Notizie 16-30 settembre 2022
Attentato sinagoga Roma. Gadiel Gaj Taché: “Dallo stato né verità né giustizia”
Gadiel Gaj Taché, fratello di Stefano, unica vittima dell’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982: ecco la sua testimonianza
di Davide Giancristofaro Alberti
A I Fatti Vostri si è trattato stamane il caso del terribile attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Tachè, bimbo di soli 2 anni, oltre al ferimento di 37 persone. Fra i feriti gravi vi era anche Gadiel Gaj Taché fratello proprio della vittima che oggi è stato negli studi del programma di Rai Due: “Ho pochi ricordi – dice riferendosi a quei tragici eventi – ero molto piccolo, avevo 4 anni, molte cose le ho rimosse, ho ricostruito grazie all’aiuto della mia famiglia gran parte dei miei ricordi. Il ricordo più limpido che ho è quello in cui mi han caricato sull’elicottero e mi han portato all’ospedale San Camillo. Io evidentemente ero troppo grave, sono stato colpito da migliaia di schegge, mi è stata recisa l’arteria femorale, avevo schegge nell’occhio, testa, pancia, la gamba sinistra piena di schegge, ancora ne ho”. L’attentato alla sinagoga di Roma avvenne in un momento particolare: “Era l’ultimo giorno della festa delle capanne e in quel giorno si usa dare una benedizione speciale a tutti i bambini e quel giorno era affollato di bimbi. Ho qualche piccolissimo flash di mio fratello, di noi che giochiamo, che andiamo al mare, ma molto è ricostruito attraverso i racconti e forse la mia mente mi ha preservato da un dolore maggiore”. “Come ho fatto ad andare avanti? Io sono un musicista e mi ha aiutato molto, mi piace scrivere canzoni. Io per 30 anni non ho avuto la forza di parlare della mia esperienza e la musica mi ha aiutato. Nel 2011 ho cominciato a parlarne e questo è stato un altro momento importante. Mi emoziono ancora quando ne parlo”. Mattarella, nel discorso del suo primo insediamento, ricordò proprio Stefano Gaj Taché: “Qualcosa di totalmente inaspettato – ha commentato Gadiel – ci speravamo per tanti anni quindi è stata come la realizzazione di un sogno. Per 40 anni abbiamo avuto la sensazione che questo attentato fosse stato considerato dall’Italia un qualcosa di estraneo, riguardante solo la comunità ebraica e non l’Italia, ma Stefano era italiano anche io lo sono, siamo nati e cresciuti qua”. Gadiel ha scritto un libro dal titolo ‘Il silenzio che urla’: “E’ stato il mio silenzio per 30 anni – ha commentato – il silenzio assordante durante il funerale di Stefano e poi il silenzio dello Stato, noi ad oggi non abbiamo avuto ne verità ne giustizia”.
• Nazismo ed Ebrei - Promemoria
(ilsussidiario.net, 30 settembre 2022)
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Sinistra italiana ed ebrei - Alla casa della memoria presentato il libro di Alessandra Tarquini
di David Di Segni
Quello che intercorre fra la sinistra italiana e gli ebrei è un rapporto longevo e mutato nel tempo. Pensatori, intellettuali, membri di partito: la presenza ebraica a sinistra è stata determinante nel corso culturale della storia.
Di questo, e molto altro ancora, tratta il libro “La sinistra italiana e gli ebrei – Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992”, scritto da Alessandra Tarquini. Presentato presso la Casa della Memoria, il testo è stato introdotto alla presenza di relatori come l’onorevole Piero Fassino, presidente Commissione Esteri della Camera dei Deputati, e Roberto Della Rocca, membro della Direzione del Partito Meretz in Israele.
“Quello che intercorre fra questi due elementi è un rapporto bivalente, che si incontra sul terreno valoriale, ad esempio nella lotta al fascismo, ma che al contempo è percorso dalle pulsioni che nella società del tempo sono penetrate anche nella sinistra” ha spiegato Fassino.
Sebbene duraturi, anche i rapporti fra la sinistra e gli ebrei hanno visto il loro declino. Soprattutto con la nascita dello Stato d’Israele, che portò i partiti di sinistra ad una deriva filopalestinese. Una scelta che provocò non solo un crescendo di antisionismo, ma anche di antisemitismo verso le Comunità ebraiche italiane. Queste non venivano più considerate parte integrante dello Stato italiano – come accaduto con la destra durante il fascismo – bensì diretta appendice politica di Israele.
Questo falso malinteso portò a conseguenze disastrose, con continui attacchi ed intimidazioni antisemite, culminate il 9 ottobre 1982 con l’attentato di matrice palestinese alla Sinagoga di Roma. “Una ferita ancora aperta” l’ha definita l’incaricato d'affari dell'Ambasciata d'Israele in Italia Alon Simhayoff, che durante la presentazione ha ricordato quel tragico evento che portò alla morte del piccolo Stefano Gaj Taché. Per colpire Israele, vennero colpiti gli ebrei. Una conseguenzialità che rende chiara l’inscindibilità tra antisionismo ed antisemitismo, ma su cui la sinistra ancora oggi è troppo titubante.
“Esiste una profonda connessione fra Israele e la sinistra europea ed italiana – ha riferito Alon Simhayoff, che ha poi espresso il proprio dissenso verso il forte antisionismo dei radicali di sinistra – Durante la campagna elettorale, alcuni membri del PD hanno fatto dichiarazioni antisemite e antisioniste. Come Ambasciata abbiamo deciso di non replicare pubblicamente durante la corsa elettorale, ma ora possiamo dire che queste parole siano inaccettabili. Chiunque abbia a cuore i valori di giustizia e libertà, e conosce la storia del popolo ebraico, deve opporsi a tutto ciò.”
(Shalom, 30 settembre 2022)
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In Israele torna Netanyahu e il ‘fronte arabo’ si sfalda: il rischio è un governo a guida sionista
di Claudia De Martino
Il prossimo 1° novembre si terranno le elezioni per la venticinquesima Knesset in Israele: le quinte in soli 3 anni. Se è probabile che esse vedranno il grande ritorno in scena di Benyamin Netanyahu – figura immortale e araba fenice della politica israeliana come Silvio Berlusconi in Italia – le prossime elezioni vedranno soprattutto un fronte disunito e litigioso nella rappresentanza politica della minoranza araba, il cui astensionismo si annuncia infatti alto (il tasso di partecipazione è ipotizzato intorno al 42%, giù da un apice del 63.5% nel 2015). Sette anni fa, i quattro principali partiti arabi ebbero la felice intuizione di unirsi in un fronte comune, denominato “Lista unita”, capace di conquistare ben 15 seggi al Parlamento israeliano nel 2020 e tuttavia, dopo quello sfoggio di forza e di unità, esse non sono state più capaci di restare unite per conseguire gli stessi risultati. La prima forza politica a cambiare strategia e scegliere di correre da sola è stato il partito islamista Ra’am nel marzo 2021, che ha considerato le differenze interne alla coalizione di partiti arabi, soprattutto vertenti sui diritti civili e della comunità Lgbt e sulla possibilità di un appoggio o un ingresso in un governo sionista, più importanti del mantenimento di un fronte arabo coeso. È così che si è prodotta anche la più grande novità della ventiquattresima Knesset: l’inclusione per la prima volta in un governo di unità nazionale (“il governo per il cambiamento”) di un partito arabo. Ra’am ha promesso agli elettori arabi che l’hanno appoggiato la concreta opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita, combattendo la criminalità diffusa che attanaglia la comunità araba, convogliando maggiori fondi verso i suoi bisogni economici e sociali e lottando per il riconoscimento degli insediamenti beduini informali nel Negev e per il loro allaccio alla rete idrica ed elettrica. Tuttavia, i risultati di questa strategia di pressione sul governo dall’interno si sono rivelati modesti: nel 2021 il tasso di criminalità interno alla comunità araba non si è attenuato, registrando 121 omicidi in un anno, il numero delle abitazioni arabe demolite a Gerusalemme e dintorni per via della famigerata legge Kamenitz (Draft Planning & Construction Law, Amendment No. 109/5776-2016) non è calato, , gli insediamenti beduini sono stati sì riconosciuti ma circondati da una cintura di nuovi insediamenti ebraici, un cospicuo budget di 9,62 miliardi di euro per il progresso e l’inclusione della minoranza araba è stato assegnato a progetti sociali e infrastrutturali di grande ambizione, ma non ancora versato a dieci mesi dall’annuncio e, infine, a livello simbolico, nessuna decisione di discontinuità ideologica con i governi Netanyahu ad esso precedenti è stata presa dal “governo del cambiamento”, in particolare in merito alla controversa legge sullo Stato-nazione ebraico (2018), che definisce Israele un paese esclusivamente appartenente alla maggioranza ebraica. Di fronte a questi parziali risultati, gli altri partiti arabi si sono mostrati critici dell’operato di Ra’am e hanno tentato di elaborare strategie alternative ad un sostegno gratuito agli esecutivi sionisti, senza alcuna garanzia sul programma di governo. Così le due tradizionali forze della borghesia araba, il laico partito ex comunista Hadash e il partito della borghesia liberale Ta’al, hanno ventilato la possibilità di sostenere un nuovo governo sionista con un appoggio sia interno che esterno, ma solo se in aperta opposizione a Netanyahu. A tale proposta, l’ultimo dei quattro partiti arabi, il nazionalista Balad, ha reagito con una rottura dell’alleanza tattica con la Lista Unita, adottando una posizione massimalista, ovvero sostenendo non fosse possibile partecipare in alcuna forma alla nascita di un qualsivoglia esecutivo sionista, indipendentemente dalla sua agenda di governo. Lo strappo di Balad ha provocato un’ulteriore spaccatura nel fronte arabo, che alle prossime elezioni si presenterà diviso in tre blocchi indipendenti (il partito islamista, Ra’am, il campo liberal-progressista, costituito da Hadash e Ta’al e il partito nazionalista, Balad appunto) con quest’ultimo che rischia di sparire dalla Knesset, apparendo nei sondaggi sotto la soglia di sbarramento. La spaccatura della minoranza araba in partiti ideologicamente rivali e in competizione tra loro rischia di provocare come primo effetto negativo una disaffezione generale dell’opinione pubblica araba d’Israele, il cui tasso di astensionismo va crescendo ad ogni nuova tornata elettorale, ma che stavolta, proiettata all’irrilevanza di 8 seggi su 120 contro i 15 delle precedenti, potrebbe essere ancora più tentata dal boicottaggio delle urne. Un risultato paradossalmente positivo, invece, potrebbe essere quello di vedere un nucleo ristretto di deputati arabi liberal-progressisti appoggiare, sulle orme di Ra’am nella precedente legislatura, un potenziale governo di centro-sinistra a guida Lapid che si proponesse come unico argine ad un eventuale ritorno di Netanyahu. La partecipazione dei partiti arabi al governo è una richiesta che proviene dalla maggioranza dell’opinione pubblica araba d’Israele, che vorrebbe progressivamente contare di più nel Paese in cui non si sente ospitata o tollerata, ma di cui si avverte parte integrante e forza propulsiva. Tuttavia, la spaccatura della comunità in partiti divisi che riflettono ceti sociali e interessi sempre più divergenti, pur competendo nominalmente per una rappresentanza “unitaria” dell’identità araba in Israele, rischia di rivelare l’esistenza di profonde distinzioni economiche e sociali al suo interno e il lento ma inesorabile erodersi delle tradizionali fedeltà nazionali a favore dell’aspirazione ad una normalizzazione, ovvero alla partecipazione attiva alla società israeliana sulla base di preferenze valoriali e di classe.
(il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2022)
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Israele vende sistemi antidroni all’Ucraina attraverso la Polonia
I media israeliani hanno riferito che Israele vende sistemi antidroni all’Ucraina attraverso la Polonia. Un appaltatore della difesa israeliano sta fornendo sistemi anti-droni all’esercito ucraino attraverso la Polonia, ha riportato il Times of Israel. Una fonte dell’azienda ha affermato che l’attrezzatura è stata venduta alla Polonia per aggirare il rifiuto di Israele di vendere armi avanzate all’Ucraina. La società ha riferito al ministero della Difesa che la vendita era alla Polonia e sembrava non essere a conoscenza del fatto che Varsavia fungeva da intermediario per trasferire le armi a Kiev, che ha utilizzato i sistemi israeliani per contrastare l’attacco russo all’Ucraina. Fonti dell’industria della difesa hanno chiarito che i sistemi antidroni – che possono intercettare e distruggere i veicoli aerei senza pilota – sono classificati come “tecnologia difensiva avanzata” e quindi non sono approvati per la vendita all’Ucraina. Tuttavia, il governo israeliano è apparso disinteressato a silurare l’accordo. Il rapporto Mosca-Tel Aviv è recentemente entrato in una nuova fase di tensione a causa della chiusura dell’Agenzia Ebraica in Russia.
(Il Farto sul Mondo, 30 settembre 2022)
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Gli ebrei ucraini si preparano a festeggiare Rosh Hashanah
di Michelle Zarfati
Decine di migliaia di ebrei ucraini si preparano ad accogliere con entusiasmo - Rosh Hashanah -. Il Capodanno ebraico. Le esplosioni che echeggiano in lontananza e le sirene dei raid aerei a tutto volume sono diventati ormai rumori di sottofondo di routine negli ultimi mesi per la popolazione della nazione dell'Europa orientale. Ora queste comunità pregano affinché il suono dello shofar, che si sentirà a Rosh Hashanah, porti con sé un cambiamento nella colonna sonora delle loro vite portando magari una nuova melodia di tranquillità, pace e sicurezza. Su Ynet è stato pubblicato un ampio reportage.
I rabbini locali e gli emissari Chabad hanno distribuito tonnellate di pacchi alimentari e altre forme di aiuto ai membri delle comunità ebraiche in tutte le città ucraine. Il rabbino Shlomo Peles, che supervisiona l’apparato di distribuzione di emergenza, stima che migliaia di ebrei si riverseranno nelle sinagoghe di tutto il paese durante le festività di Tishrí, nonostante la situazione, e pregheranno per un nuovo anno più sicuro. Il rabbino Yehoshua Vishedsky, un emissario Chabad nella capitale Kiev, suonerà lo shofar per i soldati dell'esercito ucraino. A Zaporizhzhia, sede della più grande centrale nucleare d'Europa, un luogo che ha destato preoccupazione negli ultimi mesi a causa degli aspri combattimenti intorno alla struttura nucleare, gli ebrei della città si stanno preparando ad accogliere la festa rimanendo però in allerta. "Sentiamo terribili esplosioni senza sosta", dice al notiziario israeliano Ynet il rabbino Nachum Ehrentreu, rabbino capo della città ed emissario locale di Chabad. “Accade di mattina come durante la notte, sentiamo tremare le nostre case. Prima della guerra, eravamo migliaia di ebrei. Ora stimo che ne rimangano solo 1.500. Mentre donne, bambini e anziani se ne sono andati tutti all’inizio della guerra, la maggior parte degli ebrei sotto i 60 anni hanno deciso di rimanere in città”. Ha spiegato Yehoshua Vishedsky.
Il rabbino Ehrentreu ha condiviso invece come questi tempi difficili spingano molti ebrei locali a riconnettersi con le proprie radici. “Questo è un grande risveglio per l’ebraismo. Le persone stanno cercando di aggrapparsi a qualcosa di spirituale durante questo periodo e ognuno si sta risvegliando a modo suo. Cerchiamo di fungere da punto di incoraggiamento per tutti coloro che si rivolgono a noi” aggiunge Ehrentreu. Nonostante i continui bombardamenti, il rabbino Ehrentreu, nelle ultime settimane, ha kosherato una pasticceria locale permettendo agli ebrei rimasti sul posto di poter godere dei dolci tipici dì Rosh Hashanà rispettando tutte le norme ebraiche della Kasherut. Nello stabilimento ucraino sono già stati prodotti circa 15.000 pasticcini, molti dei quali saranno distribuiti nelle comunità ebraiche in tutto il Paese, mentre altri saranno esportati in altre regioni vicine.
Oltre ai pasticcini, il rabbino Ehrentreu, sua moglie e i loro quattro figli hanno distribuito pacchi alimentari speciali per la festa a tutti gli ebrei della comunità, insieme a scatole di contenenti regali per le feste preparati dai Chabad locali. “Quando gli ebrei della comunità hanno visto che le scatole contenevano non solo prodotti kosher, ma anche prodotti provenienti dalla Terra d'Israele, si sono commossi ed emozionati. Molti di questi prodotti li legano ancora di più al significato della festa e al nostro essere una nazione unita", ha detto il rabbino. "Nonostante il grande conflitto, gli ebrei della comunità sono arrivati in tantissimi alla distribuzione che si è tenuta nella grande sinagoga. Tutti si stanno abituando a questa triste realtà". Il rabbino Ehrentreu stima che circa 600 ebrei saranno presenti alle preghiere di Rosh Hashanah di quest'anno. “Nelle ultime settimane, abbiamo incoraggiato gli ebrei della nostra città a venire a pregare e ad essere uniti e presenti nelle attività della comunità durante il mese delle festività” ha aggiunto.
Sebbene più di 1.300 corpi siano già stati recuperati dalle città liberate dalle truppe ucraine nella sola regione di Kiev, la Federazione delle comunità ebraiche dell'Ucraina (FJCU), un gruppo legato al movimento Chabad-Lubavitch, ha confermato che ci sono quasi sicuramente diversi ebrei tra i civili morti. Tuttavia, non vi è ancora alcuna conferma. Nonostante tutto, la comunità si prepara a rendere questa festa il più felice possibile, con un numero record di "shalach manos", come il rabbino è solito chiamare le i pacchi di aiuto che saranno inviati a più di 5.000 famiglie bisognose nella sola Kiev. “Ci stiamo preparando per Rosh Hashanah in grande stile nonostante tutto. Ci sarà uno spirito di festa per le migliaia di famiglie che hanno sofferto fin troppo in questi mesi” ha concluso il rabbino.
(Shalom, 30 settembre 2022)
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Israele schiera uno “sparatutto intelligente” telecomandato con intelligenza artificiale
Le forze armate israeliane hanno installato una torretta telecomandata per la dispersione della folla nella città palestinese di Hebron, in Cisgiordania, ha riferito il media israeliano Haaretz.
Il sistema è installato in Shuhada Street, sopra un posto di blocco in un’area che è stata un punto caldo per proteste e scontri tra palestinesi e militari israeliani. Secondo Haaretz, il sistema è nella sua fase pilota. L’esercito israeliano sta testando la possibilità di usarlo per impiegare metodi approvati di dispersione della folla, che non includono lo sparo di proiettili veri. “Come parte dei preparativi migliorati dell’esercito per affrontare le persone che perturbano l’ordine nell’area, esamina la possibilità di utilizzare sistemi controllati a distanza per adottare misure approvate di dispersione della folla. Questo non include il controllo remoto degli spari dal vivo”, un portavoce dell’esercito israeliano ha detto a Haaretz. L’esercito israeliano ha anche chiarito che durante la sua fase pilota, il sistema utilizzerà solo proiettili a punta di spugna. Tuttavia, ci sono stati diversi casi in cui proiettili a punta di spugna hanno causato ferite permanenti a persone in Cisgiordania e Israele, con alcuni che hanno persino perso la vista. Issa Amro, un’attivista palestinese per i diritti umani di Hebron, ha espresso preoccupazione per il fatto che il fallimento del nuovo sistema potrebbe avere un impatto su molte persone, osservando che il sistema è stato collocato al centro di un’area densamente popolata, con centinaia di persone di passaggio. “Vedo questo come un passaggio dal controllo umano a quello tecnologico. Noi palestinesi siamo diventati oggetto di sperimentazione e addestramento per l’industria militare hi-tech israeliana, che non è responsabile di tutto ciò che fa”, ha detto Amro ad Haaretz. Hebron, suddivisa in aree sotto il controllo di Israele e dell’Autorità Palestinese, ospita una popolazione di oltre 210.000 palestinesi e diverse centinaia di coloni israeliani che vivono in enclavi, principalmente vicino alla zona della città vecchia.
• Sistema di controllo antincendio “SMASH”
La torretta telecomandata è stata creata dalla società di difesa israeliana “Smart Shooter”, una società che ha sviluppato un sistema di controllo del fuoco autonomo chiamato “SMASH” che può essere collegato a fucili d’assalto per seguire e bloccare i bersagli utilizzando l’elaborazione delle immagini basata su intelligenza artificiale. Il marketing del suo sito web lo chiama “Un colpo: un colpo” e si vanta che l’azienda “combina hardware semplice da installare con un software avanzato di elaborazione delle immagini per trasformare le armi leggere di base in armi intelligenti del 21° secolo”. L’azienda afferma che la tecnologia SMASH supera le sfide affrontate dai soldati durante le battaglie, come lo sforzo fisico, la fatica, lo stress e la pressione mentale per mirare con precisione e garantire il successo del tiratore. “Il nostro obiettivo è consentire a tutti i corpi di fanteria di beneficiare delle armi di precisione. Qualunque sia l’esperienza o la missione del soldato, il nostro sistema gli permette di non sbagliare quando spara e di “colpire il bersaglio senza fallo. Qualsiasi soldato diventa un vero cecchino”, Michal Mor, fondatore e CEO di Smart Shooter, ha detto a i24 news nel 2020. Sebbene la torretta vista a Hebron non sia pubblicizzata sul sito Web di Smart Shooter, ci sono altre due torrette automatizzate, “SMASH HOPPER” e “SMASH HOPPER P”, mostrate equipaggiate con fucili d’assalto e il sistema Smart Shooter.
