 diventato Memoriale della Shoah, partirono 23 convogli, undici dei quali destinati al campo di sterminio di Auschwitz. Su uno di questi vagoni, il 3 gennaio 1944 assieme ad altri 604 perseguitati salì una ragazza di 13 anni, Liliana Segre, una delle poche sopravvissute, che ieri, in un'intervista a Paolo Foschini ha lanciato un atto d'accusa che fa male: «I milanesi, i miei concittadini questo luogo della memoria non sanno che esiste». Sì, ha ammesso Liliana Segre, che dedica tutta la sua energia di combattiva ottantaseienne a tener vivo il ricordo delle persecuzioni antiebraiche, al Memoriale arrivano frotte di scolaresche portate dai professori. Ma il Binario 21 non è entrato, come vorrebbe, nel cuore e nella testa dei milanesi.
Inaugurato dopo un decennio di impegno ideativo e finanziario, promosso dalla Fondazione presieduta da Ferruccio de Bortoli, il Memoriale, che si estende su oltre settemila metri quadrati, non è soltanto un museo, ma con la sua grande biblioteca, la sala convegni e un suggestivo spazio per il raccoglimento, un luogo di studio, di incontro e di riflessione. Quattro vagoni bestiame su cui venivano caricati ebrei e antifascisti, una parete con i nomi delle vittime sono a testimoniare una colpa storica, frutto non soltanto dell'odio razziale e del fanatismo ideologico, ma dell'indifferenza, la parola riprodotta in grande scala all'ingresso del Memoriale, in piazza Edmond Safra 1. L'indifferenza di chi ieri faceva finta di non vedere. E di chi oggi non ha il coraggio di dedicare una briciola del proprio tempo a una visita istruttiva che è anche un salutare shock emotivo. Ricordare da dove veniamo è un salutare esercizio per non perdere la rotta. Per questo fa anche male apprendere che la Regione Lombardia ha tolto il sostegno all'Istituto lombardo per il movimento di Liberazione.
(Corriere della Sera - Milano, 29 settembre 2016)
Da un anno all'altro - Rosh HaShanah, l'ago della bilancia
di Alberto Moshe Somekh, rabbino
Ciascun mese dell'anno ebraico è associato a una delle dodici costellazioni dello zodiaco che appare in cielo. Al primo mese dell'anno, Tishri, è assegnato il segno della bilancia o, come è chiamata in ebraico, mozenayim. Il Midrash (Tanchumah, Shelàch) spiega l'associazione fra bilancia e Tishri in base al concetto che Maimonide avrebbe così illustrato: "Ogni uomo ha sia trasgressioni che meriti. Se i suoi meriti superano le trasgressioni, è considerato uno tzaddiq, completamente giusto. Se le trasgressioni sono superiori è considerato un rashah, completamente malvagio. Se le trasgressioni e i meriti si equivalgono, viene definito benonì, una persona che si trova nel mezzo
Tuttavia, non si tratta di un giudizio quantitativo, bensì qualitativo. Vi sono atti di merito individuali che vengono considerati più influenti di molte trasgressioni. Analogamente, vi sono trasgressioni che possono avere peso maggiore di molte fonti di merito. La determinazione del peso dipende soltanto dal giudizio di D., la cui conoscenza comprende tutto, poiché soltanto Egli può valutare il merito e la trasgressione. Ognuno dovrebbe perciò considerare se stesso, nel corso di tutto l'anno, come se fosse per metà meritevole e per metà colpevole. Così, se commette un'unica trasgressione, è in grado di inclinare l'ago della bilancia dalla parte delle trasgressioni per se stesso e per tutto il mondo, causando la distruzione di entrambi. Allo stesso modo, se compie una Mitzvah, può inclinare l'ago della bilancia dalla parte dei meriti per sé e per tutto il mondo, portando salvezza e liberazione ad entrambi" (Hil. Teshuvah 3, 1-3).
Commenta il Sefer haToda'ah: "A Rosh haShanah vengono pesate le azioni dell'uomo ed egli viene iscritto favorevolmente o sfavorevolmente in base ai meriti delle sue azioni
Anche se una persona pecca per tutto l'anno, non dovrebbe perdere fiducia nella sua capacità di fare Teshuvah. Al contrario, dovrebbe ritornare sulla via della rettitudine prima che sopraggiunga il giudizio. Dovrebbe sempre credere di aver la capacità di far pendere l'ago della bilancia propria e di quella di tutto il mondo dalla parte del merito. Per questo motivo è consuetudine di tutto il popolo d'Israel essere particolarmente generosi nella Tzedaqah, nelle buone azioni e nel compiere mitzvot nel periodo fra Rosh haShanah e Yom Kippur. L'uomo viene infatti giudicato soltanto secondo le sue azioni presenti (ba-asher hu sham; TB Rosh haShanah 16a). Perciò se si pente in prossimità del giorno del giudizio, compiendo la volontà di D., viene giudicato per come è e non per come era".
La metafora della bilancia riferita al S.B. è già nei Profeti. Nel descrivere la potenza creatrice Divina Yesha'yahu scrive che il S.B. "pesa i monti con la stadera e le colline con la bilancia" (40,12). La bilancia simboleggia la giustizia assoluta, l'equità, l'onestà, l'etica. La Torah stessa ci prescrive di non adoperare mai due pesi e due misure, "affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che H. tuo D. ti dà" (Devarim 25, 16). Si contrappone mozeney tzedeq, la "bilancia di giustizia" (Wayqrà 19,36), il peso esatto e corretto, a mozeney mirmah, la "bilancia d'imbroglio" che è "abominio di H." (Mishlè 11,1). Il Ben Ish Chay di Baghdad vede nella struttura della bilancia la Scrittura del Nome tetragrammato di H. I due piatti formano con le rispettive catene due lettere he; l'asta verticale rammenta la waw e il gancio simboleggia la yod. Chi adopera la bilancia in modo disonesto, insomma, profana il Nome di D. "La Torah non proibisce la disonestà nei pesi e nelle misure solo quando viene messa in pratica, cosa che rientrerebbe molto più semplicemente nel furto, ma considera la misurazione in se stessa un atto di giustizia, il simbolo del rispetto ebraico per il diritto, qualcosa di sacro da non violare. Essa vuole che il senso del diritto, il rispetto e la considerazione per l'onestà diventino un tratto fondamentale del carattere ebraico" (S.R. Hirsch).
Ma la bilancia richiama anche e soprattutto l'idea di equilibrio. La società odierna sembra raccomandare l'opposto a questo proposito. L'estremizzazione è spesso preferita da molti, che vedono nel perseguimento della via mediana un atteggiamento perdente: o tutto, o niente. Non ci si rende conto invece che chi troppo vuole nulla stringe, tafasta merubbeh lo tafasta. E occorre dare tempo al tempo, senza voler ottenere tutto subito. Ciò che richiede ponderazione è generalmente messo in disparte, perché non offre soddisfazione immediata, ma richiede piuttosto sforzo. È ancora Maimonide a darci le necessarie indicazioni. "I due estremi di ciascun tratto non riflettono la via ideale e pertanto non si raccomanda alla persona di adottarli, né di apprenderli. Se anzi si rende conto che la sua natura tende verso l'uno o l'altro degli estremi ed è così predisposta, o che ha imparato ad agire di conseguenza e vi si è abituato, deve ritornare a ciò che è raccomandabile e procedere nella via degli uomini virtuosi, che è la via retta. La via retta è la posizione intermedia fra i due estremi in ciascun tratto dell'umano comportamento, equidistante da ciascuno degli estremi, senza accostarsi a nessuno dei due. Perciò i Chakhamim più antichi ci hanno istruito a valutare i tratti del nostro carattere, a giudicarlo e a dirigerlo lungo la via mediana, in modo di essere sani
Non si deve essere troppo parsimonioso, né sperperare il proprio denaro, bensì dare Tzedaqah secondo le proprie possibilità" (Hil. De'ot 1, 3-4). "In effetti, la Torah non ha proibito quello che ha proibito, né comandato quello che ha comandato, se non al fine che noi ci tenessimo maggiormente lontani da uno degli estremi, attraverso una disciplina precauzionale
Se tu considererai da questo punto di vista la maggior parte dei precetti, troverai che essi non mirano che a equilibrare le facoltà dell'anima" (Shemonah Peraqim, cap. 4).
Una introspezione costante è elemento necessario in ogni programma di avanzamento personale e spirituale. Anche se una persona possiede gli ideali più elevati, se non provvede sovente a farsi un esame di coscienza e non sorveglia la propria condotta, può commettere gravi errori. Vi è tuttavia un altro significato ancora legato alla bilancia. La parola ebraica mozenayim, infatti, deriva dalla stessa radice di òzen, "orecchio". R. David Qimchi, nel Sefer haShorashim, spiega l'associazione con il fatto che i due piatti della bilancia assomigliano alle due orecchie ai lati del viso. O non saranno già stati consapevoli gli antichi del fatto che proprio l'orecchio è sede dell'equilibrio fisico dell'individuo? Sembrerebbe avvalorare questa ipotesi affascinante il fatto che una volta, nel Qohelet (12,9), appare il verbo izzèn parallelo a chiqqèr ("valutare, investigare") nel senso di "ponderare"! Se così è, la bilancia ci richiama alla capacità di adoperare l'orecchio, l'attitudine all'ascolto.
Anche la Parashah che leggeremo in occasione di Shabbat Shuvah, fra Rosh haShanah e Yom Kippur, comincia con un invito dalla stessa radice: Haazinu, "porgete orecchio" (Devarim 32,1)! Senso dell'equilibrio e disponibilità all'ascolto costituiscono due spunti di riflessione importanti per fare Teshuvah al giorno d'oggi. I modelli che i mass media forniscono invitano lo spettatore a essere boneh bamah le-'atzmò, "costruirsi una tribuna tutta per sé". L'essenziale è poter parlare, senza curarsi del senso di ciò che si dice. Per questo motivo, ascoltare suscita assai meno interesse. Dal momento che chi parla non è altrettanto disponibile all'ascolto degli altri, finirà prima o poi con l'assuefarsi a non avere degli ascoltatori a sua volta. E le sue parole avranno sempre meno significato, in un giro vizioso inarrestabile. Shim'ù u-tchì nafshekhem. "Prestate ascolto e la vostra anima vivrà", invita il Profeta Yesha'yahu (55,3). Commenta R. I. Lampronti che il S.B. si comporta diversamente dall'uomo. Se un individuo si fa male dappertutto a seguito di un violento incidente, il medico riempie tutto il suo corpo di fasce. Ma quando l'uomo è pieno di trasgressioni il S.B. gli dice: "È sufficiente che ti curi l'orecchio e vedrai che tutto il resto guarirà" (s.v. hattù). L'ascolto del Maestro porta ad agire correttamente ancor più dello studio individuale dei libri. Il cattivo istinto lo sa e di proposito ci induce a sottovalutare i richiami che ci vengono rivolti e a comportarci di testa nostra, facendoci credere di non aver bisogno di consigli (Pele Yo'etz s.v. shemi'ah). Shanah Tovah. Ketivah wa-Chatimah Tovah a tutti.
(Pagine Ebraiche, settembre 2016)
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Parashà della settimana: Nitzavim (State tutti davanti)
Deuteronomio 29:9-30:20
- «Voi siete oggi tutti presenti davanti al Signore vostro D-o: i vostri capi tribù, i vostri anziani, i vostri ufficiali e tutti gli uomini di Israele» (Deuteronomio 29.9).
Nitsvim significa essere "presenti" in modo stabile davanti al Signore, cosa questa che avviene durante la preghiera della Amidà (stare in piedi) in cui vengono recitate le 18 benedizioni stabilite dai saggi di Israele.
La nostra parashà inizia con due temi ricorrenti: quello religioso (preghiera) e quello politico (assemblea). Perché il tema della preghiera? Recanati ci offre una chiave di comprensione. La preghiera secondo Recanati non è soltanto un mezzo per chiedere, ma anche un mezzo per comunicare. Difatti la parola tefillà (preghiera) ha le stesse lettere della parola petilà (stoppino) che brucia insieme alla fiamma. L'uomo in preghiera intreccia la sua parola con la luce divina presente nel mondo. E' bene precisare che la preghiera nella tradizione ebraica non è "misticismo" che allontana l'uomo dalla realtà. Pregare vuol dire intrecciare la nostra anima con la luce presente nella Creazione. Nel salmo 27 re Davide recita «Una cosa sola domando a D-o; quella di abitare nella sua Casa per tutti i giorni della mia vita».
La tradizione orale aggiunge un senso supplementare alla parola "Oggi" designato come il giorno che influenza tutti gli altri giorni dell'anno cioè il Capodanno ebraico (Rosh Hashanà). Esiste un legame profondo tra la preghiera e il Capodanno. E quale è questo legame? La preghiera di Rosh Hashanà è orientata su un unico tema: proclamare la regalità di D-o su tutta la terra con l'espressione "Benedetto sei Tu, Signore, Re Santo».
Per quanto riguarda l'aspetto politico della parashà possiamo riportare un detto talmudico: «Quando Israele non è meritevole D-o mette alla sua testa dei ciechi». Un uomo capace di tenere "tutto Israele" dinanzi a D-o siano essi dirigenti che semplici cittadini le cui parole tendono ad unire, questi era appunto Moshè nostro maestro. Tale insegnamento ci permette di comprendere la contraddizione esistente tra la politica e la Torah come oggi viene intesa.
La Knesset (Parlamento) è il luogo dove sono rappresentati i partiti (miflagà) che in ebraico vuol dire "divisione". Ciascun partito politico rappresenta solo una parte del popolo ebraico cosa questa che per il mondo laico è la regola. Per il mondo religioso, che rappresenta la Torah, la divisione diventa una contraddizione insopportabile. Il vero Maestro agisce nella storia senza partiti perché il suo partito è tutto Israele. Il Messiah pertanto è difficile che possa uscire dalla attuale Knesset!
Un altro tema importante di cui tratta la nostra parashà è quello della "teshuvà" (ritorno-pentimento).
«Quando si saranno verificate tutte queste cose, la benedizione e la maledizione che I-o posi davanti a te e vi rifletterai sopra... allora tornerai al Signore tuo D-o e ne ascolterai la voce» (Deuteronomio 30.1).
E' un richiamo che D-o Benedetto fa a tutte le generazioni: «Ritornate a Me affinchè I-o possa ritornare a Voi» (Malachia 3.7).
Questo comandamento (mitzvà) mostra che D-o non abbandona il peccatore, ma apre la mano per aiutarlo perché non vuole la sua morte ma il suo pentimento affinché viva. Quando un uomo di propria volontà vuole ritornare a D-o, gli viene offerto un dono straordinario: la confessione "diretta" dei propri peccati (vidduj) per cancellare il suo cattivo passato. Secondo i nostri Maestri (cazal) nella stanza in cui sta un uomo penitente nemmeno un "giusto" può entrare. E' la forza del pentimento che può trasformare l'istinto del male in bene.
E' anche l'idea che esprime Maimonide (Rambam) secondo cui un ladro non può essere perdonato fin tanto che non sconfessa il suo operato. Non basta difatti restituire l'oggetto rubato. Soltanto con la sua confessione il peccatore prenderà coscienza della propria colpa e si allontanerà dal male. In quest'ottica si può considerare il sionismo, come una"teshuvà collettiva" che ha riportato il popolo ebraico nella sua Terra come promesso da D-o. Esiste una spiegazione logica per questo ritorno? La risposta viene dalla stessa Torah: «Le cose occulte appartengono al Signore nostro D-o e quelle rivelate toccano a noi e ai nostri figli in eterno» (Deuteronomio 29.28).
Ancora una volta la Torah attira l'attenzione sul ruolo che gioca la Nazione d'Israele nel giudaismo. E' solo su questa terra che gli ebrei possono osservare tutti i comandamenti ricevuti ed avere una loro vera identità. «E' preferibile abitare in Israele anche in una città a maggioranza non ebraica piuttosto che fuori dalla terra dei padri» (Talmud Keth. 110b). F.C.
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- Prima di far entrare Israele nella terra promessa, l'Eterno passa in rassegna il popolo al completo: capi, ufficiali, uomini, donne, bambini, stranieri, anche quelli che spaccano legna o attingono acqua: tutti si presentano davanti a Lui per ascoltare il discorso solenne che udiranno dalla bocca di Mosè. «Tu stai per entrare nel patto dell'Eterno, che è il tuo Dio» (Deuteronomio 29:12), annuncia Mosè al popolo; avvertendo poi che se qualcuno «volge il cuore lontano dall'Eterno», non pensi di scamparla, non «si illuda nel suo cuore dicendo: Avrò pace, anche se camminerò secondo la caparbietà del mio cuore» (Deuteronomio 29:19), perché Dio non lo perdonerà, ma gli farà venire addosso tutte le maledizioni scritte nella legge. L'ammonimento doveva servire a dissuadere chi pensasse di poter impunemente «volgere il cuore lontano dall'Eterno», ma il fatto strano è che Mosè poco dopo afferma che proprio questo avverrà in futuro. E non saranno soltanto uno o due ad allontanarsi dall'Eterno, ma tutto il popolo nel suo insieme. Dunque è già previsto che quelle maledizioni si abbatteranno su tutto il popolo, tanto che in avvenire gli stranieri chiederanno: «Perché l'Eterno ha trattato così questo paese?», e allora si risponderà: «perché hanno abbandonato il patto dell'Eterno, del Dio dei loro padri» (Deuteronomio 29:25).
Strano patto davvero, questo tra Dio e Israele! Ma se si sapeva già che sarebbe andata a finire così, non sarebbe stato più conveniente per il popolo respingere gentilmente la proposta del Signore? No, non avrebbero potuto. Perché? Perché erano in debito con Dio per la violazione della prima versione del patto sinaitico, che potremmo chiamare il "patto d'amore". Quella prima alleanza era un patto di sangue, e pertanto in caso di violazione richiedeva la morte del trasgressore. L'eventuale rifiuto delle condizioni imposte dalla seconda versione del patto, quello che potremmo chiamare il "patto d'emergenza", avrebbe significato il compimento dell'originario proposito di Dio annunciato sul Sinai a Mosè: lo sterminio del popolo.
La situazione di Israele con Dio era paragonabile a quella che oggi ha l'Italia con l'autorità monetaria internazionale: ha un debito che non potrà mai pagare. Ed è per questo che la nostra nazione è costretta a subire continue imposizioni provenienti da quella discutibile autorità. Altrimenti? Altrimenti sarà il fallimento totale e definitivo della nazione. Questa è la minaccia, inespressa e latente, ma reale e opprimente.
Nel caso di Israele è diverso. Dio sa fin dall'inizio che le disposizioni in cui si articola il patto d'emergenza saranno anch'esse trasgredite, e quindi sa che il popolo entrerà nel paese con il programma già previsto di esserne sbattuto fuori dopo un certo tempo. Ma alle minacce temporanee Dio fa seguire una promessa finale: il popolo un giorno ritornerà.
E come farà a tornare? La terra nel frattempo sarà stata occupata da altre popolazioni; come farà Israele a rientrarne in possesso? Certamente non mediante la guerra. Dopo la caduta del primo Tempio, Dio non ordinerà più guerre sante di conquista; il popolo tornerà alla sua terra, ma soprattutto tornerà all'Eterno. Sarà l'Eterno, il suo Dio, a farlo ritornare dalla schiavitù, e lo raccoglierà di nuovo, riprendendolo da tutti i popoli fra i quali l'avrà disperso (Deuteronomio 30:2-3).
Qui compare una precisa promessa di Dio che oggi già comincia ad avverarsi:
«Quand'anche i tuoi esuli fossero all'estremità dei cieli, l'Eterno, il tuo Dio, ti raccoglierà di là, e di là ti prenderà. L'Eterno, il tuo Dio, ti ricondurrà nel paese che i tuoi padri avevano posseduto, e tu lo possederai» (Deuteronomio 30:4-5).
Da più di un secolo gli ebrei hanno cominciato a ritornare nella loro terra, non solo per morirci, come nel passato, ma anche per viverci stabilmente. Il Signore però annuncia che il popolo non solo tornerà su quella terra, ma anche la possederà.
Questo è già cominciato ad avvenire sotto i nostri occhi, con la formazione dello Stato ebraico d'Israele. Ed è proprio questo che l'antisionismo non sopporta. Non sopporta che che il popolo ebraico possieda quella terra, cioè ne abbia la sovranità nazionale. Ma poiché quella promessa è di provenienza divina, se ne deduce che l'antisionismo è di natura diabolica.
L'Eterno però non si limiterà a riportare i figli di Giacobbe sulla terra dei loro padri; il fatto più importante è che alla fine del percorso storico previsto, Dio arriverà a dimorare in mezzo al popolo in un rapporto di reciproco amore, proprio come è scritto nella prima stesura del patto sinaitico: «Abiterò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Ed essi conosceranno che io sono l'Eterno, l'Iddio loro, che li ho tratti dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro. Io sono l'Eterno, l'Iddio loro» (Esodo 29:45-46).
Non sarà il patto d'emergenza, che come il patto con Noè è soltanto un impegno di Dio a non distruggere, a produrre questo risultato; e tuttavia anche attraverso questo temporaneo strumento il popolo potrà essere mantenuto in vita fino a che sarà compiuto ciò che era previsto nel "patto d'amore".
Ma affinché l'originario progetto si realizzi davvero, non basterà che il popolo sia riportato fisicamente sulla terra promessa; sarà necessario, ed è preannunciato nella Scrittura, un intervento di alta chirurgia spirituale che soltanto il Signore sa fare:
«L'Eterno, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua progenie affinché tu ami l'Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, e così tu viva» (Deuteronomio 30:6).
Quando questo avverrà, molti sulla terra si rallegreranno e loderanno Dio insieme a Israele:
«I Gentili glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti celebrerò fra i Gentili e salmeggerò al tuo nome". E di nuovo: "Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo". E altrove: "Gentili, lodate tutti il Signore, e tutti i popoli lo celebrino"» (Romani 15:9-11). M.C.
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(Notizie su Israele, 29 settembre 2016)
Un'utopia rimasta tale
di Ugo Volli
Tutta Israele è in lutto per la morte avvenuta ieri di Shimon Peres, ex presidente e primo ministro dello Stato di Israele. Tutte le parti politiche, a parte gli estremisti palestinesi, lo piangono. La ragione sta nella sua storia di dirigente e miltante, che si estende per tutti i sessantasette anni di vita dello Stato di Israele, nei meriti che ebbe come grande organizzatore dell'esercito di difesa israeliano e anche nell'essere stato, lui più di Rabin che pure fu ucciso per questo, l'architetto degli accordi di Oslo del 1993 con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che nonostante la responsabilità di tanti atti terroristi vi ebbe riconosciuto il ruolo di governo dell'autonomia palestinese. Peres credeva che la trattativa coi palestinesi potesse crescere e dare a entrambi i popoli non solo una convivenza pacifica ma una crescita comune. Era la grande utopia di Peres, rimasto da allora il leader del "blocco della pace".
Purtroppo così non è avvenuto: subito dopo Oslo il terrorismo è ripreso e si è sviluppato con un'intensità prima sconosciuta. C'è stata la violentissima esplosione della Seconda Intifada, la guerra a intermittenza con Hamas, il fallimento politico ed economico dell'Autorità Palestinese, la sua ripetuta chiusura al dialogo, la volontà dichiarata di fare pulizia etnica degli ebrei all'interno delle linee armistiziali del '49, ribattezzate confini palestinesi.
Oggi in Medio Oriente quasi tutti si sono convinti che Oslo non abbia funzionato: Israele intendeva concedere un'autonomia che concludesse lotta armata e terrorismo, gli arabi percepivano l'accordo come il primo passo per la sostituzione dello stato ebraico con il loro. Da questa contraddizione è nata una progressiva disillusione del pubblico israeliano (ma anche di quello arabo), che ha reso difficili gli anni recenti di Peres: le trattative di pace sono regolarmente fallite, anche i gesti di buona volontà che ha tentato da presidente non sono bastati a superare l'ostilità dell'Autorità Palestinese.
Tutto ciò ha fatto crollare anche il suo disegno politico: nonostante l'appoggio europeo e americano, la sua sinistra è scesa sotto il 15% negli ultimi sondaggi. Grande comunicatore, padre fondatore dello Stato, politico espertissimo, uomo simpatico, idealista e carismatico, Peres era personalmente molto amato in Israele, ma la sua utopia non convince più. Anche per questo la sua morte oggi appare simbolica.
(Nazione-Carlino-Giorno, 29 settembre 2016)
Peres e Arafat
Forse nessuno più di Shimon Peres ha contribuito alla rivalutazione in sede mondiale di un ambiguo, infido, losco, malefico personaggio come Yasser Arafat. Aver accettato il "Nobel per la Pace" insieme a un simile criminale supera in gravità ogni altra umana considerazione. M.C.
(Notizie su Israele, 29 settembre 2016)
Israele - Popolazione aumentata del 2 per cento nell'ultimo anno
Secondo l'Istituto di statistica nazionale,
GERUSALEMME - La popolazione israeliana è aumentata del 2 per cento nel corso dell'ultimo anno. Lo riferisce un rapporto dell'Ufficio centrale di statica pubblicato oggi, a pochi giorni dal capodanno ebraico (Rosh ha Shana') che si festeggia il 3 e 4 ottobre prossimi. Il numero di abitanti ha raggiunto gli 8,585 milioni, con un incremento annuo rispetto all'anno 5776 del calendario ebraico (2015-2016) di 172 mila unità. In particolare, negli ultimi anni sono nati in Israele 189 mila bambini, circa 46 mila persone sono morte, mentre circa 30 mila soggetti hanno ricevuto la cittadinanza israeliana, tra cui 25 mila nuovi migranti. La popolazione israeliana è formata in gran parte da ebrei, che sono il 74,8 per cento dei cittadini israeliani (6,419 milioni di unità). Gli arabi rappresentano circa il 20,8 per cento della popolazione (pari a 1,786 milioni di abitanti). I restanti 380 mila cittadini israeliani non arabi sono cristiani o professano altre religioni.
(Agenzia Nova, 28 settembre 2016)
Tajani: L'Europa senza gli ebrei non sarebbe più Europa
"Quasi 10.000 ebrei si sono trasferiti in Israele nel 2015. 8.000 esclusivamente dalla Francia. Il doppio rispetto al 2014" ha dichiarato Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo.
di Veronica Di Nunzio
BRUXELLES - Un nuovo esodo di ebrei verso Israele sta colpendo l'Europa: "Secondo la Jewish Agency, quasi 10.000 ebrei si sono trasferiti in Israele nel 2015. 8.000 esclusivamente dalla Francia", un esodo che va fermato perché "l'Europa senza gli ebrei non sarebbe più Europa", ha dichiarato il primo vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani nel corso di una conferenza sul futuro delle comunità ebraiche in Europa al Parlamento europeo. Secondo l'esponente del Ppe "l'antidoto è da un lato ricordare e dall'altro guardare al futuro. E' necessario mantenere la nostra coscienza ed essere fieri della nostra identità".
A presiedere la conferenza sono stati il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e il primo vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, mentre i deputati Fulvio Martusciello (Ppe), presidente della delegazione parlamentare per i rapporti con Israele, Cecilia Wikström (Alde), vicepresidente del gruppo di lavoro sull'antisemitismo, e Juan Fernando Lopez Aguilar (S&D), presidente del gruppo di lavoro, hanno presieduto i dibattiti sulla situazione attuale dell'antisemitismo in Europa.
Il motivo principale per il quale molti ebrei starebbero preferendo di lasciare l'Europa per Israele è la violenza verbale o fisica che un ebreo su cinque subisce. Martin Schulz ha sottolineato che "quando vediamo che la popolazione ebraica in Europa è diminuita da quasi quattro milioni nel 1945 a poco più di un milione oggi, allora sappiamo che è giunto il momento non solo di prendere un impegno politico chiaro ma di agire efficacemente nel più breve tempo possibile. L'Europa deve essere una casa migliore per i suoi cittadini ebrei".
Antonio Tajani ha invitato le istituzioni europee, i suoi Stati membri e i suoi cittadini ad opporsi all'antisemitismo e a combatterlo. L'Europa deve mantenere salda la propria identità della quale la comunità ebraica è un elemento fondamentale e dalla quale non deve sentirsi escluso nessun cittadino europeo.
(eunews, 28 settembre 2016)
Peres, il grande conciliatore che ha dato a Israele qualcosa di meglio della pace: la sicurezza
Se ne va l'ultimo dei padri fondatori dello stato ebraico, l'ultimo "hakazen", grande vecchio.
di Giulio Meotti
ROMA Un ebreo polacco figlio di un commerciante e di una bibliotecaria, che univa il gusto francese della causerie al pragmatismo severo e alla dolcezza dei sabra, i nati in Israele. Nella biografia di Shimon Peres, scomparso stanotte a 93 anni, c'erano tutti gli elementi della redenzione dello stato ebraico: l'emigrazione dalla Polonia, i familiari che rimangono indietro e che vengono uccisi durante l'Olocausto (molti bruciati vivi nella sinagoga locale), il lavoro in un kibbutz come addetto al latte e poi come assistente personale al leader fondatore, David Ben-Gurion, che nel 1947 lo mise a capo del rifornimento di armi per l'Haganah. Nella sua lunga carriera, Shimon Peres è stato accusato dagli israeliani di tante cose: inautentico, troppo formale, non ha mai servito nell'esercito, parla con un accento da eterno immigrato ashkenazita, francofilo, dandy, opportunista, "morbido con gli arabi", troppo vicino agli americani, idolo di Ha'aretz, apparatchik. Se ne va l'ultimo dei padri fondatori dello stato ebraico, l'ultimo "hakazen", grande vecchio.
Altro che colomba: nel 1967, contro il parere di Ben Gurion, fu Peres a insistere per la presa del canale di Suez; fu sempre Peres, contro il parere di Yitzhak Rabin, a sostenere il raid a Entebbe, e fu sempre lui nel 1982 a stringere un patto con i cristiani libanesi. Un paradosso vivente, Peres. Amato da Washington, dall'Europa, da re Hussein, dagli sceicchi, dalle élite, Peres è stato a lungo incompreso in patria. Per questo non ha mai vinto una elezione. "The loser", il perdente, era il suo soprannome prima che assumesse una presidenza di grande successo. Il suo portamento elegante, la sua frequentazione di artisti e intellettuali, lo ha inviso spesso alla maggioranza degli israeliani, così diversi da lui. "Non c'è un capitolo nella storia dello Stato di Israele, in cui Shimon non abbia preso parte", ha detto ieri il premier Benjamin Netanyahu, che ha ricordato che alcune delle decisioni di Peres che hanno garantito sicurezza a Israele rimarranno per sempre segrete. Per una vita, Peres ha cercato di dare al suo paese la pace con i palestinesi, perché da pragmatico vedeva nella stagnazione politica un pericolo per gli ebrei. Nutriva una visione mistica, utopistica e globalista del medio oriente: Israele come luce fra le nazioni e ponte per la modernizzazione della mezzaluna. Ha fallito. Ha avuto successo, invece, nel suo progetto più controverso: la costruzione degli insediamenti e della bomba atomica. Sì, il Nobel per la Pace, il padre degli accordi di Oslo, l'uomo che strinse la mano ad Arafat, ha costruito le detestate "colonie" quando era ministro della Difesa dopo la guerra del 1973. A cominciare dalla prima e dalla più contestata, Ofra, alla periferia di Ramallah (una foto ritrae Peres piantare il primo albero dell'insediamento). Fu Peres a dare ai coloni il permesso di "prendere le colline" attorno a Nablus e a costruire la prima e più grande colonia, Ariel. Una rete di insediamenti immaginata da Peres e che avrebbe dovuto difendere Israele "fortificando Gerusalemme e stabilendo il fiume Giordano come nostro confine di sicurezza". Nel frattempo, gli insediamenti nel Golan erano da lui teorizzati come "un posto di blocco a nord-est per prevenire un attacco". Nei momenti di crisi, come quando nel 2010 l'Unione Europea accusò Israele di colonizzare Gerusalemme, Peres rispose: "Abbiamo tutto il diritto di costruire lì".
Ma il suo più grande successo risiede in un bunker nel deserto del Negev, a Dimona, dove si custodisce la bomba atomica con la stella di Davide. Peres è stato, infatti, il padre dell'infrastruttura civile militare israeliana e ha contribuito a forgiare un esercito popolare e democratico, usato come scuola di integrazione del paese. Fu Peres a costruire i jet dell'aeronautica militare. Fu Peres a convincere John Kennedy a dotare Israele delle più moderne armi da guerra. Fu Peres a importare i cannoni dal Canada nel 1951. Fu sempre questo ebreo polacco, con l'aiuto della Francia di Charles De Gaulle, a dotare Israele della bomba atomica, di cui gli israeliani non hanno mai ammesso apertamente l'esistenza. Fu Peres, "il dottor Sottile", il wunderkind, il bambino prodigio dell'establishment militare, a trattare con gli scienziati e i francesi per ottenere il materiale e la conoscenza per realizzare la bomba. Fu Peres a portare in Israele Edward Teller, il grande fisico nucleare, padre della bomba all'idrogeno, e il gentiluomo direttore del Progetto Manhattan, Robert Oppenheimer. Come ha scritto Benny Morris, "Peres è ancora l'ex ministro della Difesa che ritiene che per avere un Israele stabile, le preoccupazioni per la sicurezza devono avere la massima priorità e che ogni possibilità di pace è in definitiva subordinata alla forza di Israele". Peres ha fallito nel suo progetto di fare la pace con i palestinesi, ma ha dato a Israele qualcosa di più tangibile e di meno negoziabile: la difesa. Un conciliatore che passa alla storia come l'architetto della deterrenza del piccolo Davide conficcato nel cuore del mondo arabo-islamico.
(Il Foglio, 28 settembre 2016)
Shimon Peres - Abu Mazen: "Un partner nella pace dei coraggiosi"
Messaggio del presidente palestinese alla famiglia
Il presidente palestinese Abu Mazen ha inoltrato un messaggio di cordoglio alla famiglia di Shimon Peres: lo riferisce l'agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa. "Peres è stato un partner nella pace dei coraggiosi assieme con Yasser Arafat e Yitzhak Rabin", ha rilevato Abu Mazen, secondo l'agenzia. Il presidente palestinese ha inoltre affermato che Peres ha dedicato grandi sforzi per una pace stabile fra Israele e Palestina "dagli accordi di Oslo fino al suo ultimo giorno di vita".
(ANSAmed, 28 settembre 2016)
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Shimon Peres - Hamas: "Un criminale, il popolo palestinese festeggia"
Appresa la notizia della morte dell'ex presidente israeliano, un portavoce di Hamas ha definito Shimon Peres "un criminale".
L'esponente di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ha detto che "il popolo palestinese esulta per la morte di questo criminale". "Shimon Peres è stato uno degli ultimi fondatori israeliani dell'occupazione, la sua morte segna la fine di un'epoca nella storia dell'occupazione israeliana", ha detto Sami Abu Zuhri.
(Corriere Quotidiano, 28 settembre 2016)
Il Binario 21 dimenticato. «Quel Memoriale che la città non conosce»
La denuncia della sopravvissuta al campo di Auschwitz. «Molti non sanno neppure che esiste: solo i professori ci portano gli studenti».
di Paolo Foschini
La telefonata è di ieri pomeriggio verso le 4: «Pronto per cortesia mi manda un taxi al Memoriale della Shoah?». «Oddìo, a Milano c'è un Memoriale della Shoah? E sì che ci vivo, dov'è scusi?». «Certo che c'è, dal 2013. In via Ferrante Aporti 3, il vecchio binario 21 della Centrale». «Ma dài. Grazie, per il taxi attenda in linea». Liliana Segre, che da quel binario partì su un carro bestiame per Auschwitz il 30 gennaio del '44, guarda l'amica che aspettando il taxi le ha appena raccontato il dialogo e dice: «Appunto». Perché «ci vengono tanti studenti al Memoriale, certo. Ce li portano i prof. Ma la verità - dice - è che i milanesi, i miei concittadini, questo luogo della memoria non sanno che esiste. E se lo sanno non ci vengono. È questo che mi fa male. Perché la memoria è la cosa cui ho dedicato la vita. E questo invece è quello che vorrei fare in tempo a vedere, ormai che ho 86 anni: i milanesi che vengono qui, a vedere cosa era successo, ad ascoltare il nostro ricordo. Altrimenti quando fra un po' non ci sarò più, quando anche i pochissimi tra i pochissimi rimasti non ci saranno più, chi racconterà ciò che noi non potremo più raccontare?».
Raccontare «l'indicibile», come Primo Levi chiamò l'orrore. Lo ha fatto e continua a farlo talmente tante volte che ha perso il conto da anni, Liliana Segre. «Sono una nonna - dice - e so come si parla ai nipoti». In una classe delle medie o in un auditorium con migliaia di persone «per me è uguale: ogni volta un tornare indietro che fa star male, ma sento che è troppo importante per smettere». Ieri lo ha rifatto camminando negli atri bui del Binario 21, per uno speciale che andrà in onda su Canale 5 il 16 ottobre: anniversario del rastrellamento di oltre duemila ebrei a Roma, ma «la maggior parte dei treni per i campi di sterminio partivano da qui».
Per chi non c'è mai stato, ma anche per chi ogni volta ci ritorna, fa effetto anche solo vederlo. Gli altri binari della Centrale corrono oltre il soffitto, ogni treno che passa è un rumore cupo di tuono. Stanze, foto, testimonianze scritte e in video. E poi quel pezzo di binario, i vagoni-stalla di quel treno. Sulla sinistra la parte di locali che ogni notte si rianima: popolata dalle otto di ogni sera fino al mattino dopo, da mesi, della nuova umanità dolente di alcune decine tra le centinaia di migranti in fuga dalle guerre d'Africa, a cui il Binario 21 ha aperto le porte insieme con la comunità di Sant'Egidio.
E Liliana intanto, ancora una volta, racconta la sua storia. Di quando a 13 anni si ritrovò a San Vittore con tantissimi altri come lei. Senza sapere perché. E di quando arrivò un tedesco «a leggere con una freddezza indescrivibile un elenco di 605 nomi: le persone che sarebbero state fatte partire per Auschwitz, da dove tornarono solo in ventidue». Continua: «Ci caricarono su camion che attraversarono la città sotto lo sguardo di tantissime persone». Indifferenza è la prima parola, scritta in lettere giganti, che si legge entrando al Memoriale. E poi l'arrivo in stazione, i calci, vecchi donne uomini bambini spinti «in questi vagoni», dice indicandoli, con dentro solo un po' di paglia e un secchio. Giorni di viaggio. Le preghiere di chi cercava conforto nella fede, un «dono che purtroppo non ho». L'arrivo al campo, la morte, l'indicibile.
Viene in mente chi oggi parla di civiltà occidentale superiore. Viene freddo a pensare che quell'indicibile fu pensato dalla stessa civiltà che aveva prodotto Bach, Goethe, Beethoven. Viene agli occhi l'ultima stanza del Memoriale, rotonda, fatta per entrarci e stare solo lì un po'. In silenzio. Andateci ogni tanto.
(Corriere della Sera - Milano, 28 settembre 2016)
Italia e Israele sono insieme nella lotta per la cyber sicurezza
di Stefano Pioppi
Cybertech ha scelto Roma per il proprio debutto europeo. Dopo le edizioni in Israele, Singapore e Nord America, l'evento di giovedì 29 settembre sarà la prima nel Vecchio Continente di quella che è ormai considerata una delle più rilevanti piattaforme di incontro dedicate alla cyber security. Il forum, organizzato dall'israeliana Cybertech Global Events in collaborazione con Leonardo-Finmeccanica, vedrà la partecipazione di esperti e rappresentanti del mondo dell'industria, della ricerca e delle istituzioni. L'ultima edizione, svoltasi a Tel Aviv, ha fatto registrare oltre 10 mila delegati provenienti da 50 nazioni con centinaia di aziende rappresentate. Dal 2014, anno della prima edizione, il format è quello tipico degli eventi internazionali: tavole rotonde, conferenze, esposizioni e incontri b2b (business to business) volti alla creazione di rapporti di investimento e networking. Ci saranno più di 50 speaker per una decina di seminari condensati in una giornata che riempirà il Palazzo dei Congressi di Roma. Apriranno i lavori gli interventi di Mauro Moretti, ad di Leonardo, e Alessandro Pansa, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis). Tra i relatori, ci saranno il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania, il senior vice president Cybersecurity & ICT Solutions di Leonardo Andrea Campora, il direttore della divisione Secu - rity & Information Systems di Leonardo Andrea Biraghi, il ceo dell'Organizzazione europea per la Sicurezza Luigi Rebuffi, il presidente del Kaspersky Lab Eugene Kaspersky e il vicepresidente di Airbus Axel Krein.
I partner dell'iniziativa, istituzionali, media e privati, sono oltre 55. Sembra, infatti, che sia aumentata la generale consapevolezza dei rischi e delle sfide che la digitalizzazione comporta. E infatti proprio questi saranno i temi al centro dei vari incontri. Si discuterà di Internet of Things, investimenti cibernetici, big data, Industry 4.0, protezione delle infrastrutture critiche e nuove minacce. Tra le novità ci sarà il Padiglione Start-up Cybertech, uno spazio espositivo dedicato ad aziende giovani e innovative provenienti da tutto il mondo. Inoltre, a pochi giorni dalla presentazione in linea di massima del piano Industria 4.0 del governo, l'evento sarà occasione per testare come le aziende del settore hanno accolto la presenza della cyber security tra le tecnologie abilitanti che potranno godere delle agevolazioni previste dal piano. In realtà, un primo riscontro è già avvenuto. Gianluca Baldassarre, direttore Strategy & Corporate Development di Vitrociset, azienda italiana dei settori della difesa e dell'aerospazio, ha detto all'agenzia stampa Cyber Affairs che la notizia è positiva, e che «testimonia da parte delle istituzioni attenzione per uno dei segmenti che promettono di crescere maggiormente nei prossimi anni». Baldassarre ha anche promesso: «Durante l'evento presenteremo una nuova soluzione tecnologica che va proprio nell'ottica di integrare la protezione fisica con quella cibernetica».
(formiche.net, 28 settembre 2016)
Comunicato EDIPI: Programma XV Raduno Nazionale
1o Convegno Giovanile EDIPI, Torino 8 -10 dicembre 2016
Un appuntamento da non perdere! Il 1o Convegno Giovanile di Evangelici d'Italia per Israele in coincidenza del XV Raduno Nazionale EDIPI di Torino dal 8 al 10 dicembre 2016.
Per l'occasione l'evento avrà due ospiti di grande spessore spirituale e di indiscutibile competenza biblica: due ebrei messianici già conosciuti in Italia ma mai relatori assieme: da Israele Avner Boskey e dagli USA il dr. Mike Brown.
Importante è anche il programma musicale con Albino Montisci e la sua band e i gruppi canori torinesi l'Arpa di Davide e il Coro Scuole David che si alterneranno con il complesso messianico Gataways Beyond Geneva e da Beersheva (Israele) il duo Rachel e Avner Boskey.
La partecipazione al raduno e' gratuita
Programma
Durante il programma delle tre giornate verrà raccolta un'offerta finalizzata al sostegno delle congregazioni messianiche in Israele in ottemperanza a quanto indicato nella lettera ai Romani 15:25-27.
Sede dell'evento: Gospel House, via Druento 274 Torino - Venaria Reale
Hotel convenzionati per l'occasione: Galant (011.4551550) e Gallia (011.99436739)
info@edipi.net - 049.8073447 - 3475788106
(EDIPI, 28 settembre 2016)
Cosa decidono sul gas (verso il Mediterraneo) Israele, Grecia e Cipro
di Paolo Falliro
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Alexīs Tsipras, Nicos Anastasiades e Benjamin Netanyahu
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KOSMOS - Israele, Grecia e Cipro a braccetto per le nuove connessioni energetiche tra Mediterraneo e l'Unione Europea. L'occasione è il trilaterale il programma il 28 settembre ad Atene, per ragionare su accordi di fatto già stretti. Due i progetti sul tavolo.
Il primo prevede un gasdotto in grado di portare fino a 16 miliardi di metri cubi di gas ogni anno dal Mediterraneo orientale all'Italia, passando per la Grecia; i lavori comprendono 200 chilometri di gasdotto sottomarino dal bacino del Levante a Cipro, più 700 chilometri da Cipro a Creta, 400 chilometri da Creta al Peloponneso e 600 chilometri onshore.
L'obiettivo è convogliare risorse comuni di gas naturale di Israele e Cipro, che attraverso la Grecia, giungano in Italia ed Europa: è il frutto dell'accordo raggiunto ad inizio di quest'anno tra il presidente cipriota Nicos Anastasiades, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il primo ministro greco Tsipras.
Il secondo è un interconnettore elettrico tra Israele, Cipro e Grecia. Creta sarà stazione intermedia e un cavo sottomarino lo aggancerà sino all'Egeo occidentale. All'orizzonte del nuovo "triumvirato energetico del Mare Nostrum" si profila una cooperazione energetica che nasce con l'obiettivo di non restare schiacciati dagli attori già attivi nell'area: la Turchia a est e gli Stati Uniti ad ovest, in un momento in cui Tel Aviv vive rapporti complicati con Washington dopo gli screzi seguiti all'accordo sul nucleare iraniano.
In questo quadro, e soprattutto se la Turchia rinuncerà a porre ulteriori veti su Cipro - di cui occupa di fatto da quarant'anni la parte settentrionale con 50mila militari - il governo di Nicosia potrà finalmente strutturare uno sfruttamento armonico di "Afrodite", che consenta alle pipeline cipriote di interconnettersi anche a quelle russe.
(Mondo Greco, 27 settembre 2016)
Dall'Europarlamento un nuovo allarme: l'antisemitismo sta tornando
Tajani: attaccare gli ebrei è attaccare tutti noi
BRUXELLES - Il 'virus' dell'antisemitismo sta tornando in Europa: a lanciare l'allarme è stata oggi al Parlamento Ue la conferenza sull'avvenire delle comunità ebraiche in Europa promossa dal vice presidente dell'Eurocamera, nonché responsabile per il dialogo interreligioso, Antonio Tajani (Fi-Ppe). "Attaccare gli ebrei è attaccare ognuno di noi, la nostra identità di europei, le nostre radici giudaico-cristiane", ha affermato Tajani aprendo la conferenza. "Questi attacchi - ha continuato - provocano un nuovo esodo verso Israele: 10 mila sono partiti nel 2015, 8.000 solo dalla Francia, il doppio rispetto al 2014". "Dove c'è antisemitismo c'è terrorismo", ha rilevato Fulvio Martusciello (Fi-Ppe), Presidente della delegazione del Parlamento Ue con Israele, "se segniamo su una mappa i luoghi dove si riscontrano fenomeni di antisemitismo e su un'altra quelli in cui ci sono episodi di terrorismo e poi le sovrapponiamo, le due mappe coincidono". Lord Jonathan Sacks, rabbino capo degli ebrei del Commonwealth, ha chiarito che l'antisemitismo odierno è diverso da quello del passato. "Ai tempi delle crociate gli ebrei erano odiati per la loro religione, a cavallo tra Ottocento e Novecento per la razza, oggi sono odiati per il loro stato nazione, per lo Stato di Israele. Prende diverse forme, ma resta la stessa cosa: l'idea che gli ebrei non possano esistere come esseri liberi e uguali agli altri". Secondo Sacks, "l'Europa oggi non è fondamentalmente antisemita, ma ha permesso all'antisemitismo di entrare grazie ai nuovi mezzi elettronici" senza "riconoscere che il nuovo antisemitismo è diverso dal vecchio". Sacks ha concluso il suo intervento con un appello ai leader europei: Il futuro è nelle vostre mani. Se non fate niente, gli ebrei se ne andranno dall'Europa e la libertà in Europa morirà. "Questa - ha avvertito - sarà una macchia morale sul nome dell'Europa che non verrà cancellata per l'eternità: agite adesso che siete in tempo".