(GAMINGDEPUTY ITALY, 30 settembre 2022)
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Avanzano i lavori di riqualificazione del Museo Ebraico di Venezia
di Ilaria Ester Ramazzotti
Proseguono i lavori di riqualificazione e ampliamento del Museo Ebraico di Venezia, museo diffuso che include diverse aree site in campo di Ghetto Novo e tre storiche sinagoghe della città lagunare, italiana, tedesca e canton. Si darà vita a un percorso di visita continuo e inclusivo che prevede anche un appartamento tipo del ghetto cinquecentesco. Il piano è internazionale, ha ricevuto finanziamenti privati in parte europei e in parte statunitensi e lo scorso mese di luglio ha visto aggiungersi la partecipazione del governo italiano con uno stanziamento di 1,65 milioni di euro elargiti dal ministero della Cultura, che lo ha inserito nel piano strategico Grandi Progetti Culturali. Mosaico ha incontrato la direttrice del Museo Ebraico di Venezia Marcella Ansaldi, che spiega: “I lavori sono ripartiti in maniera importante negli scorsi mesi di marzo e aprile, dopo le interruzioni causate prima alla pandemia da Covid e poi a rallentamenti dovuti ai molti cantieri che ci sono in città. Altri rallentamenti erano invece stati voluti per non mettere a repentaglio le finanze comunitarie: finché non ci sono in cassa i fondi dei finanziamenti, non si dà avvio ai lotti successivi dei lavori”. “Oggi siamo soddisfatti perché abbiamo la possibilità di avere il progetto definitivo di tutto il complesso museale – prosegue -. Eravamo infatti stati costretti a dividere il piano, che oltre alle tre sinagoghe cinquecentesche e il vecchio museo comprende oggi degli appartamenti confinanti con la sinagoga tedesca che abbiamo dovuto acquistare. Si tratta di appartamenti che in passato appartenevano alla comunità, ma che nel dopoguerra erano stati venduti. Un altro ampio appartamento attiguo alla sinagoga italiana diventerà invece area museale. Già di proprietà della comunità, è tuttavia totalmente da ristrutturare, dal solaio al pavimento. E in questi casi a Venezia il tessuto fragile della città richiede il triplo delle attenzioni. Abbiamo inoltre inserito nel progetto il rifacimento delle facciate”. La buona riuscita della raccolta dei fondi privati è dovuta all’opera dello storico dell’arte e fundraiser David Landau, che ha dal principio coinvolto il World Jewish Congress attraverso il suo presidente Ronald Lauder. “Il costo totale del progetto complessivo del Ghetto Novo ammonta a circa 12 milioni di euro – evidenzia la direttrice Ansaldi -. L’avvio della raccolta dei fondi è stato complesso, ma il nostro iscritto David Landau ha raccolto da privati i denari che finora hanno finanziato i lavori svolti per oltre cinque milioni e mezzo”. “In questo contesto sono benvenuti i denari da parte del Ministero della Cultura, che ha voluto valorizzare questo importante progetto che riguarda la storia dell’ebraismo e della città di Venezia – sottolinea -. Il merito va all’iniziativa del presidente della Comunità Ebraica di Venezia Dario Calimani che ha sottoposto al Ministero la parte progettuale relativa a tutta l’area della sinagoga tedesca e all’area sottostante. Uno spazio già di proprietà del Museo ebraico, precedentemente destinato a deposito, che tornerà area espositiva. Lì ricostruiremo un appartamento tipo del ghetto cinquecentesco: dal Cinquecento ad oggi non ha subito interventi edilizi, se non d’urgenza, e presenta tutte le caratteristiche delle pareti e del soffitto tipici del ghetto. È fra quelli che furono abbassati per poter ospitare l’elevato numero di famiglie che arrivarono in ghetto fra il Cinquecento e il Seicento”. Non mancheranno nuovi e rinnovati servizi per l’accoglienza dei visitatori. “Il piano terra di tutta quest’area riprodurrà l’originale ingresso della sinagoga tedesca con lo sviluppo di una struttura di sicurezza a destra e di un nuovo bookshop sulla sinistra. Questa è l’area oggetto del finanziamento del ministero, che tuttavia non sarà sufficiente per sostenere i costi di tutti i lavori: la sola sinagoga tedesca necessita di lavori di restauro per 900 mila euro, quindi dovremo aggiungere fondi privati – conclude Ansaldi -. Sotto, sopra e accanto alla sinagoga tedesca si intreccia l’architettura tipica del ghetto cinquecentesco. Il progetto assume così grande valore per la cultura della città e per la narrazione storica del ghetto”.
(Bet Magazine Mosaico, 30 settembre 2022)
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Gaza. Grazie alla mediazione russa Hamas stringe rapporti con la Siria
di Giuseppe Gagliano
Grazie alla fondamentale mediazione di Mosca, il gruppo di Gaza Hamas ha raggiunto un accordo politico, sulla sicurezza e l’intelligence con il regime siriano.
L’intesa ha richiesto mesi di l’avorio sia a livello diplomatico che a livello di intelligence. Già durante il mese di luglio Hamas era in una ottima posizione rispetto ad al-Fatah, principale partito palestinese in Cisgiordania.
Il capo di Hamas Ismail Haniyeh aveva visitato Beirut dal 19 al 26 giugno nel tentativo di avere il sostegno siriano e tracciare una strada verso Damasco. Vista l’importanza dell’accordo, Haniyeh è andato in Libano insieme ai suoi collaboratori più stretti Khalil al-Haya, Moussa Abou Marzouk e Saleh al-Arouri, questi responsabile del ramo di Istanbul di Hamas e con un ruolo fondamentale nel rafforzamento del partito in Cisgiordania.
Nello specifico il 26 febbraio al-Arouri era riuscito a garantire un incontro con Haniyeh, per una possibile riconciliazione di Hamas con Damasco.
Anche Hasan Nasrallah, segretario del partito sciita Hezbollah, ha svolto un ruolo importante per concretizzare l’accordo del 16 settembre: Nasrallah è stato incaricato di negoziare il ritorno dei membri del partito nelle aree siriane controllate dalle forze di Bashar al-Assad, incluso il campo profughi palestinese di al-Yarmouk, nonché la riapertura di un ufficio del partito nella capitale.
Ritornando all’accordo del 16 settembre, un ruolo importante è stato svolto anche dall’Iran: il 13 settembre Ismail Haniyeh è andato a Mosca su invito del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. L’oggetto della discussione è stato naturalmente la necessità di riconciliarsi con la Siria. Sempre a Mosca Haniyeh ha incontrato anche l’ambasciatore iraniano Qassem Galili, cosa che ha consentito all’Iran di svolgere un ruolo rilevante nel riaprire le relazioni diplomatiche con la Siria.
In altri termini se l’accordo ufficializzato il 16 settembre rappresenta un successo per Hamas, rappresenta al contrario un fallimento per il partito rivale e cioè al-Fatah, guidato da Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nonostante il fatto che proprio al-Fatah avesse cercato di stabilire buoni rapporti con la Siria. Questo ruolo di mediazione era stato svolto da Samir al-Rifai, inviato dell’Autorità palestinese a Damasco. Lo stesso aveva incontrato il 21 giugno il vice ministro degli Esteri siriano, ora ambasciatore a Mosca, Bashar Jaafari.
(Notizie Geopolitiche, 29 settembre 2022)
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Israele: la guerra informatica con l’Iran è senza precedenti
di Livio Varriale
I comandanti delle unità di difesa e di cyber intelligence israeliane hanno annunciato che il conflitto con l’Iran non ha eguali nel cyber-reame. Hanno spiegato che dal suo inizio nel 2013, questa guerra è diventata sempre più complessa, osservando che Israele è la parte più forte, ma il nemico non deve mai essere sottovalutato. Il colonnello Uri Stav, vice capo dell’unità offensiva dell’8200, e il colonnello Omer Grossman, vice presidente della stessa brigata per gli affari della difesa, hanno affermato che anche le capacità offensive dell’Iran stanno migliorando. L’Iran sta anche attivando diverse sue armi e milizie, come Hezbollah in Libano, e mobilita il sostegno in questo campo alle organizzazioni della Jihad islamica e di Hamas in Palestina. Stav ha affermato che: “Una delle sfide è che l’Iran sostiene organizzazioni che si trovano ai nostri confini ma sono fisicamente distanti da noi. Quando si tratta di guerra informatica, la distanza non esiste”. Ha spiegato che l’Iran è riuscito a sabotare il sistema idrico in Israele, interrompendolo per diverse ore, e ha anche cercato di avvelenare l’acqua, ma Israele ha risposto all’attacco. Ma Stav aggiunge che il livello delle sue prestazioni è ancora molto lontano da quello israeliano. Da parte sua, Grossman ha ammesso che il nemico non deve mai essere sottovalutato, come regola. “Ma posso dire con piena fiducia che le capacità della nostra parte sono infinitamente superiori. Non si tratta affatto dello stesso campionato, e nemmeno dello stesso sport. Finora non ci sono stati danni funzionali ai nostri sistemi a causa di attacchi da parte dell’Iran”.
Secondo le sue stime, la minaccia aumenterà nei prossimi anni. L’Unità 8200, inizialmente composta da cinque persone, tra cui una segretaria e un autista, è diventata la brigata militare più importante e annovera tra le sue fila soldati e ufficiali più impiegati e agenti del Mossad e dello Shin Bet messi insieme. Collabora con la sua controparte statunitense, la “National Security Agency” (NSA). Le due unità informatiche dell’esercito israeliano sono state istituite come cellula di emergenza 11 anni fa e hanno rilevato, nel 2014, il primo grande attacco di cyber-guerra iraniano durante la guerra “Protective Edge” su Gaza. L’attacco sostenuto dall’Iran, eseguito dall’allora “Esercito Elettronico Siriano”, riuscì a violare l’account Twitter del portavoce inglese dell’esercito israeliano. Gli hacker hanno avvertito di una possibile fuga nucleare nella regione dopo che due missili hanno colpito il reattore nucleare di Dimona, ma Israele ha riparato il danno in pochi minuti. Alcuni rapporti sono stati pubblicati su questa guerra informatica, ma all’epoca non hanno ricevuto l’importanza che meritavano. Tuttavia, gli esperti hanno condotto diversi tipi di ricerca sull’argomento. Il colonnello Gabi Siboni, direttore del programma di sicurezza informatica presso l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv, ha affermato che esiste un’ottima possibilità che questa avanzata informatica iraniana nel Protective Edge segni l’inizio della guerra informatica, che sostituirà il terrorismo classico come strumento centrale nella guerra dell’Iran contro Israele.
Siboni ha avvertito che la minaccia è che gli attacchi informatici contro Israele possano colpire il fronte interno, aggiungendo che l’Iran è rapidamente e sottilmente vicino a “colmare il divario” nella tecnologia informatica con Israele.
“Non dobbiamo essere ingenui”, ha detto il comandante dell’unità informatica. L’asse iraniano è costantemente alla ricerca di falle nella corazza dell’esercito israeliano e nel campo cibernetico”. Il comandante ha avvertito che nelle prossime guerre, le capacità informatiche saranno più critiche che nelle guerre precedenti, affermando che Israele è pronto a respingere e rispondere più che mai.
(#MatriceDigitale, 29 settembre 2022)
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Israele al primo posto nel Digital Quality of Life Index 2022
di Jacqueline Sermoneta
Israele conquista il primo posto nel ranking globale per qualità della vita digitale. A riferirlo il report annuale Digital Quality of Life di Surfshark, una società specializzata in reti private virtuali (VPN), che ha analizzato 116 nazioni (7,2 miliardi di persone, il 92% della popolazione mondiale), rilevando il benessere digitale di ogni singolo Paese.
Lo Stato ebraico è seguito dalla Danimarca, per due anni consecutivi in prima posizione, Germania, Francia e Svezia. Il Regno Unito si è classificato al 9° posto e gli Stati Uniti sono al 12°, in calo rispetto al quinto dello scorso anno. In coda Mozambico e Camerun. Lo riporta il Times of Israel.
Lo studio si basa su cinque parametri fondamentali (e 14 indicatori): accessibilità alla rete, qualità di internet, livello di informatizzazione dello Stato (e-Government), infrastrutture digitali, sicurezza informatica.
L’accessibilità alla rete è il punto di forza dello Sato ebraico, che ha l’internet Mobile più conveniente del mondo. Per arrivare a tale risultato, l'indice ha esaminato il numero di ore lavorative mensili utili alle persone per permettersi l'accesso. In Israele, il tempo necessario è di appena 5 secondi di lavoro al mese per 1 gigabyte, 58 volte in meno rispetto agli Stati Uniti. L’accesso a internet a banda larga fissa è più costoso, 19 minuti di lavoro mensile, che però è migliore rispetto alla media globale che si attesta sulle 6 ore.
L’elevato punteggio in questo parametro ha aiutato Israele a raggiungere il primo posto nella classifica generale, nonostante prestazioni più basse negli altri indicatori.
Per ciò che riguarda le infrastrutture digitali, lo Stato ebraico si piazza al 28° posto. Il parametro sulla qualità di internet, considerando velocità, stabilità e crescita, lo colloca al 21° posto, migliore del 31% rispetto alla media globale, 32ma posizione per la sicurezza informatica. Il valore israeliano più basso è l’e-Government, che lo classifica al 33° posto.
Lo studio si basa sulle informazioni open-source delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale, di Freedom House, dell'Unione Internazionale delle Comunicazioni e di altre fonti.
(Shalom, 29 settembre 2022)
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Quanti sono i cittadini di Israele? Arrivano le cifre aggiornate dell’Ente centrale israeliano di statistica
di Paolo Castellano
Alla vigilia di Rosh Hashanah, l’ente centrale di Statistica di Israele ha pubblicato i nuovi calcoli demografici riguardo all’attuale popolazione israeliana. Secondo il rapporto, al momento Israele ha 9.593.000 residenti, considerando questo numero l’istituto ha previsto che la popolazione supererà i 10 milioni per la fine del 2024 e i 15 milioni nel 2048. Il documento demografico poi specifica che i cittadini di Israele raddoppieranno nel 2065. Come riporta Algemeiner, la segmentazione della popolazione secondo le etnie mostra che 7.069.000 (74%) sono ebrei, circa 2 milioni (21%) sono arabi e quasi mezzo milione (5%) hanno un diversa appartenenza etnica. Nell’anno ebraico 5782 sono nati circa 177mila nuovi israeliani, mentre 53mila persone sono morte, incluse 4.400 vittime provocate dalla pandemia di Coronavirus. La guerra in Ucraina ha influenzato significativamente le stime complessive dei flussi migratori. L’immigrazione netta riguardo agli ultimi 12 mesi si attesta a 63mila, includendo 59mila che si qualificano come olim – 40mila di questi hanno fatto l’aliyah dall’Ucraina. Secondo le statistiche appena rilasciate dall’Agenzia Ebraica di Israele, attualmente il numero degli ebrei nel mondo è sui 15.3 milioni rispetto ai 15.2 dell’anno precedente. Come afferma l’Agenzia Ebraica, circa 8.25 milioni di ebrei vivono fuori da Israele (inclusi 6 milioni negli Stati Uniti). Stime aggiornate ed elaborate dal professor Sergio Della Pergola dell’Università ebraica di Gerusalemme che sono state pubblicate nell’American Jewish Year Book 2022. Se si includessero coloro che sono idonei all’ottenimento della cittadinanza in base alla Legge del Ritorno, il numero totale aumenta a 25.5 milioni di persone, di cui circa 7.5 milioni sono in Israele e 18 milioni fuori da esso, riporta l’Agenzia.
(Bet Magazine Mosaico, 29 settembre 2022)
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Tutti in Israele
di Giulio Meotti
ROMA - Israele è il paese dei record, ma hanno vita molto breve. “Record di immigrazione”, titolavano i giornali ebraici lo scorso maggio, quando in un anno furono registrati 38 mila nuovi arrivi. Ora secondo le stime del ministero dell’Immigrazione israeliano, entro la fine del 2022 il numero di nuovi immigrati sarà il più alto da vent’anni. L’immigrazione in Israele è aumentata vertiginosamente negli ultimi dodici mesi, secondo i dati pubblicati prima di Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. Lo stato ebraico ha assorbito 60 mila nuovi cittadini, un aumento del 128 per cento rispetto al 2021, in una aliyah senza precedenti (la “salita” a Gerusalemme). Gli immigrati provenienti da Russia e Ucraina hanno rappresentato quasi il 75 per cento dei nuovi immigrati. Seguiti da Stati Uniti, Francia ed Etiopia.
Il ministro uscente per l’aliyah, Pnina Tamano-Shata (la prima donna etiope a entrare alla Knesset nel 2013), ha detto questa settimana che Israele ha accolto 323 mila immigrati negli ultimi dieci anni. “C’è un cambiamento di coscienza nella società israeliana”, ha detto il ministro. “Una volta gli israeliani pensavano che il ministero della aliyah fosse una sorta di ‘figliastro’, un ministero senza importanza”. In un anno sono nati anche 177 mila bambini, mentre 53 mila israeliani sono morti. La popolazione di Israele è in procinto di raggiungere i dieci milioni entro la fine del 2024, saranno quindici milioni entro la fine del 2048 e venti milioni entro il 2065. E altre decine di migliaia di ebrei sono attesi da Russia e Ucraina. Le tendenze migratorie in Israele rappresentano una grande sfida per lo stato ebraico, poiché il tasso di arrivi aumenterà ancora a causa degli sviluppi geopolitici nei paesi dell’ex Unione Sovietica e della guerra in Ucraina. Ma non c’è soltanto la Russia.
“In Francia in sette anni 55.049 ebrei hanno fatto aliya in Israele, più che tra il 1970 e il 1999, periodo durante il quale 48.097 ebrei se ne sono andati”, racconta nell’ultimo numero della rivista di Bernard-Henri Lévy, La règle du jeu, uno storico come Marc Knobel. Nel 2021, 3.500 ebrei francesi sono emigrati in Israele (senza contare chi è partito per altri paesi). Un netto aumento rispetto alle 2.220 partenze nel 2019 e nel 2020. Più di 1.900 sono partiti per Israele nel 2012, altri 3.120 nel 2013. Nel 2104, oltre 7.200 persone hanno lasciato la Francia e 7.500 nel 2015. Nel 2000, oltralpe si contavano 500 mila ebrei. Oggi meno di 400 mila, un numero in drastico calo. A causa della massiccia immigrazione e dell’alto tasso di fertilità, la terra promessa in una generazione non basterà per tutti. Israele ha 352 persone per chilometro quadrato, rispetto alle 215 del 1990 e secondo le previsioni raggiungerà un numero compreso fra le 501 e le 880 nel 2059. Escludendo il deserto del Negev, che occupa più della metà di Israele, la densità di popolazione balza a 980 persone per chilometro quadrato, poco al di sotto del Bangladesh e sopra Giappone e Olanda. Da Haifa, a nord, ad Ashkelon, a sud, Israele sarà un’unica distesa area urbanizzata e iper abitata.
Entro dieci anni in quattro comuni italiani su cinque ci sarà invece un grande calo della popolazione, che salirà a nove su dieci nel caso di comuni di zone rurali. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Istat. Fra vent’anni le morti raddoppieranno rispetto alle nascite: 788 mila morti contro 390 mila nascite. E solo in una famiglia su quattro troveremo dei bambini. Il prossimo anno tutti a Gerusalemme.
Il Foglio, 29 settembre 2022)
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Una delegazione pachistano-americana visita Israele
Ma il governo non approva
di Francesco Paolo La Bionda Una delegazione di dodici rappresentanti pachistano-americani è arrivata domenica 18 settembre in Israele per una visita di sei giorni, volta a promuovere lo sviluppo dei rapporti tra i due paesi, che non hanno mai stabilito relazioni diplomatiche. La visita è stata organizzata dall’ American Muslims and Multifaith Women’s Empowerment Council (AMMWEC) e da Sharaka, un’organizzazione nata sulla scia degli Accordi di Abramo per promuovere la pace e la cooperazione nella regione mediorientale. L’obiettivo del viaggio, secondo gli organizzatori, è quindi quello di permettere ai partecipanti di visitare ed esplorare Israele di persona, così da raccontare quanto appreso e visto all’opinione pubblica pachistana, per fornire informazioni rilevanti e contribuire al dibattito in corso sull’opportunità che anche il Pakistan possa aderire agli Accordi di Abramo.
- Acqua e agricoltura al centro dell’interesse Devastanti inondazioni hanno colpito il Pakistan a partire da giugno, interessando un terzo dell’intero paese e causando 40 miliardi di dollari di danni. I visitatori quindi hanno focalizzato il tour dello Stato ebraico sulle eccellenze israeliane in ambito di gestione delle risorse idriche e mitigazione dei disastri naturali, oltreché sul settore agritech. In quest’ambito, uno dei leader della delegazione, Nasim Ashraf, medico ed ex ministro pakistano dello Sviluppo, dopo aver visto le tecnologie agricole utilizzate nella regione vicina al confine con Gaza, ha lodato i progressi degli agricoltori israeliani, dicendo che “stanno trasformando il deserto in terreno agricolo a costi molto bassi” e che gli stessi metodi potrebbero essere applicati anche in Pakistan.
- Incontri con le istituzioni israeliane Benché la visita non abbia carattere ufficiale e sia stata organizzata da privati, i partecipanti hanno comunque avuto modo di incontrare i vertici delle istituzioni israeliane, incluso il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid. Nonostante la diffusa ostilità presente in Pakistan contro Israele, soprattutto tra gli influenti circoli islamisti, alcune voci si sono levate recentemente per promuovere una normalizzazione delle relazioni bilaterali come già hanno fatto i paesi firmatari degli Accordi di Abramo. Tra queste quelle dei giornalisti televisivi Ahmed Quraishi, che a giugno scorso ha anche visitato Israele, e Imtiaz Mir, che ha suggerito che il Pakistan segua l’esempio di Emirati Arabi Uniti e Bahrein nel normalizzare le relazioni con Gerusalemme così da non restare tagliato fuori dal nuovo assetto regionale.
- Il governo pachistano si dissocia Il ministero degli Esteri pachistano si è comunque voluto dissociare dall’iniziativa e giovedì 22 settembre ha rilasciato una dichiarazione ufficiale, nella quale ha attribuito la visita della delegazione a “un’ONG straniera che non è basata in Pakistan” e ha rimarcato come la posizione ufficiale del paese sulla questione palestinese non sia in discussione. Islamabad si rifiuta infatti ancora oggi di riconoscere Israele come stato legittimo finché non sarà creato uno stato palestinese nei confini precedenti alla guerra dei Sei Giorni e con Gerusalemme Est come capitale. Ufficiosamente però i due paesi hanno interagito in molteplici occasioni, solitamente incontrandosi presso le reciproche rappresentanze diplomatiche in Turchia.
(Bet Magazine Mosaico, 28 settembre 2022)
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Così Ester, nipote di un deportato a Auschwitz ha strappato il collegio alla dem Cirinnà
La giornalista Mieli alla sua prima esperienza batte una politica navigata
di Alberto Giannoni
Ester Mieli batte Monica Cirinnà. Dallo scrutinio delle elezioni politiche, e in particolare dalle urne della Capitale, giunge un altro risultato che non farà piacere ai narratori dell'allarme democratico, affezionati all'idea che il primo partito del Paese, Fratelli d'Italia, sia una riedizione di una storia vecchia ormai di cent'anni, la storia dell'«eterno fascismo».
A testimoniare che non è (più) così, ci sono un'infinità di atti e posizioni politiche, e un gran numero di volti e storie. Fra queste, un posto particolare ora spetta alla neo senatrice Mieli.
Romana doc, Ester Mieli è una giornalista (lavora per «Zona bianca», su rete 4). Riservata, poco incline all'esibizionismo, si è candidata per la prima volta e l'ha fatto senza alcuna enfasi sulla sua storia familiare o sulla sua religione. Ma la sua non è una storia qualsiasi. Ester Mieli in passato è stata portavoce della Comunità ebraica di Roma ed è nipote di un importante testimone dell'Olocausto, ormai scomparso: Alberto Mieli, che nel 2015 (proprio insieme alla nipote) ha scritto «Eravamo ebrei. Questa era la nostra unica colpa», raccontando per la prima volta dopo 70 anni l'infernale esperienza da deportato ad Auschwitz.
Chi conosce bene Ester Mieli, l'ha spesso sentita ripetere che la sua è «una candidatura da cittadina italiana» e che «ogni ebreo in parlamento rappresenta se stesso e non la sua comunità di appartenenza», così come «anche che le comunità esprimono valori e non fanno politica». Si dice anzi che su questo aspetto sia categorica, proprio per una questione di rispetto e «amore per la comunità di appartenenza». Odia le strumentalizzazioni, insomma, e questa storia familiare non è entrata in campagna elettorale, né in una sfida che è stata giocata tutta su una scelta politica.
Da esordiente, da esponente di FdI, Mieli ha sfidato in un collegio romano la (ben più nota) esponente del Pd Monica Cirinnà, politicamente molto esperta e conosciuta per aver difeso strenuamente - nel corso di una carriera lunga oltre 30 anni - le istanze della comunità «lgbt» e la sua idea di «diritti civili». Domenica, al seggio, la senatrice Cirinnà ha anche protestato anche davanti ai registri elettorali divisi tra uomini e donne: «È un ostacolo - ha detto - all'esercizio del voto delle persone trans e non binarie che, in questo modo, sono costrette a fare coming out».
Non sapeva che quella protesta sarebbe stata la sua ultima iniziativa da senatrice. Nonostante il sostegno pubblico di altri volti noti come quello di Laura Boldrini, e nonostante l'impegno del marito Esterino Montino, sindaco di Fiumicino (popoloso centro ricompreso nel collegio) Cirinnà stata sconfitta nettamente.
Il 13 ottobre il Senato si riunirà per la prima seduta. A presiederlo dovrebbe essere Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e senatrice a vita. E sui banchi della destra italiana siederà anche Ester Mieli.
(il Giornale, 28 settembre 2022)
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Tel Aviv, dopo un quarto di secolo: riparte il torneo dei record
Ci sono diversi motivi per salutare con affetto il ritorno nel circuito del torneo di Tel Aviv. Città israeliana da 450 mila abitanti, la “White City” (soprannominata così per i 4.000 caratteristici edifici in stile Bauhaus che le sono valsi il titolo di patrimonio dell’umanità Unesco) torna ad ospitare, dopo 26 anni, un evento dell'Atp Tour per la prima volta dal 1996. Gli amanti delle statistiche ricordano questo evento per essere stato - correva l’anno 1989 - l’ultimo titolo di singolare vinto da Jimmy Connors, il numero 109 di una straordinaria carriera, condita da 8 titoli Slam, record di tornei vinti nell’era Open ancora oggi imbattuto. Ma l’ultimo ballo di Jimbo, oggi 70enne, non è il solo motivo per ricordarsi di questo torneo. Aaron Krickstein, grazie al suo trionfo a Tel Aviv nel 1983, all'età di 16 anni e 2 mesi (esattamente 73 giorni), detiene ancora oggi il primato di più giovane vincitore di un evento del Tour. Dopo di lui, su un ideale podio di precocità, troviamo Michael Chang (16 anni e 7 mesi) e Lleyton Hewitt (16 anni e 10 mesi). Non è la prima volta che il torneo di Tel Aviv torna nel circuito dopo un’interruzione. Svoltosi inizialmente dal 1978 al 1981, è poi ripreso per 13 stagioni dal 1983 al 1996. Curiosamente un tennista di casa, Amos Mansdorf, è riuscito ad arrivare in finale ben cinque volte, vincendo nel 1987 e diventando così l'unico israeliano a vincere l'evento. Anche un italiano figura nell’albo d’oro: è Stefano Pescosolido – oggi tecnico federale – che nel 1993 conquistò il titolo battendo in finale in due set tiratissimi (7-6 7-5) proprio Amos Mansdorf. Tra i tanti motivi per guardare con attenzione all’edizione 2022, c’è il ritorno in scena di Novak Djokovic, dopo l’impegno ad alto contenuto emotivo della Laver Cup. Testa di serie numero 1, il 35enne serbo è alla caccia del suo terzo titolo dell’anno dopo i successi a Roma e a Wimbledon. Per Novak sarà fondamentale chiudere la stagione tra i top 20 del ranking della Race to Milan per qualificarsi alle Nitto ATP Finals di novembre a Torino, visto il suo successo Slam a Londra. Djokovic, attualmente al 15° posto, ha dunque bisogno di un buon risultato in Israele. Se facciamo eccezione per la Laver Cup, Djokovic scenderà in campo nel moderno complesso Expo di Tel Aviv – sede di numerosi eventi internazionali, tra cui il concorso "Eurovision 2019” - per la prima volta quest’anno anche in doppio, in coppia con il beniamino di casa, il 45enne Jonathan Erlich, che ha espresso il desiderio di chiudere la carriera giocando con il campione di 21 Slam un’ultima volta. Insieme, avevano vinto quello che a oggi resta l’unico titolo in coppia conquistato da Novak, al Queen’s nel 2010. Ben diverso il palmares in doppio per l’israeliano: 22 titoli e best ranking di numero 5 del mondo nel 2008. E chissà che non possano festeggiare questa reunion ancora alzando un trofeo. A complicare la corsa del duo serbo/israeliano c’è la forte coppia tedesca Krawietz/Mies, alla caccia di un biglietto per Torino. Kevin Krawietz e Andreas Mies sono all'11° posto nella Race di doppio (appena dietro alla coppia azzurra Bolelli/Fognini, impegnata questa settimana a Sofia) ma dovranno vedersela con un'agguerrita concorrenza che comprende anche il duo testa di serie numero 1 formato da Rohan Bopanna e Matwe Middelkoop. "Sono sicuro che il Tel Aviv Open – ha commentato il Ceo del torneo Michael Mirilashvili – porterà emozione e gioia al pubblico e, cosa più importante, permetterà di vedere in azione le stelle del circuito Atp, ispirando le giovani generazioni di giocatori israeliani”. Se Novak Djokovic è indiscutibilmente la stella del tabellone, gli spettatori potranno ammirare anche altri top player come Marin Cilic, Diego Schwartzman e il semifinalista degli Us Open Karen Khachanov.
(Tiscali, 28 settembre 2022)
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Per-Correre la Shoah sui passi di Giuseppe Laras bambino
Il 3 ottobre a Torino la Marcia Laras con mille ragazzi delle scuole
di Ilaria Ester Ramazzotti
Comprendere la Shoah attraverso le storie delle persone perseguitate con le diverse vicissitudini di persecuzione, deportazione o salvamento, attraversando i luoghi in cui abitavano e in cui vissero nei tragici frangenti della loro esistenza. È l’approccio con cui la Rete delle scuole piemontesi per la didattica della Shoah ha proposto e organizzato a Torino per il prossimo 3 ottobre l’iniziativa Per-Correre la Shoah, Marcia Laras. Quaranta classi di bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie ripercorreranno il tragitto fatto per salvarsi, correndo terrorizzato, da un bambino di nove anni il 2 ottobre del 1944, ritrovatosi solo negli anni delle persecuzioni razziali antiebraiche: Giuseppe Laras. Usando come lente la sua storia di bimbo salvatosi dalla cattura con una corsa dal suo quartiere, San Salvario, a una casa accogliente in borgo San Donato, i bambini e i ragazzi delle scuole torinesi partecipanti approfondiranno la conoscenza degli anni della Shoah attraverso la storia di Rav Giuseppe Laras z’’l. “Chi come noi è sensibile ai temi della memoria e sa come l’insegnamento della Shoah sia uno strumento potente nell’educazione alla cittadinanza – scrivono gli organizzatori della Rete – è consapevole anche del fatto che il tramonto del tempo dei testimoni richieda la messa a punto di nuove modalità di proposta alle giovani generazioni della storia e delle storie della persecuzione, della deportazione e dello sterminio. Noi, come Rete delle scuole piemontesi per la didattica della Shoah, proponiamo una possibile via: scoprire concretamente la città e le strade in cui tutte e tutti noi, insegnanti e discenti, viviamo, come luogo di testimonianza”. “A modellare questa proposta ci ha aiutati una storia personale, una storia che una volta conosciuta non potrà lasciarvi indifferenti: è la storia di Giuseppe Laras (Torino 1935 – Milano 2017) – proseguono gli organizzatori -, una personalità che ha vissuto a Torino un momento cruciale della sua esistenza e che una volta adulto è diventato una figura di riferimento dell’ebraismo italiano e l’iniziatore di una delle più profonde esperienze di dialogo con il mondo cristiano nell’incontro a Milano da rabbino capo con l’allora vescovo Carlo Maria Martini. Una personalità che Torino e il Piemonte devono onorare, facendo conoscere la sua vicenda di vita, esemplare tanto per comprendere la Shoah quanto per la grandezza umana cui è pervenuto dopo e nonostante la sua drammatica esperienza”.
• “Se nel tempo si è lontani da quei fatti, bisogna trovare una vicinanza nello spazio” Per conoscere la genesi dell’iniziativa, Mosaico ha parlato con il professor Luca Bonomo, fra gli organizzatori e ideatore dell’iniziativa. “Si tratta di una questione di vicinanza umana alle vicende – ha spiegato l’insegnante -; nella didattica della Shoah ci confrontiamo ormai con la generazione pari per età ai bisnipoti di chi visse in quel periodo. Nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria, qualche anno fa ero andato a parlare nel liceo torinese Berti e a proposito della vicinanza o estraneità generazionale ho provato allora a fare un’ipotesi: se per la generazione più giovane c’è sempre meno vicinanza nel tempo, poteva esserci una vicinanza nello spazio con chi visse nella Shoah. Così, con i ragazzi, siamo andati a ricercare tutte le testimonianze storiche presenti lì vicino, intorno alla scuola, a partire dalle pietre d’inciampo posate dal Comune di Torino. Da alcune banche dati, abbiamo poi identificato le quattro storie più vicine al liceo, vicino a piazza Castello, svoltesi nel giro di pochi isolati. In una delle nostre giornate di studio era inoltre intervenuta la storica Liliana Picciotto, cosicché nel suo volume ‘Il Libro della Memoria’, fra le storie di salvataggio riportate, avevo poi approfondito quella del bambino Giuseppe Laras. Una testimonianza che poi ho riportato e che ha colpito e coinvolto molto i ragazzi del liceo”. Ma come coinvolgere al meglio anche i bambini della scuola primaria e i più giovani? “È nata l’idea di coinvolgerli nella vicenda del bambino Giuseppe Laras accompagnandoli lungo la strada da lui materialmente percorsa dopo la separazione dalla madre e dalla nonna catturate – sottolinea l’insegnante -, proprio nei luoghi che oggi sono quelli della nostra quotidianità, che attraversano la nostra città per quattro chilometri”. Così, la Marcia Laras ripercorrerà la strada e la storia di un bambino in grado di parlare ad altri bambini superando il tempo che li separa attraverso la condivisione dello spazio fisico. “La grande storia è fatta anche di tante storie individuali e famigliari, che permettono a chi le studia di confrontarsi e di mettersi nei panni dell’altro, chiedendosi che cosa si avrebbe fatto al posto loro – evidenzia Bonomo -. Non solo, una singola storia può suscitare riflessioni e sviluppare ragionamenti in classe. L’anno scorso è stata così approvata la proposta della Marcia Laras, a cui parteciperanno più di quaranta classi, più di mille ragazzi. Non ci aspettavamo una simile partecipazione – svela il docente -, ma la proposta, seppur cada all’inizio dell’anno scolastico, ha raggiunto e coinvolto davvero molte persone”. “C’è un aspetto cruciale nella storia del bambino Giuseppe Laras, rilevato da Liliana Picciotto – conclude Luca Bonomo -: fu messa in atto una vera e propria strategia di salvataggio che esclude che le persone coinvolte fossero passive e in balia del loro destino. Quel bambino in fuga non correva a caso per la città, ma sapeva dove andare e trovò un posto di ricovero grazie a una strategia famigliare che andava dall’ottenimento di documenti falsi ad altre azioni messe in campo per sopravvivere. In questo senso, viene a decadere lo stereotipo delle passività delle vittime della Shoah”.
• Il programma della giornata Per-Correre la Shoah. La Marcia Laras
La mattina del 3 ottobre oltre mille fra studenti e insegnanti del territorio piemontese, dalla primaria alla secondaria di II grado, affronteranno quella stessa distanza percorsa il 2 ottobre 1944 da Giuseppe Laras, per avere un riscontro sulla propria pelle del peso che quel bambino dovette sopportare. La partenza della marcia è prevista attorno alle 09:30 dai luoghi di raccolta in San Salvario per convergere attraverso diversi itinerari alle 11:30 in piazza Barcellona, dove ci sarà un momento di accoglienza e di riflessione. L’iniziativa gode del patrocinio del Comune di Torino (assessorati alle Politiche culturali e alle Politiche educative e giovanili), dell’Ufficio scolastico regionale, del Museo diffuso della Resistenza, oltre al sostegno dell’Istoreto e della Comunità ebraica di Torino, che ospiterà la partenza della marcia delle bambine e i bambini della primaria in piazzetta Primo Levi.
• Il pomeriggio di studio Nel pomeriggio, dalle 14:45 alle 18:00 al Polo del Novecento in via del Carmine 14, la vicenda del futuro Rabbino Laras sarà analizzata dallo storico Bruno Maida e attraverso i riscontri della data art dal gallerista Davide Fuschi e la grafica Michela Lazzaroni; si allargherà il campo al tema del ritorno alla vita con la testimonianza di Rav Luciano Caro, suo compagno di studi nel dopoguerra, e al ruolo di Rav Laras, specialmente come Rabbino Capo a Milano fra 1980 e 2005, nell’apertura del dialogo ebraico-cristiano, nell’intervento di Vittorio Robiati Bendaud. Modererà il professor Luca Bonomo. Riportiamo di seguito il programma degli interventi:
Prima sessione, “Leggere la persecuzione”
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Prof. Bruno Maida, Fuggire, nascondersi. La salvezza dell’infanzia ebraica durante la Shoah. – Dott. Davide Fuschi, Curatore della Galleria di arte design “Wild Mazzini” e Dott.ssa Michela Lazzaroni, visual designer Data Visualisation, Dalla memoria individuale al fatto sociale: la data art di “Una notte lunga sedici mesi”
Seconda sessione, “Costruire il futuro dopo la Shoah” – Rav Luciano Caro, Il ritorno alla vita dei figli della Shoah – Prof. Vittorio Robiati Bendaud, Costruire il futuro con il dialogo: Rav Giuseppe Laras e il Cardinal Carlo Maria Martini a Milano
• La storia di Rav Giuseppe Laras È il 2 ottobre 1944, Giuseppe è nascosto da due mesi con la madre e la nonna nell’appartamento prestato da una vicina nello stabile della nonna in via Madama Cristina a Torino. A mezzogiorno si presentano alla porta due SS italiane per arrestare nonna e madre, tradite dalla delazione della portinaia dello stabile. Gli sgherri decidono di trattenersi nella casa fino al coprifuoco per paura di essere aggrediti da qualche squadra di gappisti, così le donne, approfittando di quelle ore, li corrompono con una grossa cifra, tenuta in serbo proprio per casi come questo, perché sia lasciato andare almeno il bambino. L’accordo prevede che tutti escano di casa insieme, ma che all’angolo fra corso Vittorio Emanuele II e via Accademia albertina Giuseppe corra via fino a una casa sicura in un altro quartiere della città. Giunti su quel marciapiede il milite non accenna ad allentare la presa: il bambino perciò con uno strattone si libera fuggendo (si lascia alle spalle madre e nonna che non rivedrà) e corre da solo per quattro chilometri per strade deserte a causa del coprifuoco. Le persone che lo accolgono in casa, lo portano in salvo a Casalborgone (TO) nella cascina dove è riparata l’altra parte della famiglia (il padre è partigiano e a fine guerra rinuncerà a ogni ritorsione contro la delatrice), Giuseppe però per alcuni mesi rimane privo della parola, che riacquista grazie al contatto con una capretta della cascina, Bianchina. Dopo la guerra, la famiglia ricomincia a vivere con fatica. Giuseppe, conseguita la maturità classica, si iscrive al collegio rabbinico di Torino e alla facoltà di Legge a Milano: nel 1959 è nominato Rabbino della comunità ebraica di Ancona; successivamente si laurea anche in filosofia, si sposa e da Ancona si sposta presso la Comunità di Livorno. Nel 1980 la nomina a Rabbino Capo di Milano, dove rimane in carica per un quarto di secolo: la caratura umana e la profondità di studioso ne fanno una voce autorevole all’interno del rabbinato internazionale; il suo incoraggiamento è determinante per Liliana Segre nelle vicende che portano alla riscoperta del Binario 21 e al Memoriale della Shoah. Negli stessi anni è vescovo della diocesi ambrosiana Carlo Maria Martini e fra i due nascono un’amicizia e una importante collaborazione che segna l’avvio del dialogo ebraico cristiano. Rav Giuseppe Laras scompare nel 2017, all’età di 82 anni e il suo pensiero sulla memoria e su ciò che è accaduto nella Seconda guerra mondiale resterà uno dei suoi grandi lasciti: «Ricordare vuol dire attualizzare il passato e lo si può fare con diversi intenti. Si può cercare di attualizzare il passato per odiare, ma si può anche attualizzare il passato per costruire. E io credo che sia questo il senso della memoria: sarebbe ben poca cosa, non sarebbe gratificante non ci lascerebbe niente. Ci distruggerebbe ulteriormente. Quindi il discorso del mantenimento della memoria è un discorso molto difficile. Bisogna ricordare per fare in modo che quelle condizioni che esistevano settant’anni fa non si ripresentino e quindi non accadano più quelle cose brutte che sono accadute. È un impegno, una memoria dinamica, non statica, che si muove e va verso il futuro».
(Bet Magazine Mosaico, 28 settembre 2022)
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Due consigli per essere iscritti nel libro della vita
Dichiarò Rabbì Keruspedài: disse Rabbì Yochanàn che vi sono tre libri aperti a Rosh Hashanà: uno per i veri malvagi, uno per i veri giusti e uno per coloro che si trovano in una fase intermedia. I veri giusti sono subito iscritti nel libro della vita, i veri malvagi in quello della morte e per coloro che si trovano in una fase intermedia si attende per la trascrizione da Rosh Hashanà a yom Kippùr…
(T.B. Rosh Hashana 16b)
di Roberto Colombo
Molti Maestri si sono soffermati su questa Mishnà. La vita o la morte decisa per l’uomo in base al suo comportamento non è sempre da intendere come esistenza terrena. Vi sono malvagi che vivono per molto tempo e persone rette e oneste che muoiono in giovane età. Per i Tosafòt, i dotti commentatori del Talmùd, si tratta qui della vita oltre la morte, della serenità o dell’inquietudine decisa per l’anima nel mondo dell’aldilà. Per altri Maestri la Mishnà tratta della resurrezione che sarà permessa solo ai meritevoli dopo l’arrivo del Mashìach. Rosh ha shanà e Yom Kippùr, in cui si deciderà il nostro futuro, sono alle porte e il tempo che ci è rimasto per modificare in bene il nostro avvenire è ormai limitato. Nella Tefillà chiediamo a Dio ogni sera dopo la lettura dello Shemà Israèl di darci dei consigli per poter cambiare il nostro futuro. Questi suggerimenti ci vengono dati dai nostri Maestri. Qui ne riporteremo soltanto due, scritti cinquant’anni fa dal grande Maestro Rabbì Chaiìm Shemuèlevic’ (1902 – 1979) nel suo fondamentale libro Sichòt Mussàr. Facciamone tesoro.
• Talmùd Rosh Hashanà 17A: attenti allo specchio
Disse Rabbà: a chiunque sa passare oltre ai propri diritti il cielo perdona tutti i peccati commessi perché è detto: Egli sopporta il peccato, perdona la trasgressione (Michà 7, 18). Sopporta il peccato e perdona la trasgressione sembra un’inutile ripetizione perciò si deve intendere: Di quale persona il Signore sopporta il peccato? Di colui che sa perdonare le trasgressioni che altri hanno commesso verso di lui.
Spesso, o sempre, giudichiamo gli altri per mancanze commesse verso i nostri confronti e attendiamo una giusta rivalsa ai diritti personali violati ingiustamente. Non è facile perdonare, cancellare un torto e guardare oltre, cercando di ricostruire rapporti personali ormai guastati. Perché, dunque, Dio non dovrebbe giudicare anche noi con lo stesso metro? Perché scusare, dimenticare e assolvere dalle offese chi a sua volta non sa discolpare, obliare o passare oltre ad un torto ricevuto provando a ricostruire legami ormai lesi? Il termine “Cielo” si traduce in ebraico Shamàim, che a sua volta è composto dalle due parole Sham-Màim - lì vi è acqua. L’acqua è uno specchio dove si riflette l’immagine, un volto che sempre nasconde anche il nostro carattere. Ciò che si decide in alto e dall’alto viene mandato è sempre anche il riflesso del nostro comportamento e dei nostri rapporti verso gli altri e verso noi stessi. La traccia lasciata in noi dalla maldicenza subita, dall’ingiustizia e dalle offese non può mai essere cancellata con facilità. L’unico modo è quello di ritrovare una forma di umiltà, la forza di guardarci dentro e di scoprire quante volte anche noi stessi abbiamo ingiuriato e diffamato gli altri e il Creatore. Ecco il primo consiglio: si impari a perdonare se si vuol essere perdonati da Dio e iscritti nel libro della vita.