(ANSA, 27 settembre 2016)
Israele - Il consorzio Leviathan firma uno "storico" contratto sul gas con la Giordania
I membri del consorzio del Leviathan hanno firmato un accordo con la società di energia elettrica giordana (Jordan National Electric Power Company - Nepco) per la fornitura di 45 miliardi di metri cubi di gas in 15 anni. Il contratto ha un valore stimato di circa 10 miliardi di dollari ed ha portato alla sospensione odierna della vendita azionaria delle società che fanno parte del consorzio. Secondo i termini dell'accordo, la società di marketing Nbl Jordan Marketing, di proprietà del consorzio Leviathan, fornirà gas alla Giordania una volta che verranno posizionate le condutture tra il regno hascemita ed Israele, c ome riferisce oggi il sito d'informazione economica israeliano "Globes". La quantità di gas destinato alla Giordania rappresenta un decimo della capacità gasiera del Leviathan. Il valore presunto dell'accordo è basato sulle stime del prezzo del Brent nei prossimi anni ed in considerazione del fatto che la Giordania utilizzi tutto il gas che riceverà. Pertanto, le entrate effettive dipenderanno dal volume di gas che la Nepco acquisterà realmente e dalle quotazioni del Brent. Le società che fanno parte del consorzio del Leviathan sono la Noble Energy Inc., che detiene il 39,66 per cento delle quote, la Delek Group Ltd, (costituita dalle unità Avner Oil e Gas LP e Delek Drilling LP che detengono ognuna il 22,67 per cento delle quote), e la Ratio Oil Exploration, a cui appartiene i l 15 per cento delle quote. Questa conduttura che trasporterà il gas dal Leviathan alla Giordania sarà costruita nell'area di Beit Shean. Si tratta del secondo gasdotto tra i due paesi. Lo scorso 11 marzo, infatti, l'amministratore delegato di Israel natural gas lines, Samuel Tordjman, ha annunciato che il primo gasdotto verso la Giordania entrerà in funzione nel 2017. La conduttura che è in costruzione nell'area di Sdom, nel Mar Nero, fornirà il gas alla Giordania da un altro giacimento, quello del Tamar. Nel mese di febbraio scorso, le società partner del consorzio Tamar hanno firmato una lettera di intenti con acquirenti privati giordani per la fornitura di 1,8 miliardi di metri cubi di gas in un periodo di dieci anni.
(il Giornale, 27 settembre 2016)
Sermoni contro Israele
Teatri a Oslo e chiese a Londra che boicottano lo stato ebraico. Un bel weekend antisemita in tutta Europa
di Giulio Meotti
ROMA - Il Teatro nazionale norvegese ha aperto con un drammatico videoclip la Biennale Internazionale Ibsen di Oslo. Con un video che annuncia il boicottaggio culturale del Teatro nazionale di Israele, l'Habima di Tel Aviv. Finanziata dal governo di Oslo, la clip mostra un'attrice, su uno sfondo nero, che posa come portavoce del teatro e invoca il boicottaggio del teatro israeliano. L'attrice, Pia Maria Roll, si "scusa pubblicamente per la nostra collaborazione vergognosa con Habima, il teatro nazionale di Israele", aggiungendo che la cooperazione è servita a "normalizzare l'occupazione israeliana". Pia Maria Roll definisce poi Israele uno stato "basato sulla pulizia etnica, il razzismo, l'occupazione e l'apartheid". Dopo le proteste di Gerusalemme, il Teatro nazionale della Norvegia si è affrettato a scusarsi: il film non rappresenta l'istituzione. Salvo evitare poi di condannare il video. Per il ministero degli Esteri di Israele, il video di sette minuti ricorda "il frutto malato della propaganda nazista di Goebbels, la regista nazista Leni Riefenstahl e i collaborazionisti norvegesi Vidkun Quisling e Knut Hamson". Il video, come la sua trascrizione, è stato pubblicato dal giornale norvegese Morgenbladet.
Ci si sposta nel Regno Unito e il copione si ripete. Intitolata "Non è possibile passare oggi", una mostra speciale è stata inaugurata dentro la chiesa metodista Hinde Street a Marylebone, nel centro di Londra. La mostra di cinque giorni è stata progettata per "ricreare l'esperienza della coda a un checkpoint tra Gerusalemme e Betlemme". Il rabbino Barry Marcus della Sinagoga centrale, che sorge vicino alla chiesa, ha detto di temere che la mostra "demonizzi" Israele. "Perché diavolo una chiesa soffia sul fuoco dell'antisemitismo?", ha chiesto Marcus. E' dovuto intervenire l'ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, che si è detto addolorato per la rappresentazione di Israele come "oppressore". Carey ha dichiarato che "gli ebrei di tutta Europa sono presi di mira e uccisi dai terroristi, che spesso tentano di giustificare le loro azioni demonizzando Israele. E' quindi particolarmente triste vedere una chiesa a Londra demonizzare Israele". Ha concluso Carey: "I checkpoint in Israele sono purtroppo necessari al fine di salvare vite umane. I metodi utilizzati dalle democrazie per difendere i propri civili non dovrebbero essere messi a repentaglio da leader religiosi nei luoghi di culto e di fratellanza".
Non è la prima volta che le chiese protestanti di Londra si prestano a simili operazioni. Un pannello di otto metri è stato costruito di fronte alla cattedrale di San Giacomo a Londra, una gloria della Church of'England. In cima al pannello, filo spinato e fari puntati sulla strada. Una replica del "fence", la barriera anti terrorismo eretta da Israele. La Manchester Cathedral, sede del vescovo anglicano, ha organizzato un seminario in cui si accusava Israele di "crimini contro l'umanità". E la stessa chiesa di San Giacomo ha ospitato canzoni natalizie, che però di natalizio avevano soltanto le note musicali. In una il testo diceva: "Dodici assassini, undici case demolite, dieci pozzi ostruiti, nove torri per i cecchini, otto cannoniere che sparano, sette checkpoint a bloccare, sei carri armati che avanzano, cinque anelli di coloni, quattro bombe che cadono, tre cannoni da trincea, due colombe schiacciate e un albero d'olivo sradicato". Dai teatri agli altari, è la grande messinscena dell'antisemitismo contemporaneo.
(Il Foglio, 27 settembre 2016)
La svolta dell'0nu: Israele ora è amico
di Fiamma Nirenstein
La settimana scorsa abbiamo assistito alla prima visione di un nuovo film: l'Onu cambiata. La sua crisi porta molte cicatrici, ma l'Assemblea Generale ce ne ha offerto un saggio notevole. Spesso gli interventi di Benjamin Netanyahu e di Mahmud Abbas, detto Abu Mazen, sono una ripetizione di un film di duellanti, un po' stufi di ripetere sempre le stesse cose, Netanyahu logico e diretto, negli anni passati impegnato a descrivere il pericolo iraniano ma anche a chiedere ai palestinesi di discutere razionalmente, mentre l'assemblea disapprova il suo inglese perfetto; Abu Mazen furioso e pallido, in arabo, spavaldo nonostante il terrorismo dei suoi, certo invece di raccogliere gli applausi dell'ente che ha fornito ai palestinesi tutto l'ossigeno, il denaro, la legittimazione per cercare di distruggere Israele anche con mezzi diplomatici.
Stavolta non è andata così. I tempi stanno cambiando e il vincitore è Benjamin Netanyahu. Ha avuto persino qualche applauso a scena aperta, mentre la delegazione del Kuwait restava ad ascoltare per la prima volta! Abu Mazen invece ha usato la solita invettiva, con poco successo: ha ridetto «pulizia etnica, attacco a Al Aqsa, segregazione razziale» e quanto alle centinaia di attacchi terroristici che lui in privato chiama «valorosi atti dei nostri martiri» e indica come esempio, ha accusato Israele di difendersi con «esecuzioni extragiudiziarie, punizioni collettive». Ma non ha funzionato: il mondo soffre troppo per il terrorismo e i Paesi sunniti temono lo schieramento sciita guidato dall'Iran e dagli hezbollah sostenuti dalla Russia per dare troppa importanza al conflitto israelo palestinese. Netanyahu ha toccato tutti i punti sensibili: ha accusato l'Onu di essere divenuto dopo essere stato una «forza morale, una farsa morale»: in quest'ultimo anno Israele ha ricevuto 20 risoluzioni di condanna, mentre nessun'altro stato, neppure chi impicca gli omosessuali o getta gas sui nemici, ne ha ricevuto più di tre.
L'Onu è una buffonata, dice Netanyahu, ma la politica estera di Israele, semplicemente realistica e diretta, ha conquistato gran parte del mondo, e al contrario delle condanne pubbliche dell'Onu e di quelle private di Obama sulla questione degli insediamenti, potrebbe finalmente portare a un vero «processo di pace». Bibi l'ha spiegato: Israele ha oggi rapporti diplomatici con 160 Paesi, compresi arabi e africani; i grandi Paesi che temevano l'ira araba come l'India, la Cina, il Giappone, la Russia, oggi sono tutti in dialogo politico e economico col piccolo Paese, che di suo è aumentato da 800mila abitanti dell'inizio a 8 milioni e la sua economia dall'esportazione delle arance è passata a quella della migliore fra le alte tecnologie, con grande vantaggio. Che sa riciclare l' acqua, e colpire i cyberterroristi L'Egitto, la Giordania che ha appena siglato un contratto di acquisto del gas israeliano, l'Arabia Saudita, gli Emirati, i Paesi del Golfo hanno un nuovo rapporto con Israele, ma sono anche uniti nello sperare, secondo un piano orchestrato di recente, una sostituzione del capo dell'Autonomia Palestinese con un altro leader che finalmente sia disponibile a costruire una strada di calma, pace, sviluppo.
Insomma, tutta la politica internazionale di Obama e dell'Ue, che ha promosso un rapporto con l'Iran, che ha creduto addirittura (errore prima di tutto degli americani) di poter costruire una strada di amicizia con i sunniti basandosi sui Fratelli Musulmani, che ora ripete che il problema è tutto nei «territori occupati», non funziona. Col disfarsi del blocco compatto antisraeliano tante politiche cambieranno anche per l'Onu, Non sarà facile, ma forse dopo anche i palestinesi potranno finalmente avere un futuro migliore.
(il Giornale, 27 settembre 2016)
Pace e sicurezza
Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.
dalla prima lettera dellapostolo Paolo ai Tessalonicesi, cap. 5
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Israele-Palestina, il derby delle culle e dei numeri
Crescita della popolazione, scelte politiche, stili di vita. Le donne ebree hanno superato quelle arabe dei Territori per figli pro-capite: 3,1 contro 2,8. In certe comunità è tollerata la poligamia, mentre le cristiane sono sempre più istruite e presenti sul mercato del lavoro, con meno prole.
di Susan Dabbous
E' testa a testa ormai nella cosiddetta "guerra delle pance" tra Israele e Palestina. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Centro statistico nazionale di Tel Aviv; il tasso di fertilità delle israeliane sembrerebbe ormai aver superato, seppure di poco, quello delle arabe nei Territori palestinesi. Il confronto sarebbe del 3.1 delle prime contro un ipotetico 2,8 delle seconde. Difficilissimo è infatti estrapolare dati statistici affidabili da parte dell'Autorità nazionale palestinese, che per fini politici, non aggiorna i numeri della popolazione (dimenticando, ad esempio, di cancellare i deceduti). Dati ufficiali mostrano comunque una popolazione in crescita da entrambi i versanti: sono 8,5 milioni gli abitanti in Israele, 2,2 nei Territori Palestinesi, 1,8 nella striscia di Gaza. Nell'intera area, la consistenza demografica è decuplicata rispetto al 1948.
Ma in un territorio tanto polarizzato e distinto per religioni ed etnie, come questo, è doveroso guardare bene cosa includono, o nascondono, i dati ufficiali relativi al tasso di fertilità. Innanzitutto, il tasso di fertilità delle israeliane è spinto verso l'alto da due comunità che nulla hanno in comune se non il passaporto: le prime sono le donne Haredi (minoranza ebraica ultraortodossa di origine europea, con una media di 6,5 figli a testa), le seconde sono le beduine (musulmane che vivono principalmente nel deserto del Negev e soggette alla poligamia). Non sono rari, uomini beduini che hanno 24 figli, e si stima che ogni donna partorisca tra i 4 e 5 bambini. Recentemente, hanno suscitato molto scalpore alcune proposte, da parte di parlamentari israeliani, finalizzate alla sterilizzazione delle beduine, che non hanno poi avuto seguito perché evidentemente razziste e inaccettabili.
La poligamia è stata vietata in Israele con una legge del 1977, ed è quindi suscettibile di pene severe come il carcere (fino a cinque anni) e di multe salate. In verità, tale legge fu varata per scoraggiare i matrimoni multipli che avvenivano presso le etnie ebraiche provenienti dal Nord Africa e dallo Yemen, dove la poligamia veniva regolarmente praticata. Quanto ai beduini, invece, lo Stato israeliano ha deciso di chiudere un occhio, e se necessario anche due, rispettando il volere del padre fondatore David Ben Gurion (che non voleva aprire troppi fronti di conflitto). Il risultato è che oggi è il 30 per cento dei beduini del Negev hanno più di una moglie. In termini assoluti sono però piccoli numeri considerando che nel 2013 solo 361 uomini sono stati registrati dalla Population Authority come poligami e 968 donne come mogli "addizionali". Ipocritamente, il ministero della Salute, che elargisce le tessere sanitarie per le cure gratuite, definisce le seconde, terze e quarte moglie come membri di "famiglie allargate". La poligamia, non praticata dai palestinesi musulmani per ragioni tanto culturali quanto economiche, sembra essere tornata invece di moda tra gli uomini beduini. Anche se oggi non vivono più alla maniera tradizionale prendono più mogli solo per dimostrare che "sono uomini".
Ma come mostrano le statistiche (e i parchi pubblici di Gerusalemme) non c'è bisogno di essere poligami per essere prolifici. Ne sono un chiaro esempio le famiglie di ebrei ortodossi e ultraortodossi che popolano la contesa Gerusalemme dove c'è la più alta concentrazione di religiosi del Paese. Qui il tasso di fertilità delle ebree raggiunge il 4,3 per cento mentre quello delle arabe è del 3,3. Più in generale la città santa detiene il primato della città più prolifica del mondo industrializzato. Questo dato non deve però far presupporre che la popolazione araba stia scemando, anzi. Se si considerano fattori svantaggiosi relativi allo stato di occupazione in cui vivono gli arabi (relegati ormai a un solo terzo della città), i palestinesi rappresentano il 37 per cento dei 849.000 abitanti di Gerusalemme. Tra questi, i cristiani sono circa 12.000.
Con quasi 160.000 persone complessive (secondo il Centro statistico nazionale), i cristiani in Israele sono concentrati per lo più in Galilea: 22.000 a Nazareth, 14.400 Haifa, 9.400 a Shfaram e il resto a Gerusalemme. Tra le donne confermano detenere il tasso di fertilità più basso con 2,2 figli a testa che coincide però con il tasso di scolarizzazione più alto. I numeri generali mostrano come il 64% dei cristiani siano diplomati, rispetto al 59 % degli ebrei e al 48% dei musulmani. Le donne hanno poi un tasso di occupazione notevole: 45,3 per cento. Un numero davvero alto e preso quindi a modello dai demografi e dagli ecologisti israeliani preoccupati per l'eccessiva pressione demografica nel Paese. Puntando su un alto livello di istruzione (la maggior parte delle trentenni di oggi sono laureate) le ragazze cristiane si sposano più tardi (in media quattro anni dopo rispetto alle ebree e le musulmane) portando l'età del matrimonio più vicino ai trenta che ai vent'anni. In questo modo il numero dei figli si riduce necessariamente. Ma non è tutto, puntando ad una qualità di vita migliore, fatta soprattutto di scuole e università private, le famiglie ci pensano sempre due volte prima di avere molti figli. «Adoro i bambini - ammette Lama Maliha, residente di Gerusalemme e mamma di Raya Anna, un anno appena compiuto -. Ne vorrei tanti, ma ci vogliono tempo e soldi». Con il primo figlio avuto a 31 anni, dopo una laurea in Legge, un praticantato di due anni per diventare avvocato e un lavoro presso un Organizzazione internazionale, Lama non è un'eccezione tra le donne della sua età e del suo ceto sociale. Tra i palestinesi cristiani, ma anche molti musulmani benestanti, si è diffusa la consuetudine iscrivere i figli nelle scuole private, spesso ex collegi religiosi di ispirazione europea (italiani, francesi, inglesi, americani e tedeschi). Negli anni, guerre, intifade e periodi difficili hanno spinto inoltre la popolazione cristiana a migrare soprattutto in Europa, Sud America e Stati Uniti, con buona pace di chi teme che i cristiani possano sparire dalla terra di Gesù. «Non c'è pressione politica che tenga - spiega Serin Ghattas, ortodossa di rito siriaco - quando mettiamo su famiglia, nella nostra comunità, le nostre priorità sono: cosa daremo da mangiare ai nostri figli? Dove andranno all'università? Che auto ci server», Il sistema scolastico è davvero qualcosa che svantaggia molto la classe media palestinese, in particolare, chi vuole accedere al mercato del lavoro israeliano senza sapere la lingua ebraica.
Ma non è solo la buona istruzione a essere cara in Israele. In generale, il costo della vita è più alto che in Europa. Un'impennata dei prezzi alimentari e immobiliari è avvenuta infatti dopo il 2008, quando i mercati finanziari hanno utilizzato la stabile economia israeliana, solo marginalmente toccata dalla crisi, per dirottare molti investimenti. Il risultato è stato piuttosto disastroso, se si pensa che nella ricca Israele un bambino su tre vive sotto la soglia di povertà e 30.000 gestanti, l'anno scorso, hanno portato avanti gravidanze sotto nutrite, con gravi deficit proteici. Il lato oscuro della proliferazione a scopi politici e religiosi è rappresentato quindi da «tanti pancini vuoti che vanno a letto senza cena», spiega Jakie Roseberg della Yad Ezra, Ong che distribuisce migliaia di pasti caldi a settimana in una zona centrale di Gerusalemme, non lontano dalla famosa Mea Sharim, dove vivono gli ultraortodossi. Dati tanto allarmanti, mostrano che il sistema delle sovvenzioni alle comunità religiose, mascherati da assegni per i bambini, non è più sostenibile. Il diritto a una somma mensile, crescente per ogni figlio aggiuntivo, fu introdotto alla fine degli anni Settanta e il tasso di fertilità tra gli Haredi è passato da 2,5 degli anni '50 a 6,5 odierni. La combinazione di famiglie numerose e caro-prezzi ha creato, secondo gli economisti, una piaga sorprendente nella "terra del latte e del miele", dove la produzione degli alimenti soddisfa solo il 45% della domanda interna. Ma i trend attuali non lasciano presagire nessun calo all'orizzonte, secondo le previsioni il Paese conterà 15 milioni di abitanti nel 2050.
(Avvenire, 27 settembre 2016)
Università Ebraica di Gerusalemme nella classifica dei migliori atenei del mondo
Tre università israeliane sono state elencate all'interno della classifica 2016 QS World University Rankings che esplora le migliori università del mondo.
L'Università Ebraica di Gerusalemme ha mantenuto la sua posizione come migliore università di Israele, mentre l'Università di Tel Aviv è stata nominata come migliore istituto di ricerca, con 97 citazioni accademiche per membri di facoltà.
Il Technion di Haifa, secondo il rapporto, è scesa dalla posizione 183 del 2013 alla 213 di questo anno, così come l'Università Ben Gurion scesa alla posizione 259 rispetto alla numero 320 dello scorso anno.
L'Università Ebraica di Gerusalemme continua a ricevere il riconoscimento internazionale come leader accademico mondo. Queste le parole del Presidente dell'ateneo Prof. Menahem Ben-Sasson:
La reputazione accademica e di ricerca dell'università è una diretta conseguenza del duro lavoro e dell'impegno mostrati dai nostri docenti, dal personale amministrativo e dagli studenti. Il nostro investimento negli ultimi anni al fine di attirare i migliori ricercatori e per fornire loro i migliori strumenti per avere successo sta dando i propri frutti.
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Il posizionamento dell'Univirsità Ebraica di Gerusalemme è solo l'ultimo di una serie di successi per l'ateneo. Nel mese di giugno, il Dott. Yosef Buganim, ricercatore, è stato onorato dalla American Association for the Advancement of Science (AAAS). Ha ricevuto il premio Boyalife Science & Science Translational Medicine per le cellule staminali e medicina rigenerativa.
(SiliconWadi, 27 settembre 2016)
Rivlin in Ucraina per commemorare la strage di Babi Yar
Negli ultimi giorni del settembre 1941 le truppe tedesche trucidarono oltre 33mila ebrei in 48 ore.
Il capo di Stato israeliano Reuven Rivlin è partito ieri per una visita di Stato in Ucraina, su invito del presidente Petro Poroshenko.
Oggi Rivlin pronuncerà un solenne discorso di fronte all'assemblea plenaria del parlamento ucraino nel contesto delle commemorazioni per il 75o anniversario del massacro di Babi Yar, una località vicina a Kiev.
Negli ultimi giorni del settembre 1941 le truppe tedesche obbligarono gli ebrei della zona a raggiungere Babi Yar e in 48 ore ne trucidarono oltre 33mila, secondo il Museo dell'Olocausto Yad va-Shem. Complessivamente negli anni successivi a Babi Yar furono uccise circa 100 mila persone: in gran parte ebrei, nonché zingari, malati mentali e prigionieri di guerra russi.
(tio.ch, 27 settembre 2016)
Difendono i neri, odiano gli ebrei. Ecco gli amici di Obama e Hillary
Black Lives Matter, i capi della protesta di Charlotte.
di Marco Respinti
Israele è colpevole di genocidio contro i palestinesi. No, non è un proclama dell'Isis, ma il programma, A Visian far Black Lives, del Movement far Black Lives, un cartello di 50 e più organizzazioni che in maniera unilaterale si proclama rappresentante non solo dei neri ma pure di donne, gay, lesbiche, transessuali, «sessualmente non conformisti», musulmani, carcerati ex e attuali, poveri, operai, «diversamente abili», illegali privi di documenti e immigranti. Ce l'ha con Israele, ma pure con capitalismo, razzismo, colonialismo, schiavitù, cambiamenti climatici e sfruttamento (mancano solo le cavallette e gli alieni). Black Lives Matter (perché di questo si tratta) è insomma un movimento di tipo ideologico che mira a una cosa sola: la rivoluzione.
Chi lo spiega bene è Philip Carl Salzman, antropologo della McGill University di Montreal, in Canada, su Middle East Forum, il portale web diretto da Daniel Pipes. Salzman parla di «intersectionality»: intraducibile, è l'idea secondo cui tutti gli «oppressi» del mondo sono, secondo gli «oppressi», portati a unirsi contro il nemico comune. Ecco dunque i neri a fianco dei palestinesi contro chi vuole (dice «il movimento») spazzarli dalla faccia della Terra. Ma è una bugia, funzionale solo a ingrossare l'esercito della multinazionale della sovversione. Già il comunismo ha conquistato Paesi interi in Africa e in Asia fingendo di stare dalla parte dei movimenti indipendentisti che, nazionalisti, di per sé il marxismo nemmeno sapevano cosa fosse. Già il famoso terrorista «Carlos» (in carcere in Francia dove si è convertito all'islam) predicava negli anni 1970 l'unione di tutte le forze anti-americane cercando di forzare la connivenza tra comunisti e jihadisti che in realtà stavano assieme come il diavolo e l'acquasanta.
Dopo l'ennesimo fatto di cronaca questa strategia è più che evidente. In North Carolina Keith Lamont Scott è stato ucciso dall'agente Brentley Vinson del dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg capitanato da Kerr Putney, Ovvero un poliziotto nero agli ordini di un capo nero ha ucciso un nero. Dov'è il razzismo? E, inoltre, come molti americani si chiedono da mesi, perché se un bianco spara a un nero tutti gridano subito al razzismo mentre se un nero spara a un bianco (magari un poliziotto) il razzismo non passa nemmeno per l'anticamera del cervello a nessuno?
La realtà, infatti, è chiara a tutti, ma nessuno se la sente di dirla. In molte città americane certi quartieri sono casbe, giungle dove dominano le gang che hanno ormai fatto capolino anche nelle nostre città. Desolazioni dove ci si scanna tra latinos e neri, tra bande rivali di spaccio e smercio di carne umana. E soprattutto antri dove regna Acab, acronimo di «All cops are bastard», «tutti i poliziotti sono bastardi», e i poliziotti tremano al solo pensiero di metterci piede. Ma poi, «to serve and protect», per servire e proteggere quelli che lo meritano, e ce ne sono, lo fanno, entrano nell'inferno e a volte sbagliano. Se tra loro c'è qualche montato, cosa cambia? I poliziotti neri non fanno strage di vite nere.
Chi aveva capito alla perfezione la necessità strategica di passare dai ghetti razziali alla militanza per la rivoluzione era Sau1Alinsky (l909-1972), archeologo mancato e agit-prop comunista che, resosi conto dell'impossibilità di radicare il marxismo di stretta osservanza negli Usa, si reinventò una carriera come organizzatore di minoranze etniche. Scrisse manuali di radicalismo urbano, uno lo dedicò nientemeno che a Lucifero e a Chicago ebbe due allievi importanti. Uno fa il presidente degli Stati Uniti e si chiama Barack Obama; l'altra, letteralmente infatuata di lui, incentrò sul suo «modello organizzativo» la tesi di laurea e il presidente degli Stati Uniti vorrebbe farlo. Si chiama Hillary Clinton.
(Libero, 27 settembre 2016)
Il rapporto tra gli Usa e Israele
Uno dei duelli tra Trump e Clinton è su un tema cruciale di politica estera: il rapporto tra gli Stati Uniti e Israele. I due candidati hanno appena incontrato Benyamin Netanyahu a New York.
di Raffaello Binelli
In attesa del primo dibattito in diretta tv i due candidati alla Casa Bianca si sono concentrati su un tema cruciale di politica estera: il rapporto tra gli Stati Uniti e Israele.
Ieri, a New York, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha incontrato i due candidati alla Casa Bianca.
Al termine del faccia a faccia con il primo ministro israeliano lo staff di Trump ha diffuso un comunicato: "Trump ha riconosciuto che Gerusalemme è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni e gli Stati Uniti, sotto l'amministrazione Trump, accetteranno finalmente il mandato del Congresso per riconoscere Gerusalemme come capitale indivisa dello Stato di Israele". Il tycoon ha assicurato che una volta eletto "fra Israele e Usa sarà avviata una straordinaria cooperazione strategica, tecnologica, militare e di intelligence".
All'incontro con Hillary Clinton hanno partecipato anche l'ambasciatore di Israele negli Stati Uniti Ron Dermer e il consigliere politico di Clinton Jake Sullivan. Netanyahu e Clinton hanno discusso "un ampio spettro di questioni relative a come promuovere la pace e la stabilità in Medio Oriente e a come potenziare la crescita economica attraverso l'innovazione tecnologica". Il capo del governo israeliano, al termine dell'incontro, ha ringraziato Clinton "per la sua amicizia e per il sostegno a Israele".
La comunità ebraica negli Stati Uniti è tradizionalmente più vicina ai democratici e ai Clinton in modo particolare. Ma Trump vuole provare a scalzare il vantaggio del partito dell'Asinello. Uno dei grimaldelli è la capitale. Con lui presidente (promette Trump) gli Usa riconoscereranno Gerusalemme "capitale unica ed indivisibile" di Israele, come sancito nel 1980 dalla Knesset. Un nervo scoperto per gli israeliani che vedono la quasi totalità delle nazioni, inclusa l'America, riconoscere Tel Aviv quale capitale israeliana. Anche Il Salvador e il Costa Rica, che avevano le ambasciate a Gerusalemme, le hanno spostate verso Tel Aviv. "Trump riconosce che Gerusalemme è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3.000 anni e che gli Usa sotto l'amministrazione Trump alla fine accetteranno il mandato (legge approvata nel 1995 ma mai attuata da alcun presidente, ndr) del congresso a riconoscere Gerusalemme capitale indivisa dello Stato di Israele", ha reso noto lo staff del candidato repubblicano.
Hillary Clinton ha ribadito a Netanyahu la propria ferma opposizione a qualsiasi tentativo di imporre dall'esterno una soluzione al conflitto israelo-palestinese, compreso quello del Consiglio di sicurezza dell'Onu, e l'impegno per la "soluzione dei due stati negoziata direttamente dalle parti". Secondo il comunicato diffuso dalla campagna della Clinton, l'ex segretario di Stato ha affermato che un"Israele forte e sicuro" è vitale per gli interessi di Washington, ribadendo il suo "incrollabile impegno" per i rapporti Usa-Israele. Clinton ha anche espresso il suo gradimento per il rinnovo dell'accordo sugli aiuti militari concluso nelle scorse settimane e il suo impegno a contrastare i tentativi di boicottaggio contro Israele.
(il Giornale, 26 settembre 2016)
Mercoledì ad Atene incontro trilaterale tra ministri di Grecia, Cipro e Israele
ATENE - Il gasdotto in questione dovrebbe trasportare fino a 16 miliardi di metri cubi di gas ogni anno dal Mediterraneo orientale all'Italia, attraverso il territorio ellenico; i lavori comprendono 200 chilometri di gasdotto sottomarino dal bacino del Levante a Cipro, più 700 chilometri da Cipro a Creta, 400 chilometri da Creta al Peloponneso e 600 chilometri onshore per collegare il territorio greco con il gasdotto Poseidon a Tesprozia (Thesprotia). Per quanto riguarda il progetto dell'interconnettore elettrico tra Israele, Cipro e Grecia, questo è stato progettato con Korakia, nell'isola di Creta, come stazione intermedia e un cavo sottomarino che lo collegherà nel tratto finale fino alla regione dell'Attica. Il progetto per la raccolta delle risorse comuni di gas naturale di Israele e Cipro, che dovranno poi essere esportate attraverso la Grecia verso l'Italia ed in Europa, era stato già annunciato a gennaio in seguito ad un incontro a Nicosia tra il presidente cipriota Nicos Anastasiades, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il primo ministro greco Tsipras.
(Agenzia Nova, 26 settembre 2016)
Israele si qualifica per il World Baseball Classic
Battendo (9-1) la Gran Bretagna in finale, Israele vince il torneo di qualificazione di Brooklyn e diventa la sedicesima partecipante al World Baseball Classic 2017.
Israele sarà nel gruppo di Seoul, assieme ai padroni di casa della Corea, al Regno dei Paesi Bassi e a Taiwan.
Dopo 4 inning a zero, dominati dai partenti Kreisberg (Gran Bretagna) e Marquis (Israele ed ex Major League), Israele ha sbloccato la gara con i fuoricampo dell'esterno centro Gailen e del catcher Lavarnway (4 punti totali) al quinto sui rilievi Knowles e Martinez e da quel momento non c'è stata storia. Decker ha firmato il terzo fuoricampo di Israele al settimo.
Esulta il manager di Israele Jerry Weinstein: "Nel 2012 solo aver fatto il girone di qualificazione ha fatto aumentare i partecipanti in Israele del 40%, quindi mi aspetto ancora di più adesso. Il baseball in Israele ha bisogno di attenzione e risorse. Il fatto che giocheremo il World Baseball Classic ci può davvero aiutare".
E' diverso lo stato d'animo dello skipper della Gran Bretagna Liam Carroll: "Oggi Israele ha giocato meglio, quindi congratulazioni. Certo, noi siamo delusi perchè alla possibilità di qualificarci ci credevamo. Comunque, il nostro obiettivo di lungo periodo è quello di partecipare alla Olimpiadi del 2020. Prima o poi, entreremo anche nel tabellone del World Baseball Classic".
(Federazione Italiana Baseball, 26 settembre 2016)
Turchia, colpo di Stato? «Colpa di ebrei e cristiani, quella mandria di infedeli»
«Il colpo di Stato in Turchia è colpa di cristiani ed ebrei, quella mandria di infedeli». Fin dai giorni successivi al colpo di Stato di luglio questa voce è stata sparsa per tutta la Turchia, in una riedizione in chiave moderna della teoria messa in giro da Nerone quando accusò i cristiani di aver bruciato Roma.
Come facciano gruppi che costituiscono neanche l'1 per cento della popolazione a organizzare un colpo di Stato con esercito e carri armati non è chiaro. Ma la voce è stata presa sul serio visto che alla manifestazione di agosto "Democrazia e martiri", organizzata per sostenere il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan, leader religiosi islamici hanno accusato apertamente i «crociati, i semi di Bizantino e la mandria di infedeli».
Secondo Rifat Bali, esperto della comunità ebraica in Turchia, l'accusa «non ha alcun senso», dichiara a Voa America, «eppure non mi sorprende. In un ambiente dove le teorie cospirazioniste sono all'ordine del giorno, è normale accusare gli stranieri, come gli Stati Uniti o l'Unione Europea. Ma la diretta conseguenza è che le minoranze religiose ne fanno le spese».
Le minacce da parte di islamisti, forse anche legati allo Stato islamico, sono cresciute di conseguenza. Quindici pastori protestanti «hanno ricevuto minacce di morte sui loro telefonini», rivela Umut Sahin, segretario generale dell'Unione delle chiese protestanti. «Usavano gli stessi termini e argomenti dell'Isis». Alcune comunità religiose hanno addirittura interrotto i servizi domenicali per paura di attacchi. I cristiani «hanno paura, sono nel panico».
(Tempi, 27 settembre 2016)
Repubblica Ceca: il vice ministro ceco Tlapa visita Israele e Territori palestinesi
PRAGA - Il vice ministro degli Esteri ceco Martin Tlapa si è recato in visita in Israele e nei Territori palestinesi, dove resterà fino al 29 settembre. Durante la visita, Tlapa avrà incontri bilaterali con funzionari diplomatici israeliani e palestinesi, avvierà progetti di diplomazia economica finanziati dal ministero degli Esteri ceco a Tel Aviv e Gaza City e promuoverà una missione commerciale di accompagnamento focalizzata sulle startup ceche specializzate in tecnologia, informatica ed innovazione. Lo riferisce l'ufficio stampa del ministero degli Esteri di Praga. Durante le consultazioni politiche con i rappresentanti dei ministeri degli Esteri di Israele e dei Territori palestinesi, Tlapa si concentrerà principalmente sulla valutazione dell'attuale agenda bilaterale in campo politico, commerciale e di ricerca e sviluppo.
(Agenzia Nova, 26 settembre 2016)
Trump: "Riconoscere Gerusalemme capitale d'Israele". Stanotte faccia a faccia con Clinton
I due sfidanti alla Casa Bianca hanno incontrato il premier israeliano a poche ore dal primo importante dibattito in televisione. Un dibattito che vedrà incollate alla televisione più di cento milioni di persone.
di Susanna Picone
Se diventerà presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Donald Trump è pronto a riconoscere Gerusalemme come capitale "indivisa" di Israele: è quanto ha assicurato il tycoon di New York nel corso di un colloquio privato, durato oltre un'ora, con il premier Benjamin Netanyahu, a cui ha anche promesso l'avvio di "una straordinaria cooperazione strategica, tecnologica e politica tra Stati Uniti e Israele" se sconfiggerà Hillary Clinton e approderà alla Casa Bianca. "Gerusalemme è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni e gli Stati Uniti, sotto la mia amministrazione, accetteranno finalmente il mandato del Congresso per riconoscere Gerusalemme come capitale indivisa dello Stato di Israele", è quanto ha fatto sapere Trump. Al termine dell'incontro Netanyahu ha rilevato di aver discusso con il candidato americano della sicurezza di Israele, nonché degli sforzi per portare in Medio Oriente pace e stabilità. Netanyahu ha incontrato anche la candidata democratica Hillary Clinton che gli ha assicurato strette relazioni e ha affermato che uno Stato di "Israele forte e sicuro è vitale per gli Usa".
Prima sfida televisiva tra i due candidati alla Casa Bianca - Intanto i due sfidanti Hillary Clinton e Donald Trump si preparano per il primo dei tre dibattiti presidenziali, che si terrà questa notte. Si tratta del primo confronto pubblico a due fra la ex first lady e il repubblicano e il duello dovrebbe attirare un pubblico record di circa 100 milioni di spettatori. Uno dei temi del dibattito sarà probabilmente quello razziale e la violenza della polizia dopo gli eventi di Tulsa e Charlotte, e dopo l'inaugurazione a Washington del primo museo nazionale di storia afroamericana, che ha visto partecipare insieme il presidente Barack Obama e l'ex presidente George W. Bush. In attesa del dibattito, un sondaggio Washington Post -Abc assegna alla candidata democratica il 46% delle preferenze contro il 44% del magnate newyorchese. Al faccia a faccia televisivo Hillary arriva forte dell'appoggio del New York Times che, mettendone in evidenza il "coraggio e l'esperienza", ha definito Trump il peggior candidato della storia moderna.
(fanpage.it, 26 settembre 2016)
La guerra dei gasdotti che brucia sotto la Siria
Nel 2009, il Qatar cercò di convincere la Siria ad accettare il transito sul suo territorio, attraverso la provincia di Aleppo, di un gasdotto di 1.500 miglia per raggiungere il mercato europeo. Il Qatar è già il più grande produttore di gas naturale liquefatto (GNL) del mondo, diretto soprattutto al mercato asiatico, ma vuole avere accesso diretto al fiorente mercato del gas europeo. Lo scrive con un ottimo approfodimento OilPrice.
Il gasdotto avrebbe dovuto attraversare la Siria a nord e arrivare alla fine in Turchia dopo aver attraversato l'Arabia Saudita, Giordania. La Siria ha rifiutato l'offerta del Qatar, che avrebbe tagliato la quota di mercato europea del suo partner, la Russia, e invece ha accettato di partecipare al "Friendship Pipeline" tra Iran e Iraq, subito ribattezzata "il Pipeline sciita" e ritenuto un obiettivo per le monarchie sunnite del Golfo.
Non capito, o ignorato, è stato il sostegno della Siria all'Iran, in particolare durante la guerra Iran-Iraq 1980-1988, e la sua lunga relazione con la Russia, risalente al 1944, che avrebbero dovuto essere un avvertimento.
Nel 2010, Israele e Siria hanno tenuto colloqui indiretti che comprendevano il ritorno delle alture del Golan alla Siria in cambio di garanzie di sicurezza. I colloqui si sono protratti a causa di sospetti reciproci sulla capacità dell'altro di tenere fede agli impegni e, con l'inizio del 2011, le rivolte arabe erano ormai scoppiate in tutta la regione e le attenzioni dei leader erano rivolte a preoccupazioni più immediate. A questo punto, l'America ha avuto la possibilità di sferrare un colpo contro l'alleato della Repubblica islamica, Assad.
Nel 2011, la Turchia ha fornito una sede all'opposizione siriana e, nel mese di agosto 2011, gli Stati Uniti, i loro alleati, e le Nazioni Unite hanno iniziato a pretendere le dimissioni di Bashar Assad.
Nel 2011, la Siria, l'Iran e l'Iraq hanno concordato di costruire un oleodotto per collegare il giacimento di gas di South Pars dell'Iran all'Europa. Il gasdotto iraniano avrebbe collegato il suo giacimento del Golfo Persico al Mediterraneo attraversando Iraq e Siria.
Ciò che rimane poco chiaro, prosegue Oil Price nella sua analisi, è il motivo per cui, quando la Siria ha rifiutato la proposta originaria della conduttura non ha seguito la sua seconda opzione per il tracciato del gasdotto: Arabia Saudita - Kuwait - Iraq. A parte il terreno difficile in Iraq, le ragioni per lo più probabili sono la scoperta di vaste riserve di gas nel Mediterraneo orientale, e l'opposizione dell'Arabia Saudita ad un gasdotto attraverso il Kuwait. Se un regime più amichevole nei confronti del Qatar avesse preso il controllo della Siria, il Qatar sarebbe stato in grado di esercitare l'influenza necessario per la sua costruzione.
Questa è stata la migliore occasione del Qatar di influenzare gli affari della regione. Con una piccola popolazione nativa - i lavoratori stranieri costituiscono quasi il 90 per cento della popolazione di 2,2 milioni - e un piccolo esercito, le opzioni sono limitate. Tuttavia il Paese ha un libretto di assegni in buona salute ed è stato in grado di usarlo per aiutare a finanziare le forze dell'opposizione siriana.
Per capire meglio la guerra in Siria, occorre ricordare anche le scoperte di gas naturale nel Mediterraneo orientale nel 2009. Israele, Cipro e Egitto hanno trovato grandi giacimenti di gas. Israele ha il potenziale per l'esportazione di gas in Egitto, Giordania, Autorità Palestinese, e la Turchia. (Israele e Turchia hanno anche discusso un oleodotto verso la Turchia, ma Cipro ha sollevato obiezioni in quanto non ha relazioni diplomatiche con la Turchia.
(l'Antidiplomatico, 26 settembre 2016)
"Fuoco e coltelli strumenti di pace"
Un giovane cuoco che vive in un kibbutz collabora con colleghi arabi-israeliani e armeni: "Non facciamo politica ma con il cibo proviamo a dimostrare che la convivenza è possibile".
di Maurizio Tropeano
Per Nadav Malin partecipare a questa edizione di Terra Madre è come tornare a casa tra la grande famiglia di Slow Food. Nadav fa il cuoco ma per tre anni ha frequentato l'università di scienze gastronomiche di Pollenzo dove si è laureato con il massimo dei voti in filosofia del cibo. E forse questa visione a 180 gradi del mondo del cibo l'ha spinto a seguire le orme della madre e a diventare uno dei trenta cuochi dell'associ azione Chef for peace che opera in Israele dove collaborano volontariamente cuochi ebrei, cristiani, arabi israeliani e armeni. Tutti, però, con il passaporto israeliano perché per loro i confini con la Palestina sono blindati. Che cosa li tiene insieme? «In cucina - spiega Nadav - ci sono il fuoco e i coltelli che possono essere utilizzati come armi per distruggere ed uccidere mentre per noi sono strumenti per creare convivenza e amicizia pur nella diversità».
Nadav Malin vive in un kibbutz sulle colline di Gerusalemme che guardano verso Te! Aviv vicino al villaggio di Abu-Gosh abitato in prevalenza da arabi-israeliani. «Noi- spiega Nadav- non siamo politici e non vogliamo fare politica ma crediamo che il cibo possa essere un elemento per unire. Certo ci vuole tempo ma anche i piccoli passi sono importanti».
Piccoli passi
Di che si tratta? Ai primi di giugno di quest'anno durante un attacco terroristico al Sarona Market di Te! Aviv rivendicato da Hamas sono state uccise quattro persone e altre 6 sono rimaste ferite. Dopo quell'attentato, Chef for peace ha messo a punto un progetto che punta attraverso la cucina a superare paura e diffidenza. ai primi di agosto per una settimana i cuochi hanno lavorato insieme in uno spazio di questo mercato ortofrutticolo fianco a fianco servendo cibi «misti». «Un giorno è arrivata una famiglia israeliana di tre persone e
parlando con i genitori mi hanno raccontato che era stato il figlio, adolescente, a convincerli a venire a mangiare da noi. Aveva letto del nostro progetto, gli era piaciuto e aveva convinto i suoi genitori», racconta Nadav.
Il tour di Gerusalemme
Lo chef, che ha 32 anni e che insieme alla madre fa un servizio di catering per banchetti a cui partecipano tra le 100 e le 200 persone, sogna di aprire un agri-turismo ma intanto continua a fare il volontario. Tra le attività dell'associazione c'è anche l'organizzazione di tour gastronomici a Gerusalemme: «Noi - racconta - facciamo da guide tra le cucine della vecchia Gerusalemme che è divisa in quattro parti e dove ci sono anche tradizioni alimentari diverse. Anche gli chef che fanno da guida appartengono a religioni diverse ma questo non ci impedisce di spiegare che la diversità è ricchezza e che il cibo serve per unire». Anche perché il modo di pronunciare la parola cucina è molto simile sia nella lingua araba sia in quella ebraica. E la cucina «può creare ponti».
(La Stampa, 26 settembre 2016)
Nizza, arrestate due presunte jihadiste
Due ragazze provenienti dalla località francese di Nizza sono state arrestate perché sospettate di voler compiere un attentato terroristico. Lo ha confermato la procura francese dopo che la notizia era stata anticipata dal quotidiano "Le Parisien". Le giovani, di età compresa tra 17 e 19, sono state arrestate a metà settembre e si ritiene siano state in contatto tramite il servizio di messaggistica criptato Telegram con Rachid Kassim, jihadista 29enne noto per la sua propaganda a favore dello Stato islamico. Interrogate dalla Direzione Generale della Sicurezza interna hanno ammesso che avevano in programma «un'azione violenta sotto l'influenza di Kassim prima di rinunciare».
(Il Messaggero, 26 settembre 2016)
Appello di Rusconi: «Tornate in Israele»
di Silvia Pigozzo
«Pellegrini, ritornate in Israele. La terra da cui ha origine la nostra fede». Questo l'accorato appello di Eliseo Rusconi, presidente di Rusconi Viaggi, tour operator specializzato in pellegrinaggi e in viaggi culturali, che, in una serata presso la sede di Lecco, ha fatto il punto sul segmento religioso in Israele e presentato alcune novità del catalogo 2017. Alla serata sono intervenuti, l'Ente del Turismo Israeliano; il Jerusalem Development Authority; El Al Israel Airlines; Sobhy Makhoul, cancelliere dell'Exarcato Maronita Cattolico Gerusalemme, membro della Commissione Pellegrinaggi Cristiani Terra Santa e direttore P.J.J. - Opera Pellegrinaggi della Chiesa Maronita di Terra Santa; e don Matteo Crimella, responsabile dell'Apostolato Biblico della Diocesi di Milano.
Israele, archeologia viva
Un territorio che coniuga sacro e profano, siti a forte impatto spirituale e di fede, ma anche divertimento, architettura, arte e gastronomia. Israele racchiude in sé differenti anime, «un mosaico di tradizioni, culture e religioni - ha precisato Avital Kotzer Adari, direttrice dell'ufficio nazionale israeliano del Turismo - dove ognuno di noi può trovare le proprie radici, anche per chi non è credente. Il pellegrinaggio in Terra Santa rappresenta un percorso di arricchimento personale e intimo molto importante».
Un percorso che, secondo Rusconi Viaggi passa anche dalla conoscenza delle Sacre Scritture. «Ecco perché abbiamo pensato a una proposta di tour originale, di 8 giorni in Israele tra Bibbia e archeologia dal 26 dicembre al 2 gennaio. Il tour - che si snoda da Ber Sheva, Masada, Qumran e Gerico passando tra Bet Shean, Nazareth, Safed, Sepphoris, Gerusalemme e Hebron - sarà guidato da Don Matteo Crimella. «Si tratta di una proposta di viaggio per chi è già stato in Terra Santa e desidera approfondire la conoscenza di questi territori. L'obiettivo è di coniugare testo biblico e luoghi che si visitano e creare una relazione tra monumento, la parte archeologica, e documento». Cercare quindi un legame storico e oggettivo tra scritture e la terra circostante visitata.
Tra le novità 2017 di Rusconi Viaggi, oltre alla rafforzata alleanza con la compagnia di bandiera israeliana El Al, anche l'ingresso dei vettori low cost: «Per cercare di abbattere i costi, dallo scorso anno per alcune destinazioni abbiamo deciso di operare con Ryanair e Easy Jet. Opzione potenziata questa estate. Dal prossimo anno voleremo da Roma verso Lourdes e Lisbona (Fatima) con Ryanair».
«I media devono fare di più e meglio»
La serata è stata occasione per fare il punto sulla questione sicurezza in Israele, partendo dai numeri negativi registrati quest'anno nel comparto pellegrinaggi. «I media devono fare di più e meglio» è in estrema sintesi il richiamo di Rusconi ai giornalisti presenti in platea, rei di dipingere la Terra Santa come luogo insicuro e di conflitto, al punto da disamorare i viaggiatori. «La stagione ha subito una battuta d'arresto e quest'anno i pellegrinaggi in Israele sono crollati dell'80% rispetto al 2015. Dobbiamo quindi tornare a parlare in modo positivo della Terra Santa, basta con questa politica del terrore operata da alcune televisioni e giornali. Si tratta di territori sicuri, controllati. Torniamo alle origini della nostra fede, torniamo nuovamente in Israele». Alle parole di Rusconi fanno eco le dichiarazioni di Sobhy Makhoul, che parla di un solo 20-25% di pellegrini italiani giunti quest'anno in Terra Santa e della necessità per un cristiano di recarvisi almeno una volta nella vita.