• Talmùd Sanhedrìn 92a: non è sempre un bene aprire una finestra
Disse Rabbì Zeirà: Si insegna che se una casa è buia non si devono aprire le finestre per vedere i difetti nascosti nelle mura.
Un Cohèn, un Sacerdote giunto a valutare se le pareti di una casa colpite da strane chiazze mandate dal Signore dovevano essere demolite (Lev. 34), non poteva aprire le finestre per far entrare la luce e valutare l’entità del danno. I Maestri così imparano che il buio, la discrezione e la riservatezza nascondono i difetti e salvano dalla distruzione. Amiamo spesso farci notare per le nostre belle azioni e per le belle frasi spesso pronunciate solo per circostanza. Ma apparire non è un bene perché ciò illumina spesso anche le nostre mancanze. Racconta il Talmùd:
Accadde che un giorno Rabbàn Yoḥanàn ben Zakkài… vide una povera donna che stava raccogliendo orzo tra lo sterco degli animali. Quando lo guardò, la donna si avvolse tra i capelli, poiché non aveva nient'altro con cui coprirsi, e si fermò davanti a lui. Lei gli disse: “Mio Maestro, dammi del sostentamento”. Le rispose: “Figlia mia, chi sei?” Gli disse: “Sono la figlia di Nakdimòn ben Guryòn”. Il Maestro replicò: “Figlia mia, i molti soldi di tuo padre, dove son finiti?”. Gli disse: “… Mio padre non faceva Tzedakà e per questo non mantenne intatti i suoi averi e perse tutto ciò che aveva”.
Si chiede la Ghemarà: Nakdimòn ben Guryòn non dava denaro in elemosina?! Non è forse insegnato: Dissero di Nakdimòn ben Guryòn che quando usciva di casa indossava dei lunghi manti di seta nei quali nascondeva del denaro che i poveri venivano a prendere da dietro e faceva ciò per poter dare del denaro senza causare loro vergogna? Sì, ma egli agiva così solo affinché si parlasse di lui in modo onorevole. (T.B. Ketubàt 66b, 67a)
Non vi è onore più grande della modestia, dell’agire in bene senza farsi notare ed apparire. È il buio della riservatezza e della semplicità che mantiene veramente intatta la nostra casa. L’agire per farsi notare produce solo macerie. Ecco il secondo consiglio per avere una vera vita ebraica. Si faccia del bene di nascosto per aprire una finestra verso il futuro.
Possa tutto Israele avere il merito di essere iscritto nel libro della vita. Amèn.
(Shalom, 28 settembre 2022)
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Ciò che i sistemi di difesa aerea israeliani possono opporsi all'Ucraina ai droni iraniani
di Sergey Marzhetsky
Il conflitto militare sul territorio dell'Ucraina continua a diventare sempre più internazionalizzato. Oltre al tradizionale confronto tra Russia e blocco NATO, ad esso si sono aggiunte la Corea del Sud e quella del Nord, che naturalmente si sono rivelate su fronti opposti (Pyongyang ha riconosciuto l'indipendenza della DPR e della LPR e Seoul fornirà combattimento tecnica Polonia, che potrebbe presto entrare nelle forze armate ucraine). Ora altri nemici mortali, Iran e Israele, si scontreranno nei cieli dell'Ucraina.
• Droni iraniani Il fatto che le forze armate RF abbiano davvero iniziato a utilizzare attivamente gli UAV iraniani non è più in dubbio. Nonostante il Cremlino non lo confermi ufficialmente, i droni Geran-2, come due gocce d'acqua simili ai droni kamikaze Shahed-136 prodotti dalla Repubblica islamica, stanno ora ronzando nel cielo sopra l'Ucraina e colpendo obiettivi militari dell'Armata Forze dell'Ucraina. La vita stessa mette ogni cosa al suo posto. Le forze armate RF hanno bisogno di droni in gran numero qui e ora per la costante ricognizione aerea e l'adeguamento del fuoco dell'artiglieria, nonché per attacchi indipendenti con missili anticarro, bombe guidate e come "bombe suicide". Se i partner iraniani sono pronti a vendere alla Russia non solo kit già pronti per l'assemblaggio di droni, ma anche una licenza per la loro produzione con localizzazione, dovrebbero essere presi. Lo Shahed-136 e altri UAV iraniani possono fare una grande differenza al fronte? La domanda non è del tutto chiara. Da un lato, se i droni "kamikaze" iniziano a essere utilizzati non individualmente, ma in masse reali, decine e centinaia, ciò metterà presto fuori combattimento molti veicoli corazzati, MLRS e artiglieria delle forze armate ucraine con equipaggi addestrati e equipaggi, che creeranno una lacuna molto evidente nella difesa ucraina e priveranno la capacità del nemico di avanzare ulteriormente. Ma per questo, migliaia di droni d'attacco con operatori esperti devono apparire contemporaneamente sul fronte meridionale e orientale. Se ciò può essere fatto parallelamente all'arrivo dei rinforzi dai mobilitati, le Forze Armate RF con il NM LDNR possono rapidamente invertire l'attuale tendenza negativa a loro favore. D'altra parte, bisogna essere consapevoli che nessun drone è "wunderwaffe", indipendentemente dalle caratteristiche prestazionali che possono avere. Tutto ha il suo controllo.
• Difesa aerea israeliana La comparsa degli UAV iraniani nelle forze armate della RF, che immediatamente hanno iniziato a operare efficacemente, è stata una spiacevole sorpresa per il regime di Zelensky e i suoi sponsor occidentali. Non c'è nulla di sorprendente nel fatto che Kiev si sia immediatamente rivolta a Israele, il principale e implacabile nemico della Repubblica islamica in Medio Oriente, per chiedere aiuto. Israele, alleato degli Stati Uniti, è uno dei leader mondiali nella tecnologia dei droni e ha esperienza nel contrastare i droni iraniani. Nonostante il rifiuto ufficiale di Tel Aviv di fornire le sue armi all'Ucraina, gli sponsor occidentali hanno trovato un modo per aggirare queste autolimitazioni. Secondo le pubblicazioni in lingua ebraica Zman Yisrael e The Times of Israel, i sistemi di difesa israeliani contro i droni saranno forniti a Kiev da una certa compagnia attraverso la Polonia come intermediario. Sfortunatamente, dopo lo sviluppo di queste tecnologie da parte delle forze armate ucraine, l'efficacia dei gerani diminuirà notevolmente. Non sappiamo cosa esattamente lo stato ebraico sarà in grado di vendere all'Ucraina nazista per la guerra contro i russi, quindi offriamo ai lettori una breve panoramica dei sistemi antidroni di fabbricazione israeliana.
• Guardia del drone (ELI-4030) Il sistema Drone Guard (ELI-4030) è stato sviluppato da Elta, una divisione di IAI. Il suo radar 3D in banda X (da 8 a 12 GHz) rileva e traccia tutti i tipi di droni, controlla tutti i movimenti nel cielo e li distingue dagli uccelli. Il sistema a strati include intelligenza di comunicazione per "ascoltare" le comunicazioni tra l'operatore e il drone, una telecamera elettro-ottica/infrarossi per visualizzare e classificare il drone e un jammer che neutralizza o blocca il drone e lo dirige verso un luogo sicuro designato . È possibile lanciare il drone intercettore dalla docking station.
• Cupola del drone
Il sistema Drone Dome è stato sviluppato da Rafael Systems. Il complesso israeliano è adattato per operare in uno spazio aereo civile o militare pesantemente caricato, è in grado di identificare obiettivi e, se necessario, distruggere il drone in modo controllato utilizzando un raggio laser focalizzato o sopprimendo i suoi segnali a radiofrequenza.
• Convesso
Il sistema anti-drone Convexum utilizza tecnologie di sicurezza informatica per eliminare la minaccia dagli UAV entro un raggio di 1,5 km. Rilevando un drone sospetto utilizzando sensori RF, utilizzando la "manipolazione del protocollo" (spoofing), puoi rilevare un drone estraneo automaticamente o manualmente. Il sistema non interferisce con le comunicazioni wireless e il GPS e funziona anche in aree urbane ad alta densità.
• Enforce Air
Il sistema EnforceAir è stato sviluppato dalla società israeliana D-Fend Solutions ed è il più militarizzato di tutti: è utilizzato con successo nelle unità dell'esercito, nelle forze dell'ordine e della sicurezza nazionale, nei primi soccorritori, negli aeroporti, nelle zone di confine, nella sicurezza dei VIP e nelle organizzazioni marittime. Grazie alla tecnologia della radiofrequenza (RF) e della cyber capture, il rilevamento automatico e passivo, l'identificazione dei droni non autorizzati, il loro controllo e il successivo atterraggio in sicurezza. Si tratta di soluzioni ben note per fornire difesa aerea basata su oggetti contro gli UAV. E, naturalmente, non dimenticare il pubblicizzato "Iron Dome" israeliano, che può anche abbattere i droni. Quale conclusione possiamo trarre? Affinché i gerani e altri UAV iraniani possano svolgere un ruolo significativo nella sconfitta militare delle forze armate ucraine, ne servono migliaia per il loro uso di massa e il più rapidamente possibile, fino a quando l'Ucraina non avrà ricevuto mezzi efficaci per combatterli.
(Reporter, 27 settembre 2022)
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Il video trapelato mostra l’insabbiamento degli effetti collaterali del vaccino covid
"La vaccinazione di Pfizer è stata fornita principalmente in Israele, grazie a un accordo unico nel suo genere con la società farmaceutica con sede negli Stati Uniti. Le dosi di Pfizer sono arrivate rapidamente in Israele. In cambio, il paese ha concesso ai dirigenti Pfizer l’accesso a determinati dati sanitari nazionali". Questo collegamento precoce tra Israele e Pfizer in fatto di vaccinazione conferma il posto di particolare preminenza che a questo riguardo occupa Israele. Se ne è vantato all'inizio, molti lo hanno elogiato, e adesso continua a portarne una responsabilità che se non interverranno prese di posizione di tipo diverso alla lunga potrebbe risultargli molto pesante. Israele può basare la sua difesa soltanto su ciò che è vero, come il suo diritto a governare sulla terra che ora occupa, ma se per la sua politica si dovesse basare sull'uso sistematico della menzogna o del semplice occultamento della verità su un argomento di tale importanza per l'umanità, per lui le conseguenze potrebbero essere più pesanti che per altri.
Riportiamo una traduzione diversa dello stesso articolo di The Epoch Times che abbiamo pubblicato ieri. Il fatto che si possa trovare in diversi posti conferma che il contenuto di quell'articolo non è da trascurare. NsI
Israele è stata spesso la prima nazione a riferire sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini. I suoi dati sono stati spesso utilizzati da organizzazioni americane, come il CDC. Ora, un video trapelato ha rivelato l’insabbiamento degli effetti collaterali del vaccino Covid di Israele. Secondo video trapelato i ricercatori israeliani hanno scoperto che diverse reazioni avverse che si sono verificate dopo aver ricevuto il vaccino COVID-19 sono state provocate dal vaccino di Pfizer. Il Ministero della Salute israeliano (MoH) ha reclutato ricercatori per esaminare i rapporti sugli eventi avversi forniti dagli israeliani e i ricercatori hanno presentato i dati del nuovo sistema di monitoraggio in una conferenza ufficiale nel giugno 2022, una riunione il cui nastro è stato acquisito da un giornalista israeliano. Secondo i ricercatori, il fenomeno del rechallenge, che si verifica quando gli effetti indesiderati si ripresentano o peggiorano dopo più dosi di vaccinazione, ha dimostrato che alcuni degli eventi sono stati provocati dal vaccino. Secondo i ricercatori, che hanno anche riscontrato casi di rechallenge per altri eventi avversi, il 10% delle donne con problemi di mestruazione ha riportato un rechallenge positivo. Il leader del gruppo di ricerca e pediatra, la dott.ssa Mati Berkovitch, ha affermato durante l’incontro che il rechallenge trasforma un nesso causale “da possibile a definitivo”. Rechallenge “ci aiuta a stabilire la relazione causale”, ha affermato Sasha Zhurat, il principale presentatore dell’incontro. Il vantaggio del sistema di sorveglianza e analisi, secondo il relatore, “non consiste solo nell’identificare i sintomi, ma anche nel collegarli al vaccino”. Un giornalista sanitario e ricercatore di comunicazione del rischio di nome Yaffa Shir-Raz ha ricevuto il video dell’incontro attraverso una fuga di notizie. Shir-Raz ha reso disponibile al pubblico il video dell’incontro. Il MoH ha pubblicato un rapporto pubblico sui risultati dell’analisi dei dati circa due mesi dopo la conferenza. Il linguaggio utilizzato nella riunione e il rapporto sul nesso di causalità erano diversi. “Il rapporto presenta tutti i casi che sono stati segnalati in prossimità della ricezione del vaccino contro il coronavirus e non indica necessariamente una relazione causale tra la ricezione del vaccino e il fenomeno segnalato”, ha affermato MoH nel rapporto. Un portavoce ha annunciato la “creazione di una sede informativa dedicata alla lotta contro il coronavirus” in un comunicato stampa datato 19 settembre 2021.
• Sfidare Il rechallenge è uno dei fattori utilizzati per valutare la causalità nella farmacovigilanza e riguarda la risomministrazione dello stesso vaccino o trattamento dopo che un evento avverso è passato per vedere se lo stesso incidente si verifica di nuovo. Secondo il Dr. Robert Malone, che ha contribuito a creare la tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA) su cui si basa il vaccino Pfizer, il rechallenge è una “pratica farmaceutica standard di sperimentazione clinica” che può offrire una solida prova di causalità. Secondo Malone, “i rapporti di rechallenge nello studio israeliano non provano la causalità”. Secondo lui, basterebbe solo un processo formale di rechallenge. Tuttavia, lo studio “suggerisce e sostiene fortemente la causalità”, ha affermato. The Epoch Times ha ricevuto un’e-mail dal dottor Harvey Risch, professore emerito di epidemiologia presso la Yale School of Public Health, in cui si afferma che i risultati dei ricercatori secondo cui gli eventi avversi sono stati causati dalle vaccinazioni “sono essenzialmente corretti”. Ci sono state precedenti affermazioni fatte da ricercatori di altre nazioni che alcuni vaccini e particolari effetti avversi sono correlati in modo causale. Un esperto di salute dei Centri americani per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), il dottor Tom Shimabukuro, ha dichiarato durante un incontro estivo che “l’evidenza attuale supporta un’associazione causale tra la vaccinazione con mRNA COVID-19 e la miocardite e la pericardite”. Anche il vaccino COVID-19 di Moderna utilizza la tecnologia mRNA. Esistono due tipi di infiammazione cardiaca che possono essere fatali: miocardite e pericardite. Secondo il CDC, la maggior parte degli effetti collaterali del vaccino COVID-19 sono spesso minori e durano solo pochi giorni. Gli eventi avversi sono caratterizzati come ulteriori sintomi post-vaccinazione. Contrariamente agli eventi avversi, che possono o meno essere correlati al vaccino, gli effetti collaterali sono condizioni mediche che è stato confermato essere causate da un vaccino. “CDC continua a monitorare la sicurezza dei vaccini COVID-19 e rende le informazioni disponibili al pubblico in modo tempestivo e trasparente”, ha detto ai media via e-mail. La vaccinazione di Pfizer è stata fornita principalmente in Israele, grazie a un accordo unico nel suo genere con la società farmaceutica con sede negli Stati Uniti. Le dosi di Pfizer sono arrivate rapidamente in Israele. In cambio, il paese ha concesso ai dirigenti Pfizer l’accesso a determinati dati sanitari nazionali.
• Altri risultati non resi pubblici Nel dicembre 2021, il sistema di sorveglianza israeliano è stato sottoposto a una revisione. I dati per la presentazione di giugno sono stati raccolti tra dicembre 2021 e maggio. Un totale di 8.000 segnalazioni sono state ricevute dal sistema di sorveglianza, ma 1.741 di esse sono state cancellate perché contenevano informazioni imprecise o ridondanti. 599 dei 6.259 rapporti presentati erano per bambini dai 5 agli 11 anni, 299 per ragazzi dai 12 ai 17 anni e 5.411 per adulti dai 18 anni in su. Il questionario è stato compilato da più donne che uomini. Sono state scoperte un totale di 29 categorie di eventi avversi, 22 delle quali provenivano dall’opzione dello spazio vuoto del questionario. Tuttavia, sono stati esaminati solo i dati delle prime cinque categorie più segnalate: neurologico (395 segnalazioni), effetti collaterali generali (295), disturbi mestruali (282), disturbi muscoloscheletrici (279) e apparato digerente, renale e urinario ( 192). Poiché l’opuscolo distribuito ai destinatari del vaccino afferma il contrario, molte delle reazioni collaterali riportate sono risultate di lunga durata, cosa che i ricercatori hanno osservato durante l’incontro è stata sorprendente. Inoltre, hanno detto che i rappresentanti di Pfizer hanno detto loro che Pfizer non era a conoscenza di alcun sintomo persistente. Inoltre, secondo i ricercatori, hanno scoperto eventi avversi nuovi di zecca non menzionati nel foglio illustrativo, come il mal di schiena. Il Ministero della Salute non ha spiegato come i ricercatori siano stati colti di sorpresa dalla durata degli eventi e dagli effetti collaterali nel rapporto formale che alla fine è stato reso pubblico. L’agenzia sanitaria ha anche riferito che non erano stati scoperti ulteriori incidenti. “In conclusione, i fenomeni segnalati sono fenomeni noti nella letteratura professionale e sono stati riscontrati anche nei precedenti rapporti del Ministero della Salute, e non si è osservato un aumento di un nuovo fenomeno (nuovo segnale)”, ha scritto il Ministero della Salute. Shir-Raz, la giornalista che ha svelato la storia della riunione interna, ha affermato che il ritardo nel riportare i risultati è dovuto al fatto che i dati non sono stati condivisi con il gruppo di esperti del MoH, che si è riunito verso la fine di giugno per determinare se raccomandare il vaccino Pfizer per i bambini di età compresa tra 6 mesi e 5 anni. “Abbiamo il protocollo di questo incontro, quindi sappiamo che specifica quali documenti sono stati presentati loro quando hanno preso la loro decisione, e non c’era alcuna menzione di questo studio nel protocollo”, ha detto Shir-Raz a The Epoch Times, citando un Ministero della Salute documento (c PDF) ha ottenuto. “Quindi l’hanno nascosto anche ai loro stessi esperti.” Shir-Raz, che è stata licenziata l’anno scorso per aver scritto articoli critici sulla gestione da parte del Ministero della Salute del blocco e dei dati sui decessi COVID-19, ha affermato che rivelare la storia riguardava “scoprire la verità”. “Negli ultimi due mesi, mi sono dedicato quasi interamente solo a questa storia… Non è solo un altro problema per me, non è un altro articolo”, ha detto Shir-Raz. “Per me, è scoprire la verità. Perché non è solo locale… Ha implicazioni internazionali”.
• Connessione USA Israele è stata spesso la prima nazione a riferire sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini. I suoi dati sono stati spesso utilizzati da organizzazioni americane, come il CDC. Da settembre 2021, il CDC e la Food and Drug Administration statunitense hanno ricevuto dati dalla dott.ssa Sharon Alroy-Preis, un funzionario israeliano che ha affermato di essere responsabile del monitoraggio della sicurezza delle vaccinazioni. Il suo rapporto più recente è stato nell’aprile 2022. In una delle discussioni, Retsef Levi, professore di gestione delle operazioni al MIT, ha affermato che il sistema di monitoraggio del Ministero della Salute era “veramente disfunzionale” e “non affronta in modo appropriato i principali segnali di sicurezza”. Alroy-Preis ha espresso sorpresa in risposta. “Sono i nostri dati, ne sono responsabile, quindi so esattamente cosa ci viene riferito”, ha detto ai funzionari statunitensi. Tuttavia, il sistema in vigore per la maggior parte del 2021 è stato successivamente sostituito quando i funzionari israeliani si sono resi conto che non era sufficiente. Le segnalazioni potevano essere archiviate in forma anonima sul sito web del ministero con il sistema precedente. Secondo il Ministero della Salute, i rapporti non possono essere verificati in modo indipendente, rendendo impossibile eseguire valutazioni accurate dei dati. “Con il passare del tempo è diventato chiaro che le modalità di segnalazione sul sito web del ministero, che è una segnalazione anonima in testo libero, rendeva difficile la verifica dell’affidabilità dei dati e del loro significato, la loro analisi professionale e trarre conclusioni”, il MoH ha scritto nel suo rapporto di agosto. Tuttavia, è stato solo nell’ottobre 2021 che il ministero ha iniziato a sviluppare “un questionario identificato” con condizioni predefinite e un campo per aggiungere ulteriori informazioni sulle reazioni avverse, comprese altre condizioni che non erano state elencate nel questionario che sarebbe stato utilizzato a Berkowitz e l’analisi della sua squadra Le persone devono inserire i propri ID, altri dettagli e le specifiche dell’evento avverso nel nuovo sistema. “C’è l’identificazione del paziente. Questo non è un rapporto anonimo”, ha detto Zhurat durante l’incontro. Levi, nativo israeliano ed esperto di gestione del rischio, afferma che la decisione di lasciare fuori dal rapporto pubblico alcuni dei fatti significativi discussi nella conferenza è “una ricetta per distruggere” l’intero progetto del vaccino. “Più pro-vaccino, più devi essere disturbato da qualcosa del genere”, ha detto Levi. “E il motivo è che i due fattori abilitanti più importanti per i programmi di vaccinazione … per avere successo è la fiducia e la trasparenza, che in realtà comunichi alle persone i reali rischi-benefici e consenti loro di fare scelte su ciò che vogliono fare. La seconda cosa è che ti prendi cura delle persone che sono state danneggiate dal vaccino perché nessun vaccino ha una sicurezza del 100 percento”. “Penso che abbiamo in questo esempio… dove violiamo questi due principi molto importanti”, ha aggiunto. “Questa è una ricetta per distruggere praticamente tutti i programmi di vaccinazione, quindi più sei pro-vaccino, dovresti essere più disturbato da questo”.
(tipeee, 27 settembre 2022
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Lecce, giovedì 29 settembre l'inaugurazione di 'A very narrow bridge' al Museo Ebraico
LECCE - I mille e un volto di Israele si svelano attraverso la ricerca artistica di quindici artisti nella mostra curata da Fiammetta Martegani, curatrice presso il Museo Eretz Israel, che sarà inaugurata giovedì 29 settembre presso il Museo Ebraico di Lecce. Luogo di confronto, incontro e riferimento per portare alla luce e valorizzare la storia della comunità ebraica vissuta anticamente a Lecce, il Museo, nato sei anni fa grazie a Francesco De Giorgi e Michelangelo Mazzotta con la direzione scientifica del professor Fabrizio Lelli, è protagonista ancora una volta di un evento culturale di grande rilievo. Precede l'inaugurazione della mostra, alle ore 17.00, una conferenza di presentazione alla presenza delle istituzioni. Vi prenderanno parte:
Stefano Minerva, Presidente Provincia di Lecce Claudio Stefanazzi, Capo Gabinetto Presidente Regione Puglia Alessandro Delli Noci, Assessore Sviluppo Economico, Regione Puglia Luca Scandale, Direttore Generale, Pugliapromozione Fabiana Cicirillo, Assessore cultura, Comune di Lecce Paolo Foresio, Assessore turisimo, Comune di Lecce Silvia Miglietta, Assessore Welfare, Comune di Lecce Maria Rosa Trio, Prefetto Lecce Fabrizio Lelli, Direttore del Museo Ebraico di Lecce - Università di Roma “La Sapienza” Michelangelo Mazzotta, CEO Museo Ebraico di Lecce Francesco De Giorgi, CEO Museo Ebraico di Lecce Fiammetta Martegani, curatrice della mostra “A very Narrow Bridge”
A seguire l'apertura della mostra e l'esibizione del duo arpa&violino di Eleonora Carbone e Daniela Aloisi con degustazione offerta da Melograni Martino e Cantine Leuci. "A very narrow bridge" intende esplorare l'utilizzo dei diversi linguaggi e delle molteplici identità di Israele al fine di superare le proprie paure, personali e collettive, creando 'un ponte molto stretto' tra culture, religioni e persone. Artisti ebrei e musulmani, uomini e donne, etero e gay, religiosi e agnostici, si esprimono attraverso l’uso della propria lingua di origine: ebraico, arabo, yiddish, e perfino ebraico antico trascritto attraverso la tecnica della calligrafia giapponese.
Si tratta di: Anissa Ashkar (Amore e... cos'altro?); Michael Ben Abu (Il cerchio della vita); Amos Biderman (Ebreo a cavallo); Raya Bruckenthal (Un paradiso dorato); Tsibi Geva (Uccellino nel Wadi Ara); Leor Grady (Senza titolo-Lekhah Dodi); Kazuo Ishi (Kohelet); Liron Lavi Turkeinch (Aravrit); Dede & Nitzan (Oro); Haim Maor (Autoritratto con i miei genitori VS Khader, Machmud e Bisan); Lenore Mizrachi Cohen (Fiori preoccupati); Karam Natour (Il mondo sensuale III); Israel Rabinovitch (Sarò quel che sarò); Khader Oshah (Autoritratto); Ruth Noam Segal (Nessuna tempesta in vista). Il titolo della mostra “A very narrow bridge” richiama un verso del rabbino Nachman di Breslov, che recita: "Il mondo intero è un ponte molto stretto e l'importante è non avere paura”.
Con questo forte messaggio di apertura nei confronti dell’altro e degli altri, inaugura la prima mostra di arte contemporanea israeliana, nella splendida cornice del Museo Ebraico di Lecce.
(Giornale di Puglia, 27 settembre 2022)
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Turchia e Israele negoziano il trasporto di gas in Europa
Il portavoce presidenziale turco Ibrahim Kalin ha dichiarato venerdì che la Turchia e Israele stanno negoziando il trasporto di gas verso l’Unione europea. Le delegazioni delle due parti hanno in programma di tenere un incontro sulla questione in ottobre. Il gas del Mediterraneo orientale potrebbe diventare un’alternativa alle forniture russe per l’Ue, ha affermato Kalin a maggio, aggiungendo che Ankara è pronta a far parte di questo processo. “Questi negoziati tra la Turchia e Israele sono in corso, per quanto ne so, il prossimo incontro si terrà ad ottobre”, ha dichiarato Kalin ai media. L’Ue è da tempo alla ricerca di alternative per il gas naturale russo poiché si è impegnata a porre fine alla dipendenza dalle forniture energetiche russe dopo la guerra in Ucraina. Il blocco ha già approvato sette pacchetti di sanzioni contro Mosca, inclusa la graduale eliminazione del petrolio russo. Questo avviene mentre Israele e Libano stanno conducendo negoziati indiretti sulla demarcazione del confine marittimo sotto la mediazione degli Stati Uniti. Israele ha già allestito un impianto nel conteso giacimento di gas di Karish nel tentativo di estrarre gas, violando completamente i diritti del Libano, nel mezzo di una crisi energetica in Europa. Il segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha avvertito che “se il Libano non ottiene i diritti richiesti dallo Stato libanese, ci stiamo dirigendo verso un’escalation indipendentemente dalla firma dell’accordo nucleare”. Sayyed Nasrallah ha sottolineato che “l’attenzione in Libano deve essere su Karish e sul confine marittimo libanese, così come sul mediatore statunitense che sta ancora perdendo tempo in un vincolo di tempo”. Il 9 agosto, il leader libanese ha avvertito che qualsiasi tentativo di depredare ricchezza dal Libano sarà sventato, indicando che il partito sta aspettando la risposta di Israele alle richieste del Libano in merito alla demarcazione del confine.
(ilfarosulmondo, 26 settembre 2022)
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Trovata una zanna gigante sottoterra: è impressionante, la più grande mai vista
Gli archeologi hanno fatto una scoperta a sud di Israele che apre nuovi scenari: è stata ritrovata una zanna gigante (e integra) appartenente a una specie estinta.
Alto fino a 4 metri e pesante fino a 13 tonnellate, più del doppio rispetto agli elefanti che oggi popolano il Pianeta. Il Paleoloxodon antiquus è un incredibile gigante migrato dall’Africa che ha vissuto tra l’Europa e l’Asia tra 1,5 milioni e 100.000 anni fa, dando vita a diverse specie. E se gli studiosi pensavano di sapere tutto su questo mastodontico animale, oggi si sono dovuti ricredere: alcuni scavi effettuati nel sud di Israele hanno dato alla luce la zanna più grande che si sia mai vista. Un evento di per sé raro – non sono molti i reperti di Paleoxodon antiquus – che diventa ancor più importante considerate le dimensioni del fossile.
• Trovata la zanna di un elefante gigante estinto La scoperta della zanna gigante è avvenuta vicino al kibbutz Revadim, nel sud di Israele. Una terra ricca di storia e che nell’ultimo anno, grazie all’opera dell’Autorità Israeliana per le Antichità, ha riportato alla luce reperti importantissimi a livello storico. Basti pensare al tesoro di inestimabile valore emerso durante uno scavo nel Parco Nazionale di Palmachim Beach, una grotta rimasta nascosta per più di 3.000 anni, completa di un corredo funebre risalente con molta probabilità al regno del famigerato Faraone Ramses II. Anche stavolta i paleontologi all’opera per conto dell’Autorità Israeliana per le Antichità sono rimasti più che sorpresi. Non è un segreto che l’area dello scavo fosse abitata da alcune specie estinte, proprio come l’antenato gigante degli elefanti africano e asiatico, ma mai prima d’ora era stato recuperato un reperto di dimensioni così insolite. Mediamente si stima che un esemplare maschio di Paleoloxodon antiquus (o elefante dalle zanne dritte) fosse alto fino a 4 metri e pesante fino a 13 tonnellate. La zanna ritrovata sottoterra a Revadim, però, ha costretto i paleontologi a rifare i calcoli: l’esemplare in questione era molto più grande rispetto agli altri della sua specie, lungo circa 2,5 metri e risalente ad almeno 500.000 anni fa. Questa è la più grande zanna fossile completa mai trovata in un sito preistorico in Israele o nel Vicino Oriente, nonché uno dei rarissimi reperti relativi al Paleoloxodon antiquus, estinto circa 400.000 anni fa, come affermato dal dottor Lee Perry-Gal, archeologo dell’Autorità Israeliana per le Antichità. "La zanna fossilizzata è estremamente fragile ed è probabile che si disintegri se esposta all’aria, alla luce solare e al tocco umano", ha aggiunto il professor Israel Hershkovitz, ricercatore del Dan David Center for Human Evolution and Biohistory dell’Università di Tel Aviv.
• Una scoperta che apre nuovi scenari Se da una parte il ritrovamento della zanna gigante (e integra) di per sé rappresenta una scoperta incredibile, dall’altra per i paleontologi si aprono nuovi scenari. La zona di scavo di Revadim è ricca di storia e reperti che hanno già consentito loro di disegnare un quadro piuttosto chiaro di ciò che avveniva lì centinaia di migliaia di anni fa. "Sapevamo che il sito era stato colonizzato nel tardo Paleolitico inferiore – ha affermato il dottor Avi Levy -, poiché sono stati recuperati strumenti in pietra e selce, nonché ossa di animali, resti ma (…) la vecchia zanna di elefante completa in così buone condizioni è qualcos’altro". Così per gli studiosi si sollevano nuovi interrogativi: perché ossa e zanne di elefante si trovano tra manufatti in selce, asce e altri strumenti da taglio usati abitualmente per la lavorazione delle carni animali? Questi giganteschi elefanti estinti venivano cacciati per nutrirsi o la conservazione di parti del corpo come zanne e cranio era una qualche consuetudine sociale/rituale? Tutte domande a cui i ricercatori stanno provando a dare una risposta chiara.
(Libero Tecnologie, 26 settembre 2022)
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Il leader del Fatah: “L’Algeria presenterà un piano per porre fine alla divisione palestinese”
L’Algeria presenterà un piano per porre fine alla divisione fra le fazioni palestinesi. Lo ha rivelato Azzam al Ahmad, leader del movimento palestinese Fatah in dichiarazioni ai media, precisando che “l’Algeria presenterà un documento a tutti alla luce di ciò che la leadership algerina ha appreso dalle fazioni palestinesi riguardo alle loro posizioni per porre fine alla divisione”.”Il documento che l’Algeria presenterà sarà positivo e aiuterà a porre fine alla divisione e raggiungere l’unità nazionale palestinese” ha aggiunto Al Ahmad. “L’incontro della delegazione del movimento Fatah con la leadership algerina è avvenuto in preparazione all’incontro allargato palestinese, che si terrà durante la prima settimana del prossimo ottobre”, ha spiegato. Lo scorso 19 settembre, l’ambasciatore palestinese ad Algeri, Fayez Muhammad Mahmoud Abu Aita, ha dichiarato in conferenza stampa che almeno quindici fazioni palestinesi, tra cui Hamas e Fatah, al potere rispettivamente a Gaza e a Ramallah, si incontreranno in Algeria la prima settimana di ottobre. “La Palestina dipende molto dai risultati del prossimo vertice arabo in Algeria”, in programma il primo e 2 novembre, ha detto il diplomatico, aspettandosi “risultati eccezionali” dopo che la diplomazia algerina “ha visitato diversi Paesi arabi per consultarsi sul dossier della riconciliazione palestinese”. L’ambasciatore palestinese ha detto di ritenere che l’Algeria “è in grado di contribuire a raggiungere la riconciliazione tra le fazioni palestinesi”, spiegando che “il numero delle fazioni partecipanti è di quindici”. Tra queste ultime vi è anche il Movimento per la Jihad islamica in Palestina, gruppo militante giudicato fra le organizzazioni sospettate di terrorismo da parte degli Stati Uniti, dell’Unione europea, del Regno Unito, del Giappone, del Canada e di Israele. Abu Aita ha concluso che “serve un forte fronte palestinese per resistere a Israele”. L’incontro è stato confermato anche dal ministro degli Esteri algerino, Ramtane Lamamra, il quale ha parlato degli “sforzi instancabili” della diplomazia sotto la guida del presidente della Repubblica algerina, Abdelmadjid Tebboune, per portare le parti palestinesi attorno a un tavolo prima del vertice della Lega araba. Il ministro algerino ha sottolineato che l’incontro faciliterà “il raggiungimento di un’unità araba che consenta di lanciare, al vertice di Algeri, un’azione araba comune (…) per una pace sostenibile e giusta, basata sulla realizzazione da parte del popolo palestinese dei suoi diritti inalienabili”. Si prevede che le parti discuteranno di una visione globale per la riconciliazione, di come unificare gli sforzi dei movimenti palestinesi sotto l’egida dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), e delle modalità per riprendere il percorso elettorale precedentemente sospeso. Gli sforzi dell’Algeria per riunire le diverse fazioni attorno a un documento di riconciliazione sono iniziati dalla visita ad Algeri del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas lo scorso dicembre. A margine delle celebrazioni per l’anniversario dell’indipendenza dell’Algeria a luglio, il presidente algerino Tebboune ha riunito il presidente Abbas e il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. In quell’occasione i due leader palestinesi si sono stretti la mano. Da mesi, quindi, l’Algeria sta portando avanti incontri tra i leader palestinesi di Fatah e Hamas e di diverse altre fazioni con l’ambizioso obiettivo di arrivare a una riconciliazione palestinese al vertice di novembre.
(Nova News, 25 settembre 2022)
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Investigatori israeliani scoprono che i vaccini COVID-19 causano effetti collaterali
Articolo scritto a quattro mani da Meiling Lee e Zachary Stieber, pubblicato su The Epoch Times. Secondo un video trapelato, i ricercatori israeliani hanno scoperto che alcuni effetti collaterali verificatisi dopo la vaccinazione COVID-19 sono stati causati dal vaccino di Pfizer. Ecco l’articolo nella mia traduzione.
di Sabino Paciolla
Secondo un video trapelato, i ricercatori israeliani hanno scoperto che alcuni effetti collaterali verificatisi dopo la vaccinazione COVID-19 sono stati causati dal vaccino di Pfizer. Il Ministero della Salute israeliano (MoH) ha incaricato i ricercatori di analizzare le segnalazioni di eventi avversi presentate dagli israeliani e i ricercatori hanno presentato i risultati del nuovo sistema di sorveglianza in una riunione interna del giugno 2022, il cui video è stato ottenuto da un giornalista israeliano. I ricercatori hanno affermato che il fenomeno del rechallenge – quando gli eventi avversi si ripresentano o peggiorano a seguito di ulteriori dosi di vaccino – dimostra che alcuni degli eventi sono stati causati dal vaccino. Secondo i ricercatori, un rechallenge positivo è stato riportato nel 10% delle donne che lamentavano problemi mestruali, che hanno anche identificato casi di rechallenge per altri eventi avversi. Il rechallenge cambia il nesso di causalità “da possibile a definitivo”, ha dichiarato alla riunione il dottor Mati Berkovitch, capo del team di ricerca e specialista in pediatria. Il rechallenge “ci aiuta a stabilire la relazione causale”, ha aggiunto Sasha Zhurat, il principale relatore dell’incontro. Il vantaggio del sistema di sorveglianza e dell’analisi “non è solo quello di identificare i sintomi, ma anche di collegarli al vaccino”, ha detto. Il filmato dell’incontro è stato divulgato da Yaffa Shir-Raz, giornalista sanitaria e ricercatrice sulla comunicazione del rischio. Shir-Raz ha pubblicato alcuni spezzoni dell’incontro. L’Epoch Times ha esaminato i filmati dell’intero incontro e ne ha fatto tradurre autonomamente alcune parti fondamentali per questa storia. Circa due mesi dopo l’incontro, il Ministero della Salute ha pubblicato un rapporto pubblico sui risultati dell’analisi dei dati. Il linguaggio del rapporto sulla causalità è diverso da quello usato durante l’incontro. “Il rapporto presenta tutti i casi segnalati in prossimità del ricevimento del vaccino contro il coronavirus e non indica necessariamente una relazione causale tra il ricevimento del vaccino e il fenomeno segnalato”, ha dichiarato il MoH nel rapporto. I portavoce del Ministero della Salute non hanno risposto o hanno rifiutato di rispondere alle domande sulla discrepanza. Un portavoce ha invece inviato un comunicato stampa datato 19 settembre 2021, in cui si annunciava la “creazione di una sede informativa dedicata alla lotta contro il coronavirus”. Zhurat ha rifiutato di commentare. “Non faccio più parte del progetto. Purtroppo non posso rispondere alle vostre domande. Vi prego di rivolgere le vostre domande al MOH”, ha dichiarato a The Epoch Times tramite un messaggio su Facebook. Una richiesta di commento alla dottoressa Emilia Anis, direttrice della Divisione di Epidemiologia del Ministero della Salute e partecipante all’incontro, è stata restituita dal Ministero della Salute, che ha rifiutato di rispondere alle domande poste ad Anis. Berkowitz non ha risposto a una richiesta di commento.
• RECHALLENGE Il rechallenge nella farmacovigilanza è uno dei fattori per determinare il nesso di causalità e si riferisce alla risomministrazione dello stesso vaccino o farmaco dopo la scomparsa di un evento avverso per verificare se lo stesso evento si ripete. Il dottor Robert Malone, che ha contribuito a sviluppare la tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA) su cui si basa il vaccino della Pfizer, ha dichiarato a The Epoch Times che il rechallenge è una “pratica standard di sperimentazione clinica farmaceutica” che può fornire una prova definitiva della causalità. “Secondo Malone, le segnalazioni di rechallenge nello studio israeliano non provano la causalità. Solo uno studio formale di rechallenge lo farebbe, ha detto. L’analisi, tuttavia, “suggerisce e supporta fortemente la causalità”, ha detto. Il dottor Harvey Risch, professore emerito di epidemiologia presso la Yale School of Public Health, ha dichiarato a The Epoch Times via e-mail che i ricercatori “sono essenzialmente corretti” nelle loro conclusioni che i vaccini hanno causato gli eventi avversi. Ricercatori di altri Paesi hanno già affermato che esistono legami causali tra alcuni vaccini e determinati effetti collaterali. “Le prove attuali supportano un’associazione causale tra la vaccinazione con mRNA COVID-19 e la miocardite e la pericardite”, ha dichiarato il dottor Tom Shimabukuro, ricercatore sanitario presso i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), durante un incontro tenutosi in estate. Anche il vaccino COVID-19 di Moderna utilizza la tecnologia mRNA. La miocardite e la pericardite sono due forme di infiammazione cardiaca che possono portare alla morte. Secondo il CDC, la maggior parte degli effetti collaterali che seguono la vaccinazione COVID-19 tendono a essere lievi e in genere durano solo pochi giorni. Altre patologie post-vaccinazione sono descritte come eventi avversi. Gli effetti collaterali sono problemi di salute che sono stati dimostrati essere causati da un vaccino, mentre un evento avverso è una condizione medica che può o meno essere correlata al vaccino. L’Ufficio per la sicurezza delle vaccinazioni del CDC ha rifiutato di commentare i risultati di Israele. “Il CDC continua a monitorare la sicurezza dei vaccini COVID-19 e rende disponibili le informazioni al pubblico in modo tempestivo e trasparente”, ha dichiarato via e-mail a The Epoch Times. Pfizer e Moderna non hanno risposto alle richieste di commento. Israele ha somministrato principalmente il vaccino di Pfizer, stipulando un accordo unico (pdf) con l’azienda farmaceutica statunitense. Israele ha ricevuto rapidamente le dosi di Pfizer. In cambio, il Paese ha permesso ai dirigenti di Pfizer di accedere ad alcuni dati sanitari nazionali.
• ALTRE SCOPERTE NON RESE PUBBLICHE Il sistema di sorveglianza di Israele è stato rinnovato nel dicembre 2021. I dati presentati a giugno sono stati raccolti da dicembre 2021 a maggio. Il sistema di sorveglianza ha ricevuto un totale di 8.000 segnalazioni, di cui 1.741 sono state rimosse per aver fornito informazioni incomplete o duplicate. Delle 6.259 segnalazioni presentate, 599 riguardavano bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, 299 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 17 anni e 5.411 adulti di età superiore ai 18 anni. Il questionario è stato compilato da un numero maggiore di donne rispetto agli uomini. In totale sono state identificate 29 categorie di eventi avversi, 22 delle quali provenienti dall’opzione “spazio vuoto” del questionario. Tuttavia, sono stati analizzati solo i dati relativi alle prime cinque categorie con il maggior numero di segnalazioni: neurologici (395 segnalazioni), effetti collaterali generali (295), disturbi mestruali (282), disturbi muscoloscheletrici (279) e del sistema digestivo, renale e urinario (192). Molti degli eventi avversi segnalati sono risultati di lunga durata, il che, secondo i ricercatori durante la riunione, è sorprendente, dato che l’opuscolo consegnato ai destinatari del vaccino dice il contrario. Hanno anche detto che i funzionari di Pfizer hanno detto loro che Pfizer non era a conoscenza di alcun sintomo di lunga durata. I ricercatori hanno anche detto di aver identificato nuovi eventi avversi non elencati nell’opuscolo, tra cui il mal di schiena. Nel rapporto ufficiale rilasciato successivamente al pubblico, il Ministero della Salute non ha specificato come i ricercatori siano stati colti di sorpresa dalla durata degli eventi e degli effetti collaterali. L’agenzia sanitaria ha inoltre dichiarato che non sono stati identificati nuovi eventi. “In conclusione, i fenomeni riportati sono fenomeni noti nella letteratura professionale e sono stati riscontrati anche nei precedenti rapporti del Ministero della Salute, e non è stato osservato un aumento di un nuovo fenomeno (nuovo segnale)”, ha scritto il Ministero della Salute. Shir-Raz, il giornalista che ha raccontato la storia della riunione interna, ha affermato che il ritardo nella comunicazione dei risultati include la mancata condivisione dei dati con il gruppo di esperti del Ministero della Salute che si è riunito alla fine di giugno per decidere se raccomandare il vaccino di Pfizer per i bambini dai 6 mesi ai 5 anni. “Abbiamo il protocollo di questa riunione, quindi sappiamo che specifica quali documenti sono stati presentati quando hanno preso la loro decisione, e non c’era alcuna menzione di questo studio nel protocollo”, ha detto Shir-Raz a The Epoch Times, citando un documento del MoH (pdf) che ha ottenuto. “Quindi lo hanno nascosto anche ai loro stessi esperti”. Shir-Raz, che l’anno scorso è stata licenziata dal suo lavoro per aver scritto articoli critici nei confronti della gestione da parte del Ministero della Salute delle statistiche sui decessi dovuti al lockdown e al COVID-19, ha dichiarato che l’obiettivo di questa storia era quello di “far emergere la verità”. “Negli ultimi due mesi mi sono dedicata quasi esclusivamente a questa storia… Per me non è solo un’altra questione, non è un altro articolo”, ha detto Shir-Raz. “Per me si tratta di far conoscere la verità. Perché non è solo locale… Ha implicazioni internazionali”.