El Al si prende il Dreamliner
Sono 33 i voli diretti con la destinazione da Milano, Roma e Venezia e l'ipotesi, ancora in fase di studio, è che El Al operi anche da Bologna. La compagnia di bandiera israeliana con una flotta di 43 Boeing per 36 destinazioni nel mondo, ha annunciato per i primi mesi del 2017 l'arrivo di 15 Boeing Dreamliner di nuova generazione.
(L'Agenzia di Viaggi, 26 settembre 2016)
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Roma, Milano e Venezia nell'orario invernale di El Al
A partire dal 30 ottobre 2016 saranno tre le città italiane collegate all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv da El Al Israel Airlines: ogni settimana sono previsti nove voli su Milano Malpensa (3 ore e 50 minuti di viaggio), 11 su Roma Fiumicino (3 ore), tre su Venezia (3 ore e 40 minuti). Ad illustrare l'orario invernale della compagnia di bandiera israeliana è stata Aurora Mirata, District Manager North Italy, partecipando ad un evento organizzato da Rusconi Viaggi nella sua sede di Lecco con l'obiettivo di rilanciare i pellegrinaggi in Terrasanta, in particolare quello in programma dal 26 dicembre al 2 gennaio con la guida del biblista don Matteo Crimella. «Per servire le tre destinazioni italiane - spiega Mirata - El Al utilizza un Boeing 737-900 configurato a due classi e dotato di 16 poltrone di business class, mentre sulle tratte intercontinentali introdurremo a partire dall'inizio del 2017 il primo dei 15 esemplari di Boeing 787 Dreamliner già acquistati. I nostri uffici di Roma e Milano collaborano attivamente con i tour operator italiani offrendo tariffe dedicate per gruppi ed eventi speciali, come le maratone di Gerusalemme e Tel Aviv, il Festival dell'Opera di Masada e il Festival della Luce di Gerusalemme. Non facciamo parte di alcuna alleanza ma abbiamo in essere numerosi accordi di code share che ci consentono di offrire 36 destinazioni e numerose opzioni ai nostri passeggeri, oltre alle speciali promozioni riservate al milione e 700 mila iscritti al Matmid, il nostro programma frequent flyer». Tra i servizi di bordo a disposizione dei passeggeri, il caffè Nespresso, attenzioni speciali per i bambini e pasti Kosher.
(Travel Quotidiano, 26 settembre 2016)
Inrca ad Israele al Convegno Internazionale sull'invecchiamento
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Yezreel Academic College, Israele
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L'Inrca - Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per Anziani - partecipa al workshop internazionale "Cross-Cultural and Societal Contexts of Elder-Care", organizzato dal 25 al 27 settembre allo Yezreel Academic College, Israele. L'iniziativa è supportata dalla Israel Science Foundation, l'equivalente del Consiglio nazionale delle ricerche italiano, per avviare un'analisi comparata dei sistemi di welfare occidentali sui temi dell'invecchiamento, assistenza e rapporti intergenerazionali. Una "tre giorni" di presentazioni e seminari che vede la partecipazione di 15 esperti di importanti centri internazionali, soprattutto nord americani ed europei, e di 25 ricercatori israeliani.
"Israele, spiega Giovanni Lamura, Centro Ricerche Economico Sociali per l'Invecchiamento e rappresentante per l'Inrca alla conferenza - è un Paese relativamente giovane perché ha avuto una forte immigrazione negli ultimi anni da parte di persone di origine ebrea che hanno lasciato paesi dell'est Europa, in particolare la Russia".
Ciò nonostante, "è indicativo che si pensi già alla gestione degli anziani". Il loro modello di assistenza, spiega Lamura, "include un sistema centralizzato di gestione delle badanti straniere. Non sono le famiglie che si occupano dell'assunzione, ma è lo stato che le assegna tramite una valutazione del bisogno familiare". Ciò consente un monitoraggio della domanda, che non è così lasciata al mercato nero. Si registra anche una più ampia diffusione delle tecnologie domotiche per l'assistenza a casa, e dell'uso del web. Per l'Inrca, che ha già collaborato in passato con l'Università di Yerzeel nell'ambito del progetto Futurage, "l'evento rappresenta un momento di confronto e apprendimento" aggiunge il direttore scientifico Fabrizia Lattanzio. In Israele come in Italia, grazie alle potenzialità offerte dalla rete, sono stati recentemente avviati progetti simili, come la piattaforma Inrca InformCare. Completamente gratuita, include tutte le informazioni che servono ai familiari impegnati nell'assistenza, dalla gestione delle malattie più comuni, all'accesso alle agevolazioni fiscali, al trasporto.
(AgenPress.it, 26 settembre 2016)
Roma, 16 ottobre 1943 Il giorno dell'orrore
«La razzia», mostra documentaria alla Casina dei Vallati
di Pietro Lanzara
«Quel triste giorno» è un olio su tavola di Aldo Gay. Era un pugile, appassionato di pittura. Fu cacciato dalla palestra, nel '38, a seguito delle leggi razziali. La mattina del 16 ottobre '43 scampò alle SS nel ghetto di Roma. In fuga, disegnò a matita gli orrori del rastrellamento: decine di fogli di taccuino e un blocco marca «Littorio».
Quest'unica testimonianza visiva è esposta nella mostra 16 ottobre 1943. La razzia alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione del Museo della Shoah al Portico d'Ottavia. Il curatore Marcello Pezzetti ha ricostruito nelle mappe la «topografia del terrore»: la preparazione della retata, gli indirizzi dei 1024 deportati, lo scalo merci della stazione Tiburtina da dove partirono diciotto vagoni piombati per AuschwitzBirkenau. Il macchinista, Quirino Zazza, è l'unico ad avere nome e cognome nel drammatico memoriale 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti. Si chiama solo Celeste la donna «vestita di nero, scarmigliata, sciatta, fradicia di pioggia» che per prima parlò della lista del comando tedesco ma fu ritenuta una chiacchierona e un'esaltata. Ne La Storia di Elsa Morante diventa Vilma la gattara «coi suoi gesticolii di folle, a voce bassa».
Nella mostra tutti hanno un nome e un volto. Dagli archivi familiari provengono le foto spesso inedite. L'ammiraglio Augusto Cappon, eroe di guerra paralizzato, suocero di Enrico Fermi: indossa l'uniforme quando lo catturano nella casa di via dei Villini. Emma Di Veroli, due anni: una dei duecento bambini deportati da Roma, dei duecentomila morti a Birkenau: restano il sorriso e il vestitino della Mishmarà, la festa dei 40 giorni. La famiglia Terracina è sorpresa in via del Tempio: la madre, quattro degli otto figli, tre nipoti. Amedeo Tagliacozzo è sul treno con la mamma e la nipotina, un biglietto ingiallito: «Tutti e tre bene in partenza oggi da Roma». Nell'ultima sala i filmati raccontano la ricerca dei dispersi, il ritorno dalla Polonia di 15 uomini e di un'unica donna, Settimia Spizzichino. Furono inviati ai lavori forzati 149 uomini e 47 donne, gli altri alle camere a gas. Il novantenne Lello DiSegni è l'ultimo testimone vivente: liberato a Dachau dagli americani ritrovò a Roma il padre sopravvissuto anche lui.
In Germania sono state recuperate le immagini degli aguzzini: i poliziotti di Emil Seeling, che affiancarono l'Einsatzkommando di Dannecker, davanti al convento di via Salaria dove alloggiavano; il luogo di raccolta nel Collegio Militare in via della Lungara; la Judenrampe del lager. Una sezione è dedicata alle reazioni degli Alleati, del Vaticano, dell'opinione pubblica internazionale. I National Archives di Kew a Londra hanno fornito le intercettazioni dell'intelligence britannica, i telegrammi e i rapporti di Kappler. Sono documenta ti l'autosoccorso ebraico della Delasem, che assisteva gli emigranti ebrei, e l'aiuto dato dagli istituti religiosi di Roma.
Tutti sapevano ma tutti tacquero. La mostra lascia spazio agli interrogativi, alle ricerche. In «La parola ebreo» Rosetta Loy dice di avere desiderato di vedere Pio XII «bianco e ieratico mettersi davanti al convoglio fermo sul binario». Enzo Forcella, giornalista e storico di madre ebrea, nel diario postumo «La Resistenza in convento» replica che alla stazione si sarebbero potuti trovare anche gli uomini dei Gap o di un'altra squadra armata per uno spericolato colpo di mano. Ma nel pomeriggio del 16 ottobre '43 il Cln, riunito clandestinamente, parlò di tutt'altro: «Questa indifferenza rientrava nella generale sottovalutazione della immane tragedia ebraica che caratterizza tutta la vita pubblica italiana sino alla fine della guerra e oltre».
(Corriere della Sera - Roma, 25 settembre 2016)
Un politico ungherese antisemita si trasferirà in Israele dopo aver scoperto di essere ebreo
Csanad Szegedi, 34 anni, ex leader del partito Jobbick, in passato accusato di neonazismo, si prepara a fare la cosiddetta "aliya" e trasferirsi in Israele
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Csanad Szegedi prima e dopo
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L'ex leader di un partito di estrema destra ungherese, fortemente antisemita, sta progettando di trasferirsi in Israele dopo aver scoperto di essere ebreo.
Csanad Szegedi, 34 anni, ex leader del partito Jobbick, in passato accusato di neonazismo, si prepara a fare la cosiddetta "aliya" e trasferirsi in Israele, dopo aver scoperto nel 2012 che sua nonna era una sopravvissuta dell'Olocausto.
Szegedi che era noto per le sue posizioni estremiste e le sue dichiarazioni antisemite, aveva contribuito a fondare la Guardia ungherese, che indossa uniformi nere che ricordano il famigerato partito filonazista "Croci Frecciate", che aveva governato per breve tempo l'Ungheria nella seconda guerra mondiale e aveva contribuito a inviare migliaia di ebrei nelle camere a gas.
Alla scoperta delle sue radici ebraiche si è detto scioccato principalmente per aver scoperto "che l'Olocausto è realmente accaduto".
Immediatamente Szegedi ha respinto il suo passato di estrema destra e ha abbracciato l'ebraismo, ha adottato il nome ebraico David e ha iniziato a frequentare la sinagoga e a mangiare cibo kosher. Fino al gesto più eclatante: l'aliya e il trasferimento di tutta la sua famiglia in Israele.
"Dopo gli incubi che i miei parenti hanno subito durante l'Olocausto, voglio essere parte del sogno positivo che Israele costituisce per noi", ha detto.
Szegedi ha inoltre detto che non sa se una volta in Israele si unirà a un partito politico, mentre si concentrerà sulla sua "attività contro l'antisemitismo in Europa".
Il 34enne nel 2009 era stato eletto al parlamento europeo come membro del partito Jobbick. "Ho avuto questo sistema di valori per 30 anni. Poi ho dovuto ammettere che era tutto sbagliato e ho trovato la volontà di cambiare".
(The Post Internazionale, 25 settembre 2016)
Giorgio Nissim, l'eroe silenzioso che salvò gli ebrei
Pisa, domani verrà ricordato il capo della Delasem che aiutò migliaia di innocenti
di Alfredo De Girolamo*
Pisa non dimentica. La dimostrazione concreta è in programma domani quando il sindaco della città toscana Marco Filippeschi scoprirà una targa in memoria di Giorgio Nissim, eroe pisano che negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale si trovò praticamente solo a guidare la Delasem, la Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei. Nata come emanazione dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane che dalla fine del 1939 e sino al 1947 è stata capace di distribuire aiuti per oltre un milione e 200 mila dollari e di salvare le vite di almeno 9 mila dei 35 mila ebrei che sopravvissero in Italia alle angherie della persecuzione bellica, aiutandone almeno la metà ad espatriare verso paesi neutrali e dunque, sicuri per gli ebrei. Attraverso questa organizzazione clandestina, Nissim riuscì a salvare la vita di centinaia di famiglie, grazie ad una rete di assistenza messa in piedi assieme ad alcuni preti lucchesi e che comprendeva ebrei come non ebrei.
La targa spiccherà all'altezza del numero 90 di Via Santa Marta, la casa pisana dei Nissim, alla presenza delle figlie Simona e Lydia e del figlio Piero, che da anni si accompagna alla sua chitarra nell'impegno civile e della tradizione ebraica non mancando di raccontare le gesta di suo padre ai più giovani.
Per non dimenticare, a 40 anni dalla sua scomparsa, quello che viene spesso definito "un eroe silenzioso". Giorgio Nissim, infatti, ritrovatosi solo a contrastare le azioni dei nazifascisti contro gli ebrei, sotto falso nome e spesso avvolto in un tabarro nero, si muoveva con circospezione e diffidenza agendo tuttavia in modo eroico a rischio della propria vita e senza alcun interesse personale per salvare quante più vite dal genocidio nazista della Shoah.
Un uomo semplice, dotato di grande coraggio, e anche fortunato, che nel periodo più oscuro della nostra storia, senza esitazione decise immediatamente da quale parte schierarsi, mettendo la propria dignità, umiltà e un pizzico di incoscienza, al servizio del bene. In una lotta contro il tempo, sfidando il pericolo e prendendosi anche, in qualche caso, gioco dei nemici.
Un episodio su tutti: Nissim con don Arturo Paoli, prete lucchese scomparso appena un anno fa alle soglie delle 103 primavere, aveva tagliato in due delle banconote da 5 lire, e ciascuno ne aveva prese metà. Al momento di dover salvare la vita a qualcuno, Nissim mandava da don Paoli persone che mostravano al prete mezza banconota da 5 lire, se il numero di serie corrispondeva con una delle mezze banconote da 5 lire custodite dal prete lucchese, allora quella persona veniva immediatamente posta sotto protezione.
Questo episodio, come tutti gli altri accaduti in Toscana, sono da ricordare e al loro cospetto non si può restare indifferenti. Vicende che intrecciano le storie di ebrei e non ebrei al servizio del bene, protagonisti di storie che si sono rincorse per tutta la Toscana, da una Lucca chiusa nelle sue mura ma non all'altruismo a una Firenze sede del comitato clandestino della Delasem fortemente sostenuto dal cardinale Elia Dalla Costa, ad una Pisa dila - niata dalle bombe passando per Livorno e la sua "zona nera", le campagne, le chiese, le stazioni ferroviarie come quella di Vaiano, a nord di Prato, da cui prende le mosse la storia avvin - cente di Giorgio e della sua famiglia. La vita di Giorgio Nissim è stata un esempio di esistenza dedicata alla causa giusta, sempre dalla parte dei perseguitati.
La storia semplice di un uomo comune, che un po' per caso, un po' per scelta, si comportò da eroe fra altri eroi. Un eroe che, 40 anni dopo, non deve essere dimenticato. I sopravvissuti di quella epoca vanno pian piano scomparendo, ma il ricordo delle loro azioni deve essere tramandato in eterno, e con ogni mezzo possibile. Per non dimenticare mai e non ricorrere negli errori del passato, da domani a Pisa, basterà alzare gli occhi verso quella targa in Via Santa Marta 90.
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* Autore di "Giorgio Nissim. Una vita al servizio del bene".
(l'Unità, 25 settembre 2016)
«Abbiamo creato un tetto per gli ebrei italiani a New York»
Intervista a Natalia Indrimi, direttrice del Centro Primo Levi a New York
di Alain Elkann
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Natalia Indrimi, direttrice del Centro Primo Levi a New York
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- Lei è direttrice e uno dei fondatori del Centro Primo Levi New York. Qual è il ruolo del centro?
«Il Centro, nato nel 1998, promuove il dibattito sulle questioni sollevate da Primo Levi e la conoscenza dell'ebraismo italiano in America. Siamo molto fortunati ad avere nel consiglio direttivo Stella Levi che mette continuamente in discussione il significato delle attività e ha instillato un senso profondo delle tradizioni ebraiche italiane e sefardite, la riflessione sull'America dal punto di vista dello straniero, sui valori della convivenza e di quel che oggi rimane di Auschwitz».
- Quali sono le vostre attività?
«Organizziamo conferenze, film e tavole rotonde, seminari e progetti di ricerca. Quest'anno abbiamo anche contribuito a un borsa di studio alla Scuola Normale Superiore di Pisa che speriamo di rinnovare. Abbiamo anche una rivista elettronica, una piccola casa editrice, CPL Editions, e stiamo lavorando a una biblioteca digitale di studi ebraici italiani».
- Il Centro sembra avere successo ...
«Successo sì, con molti ostacoli e sfide. Siamo riusciti a creare uno spazio dove persone di campi diversi dalle scienze umane, al diritto, alla scienza, trovano un terreno comune per parlare di questioni etiche e sociali».
- E la pubblicazione delle opere complete di Primo Levi?
«La Liveright-Norton ha intrapreso questo straordinario progetto più di 15 anni fa per dare al pubblico inglese la possibilità di apprezzare gli scritti di Primo Levi nel loro insieme. A un anno dalla pubblicazione, lo abbiamo presentato ieri al National Book Festival a Washington e credo abbia cambiato profondamente il modo in cui si legge Levi in America. Abbiamo coinvolto il Centro Internazionale di Studi Primo Levi a Torino. Sono loro i "filologi" di Levi e grazie a loro l'opera è uscita con un apparato di strumenti di lettura».
- Oggi Primo Levi è assai noto in America.
«Certo più di vent'anni fa. È un'importante voce alternativa in un momento di crisi del discorso sulla Shoah. Levi ha parlato dei fascismi e dello sterminio come fatto storico-politico e come esperienza umana. I suoi lettori, in ogni lingua, riconoscono l'importanza della riflessione sull'uomo e sulla relazione tra individuo e potere. Il modo in cui Levi pensa allo sterminio, storico e universale al tempo stesso, è molto diverso dalla prevalente narrativa per cui l'Olocausto (il termine ufficiale in America che a Levi non piaceva) diventa o una questione "etnica" o un contenitore generale di qualunque persecuzione».
- Presentate anche il libro "Venezia, gli Ebrei e l'Europa". Come l'avete scelto?
«Venezia rappresenta un capitolo importante nella storia degli ebrei in Italia e la mostra sui 500 anni del ghetto ha dato il via a dibattiti rivelatori delle sfide dell'ebraismo contemporaneo in Italia e non solo. Ci ha fatto molto piacere poter sostenere Marsilio in questa avventura americana e ospitare la
professoressa Donatella Calabi, che ha curato la mostra e il libro. Il pubblico si è mostrato molto ricettivo».
- Qual è il ruolo di Primo Levi per la vostra organizzazione?
«Gli scritti di Primo Levi, il suo interesse per la storia, per le questioni legate alla libertà individuale e alle relazioni col potere, la sua curiosità e il suo amore per la storia ebraica, piemontese, italiana o di altri luoghi, la sua preoccupazione di come la memoria e la storia funzionano in relazione reciproca al livello sociale, e molte altre questioni da lui sollevate sono il cuore e l'ispirazione del nostro lavoro».
- L'antisemitismo è uno dei vostri temi di lavoro?
«Certo. La difficoltà è farlo rimanere un oggetto di riflessione e non un filtro attraverso cui leggere il mondo».
- Esiste una comunità di ebrei italiani negli Stati Uniti?
«In America qualunque gruppo ha bisogno di definizioni semplici e visibili. Questo è difficile con l'ebraismo italiano perché è una realtà complessa e di dimensioni molto piccole e nessuno ha mai creato una sinagoga italiana. Eppure l'ebraismo italiano rimane una realtà storica e culturale profondamente diversa da quello americano. Non solo per l'unicità della liturgia e delle usanze ma per come ha formato la sua visione del mondo e le dinamiche di interazione sociale nel corso dei secoli. Con il Centro ci siamo permessi il lusso di fare tutto il possibile per far vivere quelle differenze almeno al livello culturale. Tanto tempo fa uno dei nostri soci mi disse che il Centro aveva creato un tetto. Questa metafora mi toccò molto e la porto sempre con me come una specie di amuleto».
- Avete rapporti con le comunità ebraiche in Italia?
«Uno dei nostri principali partners in Italia è il Cdec a Milano, il primo archivio e centro di ricerca sulla Shoah in Italia e sull'ebraismo italiano del Novecento. Altri importanti referenti sono appunto il Centro Internazionale di Studi Primo Levi a Torino, il Museo Ebraico di Roma, la Biblioteca Renato Maestro a Venezia, il Museo Ebraico di Trieste e la Fondazione per i Beni Culturali Ebraici. Penso sia importante valorizzare la natura regionale, municipale per essere precisi, dell'ebraismo italiano che ha mantenuto una struttura decentrata fino al primo trentennio del Novecento. Questa pluralità di centri e le sue dinamiche storiche costituiscono un elemento di riflessione molto importante».
(La Stampa, 25 settembre 2016)
Il Medio Oriente trema per l'alleanza Isis-Hamas
di Gianluca Perino
Un patto tra l'Isis e Hamas. Secondo alcune fonti di intelligence, mediorientali ma non solo, l'intesa sarebbe stata raggiunta un paio di settimane fa a Gaza dai vertici dell'ala militare del gruppo sunnita ed emissari del Califfato. Sul tavolo, però, non c'era la questione israeliana, ma il Sinai. E più in generale l'Egitto, dove gli interessi dell'Isis e di Hamas possono in qualche modo coincidere. Nel mirino delle due organizzazioni terroristiche c'è infatti il governo di Abdel Fattah al Sisi, l'ex generale che ha ricucito in qualche modo con Tel Aviv e che si è reso "colpevole", soprattutto agli occhi di Hamas, della repressione nei confronti dei Fratelli Musulmani, il cui leader ed ex presidente egiziano (Mohamed Morsi) è in carcere con una sentenza di condanna a morte che pende sulla sua testa. La guerra contro Il Cairo, come testimoniano gli attentati che hanno colpito recentemente il Paese, è già iniziata da tempo, ma questo accordo tra Isis e Hamas rischia di alimentare ulteriormente la tensione nell'area.
Il no su Israele
L'Isis avrebbe voluto anche inserirsi "ufficialmente" nella questione della guerra allo stato ebraico. Ma su questo punto Hamas non consente ingerenze e non vuole stringere accordi con nessuno: troppi e delicati i tavoli su cui il gruppo sunnita gioca per permettere a qualcuno esterno di sedersi con loro. Linea ribadita anche di recente, con l'altolà dato da alti esponenti di Hamas a terroristi ritenuti vicini all'Isis che si apprestavano a lanciare razzi verso Israele. E questo perché, comunque, quando un razzo atterra sul territorio dello stato abraico, Tel Aviv replica bombardando le postazioni di Hamas. Quindi - è il ragionamento dei terroristi - perché consentire ad altri di scendere in campo se poi il conto lo paghiamo comunque noi? Da qui il no a qualsiasi tipo di ingerenza di altri gruppi estremisti.
Il jihadista nel campo profughi
Che l'Isis stia cercando sempre di più di infiltrare tutta l'area è stato confermato dall'arresto, in un campo profughi di Sidone, di un jihadista che preparava attentati che avrebbero dovuto prendere di mira caserme dell'esercito, strutture turistiche e centri commerciali. L'uomo, il palestinese Imad Yassin, è stato arrestato dalle forze speciali dell'esercito ad Ain al Hilweh, uno dei 12 campi palestinesi in Libano, teatro da anni di tensioni e scontri armati tra le forze di Al Fatah e quelle di vari gruppi fondamentalisti islamici. Lo stesso Yassin, hanno fatto sapere fonti inquirenti, era passato nel corso degli anni da posizioni nazionaliste palestinesi all'estremismo islamista fino al terrorismo, militando volta a volta in Al Fatah, poi nel gruppo Jund al Sham e infine nell'Isis, di cui era considerato l' 'emirò nel campo di Ain al Hilweh.
(Il Messaggero, 24 settembre 2016)
World Baseball Classic - Israele è in finale
Brasile-Gran Bretagna per decidere la sfidante
Israele è la prima finalista dell'ultimo torneo di qualificazione al World Baseball Classic 2017. Ha infatti battuto (1-0) il Brasile in una gara dominata dai lanciatori (solo 3 valide a testa). Ai sudamericani resta comunque una seconda possibilità nella semifinale di recupero contro la Gran Bretagna, che ha battuto (14-0) il Pakistan.
Corey Baker, partente di Doppio A dei Cardinals con già 6 presenze in Triplo A, ha firmato la vittoria lanciando 5 riprese e concedendo solo una valida e 3 basi ball, a fronte di 6 strike out ottenuti e prima di lasciare la pedana a un bull pen di altri 4 pitcher, incluso il closer Brad Goldberg (classe 1990, 10 salvezze in Triplo A per i White Sox quest'anno), che ha ottenuto l'ultimo out su Luis de Camargo e firmato la seconda salvezza del torneo per Israele.
Il punto decisivo è arrivato su una volata di sacrificio del terza base Cody Decker, un veterano con oltre 800 partite (420 in Triplo A) in Minor League in carriera, contro Takahashi, giovane lanciatore brasiliano dei DBacks.
(Federazione Italiana Baseball, 24 settembre 2016)
Stroke: il confronto tra i sistemi sanitari di Italia e Israele in un convegno internazionale
Il 27 e il 28 settembre, è in programma "Stroke: to cure and to care", meeting italo-israeliano dedicato all'ictus, la principale causa di disabilità acquisita nell'adulto nel mondo. Promotori dell'evento sono Telbios e Officine Ortopediche Rizzoli
MILANO - Saranno due intense giornate di lavoro e confronto, quelle organizzate nell'ambito della collaborazione scientifica tra Italia e Israele, al Centro di Riabilitazione Ospedale Valduce Villa Beretta a Costa Masnaga (LC) da Telbios e Officine Ortopediche Rizzoli.
Martedì 27 e mercoledì 28 settembre è in programma "Stroke: to cure and to care" il convegno in cui i principali esperti del settore approfondiranno le scoperte più recenti nella cura e prevenzione dell'ictus: dalle stroke unit alla telemedicina, facendo il punto tra scientificità e sostenibilità del modello sanitario.
Il confronto fra sistemi sanitari eccellenti, con forti similarità organizzative, quali quelli di Italia e Israele, unito alla possibilità di comparare campioni di popolazione ampi, aiuteranno a proporre protocolli sanitari sempre più condivisibili e replicabili.
"A fronte di un grande impatto sanitario e sociale dello stroke, in Italia, così come nel resto del mondo, rimangono lacunose le informazioni riguardanti la ripresa e la riabilitazione. L'obiettivo del convegno è quello di creare un protocollo comune che vuole essere la base di un percorso volto a costruire una strategia di conoscenza condivisa", spiega il dott. Franco Molteni, direttore Unità Operativa Complessa Medicina Riabilitativa di Villa Beretta.
In un quadro di costante evoluzione e pragmatico approccio sanitario la telemedicina, nelle sue varie estrinsecazioni (telemonitoraggio, videoconsulto in telepresenza, teleriabilitazione), gioca un ruolo sempre più importante sia nella fase acuta, sia in quella riabilitativa. La sfida in campo è giocarlo in futuro nella fase domiciliare post ospedaliera o nelle situazioni di residenzialità protetta, dando concretezza alla indispensabile valorizzazione della componente sociale quale attore fondamentale del processo di cura.
"La tecnologia oggi permette la condivisione simultanea della valutazione clinica del paziente tra due o più medici che non sono nella stessa struttura, fondamentale nella fase di diagnosi, ancora più importante in quella dello stroke, dove il timing è fondamentale. La nostra R&D si sta muovendo proprio in questo ambito per cercare di trovare nuove soluzioni tecnologiche volte a facilitare sia la diagnosi e la cura immediata, sia la riabilitazione, nel pieno rispetto dell'interesse del paziente", commenta Alessandro Maggi, direttore generale di Officine Ortopediche Rizzoli.
"Il nostro obiettivo è sempre duplice: quanto più rapida è l'evoluzione della conoscenza medica e della tecnologia, tanto più stringente deve essere la valutazione puntuale e globale delle procedure e dei processi sanitari in termini di costo-beneficio" aggiunge Franco Bruno, direttore generale di Telbios".
(in salute, 24 settembre 2016)
I canarini delle miniere
di Aldo Grandi
Tanti anni fa, quando ancora la tecnologia non aveva radicalmente modificato e in meglio, le nostre abitudini e la nostra vita quotidiana, gli operai delle miniere di carbone erano soliti portare con sé, al lavoro, un canarino in una gabbia. Quando questi, poverino, smetteva di cantare e, il più delle volte, moriva, significava che era il momento di uscire e tornare in superficie. I canarini, infatti, sono particolarmente sensibili al monossido di carbonio e bastava poco per ucciderli, ma, allo stesso tempo, salvare delle vite umane. Così, canarini nelle miniere, si sono sentiti e si sentono tutt'ora gli ebrei nella Francia islamizzata dove le periferie urbane della capitale, ma non solo, sono terra di conquista degli arabi e dove si sente parlare sempre più spesso la lingua del califfo piuttosto che quella, dolce e musicale, d'Oltralpe. Leggete questo brano e poi, voi, ex comunisti di accatto, provate a azionare il cervello che avete votato all'ammasso: "Le statistiche dimostrano - spiega Jérome Fourquet, famoso sondaggista francese - come la percezione di insicurezza dovuta all'antisemitismo abbia riconfigurato i luoghi a presenza ebraica. Abbiamo scoperto che il numero degli ebrei nei quartieri del distretto di Seine.Saint-Denis è precipitato di dieci volte negli ultimi 15 anni. Stanno cercando di fuggire da aree musulmane? Sì, è evidente, molto evidente. Quello che abbiamos coperto è che quando gli ebrei si trasferivano, eravamo davanti al canarino nella miniera di carbone. Ora, infatti, da quelle stesse aree, vi è una fuga massiccia di popolazione non-immigrata. Le cose che, in precedenza erano percepite dalla comunità ebraica ora le sente la popolazione in generale. Sempre più ebrei dicono 'ci siamo noi, loro e voi - l'etnia francese. 'Vedrete cosa succederà', ci dicevano, quando scompariremo e vi lasceremo con loro, les Arabes"...
(La Gazzetta di Lucca, 24 settembre 2016)
Hamas e l'ottuso zelo degli euroburocrati
Fuori dalla lista delle organizzazioni terroristiche
di Roberto Santoro
La signora Eleanor Sharpston è uno dei dieci avvocati generali della Corte di Giustizia europea. E' un'accademica che ha insegnato a Cambridge, con un curriculum da trenta e lode. Nei giorni scorsi, l'avvocato è balzata agli onori della cronaca per aver chiesto di togliere definitivamente Hamas dalla lista Ue delle organizzazioni terroristiche.
Nel 2001, sulla base di una decisione presa dalla Gran Bretagna, Bruxelles decise di adottare una serie di misure come il congelamento dei fondi alle organizzazioni sospettate di essere coinvolte in attacchi terroristici, tra cui Hamas. I palestinesi al potere nella Striscia di Gaza non la presero bene, presentarono ricorso e nel 2014 - con una sentenza che suscitò grande scalpore - una delle sezioni della Corte di Giustizia mise la retromarcia, 'riabilitando' l'organizzazione. A quel punto fu il Consiglio europeo ad appellarsi contro la sentenza della Corte e da allora la questione è rimasta appesa, come tante altre vicende che testimoniano il doppio standard europeo verso Israele quando si parla di terrorismo palestinese.
La Sharpston è tornata quindi alla carica per ribadire che "il Consiglio europeo non può fondarsi su fatti e prove trovati in articoli di stampa e informazione ricavata da Internet, invece che su decisioni di autorità competenti, per suffragare una decisione di mantenimento in un elenco". Non solo. L'avvocatessa ha detto che non si può inserire una organizzazione nella lista del terrorismo sulla base delle decisioni prese da altri Paesi extraeuropei, ad esempio gli Usa. Gli Stati Uniti infatti hanno dichiarato Hamas una organizzazione terroristica nel 1997, implicata in "atti di violenza o pericolosi per la vita umana".
Basterebbe ricordare le centinaia di missili sparati, deliberatamente o in modo indiscriminato, da Hamas sulle zone abitate da civili israeliani, che negli ultimi anni hanno fatto dozzine di morti e feriti. Hamas non solo ha colpito Israele ma ha rivendicato gli attacchi, lodando pubblicamente l'uccisione di civili innocenti, mentre i killer venivano esaltati come "martiri" della Jihad, la guerra santa.
Per fortuna, i pareri degli avvocati generali non sono vincolanti per i giudici, e ci vorranno mesi prima che la Corte con sede in Lussemburgo prenda una decisione, ma se quello della Sharpston venisse accolto segnerebbe un punto di svolta nella sfibrante controversia tra Hamas e gli Stati europei. Si aprirebbero le porte, rimaste socchiuse, per un riconoscimento formale della organizzazione palestinese come interlocutore europeo, com'è accaduto, del resto, con la decisione di benedire la nascita dello Stato palestinese (l'Italia nel 2015 ha votato contro).
A lasciare davvero sgomenti è che la signora Sharpston non si ponga minimamente il problema di capire quanto sia pericolosa Hamas (le sarebbe basterebbe consultare qualsiasi intelligence europea per avere una conferma). Non contano i fatti, ma le procedure, anzi, i "vizi di procedura" che l'avvocatessa contesta alla Ue.
Così facendo si perde di vista l'aspetto più grave della vicenda: nel momento in cui Hamas uscisse dalla lista delle organizzazioni terroriste, nella Striscia di Gaza si riverserebbero fiumi di finanziamenti frutto di quella "solidarietà" (vedi Turchia) che i gli islamisti hanno sempre sfruttato investendo nella propria infrastruttura militare, con la scusa del welfare.
Se il parere della Sharpston venisse accolto, l'Europa stessa, tramite la miriade di associazioni che militano per la "causa" palestinese, finirebbe per finanziare indirettamente il terrorismo islamico contro Israele. Quando si dice l'ottuso zelo degli euroburocrati.
(l'Occidentale, 24 settembre 2016)
L'ultima minaccia lsis: «Presto saremo a Roma»
Italia e Belgio nel mirino dei jihadisti. «I cuccioli del Califfato conquisteranno l'Occidente»
Presto a Roma. È questo l' ultimo messaggio arrivato dall'Isis e diretto all'Italia. In una delle immagini di propaganda che circolano sul web in questi giorni, infatti, si vede il Colosseo insanguinato e un mujaheddin armato. A lato la scritta «Rome soon», Un'altra minaccia, dunque, arrivata anche attraverso una serie di video in cui si indicano come obiettivi l'Italia e il Belgio. In un altro video, invece, si presentano i «Cuccioli del Califfato» (Cubs), come coloro che conquisteranno Roma, Gerusalemme e Baghdad.
Il filmato è girato all'interno di una scuola di addestramento dello Stato islamico di Al-Khayr, in Siria. Una delle tante utilizzate dai terroristi per inculcare l'ideologia jihadista ai loro figli. Ai ragazzini in questione, dunque, viene chiesto di parlare dei loro sogni futuri e delle loro aspirazioni. Uno di questi spiega: «Voglio essere un martire. I martiri che Allah ama di più sono quelli che combattono in prima linea, e non girando le spalle fino a quando non vengono uccisi». E un altro dice: «Sono in cerca del martirio, come mio fratello». Frasi agghiaccianti, proferite da minori tra i 6 e i 10 anni che vedono nella conquista di Roma la più grande delle loro aspirazioni. E il narratore spiega che tutto questo viene fatto per evitare che «i tiranni possano allontanare i figli dei musulmani dalla religione».
Intanto, ieri il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha annunciato l'ennesima espulsione. Questa volta si tratta di una donna marocchina di 44 anni «rimpatriata con un volo partito da Fiumicino e diretto a Casablanca», ha spiegato Alfano. Un nuovo caso di soggetto ritenuto a rischio e allontanato dal territorio nazionale per motivi di sicurezza. La donna, residente a Perugia, «era all'attenzione degli investigatori perché aveva manifestato chiari segnali di radicalizzazione religiosa, dichiarando la propria vicinanza all'ideologia dell'autoproclamato Stato islamico e pubblicando sul suo profilo Facebook contenuti tali da determinarne il blocco», ha aggiunto in una nota il Ministro.
Stando a quanto raccolto dagli investigatori, inoltre, la marocchina «aveva dimostrato una forte ostilità nei confronti degli sciiti, dei Paesi occidentali, degli ebrei e dei miscredenti e, in piena adesione ideologica al jihad, aveva commentato con la seguente frase "Amen, lo spero anche per me" un post che recita testualmente "Coloro che credono ed emigrano e fanno la jihad in nome di Dio, aspettano una benedizione da Dio. Ed io spero di essere tra loro"». Sale, dunque, a 116 il numero delle espulsioni eseguite dall'inizio del 2015. Di queste 50 sono avvenute del 2016. Fra. Mus.
(Il Tempo, 24 settembre 2016)
La profetica battaglia di Giorgio lsrael contro l'uomo ridotto a macchina
Un anno fa moriva lo storico della matematica e della scienza.
di Nicoletta Tiliacos
"Quel che gli consentì di far convivere i differenti aspetti della sua attività, fu da un lato la visione storica e laica della religione, e d'altra parte il punto di vista 'culturale' e mai soltanto tecnico della ricerca scientifica". Con queste parole lo storico della matematica e della scienza Giorgio Israel, a lungo firma illustre del Foglio, rendeva omaggio a suo padre Saul, medico e scrittore. Ora che il calendario ci ricorda che da un anno Giorgio Israel ci ha lasciati (è morto a settant'anni, il 25 settembre del 2015), quelle stesse parole, soprattutto nella parte che valorizza l'esperienza scientifica come fatto culturale, ci sembrano più che mai capaci di sintetizzare anche la sua esperienza di studioso.
Ne troviamo testimonianza fino all'ultimo lavoro scientifico di Israel, uscito postumo per Zanichelli qualche mese fa e intitolato "Meccanicismo. Trionfo e miserie della visione meccanica del mondo". Quella del vivente come macchina è un'idea che appena nata entrò subito in una crisi "interminabile", come la definisce Israel. Una crisi che però assomiglia a una paradossale forma di successo. Pensiamo all'ambizione di misurare matematicamente manifestazioni della vita e dell'umano come la sfera morale, ma anche fenomeni biologici, sociali ed economici. Quante volte ci è capitato di leggere delle neuroscienze che "misurano" la tendenza al tradimento, l'inclinazione ad avere una fede, la capacità di scelta o il livello di consapevolezza di una decisione politica? E se l'uomo è una macchina, perché rinunciare a misurare anche il senso del dovere, la compassione o l'avarizia? Israel ricorda che la prima vittima di questa impostazione fuorviante è proprio la matematica, strappata al suo ruolo speculativo e costretta a misurare il non misurabile. L'uomo ridotto a genoma e neuroni, ampiamente modificabili, è il sogno - l'incubo - antiumano contro cui Israel ha combattutto con lucidità e passione. In buona compagnia, se è vero che anche Karl Popper affermava di considerare "la dottrina secondo cui gli uomini sono macchine non solo erronea, ma tendente a minare un'etica umanistica".
Corollario naturale di questa battaglia che per lsrael è durata una vita, è stato l'impegno affinché i luoghi istituzionali di trasmissione della conoscenza, dalle elementari fino all'Università, non si riducessero, come troviamo scritto in un documento ministeriale francese di qualche tempo fa, in "un self service dove si passa per approfittare di un clima di fiducia". E' fin troppo facile, oltre che assai malinconico, dover constatare come i timori di Israel trovino sempre nuove conferme, così come trova conferma l'ostilità a un'idea di apprendimento matematico che non sia solo finalizzato all'applicazione pratica. "La matematica è una miscela di logica e intuizione informale", avverte Israel, e scienza e matematica, prima di servire a formare periti chimici o geometri, costituiscono per tutti un'introduzione alla filosofia, un invito a porsi domande sul mondo, un modo per far lavorare creativamente il pensiero. Anche di questo si parlerà in un incontro dedicato a Israel che si terrà alla fine di novembre a Bologna, a partire dai temi affrontati nel suo contributo al pamphlet "Abolire la scuola media?" (il Mulino), scritto con Cesare Cornoldi e uscito nel settembre 2015, pochissimi giorni prima della sua morte. A quella domanda, per inciso, a differenza dell'altro autore Israel rispondeva di no. La scuola media e la differenziazione dei tre cicli scolastici, che oggi qualcuno vorrebbe abolire per approdare a un'indistinta e paludosa palestra di "autoformazione", hanno funzionato molto bene prima dell'affermazione di una tendenza che vede la scuola esclusivamente come luogo di formazione di forza lavoro. A essere sbagliata non è la "vecchia" scuola media ma questa idea, dice Israel, figlia di "economisti della scuola" che hanno lavorato alacremente per ridurre "le pratiche di insegnamento alla somministrazione di test e quiz". I risultati li conosciamo.
(Il Foglio, 24 settembre 2016)
Il Mar Morto salvato dalle acque del Mar Rosso
di Luigi Manfra*
Il Mar Morto sta morendo, ma non è un gioco di parole. Il grande lago salato ai confini tra Israele e Giordania è alimentato unicamente dalle acque del fiume Giordano e da qualche altro corso d'acqua minore. Il Giordano da circa cinquanta anni viene sfruttato per irrigazione su larga scala sottraendo grande parte dell'acqua che da sempre alimenta il lago. Basti pensare che Israele controlla una diga nella parte meridionale del Lago Tiberiade attraverso la quale può regolare il flusso d'acqua in entrata. Attualmente l'acqua che arriva nel Mar Morto è pari a meno di 30 metri cubi al secondo mentre secondo i dati dei primi anni Sessanta la portata del Giordano era stimata attorno ai 1.300 metri cubi. Ecco il motivo per cui il livello del lago salato è sceso di 27 metri in circa 35 anni, ad un ritmo medio di poco meno di un metro all'anno.
L'estensione complessiva del Mar Morto è di oltre 1000 kmq, lungo circa 75 chilometri e largo 15. Fino a circa trenta anni fa si componeva di due bacini comunicanti e uniti tra di loro. Oggi, in seguito alla continua evaporazione e al minore contributo idrico dovuto alla variazione del corso del Giordano, il bacino meridionale si è quasi completamente prosciugato, lasciando al posto dell'acqua una vasta distesa di sale. La salinità media delle acque raggiunge il 33.7%, valore elevatissimo se lo confrontiamo con il Mar Rosso che ha una salinità media del 3.8%.
Per salvare il lago, nel 2013 Israele, Giordania e Autorità palestinese hanno presentato un progetto per collegare il bacino al Mar Rosso che prevede: una condotta formata da un gruppo di sei diverse tubature che va dalla costa orientale del Golfo di Aqaba al Mar Morto, un impianto di desalinizzazione per ottenere acqua dolce da destinare alle popolazioni limitrofe e una centrale per produrre l'elettricità necessaria a far funzionare la struttura e a coprirne almeno parzialmente i costi.
La gara è stata ufficialmente annunciata dal ministro dell'Interno di Israele, Silvan Shalom, e da quello delle risorse idriche della Giordania, Hazim Nasser. Serviranno oltre 4 anni per completare questo canale di 180 km che sarà in grado di trasportare lungo la Valle di Arava, in territorio giordano, acqua che defluirà naturalmente, grazie alla pendenza, dal Mar Rosso verso nord nel Mar Morto il quale si trova a 427 metri sotto il livello del mare. Il Ministero dell'acqua e dell'irrigazione giordano ha ricevuto nei primi mesi del 2016 i documenti per la prequalificazione della gara di appalto da 17 aziende internazionali, mentre l'inizio dei lavori dovrebbero avere inizio nel primo semestre 2017. Il progetto prevede che ogni anno verranno pompati circa 200 milioni di metri cubi di acqua dal Mar Rosso. Di questi una parte sarà incanalato nel grande impianto di desalinizzazione nella città giordana di Aqaba che produrrà acqua potabile. Israele ne riceverà 30-50 milioni di metri cubi, mentre la Giordania ne utilizzerà 30 milioni per le proprie aree meridionali. Cento milioni di metri cubi del sottoprodotto altamente salino dell'impianto saranno convogliati verso il Mar Morto per ricostituire il livello del grande lago salato. Nell'ambito dello stesso accordo, Israele pomperà 50 milioni di metri cubi di acqua destinati alle regioni settentrionali della Giordania e 30 milioni per gli abitanti della Cisgiordania governati dall'Autorità Palestinese.
Le critiche ambientali che da più parti sono state avanzate alla realizzazione del canale affermano che mischiare l'acqua del Mar Rosso, ricca di solfato, con la soluzione salata ricca di calcio del Mar Morto, potrebbe far diventare il lago salato di un colore bianco gesso e alterare la concentrazione di calcio e magnesio e bromo, preziosi per curare allergie e infezioni delle vie respiratorie.
Un'alternativa al progetto esiste ma dipende interamente da Israele. Nel 2016 i consumi idrici del paese sono stati pari a 1.4 miliardi di metri cubi d'acqua di cui 617 milioni provenienti dall'attività di desalinizzazione, 474 dal lago Tiberiade e dalle sorgenti sotterranee, 248 da acqua depurata e 140 da acqua salmastra trattata. Sarebbe sufficiente, quindi incrementare con un nuovo impianto di 100 milioni di metri cubi l'acqua desalinizzata e lasciare che la stessa quantità defluisca dal lago Tiberiade nel Mar Morto. I costi di questa soluzione alternativa sarebbero minori, i danni ecologici al lago salato trascurabili, senza contare che una nuova era di generosità dell'acqua potrebbe contribuire a migliorare i rapporti con i palestinesi e con la Giordania.
* Responsabile progetti economici-ambientali Unimed già docente di politica economica presso l'Università Sapienza di Roma
(il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2016)
DLD Tel Aviv: In Israele la più grande conferenza sull'innovazione.
Dal 24 al 29 settembre 2016 la città di Tel Aviv ospiterà una nuova edizione del più grande evento in Israele dedicato al mondo del digitale e dell'innovazione, DLD Tel Aviv Innovation Festival 2016.
Il festival si compone di una lunga lista di eventi, conferenze, incontri e workshop, tutti focalizzati sui diversi lati dell'innovazione digitale, tecnologica, sociale, finanziaria, informatica, urbana e molto altro. Il DLD Tel Aviv Digital Conference è il più grande raduno high-tech internazionale di Israele, con centinaia di startup, venture capitalist, investitori e leader multinazionali. Un luogo di incontro per gli attori chiave del settore digitale provenienti da Israele e da molti altri paesi del mondo.
Come per le edizioni precedenti, il presidente della manifestazione sarà il Dott. Yossi Vardi, imprenditore informatico e personaggio emblematico del panorama high-tech israeliano. Insieme al Dott. Hubert Burdaa, l'obiettivo è quello di rendere il DLD un terreno fertile per collegare e rafforzare i legami tra gli investitori di tutto il mondo ed il mondo delle startup, degli imprenditori, degli investitori locali e manager. Un altro obiettivo è quello di aumentare i talenti tecnologici e gli investimenti per i leader del settore come Amazon, Google, Facebook, EMC, Microsoft, GM, Amdocs, SAP, Applied Materials, Orange, Cisco Israel e molto altro.
Lo spirito ed il contenuto vivace e dinamico del DLD Tel Aviv assicura che i partecipanti siano esposti alle aziende più all'avanguardia e di alto profilo provenienti da Israele e, naturalmente, anche alla comunità internazionale.
Tel Aviv, come spiegano gli organizzatori, è la miglior location per vedere da vicino l'intero mondo dell'high-tech.
(SiliconWadi, 23 settembre 2016)
Netanyahu spiega l'interesse della Russia a cooperare con Israele
GERUSALEMME - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, riferisce la "Jerusalem Post", ha spiegato i possibili interessi della Russia a cooperare con Israele, nel corso dell'annuale galla organizzato dal think-tank newyorkese Hudson Institute. "Penso che Mosca abbia interessi variegati, il primo è quello di assicurarsi che l'Islam militante non penetri e destabilizzi la Russia", ha detto il premier israeliano. "Ci sono milioni di musulmani in Russia e la preoccupazione è che queste popolazioni siano radicalizzate; la prima cosa è il blocco dell'Islam militante, in particolare il fenomeno dello Stato islamico", ha aggiunto il premier. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha ospitato il leader israeliano a Mosca per tre volte nel corso dell'ultimo anno, durante il quale i due hanno convenuto di voler evitare a tutti i costi uno scontro, ha aggiunto Netanyahu. Con le forze russe che combattono a fianco dell'Iran e dei guerriglieri Hezbollah libanesi per tenere il presidente siriano Bashar al Assad al potere, Putin è la cosa più vicina a un garante per contenere i nemici più potenti di Israele.
(Agenzia Nova, 23 settembre 2016)
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Netanyahu scompagina le alleanze, aperture verso i paesi arabi
GERUSALEMME - Le recenti dichiarazioni del premier Benjamin Netanyahu all'Assemblea generale dell'Onu indicano un cambio di rotta del sistema di alleanze regionali. Il conflitto israelo-palestinese ha giocato un ruolo determinante nello schieramento di paesi "amici" e "nemici". Eccetto Giordania ed Egitto, paesi che riconoscono ufficialmente lo Stato di Israele, Gerusalemme non ha - fino a poco tempo fa - guardato agli altri paesi arabi come "partner" nella risoluzione della decennale questione con i palestinesi. Fino a poco tempo fa, da un lato c'era Israele, sostenuto dallo storico alleato statunitense, dall'altro l'Autorità nazionale palestinese (Anp), sostenuta da alcuni paesi arabi e dalle organizzazioni internazionali. Tuttavia, per delineare quelle che sono le alleanze regionali, bisogna tenere in considerazione anche gli interessi economici che sottendono alle relazioni tra i vari paesi. È in questo contesto che entrano a far parte altri paesi nel gioco delle alleanze, che potrebbero avere un ruolo anche a livello politico e diplomatico.
(Agenzia Nova, 23 settembre 2016)
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"Presto il mondo sarà con Israele. È in corso una rivoluzione"
"Le relazioni diplomatiche di Israele sono al centro di una rivoluzione", ha dichiarato ieri il Primo ministro Benjamin Netanyahu parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunitasi a New York. Intervenuto dopo il discorso del presidente palestinese Mahmoud Abbas - che ha accusato Gerusalemme e la politica degli insediamenti di essere l'unico ostacolo alla pace - Netanyahu ha invitato la sua controparte a venire a parlare alla Knesset, il parlamento israeliano: "Presidente Abbas, invece di inveire contro Israele alle Nazioni Unite a New York, la invito a parlare al popolo israeliano alla Knesset a Gerusalemme. E sarei felice di venire a parlare davanti al parlamento palestinese a Ramallah". Poi il Premier si è rivolto all'intera assemblea e, come già in passato, ha puntato il dito contro l'attitudine delle Nazioni Unite rispetto a Israele - "anno dopo anno sono venuto qui, su questo podio e ho criticato l'Onu per la sua ossessione contro Israele" - ma qualcosa ora sta cambiando, ha aggiunto. "Forse alcuni di voi non lo sanno ancora ma sono sicuro che un giorno, in un futuro non troppo lontano, riceverete un messaggio dal vostro presidente o dal vostro primo ministro che vi informerà che la guerra contro Israele alle Nazioni Unite è finita". Secondo il Premier nei prossimi 10 anni l'orientamento della maggior parte dei paesi nei confronti dello Stato ebraico sta cambiando: e il riferimento è ad esempio ai paesi africani, con cui Netanyahu ha avuto un meeting proprio a New York (con 15 rappresentanti di altrettante nazioni africane) per parlare di cooperazione nell'high tech e nella sicurezza. Ma il più grande cambiamento, ha sostenuto il capo del Likud, "è in atto nel mondo arabo. I nostri trattati di pace con l'Egitto e la Giordania continuano ad essere ancore di stabilità in un Medio Oriente instabile. Ma devo dirvi questo: Per la prima volta nella mia vita, molti altri stati della regione riconoscono che Israele non è il loro nemico. - le sue parole - Riconoscono che Israele è il loro alleato. I nostri nemici comuni sono l'Iran e l'Isis. I nostri obiettivi comuni sono la sicurezza, la prosperità e la pace. Credo che nei prossimi anni lavoreremo insieme per raggiungere questi obiettivi e collaborare apertamente".
(moked, 23 settembre 2016)
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La Parola di Dio
«La Parola di Dio non è amata e studiata, né in privato, né in pubblico. In privato si trangugia letteratura dozzinale e in pubblico si ricerca musica, culti cerimoniali e pompose liturgie. Si radunano a migliaia per ascoltare musica, e per questo pagano pure, ma pochi amano una riunione per studiare la Sacra Scrittura. Questi sono fatti, e i fatti sono solidi argomenti. Non possiamo negarlo. C'è una crescente sete di eccitazione religiosa e una crescente avversione per il silenzioso studio della Sacra Scrittura e per le attività spirituali della comunità cristiana. E' inutile negarlo. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo.
Grazie a Dio ci sono anche, qua e là, alcuni che amano davvero la Parola di Dio, per i quali è una gioia incontrarsi in santa comunione per studiare le preziose verità della Parola. Voglia il Signore aumentare il loro numero e benedirli, "fino a che siano compiuti i giorni del nostro pellegrinaggio"».
Charles Henry Mackintosh (1820 - 1896)
In ambiente evangelico oggi i culti cerimoniali e le pompose liturgie delle istituzioni religiose sono stati sostituiti da culti danzanti e concerti spaccatimpani, ma l'amara conclusione è la stessa: "C'è una crescente sete di eccitazione religiosa e una crescente avversione per il silenzioso studio della Sacra Scrittura". M.C.
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Israele - Bagarre al galà del cinema per una poesia di Darwish
Ministra lascia la sala per protesta contro l'omaggio a un poeta palestinese.
La declamazione di una poesia del defunto intellettuale palestinese Mahmud Darwish ha provocato la scorsa notte una bagarre durante la serata di gala in cui e' stato scelto il film che rappresenterà Israele alla prossima edizione degli Oscar. Il film premiato e' 'Tempesta di sabbia' di Illit Sazker, che e' centrato sulla vita in una comunità beduina ed e' parlato per lo più in arabo. La scintilla che ha provocato l'incidente e' stata la esecuzione da parte di un rapper arabo di una poesia di Darwish ('Prendi nota, sono un arabo'), cosa che ha indotto la ministra della cultura Miri Regev (Likud) ad abbandonare immediatamente la sala. Tornata poi sul palco, Regev ha giustificato la sua protesta affermando che il testo completo di Darwish include la esortazione ai palestinesi di ''cibarsi della carne degli israeliani''.
(ANSAmed, 23 settembre 2016)
Guerra dello shabbat: l'ultimo atto è sul metro
di Fabio Scuto
GERUSALEMME - Lo scontro sullo Shabbat, la rigida osservanza del giorno di riposo ebraico come vorrebbero gli ebrei ultra-ortodossi, trova ogni mese un nuovo campo di battaglia. Ora sono in corso i lavori della metropolitana che collegherà Gerusalemme a Tel Aviv, liberando decine di migliaia di pendolari dalla schiavitù dell'auto o dei bus. Lavori di pubblica utilità, ma che per stare nei tempi devono essere eseguiti sette giorni alla settimana. Così sono insorti i rabbini che hanno sobillato i partiti religiosi nella Knesset per coinvolgere il premier Benjamin Netanyahu, minacciando conseguenze per la risicata maggioranza di governo. Ne è nato uno scontro istituzionale ministro dei Trasporti Yisrael Katz e opinione pubblica da un lato, premier e partiti ultra-ortodossi dall'altra risolto da una sentenza della Corte Suprema che ha «bocciato» le richieste degli haredim. Negli ultimi venti anni il peso dei religiosi è molto cresciuto, insieme a quello demografico (sono 1/3 della popolazione), e il loro potere interdittorio è aumentato. A parte un breve periodo nel 2014, i partiti religiosi hanno sempre fatto parte della maggioranza, portando nel governo gli esclusivi interessi della loro comunità che gode di privilegi, aiuti di Stato a famiglie, gruppi religiosi, scuole talmudiche, buoni viaggio e l'esenzione dal servizio militare in un Paese dove ai giovani è richiesto un servizio di 36 mesi e 24 per le ragazze. La maggioranza (degli uomini) non lavora e le famiglie vivono (spesso sfiorando l'indigenza) dei sussidi di Stato. Il rispetto totale dello Shabbat è una delle basi delle comunità haredim, ma mentre rabbini e «timorati di dio» si riuniscono e pregano in strada per la profanazione dello Shabbat, in tutto l'Israele «laico» si aprono malì, mercati del fresco, supermercati e ristoranti sette giorni su sette. E sono sempre tutti affollati.
(la Repubblica - il venerdì, 23 settembre 2016)
L'Ue non impara la lezione su Hamas
L'avvocato generale propone la rimozione dalla black list del terrore
Per Eleanor Sharpston, avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea, Hamas dovrebbe essere depennata dalla lista nera europea delle organizzazioni terroristiche. Non perché i terroristi palestinesi abbiano mostrato a Bruxelles segnali di ravvedimento che né i comuni mortali né tantomeno gli esperti riescono a intravedere, ma per "errori procedurali". La questione risale a quasi due anni fa, al dicembre 2014, quando la Corte di giustizia Ue decretò che a causa di, appunto, "errori procedurali" Hamas doveva essere tolta dalla lista nera nella quale si trova dal 2001, in quanto il suo inserimento si fondava su accuse trovate sui media e non "basate su atti esaminati dalle autorità competenti". In pratica, la burocrazia europea non si accontentava della palese evidenza e voleva accertarsi di persona della natura terroristica di Hamas. Un mese dopo, nel gennaio 2015, il Consiglio Ue fece ricorso contro la sentenza, cosa che consentì di mantenere il congelamento dei fondi e le sanzioni. Ma ieri l'avvocato generale Sharpston - i cui pareri non sono vincolanti per la Corte, ma di solito anticipano la decisione finale della Corte stessa - ha detto che gli errori procedurali permangono, e che dunque Hamas, in sprezzo a qualunque evidenza, dovrà essere depennata dalla lista nera (Sharpston ha espresso un'opinione simile anche sulle Tigri Tamil dello Sri Lanka, che hanno un procedimento parallelo). La decisione finale della Corte richiederà ancora mesi, ma rischiano di rimanere valide le parole che il premier israeliano Netanyahu pronunciò all'indomani della prima sentenza: "Troppe persone in Europa, nella stessa terra dove sei milioni di ebrei sono stati massacrati, non hanno imparato alcunché".
(Il Foglio, 23 settembre 2016)
Il miglior proprietario di casa al mondo è di Tel Aviv
Quando è morto, un anziano signore ha lasciato in eredità i sette appartamenti di sua proprietà (ognuno del valore di mezzo milione di euro), ai sette inquilini, tutte donne, che vi abitavano in affitto da tempo.
Un proprietario di casa del genere è il sogno di qualsiasi affittuario. Da Tel Aviv, Israele, arriva una storia che sembra tratta da un film hollywoodiano.
Quando è morto, un anziano signore ha lasciato in eredità i sette appartamenti di sua proprietà, tutti nel medesimo edificio, ai sette inquilini, tutte donne, che vi abitavano in affitto da tempo. L'uomo non aveva figli, la morte risale al mese di maggio: solo pochi giorni la rivista Calcalist ha dato notizia delle sue ultime volontà.
Ogni appartamento ha un valore stimato di circa mezzo milione di euro. La casa si trova in un quartiere residenziale e molto ambito nel centro di Tel Aviv, città famosa in tutto il medio oriente per l'altissimo costo della vita.
Chi ha conosciuto il generoso signore lo ricorda come una persona riservata e solitaria: "Camminava sempre a capo chino per strada, non guardava nessuno negli occhi, e ogni giorno portava del cibo ai gatti randagi del quartiere", dice un vicino di casa. "La casa e gli inquilini erano tutto il suo mondo", ha detto il vicino. "È per questo motivo che ha lasciato loro la proprietà".
(Today, 23 settembre 2016)
Mantovani incontra Haezrachym, vicecapo missione dell'Ambasciata di Israele a Roma
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Dan Haezrachym Nicoletta Mantovani
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Questa mattina l'assessore alle relazioni e cooperazione internazionale Nicoletta Mantovani ha incontrato Dan Haezrachym, vicecapo missione dell'Ambasciata di Israele a Roma. L'assessore Mantovani ha illustrato il secondo incontro della piattaforma Unity in diversity, che si svolgerà proprio tra il 2 e 4 novembre all'interno del programma di commemorazione del 50o anniversario dell'alluvione. Unity in diversity è un network nato nello scorso anno fra più di 80 città appartenenti a 60 paesi, con l'obiettivo di promuovere la pace e lo sviluppo, sociale ed economico, attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale: l'edizione di quest'anno sarà incentrata proprio sulla resilienza e la prevenzione del rischio in difesa del patrimonio culturale, materiale e immateriale, sia dalle catastrofi naturali che dai danni causati dall'uomo. "Haezrachym ha dimostrato notevole interesse assicurando la partecipazione di alcuni amministratori israeliani all'incontro - sottolinea l'assessore Mantovani -. Nell'occasione ci ha parlato di un progetto che potrebbe essere presentato ufficialmente nel corso di Unity in Diversity e in queste settimane lavoreremo per questo. Si tratta di un progetto che, partendo da attività culturali e da tradizioni comuni ai paesi mediterranei, inclusa la cucina e la sua valenza interculturale, vuole coinvolgere israeliani e palestinesi per avviare un processo di conoscenza e di educazione alla pace nella società civile".
(#gonews.it-Firenze, 22 settembre 2016)
Follia palestinese. Tredicenne "vuole" morire da martire
L'odio inculcato nella menti della gioventù araba palestinese da parte di Hamas e della stessa dirigenza dell'Autorità Palestinese, rischia di provocare una strage vera e propria. E' notizia di oggi di una ragazzina di tredici anni che ha cercato di immolarsi per la "causa" in Samaria nei pressi di Alfei Menashe.
Alla ragazzina che si stava avvicinando al checkpoint di Eliyahu, area interdetta interdetto ai pedoni è stato intimato ripetutamente di fermarsi ma la stessa ha ignorato l'avviso continuando la sua avanzata fino a quando i militari si sono accorti che stava tentando di prendere qualcosa dalla camicia.
A quel punto i militari hanno sparato in aria colpi di avvertimento e, visto che non si fermava, le hanno sparato alle gambe.
Ai militari che poi l'anno soccorsa ha detto: "Sono venuta qui per morire e diventare una martire" .
Mandano i bambini a morire da "martiri" però chi fa loro il lavaggio del cervello si guarda bene dal diventare martire. Loro vivono nelle belle residenze a Gaza e nei territorio dove vivono i dirigenti di quella organizzazione AP, che ancora oggi si può chiamare OLP. Nulla è cambiato dalla morte di Arafat, o forse, si, qualcosa è cambiato. Ora si mandano al massacro i bambini.
(Sicilia Oggi Notizie, 22 settembre 2016)
L'Hapoel non va oltre il pareggio in Coppa di Israele
La squadra rivale dell'Inter in Europa League, dopo l'ottimo trionfo al Meazza, si ferma sul 2-2 contro il Maccabi Haifa.
L'Hapoel Beer Sheva, squadra avversaria dell'Inter in Europa League, pareggia 2-2 in casa del Maccabi Haifa nell'andata dei quarti di finale della Coppa israeliana. Di Kohrut e Gordana le reti degli eurorivali dei nerazzurri che a San Siro si sono imposti 2-0 nella prima giornata del girone di Europa League.
(fcinter1908.it, 22 settembre 2016)
Mannheimer, il dolore senza rancore
La Shoah nel diario che il sopravvissuto ha scritto per la figlia: quando l'orrore diviene troppo, l'autore dispensa un grammo di fiducia residua nell'umanità.
di Paolo Giordano
Ho letto Una speranza ostinata, il diario della prigionia di Max Mannheimer, il giorno dopo avere visitato Auschwitz. Sebbene il flusso massiccio e costante di turisti abbia sinistramente «normalizzato» l'impatto con il campo di concentramento, e per quanti libri, film e documentari ci abbiano preparato alla mostruosità del luogo, la veduta di Birkenau risulta ancora spiazzante. Per la vastità. Per l'organizzazione gelida degli spazi e delle procedure, che le guide illustrano con una compassata neutralità. Il campo come una possente macchina industriale (percorsi ottimizzati, quarantena, smaltimento dei corpi, riciclo di tutta la materia, organica e non): il sito archeologico che più di ogni altro al mondo testimonia quanto lucida possa essere la devianza dell'essere umano.
Ritrovo la geografia identica di Auschwitz nelle memorie di Mannheimer. La vista recente della campagna polacca sezionata dal filo spinato amplifica l'impressione delle pagine, e viceversa. Mannheimer redige una cronaca asciutta eppure partecipata della propria odissea dentro la Shoah. Un viaggio spettrale attraverso alcuni dei luoghi più emblematici dell'Olocausto: da Neutitschein a Ungarisch-Brod a Theresienstadt; poi a bordo dei convogli fino ad Auschwitz-Birkenau; quindi Auschwitz I, le macerie del ghetto di Varsavia, la marcia della morte fino a Dachau, e ancora più a ovest per sfuggire alle truppe degli alleati. Ma quello di Mannheimer è un viaggio dove la sofferenza non pesa mai al punto di schiacciarti, di farti distogliere gli occhi. Anzi, proprio come anticipa il titolo, esiste nel libro «una speranza ostinata». Mannheimer riesce a dosare il dolore che ha patito, conscio del fatto che esso è pressoché insostenibile per noi «altri». E quando l'orrore diviene troppo dispensa un grammo di fiducia residua nell'umanità, sotto forma di un'immagine luminosa, come quella della donna che non rinuncia a «imbellettarsi» mentre l'automobile che potrebbe salvarle la vita è in attesa fuori.
La sveltezza e la grazia del testo, scritto negli anni Sessanta ma tradotto solo adesso in italiano (e pubblicato da Add Editore), sono probabilmente una conseguenza della sua genesi particolare. Nel dicembre 1964 Mannheimer viene ricoverato in un ospedale per un intervento alla mascella. Il referto istologico gli viene consegnato in ritardo e lui si convince di essere prossimo alla fine. Freneticamente butta giù il diario della propria giovinezza e della prigionia per consegnarlo in tempo alla figlia Eva, alla quale non ha mai avuto la forza di raccontare. In questo senso, Una speranza ostinata è il doppio speculare di un altro ricordo della Shoah apparso di recente: E tu non sei tornato (Bollati Boringhieri), la lettera commovente che Marceline Loridan-Ivens ha indirizzato al padre perso nello stesso campo di concentramento. Sono gli ultimi dispacci da un mondo, quello dei sopravvissuti, che è in procinto di scomparire. Un nuovo passaggio cruciale della Shoah: l'inizio del tempo infinito senza testimoni diretti, un tempo insidioso nel quale l'atto di tramandare diverrà sempre più faticoso.
Abbiamo a disposizione una letteratura impareggiabile sullo sterminio Se questo è un uomo sopra tutti, Il diario di Anne Frank e Necropoli, solo per citarne alcuni ovvi , alla quale Una speranza ostinata di Mannheimer va ad aggiungersi. Con una serie di caratteristiche specifiche che rendono tuttavia il libro particolarmente degno di attenzione: il fatto di essere breve (un centinaio di pagine appena), di essere scritto in una lingua tersa e semplice che non ostacola mai l'accesso al contenuto e, non ultimo, di apparire in un'edizione curata minuziosamente, dalla prefazione di Paolo Rumiz, alle mappe, alle note esplicative che danno poco per scontato. Questo testo rappresenta così un'occasione nuova e preziosa soprattutto per gli insegnanti delle scuole medie, inferiori e superiori. Nel restituire una vicenda personale toccante, nel mostrare come l'Europa sia scivolata lungo «un piano inclinato» dentro l'Olocausto, fornisce non soltanto un dizionario minimo dell'abominio nazista (che cosa significa Gestapo, «notte dei cristalli», Kapo e Untermensch), ma anche un dizionario minimo di cultura ebraica (il Bar Mitzvah, la kippah, la cucina kosher). Senza il possesso di entrambi è difatti impensabile che i ragazzi si avvicinino oggi a un intervallo buio di storia che a molti di loro appare remoto e surreale.
Forse incalzato dal tempo che credeva mancargli, oppure per cautela verso i sentimenti della figlia, Max Mannheimer riesce a parlare del male supremo senza rancore né tormento. Didatticamente. Nondimeno, il suo diario ci lascia addosso la stessa inquietudine di ogni scritto sulla Shoah, la stessa che ci si porta via dopo avere visitato ciò che resta di Auschwitz, e proprio quella che è essenziale trasmettere a ogni allievo di ogni scuola. Paolo Rumiz la descrive così: la sensazione «che tutto questo in assenza di vigilanza riguardi tutti noi e sia di conseguenza destinato a ripetersi».
(Corriere della Sera, 22 settembre 2016)
«Caravaggio» punta su Israele
Il nuovo treno per il trasporto regionale progettato da Hitachi Rail Italy guarda anche ai mercati internazionali. In Italia nuovi ordini potrebbero arrivare da Veneto, Toscana, Lazio e Campania. Il ceo Manfellotto: siamo già al lavoro con una squadra di oltre 300 persone per realizzare un altro simbolo del made in Italy.
di Marco Morino
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Il nuovo treno «Caravaggio»
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BERLINO - Caravaggio, il nuovo treno di Hitachi Real Italy (ex Ansaldo Breda) per il trasporto regionale italiano ordinato da Trenitalia, guarda anche all'estero. Il primo Paese in lista è Israele, che a breve lancerà una gara per l'acquisto di nuovi treni e Hitachi sarà della partita. «L'ambizione - dice Maurizio Manfellotto, Ceo di Hrial telefono dalla Germania con Il Sole 24 Ore - è portare Caravaggio anche in altri Paesi, europei ed extra europei. Questo treno è stato pensato e progettato con criteri di flessibilità per adattarlo alle esigenze di una pluralità di committenti».Buone notizie, in prospettiva, per gli stabilimenti italiani di Hri - Pistoia, Napoli e Reggio Calabria - che dalla maxi-fornitura a Trenitalia (300 treni, per un valore complessivo di 2,6 miliardi) ricaveranno nuova linfa per i prossimi anni.
Manfellotto è a Berlino dove partecipa a Inno trans, la più importante fiera al mondo nel settore ferroviario. E Caravaggio, che fa bella mostra di sé nello stand Hitachi con un modello in scala 1:45, costituisce un elemento di forte curiosità tra i visitatori . «Tra 32 mesi - spiega Manfellotto - ci sarà l'omologazione del nuovo treno e tra due anni porteremo quello vero qui a Innotrans». È noto che i primi 39 Caravaggio saranno destinati all'Emilia Romagna. «Mano e mano che Trenitalia rinnoverà i contratti di servizio con le varie regioni - spiega Manfellotto - scatteranno le nuove commesse. Al momento le regioni più vicine all'accordo con le Fs sono Veneto, Toscana, Lazio e Campania». Manfellotto rivendica con forza l'italianità del progetto Caravaggio. «Siamo gli unici costruttori di treni - ribadisce il Ceo di Hri - a garantire un prodotto interamente made in Italy. Siamo già al lavoro con una squadra di oltre 300 persone per realizzare quello che, dopo il nostro Frecciarossa 1000, diventerà un altro simbolo del made in Italy ferroviario». «Questa nuova aggiudicazione conferma l'elevato livello qualitativo di Hitachi - aggiunge Alistair Dormer, Global Ceo di Hitachi Rail.anche lui a Berlino con Manfellotto - e sono orgoglioso della squadra italiana. Caravaggio diventerà un'icona del trasporto regionale». L'auspicio è che questo nuovo treno, che potrà raggiungere una velocità di 160 Km/h, porti alla creazione di nuovi posti di lavoro. Osserva Manfellotto: «Assunzioni negli stabilimenti italiani? Quando un'azienda cresce l'obiettivo è dotarsi di risorse. Il mio sogno è di aumentare le risorse». In generale, Hitachi Rail Italy.come tutti i costruttori, è attentissima alle opportunità che si aprono in tutto il mondo, non solo per i treni ma anche per le metropolitane e i tram. Al momento le aree di maggior interesse per l'azienda sono gli Stati Uniti, il Medio Oriente e il Sud Est asiatico.
Intanto ieri, sempre a Innotrans, ferrovie italiane (Fs) e ferrovie argentine hanno stretto un accordo di collaborazione. Di particolare interesse per le Ferrovie dello Stato italiane, si legge in una nota delle Fs, lo sviluppo infrastrutturale della rete ferroviaria argentina e il contributo alla realizzazione di un corridoio bi-oceanico che permetterebbe di collegare la rete ferroviaria argentina a
quella cilena.
(Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2016)
Renzi a braccetto con Rouhani all'Onu e l'Iran prepara il missile anti-Israele
Mentre il premier Renzi incontrava all'Onu il leader iraniano Rouhani, l'Iran presentava un nuovo missile per distruggere Israele.
di Daniele Capezzone
Poco più di ventiquattr'ore fa, a margine dell'Assemblea Generale dell'Onu, Matteo Renzi ha ancora una volta incontrato il leader iraniano Rouhani. Le agenzie iraniane riferiscono (i virgolettati sono avvilenti per l'Italia) di un Renzi che "enthusiastically" si dice pronto ad "any action" per stringere i rapporti tra Roma e Teheran. Neanche un cenno a democrazia, libertà, diritti umani, contrasto al terrore.
Nelle stesse ore, in Iran (poca fortuna per Renzi
), veniva presentato un nuovo missile, e, nella comunicazione, una inequivocabile scritta ribadiva il progetto di distruzione dello Stato di Israele.
La misura è colma. Il Governo italiano dichiara amicizia per Israele, ma poi civetta con chi vuole distruggere Gerusalemme. Dichiara preoccupazione per il terrorismo, ma poi stringe legami con il Paese tuttora considerato dal Dipartimento di Stato Usa il principale Stato-sponsor del terrore. Parla di diritti umani, ma poi non si fa problemi a camminare fianco a fianco con il Paese campione mondiale della pena di morte, della segregazione delle donne, della persecuzione degli omosessuali, della negazione dei diritti di oppositori e dissidenti.
Nei giorni scorsi, ho presentato un'interrogazione (attendo risposta) ai Ministri degli Esteri e della Difesa sulla cooperazione politica e militare tra Roma e Teheran.
Ieri, alla Camera, è stato reso noto il testo della lettera aperta che l'ambasciatore Giulio Terzi, io stesso, e i senatori Roberto Calderoli, Luigi Compagna e Lucio Malan, abbiamo deciso di inviare al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri.
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente del Consiglio,
Signor Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale,
la preoccupante conflittualità che colpisce in misura crescente una regione vitale per la sicurezza e gli interessi nazionali dell'Italia, e le diverse forme di terrorismo e di Jihadismo sia di matrice sunnita che sciita, pongono l'Iran al centro di un quadro estremamente complesso che si auspicava potesse evolvere positivamente dopo l'entrata in vigore dell'accordo nucleare "JCPOA - Joint Comprehensive Plan of Action".
In tale prospettiva il Governo italiano sta intensificando ad ogni livello i rapporti con Teheran, dando forte impulso alle iniziative economiche nel mercato iraniano. Purtroppo la conclusione del JCPOA non ha modificato in alcun modo, contrariamente alle aspettative di molti governi, l'atteggiamento dell'Iran sulle questioni più rilevanti per la stabilità regionale e la sicurezza occidentale. Per diversi aspetti, si è invece manifestata una crescente aggressività degli interventi iraniani, radicalizzando anche attraverso il ruolo di attori "proxy" di Teheran i conflitti in Siria, Iraq, Yemen,in chiave di preminenza sciita.
La propaganda antisemita, gli appelli alla distruzione dello Stato di Israele, le provocazioni nei confronti dei valori occidentali sono proseguite aimassimi livelli nella Repubblica Islamica dell'Iran. Il sostegno a organizzazioni terroristiche appare così evidente da indurre il Dipartimento di Stato americano a inserire ancora l'Iran, nonostante gli sforzi di Washington nel voler considerare l'Iran partner affidabile, tra i principali Paesi sponsor del terrorismo internazionale. La corretta attuazione da parte iraniana dell'accordo nucleare viene rimessa in discussione dai numerosi test missilistici che l'Iran continua a effettuare nonostante siano vietati da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Per quanto riguarda le inadempienze iraniane degli impegni assunti con la ratifica di convenzioni e trattati riguardanti i Diritti Umani, la situazione nel paese si è ulteriormente aggravata durante la Presidenza Rouhani. I più recenti rapporti del Segretario Generale delle Nazioni Unite certificano la gravità delle violazioni iraniane. In rapporto alla popolazione, si tratta del Paese con il più alto numero assoluto di esecuzioni capitali, incluse quelle di minori e di oppositori politici. Molto sanguinaria è stata sin dagli anni '80 la repressione degli oppositori politici, con numerose uccisioni perpetrate ancora negli ultimi anni In Iran, in Iraq e in altri Paesi.
Siamo estremamente preoccupati dalla totale assenza di considerazione di questi dati così rilevanti e negativi nei comportamenti iraniani che emerge nelle posizioni espresse nelle iniziative promosse dal Governo italiano. Per altro risulta che, rappresentanti della Marina Militare italiana hanno effettuato una visita di cinque giorni in Iran avviando un rapporto di dialogo e collaborazione in campo militare da cui è seguito l'annuncio, da parte degli organi di stampa iraniani, di un invito rivolto ad alcune unità navali di Teheran a raggiungere le acque italiane. È doveroso per parte nostra un richiamo all'inopportunità di proseguire su questa strada. Ne soffrono la credibilità del nostro Paese e il suo ruolo nel sostenere nel mondo i diritti umani e le libertà fondamentali. Per di più, le iniziative imprenditoriali incoraggiate dal Governo presentano elementi di rischio che non sembrano neppur marginalmente considerati dalle istanze pubbliche, a livello centrale, regionale e locale; uno scenario davvero preoccupante che richiede un attenzione particolare su ulteriori delicate questioni quali:
- il controllo di ampi settori dell'economia iraniana da parte del "Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica", annoverata nelle liste internazionali delle organizzazioni terroristiche. Operazioni commerciali "inconsapevoli", possono esporre le aziende che vogliano intraprendere rapporti commerciali con l'Iran, ad un complesso mosaico di misure e norme sanzionatorie, nonché compromettere le opportunità di profitti in altri Paesi della regione, che sono minacciati dalle attività di aggressione e destabilizzazione dei Pasdaran;
- l'intero settore finanziario iraniano si presenta ancora con un altissimo rischio di riciclaggio finanziario. Il FATF, ovvero il Financial Action Task Force, che si incarica di combattere il riciclo di denaro e il finanziamento al terrorismo internazionale, ha recentemente lanciato l'allarme sul mancato intervento dello Stato iraniano contro il rischio di finanziamento alle attività terroristiche, e sulla seria minaccia che questo rappresenta per l'integrità del sistema finanziario internazionale. Questa circostanza può accrescere per le aziende, il rischio di pesanti penalizzazioni finanziarie;
- l'insieme di queste criticità che vanno a comporre lo scenario iraniano, rappresentano un ulteriore fattore di rischio per gli investitori in termini di reputazione aziendale. In un panorama globale, dove viene prestata sempre più attenzione alla componente "sociale" nel settore economico, condurre affari in un paese che viene considerato da autorevoli osservatori internazionali "campione" nelle esecuzioni capitali (di cui un gran numero condotte pubblicamente); dove il ruolo della donna nella società è pressoché nullo; dove viene perpetrata una repressione sistematica verso gli appartenenti all'universo LGBT; dove i diritti civili e lo stato di diritto vengono sistematicamente violati,rappresenta sicuramente un grosso ostacolo nelle relazioni economiche internazionali.
Il ruolo da protagonista che il nostro Paese ha sempre svolto nell'Unione Europea, in seno alle Nazioni Unite e in tutti i consessi internazionali per una politica estera e di sicurezza che promuova il rispetto dei Diritti Umani, la stabilità e la pace, il contrasto all'antisemitismo e alla radicalizzazione fondamentalista, richiedono un profondo e urgente riesame dell'impostazione complessiva della politica estera dell'Italia nei confronti dell'Iran. Nell'anticipare che promuoveremo iniziative parlamentari e in seno alla società civile per accrescere il livello di consapevolezza delle criticità sopra esposte, teniamo a sottolineare la necessità di una pronta considerazione di quanto precede dalle istanze di Governo.
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(Affaritaliani.it, 22 settembre 2016)
Tel Aviv - La biblioteca all'aperto che aiuta l'integrazione e i rifugiati
Garden Library, a Tel Aviv, è una biblioteca-centro culturale unica al mondo. In un quartiere difficile della città israeliana, grazie a decine di volontari, aiuta l'integrazione dei rifugiati di tutte le età: "La cultura e l'istruzione sono diritti umani fondamentali e possono contribuire ad avvicinare culture diverse"
Quando i libri mettono in contatto culture apparentemente lontane tra loro. Accade, non a caso, in una terra storicamente contesa, Israele. E precisamente nella Garden Library di Tel Aviv, una biblioteca-centro culturale unica al mondo, che nell'attuale difficile contesto globale deve rappresentare un esempio positivo da replicare in altre città.
Siamo nel parco Levinsky, e in questo luogo speciale non solo sono a disposizione libri per lettori di tutte le età, ma si organizzano anche momenti di condivisione, e progetti destinati a rifugiati e richiedenti asilo.
Un centinaio i volontari, mentre i volumi a disposizione, in 16 lingue, sono circa 3.500. Questa biblioteca a cielo aperto, fondata nel 2009 da Arteam in collaborazione con Mesila, si basa su una convinzione: la cultura e l'istruzione sono diritti umani fondamentali e possono contribuire ad avvicinare culture diverse.
Garden Library ha sede nella zona Sud della città, nel quartiere Neveh Sha'anan, un'area particolarmente a rischio. In questa zona non mancano i profughi africani e i richiedenti asilo, nonostante la politica molto dura del governo israeliano.
(il Libraio, 22 settembre 2016)
In nome di Allah assalta l'ambasciata israeliana
Armato di coltello fermato dalla polizia. È un folle ma era stato schedato come antisemita
di Fiamma Nirenstein
Tentativo di attacco terrorista all'ambasciata di Israele ad Ankara: purtroppo non c'è niente di strano che un islamista urli «Allah Akbar» e cerchi di accoltellare qualcuno presso quella ambasciata; e nemmeno che esso venga qualificato subito da rappresentanti dei due Paesi interessati come «una persona mentalmente instabile». È il politically correct mondiale, ed è logico che sia nel linguaggio diplomatico quando la cosa accade nella capitale di un paese che negli ultimi anni ha fatto dell'attacco furioso e scriteriato contro Israele una delle sue principali carte d'identità, e che solo da poche settimane ha deciso, con un nuovo accordo fra i due Paesi, di ristabilire rapporti diplomatici e linguaggio decente. Ma l'attentato è invece tipicamente un attentato terrorista da «lupo solitario», non solo, fa anche parte di quegli attentati che esprimono le convulsioni cui è soggetta La Turchia di Erdogan, continuamente assediata da bombe stragìste.
L'attentatore che è stato fermato alla polizia turca si chiamam Omar Nuri Calìskan, ha 41 anni; non ha nesso, a prima vista, con nessun gruppo islamista e con atteggiamento tipico, ha urlato «cambierò il Medio Oriente». È riuscito a raggiungere il perimetro esterno dell'ambasciata, e le forze dell'ordine hanno ben reagito fermandolo con un colpo alle gambe. È l'alto stato di allarme dopo l'ondata di attacchi da parte dell'Isis e, come ripete Erdogan, dei Curdi. Già l'ambasciata britannica era stata chiusa venerdì scorso e quella tedesca ha offerto solo servizi limitati.
La Turchia, che cerca di lanciare da ogni parte segnali di ritorno alla normalità dopo il lungo scontro con Israele e anche con la Russia, è tuttavia in una posizione sia geografica, col suo confine con la Siria da cui ha facilitato l'ingresso dei foreign fighters per troppo tempo, sia politica, data la stretta autoritaria di Erdogan e il suo ingresso nella guerra antiribelli a fianco dei suoi peggiori nemici, Assad, e dei suoi infidi amici sciiti iraniani e hezbollah (mentre Erdogan è un riconosciuto leader della Fratellanza Musulmana). I curdi restano i suoi peggiori nemici, e certo il rischio dei loro attentati è sempre presente. Ma la Turchia per il terrorismo islamista è uno dei tanti campi da gioco più attraenti quando si pronuncia il nome «Israele»: le orecchie turche in questi anni sono state bersagliate dalla radio, dalla tv, dai discorsi ufficiali, con furibondi attacchi antisraeliani, Hamas è uno dei migliori amici di Erdogan. Quindi, se anche Caliskan non ha nessun rapporto con organizzazioni terroriste e Internet è stato il suo leader e il suo maestro, pure ancora una volta come nel caso degli attentati di questi giorni in Israele, dieci in quattro giorni, l'incitamento ambientale è un fattore essenziale nella spinta a uccidere. Kaliskan era già schedato per aver manifestato pubblicamente feroci sentimenti antisraeliani: sì, può diventare una fissazione, una mania omicida, succede in molti casi, e si chiama antisemitismo.
(il Giornale, 22 settembre 2016)
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Parashà della settimana: Ki Tavò (Quando sarai entrato)
Deuteronomio 26:1-29:8
- "Quando giungerai nel paese che il Signore tuo D-o ti da in possesso
prenderai le primizie dei frutti della terra
..le porrai in un cesto
.e ti presenterai al sacerdote" (Deuteronomio 26.1).
L'agricoltore ebreo ogni anno si reca al Santuario in Gerusalemme portando le "primizie" del suo raccolto per ringraziare il Signore e in ricordo della liberazione dalla schiavitù d'Egitto dove non possedeva alcuna terra.
Le primizie del grano, del mosto, dell'olio e le primizie della tosatura del gregge, che vanno consacrate a D-o, hanno lo scopo di sviluppare nell'uomo il sentimento di generosità, diminuendo in lui l'istinto di proprietà.
La Torah mette l'accento su questo punto per ricordare all'uomo le difficoltà e le prove che egli ha dovuto affrontare per raggiungere il benessere e ringraziare D-o che è la fonte della sua forza e della sua ricchezza.
I prodotti agricoli sono soggetti al prelievo delle decime. "Le darai al Levita, al forestiero, all'orfano e alla vedova" (Deuteronomio 26.12).
Inoltre l'agricoltore "ammette" difronte al sacerdote di non aver dato nulla dei suoi prodotti al culto dei morti, come era consuetudine presso le popolazioni pagane che offrivano nutrimento ai defunti per il loro viaggio verso l'oltretomba.
La nostra parashà inizia con le primizie che rappresentano il massimo della gioia materiale e spirituale terminando con le maledizioni in tutto 98. Quale legame può esserci? I nostri maestri (cazal) spiegano che i comandamenti (mitzvot) vanno fatti con "gioia". Quando questo non accade significa che la Torah è qualcosa di esteriore all'uomo, di non sentito e di non vissuto, che interrompe la vicinanza con D-o, aprendo la strada alle maledizioni.
Ebal e Garizim
Sono due colline situate vicino alla città di Shechem nel territorio della Samaria, dove è conservata ancora oggi la tomba di Giuseppe.
Ebal è una collina fatta di roccia simbolo della desolazione e della morte, mentre Garizim è una collina tutta fiorita simbolo della vita. E' l'uomo che deve scegliere, tra il dogma e la libertà. Le tribù d'Israele al termine delle loro peregrinazioni nel deserto del Sinài, divise in due gruppi, prendono posizioni sulle due colline, mentre l'arca dell'Alleanza è rimasta nella valle custodita dai Leviti.
"Moshè, i sacerdoti parlarono al popolo dicendo: "Fai silenzio ed ascolta Israele. Oggi sei diventato un popolo consacrato al Signore tuo D-o" (Deuteronomio 27.9).
Di quale giorno si tratta? Rashì spiega che si riferisce al giorno in cui Israele è entrato nell'alleanza con D-o. "Oggi" sta a significare nel momento in cui Israele ha accettato il Patto cioè sempre. Allontanarsi da questa alleanza diventa per il popolo ebraico una grave colpa foriera di numerose calamità.
La nostra parashà è difficile e sconvolgente. Durante la sua lettura, secondo la tradizione, vengono chiuse le porte delle sinagoghe per impedire "simbolicamente" alle maledizioni di uscire e raggiungere il popolo.
Tra quelle presenti nel testo riportiamo la seguente: "Maledetto sia colui che umilia il padre e la madre. E tutto il popolo dirà amen!"
Rashì spiega che l'umiliazione consiste nel disprezzo dei genitori di cui bisogna avere rispetto e considerazione anche se costoro hanno un comportamento indegno.
Quanto scritto in questa parashà è stato tragicamente sperimentato ai nostri giorni dal popolo ebraico che era in esilio tra le Nazioni del mondo. Espressione per espressione seguiamo il dramma dell'ebreo consegnato al carnefice, per essersi allontanato dall'osservanza della Parola di D-o.
"I tuoi figli e le tue figlie saranno dati ad un altro popolo, sotto lo sguardo dei tuoi stessi occhi" (Deuteronomio 28.32). "D-o ha creato il male" (Isaia 54.7) ma è l'uomo che per sua libera scelta lo renderà esistente.
Il divieto di idolatria
"Non dovrai deviare da tutte le parole che I-o oggi ti comando né a destra né a sinistra, seguendo altri Dei per servirli" (Deuteronomio 26.14).
L'insegnamento di cui parla la Torah non è solo il culto grossolano delle immagini, ma qualcosa di più sottile. E' sufficiente difatti deviare sia a destra che a sinistra dal retto cammino, che di certo si inizia a percorrere la strada dell'idolatria. Nel momento in cui l'uomo si allontana dalla "rettitudine" voluta dalla parola di D-o, egli potenzialmente diventa un idolatra. Cosa significa tutto questo?
Nella tradizione ebraica la destra e la sinistra corrispondono rispettivamente al cuore e al cervello cioè al sentimento e all'intelletto. Il cuore è il simbolo dell'amore mentre il cervello il simbolo del rigore. Un giudaismo freddo e rigoroso che non lasci spazio al cuore e un giudaismo senza studio e riflessione sono ambedue fonte di idolatria. Il punto di equilibrio tra questi due aspetti (destra e sinistra) è rappresentato dal giudaismo autentico che ha la testa in cielo e i piedi per terra. E' il giudaismo predicato dai profeti. F.C.
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- Nelle pianure di Moab, di fronte al Giordano, Mosè annuncia al popolo che il Signore sta per consegnargli il dono che aveva promesso secoli prima ai padri. Qual è il dono? No, il dono non è la Torah, perché non è questo che Dio aveva promesso ad Abramo: il dono è la terra.
«L'Eterno apparve ad Abramo e disse: "Io darò questo paese alla tua progenie"» (Genesi 12:7);
«E l'Eterno disse ad Abramo: "Alza ora i tuoi occhi e mira dal luogo dove sei a nord a sud; a est e a ovest. Tutto il paese che vedi, io lo darò a te e alla tua progenie, per sempre"» (Genesi 13:15);
«E a te e alla tua progenie dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò loro Dio» (Genesi 17:9).
La terra è il dono che Dio aveva promesso ad Abramo, e questo è confermato dalla preghiera di ringraziamento che il popolo avrebbe dovuto elevare al Signore subito dopo aver ricevuto il dono promesso. La preghiera terminava con queste parole:
«Volgi a noi lo sguardo dalla dimora della tua santità, dal cielo, e benedici il tuo popolo d'Israele e la terra che ci hai dato, come giurasti ai nostri padri, terra ove scorre il latte e il miele» (Deuteronomio 26:15).
Se la terra è il dono, la Torah è il contratto con cui Dio impegna il popolo a fare di questo dono un uso pienamente conforme alla sua volontà; con la clausola che, ove così non fosse, Dio si riserva l'autorità di scaraventare il popolo fuori dai confini del paese per tutto il tempo che riterrà opportuno.
Mosè l'aveva capito, e anche i sacerdoti levitici l'avevano capito, tanto che insieme rivolgono a tutto il popolo un'accorata raccomandazione:
«Fa' silenzio e ascolta, o Israele! Oggi sei divenuto il popolo dell'Eterno, il tuo Dio. Ubbidirai quindi alla voce dell'Eterno, il tuo Dio, e metterai in pratica i suoi comandamenti e le sue leggi che oggi ti prescrivo» (Deuteronomio 27:9-10).
Benedizioni e maledizioni
In questi capitoli sono pochi "i comandamenti e le leggi" che si aggiungono a quelli già noti; poche sono anche, ma grandiose, le benedizioni promesse in caso di fedeltà all'Eterno; molte invece, e devastanti, sono le maledizioni minacciate in caso di infedeltà. Colpisce innanzitutto la nettezza della contrapposizione tra benedizioni e maledizioni.
Se ubbidisci alla mia voce - promette il Signore a Israele - «il tuo Dio ti renderà eccelso sopra tutte le nazioni della terra» (Deuteronomio 28:1); «l'Eterno ti metterà alla testa e non alla coda, e sarai sempre in alto e mai in basso» (Deuteronomio 28:13); e ci sarà pienezza di benedizioni di ogni tipo, in città e in campagna, in pace e in guerra.
Se però non ubbidisci - avverte il Signore - sono guai seri. E qui comincia una sfilza terrificante di maledizioni, tre volte più numerose delle benedizioni, che si conclude con una prospettiva spaventosa : "E l'Eterno vi farà tornare in Egitto... E là sarete venduti come schiavi e come schiave, e mancherà il compratore" (Deuteronomio 28:68).
La nettezza della contrapposizione può sorprendere gli umanisti, ma non chi è abituato allo stile biblico. Messo di fronte alla Parola di Dio, l'uomo ha due sole possibilità di risposta: "Sì" o "No". E le conseguenze di risposte diverse sono lontane fra loro come l'alto dei cieli è lontano dal profondo degli abissi. Tutto il racconto biblico, dalla Genesi all'Apocalisse si svolge all'interno di questo paradigma di irriducibile contrasto.
Necessità di un cuore nuovo
La sovrabbondanza delle maledizioni rispetto alle benedizioni trova una spiegazione nel fatto che Dio sapeva in anticipo quale sarebbe stata la risposta del popolo: "No". Questo si vedrà bene nei prossimi capitoli, ma già qui si può trovare una parola chiarificatrice che per certi versi è sorprendente. Nei primi versetti del capitolo 29, Mosè in sostanza dice al popolo: voi avete visto quello che Dio ha fatto al faraone e agli egiziani; avete visto i prodigi e i segni grandiosi con cui siete stati liberati, ma - aggiunge - "fino a questo giorno l'Eterno non v'ha dato un cuore per comprendere, né occhi per vedere, né orecchi per udire" (Deuteronomio 29:4). Qualcuno qui tirerà fuori le obiezioni che si fanno quando nella Bibbia si legge che "l'Eterno indurì il cuore del faraone" (Esodo 9:12), ma a questo si può rispondere con le parole del profeta Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie, dice l'Eterno» (Isaia 55:8). Il lieto fine della storia di Israele non si trova all'interno di questo patto, ma si avrà soltanto quando Dio giudicherà che sia arrivato il momento di dare al popolo "un cuore per comprendere". Secoli dopo questo sarà annunciato - solo annunciato - dai profeti che parleranno durante e dopo la catastrofe della prima distruzione del Tempio: "Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne" (Ezechiele 36:26).
Un problematico patto
"Queste sono le parole del patto che l'Eterno comandò a Mosè di stabilire con i figli d'Israele nel paese di Moab, oltre al patto che aveva stabilito con loro a Oreb" (Deuteronomio 28:69). E' un versetto che ha dato del filo da torcere ai commentatori. Nelle Bibbie ebraiche è l'ultimo versetto del capitolo 28, mentre in alcune traduzioni "cristiane" è il primo del capitolo 29. La seconda scelta probabilmente è preferita da chi ritiene che l'espressione "Queste sono le parole" si riferisca a ciò che segue e non a ciò che precede, come usualmente s'intende.
Ma il fatto più interessante è che qui si parla di un altro patto, distinto da quello che Dio aveva stabilito con Israele al Sinai. Che patto è? E' davvero un altro patto? o è lo stesso indicato in modo diverso? Le risposte sono varie, e nessuna di queste si è imposta sulle altre in modo decisivo. Questo consente di aggiungerne un'altra, che naturalmente in questa sede non si può argomentare; cosa che tuttavia si potrebbe fare, con molta pazienza e molta determinazione a resistere alle prevedibili obiezioni.