• Collegamento con gli Stati Uniti
Israele è stato spesso il primo Paese a riferire sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini. I suoi dati sono stati regolarmente citati dalle agenzie statunitensi, tra cui il CDC. La dottoressa Sharon Alroy-Preis, un funzionario israeliano che ha dichiarato di essere responsabile del monitoraggio della sicurezza dei vaccini, ha presentato i dati al CDC e alla Food and Drug Administration statunitense quattro volte dal settembre 2021, l’ultima nell’aprile 2022. Retsef Levi, professore di gestione operativa presso il Massachusetts Institute of Technology, ha affermato durante uno degli incontri che il sistema di sorveglianza del Ministero della Salute è “veramente disfunzionale” e “non affronta in modo appropriato i principali segnali di sicurezza”. Alroy-Preis ha risposto esprimendo sorpresa. “Sono i nostri dati, ne sono responsabile, quindi so esattamente cosa ci viene riferito”, ha detto ai funzionari statunitensi. Ma il sistema in vigore per la maggior parte del 2021 è stato poi sostituito, e i funzionari israeliani hanno riconosciuto che non era adeguato. Con il vecchio sistema, le segnalazioni potevano essere inviate in forma anonima al sito web del ministero. Le segnalazioni non potevano essere verificate, rendendo impossibile condurre analisi affidabili dei dati, secondo il Ministero della Salute. “Con il passare del tempo, è diventato chiaro che la modalità di segnalazione sul sito web del ministero, che è una segnalazione anonima in testo libero, rendeva difficile verificare l’affidabilità dei dati e il loro significato, l’analisi professionale e la stesura di conclusioni”, ha scritto il MoH nel suo rapporto di agosto. Solo nell’ottobre 2021, però, il ministero ha iniziato a creare “un questionario identificato” con patologie predefinite e un campo per aggiungere ulteriori dettagli sulle reazioni avverse, comprese altre patologie non elencate nel questionario che sarebbero state utilizzate nell’analisi di Berkowitz e del suo team. Il nuovo sistema prevede che le persone inseriscano la propria identità e altre informazioni insieme ai dettagli dell’evento avverso. “C’è l’identificazione del paziente. Non si tratta di una segnalazione anonima”, ha detto Zhurat durante la riunione. La scelta di omettere dal rapporto pubblico alcuni dei risultati cruciali discussi durante l’incontro è “una ricetta per distruggere” l’intero programma vaccinale, secondo Levi, originario di Israele ed esperto di gestione del rischio. “Più si è a favore dei vaccini, più si deve essere turbati da una cosa del genere”, ha dichiarato Levi a The Epoch Times. “Il motivo è che i due fattori più importanti per il successo dei programmi vaccinali… sono la fiducia e la trasparenza, ovvero comunicare alle persone i reali rischi e benefici e permettere loro di scegliere cosa fare. La seconda cosa è che ci si prenda cura delle persone danneggiate dal vaccino, perché nessun vaccino è sicuro al 100%”. “Penso che in questo esempio… abbiamo violato questi due principi molto importanti”, ha aggiunto. “Questa è una ricetta per distruggere fondamentalmente tutti i programmi vaccinali, quindi chi è più favorevole ai vaccini dovrebbe essere più turbato da questo”.
(blog di Sabino Paciolla, 26 settembre 2022)
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Gruppo ebraico accusa il CUNY di inazione sull’antisemitismo
di Oliver Barker
Alums for Campus Fairness (ACF), un gruppo che lavora per “contrastare l’antisemitismo, inclusa la demonizzazione di Israele e altre forme di bigottismo” nei campus universitari e universitari, ha annunciato martedì il lancio di un’iniziativa di advocacy a sei cifre diretta alla City University del Cancelliere di New York Félix V. Matos Rodríguez.
Il CUNY, il sistema di istruzione superiore pubblica di New York City, controlla 25 campus in giro per la città ed è stato criticato da attivisti che affermano che sia gli studenti che i docenti sono sistematicamente antisemiti.
La CUNY ha affermato che le accuse di inazione per antisemitismo contro il cancelliere Matos Rodríguez erano “sbagliate e assolutamente false”.
Avi D. Gordon, direttore esecutivo dell’ACF, ha dichiarato: “Sulla scia dei ripetuti incidenti antisemiti e della completa indifferenza dei leader e degli ex alunni della CUNY, gli studenti non staranno più a guardare. La comunità ebraica si è sentita inascoltata e indesiderata nei campus CUNY. Questa campagna è solo l’inizio dei nostri sforzi per ritenerli responsabili”.
Gordon ha esortato Matos Rodríguez a “correggere il corso” per proteggere la sicurezza degli ebrei nei campus della CUNY. L’ACF sta inoltre diffondendo una petizione in cui esorta l’amministrazione CUNY e Matos Rodríguez ad agire immediatamente contro l’antisemitismo. ACF ha affermato che sta reagendo a una serie di “fallimenti istituzionali” al CUNY.
Nell’ultimo anno, l’Associazione del governo studentesco della CUNY School of Law ha approvato una risoluzione a sostegno del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) a guida palestinese. La scuola ha anche ospitato l’attivista palestinese americano Nerdeen Kiswani come oratore di inizio.
Matos Rodríguez è stato criticato per essersi rifiutato di intraprendere un’azione contro l ‘”antisemitismo sistemico” nella sua istituzione, anche da più membri del Consiglio della città di New York che lo hanno ammonito dopo che non ha partecipato a un’audizione del Consiglio sull’antisemitismo al CUNY.
“Il cancelliere Matos Rodríguez ha denunciato inequivocabilmente l’antisemitismo e ha adottato misure potenti per combatterlo in tutte le sue forme”, ha detto a Zenger News il segretario stampa della CUNY Joseph Tirella.
Tirella ha sottolineato il lavoro di Matos Rodríguez con Hillel International, l’ampliamento della formazione degli amministratori del campus e dei leader degli studenti per aiutarli a comprendere e riconoscere l’antisemitismo e gli sforzi per condividere le risorse per denunciare l’antisemitismo nel campus.
“Accusare di non fare nulla per combattere l’antisemitismo è sbagliato e assolutamente falso”, ha detto Tirella.
La consigliera della città di New York Inna Vernikov, che è stata molto critica nei confronti di Matos Rodríguez, ha affermato che il cancelliere le ha detto in una recente riunione che il CUNY sta ora formalizzando accordi per espandere i programmi di scambio studentesco del sistema in Israele.
(Tebigeek, 26 settembre 2022)
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La scoperta che ci riporta indietro di 1.200 anni
Una scoperta importantissima è avvenuta negli abissi del Mediterraneo, qualcosa che non era mai stato ritrovato prima d'ora.
La scoperta appena avvenuta ci riporta indietro nel tempo di oltre 1.200 anni. Degli scavi subacquei, infatti, hanno riportato alla luce una nave antichissima, la più grande nel suo genere, e circa 200 anfore che contenevano ingredienti per la dieta mediterranea.
• Israele, la scoperta che riscrive la storia Siamo in Israele, più precisamente al largo di quella che oggi è Maagan Michael, una comunità costiera tra Haifa e Hadera, nel Nord del Paese. Proprio qui, grazie a uno scavo sostenuto dalla Israel Science Foundation, dalla Honor Frost Foundation e dall’Institute of Nautical Archaeology della Texas A&M University, è stato rinvenuto un relitto risalente a oltre 1.200 anni fa con al suo interno circa 200 anfore che contenevano ancora ingredienti della dieta mediterranea, come la salsa di pesce, e una varietà di olive, datteri e fichi. Prodotti davvero particolari poiché erano delizie di zone lontane. Non ci è ancora dato sapere come sia affondata. Il periodo, infatti, era molto turbolento e l’impero bizantino cedeva territori alla nascente potenza islamica. Tuttavia, l’esistenza stessa della nave testimonierebbe la persistenza del commercio in un Mediterraneo sempre più diviso.
• Le dichiarazioni degli addetti ai lavori A spiegare quanto appena detto, e come riportato da Rai News, è stata Deborah Cvikel, archeologa nautica dell’Università di Haifa e direttrice dello scavo. In particolare ha dichiarato: “I libri di storia ci dicono che in quell’epoca non esistevano commerci internazionali nel Mediterraneo. E lo testimoniavano la scoperta soprattutto di navi di piccole dimensioni, in grado di navigare lungo la costa facendo cabotaggio“. Ha poi aggiunto: “In questo caso, invece, abbiamo scoperto un grande relitto, che crediamo fosse una nave originariamente lunga circa 25 metri con un carico di merci provenienti da tutto il Mediterraneo”.
• Una scoperta importantissima I manufatti ritrovati sul ponte del relitto dimostrerebbero che la nave aveva attraccato a Cipro, in Egitto, forse in Turchia e che probabilmente si era spinta fino alla costa nordafricana. La costa di Israele è ricca di scheletri di navi affondate nel corso dei millenni. I relitti, da queste parti, sono più accessibili allo studio che in altre zone del Mediterraneo. Questo si verifica perché il mare qui è poco profondo e il fondale sabbioso, condizioni ottimali per conservare reperti. Infatti, come è successo con la nuova scoperta al largo di Maagan Michael, in queste acque è sufficiente una tempesta per riportare alla luce una nuova reliquia. In questo caso specifico, sono stati due subacquei dilettanti a individuare un pezzo di legno che sporgeva dal fondo. Una parte che si è rivelata essere di una nave mercantile, datata tra il VII e l’VIII secolo d.C, fatta di abeti e noci. Gli scavi eseguiti dal team di Cvikel hanno mappato gran parte dello scheletro di legno, lungo ben 20 metri e largo cinque. Dopodiché degli aspiratori subacquei hanno ripulito 1,5 metri di sabbia e scoperto le oltre 200 anfore contenenti ancora ingredienti della dieta mediterranea. Ma non solo. Erano presenti persino strumenti per la navigazione come corde e oggetti personali tra cui pettini di legno, oltre ad animali, inclusi i resti di scarafaggi e sei topi. Insomma, quella appena avvenuta è una scoperta che potrebbe persino riscrivere la storia del Mediterraneo.
(SiViaggia, 26 settembre 2022)
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Provato con successo dalla corvetta Oz classe Sa’ar 6 il missile antinave Gabriel 5
di Aurelio Giansiracusa
La Direzione Ricerca e Sviluppo del Ministero della Difesa d’Israele, la Marina insieme alle Forze di Difesa Israeliane e ad Israel Airspace Industry hanno completato con successo nel mese di agosto un complesso test del sistema missilistico navale di tipo ‘Gabriel 5’. Questo test rappresenta un’altra pietra miliare nel processo di completamento delle capacità di combattimento delle corvette multiruolo classe Sa’ar 6; per la descrizione di queste unità si rinvia qui. Al test ha partecipato la nave missilistica INS Oz, la seconda corvetta missilistica classe Sa’ar 6, che è stata sottoposta alle prove per verificare la sua capacità di affrontare varie minacce utilizzando armi nuove e avanzate, tra cui il missile Gabriel 5. La INS Oz ha lanciato il missile Gabriel 5 che, dopo aver seguito la rotta prestabilita ed avendo attivato il sensore di ricerca nel tratto finale della corsa, ha centrato in pieno la designata nave bersaglio, causandone il successivo affondamento. Il missile Gabriel 5 è un avanzato sistema d’attacco marittimo a lungo raggio, in grado di volare per centinaia di chilometri, in condizioni meteo-marine variabili. Il Gabriel 5 è un sistema missilistico in grado di ingaggiare e distruggere un’ampia varietà di obiettivi e minacce. Il Gabriel V è dotato di un avanzato sistema radar attivo resistente al jamming, progettato per operare in ambienti litorali complessi, in grado di discriminare con estrema precisione i bersagli da colpire. Il missile è accreditato di una portata operativa superiore i 200 km, un peso attorno i 1200 kg ed una lunghezza di 5 metri e mezzo. Il sistema di propulsione del missile è basato su un turbogetto che permette di raggiungere la velocità subsonica mentre il sistema di guida è del tipo GPS/INS più waypoint per aggiornamento e precisione. Il Gabriel V è attualmente in servizio con la Marina Israeliana e con la Marina Finlandese.
(Ares Osservatorio Difesa, 26 settembre 2022)
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Putin lancia un appello agli ebrei russi
"Diano un forte contributo alla diversità culturale nel nostro Paese".
Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto appello alla comunità ebraica russa, in occasione del capodanno ebraico, affinché dia "un forte contributo" all'identità multietnica del paese.
"E' molto importante che, pur restando fedeli a tradizioni spirituali, gli ebrei della Russia diano un forte contributo alla diversità culturale nel nostro paese, a rafforzare la concordia interetnica e i principi di rispetto reciproco e tolleranza religiosa", ha detto Putin.
Con l'inizio della guerra molti ebrei hanno lasciato la Russia.
(RaiNews, 25 settembre 2022)
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Individuo e società
di Marcello Cicchese
“Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2:7).
Quando Dio creò l’uomo, all’inizio formò un individuo maschio: Adamo. Mentre era ancora solo, Adamo ricevette da Dio l’ordine di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 2:17). Poi Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”, e costituì la prima società costituita dalla coppia uomo-donna. A questa coppia Dio diede l’ordine di popolare l’intera terra:
“Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta»” (Genesi 1:27-28).
Nel progetto di Dio esiste dunque una società universale comprendente tutti gli uomini che sarebbero discesi dalla prima coppia. Ma più avanti il Signore precisa:
“Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Genesi 2:24).
Questo significa che Dio si proponeva, all’interno della società universale, la formazione di cellule familiari composte da padre, madre e figli, ben distinte fra loro. Si può dire dunque che in origine, prima della caduta, la sola forma di società particolare prevista all’interno della società universale era la famiglia mononucleare composta da padre, madre e figli. Le famiglie patriarcali, come pure i single e le coppie senza figli non erano previsti. Nel piano di Dio gli individui non spariscono all’interno della società in cui vivono, anzi – e questo si manterrà anche dopo la caduta – ogni società presuppone un individuo che la rappresenta e ne risponde. Per l’intera umanità il rappresentante è Adamo, per la famiglia è l’uomo, marito e padre. La primordiale disubbidienza a Dio compiuta dalla prima coppia ha portato scompiglio in tutta la creazione, e quindi anche nelle relazioni umane che costituiscono la società. Le nuove forme di aggregazione che si svilupperanno nella storia sono tutte conseguenze del peccato, anche se, come vedremo, il Signore le userà per portare a compimento il suo piano di salvezza. La prima forma di società civile di tipo non familiare ha un fondatore inaspettato dal nome inquietante: Caino. Dopo il peccato di Adamo la terra fu maledetta, il male entrò nel mondo, i rapporti dell'uomo con Dio, con i suoi simili e con la terra si guastarono irreparabilmente. Caino - dice la Bibbia - si irritò contro Dio, ammazzò il fratello, e la "voce del sangue" dell'ucciso "gridò a Dio dalla terra" (Genesi 4:10). La maledizione che aveva colpito la terra si attaccò all'omicida, che fu condannato ad essere "vagabondo e fuggiasco sulla terra". Ma Caino cercò un rimedio. Per non dover continuare a fuggire, per non essere un eterno vagabondo sulla terrà, edificò - primo uomo al mondo - una città, e le diede il nome di suo figlio: Enoc. Era un uomo d'azione, Caino. La "faccia del suolo" gli era divenuta ostile; le persone gli facevano paura; dovunque andasse si sentiva un forestiero. Ma con la sua determinazione e il suo impegno riuscì a costruirsi un ambiente a misura sua, un luogo familiare che gli parlava soltanto di sé: poté arrivare a vivere nella sua città, che portava il nome di suo figlio. Non era più uno straniero senza diritti civili: era diventato il "primo cittadino" della prima città. Dunque, quella particolare forma di aggregazione sociale che è la città, di cui in molti casi noi andiamo fieri, facendo riferimento a esempi storici illustri come Atene, Roma, Bisanzio e altri, non faceva parte del progetto originario della creazione. Dio però l’ha fatta entrare nel suo progetto di redenzione; e se la prima città della storia, conseguenza del peccato, portava il nome poco noto di Enoc, l’ultima città, conseguenza e coronamento dell’opera di salvezza, porta il nome ben noto di Gerusalemme. Come vedremo in seguito, l’opera salvifica di Dio non consiste nel riportare ogni cosa allo stato iniziale, ma nel redimere anche le istituzioni sorte come conseguenza del peccato, trasformando il male in bene. In almeno tre casi questo modo di procedere è messo in evidenza nella Bibbia: quando si parla di città, di nazione e di re. Dopo la città, l’altra forma ben nota di aggregazione sociale è la nazione. Quand’è che nascono le nazioni? Perché sono nate? Chi le ha volute? Caino aveva certamente usato fantasia e ingegno per costruire la sua città. Ma purtroppo per lui qualche tempo dopo arrivò il diluvio, e della sua opera architettonica non rimase traccia sulla terra. Dio non si compiacque dell'ingegnosa laboriosità della sua creatura, ma si dispiacque della malvagità degli uomini, perché vide che essa "era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo" (Genesi 6:5). Dio allora cercò un rimedio. In un primo momento gli sembrò di averlo trovato in una soluzione radicale: sterminare tutti gli uomini dalla faccia della terra.
"Ma - dice la Bibbia - Noè trovò grazia agli occhi dell'Eterno" (Genesi 6:8).
Il giudizio ci fu, ma la stirpe umana fu preservata nella progenie di Noè, che per volontà di Dio scampò al diluvio. Tuttavia ben presto gli uomini dimenticarono di poter calcare la terra solo per la misericordia di Dio e, arrivati nella pianura di Scinear, pur essendo tutti insieme e parlando la stessa lingua, li assalì il timore di essere "dispersi sulla faccia di tutta la terra". Era una situazione diversa da quella di Caino, eppure aveva qualcosa di simile. Avevano quello che Caino non aveva: unità e stabilità; ma avevano paura di perdere entrambe. Anche a loro venne l’idea di costruirsi una città. Ma se la città di Caino doveva avere la funzione esclusiva di tenere lontani da sé i nemici, il progetto che avevano in mente gli uomini nella pianura di Scinear mirava ad un obiettivo opposto: la loro città doveva avere una funzione inclusiva, doveva servire cioè ad unire tutti gli uomini in un globalizzante progetto di pace universale, sventando il pericolo delle divisioni politiche interne e della dispersione geografica. Per questo la città doveva avere una torre alta, molto alta, tanto alta da arrivare fino al cielo. E con il cielo a portata di mano, il possesso della terra sarebbe stato garantito: chi mai avrebbe più potuto disperderli sulla faccia della terra? Chi avrebbe tolto loro quel suolo e quella loro meravigliosa, produttiva unità? Le premesse erano più che promettenti: gli uomini della pianura di Scinear possedevano una tecnologia avanzata che consentiva loro di usare bitume invece di calcina e mattoni cotti al sole invece di semplici pietre. E in più, non erano dei pelandroni, ma gente attiva, laboriosa e impegnata. "Orsù - si dissero l'un l'altro - edifichiamoci una città e una torre di cui la cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama, onde non siamo più dispersi sulla faccia di tutta la terra" (Genesi 11:4).
Non c'era in loro quella sorda irritazione contro Dio che aveva accompagnato Caino nel suo peregrinare; l'evoluzione culturale era giunta al punto che l'"ipotesi Dio" poteva essere tranquillamente messa da parte: non si trattava di combattere l'idea di Dio, ma di lavorare per la gloria dell'uomo. Infatti gli uomini della pianura di Scinear non parlano mai di Dio, neppure per negarlo: quello che li interessa è il loro progetto, l'opera delle loro mani. In fondo, hanno la coscienza a posto: loro non vogliono ammazzare il fratello, come Caino. Al contrario, vogliono lavorare per un affratellamento degli uomini intorno a un progetto comune. Se c'è un Dio, perché mai dovrebbe avere qualcosa da dire? E invece Dio ha qualcosa da dire. Anche Lui, come un solerte operaio, si mette al lavoro. E rimboccandosi le maniche dice a sé stesso:
“Orsù, scendiamo e confondiamo quivi il loro linguaggio, sicché l'uno non capisca il parlare dell'altro!' Così l'Eterno li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di edificare la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babel perché l'Eterno confuse quivi il linguaggio di tutta la terra, e di là l'Eterno li disperse sulla faccia di tutta la terra” (Genesi 11:7-9).
Bisogna notare però che la risoluzione del contrasto non avviene come nel caso di Caino. Nella pianura di Scinear non c'è nessun colloquio diretto tra Dio e gli uomini. Mentre a Caino Dio aveva rivolto la parola e questi aveva risposto, qui la contrapposizione tra le due parti avviene in un modo che qualcuno definirebbe più evoluto, più civile. Gli uomini vanno avanti nel loro progetto senza preoccuparsi di Dio, né in bene né in male; e Dio rispetta questo loro desiderio di non essere importunati da pensieri ultramondani che li avrebbero distratti e infastiditi. Senza intervenire direttamente, in modo aperto e indiscreto, nella dimensione verticale della loro vita, Dio si prende la libertà di perturbare proprio quei rapporti che più di tutto stanno a cuore ai lavoratori della pianura di Scinear: quelli orizzontali. Dio non attira su di sé l'attenzione degli uomini, non chiede di essere ascoltato da persone che hanno interesse soltanto per quello che si dicono l'un l'altro, ma di fatto succede che gli alacri costruttori non si capiscono più fra di loro. Il lavoro allora s’interrompe, e quello che gli uomini più di tutto temevano, avviene: vengono "dispersi sulla faccia di tutta la terra".