In forma estremamente sintetica, la tesi è questa:
Il patto che il Signore "aveva stabilito con loro a Oreb" è la prima versione del patto del Sinai, quella scritta su tavole di pietra scolpite da Dio stesso e che Mosè ha rotto scendendo dal monte. Questo patto è stato violato in modo irreversibile, come irreversibile è stata l'infrazione del patto di Dio con Adamo. La seconda versione del patto del Sinai, quella scritta su pietre scolpite da Mosè, non è un "rinnovo" della prima, ma la formulazione di un patto temporaneo di emergenza per evitare l'annientamento del popolo preannunciato da Dio a Mosè, in vista di una vera riparazione del rapporto fra Dio e Israele. Riparazione che il Signore stesso avrebbe operata stabilendo "un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda" (Geremia 31:31). (*)(*) Argomentazioni a sostegno di questa posizione si possono trovare in una serie di studi su
"Il patto del Sinai".
Mosè qui ricorda al popolo che gli ordini da lui trasmessi devono essere osservati perché fanno parte del patto di emergenza con cui il popolo si è impegnato a fare un uso degno della terra ricevuta in dono, ma ricorda anche che questo patto non coincide con quello che il Signore in origine "aveva stabilito con loro a Oreb". M.C.
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(Notizie su Israele, 22 settembre 2016)
Veneto - Il presidente Zaia incontra il nuovo ambasciatore d'Israele in Italia
Il presidente della Regione Luca Zaia si è incontrato oggi a Palazzo Balbi a Venezia con il nuovo ambasciatore d'Israele in Italia, Ofer Sachs.
Nel corse del cordialissimo colloquio sono state affrontate approfonditamente diverse tematiche di reciproco interesse. Tra l'altro, quand'era ministro dell'agricoltura Zaia aveva già conosciuto Sachs che allora era a Bruxelles per curare i rapporti nel settore primario tra Israele e Unione europea.
Riferendosi al suo nuovo incarico, l'ambasciatore ha auspicato il rafforzamento della collaborazione per avvicinare sempre di più il popolo israeliano e quello italiano.
Da parte sua Zaia ha avuto parole di forte apprezzamento per le idee chiare che l'ambasciatore ha sui rapporti da tenere anche con il Veneto. A questo proposito è stata espressa reciproca disponibilità a tessere ulteriori e proficue relazioni da portare avanti, prospettando l'avvio di attività di conoscenza e di scambio, soprattutto per valorizzare ancora di più dal punto di vista economico e del business le imprese venete in questa particolare fase congiunturale.
Il presidente Zaia non ha mancato di ricordare l'amicizia del Veneto nei confronti della comunità ebraica presente nel territorio regionale.
(Regioni.it, 21 settembre 2016)
Tel Aviv la Città bianca - Micha Gross all'Università di Lugano
di Aymone Poletti
Domenica 18 settembre 2016 si è tenuta, all'Auditorio dell'Università della Svizzera italiana a Lugano, la conferenza «Tel Aviv - La Città bianca, 1930-1939 - Patrimonio culturale mondiale dell'Unesco».
Dopo l'introduzione dell'Architetta Jacqueline Chimchila Chevili, il numeroso pubblico presente (tra il quale anche diverse autorità, per citarne alcune, l'On. Sindaco Marco Borradori, l'On Roberto Badaracco e l'On. Cristina Zanini-Barzaghi nonché il nuovo rettore dell'Università della Svizzera italiana, il Prof. Boas Erez) ha potuto ascoltare un relatore d'eccezione, il Direttore del Centro Bauhaus di Tel-Aviv, Dr. Micha Gross, che ha così tenuto la conferenza, promossa dall'Associazione Svizzera-Israele.
Tel Aviv, la collina della primavera, è nata sulle dune di sabbia desertiche, lungo le coste del Mediterraneo ed è una delle città più giovani al mondo: fondata nel 1909 da immigrati ebrei, ai limiti dell'antico porto di Jaffa, la storia di Tel Aviv affonda le sue radici a Jaffa stessa, e il suo sviluppo è stato il risultato dei rapporti tra le due città.
In poco più di un secolo ha conosciuto diverse grandi esplosioni demografiche e fenomeni di immigrazione: tra il 1917 e il 1921, un altro agli albori della Seconda Guerra Mondiale e dopo la fondazione dello stato di Israele nel 1948. Conta oggi oltre 420'000 abitanti.
"Ha'ir Halevana", la Città Bianca. O meglio, Tel Aviv dai molti volti architettonici e dalle sfaccettature multiculturali dove, però, un vero e proprio "unicum" risulta essere costituito dalla Città Bianca, The White City, riconosciuta come patrimonio dell'Unesco nel 2003, quale "sorprendente esempio dell'urbanistica e architettura di una nuova città del primo XX secolo".
Si tratta di un quartiere che comprendeva 4.000 edifici costruiti negli anni 20, 30 e 40 e gli stabili, progettati dai migliori architetti della città, presentano quello stile "Bauhaus" che si prefiggeva l'obiettivo di creare un nuovo, semplice linguaggio architettonico basato sulla chiarezza e l'essenzialità delle forme al fine d'incontrare i bisogni quotidiani della gente. Non tutte le costruzioni sono sopravvissute ai moti storici, ma, la "Città Bianca", con le sue 1000 costruzioni tutt'ora esistenti è il più grande museo a cielo aperto di stile Bauhaus del mondo.
Perché la "Città Bianca"? A partire dalla sua prima apparizione in una novella del 1915, "The Riddle of the Land", di Aharon Kabak, il tema della "White City" accompagna la costruzione e la crescita di Tel Aviv.
Tel Aviv, invece, è il titolo della prima traduzione (1904) a cura di Nahoum Sokolov della novella utopistica Altneuland (1902) di Theodor Herzl. La decisione di dare alla città lo stesso nome del libro venne adottata nel 1910, quasi un anno dopo la sua istituzione ufficiale sotto il titolo Ahuzat Bait.
Ma ritorniamo al principio
Riprendendo il pensiero dell'Architetto Mario Botta, "il Bauhaus di Tel Aviv è un momento di grande importanza per la cultura architettonica. I pensieri, le speranze per la realizzazione di uno spazio di vita per l'uomo hanno trovato, nella fondazione di Tel Aviv stessa, una verifica della costruzione di una città in grado di rispondere alle sollecitazioni proprie della cultura del XX secolo".
La parola chiave è dunque "Bauhaus". Descrivere il Bauhaus in poche righe sarebbe riduttivo, perché il Bauhaus non era solo un'esperienza didattica ma un vero modo di vivere e di essere.
Il Bauhaus, il cui nome completo era Staatliches Bauhaus, fu una scuola di architettura, arte e design della Germania che operò nella giovane Repubblica di Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e, infine a Berlino dal 1932 al 1933. Il termine Bauhaus fu ideato dal suo fondatore, l'architetto Walter Gropius e giocava con il termine medievale Bauhütte che indicava la loggia dei muratori, rendendo il nome corporativo moderno e contemporaneo.
Erede delle avanguardie anteguerra, fu sì una scuola, ma rappresentò anche il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d'innovazione nel campo del design e dell'architettura legati al razionalismo e al funzionalismo, facenti parte del cosiddetto movimento moderno. I suoi insegnanti, appartenenti a diverse nazionalità, furono figure di primo piano della cultura europea e l'esperienza didattica della scuola influirà profondamente sull'insegnamento artistico e tecnico fino ad oggi. La scuola interruppe le sue attività con l'avvento del nazismo. Il Bauhaus è stato un momento cruciale nel dibattito novecentesco del rapporto tra tecnologia e cultura.
Walter Gropius, si proponeva di unire arte e tecnologia tenendo conto sia dell'aspetto estetico sia di quello scientifico, ponendo attenzione alla produzione industriale su vasta scala e gettando le basi per i concetti di estetica che oggi troviamo in molti oggetti di uso comune che coniugano la bellezza della forma con la praticità quotidiana e la riproducibilità. Nonostante Gropius fosse lui stesso un architetto, l'idea di
un movimento architettonico Bauhaus non nacque immediatamente ma fu inevitabile, data la visione degli
aderenti volta alla creazione di forme d'arte "totale" nelle quali tutte le arti e le tecnologie sarebbero state riunite.
La sua didattica prevedeva un insegnamento interdisciplinare e sperimentale. Un laboratorio a 360 gradi che permetteva agli studenti una grande manualità e flessibilità espressiva. Grandi insegnanti-artisti si occuparono di questi laboratori, tanto per citarne alcuni, da Itten, Klee, Feininger, a Albers, Breuer, Kandinsky e Moholy-Nagy. E moltissime personalità parteciparono alla storia del Bauhaus, fra i quali anche l'Archistar Ludwig Mies van der Rohe, che diresse la scuola a partire dal 1930 e diede molta importanza all'architettura, facendone l'insegnamento cardine dell'istituto.
Non da dimenticare inoltre (fatto non trascurabile per l'epoca), che la scuola era aperta a entrambi i sessi e aveva forti aspirazioni progressiste, anche se la reale parità ebbe inizialmente difficoltà ad essere applicata nella pratica. Si ricordi, per esempio, la mitica Marianne Brandt: i laboratori del metallo le diedero la possibilità concreta di apprendere le competenze che l'avrebbero fatta diventare una dei designer industriali più innovativi della Germania degli anni '30.
Nel contesto della costruzione ed espansione di Tel Aviv gli architetti del movimento Bauhaus si trovarono di fronte ad opportunità e sfide uniche. Opportunità, perchè era possibile costruire ex novo in un ambiente pressochè "vergine" e con il supporto di un piano regolatore moderno (ad opera del geografo e
biologo scozzese Sir Patrick Geddes) basato sul concetto della "città-giardino" ideato da Sir Ebenezer Howard: questo approccio allo stesso tempo tecnico ed umanistico completava la visione artistico-tecnologica propria del Bauhaus.
Come già scritto, ci furono diversi movimenti migratori che influirono sullo sviluppo urbano di Tel Aviv.
Nel primo boom di immigrazione, l'euforia portò ad un primo momento di assenza di un vero rigore progettuale da parte dei coloni, attraverso uno stile eclettico che cercava la sua strada tra un'espressione più orientale della città e un'idea di realizzazione del nuovo a tutti i costi.
Data di questo periodo il concetto di città giardino che ha decretato il successo di Tel Aviv.
Fondata sul modello inglese delle città-giardino, nel 1925 Tel Aviv aveva già 25 mila abitanti. Fu in quegli anni, che il movimento bianco iniziò a prendere forma.
Durante il secondo boom di immigrazione, nello specifico nel 1933, si verificarono due eventi che influenzarono fortemente la crescita della città. Il primo fu l'arrivo al potere di Adolf Hitler in Germania e l'avvento del nazionalsocialismo che spinse, infatti, molti Ebrei alla fuga verso la Terra Promessa. Contemporaneamente ci fu la chiusura della scuola Bauhaus ad opera dei nazisti che spinse gli architetti
ebrei che vi avevano studiato e lavorato a trasferirsi a loro volta. La necessità di costruire edifici
residenziali di grandi dimensioni diede a questi ultimi la possibilità di mettere a frutto quanto appreso e sviluppato fino ad allora.
È dunque nel secondo boom di immigrazione degli anni'30 che si viene a creare la base per questo nuovo stile Bauhaus, rivisitato in chiave di Tel Aviv e detto anche più propriamente "Stile Internazionale." Uno stile epurato e funzionalista.
Questo stile architettonico non si basa in realtà solo sullo stile Bauhaus, bensì si fonda su quattro pilastri di ispirazione:
- La scuola del Bauhaus. Si parla principalmente del Bauhaus dimenticando le altre fonti. In realtà sono pochi gli architetti che hanno costruito a Tel Aviv che hanno effettivamente fatto i loro studi nel Bauhaus. L'architetto Arieh Sharon (da non confondere con l'ex primo ministro israeliano Ariel Sharon), è uno fra quelli ed è il più noto.
- Il pensiero progettuale dell'Architetto Erich Mendelsohn. Anche se non ha effettivamente e attivamente costruito a Tel Aviv, è dal suo pensiero (per esempio i balconi arrotondati) che i giovani architetti si sono ispirati.
- Le idee dell'Architetto Le corbusier: ci sono numerosi assistenti che hanno imparato il mestiere nel suo studio a Parigi e, in seguito, hanno portato le idee in Palestina. Un dettaglio architettonico su tutti: i caratteristici pilotis (pilastri).
- Il pensiero delle Scuole d'Architettura belghe: l'emblematica piazza circolare Zina Dizengoff, è stata ideata, per esempio, da una donna, Genia Averbuch che fece i suoi studi a Bruxelles e a Gand negli anni 20.
In poche parole, dopo gli studi in Europa agli inizi degli anni Trenta, molti architetti erano convinti che l'architettura potesse avere un impatto sull'ordine sociale. I principi del Movimento Moderno - semplicità e minimalismo - corrispondevano del resto molto bene alle necessità della comunità israeliana e alla giovane città che stava crescendo.
Dalle forme della Città-Giardino sino alle innovative costruzioni di questa nuova generazione di architetti, la città è dunque diventata un vero e proprio laboratorio e museo all'aperto del Movimento Moderno architettonico.
Le sfide erano date dalla particolare situazione geografica e climatica di Tel Aviv: a causa della fortissima insolazione, le grandi finestre immaginate da Le Corbusier (per fare un esempio) non erano assolutamente pratiche e dovevano essere sostituite da un numero più grande di finestre più piccole. La scelta del bianco non era solo un fatto funzionale (riflettendo gran parte della luce funziona come un semplice sistema di termoregolazione) ma anche estetico (la luce del sole getta ombre molto nitide che contrastano con il bianco degli edifici). Il verde era una componente essenziale del Bauhaus israeliano, che doveva però fare i conti con la flora locale, e il vento che soffia dal mare venne sfruttato come sistema naturale di raffreddamento grazie ai pilotis che permettevano all'aria di passare sotto ai palazzi dove spesso si trovavano piccole aree verdi che fungevano sia da spazio giochi per i bambini sia da luogo di ritrovo quando la temperatura all'interno degli appartamenti diventava comunque troppo alta.
Razionali, quasi spoglie, le costruzioni della città storica si inseriscono nel piano urbanistico di Sir Patrick Geddes. Un piano teso a fare di Tel Aviv una città-giardino, dove facilitare gli scambi di vita comunitaria, secondo quegli ideali sociali che avrebbero caratterizzato lo spirito di un intero popolo.
Il gran numero di piccoli parchi tra un palazzo e l'altro e i piccoli bar sorti per intrattenere gli abitanti nelle ore serali hanno conferito molto presto a Tel Aviv un concetto di "movida" moderno che continua tutt'ora; non a caso la città è considerata, al pari di New York, la "città che non dorme mai".
Così uno stile architettonico concepito nell'Europa settentrionale è stato reinventato e rielaborato per una città mediterranea. Palazzi abitativi, cinematografi, teatri ed altri edifici pubblici sono stati realizzati unendo stili e concetti di varia provenienza facendo di Tel Aviv un laboratorio ideale per queste idee rivoluzionarie.
Settant'anni dopo, una passeggiata a piedi nel cuore della Città Bianca è un piacevole tuffo nel passato. Tra i capolavori dello stile Bauhaus di Tel Aviv vengono sempre citati il Cinema Hotel di Dizengoff Square e la Soskin House in Lilienblum street, ma il cuore architettonico resta il quadrilatero compreso tra Rothschild Boulevard e Shenkin Street ( per esempio con la Rubinsky House).
Nessun edificio si ripete in un gioco di volumi, curve sinuose e spazi lineari: gli edifici squadrati presentano una bellezza austera che deriva dal gioco delle simmetrie estremamente varie e dall'uso dell'intonaco bianco, che rafforza la bellezza dei blocchi sotto il sole, rivelando una "città bianca" unica e complessa, che sempre più rappresenta un'architettura avanguardista, pura e libera da decorazioni.
Oggi questo patrimonio architettonico è meta di visite organizzate, e la sua conservazione è affidata al Centro Bauhaus di Tel Aviv, del quale, appunto il Dr. Micha Gross è direttore.
(TICINOlive, 21 settembre 2016)
Feste ebraiche, allerta sinagoghe europee
Maariv: il 70 per cento dei fedeli hanno timori
Nell'imminenza del Capodanno ebraico (che iniziera' il 2 ottobre) un'atmosfera di apprensione si e' diffusa fra i responsabili delle sinagoghe in Europa, secondo quanto scrivono il Jerusalem Post e il Maariv. Citano fra l'altro un'indagine condotta dall'Unione della comunita' ebraiche in Europa secondo cui il 70 per cento dei fedeli ammettono di provare un certo timore ad andare in sinagoga: sia per recenti episodi di antisemitismo sia - spiegano i giornali - per il rischio di attentati.
Maariv ha appreso che in una sinagoga di Cracovia (Polonia) per la prima volta saranno adottate misure di sicurezza, nel timore di attacchi antisemiti. Anche in Francia, aggiunge il giornale, serpeggia l'inquietudine: da un lato - scrive Maariv - le autorita' fanno il possibile per garantire la sicurezza degli ebrei, ma dall'altro dispongono di risorse limitate.
(ANSAmed, 21 settembre 2016)
«Spadolini, grande uomo e grande direttore, amico di Israele»
L'evento dedicato al leader repubblicano, col ricordo del direttore di Qn-Il Resto del Carlino Andrea Cangini
di Federico Di Bisceglie
«Noi di Attiva Ferrara, attraverso questo evento vogliamo rilanciare il germe della cultura laica che Giovanni Spadolini ci ha lasciato e farlo rivivere nel presente». Queste sono state le parole di apertura della presidente dell'associazione culturale Attiva Ferrara, cervelli in movimento, Marcella Pacchioli, all'evento che si è svolto ieri pomeriggio al Circolo dei Negozianti di Ferrara, organizzato in collaborazione con "Il Resto del Carlino" e con il patrocinio della Comunità Ebraica ferrarese.
«Grazie a questo ricordo del grande repubblicano - prosegue - ricorderemo in tutte le sue sfumature la figura di Spadolini, grazie all'intervento dei relatori, che ne porteranno viva testimonianza e che contribuiranno a fornirne un quadro il più completo possibile». I relatori infatti erano numerosi, e provenienti dai più diversi ambiti, che spaziavano dal mondo della politica, dal mondo del giornalismo e della storia, per finire poi con un rappresentante del mondo israelitico, al quale Giovanni Spadolini fu particolarmente legato. Il primo relatore che ha preso parola è stato Marcello Sacerdoti, in rappresentanza della comunità ebraica ferrarese, il quale ha fermamente sostenuto che «c'era un filo diretto tra Israele e Spadolini. Questo legame traspariva dai suoi articoli come giornalista e dalle sue azioni come uomo politico e uomo di cultura». Con una punta di commozione e orgoglio l'avvocato ribadisce «la comunità ricorderà per sempre il Senatore come un grande amico di Israele e difensore dei suoi principi».
Il moderatore dell'evento Cristiano Bendin, responsabile della redazione ferrarese del Carlino, ha passato poi il microfono a Cosimo Ceccuti, presidente della fondazione Giovanni Spadolini-Nuova Antologia, facendo una considerazione dalla quale il professore ha preso spunto per il suo successivo intervento: «Spadolini è stato un italiano, che ha fatto l'Italia». Infatti il presidente Ceccuti ha affermato che «il laicismo di Spadolini ha permeato tutta la sua attività, da uomo delle istituzioni, a grande direttore di giornale per più di dieci anni». E continua «La sua era una sorta di religione della ragione, con un bagaglio culturale enorme che attingeva da autori francesi come Voltaire fino al grande patrimonio repubblicano e liberale proveniente dalla sua formazione mazziniana». «Fu molto precoce come giornalista e come scrittore - ricorda il direttore di QN-Il Resto del Carlino, Andrea Cangini - e portò in auge il giornale che diresse molto abilmente riuscendo a raddoppiare il numero di copie vendute sotto la sua direzione, facendone un grande quotidiano e non svendendolo mai». Cangini ha ricordato anche l'attenzione di Spadolini alle tematiche inerenti la politica e la sua grande fede nell'Europa, riconoscendone però la grande abilità nel soddisfare i bisogni della gente a livello giornalistico, inserendo come terza pagina del quotidiano una notizia sportiva, che dava l'annuncio dello scudetto conquistato dalla squadra del Bologna il 7 giugno 1964.
«Il legame del Senatore con Israele era tanto forte quanto autentico, e ciò è testimoniato dal fatto che Spadolini è il solo italiano, dopo il cardinal Martini, ad aver conseguito la laurea honoris causa presso l'università di Gerusalemme - dice Vittorio Robiati Bendhaudn, coordinatore del tribunale rabbinico del Nord Italia, che continua -, la sua prima azione come ministro dei beni Culturali fu andare in Israele». Il ricordo commosso del console onorario della Colombia Gianni Lusena, che ricorda Spadolini come «Il professore laico», unitamente ai saluti portati dalla presidente dell'associazione A.N.D.E (associazione nazionale, donne elettrici) Fiorenza Zabini, che ha dato lettura del comunicato inviato dall'attuale ministro ai beni culturali Dario Franceschini e all'intervento di chiusura della preside di Attiva Ferra, con i saluti dell'onorevole La Malfa, hanno chiuso l'evento, beneficiando di uno scroscio di applausi di un pubblico tanto folto quanto soddisfatto.
(il Resto del Carlino, 21 settembre 2016)
Netanyahu: il paese si aspetta il sostegno del mondo nella sua lotta contro il terrorismo
GERUSALEMME - Il primo ministro d'Israele, Benjamin Netanyahu, ha anticipato ieri che durante il suo discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite chiederà uno standard internazionale per la conduzione della guerra contro il terrorismo. "L'intera comunità internazionale afferma che il terrorismo va combattuto con determinazione: e perciò si deve sostenere la lotta senza compromessi di Israele contro il terrore", ha dichiarato Netanyahu ai giornalisti prima di partire per New York. Alla vigilia del discorso di Barak Obama all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, e un giorno prima del suo incontro con il primo ministro Netanyahu, 88 senatori repubblicani e democratici hanno inviato una lettera al presidente degli Stati Uniti chiedendogli di porre il veto a qualsiasi "risoluzione unilaterale" portata davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sino al termine del suo mandato alla Casa Bianca, il prossimo gennaio. La lettera è stata sponsorizzata dalla lobby pro-israeliana Aipac. I due primi firmatari dell'iniziativa sono Michael Rounds, un repubblicano del South Dakota, e il senatore di New York Kristen Gillibrand, democratico. Il timore di Tel Aviv e dell'Aipac è che Obama possa provare a forzare una risoluzione del Consiglio di sicurezza sul conflitto israelo-palestinese prima della conclusione del suo mandato.
(Agenzia Nova, 21 settembre 2016)
Memoriale della Shoah: la fuga degli ebrei a Shangai in 60 fotografie
Un racconto di eccezionale valore storico raccontato attraverso fotografie e documenti: la Cina, e la fuga di migliaia di ebrei durante l'epoca nazista nella città di Shangai.
di Federica D'Alfonso
Dal 18 settembre fino al 15 dicembre 2016 a Milano viene raccontata una storia importante, ma perlopiù sconosciuta. Quella dei migliaia di ebrei fuggiti, durante le persecuzioni naziste, in Cina, a Shangai. Il Memoriale della Shoah ha scelto di indagare così, collaborando con gli Istituti Confucio dell'Università Cattolica e dell'Università degli Studi di Milano e lo Shanghai Jewish Refugees Museum, attraverso foto, documenti e testimonianze, una parte ancora in ombra della storia mondiale.
Tutto il materiale presente è stato per la prima volta in assoluto tradotto in italiano: nel nostro Paese, la fuga degli ebrei dall'Europa a Shangai è fenomeno quasi sconosciuto, tralasciato dai libri di storia impegnati a raccontare gli altri accadimenti di quegli anni. Ma in realtà, dietro questo viaggio, molte vite e molte storie sono nascoste: storie che s'intrecciano inevitabilmente col destino del mondo e che vanno, per questo, tutelate e raccontate. In Cina, negli anni della seconda guerra mondiale, arrivarono circa 18 mila ebrei, che vissero dapprima in amicizia col popolo cinese, poi confinati del famoso ghetto, creato in seguito all'invasione giapponese.
Una storia sconosciuta
Il percorso espositivo, composto perlopiù da materiale fotografico e documentario, racconta, in una prima parte, il contesto storico che ha portato all'esodo di 18 mila ebrei europei verso l'Estremo Oriente, a metà degli anni Trenta: a seguito delle leggi razziali e dell'Anschluss, l'annessione dell'Austria alla Germania, molti ebrei soprattutto austriaci intrapresero il viaggio per il misterioso oriente, in cerca di salvezza.
Il Console generale della Cina a Vienna, il dottor Ho Feng Shan, giocò un ruolo decisivo in questo fenomeno storico: si schierò contro l'antisemitismo, concedendo numerosi visti agli ebrei e offrendo loro una via di fuga verso l'estremo oriente. Feng Shan potrebbe essere pensato come una sorta di "Schindler cinese", e in effetti egli è stato in seguito insignita del titolo di "Giusto tra le Nazioni". La mostra racconterà anche la sua storia.
Una seconda fase dell'esodo, raccontata sempre nei documenti in mostra, è quella relativa agli anni Quaranta, quando gran parte dei rifugiati iniziarono a spostarsi in Italia per imbarcarsi su navi da crociera, mentre altri fuggirono nei Paesi dell'Europa Settentrionale e partirono dai porti sull'Atlantico. A seguito della dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia e alla Gran Bretagna, nel 1941, le rotte verso la Cina si chiusero, e il bombardamento giapponese di Pearl Harbour diede il via alla guerra del Pacifico
e a un'altra Storia.
In una seconda parte, la mostra racconta la vita dei rifugiati in Cina, il loro inserimento nel Paese e le esperienze quotidiane a contatto con la città di Shangai. Un periodo inizialmente sereno, quello prima del '42, in cui gli ebrei avviarono proprie attività commerciali fino a creare una "Piccola Vienna" nel distretto di Hongkou a Shanghai, terminato bruscamente con l'invasione giapponese della Cina e nuove, diverse, persecuzioni. I Giapponesi proclamarono l'istituzione di un ghetto nell'area di Tilanqiao, nel distretto di Hongkou, e obbligarono tutti i rifugiati Ebrei a stabilirvisi. La mostra indaga anche in questo caso la quotidianità di una realtà storica sconosciuta, ma importantissima per una Memoria vera, autentica.
(fanpage.it, 21 settembre 2016)
L'Ansa, Israele e Hezbollah
di Dimitri Buffa
Un ormai ex freelance dell'Ansa sta mettendo in serio imbarazzo da oltre una settimana tanto la redazione esteri quanto il capo dei corrispondenti in Israele, Massimo Lomonaco. Pietra dello scandalo un articolo del sito internet di uno dei maggiori quotidiani israeliani (ripreso in Italia da una puntuale cronaca di Riccardo Ghezzi sul sito "Linformale"), che ha svelato le strane vicissitudini di questo collaboratore, Michele Monni, che ha anche un blog su "L'Espresso" e una pagina Facebook che tradisce la sua militanza pro "poveri palestinesi". Monni è stato accusato in pratica di aver lavorato per gli hezbollah per la realizzazione di un documentario agiografico celebrativo dei dieci anni dall'ultima guerra in Libano.
Il tutto presentandosi ai personaggi intervistati come collaboratore dell'Ansa non certo di Al-Manar, la tivù di Nasrallah. Una specie di nuovo caso Riccardo Cristiano in sedicesimo, se vogliamo, ma che ha avuto la capacità di far chiudere le bocche a tutti i diretti interessati della redazione esteri a Roma e dell'ufficio di corrispondenza in Israele che si trincerano dietro frasi come "cose interne dell'Ansa", "questioni di privacy", "devo chiedere l'autorizzazione al direttore". Neanche si trattasse di alti ufficiali dei carabinieri. Il tutto con buona pace della trasparenza e del diritto-dovere di chi scrive un articolo di sentire tutte le parti in causa. Anche lo stesso Michele Monni, sollecitato con ben tre messaggi al suo profilo di Facebook, non ha sentito l'esigenza di dire la sua a chi scrive. E così non resta che raccontare la storiaccia come la ha riportata ynetnews in questo link
In pratica Monni è stato accusato dall'esercito israeliano di aver utilizzato una serie di interviste, tra cui quelle all'ex ministro della Difesa Amir Peretz, alla parlamentare Tzipi Livni, al parlamentare Eyal Ben-Reuven e al militare Tomer Weinberg (uno che era rimasto gravemente ferito mentre era in servizio di pattuglia assieme ai soldati israeliani rapiti e poi uccisi Eldad Regev e Ehud Goldwasser), per un documentario celebrativo degli Hezbollah dopo avere detto a ognuno degli intervistati di essere un collaboratore dell'Ansa. Che lo ha immediatamente allontanato dall'incarico anche se adesso non vuole commentare l'accaduto. Sembra, ma all'Ansa negano sia pure genericamente, che ci sia anche stata una lettera di scuse inviata dalla direzione dell'agenzia di stampa all'ambasciata israeliana di Roma. Che però ha rimandato chi scrive direttamente all'Ansa.
Un brutto pasticcio diplomatico determinato dalla disinvoltura di un giornalista non molto obiettivo verso le ragioni di Israele? L'Ansa la cosa vorrebbe chiuderla così. Prima che si trasformi in un nuovo caso Riccardo Cristiano, il giornalista della Rai che l'11 ottobre del 2000, quando vennero linciati a Ramallah due soldati israeliani che avevano avuto l'unico torto di sbagliare strada, e dopo che le reti Mediaset trasmisero il cruento filmato che fece il giro del mondo, sentì il bisogno di scrivere una lettera ufficiale al più importante quotidiano palestinese per spiegare che le immagini e la loro diffusione non erano responsabilità della Rai. Forse lo fece per salvare la pelle o magari per tenersi buone delle fonti. Ma allora vennero giù gli altarini sull'obiettività di come i corrispondenti della televisione pubblica coprivano per prassi le notizie relative al conflitto israelo-palestinese.
(L'Opinione, 21 settembre 2016)
Cittadinanza onoraria a Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti all'orrore di Auschwitz
L'iniziativa, che non ha precedenti in Umbria, fa capo ad Emanuela Boccio, consigliera delegata alle pari opportunità del Comune di Corciano:"Testimone instancabile della Shoah" e capace di "trovare la forza di raccontarne l'orrore.
E' ufficiale. Al primo punto all'ordine del giorno del Consiglio Comunale di Corciano convocato per il 26 settembre, c'è la concessione della cittadinanza onoraria a Piero Terracina. A 24 ore dalla nomina, il 27 settembre, uno degli ultimi sopravvissuti alla Shoah incontrerà di nuovo nel pomeriggio gli studenti delle scuole, dopo avere effettuato una visita nel Borgo di Solomeo, come espressamente richiesto perché affascinato tanto dalla "fabbrica del cashmere" che dallo spirito del suo fondatore, Brunello Cucinelli.
L'iniziativa, che non ha precedenti in Umbria, fa capo ad Emanuela Boccio, consigliera delegata alle pari opportunità, firmataria di uno specifico Odg , che l'Assemblea legislativa ha votato nella seduta di giovedì 30 giugno.
"Ho fatto tutto quello che era necessario perché ciò accadesse e ora che il momento è arrivato, non nego di essere emozionata - sottolinea Boccio - le lezioni di vita, di tolleranza, di pace di cui Piero Terracina ci ha voluto onorare meritano un riconoscimento alto perché i valori che egli ha voluto trasmettere a tutti coloro che lo hanno ascoltato e in particolare ai ragazzi, sono i principi fondanti a cui l'umanità dovrebbe fare rifermento per convivere pacificamente e superare le differenze religiose, razziali, etniche, sociali, eliminando ogni pregiudizio che ci impedisca di guardare all'altro come a un essere umano, come a un fratello".
Alla base del documento votato il 30 giugno scorso, la riflessione che Piero Terracina "testimone instancabile della Shoah" e capace di "trovare la forza di raccontarne l'orrore, in tutta Italia ed in Europa" ha scelto come interlocutori privilegiati i ragazzi, "che rappresentano il futuro della nostra città e del mondo intero".
Nelle visite effettuate a Corciano nell'arco di 2 anni, in occasione della Giornata della Memoria, colui che rappresenta uno degli ultimi sopravvissuti al campo di sterminio ancora in vita, dice la consigliera "ci ha fatto dono dei suoi insegnamenti, instaurando un profondo legame di stima e di solidarietà con i ragazzi delle scuole e con il territorio comunale, regalandoci un'opportunità di crescita morale, civile, storica e umana".
D'altra parte, che quest'uomo mite, addolorato, ma affatto vinto abbia lasciato un segno nella comunità corcianese, è testimoniato dal libro "Dopo il buio la luce", ideato e realizzato dall'Istituto Benedetto Bonfigli (con il supporto dell'Amministrazione comunale). Edito da Morlacchi Editore, corredato da un Dvd e presentato di recente, raccoglie e cristallizza, a beneficio delle future generazioni, le emozioni, le riflessioni, i disegni e gli interventi musicali scaturiti dall'incontro del 1 febbraio scorso.
"L'esercizio della memoria che lui ci trasmette - aggiunge ancora Boccio - è inteso, alla Primo Levi, come esperienza collettiva, come lezione della storia, pratica costante, testarda, martellante; perché ciò che non si esercita si indebolisce, fino poi a perdersi. Terracina è una persona che di certo, in chiunque lo abbia ascoltato, ha enormemente rinvigorito la memoria e i valori che porta con sé".
"Corciano continuerà anche in futuro a esercitare la memoria . conclude - perché le Istituzioni come l'Amministrazione Comunale e la Scuola, nel nostro caso, hanno, tra le altre, la grande responsabilità di formare le nuove generazioni e di educare i ragazzi a quei valori di giustizia, rispetto, tolleranza, fratellanza, solidarietà umana che costituiscono gli antidoti alle varie forme di orrore che anche oggi stiamo vivendo".
(Perugia Today, 21 settembre 2016)
Attacco all'ambasciata israeliana ad Ankara
"Il personale è al sicuro. L'aggressore è stato ferito prima che raggiungesse l'ambasciata" si legge nella nota del ministero degli esteri israeliano Tweet 21 settembre 2016. Una persona è stata uccisa in un attacco con armi da fuoco contro l'ambasciata israeliana nella capitale turca Ankara. Lo riferiscono le tv turche Haber Turk e Ntv. Questa seconda emittente spiega che gli spari sono stati avvertiti dopo che due persone hanno cercato di introdursi all'interno dell'ambasciata. Il ministero degli Esteri israeliano ha confermato che una guardia locale dell'ambaasciata di Israele ad Ankara ha sparato e ferito un assalitore che cercava di fare irruzione nella sede diplomatica. "Il personale è al sicuro. L'aggressore è stato ferito prima che raggiungesse l'ambasciata - si legge nella nota del ministero - L'aggressore è stato colpito e ferito da una guardia di sicurezza locale".
(RaiNews, 21 settembre 2016)
I cibi ebraici certificati via web
All'esame dell'Assemblea rabbinica italiana i contenuti da diffondere via internet. Un sito e un'app per spiegare la kasherut nel made in ltaly.
di Caterina Cerri
I consumatori dei prodotti certificati kosher avranno a disposizione un utile strumento per verificare la provenienza nonché la conformità di cibi e bevande alle regole della kasherut. Il progetto «Kosher Italian Guide» è stato promosso dal ministero dello sviluppo economico, in collaborazione con Federalimentare, Federbio, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Centro Islamico Culturale d'Italia nell'ambito del programma di «Promozione delle certificazioni agroalimentari del made in Italy», ideato da Fiere di Parma spa e presentato all'ultima manifestazione del Cibus di Parma tenutasi il 9-12 maggio 2016. Attualmente è stato predisposto il sito internet di riferimento; a breve dovrebbe essere disponibile, una volta incassato il via libera dell'Assemblea rabbinica italiana, assieme alla prima app scaricabile gratuitamente, dalle piattaforme iTunes e Google Play.
La pagina web kosheritalianguide.com riporta l'analisi di più di 5.000 cibi e bevande di oltre 350 aziende italiane del settore agroalimentare al fine di individuare i prodotti certificati kosher «made in Italy» indicando altresì se essi siano consumabili durante la Pasqua ebraica e se contengono latte o carne; ne risulta dunque una banca dati di facilissima consultazione sulle informazioni più specifiche dei prodotti kosher. Anche l'Italia dunque sta iniziando a cogliere le grandi potenzialità del mercato kosher, un business già da molto tempo percepito in altri paesi, soprattutto negli Usa dove si calcola che un prodotto certificato kosher, a parità di prezzo, venda il 40% in più rispetto al medesimo esemplare non certificato; si pensi, inoltre, che nel mondo i consumatori di cibo kosher sono circa 35 milioni, ma il dato più interessante è che solo una parte di essi è spinta da motivi religiosi. In pratica, sempre più non ebrei acquistano prodotti kosher: una scelta dettata dalla sicurezza che tale certificazione garantisce, grazie a controlli molto rigorosi su tutta la filiera produttiva.
Di fatto il cibo kosher, che significa conforme, rispetta i rigidi dettami ricavati dalla Bibbia e dai Testi Sacri i cui divieti e precetti trovano origine nel contesto storico e geografico in cui essi sono stati posti. E che sono principalmente legati a motivi di igiene; essendo il Medio Oriente, terra natìa del popolo ebraico, un luogo caratterizzato da climi molto caldi, la kasherut è concentrata soprattutto sulla carne a partire dal metodo stesso di macellazione.
I prodotti certificati garantiscono anche la totale assenza di additivi e altri composti o sostanze chimiche, con cui i cibi potrebbero venire a contatto durante la produzione. Il progetto è rivolto anche ai fruitori di cibo halal, in attesa di un'app a loro dedicata; questo perché la normativa ebraica sul cibo è la più restrittiva e la quasi totalità delle norme islamiche sono ricomprese dalla kasherut; infine sarà utile a vegani o vegetariani per sapere in quali cibi sono assenti carne e latte (mescolanza vietata dalla kasherut).
(ItaliaOggi, 21 settembre 2016)
Dalle scuole ai giocattoli, così la Svezia combatte la "guerra del gender"
Asili in cui il sesso dei bimbi è abolito, pubblicità e videogiochi "senza genere", film sotto sorveglianza ideologica. L'inferno dell'uguaglianza si trova sulle rive del Baltico. Così la Svezia edifica una mostruosa società di bimbi "gender free".
di Giulio Meotti
ROMA - Negli anni Settanta, il più noto psichiatra svedese, Hans Lohman, descrisse il suo paese come una "terribile società", a causa di una sorta di "freddo" in cui il conformismo diventa necessità in "una società che odia l'infanzia". Lohman rimase ovviamente inascoltato. E la Svezia sarebbe assurta alle cronache come "la società di maggior successo che il mondo abbia mai conosciuto" (copyright The Guardian). Una società benigna, ammirevole, razionalista, industrializzata, basata sul consenso, sulla compassione onnicomprensiva, splendente, il faro dello stato sociale e dei cittadini privilegiati sistemati tranquillamente in una civiltà areligiosa, il "campione mondiale del benessere", il laboratorio della giustizia e della fiduciosa evoluzione, la confortevole contrada, la "via di mezzo" ammirata da François Hollande e Barack Obama. Come non invidiare un sistema imperniato sulla difesa dei più deboli e sulla correzione delle ingiustizie del destino, oltre che sulla radicale trasformazione dell'idea di famiglia? Se ci si chiede: "Cos'è importante in Svezia?". La risposta è catechistica: "Come si risolve il problema sociale". E' un modello di solerzia didattica. Una sorta di grande compagnia d'assicurazione dove il razionalismo sessuale è spinto all'integralismo, dove la parità dei sessi è assoluta, anche nell'iniziativa amorosa, e l'uso della pillola si impara a scuola. Quando questa rivoluzione prese il via, fuono pensati anche residence con servizi integrati per la comunità e non per la singola cellula-famiglia, in modo "da liberare la donna dall'obbligo del ruolo materno". Sulle rive del Baltico, l'adulterio cessò di essere una colpa e la gelosia venne addirittura considerata un sentimento riprovevole. La chiamarono "malattia nera". Ma questo grande anonimato culturale svedese, un sistema che cerca di modellare e uniformare, ha un volto oscuro che nell'ultimo mese ha mostrato i suoi artigli: l'inferno dell'autonomia. "L'Arabia Saudita del femminismo", come l'ha definita Julian Assange. Alla fine del 1980, il governo socialdemocratico di Ingvar Carlsson presentò un disegno di legge "per la parità di genere assoluta", con l'obiettivo di femminilizzare la metà dei membri dei consigli di amministrazione. Allora la percentuale era solo del 28 per cento, ma era già un record mondiale. Nei giorni scorsi, per la prima volta nella storia, in Svezia la percentuale di donne nei consigli di amministrazione di enti governativi è stata del 51 per cento. La Svezia ora si appresta a lanciare una nuova agenzia governativa dedicata a realizzare una "società basata sull'uguaglianza di genere". E per raggiungere questo obiettivo, Stoccolma ha dichiarato la "Könskriget", la guerra di genere. Si cominciò un anno fa dal linguaggio. Tre lettere, "hen": alternativa al pronome maschile "han" (lui) e femminile "hon" (lei). Così l'Accademia svedese decise di inserire il termine nel dizionario per indicare coloro che non si sentono né maschi né femmine. Alcuni giorni fa, il servizio pubblico televisivo svedese Svt, l'equivalente svedese di Bbc o Pbs, ha annunciato che varerà programmi per bambini che promuovano "un buon equilibrio tra i sessi", e ha quindi deciso di cambiare il sesso di diversi beniamini dei bambini. Così Jett, il protagonista di "Super Wings", ha scoperto il suo lato femminile nella versione svedese. E Ted, il camion di "Trucktown", in Svezia si è femminilizzato in Linn. Le case editrici svedesi, come la Olika, stanno sfornando intanto fiabe e libri "gender free". Come "Joanna l'inventore", una ragazza curiosa che ama inventare cose da maschi, o "I vestiti di Konrad", che parla di un ragazzo che ama indossare abiti femminili e giocare con le ragazze.
In Svezia, per promuovere la "guerra del gender", sono stati creati pure asili, come "Egalia", in cui i bambini non hanno sesso, in cui maschi e femmine sono chiamati con il pronome "hen", in cui anche i giochi devono essere considerati neutri e vicino a una cucina in miniatura ci sono pistole o aeroplani e le bambole "dormono" accanto ai robot e i bambini sono liberi di scegliere con cosa giocare. Il progetto ha avuto inizio nel 1998, quando un emendamento alla legge sull'istruzione della Svezia prevedeva che tutte le scuole dovessero "lavorare contro gli stereotipi di genere". Di conseguenza, Lotta Rajalin, a capo di cinque scuole dell'infanzia statali per i bambini di età compresa tra uno e sei anni, nell'ultimo anno ha introdotto politiche di genere neutre nei suoi asili. Dai giocattoli, come automobili e bambole, agli spogliatoi, tutto è mescolato, per favorire "una maggiore interazione tra i ragazzi e le ragazze". Alle superiori, tutte le ragazzine svedesi di sedici anni ricevono una copia del libro "Dobbiamo essere tutte femministe" di Chimamanda Ngozi Adichie, pubblicato con il finanziamento della lobby femminista.
La guerra al gender è entrata anche nelle sale cinematografiche. I cinema in Svezia hanno introdotto un nuovo rating per evidenziare "pregiudizi di genere", o meglio l'assenza di esso. Per ottenere la tripla A, un film deve passare il cosiddetto "Test Bechdel", il che significa che deve sottostare ad alcune regole: almeno due donne tra gli attori principali; che le due parlino tra loro; che gli argomenti di cui discutono siano diversi da considerazioni sul proprio compagno o che abbiano a che fare solo col sesso maschile. "L'intera trilogia del Signore degli Anelli, tutti i film di 'Star Wars', 'The Social Network', 'Pulp Fiction' e 'Harry Potter' non superano questa prova", ha detto Ellen Tejle, il direttore di Bio Rio, un cinema d'essai nel quartiere Si:idermalm di Stoccolma e uno dei quattro cinema che hanno per primi lanciato il nuovo rating. Lo Swedish Film Institute, finanziato dal generosissimo welfare svedese, sostiene l'iniziativa, che sta cominciando a prendere piede.
La guerra alla differenza investe anche le Forze armate svedesi, che si sono viste sommergere le caserme di un "manuale di genere". Ma l'utopia a trasformarsi in distopia ci mette poco. Così sempre più giovani svedesi sono confusi con il loro "genere" e cercano assistenza sanitaria. La psichiatra infantile Louise Frisén, dell'Ospedale Astrid Lindgren per i Bambini, ha visto un incremento annuo del cento per cento nei bambini e negli adolescenti che non sono sicuri del loro genere e alla ricerca di assistenza medica.
Di recente, la Svezia ha imposto pure i "giocattoli neutri". Toytop, la multinazionale che detiene la Toys "R" Us svedese, era stata tacciata di "discriminazione di genere" e invitata a cambiare strategia. Per questo, nei nuovi cataloghi ci sono bambini che allattano bambolotti e bambine che sparano, bimbi e bimbe che giocano assieme con le batterie da cucina Happy House, mentre sono i maschi che fanno il "figaro" in erba asciugando i capelli a ragazzine che si ammirano allo specchio.
L'agenzia governativa svedese per i sistemi innovativi, Vinnova, ha sviluppato anche un sistema di rating che mette in guardia gli utenti circa "la misoginia nei videogiochi". L'agenzia lavora con gli sviluppatori di videogiochi per determinare come ritraggono le donne. Il responsabile del progetto per Dataspelsbranschn, Anton Albiin, ha detto che il governo potrebbe imporre anche una certificazione speciale per le aziende che nei giochi promuovono l'uguaglianza.
Basta pure con gli "stereotipi sessisti" in pubblicità, come da ordini del Consiglio etico che in Svezia veglia su manifesti e spot di tutte le aziende. Al centro delle polemiche una pubblicità della Lego dove si vede una bambina che gioca in una cameretta rosa, con i pony, mentre un bambino è attorniato da camion dei pompieri e altri giocattoli "virili". Incoraggiate dallo stato svedese, alcune coppie hanno iniziato ad allevare i figli "senza genere". Il primo è stato "Pop", un bimbo che oggi ha nove anni, ma non si può dire se è un bambino o una bambina, perché nessuno ne conosce il sesso, tranne i suoi genitori, ben decisi a non svelare il segreto al resto del mondo. In una intervista allo Svenska Dagbladet, i genitori hanno dichiarato: "Vogliamo che Pop cresca liberamente e non debba adattarsi a un modello di genere specifico". La madre dice che Pop per lei non è un maschio o una femmina, "è solo Pop".
Un inferno ben ritratto nel nuovo documentario di Erik Gandini e dal titolo "La teoria svedese dell'amore" (nelle sale italiane dal 22 settembre). Il film nasce da un manifesto politico nel 1972 del governo di Olof Palme: "La famiglia del futuro". Gli individui devono pienamente autodeterminarsi. Per far questo si deve eliminare la dipendenza reciproca: tutte le scelte devono essere svincolate dalle relazioni umane e familiari. I figli dai genitori e viceversa, le mogli dai mariti. Il risultato è che la Svezia ha oggi il record mondiale di persone che vivono sole e di anziani che muoiono soli, dimenticati da tutti. E' la "terribile società" intuita da Lohman, quella in cui le donne parlano con gli alberi facendo jogging e fabbricano i figli con la fecondazione artificiale grazie a donatori di sperma che "augurano a tutti una vita felice".
(Il Foglio, 21 settembre 2016)
Fiorentina, occhi in Israele: piace Ben Haim del Maccabi Tel Aviv
La Fiorentina guarda in Israele per rinforzare il proprio attacco, secondo quanto riportato da Gazzamercato.it. Il club gigliato sarebbe infatti sulle tracce di Tal Ben Haim, attaccante classe '89 del Maccabi Tel Aviv che ha segnato a Buffon nella recente sfida fra Italia e Israele.
(TUTTO mercato WEB, 20 settembre 2016)
Donazione di sangue, Italia e Israele unite
Lunedì 19 settembre, presso la propria sede a Pianezza, Avis Piemonte ha ospitato una delegazione di donatori di sangue del MDA (Magen David Adom) per rinnovare il trattato di amicizia siglato tra le due realtà associative lo scorso febbraio a Tel Aviv.Un gemellaggio internazionale particolarmente significativo per Avis Piemonte in quanto MDA è l'unica associazione israeliana ad occuparsi di donazione di sangue e ad operare non solo in Israele, ma anche nei Territori Palestinesi. La collaborazione, nell'intento di salvare più vite possibile e, in particolare, di favorire le fasce più vulnerabili e bisognose di aiuto, si pone l'obiettivo di sviluppare alcuni importanti progetti tra cui: migliorare la sicurezza e la qualità della donazione di sangue; affrontare la questione riguardante le epidemie mondiali, soprattutto nelle zone dove si concentrano i viaggi delle persone; conservare il quantitativo di sangue in base al tipo; garantire le unità di sangue e i suoi componenti durante qualsiasi tipo di emergenza; migliorare i servizi al cliente anche usando i social media.
(pagina.to.it, 20 settembre 2016)
La voglia Kosher cresce nel gusto dei foodie. I ristoranti di pesce scalzano la cucina gourmet
Confrontate da Quandoo le preferenze e le abitudini degli italiani in fatto di ristorazione con la tradizione gastronomica tricolore prima nelle preferenze. Cresce l'asiatica, in calo la "latina".
ROMA - Cresce nel gusto dei foodie la preferenza per la cucina Kosher anche se la tradizione gastronomica italiana continua ad essere vincente mantenendo ben stretto lo scettro di regina. Insomma pizza e risotto tengono a bada l'aumento di popolarità della Kosher che si piazza alle spalle della tricolore nella classifica di Quandoo, servizio online di prenotazione ristoranti che ha messo a confronto le preferenze e abitudini degli italiani in fatto di ristorazione analizzando i dati relativi alle prenotazioni effettuate tramite l'app e il portale nei periodi che vanno da ottobre 2015 a marzo 2016 da un lato, da aprile ad agosto di quest'anno. In particolare dalla top10 dei ristoranti più prenotati nel 2016 si rileva che i ristoranti di pesce scalzano dal podio la cucina gourmet, che scivola al quarto posto, mentre la Kosher sale di un posto rispetto a dodici mesi fa. Si nota nota inoltre come i sapori dell'estremo oriente si stiano imponendo sempre più sulle tavole degli italiani, a discapito della cucina "latina": rispetto al 2015, infatti, non trovano più spazio nella Top 10 i ristoranti messicani, mentre i locali che propongono specialità giapponesi vengono affiancati dalla new entry dell'anno, ossia la più ampia categoria dei ristoranti asiatici.
(Agro Alimentare News, 20 settembre 2016)
Caccia israeliani abbattono un drone lanciato dalla Striscia di Gaza
GERUSALEMME - Un caccia dell'aviazione israeliana ha abbattuto un drone lanciato dal movimento islamista palestinese Hamas sulla zona costiera della Striscia di Gaza, poco dopo l'una di questa notte. Lo riferisce il portavoce delle Forze di Difesa israeliane (Idf), precisando che il velivolo a pilotaggio remoto è stato monitorato sin dal decollo, senza entrare nello spazio aereo di Israele. "Le Idf non permetteranno alcuna violazione del proprio spazio aereo ed agirà con determinazione contro ogni azione di questo tipo", si legge nella nota ufficiale dell'esercito israeliano. Al momento non è chiaro se il drone fosse stato lanciato da Hamas in un'operazione sperimentale andata male, secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano "Jerusalem Post".
(Agenzia Nova, 20 settembre 2016)
Israele: Lente a contatto che cura l'edema corneale
La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha recentemente approvato una lente a contatto sviluppata in Israele e usata per il trattamento dell'edema corneale, una patologia oculare dolorosa che comporta un aumento di contenuto prevalentemente acquoso all'interno della cornea, comunemente causata da un intervento chirurgico agli occhi, traumi, invecchiamento o difetti genetici. L'edema provoca nella cornea una perdita della sua trasparenza, influenzando così la visione e portando a cicatrici irreversibili.
La lente a contatto monouso Hyper CL, della startup israeliana EyeYon Medical allevia il dolore estraendo i fluidi mediante osmosi e levigando la superficie della cornea, migliorando così la visione e mantenendo la superficie dell'occhio coperta per proteggerla dalle infezioni.
Il CEO Nahum Ferera, sottolinea:
Oggi solo circa il cinque per cento dei farmaci per il trattamento dell'occhio in realtà raggiunge il suo obiettivo. Le nostre lenti a contatto consentono somministrare il farmaco direttamente nell'occhio per un periodo più lungo.
Prima di Hyper CL, non c'era un modo efficace per alleviare i sintomi di questa condizione - che può essere curata solo con una trapianto di cornea da un donatore deceduto.
Come è noto, in tutto il mondo l'attesa per un trapianto è molto lunga e nel frattempo, i pazienti non vedono bene e soffrono di dolori severi. La lente Hyper CL nasce nel 2013, dopo intensi studi clinici effettuati su pazienti presso il Kaplan Medical Center di Rehovot.
EyeYon prevede di commercializzare le sue lenti, che hanno un prezzo di 50 dollari ciascuna, negli Stati Uniti a partire dal 2017.
(SiliconWadi, 20 settembre 2016)
L'Occidente rivaluti l'Israele «resiliente»
Terrore ogni giorno a ogni angolo. Il calvario di Israele ora è di tutti.
di Fiamma Nirenstein
Tre attentati in due giorni sono davvero tanti, le bombe nello zaino vicino alla stazione di Elizabeth, l'esplosione del Seaside Park nel New Jersey, e nel quartiere di Chelsea, a Manhattan. L'ultima scoperta ha bloccato la strada per l'aeroporto di Newark, ha messo in difficoltà i passeggeri dei treni Amtrak, ha gettato il Paese in quel senso di deja vu che assomiglia alla sconfitta. Così è la sindrome che investe ogni società sconvolta dal terrorismo: esso vuole sorprendere le sue vittime, confonderle, creare una crisi di fiducia. Gli Usa dall'11 di settembre ad ogni attacco vivono con lo choc una regale sensazione di oltraggio, da cui la crisi isterica simile all'assedio in casa per lunghissime ore di tutti i cittadini di Boston, asserragliati mentre la polizia continuava la sua caccia ai terroristi.
Anche in Europa ogni attacco porta le vittime nel caos del traffico e delle menti, come è successo a Parigi. Ma Israele dimostra che è possibile mantenere stabilità e forza nello scontro. Si chiama «resilience» (elasticità, capacità di recupero, ma anche resistenza) ed è stata costruita sin da prima della fondazione dello Stato d'Israele, da quando lo Stato Ebraico è diventato la provetta in cui si sperimenta tutto, il sequestro, il rapimento, l'eccidio di massa, il terrorismo suicida, i lupi solitari, l' estremismo islamico, l'odio razzista travestito da nazionalismo palestinese. La Seconda Intifada ha fatto più di mille morti. Nel 2015 sono stati registrati 2563 attacchi, e nei primi sei mesi del 2016, 1030. In questo ultimo week end e fino a lunedì ci sono stati 7 attacchi, con accoltellamenti, veicoli, bombe molotov e pietre contro auto in corsa.
Eppure la società è quieta, niente chiude, nessuno si lamenta, i caffè, le scuole, l'economia procedono secondo la routine. Nonostante un incredibile 44,4 per cento degli israeliani sia stato sottoposto nella Seconda Intifada a un contatto diretto col terrore, l'israeliano è tranquillo, per il 76%, dice che sa «che cosa dovrebbe fare se gli capita una situazione di terrorismo», il 13% in meno di due anni fa sente il pericolo, e solo il 28% si sente depresso contro il 58% di due anni fa; e soprattutto il 78% «è sicuro che ci sarà sempre qualcuno che correrà in suo aiuto se sarà in difficoltà»: tiene alla sua vita e alla vita degli altri in maniera irrinunciabile, 1'80% sostiene la barriera di difesa che di fatto ha fatto diminuire drammaticamente gli attacchi suicidi. Il cittadino sa identificare il nemico, lo persegue, reagisce. Fida nelle forze dell'ordine dispiegate strategicamente e molto «profiling». Il cittadino è lui stesso un combattente, per gli altri prima che per sé: come Yshai Montgomery, di 26 anni, che suonava l'8 marzo sulla spiaggia di Te! A viv, e quando ha visto un terrorista che colpiva col coltello gli ha tirato in testa la chitarra dopo averlo inseguito; come Yonathan Azariah, che già ferito si è sfilato il coltello dal collo, e ha infilzato l'attentatore; come Herzl Biton che, poiché un accoltellatore feriva i passeggeri dell'autobus di linea di cui era l'autista ha dato una frenata, l'ha afferrato e spruzzato di spray al pepe, l'ha buttato di sotto e inseguito: poi ferito gravemente è finito ali' ospedale; come Klein che dopo che al bar, l'8 giugno, i terroristi avevano ucciso quattro persone, ha tirato loro una seggiola fermandone uno.
L'israeliano è allenato da tre anni di servizio militare, si sente tranquillo perché sa cosa fare e sa che chi è vicino è come lui. Ci sono molti servizi volontari allenati dalla polizia, ne fanno parte 70mila persone di cui il 28 per cento donne, possono fermare e persino arrestare. Tutti si guardano intorno e dietro, non si addensano alle fermate degli autobus, chiamano la polizia se vedono una persona o un oggetto sospetto. Solo fra il due e il tre per cento della popolazione è armata, tutti sopra i 21 anni, tutti verificati quanto a condizioni psichiche e fisiche, vagliati dal Ministero degli Interni. Le leggi contro il terrorismo sono dure, si va dalla detenzione preventiva fino alla distruzione della casa dei terroristi, e il coprifuoco si applica in zone pericolose. Ma ogni legge è discussa a fondo: e chi spara senza bisogno viene processato succede proprio in questi giorni persino a un soldato che ha sparato a un terrorista a terra. Israele è un romanzo che non tutti sanno leggere, ma la necessità di capirlo sta diventando sempre maggiore per tutto il mondo.
(il Giornale, 20 settembre 2016)
Dentro la testa di Putin
Parla Michel Eltchaninoff studioso del Cremlino: ''Per lui, l'occidente cadrà dopo la fase di 'complessità fiorente'. Così ha lanciato un'offensiva conservatrice ai russi e agli europei".
di Giulio Meotti
«Putin ha seguito l'opposizio- ne alle nozze gay in Francia, il caos sull'immigrazione e la ri- volta contro lo spirito del '68»
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«Ha lasciato intendere persino che la chiesa ortodossa russa sia più vicina all'islam che a un modernista occidentale»
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«Gli europei occidentali sono visti come consumatori senza cervello e superficiali che non hanno più grandi ideali»
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La settimana scorsa il New York Times ha raccontato l'operazione finanziaria e culturale che ha portato il presidente russo, Vladimir Putin, fresco di una nuova conferma elettorale alla Duma, a mettere gli occhi e le mani su una chiesa nel cuore di Parigi. Si tratta di "Mosca sulla Senna", la grande cattedrale ortodossa che sorgerà vicino alla Torre Eiffel, nel Quai Branly, "Questa chiesa è un avamposto dell'altra Europa, conservatrice e antimoderna, nel cuore del paese del libertinismo e del secolarismo", ha detto al New York Times Michel Eltchaninoff, studioso francese e autore del libro "Dans la tète de Vladimir Poutine", sul pensiero del presidente russo.
Redattore capo di Philosophie Magazine e autore di saggi su Dostoevskij, Eltchaninoff adesso è a colloquio con il Foglio per capire la "rivoluzione conservatrice" del presidente russo, che si basa sulla rinascita della cultura ortodossa isolata per secoli dalla civiltà europea e non scalfita dal soffio del Rinascimento e dell'Illuminismo.
Ne sono appena state vittime Pornhub e YouPorn, i più grandi siti pornografici al mondo, appena bloccati in Russia da una legge di Putin contro la pornografia. "Se diamo a voi ragazzi un abbonamento premium, ci toglierete il blocco in Russia?", avevano domandato i dirigenti di YouPorn al Roskomnadzor, il servizio federale per la supervisione delle comunicazioni russo. "Ci spiace, non siamo sul mercato e la demografia non è un bene di scambio", è stata la risposta del servizio federale.
"Al fine di stabilire la sua autorità sulla società russa, Putin, soprattutto dal 2013, ha plasmato una dottrina destinata a mobilitare l'intera società russa contro un occidente percepito come decadente", dice Michel Eltchaninoff al Foglio. "Il Cremlino ha seguito da vicino il movimento di opposizione al 'matrimonio per tutti' in Francia e ha osservato le tensioni nell'Unione europea, con le crescenti preoccupazioni in materia di immigrazione non europea. Ha seguito la rivolta di molti intellettuali europei contro lo 'spirito del '68' responsabile dei problemi attuali. Putin ha lanciato una offensiva conservatrice rivolta sia ai russi sia agli europei. Contro il presunto 'politically correct' occidentale, il presidente russo 'chiama le cose con il loro nome', a malapena nasconde la propria omofobia e il disprezzo contro la 'debolezza' occidentale. Contro la presunta amnesia europea rispetto al suo passato, Putin ha difeso le radici cristiane dell'Europa. Contro lo spirito modernista, Putin riafferma i valori tradizionali della famiglia, il patriottismo, l'obbedienza alla gerarchia. Con la costruzione di una immagine in gran parte fantastica di un'Europa dominata da minoranze attive ed entrata in decadenza, Putin offre il modello russo di stabilità politica e il conservatorismo sociale e morale. Da quando è tornato alla presidenza nel 2012, Putin ha detto che molti dei paesi euro-atlantici rigettano le loro radici, tra cui i valori cristiani che costituiscono la base della civiltà occidentale, lamentandosi del fatto che, secondo lui, per citare un suo discorso a Novgorod, questi paesi 'stanno negando i princìpi morali e le identità nazionali, culturali, religiose e anche sessuali. Essi stanno attuando politiche che equiparano le famiglie a partner dello stesso sesso, la fede in Dio con la fede in Satana. La gente in molti paesi europei è in imbarazzo o ha paura di parlare delle proprie affiliazioni religiose. In opposizione al relativismo, al declino culturale, all'invasione di Internet, alla correttezza politica, all'amnesia, al masochismo democratico e alla debolezza di fronte delle minoranze, Vladimir Putin promuove una educazione morale basata sui valori cristiani, una cultura classica e libresca, il patriottismo, il militarismo e la rispetto della gerarchia. Secondo lui, in sostanza, l'Europa è entrata in una fase di decadenza, mentre la Russia è in una fase ascendente della sua storia".
Una delle più suggestive personalità della Russia del secolo scorso, Konstantin Leont'ev, il "Nietzsche russo" nonché autore di riferimento di Putin, osservava che Bisanzio sopravvisse alla caduta dell'impero romano d'occidente per mille anni. "Quasi tutti gli scrittori occidentali ebbero e mostrarono a lungo predilezione o per il repubblicanesimo, o per il feudalismo, o per il cattolicesimo e il protestantesimo", scriveva Leont'ev. "Perciò Bisanzio, autocratica, ortodossa e per nulla feudale, non poteva ispirare loro la minima simpatia". Caduta Roma nel 476, la "seconda Roma", Bisanzio, estese di diritto, nel nome di Dio, la sua insindacabile sovranità su tutti i popoli. L'impero bizantino conobbe nei secoli espansioni e ripiegamenti: il suo asse si spostò dal Mediterraneo all'Eurasia, e divenne un impero soltanto greco, che si restrinse alla città di Costantinopoli e al Peloponneso. La Russia di Putin oggi si immagina come la "terza Roma".
"Putin si basa sul modello pseudo-scientifico di Konstantin Leont'ev, e su uno dei concetti più famosi di cui Vladimir Putin è appassionato: quello della 'complessità fiorente'. Secondo il filosofo russo, che aveva una posizione anti-europea e anti-borghese, ogni civiltà, dopo un periodo di semplicità originale, raggiunge il suo apice in un'epoca di fiorente complessità, per poi diminuire in un periodo di semplificazione e confusione. Per Leont'ev, sempre a partire dal Rinascimento, l'Europa ha cessato di far nascere santi e geni, e ha generato solo ingegneri, parlamentari, professori. Ha reso tutto uniforme, attraverso la sua modalità di sviluppo e il suo conformismo. Ma è anche confuso. I suoi abitanti sono persi, non sanno più come dare senso alla loro vita. Essi si dimostrano incapaci di percepire un principio superiore ispiratore. Ma per lo stesso Putin, la 'complessità fiorente' può essere possibile solo sotto la direzione attenta di uno stato che mobilita e unifica forze potenti".
Come fa la Russia a configurarsi come alternativa al liberalismo dopo la caduta del comunismo? "In Russia, 'liberale' è usato in senso peggiorativo, nei media ufficiali, per designare l'opposizione all'autoritarismo del Cremlino", dice Eltchaninoff al Foglio. "Putin ha anche usato il termine esplicito 'quinta colonna' per mettere sotto accusa i seguaci politici della democrazia occidentale. Boris Nemtsov, assassinato nel febbraio 2015, era nella lista di quelli considerati 'nemici della Russia'. Per capire come la Russia di Putin sia diventata un'alternativa alla democrazia occidentale 'liberale', dobbiamo tornare alla lotta, che non è mai cessata, anche durante il periodo sovietico, tra un 'partito russo' contrario all'occidente e un movimento più aperto a Europa e Stati Uniti. Gli slavofili sovietici e post-sovietici ritenevano che lo sviluppo della Russia dovesse seguire un percorso specifico".
Nel 1941, Stalin riuscì a eliminare la chiesa come istituzione pubblica. Ogni monastero e seminario venne chiuso. Con la caduta del comunismo, la chiesa ha iniziato a ricostruire la sua vita istituzionale devastata.
La chiesa ortodossa russa, sottoposta al potere durante il periodo sovietico ufficialmente ateo, ha sperimentato una ripresa impressionante dalla Perestroika. Le cerimonie del millesimo anniversario del 'Battesimo della Russia' nel 1988 sono state accompagnate da una riscoperta religiosa dei giovani.
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Il numero delle parrocchie è cresciuto dalle settemila di vent'anni fa alle trentamila di oggi. La Russia di
Putin sta tornando al vecchio concetto bizantino di "symphonia", un approccio in cui chiesa e stato collaborano. "La chiesa ortodossa russa, sottoposta al potere durante il periodo sovietico ufficialmente ateo, ha sperimentato una ripresa impressionante dalla Perestroika. Le cerimonie del millesimo anniversario del 'Battesimo della Russia' nel 1988 sono state accompagnate da una riscoperta religiosa dei giovani. Negli anni Duemila, il Patriarcato di Mosca poteva considerarsi la vera autorità morale del paese. Ma l'irrigidimento del Cremlino nel 2004, e la concentrazione del potere nelle mani di Putin, ha cambiato questo. Oggi, il Patriarcato di Mosca professa la dottrina ufficiale dello stato russo. Mentre la chiesa ortodossa esprime una teologia mistica, il patriarcato è diventato un ausiliario del putinismo".
Da Dostoevskij a Solzenitsyn, c'è una lunga tradizione russa di conservatorismo. Nei "Fratelli Karamazov", Dostoevskij fa negare proprio a Ivan Karamazov, l'intellettuale rivoluzionario e laico, il principio della separazione fra stato e chiesa. "Oggi il ritorno al conservatorismo in Russia è in gran parte funzionale", ci dice Eltchaninoff. "I grandi pensatori e scrittori citati da Vladimir Putin durante i suoi discorsi sono usati per fini ideologici. Dostoevskij è un pubblicista anti-occidentale nel suo 'Diario di uno scrittore' e il primo romanziere russo del caos della modernità. Putin cita anche Nicolas Berdjaev. Il conservatorismo attuale eredita parte di una tradizione intellettuale russa. Ma è più lo sfondo ideologico a una politica anti-occidentale".
Quali sono oggi i rapporti fra la Russia e l'islam? "L'islam in Russia è endogeno dall'occupazione del paese da parte dei Mongoli del XIII secolo. I musulmani in Russia sono ben radicati. L'islam è ufficialmente considerato una 'religione tradizionale' russa (a differenza del cattolicesimo). Putin ama così vantare un 'islam russo'. Egli suggerisce che spesso la chiesa ortodossa è più vicina nei suoi valori - sottomissione a Dio, obbedienza all'autorità, etica tradizionale, anti-consumismo e anti-decadenza - a un musulmano che a un modernista occidentale. Ricordiamo la grande manifestazione anti-Charlie Hebdo organizzata dal presidente ceceno Kadyrov in accordo con Putin dopo gli attacchi di Parigi. Tuttavia, Putin condanna con forza l'islamismo che equivale sistematicamente al wahabismo venuto dall'Arabia Saudita. Qualsiasi manifestazione islamica che si oppone a Mosca (ad esempio, tra i ribelli ceceni) è trattata come un prodotto estero pericoloso. Quindi per il Cremlino c'è un 'buon islam', nazionale, conservatore e fedele a Mosca, e un 'cattivo islam' che viene dall'estero".
Lei ha scritto che il punto di svolta per Putin è stato il massacro di Beslan, la scuola in Ossezia presa in ostaggio dai terroristi islamici. "Nel 2004, la cristallizzazione conservatrice di Putin avviene dopo la tragedia di Beslan", prosegue Eltchaninoff al Foglio. "Putin è un erede del sovietismo. Trascorse i primi quaranta anni della sua vita in Unione Sovietica. Questo lo ha portato a essere fortemente influenzato da certi valori, il patriottismo, il militarismo, il complesso di superiorità di una grande potenza. Ha servito nel corpo d'élite della nazione: il Kgb, che divenne l'Fsb dopo il 1991. Tuttavia, Putin non ha mai creduto al modello comunista di economia di stato o di società senza classi. Egli quindi non intendeva, quando è salito al potere nel 1999, riabilitare il sovietismo. Durante il suo primo mandato presidenziale, dal 2000 al 2004, Putin ha adottato una posizione liberale. Gli piaceva citare Immanuel Kant, e dire che la Russia era parte dell'Europa. Voleva che la Russia vivesse secondo gli 'standard' occidentali. Si era presentato come il leader che avrebbe riportato la stabilità e la prosperità, anche a livello nazionale, e ripristinare il prestigio perduto della Russia a livello internazionale. Dal 2004, una serie di eventi ha iniziato a incidere su questo discorso di modernizzazione friendly. Si convinse che la Russia era il bersaglio di una ostilità attiva per conto dell'occidente. I ceceni separatisti a Beslan presero in ostaggio la scuola in una piccola città del Caucaso russo. Dopo un intervento delle forze speciali russe condotto in modo violento e caotico, 344 persone morirono, tra cui 186 bambini. Due settimane dopo, Putin fece un discorso molto conservatore. In primo luogo, Putin invitò le religioni a combattere l'estremismo. Poi Putin fece della chiesa ortodossa russa
Putin ha intensificato alcune tendenze già visibili nei suoi primi due mandati: il conservatorismo aperto di fronte a un mondo occidentale decadente che recide le sue radici cristiane; l'affermazione di una specificità russa che deve essere difesa a tutti i costi contro l'ostilità dell'occidente; l'accelera- zione del progetto di un'Unione eurasiatica.
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il suo alleato per 'moralizzare' il popolo. Questo ha segnato un primo spostamento verso il conservatorismo. Dopo il periodo di presidenza Medvedev (2008- 2012), Vladimir Putin ha intensificato alcune tendenze che erano già visibili nei suoi primi due mandati: il conservatorismo aperto di fronte a un mondo occidentale che ha percepito come decadente e che recideva le sue radici cristiane; l'affermazione di una specificità russa che doveva essere difesa a tutti i costi contro l'ostilità dell'occidente; l'accelerazione del progetto di un'Unione eurasiatica. La profonda convinzione di Putin è infatti, come egli ammetterà anni dopo, che 'l'uomo non può vivere senza i valori morali'. Dal 2005 a dicembre 2014, Putin ha fatto regolarmente riferimento a Ivan Ilyin (1883-1954), un filosofo russo emigrato in Europa, violentemente anticomunista e antidemocratico. E' appassionato di Lev Gumilev (1912-1992), che ha difeso le teorie eurasiatiche durante il periodo sovietico. Il risultato è un'ideologia multiforme, i cui fili comuni sono l'idea di impero e l'ostilità verso l'occidente. In termini teorici, Putin ha alternato l'esaltazione della russicità ortodossa del paese e la celebrazione della sua essenza multi-etnica e multi-confessionale. Loda l'armonia che regna tra le popolazioni ortodosse del paese e i suoi quindici milioni di musulmani. I teorici dell'Eurasiatismo sostengono che ci sia un 'terzo continente' tra l'Europa e l'Asia, una Eurasia che è un'unità coerente, in termini di clima, vegetazione, lingue e geografia, e che riunisce ortodossi, slavi, musulmani e buddisti. Tuttavia, secondo il presidente russo, questa diversità interna può prosperare solo nel quadro di un forte stato. In queste condizioni, la Russia può anche essere un modello per il mondo. Come diceva Putin già nel 2003, 'la Russia, come un paese eurasiatico, è un esempio unico di dialogo tra le civiltà culturali'. Putin e alcuni dei suoi più stretti consiglieri ritengono che l'Europa occidentale sia un fallimento. Secondo loro, gli stati europei sono aperti a tutte le migrazioni e non sono in grado di opporre resistenza al veleno dell'islamismo, o quello che vedono come un invasione musulmana. Per quanto riguarda i loro cittadini, sono visti come consumatori senza cervello e superficiali che hanno perso il loro senso di patriottismo e di aspirazione a grandi ideali".
Chi consiglia più spesso Putin? "A parte i consiglieri che scrivono i suoi discorsi, Putin ha un paio di persone del suo entourage che potrebbe rivendicare il titolo di ideologi. Uno è Vladimir Yakunin. Ha conseguito un dottorato in Scienze politiche, è il presidente della società Ferrovie Russe, è molto vicino al presidente, e organizza convegni intellettuali sul tema del 'dialogo delle civiltà'. Coltiva un'immagine estremamente religiosa, e va a Gerusalemme ogni anno per il servizio di Pasqua, al fine di riportare la fiamma del 'fuoco sacro'. Finanzia e organizza 'tour' di reliquie in Russia. Guida una rinascita religiosa e morale in Russia. Infine, mentre non sono i politici, altri due uomini influenzano il pensiero del presidente russo. Nikita Mikhalkov, il regista, ha incarnato il rinnovamento di una 'Russia bianca' in seguito alla caduta del comunismo. Putin poi ha presumibilmente un confessore, padre Tichon Shevkunov".
Continua Eltchaninoff: "Putin ha cercato di risvegliare due emozioni nei suoi concittadini: l'orgoglio in un ritorno alla grande Russia che può annettere la Crimea a dispetto del diritto internazionale; e la sensazione di vivere in una fortezza assediata". Una riscossa che, secondo i piani del Cremlino, passa anche da una cattedrale nel cuore di Parigi. Ribattezzata, dall'ex ministro della Cultura francese Frederic Mitterrand, "San Vladimir". Al culmine della Guerra fredda, gli americani erano soliti chiamare l'Unione Sovietica "l'impero ateo" che sarebbe crollato perché aveva eliminato la religione. Dopo vent'anni di putinismo, è il Cremlino occupato da un ex ufficiale del Kgb e battezzato in gran segreto a lanciare la stessa accusa di ateismo all'occidente. Oggi la chiesa ortodossa russa ha persino un emissario per le relazioni con i cristiani americani, il vescovo Hilarion Alfeyev, che in un suo recente viaggio negli Stati Uniti ha anche incontrato l'ex presidente George W. Bush. E' questa, conclude Michel Eltchaninoff, la scommessa di Putin: "Far credere che la Russia sia oggi un polo anti-decadente e conservatore in Europa e nel mondo".
(Il Foglio, 20 settembre 2016)
«In Francia un giovane musulmano su due è fondamentalista»
Il 28 per cento dei musulmani in Francia sono «fondamentalisti» e vorrebbero sostituire la legge con la sharia. Ma la percentuale sale al 50 per cento se si considerano i giovani tra i 15 e i 25 anni. È l'allarme lanciato da un rarissimo sondaggio sul tema, visto che le ricerche su base etnica o religiosa sono vietate in Francia, condotto da Ifop per il think tank Institut Montaigne.
«Chi sono i musulmani?»
Lo studio è stato condotto tra aprile e maggio di quest'anno su 1.029 musulmani, individuati su un campione di 15.549 persone rappresentativo della popolazione francese sopra i 15 anni. L'obiettivo era capire «Chi sono i musulmani in Francia?» e il responso presenta luci e ombre.
«Maggioranza silenziosa»
I seguaci di Maometto, innanzitutto, sarebbero meno del previsto: non i 5-7 milioni che si pensava, pari al 10 per cento della popolazione francese di 65 milioni, ma 3 o 4 milioni, cioè il 6 per cento circa. Sono molto giovani, perché la loro età media è di 35,8 anni, contro i 53 anni dei cristiani e i 48 dei «senza religione». La maggioranza degli intervistati (46 per cento, tre milioni di persone circa) non trova alcuna contraddizione tra i valori della Francia e l'islam, parteggia per la laicità e si trova bene nella République. Di fianco alla «maggioranza silenziosa», c'è un altro gruppo (25 per cento, 1,7 milioni di persone) che rispetta le leggi civili ma si sente più musulmano che francese.
Giovani estremisti
Questo secondo gruppo, però, è superato da un terzo (28 per cento, 2 milioni di persone) che si può definire «fondamentalista», preferisce la sharia alla Costituzione ed approva comportamenti vietati dalla legge come poligamia e uso del burqa. Quest'ultima percentuale, ed è l'aspetto più inquietante, sale al 50 per cento degli intervistati se si considerano solo i musulmani di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Questi «usano l'islam per affermarsi ai margini della società», spiega l'Institut Montaigne. Lo studio non fa che dimostrare quello che gli insegnanti francesi (e spesso anche gli imam) vedono ogni giorno: i più radicalizzati sono proprio i giovani. Un campanello d'allarme per la comunità musulmana francese e per la Francia.
(Tempi, 19 settembre 2016)
Mezzo miliardo di esportazioni per l'industria dentale
Uno dei mercati in più rapida crescita negli ultimi anni è il settore dentale, con un fatturato annuo di diversi miliardi. Secondo uno studio condotto dalla'Israel Export Institute, ci sono più di 100 aziende israeliane che lavorano nel settore, con un aumento del 50 per cento rispetto a un decennio fa. Le loro esportazioni sono altrettanto impressionanti, con più di 540 milioni di dollari generati in vendite all'estero nel 2013-2014.
Circa quattro mesi fa, l'Israel Export Institute ha lanciato un dipartimento del settore dentale, simile ad altri servizi già operanti all'interno dell'organizzazione, come la sicurezza del territorio, automotive, petrolio e gas, scienze della vita e altro ancora. L'obiettivo è quello di aiutare Israele a diventare un leader globale del settore anche in termini di esportazione di tecnologie e soluzioni avanzate nel campo della salute dentale.
Queste le parole di Raphaèle Moog, Direttrice del nuovo Dipartimento Dental Technologies presso l'Israel Export Institute
Sulla base di uno studio che abbiamo condotto, ci siamo resi conto che il settore ha esportato più di mezzo miliardo di dollari di merci nel 2013-2014. Non c'è solo un graduale aumento del numero di aziende del settore, ma anche nei loro dati relativi alle esportazioni.
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Inoltre, il dato più importante è che il numero totale di aziende israeliane nel campo, circa il 40 per cento sono nelle fasi iniziali di esportazione, e un altro 40 per cento sono in varie fasi di sviluppo.
Dror Kanion, VP Research and Business Development di Meodental, rappresenta una delle società che l'Israel Institute aiuta con le esportazioni. L'azienda, nata nove anni fa, ha sviluppato un prodotto sbiancante per i denti basato su una tecnologia senza l'impiego di metalli pesanti, in modo completamente ecologico, rendendo il prodotto un gioiello nella sua categoria. Negli ultimi anni, l'azienda ha partecipato alla Internazionale Dental Show che si tiene ogni due anni a Colonia, in Germania, esibendo i suoi prodotti nel padiglione nazionale dell'Export Institute.
Queste le parole di Kanion:
Sviluppiamo i nostri prodotti in Israele e li produciamo sia qui che all'estero, il tutto utilizzando le nostre formule.
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L'Export Istitute non limita il suo aiuto solo alle aziende emergenti. Molte delle grandi aziende del settore ricevono aiuto per approdare in nuovi mercati. Una di queste è la AB Dental Devices, che si dedica alla ricerca, allo sviluppo e alla fornitura di soluzioni complete per la medicina orale e mandibolare, che esporta in 61 paesi in tutto il mondo.
Come sottolineato da Moog, la qualità dell'industria israeliana vende bene in tutto il mondo, e giganteschi conglomerati internazionali e multinazionali hanno acquistato aziende israeliane negli ultimi anni per centinaia di milioni di dollari.
(SiliconWadi, 19 settembre 2016)
Sette attacchi in quattro giorni, in Israele si riaccende l'Intifada dei coltelli
Grave un poliziotta colpita al collo alla Porta di Damasco di Gerusalemme.
di Giordano Stabile
Una poliziotta israeliana è in gravissime condizioni dopo essere stata colpita alla gola con un coltello, alla Porta di Damasco di Gerusalemme, durante un attacco condotto questa mattina da un giovane palestinese. Un suo collega è rimasto invece ferito in maniera più lieve al petto. L'assalitore è stato neutralizzato.
Tomba dei Patriarchi
Poche ore dopo c'è stato un altro tentativo di accoltellamento alla Tomba dei Patriarchi di Hebron. Due palestinesi hanno assalito un soldato israeliano di guardia: uno è stato ucciso, l'altro ferito. E' il settimo attacco da venerdì, quando è riesplosa la cosiddetta Intifada dei coltelli, dopo alcune settimane di relativa quiete.
Attaccata al respiratore
L'attacco più grave finora è quello di Gerusalemme. L'agente 38enne è in coma indotto e attaccata a un respiratore all'ospedale Shaare Zede. Il palestinese l'ha sorpresa alle spalle e colpita più volte prima di essere raggiunto a sua volta dai colpi di pistola sparati dall'altro poliziotto.
L'aggressore, un palestinese di Gerusalemme Est di una ventina d'anni, Ral al-Almud, è in uno stato critico, centrato più volte. Davanti alla Porta di Damasco, accanto alla parte araba di Gerusalemme Vecchia, c'è sempre almeno una pattuglia delle forze di sicurezza.
Attacchi in serie
L'ondata di attacchi è cominciata in concomitanza con lo Yamim Noraim, il periodo di festività che porta allo Yom Kippur, il Capodanno ebraico. Giovedì un soldato era stato ferito a Efrat, nella Cisgiordania occupata, e altri quattro attacchi si erano verificati fra venerdì e domenica.
(La Stampa, 19 settembre 2016)
Associazione Italia Israele in visita alla Sinagoga di Nizza
Ospite della comitiva, la conosciuta attrice e soprano ebrea Cristina Miriam Chiaffoni
di Silva Bos
VENTIMIGLIA. L'Associazione Culturale Italia Israele questa volta si è voluta spostare per far visita alla Sinagoga di Nizza. "Siamo stati seguiti da una guida italiana che ci ha raccontato l'avvenuta degli ebrei dal momento dell'espulsione dalla Spagna, motivo per cui si spostarono a Nizza e in Piemonte per poi iniziare a vivere nei loro ghetti fino al momento delle persecuzioni naziste" spiega oggi, a Riviera24, Mariateresa Anfossi quale vertice di Italia Israele che ha organizzato l'iniziativa.
Ospite della comitiva formata da una quindicina di persone, la conosciuta attrice e soprano ebrea Cristina Miriam Chiaffoni.
"Come presidente, - commenta orgogliosa la Anfossi - sono felice di poter realizzare eventi di questo tipo da cui si imparano da vicino messaggi che sarebbe impossibile conoscere: questo oggi anche grazie a racconti diretti, come quello della nostra amica. Racconti veritieri da viva voce, ben diversi da quelli che, purtroppo, gli antisemiti tendono a dichiarare".
Per l'Associazione Italia Israele, prossima sinagoga da visitare sarà a Casale Monferrato "una sinagoga, che oltre ad essere bella, ha una storia davvero interessante" .
(Riviera24, 19 settembre 2016)
Piccole imprese israeliane: l'accordo con gli Usa porterà alla chiusura delle nostre aziende
GERUSALEMME - Decine di piccole e medie imprese del settore Difesa che si basano sui finanziamenti ricevuti dal pacchetto di aiuti decennali degli Usa sono destinate alla chiusura, provocando il licenziamento di migliaia di lavoratori e la dispersione delle conoscenze "uniche" acquisite nel corso dei decenni precedenti. Lo sostengono fonti di alto livello impegnate nel settore dell'industria della Difesa israeliana, contattate dal quotidiano d'informazione economica "Globes" all'indomani dell'accordo che prevede un finanziamento decennale di 38 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti. Il nuovo contratto, che entrerà a regime ad ottobre del 2018, dopo sei anni non avrà la possibilità di convertire il 26 per cento della quota mensile di aiuti statunitensi nell'indotto economico israeliano. "Questa clausola è una catastrofe per le piccole e medie imprese del settore Difesa israeliane", ha affermato una fonte di altro profilo degli imprenditori del comparto produttivo. Una clausola del contratto infatti annulla l'autorizzazione di Israele a spendere il 26,3 per cento in commesse ad aziende nazionali. "La spesa in shekel del budget della Difesa per l'appalto per la produzione di armi da parte di aziende locali è già bassa e le commesse alle piccole aziende del settore è possibile in gran parte dalla conversione in shekel degli aiuti ricevuti in dollari", ha affermato il funzionario citato da "Globes". L'esperto ha evidenziato inoltre come finora le piccole aziende ricevessero in subappalto lavori commissionati ai leader del settore a livello locale, tra cui l'Industria aerospaziale israeliana (Iai), Rafael Advanced Defense Systems Ltd., Elbit Systems Ltd. e l'Industria militare israeliana (Imi), ma in futuro questo andamento verrà modificato perché queste società dovranno acquistare e subappaltare i lavori ad aziende statunitensi. Il funzionario ha spiegato, infine, che questa situazione rappresenta "un duro colpo" sia per le piccole e medie imprese (Pmi), ma anche per i leader del settore, che in ogni caso, potranno continuare a contare sul business generato dall'esportazione dei loro prodotti, mentre le Pmi che non esportano saranno costrette a chiudere.
L'accordo che prevede il finanziamento per l'approvvigionamento di strumenti militari per le Forze armate israeliane è stato firmato lo scorso 14 settembre a Washington e prevede un budget annuale di 3,8 miliardi di dollari. All'indomani della firma del memorandum d'intesa decennale sugli aiuti militari degli Stati Uniti a Israele si è scatenato un ampio dibattito ripreso dalla stampa israeliana, che in particolare contesta il reale valore di questo accordo. A tal proposito, oggi, il ministro delle Finanze israeliano Moshe Kahlon ha detto che "l'importo va bene ed in sintonia con il piano pluriennale dalle Idf". Nel tentativo di placare le critiche due giorni precedenti, Kahlon ha aggiunto: "Si può sempre dire che avremmo potuto fare di meglio". La settimana scorsa, un editoriale del quotidiano "Haaretz" ha commentato quello che è stato presentato da entrambi i governi come un risultato senza precedenti. Tuttavia, contesta l'editorialista, il divario tra la realtà e l'immagine fornita da Gerusalemme non è mai stato così ampio. Formalmente, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo portavoce hanno ragione: l'accordo prevede, infatti, la concessione a Israele di 38 miliardi di dollari per la difesa nell'arco di un decennio. Il confronto con i 31 miliardi concessi dagli Usa nel decennio precedente, sostiene "Haaretz", è però "ingannevole". Su "insistenza" dell'amministrazione Obama, il nuovo accordo è "tutto compreso" e Israele si impegna a non chiedere al Congresso altri finanziamenti, ed anzi a restituirli se i legislatori Usa dovessero approvarne di loro iniziativa, prosegue l'editoriale. Questo genere di stanziamenti aggiuntivi, concessi dal Congresso e, talvolta, dalle stesse amministrazioni presidenziali Usa, sono state concesse a Israele nel tempo per compensare le spese legate alla guerra nella Striscia di Gaza del 2014, per sostenere lo sviluppo delle tecnologie per individuare le gallerie sotterranee scavate dai membri del movimento islamista palestinese di Hamas, oltre che per accelerare lo sviluppo e la fornitura di sistemi anti-missilistici.
Secondo l'Agenzia di difesa missilistica degli Stati Uniti, Israele ha ricevuto 729 milioni di dollari di fondi aggiuntivi per questi scopi nel 2014, di cui 620 milioni di dollari solo l'anno scorso. In altre parole, l'accordo "senza precedenti" comporta in media un incremento effettivo dei contributi statunitensi nell'ordine di 100-200 milioni di dollari all'anno, e questo senza tener conto degli effetti dell'inflazione. Si tratta di un dato di poco conto, sottolinea il quotidiano, specie se paragonato ai sette miliardi di dollari di perdite quantificate da molti analisti a causa della cattiva gestione dell'accordo sul nucleare iraniano da parte del premier Benjamin Netanyahu, del suo difficile rapporto con il presidente Barack Obama e dei ripetuti ritardi nella firma del nuovo accordo. Infine, l'editoriale evidenzia anche i riflessi negativi sull'economica, perché l'accordo prevede che una parte della produzione debba essere realizzata negli Usa, che a lungo termine porterebbe ad una perdita dei posti di lavoro. L'analisi si conclude con la "contraddizione" esistente tra la firma di un accordo definito "grandioso" ed il funzionario scelto per firmare l'accordo, ovvero generale Yaacov Nagel, presidente del Consiglio nazionale della sicurezza. Secondo l'editorialista per celebrare un accordo del genere sarebbe stata coerente la presenza del premier negli Usa.
(Agenzia Nova, 19 settembre 2016)
Tennis - Il tunisino Jaziri vince l'Open di Istanbul contro l'israeliano Sela
TUNISI - Il tennista tunisino Malek Jaziri si è aggiudicato ieri il torneo Open di Istanbul battendo l'israeliano Dudi Sela. Dopo aver perso il primo set per 6 a 1, Jaziri ha recuperato battendo l'avversario nei successivi set per 6-1 e 6-0. La notizia ha fatto il giro dei media locali per via del fatto che allo stesso Jaziri la Federazione tunisina di tennis nel 2013 aveva vietato di giocare a Tashkent contro il giocatore israeliano Amir Weintraub, decisione per la quale l'International Tennis Federation (Itf) cancellò la partecipazione della Tunisia alla coppa Davis. Nessun intervento questa volta da parte della Federazione tunisina e sesta vittoria in un torneo internazionale per il 32enne Jaziri.
(ANSAmed, 19 settembre 2016)
«Museo della Shoah, sbloccati i fondi» ma è polemica sull'annuncio del sindaco
L'ex delegata alla memoria: «Procedure partite ma non definitive».
di Camilla Mozzetti
La giornata
Per un giorno - nonostante la bega sulla nomina dell'assessore al Bilancio ancora da licenziare - gli impegni politici della sindaca Virginia Raggi restano in un angolo. Indossando il tricolore, la prima cittadina di Roma ha presenziato ieri alla cerimonia d'apertura della Giornata europea della cultura ebraica. Tuttavia, non senza polemica. Al museo ebraico della Capitale la sindaca ha ricordato l'importanza della memoria: «È quello che ci contraddistingue, dobbiamo rivendicare il passato e partire da lì per fondare un nuovo futuro che sia migliore».
Clima disteso tra il Comune e la Comunità ebraica di Roma. Poi qualcosa si incrina perché la Raggi interviene su un argomento molto delicato: la realizzazione del museo della Shoah. Per chi ha potuto ascoltare le sue dichiarazioni, parrebbe che il traguardo per dare a Roma il primo museo della memoria sia vicino.
La realtà, invece, è più complessa. «Siamo riusciti finalmente a sbloccare i fondi - ha spiegato la Raggi - che da anni probabilmente erano impantanati». Immediato il commento di chi ha, fin dall'inizio, vissuto la vicenda che riguarda la realizzazione del museo della Shoah: Carla Di Veroli, delegata alla memoria all'epoca di Ignazio Marino sindaco.
Le reazioni
«La sindaca Raggi e la sua Giunta non hanno "sbloccato" un bel niente - spiega la Di Veroli - l'ultima Finanziaria ha scomputato dal patto di stabilità le somme necessarie al Comune per realizzare l'opera. O meglio, almeno una parte, 3 milioni di euro per la precisione. E l'iter è stato sbloccato ad agosto ma non è ancora definitivo». La giunta guidata dalla sindaca grillina, spiega Di Veroli, ha pochi meriti in questa faccenda. Unico, la firma del contratto apposta lo scorso primo agosto tra Roma Capitale (nello specifico tra il Dipartimento Lavori pubblici) e la società Sac - Alfredo Cecchini vincitrice ormai più di tre anni fa della gara per la realizzazione del museo. E benché sia in essere la firma del contratto, per dar l'avvio ai primi lavori, manca tuttavia il lasciapassare del Consiglio di Stato che deve pronunciarsi nel merito dei ricorsi presentati da chi era arrivato secondo nella gara d'appalto e, non ultimo, i circa 15 milioni di euro per mettere in salvo la realizzazione dell'opera.
«Siamo riusciti finalmente a sbloccare i fondi - ha insistito la sindaca - e soprattutto abbiamo tutti una grande missione: coinvolgere i nostri bambini, le nostre giovani generazioni in un percorso che sia comune». E a chi le chiedeva se questo percorso prevedesse anche un viaggio nei luoghi della Shoah, ha risposto: «Assolutamente sì: il Comune di Roma lo ha sempre fatto, intensificheremo questi viaggi perché è necessario conoscere il passato per poter cambiare e migliorare il presente e il futuro».
(Il Messaggero, 19 settembre 2016)
Nano Textile: Tecnologia israeliana contro le infezioni negli ospedali
Nella corsa globale per trovare armi potenti contro le infezioni nosocomiali - che colpiscono 511 milioni di pazienti in tutto il mondo con un costo di 12 miliardi di dollari all'anno nella sola Europa - la redazione d siliconwadi.it aveva già trattato l'argomento di una startup israeliana che sta sviluppando un metodo per incorporare nanoparticelle di ossido di zinco su tessuti naturale e sintetici.
Fondata nel 2014, Nano Textile ha ricevuto in licenza la tecnologia proprietaria, della società di trasferimento tecnologico dell'Università Bar Ilan, dove è stata sviluppata dal Prof. Aharon Gedanken.
L'ossido di zinco è noto per le sue proprietà antibatteriche anche contro i ceppi resistenti agli antibiotici, ed è stato approvato dalla Food And Drug Administration.
Il metodo del Prof. Gedanken utilizza la radiazione ultrasonica per formare nanoparticelle incolori di ossido di zinco che vengono poi "gettati" sulla superficie del tessuto ad alta velocità in modo che aderiscano.
I principali vantaggi della tecnologia è che può applicare proprietà antibatteriche su qualsiasi tipo di tessuto, il trattamento non altera affatto il colore del tessuto e l'intero processo è estremamente conveniente.
Spiega il Prof. Gedanken:
In un ambiente ospedaliero, per esempio, la nostra tecnologia può essere utilizzata per l'inserimento di caratteristiche antibatteriche alle uniformi del personale, sui pigiami dei pazienti, sulla biancheria, su coperte e tende, al fine di ridurre in modo significativo la contaminazione e risparmiare così miliardi di dollari.
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Nano Textile attualmente detiene brevetti in Israele e negli Stati Uniti, ed ha brevetti in corso in Europa e in Asia.
Il potenziale di questo tessuto antibatterico va ben al di là delle applicazioni mediche, in quanto è rilevante anche per l'abbigliamento sportivo, indumenti intimi e in luoghi come alberghi e ristoranti.
Nel mese di maggio, l'azienda è stata collocata tra le prime 20 startup del Vadi Ventures and Chinese Cybernaut Fund's China Medical Tech Competition di Tel Aviv, guadagnandosi un viaggio per la gara finale in Cina questo mese di settembre.
L'azienda, con sede a Ramat Gan, ha firmato accordi di cooperazione con diversi produttori tessili israeliani.