“Queste sono le famiglie dei figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio.” (Genesi 10:32).
Nascono così le nazioni, ciascuna con il suo linguaggio, diverso da quello delle altre, cosa che le condurrà a differenziarsi fra di loro per usi e costumi e ad acquisire ciascuna una sua propria identità. Le nazioni dunque sono state volute da Dio, ma allo scopo di sventare un progetto “salvifico” degli uomini, un tentativo di risolvere con le proprie forze i problemi dell’umanità. Da quel momento in poi la peccaminosità politica degli uomini si è manifestata in un succedersi di guerre fra nazioni e di rivoluzioni all’interno di una medesima nazione per la conquista del potere. Dio tuttavia non rinnegherà mai il concetto di nazione, come se fosse un’istituzione in sé malvagia, ma anzi deciderà di compiere il suo piano di salvezza proprio attraverso una nazione, che non sarà scelta tra quelle nate in conseguenza della dispersione babelica, ma sarà generata da Dio stesso. Dopo la famiglia e la città, la nazione costituisce dunque un’altra forma di aggregazione sociale che gioca un ruolo importante nella storia profana, e anche, di conseguenza, nella storia della salvezza presentata dalla Bibbia. Una nazione è costituita da un popolo, ma questo secondo termine, anche se strettamente correlato al primo e spesso usato come sinonimo, non sempre è interscambiabile con esso. Mentre il popolo è una realtà costituita in primo luogo da persone ed è riconoscibile semplicemente osservando l’attualità dei fatti, la nazione implica il possesso di una terra ed ha un aspetto giuridico-istituzionale che per essere riconosciuto e valutato richiede una riflessione sugli aspetti storici e sulla forma dei patti che sono all’origine della sua costituzione. E’ importante allora esaminare come è stata generata quella particolare nazione che in seguito porterà il nome di “Israele” e i cui membri costituiscono il “popolo eletto” di Dio. Non a caso abbiamo usato il termine “generata”, perché si tratta di un parto, dal momento che Dio stesso chiama questo popolo “mio figlio”.
“Tu dirai al faraone: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito, e io ti dico: «Lascia andare mio figlio, perché mi serva»; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo primogenito”».” (Esodo 4:22-23).
L’aspetto “parto” è importante nella storia della salvezza. E’ utile allora tornare all’origine del progetto salvifico di Dio, che si trova nella prima promessa di grazia pronunciata dal Signore dopo il peccato di Adamo ed Eva:
“Allora Dio il Signore disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sarai il maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le bestie selvatiche! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno».” (Genesi 3:14-15).
Presentatosi alla donna nella forma del serpente, Satana era riuscito a far sì che lei e suo marito credessero alle sue parole e non a quelle di Dio. Da quel momento l’Avversario di Dio ha acquisito un diritto di signoria su Adamo ed Eva e su tutta la loro progenie. Dio però ha annunciato che un giorno Satana sarà sconfitto, e questo avverrà proprio ad opera della progenie della donna. Ma perché Dio parla di “progenie della donna” invece che di “progenie dell’uomo”? Dalla totalità della rivelazione biblica sappiamo che un essere che fosse soltanto uomo, e quindi peccatore come i suoi progenitori, non avrebbe mai potuto sconfiggere Satana, perché chi pecca si trova per questo stesso fatto sotto il dominio di colui che ha peccato fin dall’inizio. Dio avrebbe potuto schiacciare immediatamente il capo del serpente, ma contemporaneamente avrebbe dovuto anche, per motivi di giustizia, condannare le creature che si erano lasciate da lui sedurre. Dio parla allora di “progenie della donna” perché il parto da cui nascerà il Salvatore dell’umanità avrà come componente femminile una donna, discendente peccatrice di Adamo ed Eva, ma come componente maschile non un uomo ma il Creatore dei cieli e della terra, il Dio Santo che più tardi si farà chiamare il “Santo d’Israele” (Salmi 71:22, 78:41, 89:18) Dio annuncia dunque, in forma velata, la sua discesa tra gli uomini nella persona di Colui che sarà riconosciuto come “Figlio di Dio”, perfetto Dio e perfetto uomo, Salvatore dell’umanità e di tutta la creazione. Questo annuncio avviene prima che nella Bibbia si parli di Abraamo, Isacco, Giacobbe, ed è chiaro quindi che la venuta sulla terra di Gesù, il Figlio di Dio preannunciato in questo capitolo della Genesi, precede e supera in valore e importanza qualsiasi altro strumento che Dio abbia scelto in seguito per eseguire il suo piano di salvezza, ivi compreso il popolo d’Israele.
“Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli.” (Colossesi 1:13-20).
Chi si interessa di Israele come nazione, e desidera giustamente manifestare amore per il popolo eletto di Dio, deve comunque evitare il rischio di eliminare dall’orizzonte delle sue considerazioni, per un mal inteso “amor di pace”, la figura fondamentale della storia della salvezza: Gesù Cristo, che è “pietra angolare” (Salmo 118:22, Isaia 28:16, Matteo 21:42, Efesini 2:20, 1Pietro 2:6) e nello stesso tempo“sasso d’inciampo” (Romani 9:33). Ma anche se il primo annuncio della venuta del Salvatore compare nella Bibbia prima ancora che si parli di Israele, bisogna riconoscere che questa notizia ci è pervenuta attraverso Israele. E questo, come vedremo, ha il suo significato e la sua importanza.
(1. continua)
(da "La superbia dei Gentili")
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Zelensky, l'attacco dell'ora di pranzo del sabato: 'Israele non ha fatto nulla per aiutare l'Ucraina!!'
Israele non ha fatto nulla per aiutare l'Ucraina, non le ha fornito le armi antiaeree di cui ha bisogno, ma continua invece a esportare armi ad altri Paesi: l'accusa è stata formulata dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in due interviste ad altrettanti media francesi. "Israele non ci ha dato nulla. Zero" ha detto a TG5 Monde. "Capisco che siano in una posizione difficile con la Siria e con la Russia", ha detto il leader di Kiev, ricordando come lo Stato ebraico abbia fornito aiuti umanitari, ma abbia rifiutato tutte le richieste di armi, in particolare di sistemi antiaerei di cui, ha detto Zelensky, l'Ucraina ha disperatamente bisogno per mettersi al riparo dai raid russi. Intervistato invece dal quotidiano Ouest-France, alla domanda se la "pretesa denazificazione dell'Ucraina (dichiarata da Mosca) possa spiegare il rifiuto di Israele a sostenervi", Zelensky ha ribadito lo stesso concetto: "L'opinione pubblica israeliana non è per niente così e penso che ci sostenga. Non accuso i suoi dirigenti. Ma i fatti sono questi. Ci sono state discussioni con i dirigenti israeliani e ciò non ha aiutato l'Ucraina. Invece si può osservare l'influenza della Russia in Israele, che considero uno stato indipendente. Mi dispiace che i mezzi di difesa antiaerea di cui abbiamo bisogno non sono stati consegnati. Voglio essere chiaro: questo mi sciocca, perché nello stesso momento Israele esporta i suoi armamenti in altri Paesi", ha detto Zelensky.
(ANSA, 24 settembre 2022)
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Booking.com e lo Zeitgeist antisemita
di Oliver Barker
Apparentemente a proposito di nulla, il 19 settembre il colosso dei viaggi online Booking.com con sede ad Amsterdam ha annunciato l’intenzione di apporre etichette di avvertimento sugli alloggi di proprietà di ebrei in Giudea e Samaria (cioè la Cisgiordania). Secondo il comunicato stampa della società, accanto agli elenchi delle comunità israeliane in quelle aree verrà inserita una dichiarazione in cui si afferma: “Una visita in quest’area può essere accompagnata da un aumento del rischio per la sicurezza, i diritti umani e altri rischi per gli ospiti e il locale Comunità.” Booking.com ha annunciato il suo piano prima di iniziare ad implementarlo, perché secondo quanto riferito la società ha difficoltà a capire come formulare il suo avvertimento. Per evitare accuse di discriminazione nei confronti degli ebrei, Booking.com ha riferito che il suo avvertimento si applicava “alla zona”. Ma “l’area” in questione ha elenchi di ebrei e arabi e Booking.com vuole solo apporre etichette di avvertimento sugli elenchi di proprietà di ebrei. Quindi Booking.com sta ritardando l’attuazione del suo piano finché non riuscirà a capire come formulare un boicottaggio per soli ebrei senza essere citato in giudizio. Questa non è la prima volta che Booking.com tenta di adottare una politica aziendale per discriminare Israele e gli ebrei israeliani. Nel 2018, l’azienda ha cambiato la sua designazione di Gerusalemme da “capitale israeliana” a “insediamento israeliano”. La società ha rapidamente invertito la rotta, dopo che un giornale ebraico in Belgio ha chiesto informazioni sulla designazione ostile. L’attivismo anti-israeliano di Booking.com è una piccola storia in sé e per sé. La compagnia in realtà non sta boicottando Israele, a rigor di termini, come chiedono gli attivisti anti-israeliani; non sta nemmeno boicottando gli alloggi di proprietà di ebrei in Giudea e Samaria. Sta cercando di capire come incoraggiare i suoi clienti a boicottarli apponendo un’etichetta di avvertimento su quelle inserzioni senza incorrere in problemi legali. Sebbene la storia sia piccola, racconta una storia molto più grande. Perché nel cercare di individuare gli ebrei israeliani per il trattamento discriminatorio, il gigante dei viaggi sta amplificando le politiche del governo olandese e dell’Unione europea, più in generale. Inoltre, la decisione di Booking.com di escludere lo stato ebraico dagli abusi è in linea con lo zeitgeist generale in Europa e tra i progressisti americani di oggi. Formalmente, i Paesi Bassi e Israele hanno buone relazioni. Ad esempio, il commercio tra di loro è aumentato di oltre il 4% all’anno ogni anno dal 1995. Ma sotto la superficie, da parte olandese, le cose sono molto diverse. Come l’UE e gli altri suoi Stati membri, per decenni i Paesi Bassi hanno incanalato milioni di dollari di fondi governativi ogni anno a ONG registrate da Israele e Palestina che esistono per svolgere varie forme di attività diplomatiche, economiche, territoriali e, in alcuni casi, guerra terroristica contro Israele. Dal momento che quasi tutti i loro budget sono pagati dai contribuenti europei, queste ONG sono agenti europei il cui obiettivo ultimo e spesso dichiarato è facilitare la distruzione di Israele come unico stato ebraico al mondo. Le ONG sostenute dai Paesi Bassi, ad esempio, fanno pressioni sulla Corte penale internazionale per emettere mandati di arresto, incriminare e processare i leader e il personale militare israeliani. Conducono campagne politiche dirette ai governi e alle Nazioni Unite per demonizzare Israele e rifiutare il suo diritto di esistere. Gruppi finanziati dai Paesi Bassi portano avanti campagne legali per intimidire aziende e governi per porre fine ai loro legami con Israele. Svolgono campagne intimidatorie contro i soldati e la polizia israeliani per minare i loro sforzi per svolgere i loro compiti. Gli sforzi di sabotaggio e intimidazione si concentrano sull’interferenza con le operazioni antiterrorismo e sulla distruzione di progetti edilizi illegali, spesso pianificati e pagati dall’UE. Nell’ottobre 2021, il ministero della Difesa israeliano ha designato sei ONG palestinesi come entità terroristiche affiliate al Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP). Israele, gli Stati Uniti e l’UE designano il PFLP (che ha aperto la strada ai dirottamenti delle compagnie aeree, tra le altre cose) come un gruppo terroristico. Una delle organizzazioni, la Union of Agricultural Work Committee (UAWC), aveva ricevuto decine di milioni di dollari dai Paesi Bassi negli otto anni precedenti. Dopo che un’indagine olandese indipendente ha mostrato che attraverso il finanziamento dell’UAWC, i Paesi Bassi avevano pagato direttamente gli stipendi dei terroristi del FPLP che hanno effettuato un attentato stradale nel 2019 che ha ucciso una giovane donna, Amsterdam ha annunciato la sospensione dei finanziamenti. Ma nel luglio 2022, i Paesi Bassi si sono uniti a Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Spagna e Svezia nel respingere la designazione israeliana delle sei ONG palestinesi come entità terroristiche. Al contrario, i paesi europei hanno annunciato che manterranno i finanziamenti per i gruppi di facciata del FPLP. Spinta da legislatori progressisti, il mese scorso, la CIA ha rifiutato allo stesso modo di accettare le scoperte di Israele. All’inizio di settembre, una delegazione di funzionari della difesa e diplomatici israeliani si è recata a Washington per presentare ulteriori prove dell’affiliazione dei sei gruppi al FPLP ai funzionari del Dipartimento di Stato, della CIA e dell’Ufficio del Direttore dell’intelligence nazionale. Ad oggi, l’amministrazione Biden mantiene il suo rifiuto di accettare le scoperte di Israele. Per quanto riguarda lo zeitgeist, ripetuti sondaggi dell’opinione pubblica mostrano che gli europei sono in gran parte ostili a Israele. Ad esempio, un sondaggio del 2019 sull’opinione europea della Bertelsman Stiftung Foundation ha rilevato che mentre il 61% degli israeliani era disposto positivamente verso gli europei, solo il 20% degli europei aveva opinioni positive su Israele. Per quanto riguarda in particolare i Paesi Bassi, uno studio del 2018 condotto dall’Istituto israeliano per gli studi sulla sicurezza nazionale di sinistra ha mostrato che i media olandesi coprono collettivamente Israele in un modo che delegittima l’esistenza di Israele e disumanizza gli ebrei israeliani. Una tattica popolare dei media olandesi per demonizzare Israele è affermare che Israele non può essere una democrazia, poiché durante il periodo in esame, la Knesset stava discutendo un disegno di legge volto a frenare le attività ostili delle ONG anti-israeliane finanziate dai Paesi Bassi. Il 20 settembre, il rappresentante Rashida Tlaib (D-MN) ha parlato con l’attuale zeitgeist anti-israeliano e sempre più apertamente antiebraico nell’America progressista. In un commento a un forum online ospitato da un gruppo filo-palestinese, Tlaib ha affermato: “Tra i progressisti, è diventato chiaro che non si può affermare di sostenere valori progressisti, ma sostenere il governo dell’apartheid di Israele”. Ha aggiunto: “Non accetteremo più questa idea che tu sia progressista, fatta eccezione per la Palestina”. L’appello di Tlaib affinché gli americani filo-israeliani fossero evitati dai progressisti è stato fermamente condannato da una manciata di legislatori democratici prevalentemente ma non esclusivamente ebrei, che hanno giustamente caratterizzato la sua dichiarazione, e la stessa Tlaib, come antisemita. D’altra parte, c’erano molti altri legislatori che hanno partecipato alla conferenza online con Tlaib e nessuno ha espresso scrupoli sulle sue osservazioni. Inoltre, il presidente Biden, la presidente della Camera Nancy Pelosi (D-CA) e il resto dell’amministrazione Biden e la leadership del Congresso democratico non hanno sentito il bisogno di condannare Tlaib. Al contrario, hanno abbracciato Tlaib. Quando Tlaib ha condannato il sostegno degli Stati Uniti a Israele durante l’offensiva missilistica di Hamas dell’anno scorso contro lo stato ebraico, Biden si è scagliato contro Tlaib; ha espresso la sua “ammirazione” per il legislatore antisemita, ha applaudito la sua “passione” e “intelletto” e l’ha definita una “combattente”. Se vista nel più ampio contesto della guerra politica dell’Europa contro Israele e lo zeitgeist anti-israeliano e anti-ebraico dominante in Europa e in America progressista, l’azione di Booking.com non può essere liquidata come la semplice sventura di dirigenti aziendali sovrapagati. Deve invece essere visto come un segno di ciò che sta già accadendo, e un monito di una situazione ancora peggiore che forse ci attende, poiché l’antisemitismo torna ad essere la condizione per l’ingresso nell’alta società in Europa e in America.
(Tebigeek, 24 settembre 2022)
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Un'antica lettera è stata restituita a Israele, riporta versi biblici: cosa c'è scritto
Un piccolissimo frammento di papiro, delle dimensioni di un francobollo, è stato restituito a Israele: riporta versi risalenti all'epoca del Primo Tempio.
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Un raro documento è stato restituito a Israele, il frammento di un papiro risalente al VI o al VII secolo a.C. e di inestimabile valore. L’operazione è stata possibile grazie a un lavoro congiunto di intelligence dell’Unità di prevenzione delle rapine dell’Autorità Israele per le Antichità e del professor Shmuel Ahituv, vincitore del Premio Israele per gli Studi Biblici, con il supporto del Ministero della Cultura e Sport e il Ministero degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme. Un evento che ha dell’incredibile, considerata la provenienza del reperto: il proprietario, che vive nel Montana, aveva ereditato il frammento dell’antichissima lettera dalla madre. La donna, a sua volta, lo aveva acquistato nel 1965 durante una visita nella parte di Gerusalemme allora occupata dalla Giordania e da quel momento lo aveva conservato come parte della sua collezione privata. La scoperta del frammento è avvenuta in modo del tutto casuale ma immediatamente le autorità si sono mosse per poterlo restituire a Israele e portarlo finalmente "a casa".
• Cosa c’è scritto nel Papiro di Ismaele "Invia a Ismaele…", queste le parole decifrate sul frammento del papiro restituito alle autorità israeliane. Non a caso chiamato Papiro di Ismaele, si tratta di uno dei documenti di testo più antichi mai studiati fino ad oggi, risalente al VI o al VII secolo a.C. e originariamente proveniente dal deserto della Giudea. Il nome Ismaele (che in ebraico significa Dio ascolterà) era piuttosto diffuso al tempo, e nello specifico gli studiosi hanno subito ipotizzato che si potesse trattare di una lettera con istruzioni o versi biblici. A confermare tale ipotesi ci ha pensato un accurato e dettagliato esame radiometrico, effettuato nei laboratori dell’Istituto Weizmann di Rehovot: il reperto risale effettivamente alla fine del periodo del Primo Tempio (circa 2.700 anni fa), sulla scia della precedente analisi paleografica. Il frammento di papiro è considerato uno dei più antichi al mondo e completa la cosiddetta collezione dei Rotoli del Mar Morto, che annoverava già al suo interno altri due frammenti risalenti allo stesso periodo. Una scoperta (o meglio, restituzione) importantissima dal punto di vista storico e culturale, che si aggiunge alle tante avvenute proprio nell’ultimo anno. Basti pensare alla pietra incisa in greco e ritrovata nella Valle di Jezreel, in Alta Galilea, con i versi "Cristo nato da Maria" e realizzata nel V secolo d.C. per ordine di Teodosio, arcivescovo di Bet She’an.
• L’inestimabile patrimonio di Israele Da anni le autorità israeliane si stanno impegnando per ritrovare e riunire nella propria terra ciò che decenni di ruberie e compravendite (non sempre entro i confini della legalità) è andato perduto. Lo dimostra proprio la restituzione di questo frammento antichissimo, che fino a poche settimane fa si trovava nella casa in Montana di un ignaro proprietario. Le autorità hanno stabilito che con molta probabilità madre dell’uomo lo abbia acquistato negli anni Sessanta da Khalil Iskander Kandu, un commerciante di antichità di Betlemme piuttosto conosciuto all’epoca (vendette migliaia di frammenti di pergamene del Mar Morto), e da Joseph Sa’ad, allora curatore del Rockefeller Museum di Gerusalemme. "Restituire questo documento a Israele fa parte dei nostri sforzi in corso [… ] proteggere e preservare il patrimonio culturale dello Stato di Israele, patrimonio che appartiene a tutti i suoi cittadini", ha affermato il dottor Eitan Klein, vicedirettore dell’Unità di prevenzione delle rapine delle antichità, istituzione che "agisce vigorosamente per sradicare il fenomeno del saccheggio delle antichità, con l’obiettivo che l’intera popolazione possa apprezzare il patrimonio nazionale e approfondire le nostre radici".
(Libero Tecnologia, 24 settembre 2022)
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Israele si prepara nuovamente al voto mentre scongiura una terza intifada
di Anna Maria Bagaini
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Nei mesi estivi Israele ha conosciuto interessanti sviluppi sul piano interno e internazionale. Internamente, il “governo del cambiamento” guidato da Naftali Bennett è caduto sotto il peso della sua eterogeneità, aprendo la strada alla quinta elezione dal 2019. Sul piano esterno, la visita del presidente americano Joe Biden e una nuova operazione a Gaza hanno messo in risalto i paradossi della politica estera e di sicurezza israeliana nel Medio Oriente alla luce degli Accordi di Abramo.