(SiliconWadi, 19 settembre 2016)
La grande esperienza israeliana nel congresso internazionale di maxiemergenza a Saluzzo
I lavori si sono aperti quest'oggi, domenica 18 settembre. Unanimi apprezzamenti per il lavoro svolto dal direttore della "Maxi" Raviolo e dal suo entourage, che ha permesso di portare nel saluzzese un evento formativo di alta caratura
Si è aperto questa mattina, nella cornice dell'antico Palazzo comunale di Saluzzo, il "First international Medical Seminar Israel-Italy on emergencies and mass casualty incidents", straordinario evento formativo sulla risposta sanitaria alle catastrofi ed agli incidenti di massa organizzato dalla struttura di Maxiemergenza regionale 118.
Ad aprire i lavori del primo giorno di congresso, il direttore della "Maxi" piemontese, il dottor Mario Raviolo, a tratti visibilmente emozionato.
Nel valzer di saluto delle autorità, unanimi sono stati i ringraziamenti e gli apprezzamenti per il gran lavoro svolto da Raviolo e dal suo entourage, che ha permesso di portare nel saluzzese un evento formativo di alta caratura.
"Se io vivo - ha detto il dottor Raviolo - è grazie al mio staff, fatto di persone semplici, accomunate da una gran voglia di lavorare", per poi presentare i suoi collaboratori Paola Silvestro, Ferdinando Olivero, Maurizio Capellino, Gianni Demaria, Maria Grazia Acciardi, Luciana Cagna e Maria Rivoira.
In platea, oltre ai massimi esperti israeliani di risposta agli incidenti maggiori, i vertici dell'Arma dei Carabinieri, con il capitano Giuseppe Beltempo, alle prime uscite da comandante della compagnia di Saluzzo e il Luogotenente Fabrizio Giordano, capo della locale stazione.
Una giornata all'insegna di uno scambio tra le realtà italiane e quelle israeliane, che hanno portato nel saluzzese una grande esperienza in materia.
L'ingegner Moskovitz ha parlato dell'ospedale di Rambam, che in caso di allarme in 72 ore è in grado di trasferire degenti e strumentazione nei tre piani di parcheggi sotterranei, che diventano una struttura fortificata con una capienza di 2mila posti letto, sale operatorie, cucine e reparto dialisi.
La professoressa Eilat Shinar ha poi invece affrontato la grande tematica del ruolo della banca del sangue nella gestione dei disastri e degli incidenti maggiori. In sala la Shinar sarà accumunata alla "quinta madre di Israele", colei che ogni sera va a dormire "con un pizzino che riporta l'esatta situazione della disponibilità di sangue dello Stato".
La tematica sulla disponibilità di sangue in caso di eventi maggiori è poi stata ripresa dalla dottoressa Rosa Chianese, dirigente del Centro regionale di compensazione dei Centri trasfusionali del Piemonte.
Poi è stata la volta di Riccardo Di Segni, capo della comunità ebraica romana, intervenuto con una lettura magistrale sull'etica nell'assistenza medica, che ha lasciato la parola al maggiore Erica Flesher, dell'esercito israeliano. Nel suo intervento, la Flesher ha spiegato il concetto di resilienza nazionale all'interno del sistema di protezione civile durante la risposta agli eventi maggiori.
Spazio anche all'organizzazione del "nostro" 118, di cui hanno parlato il dottor Danilo Bono, che ha illustrato come da settembre 2016 anche la sanità, con i suoi ministeri, è entrata a far parte del sistema di Protezione civile, ribadendo come il sisma del Centro Italia "ha evidenziato una serie di pecche e di problemi da risolvere urgentemente". Anche il direttore Egle Valle ha portato all'attenzione della platea come si struttura il "sistema 118 Piemonte".
In ultimo, Felix Lotan, direttore del Maghem David Adom di Gerusalemme, che a sua volta ha illustrato mezzi, modi di intervento e personale in servizio di quello che in buona sostanza è il 118 dello Stato di Israele.
Il congresso proseguirà domani (lunedì 19 settembre) sempre all'antico Palazzo comunale saluzzese. Martedì sarà la volta della grande esercitazione pratica in località segreta, mentre mercoledì i lavori giungeranno alla conclusione.
Immagini del Congresso di Saluzzo
(TargatoCn.it, 18 settembre 2016)
Iniziata la distribuzione di aiuti della seconda nave turca inviata nella Striscia di Gaza
ANKARA - Le autorità della Striscia di Gaza hanno avviato la distribuzione del secondo carico di aiuti umanitari inviato dalla Turchia. Lo riferisce l'agenzia di stampa turca "Anadolu". Fahrettin Goker, membro dell'Autorità turca per la gestione delle emergenze dei disastri (Afad) ha sottolineato ai media che la missione è volta a consegnare aiuti alla popolazione, precisando che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha supervisionato personalmente gli aiuti finché non è iniziata la consegna alla popolazione della Striscia. Da parte sua sottosegretario per il ministero degli Affari sociali di Gaza, Youssef Ibrahim, ha assicurato che la distribuzione degli aiuti verrà di distribuita in varie fasi.
(Agenzia Nova, 18 settembre 2016)
Quando il calcio racconta il riscatto di una città
Le vittorie dell'Hapoel rilanciano Beer Sheva
Si sono trovati in una cinquantina in una traversa di via Torino per bere una birra insieme. Un sala di un pub nel centro di Milano affittata per l'occasione, per esorcizzare l'attesa. La sera infatti c'era l'Inter. Il loro Hapoel Beer Sheva, bistrattato e a lungo preso in giro in patria, lo scorso giovedì scendeva in campo in uno degli stadi più noti d'Italia, San Siro, per giocarsi l'Europa League. "Fino a due anni fa non ci avremmo creduto - racconta uno dei tifosi, accento misrachi (gli ebrei provenienti dai paesi arabi) e da poco uscito dalle file dei Golani, il reparto d'élite dell'esercito israeliano - Ora siamo qua. E sfidiamo l'Inter. Noi rappresentiamo la rivalsa delle periferie, il riscatto del Sud". Cosa significa, lo spiega un altro ragazzo alla domanda sul come sia vivere a Beer Sheva, una città che in Israele molti descrivevano come un posto dove "vai, concludi i tuoi affari, e levi le tende il più velocemente possibile". "Se vieni da fuori e guardi Beer Sheva pensi sia una città brutta. In realtà qui noi abbiamo tutto, siamo felici, se la conosci dall'interno non manca nulla, ci sono prospettive. - racconta - È cambiata negli ultimi anni così come è cambiata la nostra squadra. Siamo passati dall'essere l'anonima città del Sud, che invidia Tel Aviv a una realtà viva, che nel calcio riesce a stare davanti ai miliardari del Maccabi (Tel Aviv, la squadra israeliana più vincente del campionato israeliano)".
Obiettivamente Beer Sheva rimane una città bruttina, seppur l'Hapoel ne abbia riscattato l'onore lo scorso anno, vincendo il campionato israeliano dopo 40 anni di digiuno. Ma nonostante l'estetica, gli studenti non fuggono più come in passato. Amitai, studente di scienze politiche, spiega che "un tempo nel weekend la città si svuotava. Tutti tornavano a casa. Ora molti rimangono e si passa insieme il tempo a Beer Sheva. Chi torna invece da mamma e papà, viene preso in giro e bollato come mammone".
Ma Beer Sheva non è solo una città universitaria. E soprattutto un esempio della periferia di Israele, quella più emarginata e meno abbiente. Luogo di immigrazione russa e misrachi, realtà a lungo economicamente depressa, con una disoccupazione più alta rispetto al nord e strade e abitazioni a tratti fatiscenti; un luogo che faceva difficoltà ad attirare investimenti, incanalati verso quella Silicon Wady che gravita attorno a Tel Aviv e che costituisce il cuore pulsante della Startup nation. Ora (dagli anni duemila), come si diceva, il vento sembra essere cambiato, tanto che un anno fa il governo ha ideato un progetto volto a rendere la città un centro dell'high tech israeliano (l'idea è di portare circa 2500 lavoratori a lavorare nell'area, attraverso alcuni incentivi, tra cui sulla casa). Ma di nuovo a segnare la strada di questo cambiamento sembra essere stato la squadra dell'Hapoel Beer Sheva: l'arrivo nel 2007 di Alona Barkat - prima, e al momento unica, donna a guidare una squadra di calcio israeliana - ha segnato la storia della società, riportando l'entusiasmo tra i gamalim (i cammelli, come si sono autosoprannominati i tifosi del Beer Sheva) e gli investimenti sia in termini economici sia sociali. Nonostante gli errori iniziali, la Barkat ha portato l'Hapoel in alto, addirittura più in alto di tutti, risvegliando l'orgoglio dell'intera città: in 100mila hanno festeggiato quest'estate la vittoria del campionato. "Ora viaggiamo a testa alta, tutti - spiegava un altro tifoso mentre sorseggiava una birra davanti al Duomo di Milano - e anche stasera sarà così, con l'Inter". Con un certo ironico scetticismo, il tifoso si era sentito rispondere che difficilmente sarebbero usciti da San Siro senza subire un largo passivo. E invece la partita è finita 2 a 0 per l'Hapoel. Un altro piccolo miracolo per una squadra e per una città per cui il riscatto continua.
(moked, 18 settembre 2016)
Raggi ricuce con la comunità ebraica di Roma
Nella Giornata Europea della Cultura Ebraica la sindaca inaugura la mostra «Libro Aperto - opere di Paola Levi-Montalcini»
di Ariela Piattelli
ROMA - Virginia Raggi taglia il nastro di una mostra e ricuce con la Comunità ebraica di Roma, promettendo che i viaggi didattici degli studenti ad Auschwitz si faranno e ribadendo l'impegno per il Museo della Shoah.
La Sindaca alla Giornata Europea della Cultura Ebraica
Dopo aver studiato il campo, inviando «emissari» a tastare il terreno nei giorni scorsi per decidere su
quale piazza giocare l'esordio ufficiale di Virginia Raggi nel mondo ebraico, la sindaca arriva al museo
ebraico con Luca Bergamo, suo assessore alla cultura con delega alla memoria, per inaugurare la mostra «Libro Aperto - opere di Paola Levi - Montalcini», a cura di Giorgia Calò, che ha dato il via alla giornata europea della cultura ebraica.
Accolta dal presidente della comunità Ruth Dureghello, Raggi entra per la prima volta nelle stanze che raccontano la storia degli ebrei romani: «La cultura ebraica è pervasa dall'influenza dei luoghi da cui proviene - ha detto la sindaca commentando la mostra -. La cultura è il collante che consente di accogliere tutte le diversità, ma che ci rende tutti collegati e tutti fratelli». Raggi ha infine sottolineato l'urgenza «di combattere il radicalismo, l'estremismo e il terrorismo di cui siamo tutti vittime».
«Si» ai viaggi didattici ad Auschwitz
Mentre lascia il museo, incalzata dalla stampa, Raggi assicura che i viaggi didattici per gli studenti romani ad Auschwitz-Birkenau si faranno, e così ricuce uno strappo che aveva creato distanze tra il mondo ebraico romano e la nuova amministrazione, sin dalle sue prime giornate in Campidoglio: infatti nelle linee guida dell'amministrazione Raggi non c'era traccia dei viaggi didattici nei luoghi dello sterminio nazista, inaugurati da Francesco Rutelli, e realizzati da tutti i sindaci, da Walter Veltroni, passando per Alemanno e Marino.
Questa assenza aveva sollevato timori nell'ebraismo romano, e anche malumori acuiti dal fatto che ai funerali dei reduci della Shoah Settimio Piattelli ed Enrica Zarfati non c'era nessuno del comune di Roma. «Siamo riusciti a sbloccare i fondi del Museo della Shoah - ha detto la Sindaca - che erano rimasti impantanati per anni. Intensificheremo anche i viaggi (della memoria). In parte il comune li ha sempre fatti. E' necessario conoscere il passato per poter cambiare e migliorare il presente e il futuro».
«La notizia la sento adesso per la prima volta - ha detto Ruth Dureghello -. Sono lieta che sia confermata ufficialmente, perché tutto ciò che valorizza la memoria comune è importante. Ci auguriamo di arrivare ad un risultato concreto in tempi brevi, perché purtroppo i testimoni della memoria stanno scomparendo».
(La Stampa, 18 settembre 2016)
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Raggi ricuce con la Comunità ebraica, ma su Facebook si scatenano i commenti antisemiti
Dure parole in risposta al post della sindaca di Roma
di Ariela Piattelli
ROMA - Virginia Raggi aveva appena ricucito con la Comunità ebraica romana, andando ad inaugurare la giornata europea della cultura ebraica e promettendo che i viaggi ad Auschwitz per gli studenti si rifaranno ancora, e confermando l'impegno per il Museo della Shoah, quando è arrivata su Facebook l'ondata di commenti antisemit i, tra cui anche quelli di alcuni sostenitori della Sindaca.
Raggi aveva suggellato il riavvicinamento tra Campidoglio ed ebrei romani con un post sul suo profilo ufficiale Facebook, un post istituzionale, dove ribadisce gli impegni presi e in cui afferma che la memoria contraddistingue l'amministrazione capitolina. E dopo i rapporti travagliati tra ebrei italiani e Movimento 5 Stelle, su Roma sembrava tornato il sereno. Poi, in poche ore i commenti di insulti antisemiti e antisionisti si sono susseguiti senza sosta, anche da parte dei sostenitori della Sindaca.
«Virginia Raggi ok, ma della cultura ebraica fanculo». «Occupiamoci di cose utili Signora Raggi, di questo non ce ne frega niente» scrivono i più teneri. «Non dimentichiamo anche gli altri genocidi però, Virginia! La memoria non dev'essere selettiva. Guarda caso si parla sempre e solo dello sterminio del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale. Guarda caso
» le fa notare un altro. «Questa è la prima vera mossa sbagliata della Raggi: andare da coloro che sono il peggio nel panorama mondiale» - scrive un deluso, che, evidentemente, ha trovato le altre mosse dell'amministrazione capitolina sino ad oggi giuste. «Allora ci vorrebbe un museo anche per la giornata della memoria delle vittime degli ebrei
Comunque forza Virginia, credo che ai romani interessano altre cose più urgenti» scrive una sostenitrice di Raggi corredando il commento con una immagine che paragona i nazisti allo stato d'Israele. «Finché non si mette fine al genocidio palestinese le istituzioni italiane devono prendere le dovute distanze dalla cultura ebraica» e ancora «Con la storia degli ebrei che oggi sono quelli che massacrano i palestinesi perdi solo consensi. Avresti fatto meglio a non mettere questo post».
Il mare di insulti e di messaggi antisemiti non passa inosservato: «Amatissima sindaca Virginia Raggi, per valutare quanto l'amore per l'ebraismo sia diffuso tra gli adepti alla tua setta, guarda i commenti al tuo post. Mancano solo i "sieg heil" (saluti nazisti) e il richiamo ai protocolli dei Savi di Sion, per il resto il campionario delle schifezze antisemite è al completo» scrive un utente.
Dei commenti al post di Raggi si accorge anche la Comunità ebraica romana. «I commenti ferocemente antisemiti ed antisionisti apparsi sulla pagina ufficiale della Sindaca Raggi a margine di un suo post dove raccontava perfettamente lo svolgersi dell'evento dedicato alla Giornata Europea della Cultura Ebraica - dice il vice presidente Ruben Della Rocca-, gettano un'ombra oscura e maligna su una mattinata piacevole e dettata dalla voglia di costruire assieme per la nostra amata città. Evidentemente il cancro dell'antisemitismo produce metastasi difficili da controllare e debellare ed è alimentato da menti rozze ed ignoranti dalle quali speriamo che la Sindaca voglia prendere le distanze a chiare lettere e senza indugi».
La sindaca, travolta dai commenti antisemiti, reagisce soltanto in serata: «Ho letto alcuni commenti, pochi per fortuna, che sono lontani dallo spirito della giornata di oggi, da quello del M5S e dei cittadini romani - scrive commentando il suo post -. La cultura aiuta a superare pregiudizi e divisioni che non possono appartenerci. Roma è di tutti: è una moderna metropoli cosmopolita all'interno della quale le barriere ideologiche non hanno e non avranno mai spazio». Evidentemente, però, la parola "antisemitismo" non trova ancora spazio nel suo vocabolario.
(La Stampa, 18 settembre 2016)
In Israele "segnali di ripresa dopo un anno difficile"
La direttrice dell'ente del turismo annuncia una nuova legge per gli hotel e l'aeroporto nel deserto di Eilat. La compagnia El Al ritorna a 12 frequenze alla settimana.
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Avital Kotzer Adari, direttrice dell'ufficio del turismo di Israele in Italia
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"Un anno non facile, ma ci stiamo riprendendo, gli operatori mi dicono che ci sono segnali positivi", la direttrice dell'ufficio del turismo di Israele in Italia, Avital Kotzer Adari, accenna all'ottimismo annunciando la ripresa della campagna di comunicazione online per fine settembre. "Two cities. One break" mira a spingere i viaggi di pochi giorni da 550 euro secondo diverse tematiche, lanciata nel luglio scorso, è la più importante degli ultimi otto anni. "Ci prepariamo anche a una nuova legge voluta dal Ministero del turismo, che punta a sviluppare gli investimenti alberghieri, snellendo la burocrazia per la costruzione di nuove strutture - continua Kotzer Adari -, mentre dal 2017 avremo un altro aeroporto internazionale, il secondo del Paese". Tra le priorità in Italia, la promozione del turismo Lgbt per il quale sono previsti significativi finanziamenti e durante NF16 l'ente sviluppa un approfondimento.
Nuovo aeroporto ad Eilat
Situato nel deserto della Valle del Timna, il Ramon International si trova a 18Km da Eilat, sul Mar Rosso. E' pianificato per servire circa 2,25 milioni di passeggeri in un primo tempo, per salire a 4,25 milioni durante la seconda fase nel 2030. "Conto che la domanda degli italiani verso Israele torni ad essere importante - commenta il direttore generale di El Al Israel Airlines, Yoav Weiss -, il 2016 non è stato un buon anno anche se non abbiamo ridotto i voli, in quanto gli israeliani hanno sempre tenuto alto il riempimento venendo in Italia". Nell'inverno si torna alle 12 frequenze alla settimana (due in più), da Roma e da Milano, più le tre da Venezia. Lacompagnia ha attuato il più importante investimento in flotta e attende quindici B787 che via via andranno a sostituire i vecchi aeromobili; il primo è previsto per agosto. Il wifi viene introdotto su tutti gli aerei, a cominciare dall'inverno sui primi esemplari, per arrivare a completamento nel 2017.
Intanto, le relazioni d'affari con Israele vedono l'area veronese attiva con una missione di operatori turistici (anche trentini) a Tel Aviv. Oltre 100mila turisti lo scorso anno hanno soggiornato a Verona e in Trentino grazie a un volo charter che atterra al Catullo. La camera di commercio di Verona organizzerà l'iniziativa gemella nella città scaligera per conto dell'omologa Cciaa Israel-Italia, al fine di promuovere i flussi verso Israele.
L'ente ha assegnato i premi alla stampa 2016, durante una serata nella prima struttura milanese del Gruppo israeliano Leonardo Hotels, a L'Agenzia di Viaggi è andato il riconoscimento per il trade.
(Guida Viaggi, 18 settembre 2016)
Quando il Salento accoglieva i profughi ebrei scampati alla Shoah
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, sorsero sulla costa salentina numerosi campi profughi per accogliere migliaia di ebrei sopravvissuti all'Olocausto e in attesa di partire per la Palestina. Il più noto tra questi sorse a Santa Maria al Bagno.
di Antonio Verardi
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Profughi ebrei nel Salento
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Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, numerosi campi profughi sorsero in tutta Italia. Nacquero con lo scopo di accogliere migliaia di ebrei che, sopravvissuti all'Olocausto, avevano raggiunto le coste italiane, nella speranza di effettuare l'Aliyah Beth, cioè di sbarcare in Palestina.
Nell'attesa della partenza, che poteva durare anche cinque anni, essi vivevano in kibbutz e campi di accoglienza che vennero costruiti, tra il 1943 e il 1948, in grandi città come Milano, Torino e Napoli, ma anche in piccoli centri, con una particolare concentrazione sulle coste pugliesi. In particolare, nel tratto di costa che si estende da Nardò fino all'Adriatico, sorsero moltissimi campi. A Tricase, Santa Caterina di Nardò, Santa Maria di Leuca e Santa Cesarea Terme vennero ospitati soprattutto ebrei askenaziti che, qui, si rinfrancavano e riprendevano le forze prima di proseguire il viaggio verso la Palestina.
Si trattava di campi gestiti dalla United Nations Relief and Rehabilitation Adminitstration (Amministrazione delle Nazioni Unite per l'assistenza e la riabilitazione), nota con la sigla "UNRRA"; sorgevano spesso all'interno di ex campi di internamento fascista, scuole, caserme, edifici pubblici o, più semplicemente, nello spazio ricavato dall'unione di case o ville, sequestrate agli abitanti del luogo. All'interno di questi campi vennero presto costruiti asili nido, scuole, mense, biblioteche e vennero avviate attività commerciali, uffici postali e luoghi di preghiera.
A Santa Maria al Bagno, sorse, probabilmente, il campo più grande. Le autorità militari lo indicarono con la dicitura "Displaced Persons Camp numero 34". Santa Maria al Bagno era un borgo di pescatori, fatto di semplici costruzioni e abitato da gente tranquilla, un luogo perfetto in cui inviare i profughi ebrei. La gente del posto veniva da una convivenza coatta con gli slavi, che si erano rivelati coinquilini turbolenti, si erano impossessati delle case e le avevo deturpate, trattandole con incuria.
Ma con gli ebrei fu diverso. Nel campo venne allestita una Sinagoga e sorsero una scuola, un ospedale e il servizio postale. Inoltre, furono attivati corsi di falegnameria, maglieria, sartoria, scrittura a macchina, meccanica o pesca per gli adulti. I profughi venivano sfamati alla mensa gestita dall'UNRRA e avevano a disposizione alimenti come la cioccolata, il pane caldo e la carne, tutto cibo insolito per i salentini, che avevano conosciuto la fame nel periodo della guerra.
Gli ebrei, sin da subito, cominciarono a barattare gli alimenti, scambiando il pane con il pesce, fino a regalarlo semplicemente, come gesto di riconoscimento di grande stima per quel popolo che li accoglieva, così benevolo e accomodante.
Col passare del tempo, i rapporti tra gli ebrei e i salentini si fecero sempre più stretti e amichevoli ed anche la situazione economica della cittadina pugliese migliorò notevolmente, grazie anche al lavoro dei rifugiati, che diedero vita ad attività economiche basate sul commercio del pesce e ad alcuni negozi di vestiario. I bambini ripresero la vita normale, ricominciando la scuola e rimpossessandosi della felicità di cui erano stati privati.
Si conta che, in quegli anni, nell'ospedale di Leuca nacquero oltre duecentocinquanta bambini ebrei. Figli di giovani madri con un futuro incerto e un passato spezzato, venivano al mondo a pochi metri dalla spiaggia, circondati dal sole e dall'odore del mare, che per i loro genitori significavano molte cose, ma sopratutto una: la libertà.
Ma il dato più rilevante che testimoniò il rifiorire della vita dei profughi fu il gran numero di matrimoni che vennero contratti nel campo numero 34 nel giro di nemmeno due anni. Furono oltre 400 i matrimoni celebrati nel corso di questo tempo. Uno di questi fu quello di Zivi Miller. Zivi era un rifugiato taciturno, schivo, che aveva avviato una lavanderia, avvalendosi della collaborazione della sua vicina di casa, Giorgia My, che lo aiutava, sgravandolo del carico di lavoro che aveva accumulato nel corso dei mesi. La donna fu l'unica ad aprire un varco nel cuore dell'uomo. Lui le raccontò le atrocità che aveva dovuto sopportare: la più grande gli aveva strappato figlio e moglie dalle braccia, per portarli incontro alla morte. Giulia e Zivi si innamorarono, si sposarono nel comune di Nardò e poi partirono insieme per Israele.
Zivi era un pittore, un mestiere che gli aveva consentito di racimolare un gruzzolo che consentiva a lui e alla sua famiglia di vivere degnamente, prima di venire strappati alla vita di ogni giorno e di finire nei campi di concentramento. L'uomo imparò a dare forma ai suoi pensieri, con un pennello e un po' di colore, anche durante la permanenza a Santa Maria al Bagno.
Zivi, il pittore, scoprì una casupola abbandonata nei campi incolti che costeggiavano la cittadina e lì si rifugiò realizzando dei bellissimi murales. Nessun terrore, nessuna delle atrocità che Zivi vide e sopportò nei campi di concentramento sono finite su quei muri e in quei disegni. C'è, piuttosto, l'impellenza di guardare avanti e il sogno più grande a cui ambire, in quel momento, era semplicemente la Terra Santa, la necessità viva e vera di avere una meta, una terra propria, un sogno che accomunava tutti i rifugiati. Così, impresse sui muri, ci sono immagini di filo spinato, stuoli di persone che camminano speranzose verso il centro di Santa Maria, la terra promessa simboleggiata sempre da una stella di David inscritta in un sole, una porta d'accesso su una nuova vita.
Al ricordo di queste vicende, alle tracce lasciate dagli ebrei transitati dal Salento, al rapporto con la popolazione salentina, è dedicato oggi il Museo della Memoria e dell'Accoglienza, allestito a Santa Maria al Bagno, proprio nella casa rossa decorata da Zivi il pittore. L'accoglienza che ebbero gli ebrei a Nardò ha determinato, nel 2005, la concessione alla città, in rappresentanza di tutte le altre, della medaglia d'oro al valore civile.
Eppure, la naturale predisposizione alla convivenza rispettosa da parte della popolazione non era condivisa, spesso, da parte delle autorità. Queste descrivevano gli ebrei come disturbatori della quiete pubblica, colpevoli di contrabbando e dediti al mercato nero. Ne derivò, nel '46, una campagna stampa dai caratteri tipicamente antisemiti, che provocò la reazione degli ebrei: nel Campo di Santa Cesarea Terme essi si lasciarono andare ad atti di vandalismo; a Nardò, i proprietari delle ville che erano state requisite per formare il campo, organizzarono una protesta per chiederne la restituzione e il risarcimento per i danni subiti. Questi avvenimenti spinsero il prefetto a chiedere alle autorità romane la smobilitazione dei campi, che vennero definitivamente chiusi nel 1947.
Alla fine, più di quarantamila furono gli ebrei passati dai campi del Salento prima di rifarsi una vita in Palestina. Tra di loro, anche futuri protagonisti delle vicende politiche dello Stato d'Israele, come Dov Shilanski, deputato al Parlamento d'Israele dal 1977 al 1996 e poi Presidente dal 1988 al 1992.
(Pugliain.net, 18 settembre 2016)
«Riflettiamo sulla parola shalom»
Milano - Oggi la giornata della cultura ebraica con spettacoli e dibattiti in via della Guastalla.
Oggi Milano celebra la cultura ebraica. E invita a scoprire storia, luoghi e tradizioni degli ebrei tra visite guidate a sinagoghe, musei e quartieri ebraici, spettacoli, mostre, concerti, degustazioni kasher. La giornata si aprirà alle ore 11 alla sinagoga di via della Guastalla con un momento di riflessione sul valore della parola e, in particolare, sul significato della parola «pace/shalom». Al dibattito parteciperà anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti. «La riflessione pubblica sull'importanza della parola - commentano l'assessore all'Educazione Anna Scavuzzo e alla Cultura Filippo De Corno - è un contributo importante allo sviluppo di un pensiero che interroga l'intera comunità cittadina. E contribuisce alla costruzione di un dialogo vero e profondo su qualunque tema del vivere umano. Lo scambio di idee, opinioni e di pratiche con la comunità ebraica, così come con tutte le comunità che abitano il nostro territorio, non può che favorire un dibattito culturale sempre più fertile per una convivenza nel segno della pace».
Tra gli appuntamenti più attesi quello con il professor Norman Stillman che terrà una lectio magistralis dal titolo «Quando gli ebrei parlavano arabo», per non perdere la memoria di un'epoca che vide fiorire la cultura ebraica in terra d'islam. Alle 13 ci sarà la visita guidata alla sinagoga. Alla residenza per gli anziani di via Arzaga verrà inaugurato il giardino della salute. E al museo della Scienza e della tecnica si terranno vari eventi, tra cui lo spettacolo di umorismo yiddish della compagnia teatro Alle 17,30 il Settimo. Il filologo Giulio Busi condurrà il pubblico in un viaggio attraverso «le parole ebraiche nell'arte, nella letteratura e nella Bibbia».
La giornata - il cui programma completo si trova sul sito dell'Ucei - si concluderà alle 21,15 con un percorso musicale attraverso le canzoni ebraiche. Il Memoriale della Shoah resterà aperto al pubblico per tutto il giorno.
Qui si terrà anche la mostra «Ebrei a Shangai», l'esposizione che gli imprenditori cinesi a Milano hanno voluto organizzare, in collaborazione con università e consolato, per ricordare quando, tra gli anni Trenta e Quaranta, migliaia di ebrei furono acconti in Cina. La comunità cinese torna a chiedere l'intitolazione di una via o di un albero della città a un eroe cinese che salvò centinaia di ebrei.
«Centrale in quella grande azione di salvezza e solidarietà - ricorda Francesco Wu, presidente di Uniic e figura di spicco della comunità cino milanese - fu Ho Feng Shan, allora console cinese a Vienna, un vero e proprio Schindler cinese,che facendo passare dai porti italiani migliaia di ebrei europei grazie al suo ruolo diplomatico, ne determinò la salvezza. Ho Feng Shan è un giusto tra le nazioni e concordo con Gabriele Nissim nel prevedere la piantumazione di un albero con targa a suo memoria, ma ancor di più penso che la dedica a lui di una via della nostra città sarebbe un fatto valido e concreto con un doppio significato: ricordare un grande atto di contrasto alle barbarie naziste e, allo stesso tempo, riconoscere una realtà di integrazione, solidarietà, amicizia».
(il Giornale, 18 settembre 2016)
Accadde oggi, 18 Settembre 1938, il via in Italia alle famigerate leggi sulla razza
Dopo 17 anni di Regime, nel 1938, il Fascismo, trainato da Hitler, scopre di essere razzista, in un Paese, l'Italia, che ha avuto mille dominazioni, mille eserciti invasori... e vara leggi su una immaginaria razza ariana, termine che rappresentava solo un gruppo di popoli indoeuropei, accomunati, forse, da un'unica famiglia linguistica originaria.
di Daniele Vanni
Se c'è un paese, che, ancor prima di moderne migrazioni bibliche e di globalizzazioni, è ed è stato un miscuglio indescrivibile di etnie e popoli diversi, questa è l'Italia!
Senza contare gli Etruschi, gli Osco-Umbro-Sabelli, gli Apuli, i Liguri e tutti i popoli italici primordiali, le invasioni celtiche e le colonie greche, dopo i Romani, abbiamo avuto Goti, Longobardi, Franchi, fino ai Lanzechinecchi e tutti gli eserciti spagnoli, svizzeri, francesi, austriaci e tedeschi, ciascuno dei quali, orda, popolazione o esercito, ha lasciato una serie infinita di figli e nipoti, che si sono mescolati fra di loro e con gli Arabi, gli Spagnoli che hanno occupato per secoli e secoli il nostro Meridione!
Pare quindi un tantino azzardato che il Fascismo, con un'ideologia alquanto raffazzonata ed improvvisata, rivendicasse, tutto d'un tratto, sotto la spinta dei Tedeschi, la "purezza ariana" di una popolazione che ha forse il DNA con più "razze" assommate assieme al mondo!
Ora, c'è da dire che nel 1938, di acidi nucleici e di riproduzione cellulare, si sapeva poco o niente e quindi, quando si parlava di caratteri somatici, ci si rifaceva, più che altro, a testi di stampo ottocentesco, alla Lombroso, per intenderci, che si basavano, su osservazioni, a volte anche intelligenti, su similitudini, ma niente di scientifico. Se ne riparlerà dopo il 1953, con la doppia eleica di Watson e Crick che non erano "ariani", ma uno, americano e l'altro, britannico.
Per di più, per tornare al Fascismo, se certi germi c'erano indubbiamente in origine, diciassette anni per diventare razzisti, su un Regime che ne durò 21, sono un po' troppi!
Sono quindi concorde, con gli storici che affermano che il "razzismo" (per certi versi assai "annacquato", per altri scopiazzato dal Nazismo) del Fascismo italiano e le Leggi Razziali del 1938 furono "a rimorchio" di Hitler e della Germania, a cui ormai l'Italia era legata a doppio filo.
E, in verità, trainata e trascinata verso la catastrofe. Per cui sempre in linea con queste interpretazioni, c'è da dire che il Fascismo (in linea anche con l'umore e la salute psichica del suo Capo, perché sono sconosciuti dittatori o uomini dal potere assoluto esenti da paranoia o peggio) fino all'inizio degli anni '30, ebbe una fase di realizzazioni anche positive, ma dopo l'avvento del Nazismo in Germania, ebbe un'accelerazione che lo portò prima a incomprensibili guerre coloniali e poi ad imboccare una strada senza uscita di cui le Leggei Razziali, non sono che un'uscita di strada di un carro ormai quasi non più guidato da Mussolini e tanto meno dagli Italiani.
Concordo però, come dicevo, anche con alcuni degli storici del fronte opposto, che vedono dei "germi" di razzismo nel Fascismo e, addirittura, nel Mussolini socialista. Quindi, assai prima. Vero è, e questo taglia la testa al toro di una disputa che andrebbe però inserita nella cultura e nel sentimento del tempo: non si era da secoli in pieno colonialismo che aveva come presupposto l'inferiorità delle razze colonizzate?
Indubbiamente però, se non vogliamo prendere una o l'altra posizioni ed avere idee preconcette, appunto come era il "razzismo" di quei tempi, è vero che, nell'unico documento organico, sull'ideologia fascista, quello del 1932, non v'è traccia, né di razzismo, né di concetti di razza o arianesimi vari. Ma solo di uno stato etico assoluto, omnipresente. Per questo definito da Gentile: spiritualista.
Che quindi andava seguito, anche quando sbagliava. E forse, almeno nell'idea del Duce, soprattutto quello delle lettere di Ben a Claretta Petacci da Salò, amareggiato, deluso e invelenito contro il suo popolo, fino al sacrificio della vita! Cose che viste oggi, sembrano più consone ad una città come Sparta, che non all'Italia del secolo scorso!
Sia come sia, le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicate in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolte prevalentemente - ma non solo - contro le persone di religione ebraica.
Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città.
Furono varate con Regio decreto del 5 e 7 settembre ed erano state precedute di qualche settimana, dal Manifesto degli Scienziati Razzisti (per il quale Einstein dette le dimissioni dall'Accademia dei Lincei) e dal varo della rivista "La difesa della razza".
La conseguenza fu l'espulsione in massa dei tanti insegnanti, soprattutto universitari ebrei e la fuga di cervelli, tra i quali Fermi, Pontecorvo, Segrè e tantissimi altri: fatto che indebolì non di poco l'Italia, militare, industriale ed intellettuale. E forse l'effetto più eclatante, da questo punto di vista, di queste scellerate leggi, (difese da un giovanissimo Almirante sula rivista creata appositamente per "La difesa della razza") sarà che immediatamente, l'Italia perde forse l'unico primato "bellico" che aveva: gli studi sulla scissione del'atomo, che la potevano portare per prima, alla produzione di una rudimentale, ma efficace bomba atomica!
Un po' come era stata per l'espulsione degli Ebrei, i cosiddetti "Marrani" o Sefarditi e Conversos, dalla Spagna di fine '400, che non si riebbe più dall'uscita dei Mori verso l'Africa e degli Ebrei verso le città più disparate, ad esempio il porto franco di Livorno ed altre città toscane. Oltre, soprattutto, Roma e Venezia.
Nella stessa data di oggi, cinque anni dopo, nel 1943, nel Campo di sterminio (solo sterminio, perché non c'erano nei pressi fabbriche, come in altri campi di concentramento nazisti) di Sobibor in Polonia, (dove si stima siano stati gasati, cremati o sepolti circa 300.000 Ebrei, in gran parte polacchi e russi), si eliminano gli Ebrei provenienti da Minsk, dove vi erano state inenarrabili massacri nel ghetto.
Uno, di questi eccidi, fu ricordato dallo stesso Eichmann, nel suo processo in Israele nel 1961, nel quale raccontò, non so se per spavalderia, tanto sapeva della sua sorte certa, o per follia! del fatto che durante quel giorno, al campo, si era innervosito non poco, per il fatto che durante l'esecuzione di un'intera scuola, con tutti i bambini e gli insegnanti, materia cerebrale di un bambino ed il suo sangue, gli aveva sporcato la divisa!!!
"Ricordando questo episodio e altri, la prima volta che vidi le teche con i capelli, biondi, teneri, slavati dal tempo, che venivano tagliati soprattutto alle donne, prima dell'esecuzione, per essere poi reimpiegati, mi venne un tale vomito e febbre alta, che dovetti stare due giorni a letto in albergo. Loro, gli Ebrei di Minsk, non avevano la possibilità di avere stomaco debole come il mio, e dovevano avere la forza della disperazione e forse perché venivano da una città che si era dimostrata forte ed orgogliosa e ribelle pur di fronte alla morte, il 18 settembre (si erano raddoppiate apposta le camere a gas, diventate sei!) li eliminarono tutti!!"
Un mese dopo, proprio a Sobibor! ci fu una coraggiosissima rivolta, con undici ufficiali tedeschi uccisi ed altri feriti. Riuscirono a scappare in qualche centinaio, ma tra saltati sulle mine e ripresi dalle SS, forse una cinquantina o meno si misero in salvo.
Ma la ribellione aveva dimostrato tante cose
(DiLucca.TV, 18 settembre 2016)
Il sistema di difesa antimissile israeliano intercetta due razzi provenienti dalla Siria
GERUSALEMME - Il sistema di difesa anti-missile israeliano "Iron Dome" ha intercettato oggi due razzi esplosi dalla Siria per la prima dall'inizio del conflitto siriano nel 2011. I razzi sono stati distrutti nell'area delle alture del Golan, nel nord di Israele. Secondo fonti dell'esercito siriano citate dal quotidiano israeliano "Jerusalem Post" i due razzi intercettati non avevano come obiettivo il territorio israeliano ma sarebbero colpi vaganti nell'ambito dei combattimenti tra l'esercito siriano e i gruppi ribelli attivi in una porzione delle alture del Golan.
(Agenzia Nova, 17 settembre 2016)
«Vi racconto il miracolo della lingua ebraica»
Il semiologo Volli domani tra i protagonisti del convegno che si tiene a Ferrara.
di Pierfrancesco Giannangeli
Si celebra domani, 18 settembre, la Giornata Europea della Cultura Ebraica e la città di Ferrara partecipa con un convegno su «Lingue e dialetti ebraici» (Palazzo Roverella/Zamorani, corso della Giovecca 47, ore 10). I relatori dell'incontro saranno Luciano Meir Caro, rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara («L'alfabeto ebraico, protoplasma della Creazione»), il semiologo Ugo Volli, dell'Università di Torino («L'ebraico moderno: il miracolo di una rinascita»), Simonetta Della Seta, direttore del Meis («La lingua di Shmuel Yosef Agnon») e l'editore Silvio Zamorani («Alfabeti: il suono delle lingue»).
Inoltre, dalle ore 15 alle 17, apertura pubblica della Comunità ebraica, in via Mazzini 95, con alcuni cenni storici sull'edificio e visite guidate per gruppi alla Sinagoga Fanese.
- Professor Ugo Volli, come si può declinare il tema della Giornata?
«Gli ebrei sono stati in esilio per duemila anni, di conseguenza hanno prodotto una serie di lingue locali di cui la più nota è l'yiddish, ma anche molti dialetti ebraici italiani, come il giudeo romanesco o quello veneziano. La ricchezza linguistica è uno dei dati che definiscono l'identità ebraica».
- Qual è il dialetto più caratteristico in Italia?
«Il solo posto in Italia dove rimane una base popolare è Roma. C'è ancora, se si va al ghetto, gente che usa un lessico un po' particolare, misto di radici ebraiche e declinazioni italiane. Gli ebrei di Roma sono una delle parti più antiche della città, esistono documentazioni di famiglie che sono lì dai tempi di Giulio Cesare».
- Il tema del suo intervento a Ferrara, invece, racconta un fenomeno unico.
«In premessa, va ricordato che l'ebraico moderno deriva direttamente dall'ebraico biblico e da quello che si trova nei testi tardo
antichi e medievali. Gli ebrei hanno smesso di parlare l'ebraico come lingua parlata duemila e trecento anni fa e l'hanno usata come lingua colta, come noi il latino. Circa centotrent'anni fa c'è stato un tale che veniva dalla Lituania, Ben Yehuda, che si è messo in testa di trasformare questa lingua dotta in lingua viva».
- E cosa è accaduto?
«Prima di tutto ha imposto a sua moglie di parlare l'ebraico in casa, e il loro figlio è stato il primo parlante nativo di ebraico. Poi, nel 1880, andò in quella che attualmente è Israele, si stabilì a Gerusalemme, fondò un giornale scritto in ebraico, convinse le scuole ad avviare corsi. Fece un dizionario ebraico, ma il suo trionfo fu nel 1914, quando si doveva aprire la prima università in Israele, la Technion di Haifa: i finanziatori tedeschi volevano che la lingua fosse il tedesco, lui fece una battaglia e riuscì a imporre che lì si insegnasse in ebraico. Sembrava una totale follia, ma fa parte della rinascita di un popolo».
(il Resto del Carlino - Ferrara, 17 settembre 2016)
Archeologia: scoperta bomba a mano di 700 anni in Israele
Un'antica bomba a mano per incendiare le navi nemiche. La scoperta al largo della costa israeliana,
di Angelo Petrone
Un oggetto in argilla di dimensioni non superiori al palmo della mano con una forma simile ad una grossa ghianda ed un foro sull'estremità. E' l'antichissima bomba a mano scoperta in Israele. Una reliquia preziosissima per comprendere le dinamiche dei combattimenti nel Medioevo in un'area in cui i crociati hanno combattuto per secoli. Ed è proprio nelle Crociate che la bomba a mano sarebbe stata utilizzata insieme ad altre armi terrificanti come le balestre, le mazze chiodate e le grandi spade. L'antica bomba a mano è stata ritrovata in mare alcuni anni fa ed ora è stata consegnata al museo insieme ad altri oggetti, di epoche diverse, ritrovati sul fondale.
Un funzionamento molto semplice caratterizza l'antico ordigno. Un liquido infiammabile veniva versato nell'interno della bomba con un fusibile all'estremità. L'accensione della "miccia" avveniva prima del lancio. Insomma una dinamica del tutto simile alle bombe Molotov inventate secoli dopo dal generale russo. E' facile immaginare come il lancio degli ordigni avvenisse nelle battaglie navali per incendiare il fasciame dei vascelli nemici.
(Scienze Notizie, 17 settembre 2016)
Ritrovata la «Bibbia del dialogo»
di Roberto Mazzoli
«Come due fragili zattere di carta e inchiostro deposte sull'Adriatico e in viaggio da cinquecento anni fino ai nostri giorni». Così Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore del Tribunale rabbinico del centro-nord Italia, descrive l'eccezionale ritrovamento dei due preziosi volumi stampati in ebraico dalla famiglia Soncino e riguardanti i libri profetici. E c'è chi l'ha già ribattezzata la Bibbia del dialogo ebraico-cristiano. È infatti sulla strada della rinnovata amicizia tra rabbinato di Ancona-Marche e arcidiocesi di Pesaro, che i due antichi tomi sono riaffiorati dagli archivi della biblioteca Oliveriana di Pesaro. «Sono i libri di Samuele, dei Re e di altri profeti maggiori e minori - spiega don Giorgio Giorgetti, responsabile dell'apostolato biblico dell'arcidiocesi di Pesaro - vale a dire il cuore della rivelazione e il trait d'union tra comunità ebraica e cristiana». L'eccellente stato di conservazione consente di cogliere ancora oggi tutta l'eleganza dei caratteri ebraici e i preziosi decori delle pagine. Ma a colpire sono anche le note manoscritte dove si legge che, nella giornata del 14 del mese ebraico di Nissàn dell'anno 1510, poche ore prima che iniziassero gli otto giorni di Pésach, in casa Soncino, a Pesaro «fortezza-città», si era finito di stampare il libro, regnando Papa Giulio II ed essendo Galeazzo Sforza il signore locale. E ci vorranno altri cinque anni per completare la pubblicazione dell'intero canone profetico della Bibbia, sempre presso la stamperia dei Soncino di Pesaro passata nel frattempo sotto il Ducato di Urbino.
«La vicenda di questa Bibbia - spiega Bendaud - mostra come l'ebraismo non è certo estraneo alla cultura italiana ma anzi ne alimenta le radici insieme al cristianesimo ». Siamo all'alba del Rinascimento che si diffonderà rapidamente in tutta Europa proprio grazie all'invenzione della stampa. Nel 1492, dopo la cacciata dalla penisola iberica, saranno gli ebrei spagnoli rifugiati a Pesaro a contribuire notevolmente al rilancio del suo commercio e del porto. Un periodo d'oro anche nei rapporti giudaico- cristiani testimoniato a Pesaro dalla splendida tela del Pandolfi, conservata nella chiesa del Nome di Dio e raffigurante Il trionfo di Giuseppe l'ebreo. È in tale contesto che la famiglia ebrea ashkenazita Soncino, originaria della città tedesca di Spira, giunge a Pesaro prima di lasciare l'Europa. A loro si deve la stampa della prima Bibbia completa di segni vocalici in ebraico (1488). Ma per capire l'importanza di questa famiglia di stampatori ebrei, basta ricordare il noto detto impresso in una loro marca tipografica: «Da Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Soncino». Due volumi preziosi e raffinati, dunque, nati a Pesaro e qui custoditi dalla biblioteca Oliveriana». Da domani, Giornata europea della cultura ebraica, la Bibbia rimarrà definitivamente fruibile al pubblico in una teca allestita nella biblioteca Oliveriana.
(Avvenire, 17 settembre 2016)
L'acqua di mare? Ottima da bere e non è un miracolo
È il risultato dell'impegno di Israele a vincere la siccità con impianti di desalinizzazione unici al mondo.
di Joelle Sara Habib
Lo Stato di Israele sorge in una delle aree più aride del pianeta, ma nonostante la scarsità di precipitazioni, ad oggi, la situazione non è critica, e lo si deve in gran parte alla una strategia a lungo termine attuata, che prevede l'integrazione di diversificate politiche di gestione delle risorse idriche: il riciclaggio, in grado di portare al riutilizzo di quasi 1'86% delle acque reflue per usi connessi alle attività agricole, la custodia delle esigue sorgenti naturali e soprattutto - a partire dal 2007, quando si rese necessario trovare una risposta alla siccità record dei 6 anni precedenti - l'intenso programma di dissalazione delle acque marine.
L'acqua di mare dissalata è diventata così in un solo decennio un pilastro della rete idrica israeliana: solo 10 anni fa il paese si basava interamente su acque sotterranee e pioggia, mentre ad oggi sono cinque gli impianti in esecuzione, il primo aperto nel 2005.
Esteso quanto sei campi da calcio, e costituito da una coppia di strutture gemelle, indipendenti l'una dall'altra, collegate al Mar Mediterraneo da una rete di tubi di 2,5 metri di diametro, l'impianto dissalazione di Sorek, gioiello di tecnologia idrica, è il più grande ed avanzato al mondo. Inaugurato nel 2013, sorto a circa 15 km a sud di Tel Aviv, e realizzato da Ide Technologies, consente di produrre l'acqua potabile necessaria a 1,5 degli otto milioni di abitanti del Paese tramite la tecnica dell'"osmosi inversa", un sistema realizzato sulla base degli studi di Sidney Loeb, scienziato americano nato nel 1917 a Kansas City, e immigrato a Beersheva nel 1967.
Qui 624,000 metri cubi d'acqua marina - pari a 150 milioni di metri cubi, ossia 150 miliardi di litri annui - vengono giornalmente aspirati da due enormi tubi sotterranei e, per essere trasformati in acqua potabile, pressati attraverso una membrana polimerica che, filtrando, trattiene l'apporto salino - la "brina" - da restituire al mare, dove è prontamente assorbito. Il complesso fornisce il 20% del rifornimento idrico del paese che, sommandosi all'acqua proveniente dai simili impianti di Hadera, Ashkelon, Palmachim e Ashdod, costituisce il 40% del fabbisogno nazionale - la più alta percentuale al mondo - destinato a divenire il 70% entro 2050.
Non si può ignorare che si tratta di una tecnica, in termini di fabbisogno elettrico, estremamente dispendiosa, corrispondente in Israele al consumo di circa il 10% della produzione nazionale di elettricità per alimentare il settore; tuttavia, da un punto di vista economico, si tratta di un impianto piuttosto efficiente. Fino a poco tempo fa il processo di osmosi inversa era molto costoso, ma i progressi tecnologici in Israele hanno reso il costo di produzione di acqua potabile molto più competitivo rispetto ad altri impianti presenti nel mondo incorporando una serie di miglioramenti tecnici, ed ora, grazie a pompe ad alta efficienza, tubi più grossi, e dispositivi per il recupero energetico (Energy Recovery System), il costo dell'acqua risulta sensibilmente più basso: 58 centesimi di dollaro per metro cubo, cioè 50 centesimi di euro, che ammontano, secondo le stime, ad una cifra che oscilla dai 300 ai 500 dollari all'anno per nucleo familiare.
L'acqua ha poi una valenza politico-strategica. Aver raggiunto l'indipendenza idrica costituisce per Israele una grande chance diplomatica. Le dispute sulla gestione delle sorgenti del Golan, conteso con gli stati vicini, potranno essere lasciate alle spalle. E la tecnologia messa a punto si potrebbe trasformare in un ponte di cooperazione verso altri Paesi, dando slancio a simili iniziative industriali capaci di alleviare la sete dell'intero Medio Oriente.
(Shalom, settembre 2016)
Saluzzo capitale "italo-israeliana" sulla risposta e gestione di disastri e incidenti di massa
Eccezionale evento formativo ideato, seguito e curato dalla struttura complessa di Maxiemergenza regionale 118 diretta dal dottor Mario Raviolo.
A Saluzzo è tutto pronto per il "First international medical seminary Italy-Israel on emergency and mass casualty incidents". Si tratta di un seminario internazionale ideato, seguito e curato dalla struttura complessa di Maxiemergenza regionale 118 che ha sede proprio a Saluzzo e che è diretta dal dottor Mario Raviolo.
Cosa si celi alle spalle di questo importante evento formativo, ce lo spiega direttamente il dottor Raviolo.
"Tutto è nato - ci ha detto - in seguito a numerose nostre partecipazioni alle attività formative del Magen David Adom. Di qui abbiamo preso contatti con la componente medica dell'esercito di Israele e con i leader in materia di risposta ai disastri".
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Il dottor Raviolo in una simulazione israeliana di incidente di massa
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In un'ottica di "scambio", ecco quindi che si è giunti all'appuntamento del prossimo fine settimana.
Al seminario parteciperanno quattro grandi componenti: il Magen David Adom, la componente medica dell'IDF (le forze di difesa israeliane), il direttore della banca del sangue ed il capo dell'unità ospedaliera di risposta ai disastri, siano essi terroristici o in seguito a catastrofi.
Il Magen David Adom è la società nazionale di Croce Rossa dello Stato di Israele, fondata nel 1930 e riconosciuta dal Comitato Internazionale della Croce Rossa soltanto nel 2006, al termine di una lunga disputa sull'uso della Stella di David come emblema in luogo della Croce o della Mezzaluna. In periodo di guerra il Magen David Adom diventa una componente delle Forze Armate israeliane.
L'evento formativo sarà composto da lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche e sarà suddiviso in due moduli: il congresso, di due giorni, domenica 18 e lunedì 19 settembre ed il seminario completo che rispetto alla prima opzione prevede anche l'esercitazione pratica di martedì 20 e la conclusione mercoledì 21.
L'esercitazione pratica si terrà in uno scenario segreto, che verrà reso noto soltanto nel pomeriggio del 20 settembre.
"Riepilogando - ci ha detto Raviolo - si tratta di un evento eccezionale nel panorama della formazione italiana, dove una struttura praticamente unica, la Maxiemergenza del 118, ha organizzato questo congresso, coinvolgendo i massimi esperti israeliani data la loro grande esperienza nei disastri domestici e internazionali, dove sono chiamati a dare una prima risposta".
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Il seminario sarà presieduto dal dottor Raviolo, mentre la dottoressa Grazia Maria Alberico ne sarà il direttore. Il comitato scientifico è invece composto dai medici Danilo Bono, Egle Valle, Gianni Lombardi, Maria Grazia Acciardi, Luciana Cagna, dall'ingegner Luca Giordana e dagli infermieri Maria Rivoira, Maurizio Capellino, Giovanni Demaria, Ferdinando Olivero e Paola Silvestro.
La segreteria è affidata ad Alessandra Peirona.
Tra i tanti argomenti trattati, verranno forniti i punti di vista italiano ed israeliano sulla gestione dei disastri e degli incidenti di massa, verrà illustrata l'organizzazione del sistema di emergenza sanitaria italiano ed israeliano, la risposta medica agli attacchi terroristici, il piano di risposta europeo alle emergenze e verranno ospitati interventi di autorità internazionali.
Il tutto, nella splendida cornice dell'antico Palazzo comunale, scelto come location del congresso.
(TargatoCn.it, 17 settembre 2016)
La sinistra bohème che pensa e che piace vuole "salvare Israele da se stesso"
Ma lo stato ebraico sorride felice
di Giulio Meotti
ROMA - In un video che gli ha creato non pochi guai, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, prima di lasciar intendere un possibile incontro con Abu Mazen in Lussemburgo, ha detto che il principale ostacolo alla pace è la volontà palestinese di imporre in qualunque accordo una vera e propria "pulizia etnica" degli ebrei dai Territori. Il giorno dopo, cinquecento esponenti dell'intellighenzia ebraica (ha aderito anche Gad Lerner dal suo sito internet) hanno replicato a Netanyahu con un appello in cui invitano Israele a ritirarsi e a metter fine all'occupazione. "Se amate Israele, il silenzio non è più un'opzione possibile", recita il manifesto. "L'avvicinarsi del 2017 segna il cinquantesimo anno dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi. La situazione attuale è disastrosa". A firmare, romanzieri come David Grossman, Orly Castel-Bloom e Amos Oz, cantanti come Noa, registi come Amos Gitai, ex ambasciatori come Elie Barnavi, ex direttori generali del ministero degli Esteri come Alon Liel e docenti come Daniel Bar-Tal, che ha coniato l'espressione "occupartheid". Il nome dell'organizzazione è tutto un programma: "Save Israel, Stop Occupation". Sono quelli che amano così tanto Israele da volerlo salvare sempre da se stesso e mai dai suoi nemici. Mai un appello contro le cinture esplosive prima e i coltelli palestinesi poi, i kassam di Hamas, i katiuscia di Hezbollah, il bunker iraniano di Fordo, le risoluzioni dell'Onu, il boicottaggio Ue. Forse per questo l'Unione Sionista di Isaac Herzog si è rifiutata di imbarcarsi nell'iniziativa. Per dirla con David Mamet, drammaturgo e vincitore di un premio Pulitzer, "sono gli ebrei che negli anni Sessanta invidiavano le Pantere nere; che negli anni Novanta invidiavano i palestinesi; che frignano davanti al film 'Exodus' ma s'inalberano davanti alle Forze di difesa israeliane; che sono pronti ad andare a un combattimento di cani, in un bordello o in una fumeria d'oppio, ma trovano assurda l'idea di una visita in sinagoga; che al primo posto tra i loro ebrei preferiti mettono Anne Frank e al secondo non sanno chi metterci...".
Firma l'appello Avraham Burg, ex speaker del Parlamento israeliano per il quale "Israele è già morto". Uno che ha così a cuore Israele da aver chiesto alle nuove generazioni di abbandonarlo. "Raccomandi a ogni israeliano di prendere un passaporto straniero?", gli ha chiesto il giornalista Ari Shavit. "A tutti quelli che possono", ha risposto Burg. Firma Zeev Sternhell, docente, un altro spasimante di Israele da aver scritto su Haaretz: "Non vi è alcun dubbio circa la legittimità della resistenza armata nei Territori". Ai cinquecento andrebbe ricordato cosa è successo ogni volta che Israele ha posto fine a una "occupazione" senza nulla in cambio: i missili dal Libano del sud; le bombe umane dalla Cisgiordania dopo Oslo; i razzi da Gaza. E per fortuna che Israele non ha seguito i consigli dei cinquecento, perché altrimenti oggi sul Golan, anziché gli israeliani che curano i feriti della guerra civile siriana e che producono un ottimo vino con le bollicine, ci sarebbero i volenterosi carnefici del jihad europeo. A dispetto di quanto scrivono i cinquecento, Israele festeggerà il 2017 in uno stato di grazia: ha relazioni con tutti i vicini (tranne l'Iran), ha siglato il più grande accordo di aiuti militari nella storia americana, i suoi tassi di mortalità sono i secondi più bassi dell'Ocse e quelli di fertilità i più alti, è il secondo paese più colto del mondo (dopo il Canada) e gli israeliani sono più felici di quanto non lo sia la maggior parte degli occidentali. Compresi i cinquecento profeti di sventura che, come Avraham Burg, sono andati a cercare la pace (povero lui) su una collina della Provenza.
(Il Foglio, 17 settembre 2016)
Ebrei, la comunità che unisce
Ecco il Ghetto di Venezia. Oggi
di Giuseppe Matarazzo
Il 29 marzo del 1516 il Senato della Repubblica Veneta decretò di mandare tutti i giudei presenti in città ad abitare «uniti» a Cannareggio in «una corte di case». Nasceva così, 500 anni fa, il primo ghetto al mondo destinato agli ebrei. la storia è poi proseguita con altri recinti, altri muri e con la barbarie che ha segnato drammaticamente il popolo ebraico. Ma cosa rimane di quel luogo originario? Cosa ci racconta? Chi abita oggi il ghetto di Venezia? Con la lucidità e la sensibilità che lo contraddistinguono, il fotografo Ferdinando Scianna propone un percorso in 50 scatti attraverso una comunità viva (la mostra Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo alla Casa dei Tre Oci del capoluogo veneto, fino all'8 gennaio del 2017, catalogo Marsilio). Persone e luoghi che fanno dialogare la normalità delle scene odierne con il senso della storia che in quelle calli, quei campi, quei canali dai tratti fortemente simbolici si è succeduta.
S'incontrano Emilio Piasentini, pregiato intagliatore, il restauratore di mobili Giancarlo Rossi, il panettiere kosher Davide Volpe, la novantaduenne Virginia Gattegno, ospite della Casa israelitica di riposo e un vecchio fedele davanti alla sinagoga. Volti del quotidiano, insieme a figure imprescindibili del luogo: come Ziva Kraus, grande dama della cultura internazionale, che con la sua galleria fotografica Ikon si è conquistata prestigio mondiale; la direttrice del museo ebraico, Marcella Ansaldi; e, certamente, il rabbino Rav Scialom Bahbout che si prepara alla preghiera. Si può rivivere la cerimonia di Shabbat della comunità Chabad-Lubavitch, trovarsi davanti al "Banco rosso" dei pegni, osservare un gruppo di ragazzi che gioca attorno a uno dei tre pozzi del Ghetto Nuovo, imbattersi in un gruppo di turisti che dialoga con gli abitanti con la tradizionale kippah, alzare lo sguardo e scorgere una vecchia signora affacciata a una finestra o fissare per terra antiche pietre d'inciampo, le mattonelle in ottone poste davanti all'ultima residenza nota dei deportati, dove sono incisi i nomi e i destini delle persone rastrellate dai nazisti e assassinate nei lager. Istantanee dal ghetto diVenezia. Oggi. Ma capaci di raccontare una storia lunga.
Compito non facile, anche per un grande fotografo. In effetti il timore di fallire assale Scianna appena dopo aver accettato la proposta della Fondazione Venezia, promotrice della mostra insieme a Civita Tre Venezie. «E se non ce la faccio? - racconta il fotografo di Bagheria, primo italiano a entrare nell' esclusiva agenzia internazionale Magnum -. Quel posto è un teatro nel quale da mezzo millennio si sono svolte vicende straordinarie e terribili. So che i luoghi non smettono mai di raccontare, anche a distanza di secoli. Ma se io non riuscissi a sentire quelle voci, a vedere nella casuale complessità e contraddittorietà dell' oggi le immagini che contengono una qualche traccia di quella storia così densa? Da un pezzo ho però imparato che l'unica risposta all'angoscia dell'inadeguatezza è l'umiltà del lavoro, la tenacia, l'attenzione costante. Confonderti col luogo, con le persone e continuare, ora dopo ora, giorno dopo giorno, a raccogliere sassolini con cui costruire la tua casa. Invocando la fortuna». Il fotografo e le sue gambe si armano dei pensieri di Josif Brodskij, uno dei poeti contemporanei «che più ho amato, ebreo anche lui, anche se non aveva l'aria di tenerci molto a questa etichetta, come alle altre». Compito riuscito. «Ferdinando Scianna - scrive nell'introduzione al catalogo Denis Curti, curatore della mostra e direttore artistico della Casa dei Tre Oci - ha saputo costruire un racconto delicato, ha scelto una prosa senza malinconia, ha cercato affinità elettive con affetto e gratitudine. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. Il dolore mai urlato dell'Olocausto. Dentro queste fotografie ci si orienta. Con il linguaggio degli affetti, la grammatica dei corpi». E si può cogliere «il registro multiplo che caratterizza i frequentatori del ghetto - come fa notare Donatella Calabi, direttrice del Comitato scientifico peri 500 anni del Ghetto diVenezia -: persone conviventi negli stessi spazi ridotti, non sempre capaci, né desiderosi di interloquire fra loro, e che tuttavia contribuiscono insieme a farne un sito particolare, dotato di un fascino costruito sulle sue vicende secolari e sulle commistioni: cittadini o turisti che frequentano uno spazio urbano storicamente connotato, indifferenti gli uni agli altri; depositari dell' antica cultura e della religione ebraica, che desiderano raggiungere "silenziosamente" il massimo di integrazione con la città; abitanti di recente immigrazione per i quali (come altrove nel mondo) la manifestazione della propria identità passa per l'abbigliamento anomalo e i comportamenti separati». Più mondi che si parlano in quello che fu il «recinto» ebraico diVenezia.
(Avvenire, 17 settembre 2016)
Primo ambasciatore israeliano presenta le sue credenziali a Bruxelles
BRUXELLES - Il primo ambasciatore israeliano presso la sede Nato di Bruxelles, Aharon Leshno-Yaar, ha presentato oggi le proprie credenziali ai membri dell'Alleanza, in occasione dell'apertura di una missione permanente dello Stato ebraico presso il quartier generale dell'Organizzazione nordatlantica. "Lo Stato di Israele attribuisce una grande importanza alle sue relazioni con la Nato e l'apertura di un ufficio permanente presso la sede di Bruxelles è un'ulteriore prova della capacità internazionale di Israele ed il suo contributo alla promozione della pace e della stabilità regionale", ha dichiarato Leshno-Yaar. Lo scorso 21 giugno, la Nato e Israele hanno concordato sul fatto di stabilire una missione del paese all'interno dell'Alleanza, guidata dall'ambasciatore israeliano nell'Ue. "E' un passaggio importante che saluto con gran favore", ha commentato Stoltenberg, ricordando che quello di stabilire un rappresentante permanente di Israele nel quartier generale della Nato "non è l'unico passo intrapreso".
(Agenzia Nova, 16 settembre 2016)
Destinazione Verona a Tel Aviv: asse con Israele, attivati contatti in oltre 400 b2b
"Destinazione Verona" è il format di presentazione dell'offerta turistica del territorio studiato dalla Camera di Commercio Verona in collaborazione con l'Aeroporto Valerio Catullo che organizzeranno una missione di incoming per i tour operator israeliani nel 2017.
Si chiude la missione veronese e trentina a Tel Aviv: gli operatori turistici tornano con promettenti contatti attivati nel corso di oltre 400 b2b (buisness-to-buisness ndr). La Camera di Commercio di Verona, inoltre, organizzerà una missione gemella qui a Verona per conto della Camera di Commercio Israel-Italia per potenziare i flussi turistici verso Israele. "Il nostro progetto di promozione del sistema Verona, Destinazione Verona, - afferma il Vice Presidente della Camera di Commercio di Verona - Andrea Prando - ideato per individuare nuovi canali per le aziende veronesi, inizia a dare frutti immediati e concreti. Molti si chiederanno perché Israele e la scelta, non è casuale. Oggi Israele è l'unico stato della fascia mediterranea che può offrire nell'immediato una serie di importanti risposte alle nostre esigente. Turisti, ricerca, tecnologia, rapporti commerciali. Oltre 100.000 turisti lo scorso anno sono venuti a Verona e in Trentino grazie alla collaudata rotta che atterra all'Aereoporto Catullo, per cui in un momento dove il mediterraneo è bloccato, Israele può essere una risposta immediata, oltre che una grande opportunità, per le aziende veronesi e ieri lo abbiamo toccato con mano. Il risultato è stato ottimo a detta di tutti i partecipanti. A Tel Aviv abbiamo organizzato oltre 400 b2b in due giorni, con i principali tour operator nazionali e c'è molto interesse per il nostro territorio. Tanto che nel 2017 sarà la Camera di Commercio ad organizzare un incoming con b2b per le imprese israeliane, turistiche e non solo, sempre in collaborazione con la Camera di Commercio Israel-Italia e l'aeroporto Valerio Catullo".
"Destinazione Verona" è il format di presentazione dell'offerta turistica del territorio studiato dalla Camera di Commercio Verona in collaborazione con l'Aeroporto Valerio Catullo, coinvolgendo chi contribuisce a costruirla ogni giorno. Sono volati a Tel Aviv in missione: Fondazione Arena di Verona,Veronafiere Funivia di Malcesine, Consorzio Lago di Garda Veneto, Consorzio Verona Tuttintorno, Cooperativa Albergatori Veronesi, Comitato per Verona, i parchi di divertimento del Lago di Garda, Gardaland, Caneva World, Camping Bella Italia ed Europlan. Per la prima volta la missione ospita anche gli operatori turistici, di un altro territorio, adiacente a Verona, anch'esso servita dall'Aeroporto Catullo: il Trentino, con Trentino Marketing e numerose Aziende Provinciali del Turismo.
"L'aeroporto di Verona - spiega il Presidente dell'Aeroporto Catullo di Verona e Brescia, Paolo Arena - ha ormai da tempo un traffico consolidato da e per Israele che si aggira su una media di 100.000 passeggeri l'anno, grazie a vettori come Neos, Israer, EL AL, Sun D'or, Alitalia, Arkia, oltre alla programmazione invernale sull'aeroporto di Brescia. Dagli incontri con il direttore marketing estero del Ministero del Turismo israeliano, Pini Shani, e con Eli Nahmias, direzione relazioni internazionali delle due Municipalità di Gerusalemme è emerso un forte interesse per l'area veronese-trentina come destinazione turistica, ma anche un'altrettanto forte volontà di promozione del turismo in loco. Turismo per famiglie e giovani, oltre che quello a carattere religioso. A Tel Aviv e nelle altre località marine la stagione dura 10 mesi l'anno".
A margine degli incontri con le rappresentanze istituzionali, inclusa quella con l'ambasciatore italiano Francesco Maria Talò, durante una cena di gala in Ambasciata, le imprese hanno affrontato un impegnativo calendario di incontri b2b. In tutto sono stati oltre 400 con agenzie, tour operator e aziende di servizi turistici israeliane. Più un workshop di presentazione all'Istituto Italiano di Cultura. Le presenze da Israele sul Lago di Garda sono aumentate del 39,3% nel 2015 (109.526). Si tratta in prevalenza di giovani che apprezzano l'offerta di entertainment, a cominciare dai parchi di divertimento, che si stanno spostando dopo aver scoperto Verona: se gli Israeliani sono decimi nella top ten degli arrivi sul Garda, sono sesti in quella degli arrivi scaligeri e in aumento del 22%. In fatto di turismo straniero, il Garda con i suoi 12 milioni di presenze (il 4,6% in più rispetto al 2014), domina il panorama turistico della provincia. Anche se bisogna sottolineare come Verona stia diventando sempre più ambita come meta turistica arrivando a crescere del 6,6% nel 2015 e superando i 3 milioni di presenze. Dall'incontro con il direttore generale dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, Dani Omer, alla presenza del direttore aviation del Gruppo Save, è emersa la volontà di fare attività di pushing per aprire ulteriormente il mercato dato il forte interesse per lo sviluppo dei flussi turistici verso il Trentino, il lago di Garda e Verona. Come sempre, i momenti conviviali della missione sono stati accompagnati da piatti a base di prodotti tipici veronesi, accompagnata dai migliori vini della zona selezionati dal concorso enologico della Camera di Commercio, Verona WineTop. Gli ospiti sono stati allietati dalle arie operistiche di cantante e musicisti dell'orchestra della Fondazione Arena.
(VeronaSera, 16 settembre 2016)
Religione di sopra e di sotto
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Autorità di sopra, fedeli di sotto
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Da sopra - | Dall'alto di questa cattedra io vi dico da parte di Dio quali sono le cose da FARE e le cose da NON FARE. |
Da sotto - | Chi ti ha dato il permesso di salire su quella cattedra? |
Da sopra - | Questa domanda è una delle cose da NON FARE. |
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La lingua della Torah, sacra eppure così viva
di Daniele Silva
L'ebraico, lingua antica e moderna, arricchita nei secoli dalle influenze della diaspora. Una lingua viva, che unisce gli ebrei in quanto sacra - usata per raccontare La Torah, la bibbia - e in quanto parlata, sia in Israele sia nelle comunità sparse per il mondo. Questa e altre storie si raccontano in occasione della 18" edizione della Giomata Europea della Cultura Ebraica, «Le lingue ebraiche», che si tiene in Italia domenica 18 e coinvolge le comunità, le sinagoghe e i si musei in oltre 74 località della penisola. Tutte le manifestazioni organìzzate per l'evento - che accompagnano le consuete visite a porte aperte delle sinagoghe- hanno dunque un denominatore comune: raccontare l'evoluzione della lingua ebraica nello spazio e nel tempo. Il pubblico può così scoprire storie affascinanti: dalle differenze tra ebraico e aramaico alla diffusione dei dialetti ebraici nei luoghi più remoti, da Corfù fino al Rio delle Amazzoni, dalla nascita dei dialetti misti in Italia - il celebre giudaico-romanesco ma anche il bagìtto livorncse o il giudaico-veneziano - fino al fascino del dialetto Yiddish dell'Est Europa, o di quello sefardìta, il Judeo Espanol. A tutto questo si aggiungono poi le vicende dell'ebraico moderno che, caso unico nella storia, deriva direttamente da quello antico e diventa lingua ufficiale del neonato stato ebraico grazie all'intuizione di Ben Yehuda Le parole, i canti e la divulgazione storica sono al centro anche del programma a cura della Comunità Ebraica di Torino. La lunga giornata comincia alle 10 con i saluti del presidente Dario Disegni e del sindaco Chiara Appendino, nel centro sociale di piazzetta Primo Levi. Dalle 11 alle 18, sempre nel centro sociale, è allestita la mostra «Humour dal ghetto», con alcune scene dallo spettacolo «Pantomima semiseria di Purim nelle parlate giudaico-italiane». Nello stesso orario la sinagoga apre al pubblico con visite guidate. Partecipa alla giornata anche l'associazione Artefacta Beni Culturali, che alle 11 organizza una passeggiata storica nciluoghi dell'ex ghetto torinese (ritrovo in piazza Carlina angolo via Dcs Ambrois) e alle14,30 una visita ai reparti ebraicì del Cimitero Generale (ritrovo in corso Regio Parco80). Alle l4,30 nei locali della comunità si tiene una lezione di studio e vengono eseguiti canti del repertorio ebraico moderno; alle 19 si chiude con «Parole e radici», uno spettacolo di cabaret in yiddish-ladino a cura di Tommy Schwarcz. Attività e visite sono previste anche a Chieri e a Carmagnola.
(La Stampa - Torino Sette, 16 settembre 2016)
A Nicosia incontro di ministri di Israele e Cipro
Focus su relazioni bilaterali e stabilità nel Mediterraneo orientale
NICOSIA - Israele e Cipro condividono valori comuni, sono amici affidabili e i loro rapporti bilaterali si trovano attualmente "nel capitolo migliore della loro storia". Lo ha sottolineato nel corso della sua visita di oggi a Nicosia, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman. La stampa di Cipro riporta le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano al termine dell'incontro odierno a Nicosia con l'omologo del paese ospitante Christoforos Fokaides.
Un comunicato pubblicato al termine dell'incontro evidenzia che Cipro e Israele hanno una cooperazione molto ravvicinata in diverse aree: politica, sicurezza, economia e turismo. Fokaides ha affermato che nell'incontro con Lieberman sono stati discussi gli ultimi sviluppi geopolitici nella regione e le loro ripercussioni sulla sicurezza interna ed internazionale. "Abbiamo fatto sviluppi considerevoli nelle nostre relazioni negli ultimi anni e altri passi avanti sono in programma", ha evidenziato Fokaides secondo cui "questa relazione strategica non serve solamente i nostri interessi nazionali ma è anche nell'interesse della nostra regione".
In riferimento al turismo, Lieberman ha notato che 100 mila turisti israeliani hanno visitato Cipro l'anno scorso e almeno il 40 per cento in più visiterà l'isola al termine del 2016. "Mi auguro che proseguiremo in questa strada di cooperazione fruttuosa e auspico riuscirete ad ultimare in negoziati per la riunificazione di questa bella isola", ha aggiunto Lieberman.
Un comunicato del ministero della Difesa israeliano evidenzia gli ottimi rapporti bilaterali con Nicosia, anche nel settore della difesa e della sicurezza: "Le nostre relazioni sono una prova dell'impegno comune per rafforzare il coordinamento nella risposta alle minacce asimmetriche, nel contrasto al terrorismo e per promuovere la stabilità e la cooperazione regionale nel Mediterraneo Orientale". Fokaides da parte sua ha evidenziato gli sforzi del suo governo cipriota per il rafforzamento della cooperazione con altri paesi della regione, come Giordania e Egitto.
(Agenzia Nova, 16 settembre 2016)
Gerusalemme insolita
Insomma, girovagando tra le affollate stradine del mercato, sarà impossibile resistere ad una tappa golosa. Anche perché è passato diverso tempo da quando a Mahane Yehuda aprì il primo ristorante. Erano i primi anni '90 e, da allora, si sono aggiunti diversi posti dove potersi fermare a deliziare il palato. Tra questi, i più frequentati dalla gente del posto sono il Falafel Mullah, famoso per i fritti gustosi ma leggeri e per le polpettine di ceci; il Jachnun Bar, che serve pane yemenita con crema di formaggi fusi; ancora, il Mousseline, che propone il curioso gelato al gusto wasabi e vende dei buonissimi pasticcini ebraico-siriani ripieni di purè di patate piccante e carne scottata; appena fuori dal mercato, invece, si trova uno dei migliori ristoranti di Gerusalemme, il Mahaneyuda, dove si possono assaggiare lo Shikshukit (tahini e yogurt racchiusi in un kebab) e la torta persiana al limone con ciliegie e meringhe, tipica di Teheran.
Per chi invece è in vena di compere, per rimpinguare un po' la dispensa, il mercato è ancora la scelta giusta per varietà di prodotti freschi, di qualità e insoliti. Come i cavoli giganti grandi quanto le angurie americane, le melanzane che sembrano palloni da football o ancora, le ciliegie più dolci e succose che mai e i famosissimi fichi secchi con mandorle, un omaggio molto usato in Medio Oriente quando si va in visita da parenti o amici. E se durante il giorno il "shuk" si popola di gente in vena di acquisti e di gruppi di anziani che si sfidano a backgammon, nel tardo pomeriggio, quando si abbassano le saracinesche, il mercato più vivo di Gerusalemme viene assalito dai giovani in cerca di chiacchiere e buona musica, ascoltata magari al Beer Bazar, dove viene spillata la migliore birra israeliana.
Ma non finisce qui: da mattina a sera, passeggiare tra gli stretti vicoli del Mahane Yehuda è un po' come percorrere i corridoi di una interminabile galleria d'arte. L'artista Solomon Souza, infatti, negli ultimi otto anni ha arricchito il mercato di diversi graffiti e murales che ritraggono personaggi del passato, da Gandhi ad Einstein, fino a Golda Meir, rendendo questo luogo un interessantissimo museo di street art a cielo aperto. Per informazioni: il Tour Operator Naar propone la visita al "shuk", con inclusa la degustazione dei prodotti, all'interno del pacchetto "City Break Enogastronomia" (4 giorni/3 notti).
(Viaggi, 16 settembre 2016)
Italia e Israele rilanciano la diplomazia scientifica, tecnologica e industriale
ROMA - Il 13 settembre si è riunita a Tel Aviv la XV Commissione Mista per l'implementazione dell'Accordo italo-israeliano di Cooperazione nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico. Assistita dall'Ambasciata d'Italia, la delegazione italiana guidata da Fabrizio Nicoletti, Capo dell'Unità per la Cooperazione Scientifica e Tecnologica del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e quella israeliana guidata da Avi Hasson, Chief Scientist del Ministero dell'Economia, hanno deciso di cofinanziare 16 nuovi progetti di ricerca e innovazione presentati da aziende, università e centri di ricerca in risposta ai bandi pubblicati a inizio 2016. La Commissione ha poi negoziato l'istituzione in Italia di due nuovi Laboratori Congiunti. Il primo nel comparto della nanoelettronica, in collaborazione tra la Scuola Normale Superiore di Pisa e il Weizmann Institute of Science. Il secondo, nel settore dell'ottica, tra l'Istituto Nazionale di Ottica del CNR e la Tel Aviv University. I due laboratori riceveranno un contributo annuo di 175mila euro. Durante i lavori si è infine concordato di attribuire il premio "Rita Levi Montalcini", istituito dal Memorandum d'Intesa firmato da MAECI e MIUR con l'Israeli Council for Higher Education, al progetto "Mechanical and magnetic properties of amorphous advanced materials" del Dipartimento di Fisica dell'Università La Sapienza di Roma, che ospiterà per quattro mesi il Prof. Itamar Procaccia del Weizmann Institute of Science. La cerimonia ufficiale di consegna del premio si terrà alla Farnesina ad inizio novembre. L'Accordo è una delle architravi dei rapporti bilaterali fra Italia e Israele ed ha avuto negli anni importanti ricadute nel campo strategico della ricerca e dello sviluppo, oltreché in termini di occupazione. Dal 2002, esso ha infatti permesso di finanziare 110 programmi di ricerca e sviluppo industriale, 50 programmi di ricerca di base, 7 laboratori congiunti ed oltre 130 iniziative bilaterali.
(newsAge.it, 16 settembre 2016)
Italia-Israele: riunita la commissione per l'implementazione dell'Accordo di cooperazione
ROMA - Si è riunita il 13 settembre a Tel Aviv la XV Commissione mista per l'implementazione dell'Accordo italo-israeliano di cooperazione nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico. Lo riferisce una nota della Farnesina. Assistita dall'Ambasciata d'Italia, la delegazione italiana guidata da Fabrizio Nicoletti, Capo dell'Unità per la cooperazione scientifica e tecnologica del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e quella israeliana guidata da Avi Hasson, chief scientist del ministero dell'Economia, hanno deciso di cofinanziare 16 nuovi progetti di ricerca e innovazione presentati da aziende, università e centri di ricerca in risposta ai bandi pubblicati a inizio 2016.
(Agenzia Nova, 16 settembre 2016)
Inter inguardabile. Né gioco, né cuore. E l'Hapoel fa festa
I nerazzurri sbagliano tutto: approccio e interpretazione. Il tecnico snobba gli avversari e rimedia una figuraccia. "E in quel deserto i cammelli del Negev corrono verso l'oasi dell'area..."
di Alex Frosio
MILANO - Ma è questa l'Inter? Il dubbio instillato prima del via dalle discutibili maglie azzurro-verde fluo si ingrandisce quando il pallone comincia a scorrere - male - e diventa certezza a risultato acquisito: 2-0 a San Siro per l'Hapoel Beer Sheva, campione in carica di un torneo di primo livello come quello israeliano. Una vera figuraccia europea. Sì, l'Inter è questa, una squadra che è difficile definire tale. E la versione di coppa è pure peggio di quella balbettante di campionato, che adesso proporrà alla banda nerazzurra la Juventus. Se finisce così con la squadra della quarta fascia del girone di Europa League, c'è da preoccuparsi pensando ai cannibali della A.
Come gioca?
I nerazzurri sbagliano tutto: approccio, interpretazione, sistemazione in campo. Con l'aggravante di non vedere traccia di un gioco riconoscibile. Come gioca oggi De Boer? Impossibile dirlo. Il sistema «fluido» presentato contro l'Hapoel, partenza con il 4-3-3 e cambiamento variabile in 4-2- 3-1 a seconda del pendolarismo di Brozovic, potrebbe avere un senso «olandese» se ci fossero alla base dei meccanismi quantomeno abbozzati: non si pretende l'automatismo - c'è sempre l'alibi del poco tempo dall'arrivo di De Boer in panchina, ma sta scadendo -, qualcosa tuttavia dovrebbe vedersi. Zero, niente. I tre attaccanti si stringono verso il centro togliendo ampiezza alla manovra, Brozovic taglia verso la trequarti finendo anche lui spalle alla porta, il solito equivoco Melo-Mede! in costruzione (costruzione?) continua anche se cambia l'allenatore. E la concentrazione, dov'è?
L'approccio
Ecco, se poi l'Inter avesse un abbozzo di gioco, sarebbe anche tollerabile la non-preparazione della partita: ho le mie idee, non mi interessa l'avversario. Mancando il presupposto, però, la presunzione di non conoscere chi avrai di fronte diventa fatale. Quattro volte in svantaggio nelle prime 4 gare di De Boer: non può essere un caso. E infatti, di nuovo, i nerazzurri capiscono poco di quel che succede in partenza, nettamente sorpresi dalla posizione di Lucio Maranhao, centravanti arretrato che marca Melo e poi si fionda fronte alla porta in area, con Nwakaeme e l'eccellente Buzaglo che perforano dalle fasce. Nascono così tre occasioni nella prima mezzora, compreso un miracolone di Handanovic che chiude lo specchio a Maranhao. L'Inter risponde con un palo di Eder in chiusura di tempo. Poco, troppo poco.
Bravo Hapoel
Che qualcosa non funzioni, lo capisce anche De Boer, vivaddio, visto che a inizio ripresa mette subito Banega, il primo a entrare tra i tanti, troppi, titolari lasciati in panchina (e la lista europea da cui sono esclusi Kondogbia e Joao Mario c'entra poco). Ma si torna al punto di partenza: l'argentino aggiunge un po' di qualità, è un po' più disciplinato di Brozovic nelle letture tattiche, ma spesso quando entra in possesso finisce per perderla perché non ha appoggi semplici. E in più è inseguito, braccato, sovrastato dalla fisicità della mediana israeliana. Bakhar, a proposito, ha dimostrato di non essere uno sprovveduto. Il tecnico dell'Hapoel ha sfruttato al massimo la fisicità della sua cintura centrale e ha preparato perfettamente piano-gara ed eventuali opportunità da fermo. Così ha spremuto i due gol che affossano l'Inter. Sul primo, ok, c'è un doppio blocco irregolare ai danni di Medel e Palacio, ma anche uno schema che porta al cross Maranhao, al cinque contro quattro in area e alla chiusura vincente di Miguel Vitor sul secondo palo. De Boer inserisce Candreva e poi metterà leardi, soprattutto aggiunge confusione a confusione. E invece di creare occasioni lascia scoperta la metà campo difensiva. E in quel deserto i cammelli del Negev corrono verso l'oasi dell'area: prima del bis, due chance da fuori e una paratona di Handanovic. Che nulla può però sullo 0-2, che è un pezzo di bravura di Buzaglo: punizione dal limite e pallone all'incrocio (cui seguirà, a chiudere il tutto, una traversa di Bitton con un pallonetto da applausi). Troppo? No, giusto. Ineccepibile. Come giusti sono i fischi del Meazza mezzo vuoto. Sarà anche per questo che gli isrealiani arrivati proprio dal deserto si sono trovati
così bene.
(La Gazzetta dello Sport, 16 settembre 2016)
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Bakhar: «E in casa siamo ancora più forti
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L'orgoglio dell'allenatore israeliano: «L'avevo detto che noi facciamo sul serio»
di Luca Taidelli
MILANO - Finisce in festa, con i giocatori che si fanno i selfie in campo come una scolaresca a Gardaland. L'Hapoel Be'er Sheva è venuto a San Siro con le palle e le idee chiare e ora guarda dall'alto in basso Inter e Sparta Praga. Nella conferenza post gara - surreale per l'assenza dei giornalisti israeliani, privi dell'accredito per la sala conferenze -, il tecnico Barak Bakhar rimane composto, ma trasuda orgoglio: «Avevo già detto alla vigilia che facevamo sul serio, ci siamo preparati molto bene sia a livello tattico sia fisico. Se mi aspettavo un'Inter così in difficoltà? Preferisco guardare a casa mia e dire che siamo stati bravi noi a non farli giocare come volevano e metterli in difficoltà in diverse occasioni. Se ora diventiamo i favoriti del girone? Troppo presto per dirlo, ora torniamo a concentrarci sul campionato. Ma di sicuro in casa siamo molto più forti che in trasferta ... ».
Grazie alla gente
Resta la sensazione di un'impresa storica, che per un club israeliano contro le italiane era riuscita solo altre tre volte. Al Maccabi Haifa contro il Parma nella coppa Coppe '93-94, all'Hapoel Tel Aviv contro gli stessi emiliani nella coppa Uefa 2001-'02 e di nuovo all'Hapoel contro il Milan nel 2002, anche se passarono il turno i rossoneri. «Non so giudicare se abbiamo fatto la storia - racconta il tecnico -, questo lo lascio dire ai media. Di sicuro abbiamo meritato di vincere, avendo giocato meglio pure nel primo tempo». Difficile dargli torto. Chiude Maor Buzaglo, che con la sua punizione ha lasciato di sale Handanovic: «Se lui mi conosceva poco? Non mi interessa, di certo non è la prima volta che calcio così. Un grazie al pubblico che ci segue ovunque con un entusiasmo incredibile».
(La Gazzetta dello Sport, 16 settembre 2016)
Ebrei
Storia piuttosto recente, laica e modernizzante della comunità israelitica in città. Un libro
di Maurizio Crippa
RIPA DEL NAVIGLIO - Quest'anno Venezia ricorda (celebra non è parola adatta) i 500 anni della creazione del Ghetto. A Milano un ghetto non è mai esistito, semplicemente perché gli ebrei non c'erano. La differenza non è di poco conto, e non fa della storia di Milano una storia più accogliente di quella di Venezia, o di Roma. Soltanto diversa. La vicenda della comunità ebraica a Milano ha una data molto più recente, poco più di due secoli, inizia con l'arrivo di Napoleone, che com'è noto molto amava questa sua capitale satellite cisalpina. "Ebrei a Milano - Due secoli di storia tra integrazione e discriminazioni", è un interessante studio complessivo scritto da Rony Hamaui, docente dell'Università Cattolica, pubblicato nei mesi scorsi dal Mulino (300 pp., 28 euro). La data di "assenza" della comunità israelitica dalla città è invece molto più antica, e sfiora in profondità qualcosa dell'identità "ambrosiana" di Milano. Sebbene l'unica testimonianza della presenza di ebrei in epoca romana in città siano alcune lapidi incastonate nelle mura della basilica di Sant'Ambrogio, forse provenienti da uno scomparso cimitero, la "tolleranza" imperiale verso le comunità ebraiche rimase in vigore fino a dopo l'Editto di Milano, iniziò a incrinarsi dopo l'Editto di Tessalonica, 380 d.C., che costituiva il cristianesimo a religione di stato. Il ruolo dell"'atteggiamento non proprio conciliante" (Hamaui) del santo vescovo Ambrogio nei confronti dell'ebraismo ragioni e interpretazioni complesse e discusse, in cui rientrano questioni strettamente religiose e questioni legate alle crescenti responsabilità politiche della chiesa e al rapporto quantomeno dialettico con l'autorità imperiale. Sta di fatto che Milano non divenne terra d'elezione per gli israeliti, e non lo fu per un millennio. Mentre comunità ebraiche si insediavano in tutta la Lombardia, in città la presenza rimase sporadica e mal tollerata. Espulsi dal Comune una prima volta nel Duecento, con un bando che colpiva allo stesso modo gli eretici, lo furono una seconda volta nel 1320. Fu Gian Galeazzo Visconti a concedere ad alcune famiglie tedesche di insediarsi per le loro attività e con un cimitero, ma fuori dalle mura della città. La tolleranza proseguì con alti e bassi con gli Sforza - la signoria ricca e operosa aveva crescente bisogno del loro apporto economico e commerciale - fino alla cacciata definitiva dal Ducato decretata dagli spagnoli nel 1570.
La Iudentoleranzpatent di Giuseppe II non si applicò agli ebrei di Milano, per mancanza degli stessi. Ma quando nel 1796 Napoleone varcò le Alpi e bruciò nell città "liberate" le porte dei ghetti, gli ebrei iniziarono la loro presenza milanese, assieme a quella della loro assimilazione in Italia. Come ricostruisce Hamaui, e l'ampia bibliografia a riguardo, la storia degli ebrei a Milano è strettamente legata ai motivi e alle dinamiche della modernità, in tema di diritti, di laicizzazione della società, di ingresso spesso coronato dal successo nelle nuov dinamiche economiche. Le "Ricerche economiche sulle interdizioni imposte dalle leggi civili agli israeliti" di Carlo Cattaneo e il Nabucco di Verdi alla Scala (1842) sono lo specchio e la porta d'ingresso degli ebrei nel Risorgimento, e successivamente nelle vicende dello stato unitario. L'inizio del "mezzo secolo d'oro degli ebrei italiani: dall'Indipendenza alla Belle Epoque", contrassegnata, in città, dalla crescita delle presenze fino a cinquemila persone. La storia economica, soprattutto finanziaria, di Milano deve molto agli Ebrei, a partire dalla Banca Popolare di Milano, fondata da Luigi Luzzatti quando aveva solo 24 anni fino a Joseph Toeplitz che nel 1917 prese la guida della Banca Commerciale Italiana. Non solo di economia si parla, il contributo alla vita culturale e politica della (prevalentemente) laica comunità cittadina ("mai contraddistinta per speciale afflato mistico", Hamaui) si misura nei nomi di editori come Emilio Treves, personalità come Anna Kuliscioff o Margherita Sarfatti, Prospero Moisè Loira, promotore della Società Umanitaria, sostanzialmente nel solco di un ebraismo riformista e liberale.
Dal ritorno a Milano nel Dopoguerra la comunità è cresciuta fino a circa 7.000 presenze; dopo l'inizio dei conflitti mediorientali e le persecuzioni nei paesi arabi l'arrivo di ebrei da Aleppo, dall'Iran, dalla Libia ha modificato la composizione socio-culturale dell'ebraismo milanese. A modificare il suo tradizionale tasso di "laicità" contribuiscono le comunità chassidiche sorte dai primi anni Sessanta. La prefazione al volume è di Gad Lerner.
(Il Foglio, 16 settembre 2016)
L'ingegno e la scienza applicati alla Difesa
La forza dell'esercito israeliano è aver saputo sviluppare armamenti altamente tecnologici, senza dover ricorrere all'assistenza dei Paesi alleati .
di Mario Del Monte
L' Israeli Defence Force, l'esercito di difesa dello Stato d'Israele, ha un rapporto molto particolare con la tecnologia. Fin dalla dichiarazione d'indipendenza del 1948 è stato coinvolto in una serie di lunghissimi conflitti con gli Stati vicini, alcuni ancora non formalmente terminati, che ne hanno messo più volte a repentaglio l'esistenza. Per far fronte a questa situazione di svantaggio numerico le armi di alta qualità sono diventate indispensabili alla pari dell'assistenza ricevuta nel tempo da Stati Uniti e Germania.
La vera forza dell'IDF si è rivelata però l'industria tecnologica locale: invece di importare semplicemente armi e veicoli militari gli ingegneri israeliani si sono specializzati nella loro customizzazione e nell'adattamento alle condizioni geografiche ed ambientali del Medio Oriente. Proprio l'adattamento alle diverse esigenze dell'esercito israeliano è stato decisivo nella diffusione del mito di imbattibilità che ha accompagnato le campagne militari israeliane. Il caso più famoso è sicuramente quello del carro armato Merkavà, il fiore all'occhiello dell'IDF durante gli anni '80. Arrivato alla sua quarta generazione, il Merkavà differisce dagli altri carri armati per la sua alta manovrabilità e per i sei diversi tipi di armamento disponibili per l'equipaggio fra cui si distinguono le mitragliatrici leggere, utili negli scontri urbani, e un sistema di difesa dai razzianti-carro.
Un'altra eccellenza israeliana è il fucile d'assalto Tavor, modellato sulla base del M4 statunitense ma più leggero e preciso di quest'ultimo, impiegato ora da diversi eserciti nel mondo come quello indiano. Senza dimenticare l'ormai celebre Iran Dome, il sistema di intercettamento missilistico che negli ultimi anni ha difeso con successo i civili israeliani dalle minacce di Hamas ed Hezbollah. La vera unicità dell'Iran Dome risiede nella capacità di individuare quali minacce colpirebbero realmente zone popolate permettendo così anche di risparmiare somme considerevoli dato che ogni munizione della "Cupola di Ferro" costa circa cinquantamila dollari. Inoltre sono previsti due aggiornamenti, Iran Beam e David's Sling, che saranno operativi entro il 2018 e garantiranno una copertura del 100% (oggi limitata a 87%) contro qualsiasi minaccia aerea.
Quando si parla di ingegneria militare israeliana anche gli Stati Uniti hanno un occhio di riguardo: nonostante la regola generale vieti a chiunque di modificare i sistemi importati dall'America, Israele sarà l'unico Stato a poter customizzare i nuovi jet da combattimento F-35. Tutti questi passi in avanti nel campo della tecnologia militare hanno avuto formidabili risvolti per la vita dei civili: trasformando i suoi soldati in imprenditori, Israele è diventato un punto di riferimento non solo per la sicurezza ma anche in altri campi come la biotecnologia e la produzione di software. Ne sono un esempio il cosiddetto "bendaggio israeliano", un kit di pronto soccorso che induce automaticamente pressione sulle ferite gravi e che ha salvato la vita alla senatrice Gabrielle Giffords a seguito della sparatoria in Arizona del 2011, e l'USB flash drive, il pennino USB con cui è possibile portare con sé file informatici, entrambi sviluppati da ex militari israeliani.
Molti paesi hanno provato ad imitare il modello della Silicon Valley ma nessuno è riuscito come Israele a creare un ambiente dove menti brillanti vengono incoraggiate a sviluppare idee nuove. L'IDF ha creato questo sistema per necessità, i giovani soldati, facilitati dall'accesso a tecnologie avanzate e dall'addestramento a prendere importanti decisioni, hanno fatto sì che il paese andasse oltre le sue esigenze militari trasformandolo in una delle maggiori potenze tecnologiche mondiali.
(Shalom, settembre 2016)
Le bugie degli scout palestinesi
Hanno organizzato un corso intitolato a un terrorista. Smascherati, hanno accampato patetiche menzogne per salvare la faccia all'Organizzazione scoutistica mondiale.
Di recente la ong israeliana Palestinian Media Watch ha reso di pubblico dominio il fatto che l'Associazione Scout Palestinese (letteralmente in arabo: Associazione Palestinese Scout e Guide) ha tenuto un corso intitolato al nome del terrorista Baha Alyan, responsabile nell'ottobre del 2015 dell'assassinio a sangue freddo di tre civili israeliani: Alon Govberg, Haviv Haim e Richard Lakin....
Palestinian Media Watch aveva anche notificato la cosa all'Organizzazione Mondiale del Movimento Scout la quale, dopo aver chiesto chiarimenti agli scout palestinesi, ha emesso un comunicato-stampa nel quale scagiona se stessa dicendo che l'Associazione Palestinese Scout e Guide che ha glorificato il terrorista non è riconosciuta ed non ha nulla a che fare con l'Associazione Scout Palestinese riconosciuta dall'Organizzazione Mondiale del Movimento Scout....
(israele.net, 16 settembre 2016)
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