• QUADRO INTERNO Dopo un periodo di scosse e di assestamento primaverili, il governo Bennett-Lapid è arrivato al capolinea lo scorso 20 giugno, quando il primo ministro Naftali Bennett e il ministro degli Esteri Yair Lapid hanno reso ufficiale con un comunicato congiunto di fronte alla Knesset il voto per lo scioglimento del parlamento, aprendo così la strada al quinto round elettorale in tre anni e mezzo. La sofferta decisione è stata maturata dai due leader dopo aver esaurito le opzioni a disposizione per stabilizzare la coalizione: le turbolenze, infatti, sono iniziate all’inizio di aprile, quando il danno più consistente al funzionamento del governo è stato inferto dalla parlamentare di Yamina Idit Silman con la sua decisione di abbandonare la coalizione. Ciò ha comportato la perdita della maggioranza alla Knesset da parte dello schieramento governativo, che da 61 seggi è passato a 60. Questa decisione sembrerebbe essere stata motivata dall’insoddisfazione provata da Silman nei confronti del ministro della Salute Nitzan Horowitz (del partito Meretz), che intendeva attuare la sentenza dell’Alta Corte di Giustizia riguardo all’introduzione dei cibi lievitati (chametz) negli ospedali anche durante il periodo di Pasqua, cibi il cui consumo (secondo la legge religiosa ebraica) è solitamente proibito proprio a Pesach. Sembrerebbe però che la parlamentare sia giunta a questa decisione anche a seguito di forti pressioni esercitate dalla comunità sionista religiosa e grazie a un accordo raggiunto con Benjamin Netanyahu, che le avrebbe garantito un posto nella lista del Likud per le prossime elezioni, nonché il ruolo di ministro della Salute. Poche settimane dopo il ritiro di Silman, nel volatile contesto prodotto dalla concomitanza del Ramadan e della festa ebraica di Pesach, le tensioni e gli scontri sul Monte del Tempio (anche conosciuto come Spianata delle Moschee, Haram al-Sharif) hanno danneggiato ulteriormente la stabilità del governo portando il partito arabo Lista Araba Unita (Ra’am) a congelare le sue attività come membro della coalizione. Sebbene questo temporaneo provvedimento sia avvenuto in coordinamento con Bennett e Lapid durante la pausa pasquale della Knesset, tale manovra ha indebolito la coalizione, incoraggiando ulteriori defezioni. Infatti, nonostante Ra’am sia alla fine tornato a votare con la coalizione, l’uccisione della corrispondente di Al Jazeera Shireen Abu Akleh durante un’operazione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin ha portato alle dimissioni di Rinawie Zoabi (del partito Meretz). Nonostante il rapido annullamento di questa decisione e il rientro della parlamentare nella coalizione, la crisi nel rapporto tra Zoabi e il governo è riemersa a distanza di quindici giorni, quando la parlamentare ha annunciato che si sarebbe espressa in maniera contraria nella votazione per rinnovare l’applicazione della legge israeliana ai coloni della Cisgiordania[1]. Ed è proprio il mancato rinnovo di questa legge[2] in parlamento che ha fatto capitolare il governo Bennett-Lapid, trasformandosi in uno dei più grandi fallimenti della coalizione: 58 parlamentari si sono opposti al disegno di legge mentre 52 hanno votato a favore, in quello che è diventato il catalizzatore per il crollo del governo. L’uscita di Nir Orbach, membro del partito Yamina, dalla coalizione di governo ha messo l’esecutivo di Bennett in minoranza con 59 seggi alla Knesset. Orbach, infatti, aveva precedentemente annunciato al primo ministro che non avrebbe votato in concerto con la coalizione, fino a quando il governo non avrebbe approvato il disegno di legge in questione. Il 30 giugno i parlamentari israeliani hanno così approvato la dissoluzione della Knesset, decretando il passaggio della premiership da Bennett a Lapid (come stabilito dall’accordo di governo) e la data delle nuove elezioni, previste per il 1° novembre. Dall’inizio della campagna elettorale i sondaggi sono rimasti sostanzialmente stabili. Questo è dovuto in parte a una campagna che fatica ancora a entrare nel vivo, e in parte alla frustrazione degli elettori. Dal 2019 le elezioni hanno infatti avuto risultati sostanzialmente identici, giocandosi principalmente sulla questione “pro Netanyahu, contro Netanyahu”. L’elettorato si è così cristallizzato sulle proprie posizioni, orientando il proprio voto secondo questa direttrice. Dato tale scenario, è probabile che anche questa elezione sarà decisa da margini strettissimi, a conferma che la politica israeliana è sempre più determinata dai blocchi, piuttosto che dai singoli partiti. Il fattore che da ultimo influirà sul risultato delle elezioni sarà probabilmente la compattezza dei due schieramenti, piuttosto che un cambiamento delle preferenze elettorali. In una corsa serrata come questa, è sufficiente che gli elettori “sprechino” voti per un partito che non riesce a ottenere il 3,25% per cambiare la sorte dei giochi. Per alcuni partiti come Spirito Sionista, Meretz e Lista Araba Unita la possibilità di non oltrepassare la soglia elettorale rimane concreta. Secondo i sondaggi, il blocco di Netanyahu, composto dal Likud, dai partiti haredim (Giudaismo della Torah Unita e Shas) e dal Sionismo Religioso/Potere Ebraico, si aggirerebbe intorno a 59 seggi mentre la coalizione uscente intorno a 56[3]. Su questo sfondo, si possono identificare però due “vincitori” e due “perdenti” della prima parte della campagna[4]. I grandi vincitori finora sarebbero i due partiti di estrema destra Sionismo Religioso e Potere Ebraico, che correranno sotto una lista comune. Insieme, starebbero ora totalizzando 11,7 seggi alla Knesset, praticamente il doppio dei sei seggi che hanno vinto nelle elezioni dello scorso anno. Anche C’è Futuro, del primo ministro Yair Lapid, ha sostenuto finora una solida campagna, salendo a 23 seggi. Un terzo partito (Blu e Bianco del ministro della Difesa Benny Gantz, ora noto come Partito di Unità Nazionale) passerebbe da 8 a 12,8 seggi. Tuttavia, se si tiene conto del fatto che questo partito si è fuso con Nuova Speranza di Gideon Sa’ar e che ha iniziato la campagna con una media di 4 seggi, il guadagno risulterebbe molto più modesto. Il principale perdente finora sarebbe però il partito Spirito Sionista, guidato da Ayelet Shaked, successore del partito Yamina di Naftali Bennett: all’inizio con 4 seggi, si ritrova oggi a non superare la soglia minima nella maggior parte dei sondaggi. Per i partiti arabi e i partiti haredim rimangono aperte due importanti questioni. Per quanto riguarda i primi, l’affluenza alle urne nella comunità araba israeliana sarà una delle incognite più significative, non solo per i partiti arabi di riferimento, ma anche per l’esito delle stesse elezioni, dato che il loro risultato potrebbe determinare se Netanyahu otterrà o meno la maggioranza alla Knesset. I partiti membri della Lista Araba Comune temono sempre di più la bassissima partecipazione araba alle prossime elezioni. Alla radice c’è una notevole mancanza di motivazione tra il pubblico arabo, accentuata dall’acceso dibattito tra le tre componenti della Lista Comune (Hadash, Balad e Ta'al) e dalla forte rivalità tra le due principali forze della politica arabo-israeliana odierna: la Lista Araba Unita e la Lista Araba Comune. Per quanto riguarda il campo haredim, invece, su di esso aleggia la minaccia di una scissione tra le due correnti che fanno parte del Giudaismo Unito della Torah[5]; se questo avvenisse, potrebbe mettere in pericolo il risultato dell’intero blocco dei partiti fedeli a Netanyahu. Inoltre, nonostante il sostegno di lunga data concesso dai partiti ultra-ortodossi all’ex primo ministro, la fazione del Giudaismo Unito della Torah ha dichiarato recentemente che il loro appoggio a Netanyahu non dovrebbe essere dato per scontato e che se l’ex premier non riuscirà a formare il governo, i partiti ultra-ortodossi potrebbero considerare un’opzione alternativa. Sebbene tali dichiarazioni siano da accogliere con scetticismo, è altrettanto importante tenere a mente quanto l’assenza dei partiti haredim nel precedente governo abbia avuto un impatto negativo sulla loro capacità di incanalare finanziamenti alle loro istituzioni e limitare il controllo del governo sugli affari della loro comunità. Di fatto, Israele rimane in una situazione di stallo politico, con il paese diviso tra chi sostiene il ritorno di Benjamin Netanyahu al governo e chi invece si oppone. Questa divisione non sembrerebbe essere stata scalfita nemmeno dagli eventi degli ultimi anni, dalla pandemia da Covid-19 all’operazione militare condotta dall’esercito israeliano a Gaza nel mese di agosto. Le elezioni di novembre potrebbero però rivelarsi diverse da quelle precedenti. Le questioni economiche potrebbero infatti avere un ruolo importante per i risultati elettorali, solitamente decretati dal dibattito sulla difesa e sulla sicurezza. Il 44% degli israeliani ha infatti affermato che lo stato dell’economia e l’alto costo della vita rappresentano due delle priorità principali[6].
• RELAZIONI ESTERNE Lo scorso luglio il presidente americano Joe Biden ha intrapreso il tanto atteso e rimandato viaggio in Medio Oriente, facendo tappa a Gerusalemme, Betlemme e Riyadh. L’amministrazione della Casa Bianca è stata particolarmente cauta nel definire gli obiettivi di questo viaggio che, in generale, è stato guidato dalla necessità di promuovere alcuni interessi americani: indebolire Vladimir Putin, abbassare il prezzo del petrolio, contenere l’influenza della Cina in Medio Oriente e soprattutto controbilanciare l’Iran (si veda l’Approfondimento). Il viaggio di Biden è stato però anche caratterizzato dalla volontà di promuovere la cooperazione regionale tra Israele e gli stati arabi su alcune questioni di importanza strategica. Questi incontri hanno voluto rappresentare un passo in avanti nel processo di integrazione tra Israele e gli altri attori regionali, senza però porsi come obiettivo il raggiungimento di svolte epocali nell’ambito delle relazioni arabo-israeliane. Senza dubbio, la Casa Bianca è convinta che un avvicinamento graduale tra Israele e Arabia Saudita sia possibile nel medio termine, e sembrerebbe quindi che Biden sia arrivato in Israele non solo per continuare ma anche per portare a pieno compimento il lascito di Trump nell’ambito della normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo: gli Accordi di Abramo. La visita del presidente americano in Israele non ha però fornito alcuna carta politica al primo ministro Yair Lapid, ora impegnato nella campagna per le prossime elezioni parlamentari. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che il punto focale del viaggio mediorientale del presidente non fosse appunto rafforzare la relazione bilaterale con il paese, quanto promuovere un nuovo assetto regionale in grado di rispondere alle sfide internazionali. Detto questo, l’occasione è stata comunque colta per riaffermare il partenariato strategico Usa-Israele tramite la firma della Jerusalem Joint Declaration[7]. Si tratta di una dichiarazione congiunta tra Stati Uniti e Israele che include il rinnovamento dell’impegno dell’amministrazione americana nell’implementare il Memorandum of Understanding del 2016[8], un pacchetto di aiuti militari pari a 38 miliardi di dollari per un periodo di dieci anni. La Joint Declaration riafferma inoltre la volontà da parte di entrambi i paesi di contrastare l’avanzamento del programma nucleare iraniano, nonché di favorire l’integrazione di Israele nella regione tramite l’impianto degli Accordi di Abramo. Sui negoziati in corso per la ripresa dell’accordo sul nucleare iraniano, il governo israeliano ha provato a indurire la posizione degli Stati Uniti nei colloqui, alla luce anche delle sempre più strette relazioni tra Russia e Iran (come conseguenza indiretta della guerra in Ucraina). Questa convergenza tra Mosca e Teheran – tra l’altro, la Russia acquista dall’Iran droni, che vengono utilizzati anche nelle operazioni in territorio ucraino – preoccupa Israele anche e soprattutto per il ruolo che la Russia ha in Siria. Il viaggio del presidente Joe Biden in Israele e Arabia Saudita è dunque avvenuto in una fase di ridefinizione del contesto di sicurezza regionale. Recentemente, il Congresso americano ha approvato una legge che ha permesso al Pentagono di mettere a punto una strategia per integrare i sistemi missilistici e dell’aeronautica americana con Israele e altri attori della regione[9]. Resta tuttavia da vedere se l’Arabia Saudita farà parte dell’iniziativa e quali potrebbero essere le implicazioni sugli assetti mediorientali di una eventuale cooperazione ad hoc in materia di difesa. Dal canto suo, il principe saudita Mohammed bin Salman ha rimarcato, proprio in occasione della visita di Biden, che non vi sarà alcuna normalizzazione delle relazioni con Israele fino a quando la soluzione dei due stati non sarà implementata. A questo riguardo, Biden ha rinnovato il suo impegno nel difendere la sicurezza di Israele e nel supportare la soluzione dei due stati, ribilanciando le posizioni adottate dalla precedente amministrazione Trump e tentando di riallacciare i rapporti con l’Autorità palestinese. Il presidente ha annunciato lo stanziamento di 316 milioni di dollari in nuovi aiuti per i palestinesi, inclusi 100 milioni di dollari per una rete ospedaliera che serve i pazienti della Cisgiordania e di Gaza. Altri 200 milioni di dollari andranno all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che sostiene i rifugiati palestinesi, finanziamento che era stato in gran parte eliminato dall’amministrazione Trump. Durante l’incontro con Biden, il presidente Mahmoud Abbas ha anche chiesto la riapertura del consolato di Gerusalemme est e dell’l’ufficio di Washington dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e di rimuovere quest’ultima dall’elenco delle organizzazioni terroristiche designate. Tuttavia, sembra che la distensione dei rapporti tra Ramallah e Washington non sia di fatto avvenuta e che in realtà il clima sia rimasto teso. Biden, pur avendo rinnovato il supporto americano alla soluzione dei due stati, ha dichiarato che i tempi non sono maturi per riprendere un’iniziativa concreta. La centralità della questione è stata resa ancora più evidente poche settimane dopo la visita di Biden, quando la Striscia di Gaza è tornata a essere teatro di combattimenti. La scintilla degli scontri è scoccata a inizio giugno in Cisgiordania, quando con un raid a Jenin l’esercito israeliano ha arrestato un comandante della Jihad islamica palestinese. Sebbene tale evento abbia portato a scontri di una certa dimensione soltanto a Gaza, è proprio la situazione in Cisgiordania ad alimentare il timore che la miscela esplosiva esistente si infiammi e coinvolga Israele e palestinesi in un altro lungo periodo di escalation (come una terza intifada). Questo scenario emerge molto spesso nelle conversazioni di alti funzionari dello Shin Bet, dell’intelligence militare, del comando centrale dell’Idf (Israel Defense Forces) e dell’ufficio del coordinatore delle attività di governo nei Territori. Le ragioni di questa preoccupazione sono da ricondurre al declino della capacità dell’Autorità palestinese di gestire i fattori di instabilità in Cisgiordania, all’esitazione dell’apparato di sicurezza palestinese ad affrontare le organizzazioni terroristiche locali, all’enorme quantità di armi presente nei Territori palestinesi e alla paralisi totale delle iniziative diplomatiche. Inoltre, non bisogna dimenticarsi che queste dinamiche hanno luogo nella cornice della protratta presenza militare di Israele in Cisgiordania, che risulta essere un altrettanto fondamentale elemento dell’attuale instabilità. Mahmoud Abbas ha perso da lungo tempo ormai il sostegno di larghi settori della popolazione e questa situazione, già di per sé non sostenibile, è resa ancora più precaria dall’assenza di una prospettiva e di un orizzonte politico per la risoluzione del conflitto. Un’alleanza regionale tra Israele e gli altri stati arabi aiuterebbe a contenere la minaccia iraniana, ma non servirebbe ad allontanare i rischi derivanti dall’instabilità del teatro palestinese.
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[1] Approvata dopo la guerra dei Sei Giorni, questa legge – denominata “Law to Extend the Emergency Regulations” (Judea and Samaria) – era composta inizialmente da un insieme di regolamenti di emergenza. Con il passare degli anni e con lo sviluppo degli insediamenti, la legge è stata ampliata per stabilire che i coloni che vivono nei Territori devono essere considerati residenti israeliani, sia per quanto riguarda gli obblighi (come le tasse e il servizio militare) sia per i diritti (incluso il diritto di voto). Data l’iniziale natura temporanea di questi provvedimenti, la Knesset è costretta a rinnovarne la validità con una ricorrenza che va da uno a cinque anni.
[2] L.A. Libman, “The Dramatic Consequences of Not Renewing the Judea and Samaria Law”, The Israel Democracy Institute, 8 giugno 2022.
[3]“Netanyahu Bloc Loses Slim Majority as Far-right Merger Backfires”, Haaretz, 1 settembre 2022.
[4] “As the campaign reaches the halfway point, how ‘predictive’ are the polls right now?”, The Times of Israel, 28 agosto 2022.
[5] Questo partito è formato da due correnti dell’ortodossia ebraica (mitnagdim o lituani e gli hasidim) i cui rapporti sono stati storicamente difficili, anche prima della nascita dello stato di Israele. In queste settimane, lo scontro ideologico è stato riacceso dalla setta hassidica Belz, la seconda più grande in Israele, che ha provocato l’ira dei lituani convincendo il ministero dell’Istruzione ad aumentare i finanziamenti alle sue scuole private previo potenziamento dello studio delle materie laiche. L’accordo dei Belz con il governo infrange una regola cardine per i lituani: l’idea che la “pura educazione” non possa essere modificata da un’autorità esterna, in quanto il programma dell’“autentica” educazione ebraica non ha bisogno di spaziare dai testi religiosi.
[6] T. Hermann, O. Anabi e Y. Kaplan, “Israelis Say They Base Their Vote on Party’s Economic Platform”, The Israel Democracy Institute, 7 agosto 2022.
[7] The White House, The Jerusalem U.S.-Israel Strategic Partnership Joint Declaration, 14 luglio 2022.
[8] The White House, Office of the Presse Secretary, Memorandum of Understanding Reached with Israel, 14 settembre 2016.
[9] “US lawmakers aim to integrate defense systems of Israel, 9 Arab states against Iran”, The Times of Israel, 10 giugno 2022.
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(ISBI, 23 settembre 2022)
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La destra israeliana condanna la pigrizia per il discorso di due Stati alle Nazioni Unite
di Oliver Barker
Giovedì, in un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo ministro israeliano Yair Lapid ha approvato l’istituzione di uno stato palestinese, provocando l’immediata condanna della destra israeliana.
“Nonostante tutti gli ostacoli, ancora oggi una grande maggioranza di israeliani sostiene la visione di questa soluzione a due stati. Io sono uno di loro”, ha detto Lapid.
“Un accordo con i palestinesi, basato su due Stati per due popoli, è la cosa giusta per la sicurezza di Israele, per l’economia di Israele e per il futuro dei nostri figli. La pace non è un compromesso. È la decisione più coraggiosa che possiamo prendere ,” Egli ha detto.
Lapid ha aggiunto che Israele ha “una sola condizione: che un futuro stato palestinese sia pacifico. Che non diventi un’altra base terroristica da cui minacciare il benessere e l’esistenza stessa di Israele. Che avremo la capacità per proteggere la sicurezza di tutti i cittadini di Israele, in ogni momento”.
In un video caricato sui social media, il capo del partito Likud e leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu ha criticato il primo ministro, definendo il discorso di Lapid “pieno di debolezza, sconfitta”.
“Dopo che il governo di destra da me guidato ha eliminato lo Stato palestinese dall’agenda mondiale, dopo aver portato quattro storici accordi di pace con i paesi arabi che hanno aggirato il veto palestinese, Lapid sta riportando i palestinesi in prima linea sulla scena mondiale e mettendo Israele proprio nel buco palestinese”, ha detto Netanyahu.
“Ora intende dare loro uno stato di terrore nel cuore del Paese, uno stato che minaccerà tutti noi”, ha aggiunto.
Yariv Levin, il direttore della fazione del Likud, ha detto che Lapid “si è arreso vergognosamente” all’Autorità Palestinese e “ha inferto un colpo fatale alla posizione politica di Israele”.
“Invece di opporsi al mondo e dire ad alta voce che la terra d’Israele appartiene al popolo di Israele, Lapid si è inchinato agli odiatori di Israele”, ha detto Levin, aggiungendo che Lapid ha annullato anni di conquiste politiche portate avanti da Netanyahu .
L’ex ambasciatore israeliano all’ONU Danny Danon ha accusato Lapid di concentrarsi sulle elezioni del 1° novembre in Israele. “I riflettori che Lapid ha acceso sulla questione palestinese invece che sulla minaccia iraniana dimostra che Lapid si preoccupa solo della sua campagna elettorale e non della promozione degli interessi dello Stato di Israele”, ha affermato.
Secondo un sondaggio di luglio condotto dall’Israel Democracy Institute, solo una minoranza di ebrei israeliani (32%) ha affermato che sosterrebbe un accordo di pace tra Israele e l’AP.
(Tebigeek, 23 settembre 2022)
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Israele, elezioni 2022: Benjamin Netanyahu, il mago del Marketing Politico
di David Zebuloni
GERUSALEMME - Di Benjamin Netanyahu tutto si può dire, ma non che non sappia condurre una campagna elettorale. Il mago del Marketing Politico, così definito da molti, è infatti il leader più esperto e scaltro della Knesset, specie per tutto ciò che riguarda le elezioni parlamentari. Non sempre Netanyahu è riuscito a formare un governo, anzi, negli ultimi quattro gironi si può dire che egli abbia fallito clamorosamente nel suo proposito, ma è sempre riuscito ad attirare a sé i riflettori e a definire il tono delle campagne elettorali di tutti i partiti coinvolti. Una presenza tanto assoluta e ingombrante, la sua, che ha portato a una nuova suddivisione dei due blocchi parlamentari: da destra e sinistra, a pro Bibi e contro Bibi. Anche in vista delle prossime elezioni, che si terranno il primo di Novembre, pare che il capolista del Likud non abbia deluso le aspettative dei suoi elettori. Da filmati su instagram e tik tok diventati virali, a blitz nella spiaggia di Tel Aviv in tenuta sportiva: Netanyahu ha fatto di tutto per rimanere attuale e rilevante.
• Su Telegram rivela il suo numero privato e invita a videochiamarlo Tra le trovate più discusse delle ultime settimane, il Capo dell’Opposizione ha rivelato il suo numero di telefono personale sui social, incoraggiando il pubblico a videochiamarlo e raccontargli ciò che sta loro più a cuore. Quei piccoli e grandi problemi privati e pubblici che solo lui, a detta sua, è capace di risolvere. La proposta inaspettata è stata progettata per incoraggiare gli utenti a unirsi al suo canale Telegram. Nel filmato diventato presto virale, infatti, Netanyahu ha affermato che inviando uno screenshot che dimostri l’iscrizione al suo canale Telegram, le possibilità di ricevere una chiamata dall’ex e forse next Presidente aumentano notevolmente. Poco dopo la pubblicazione del video, invece, la pagina Facebook ufficiale dell’acclamato e discusso politico ha pubblicato un clip di follow-up con le centinaia di chiamate ricevute in tempi record. Un traguardo importante non solo in termini politici, ma anche e soprattutto in termini di marketing e propaganda.
• In giro con il ‘Bibibus’ per incontrare i sostenitori La seconda grande trovata che ha visto Netanyahu al centro del dibattito pubblico, è stata il Bibibus: un bizzarro veicolo antiproiettile simile ad un minibus interamente trasparente. Così, mentre Israele va alle urne, Bibi utilizza la sua nuova nuova Batmobile per attirare le folle nelle piazze delle città e regalare ai suoi più fedeli sostenitori degli attimi di puro Rock & Roll politico. Poi, a coronare il tutto, Netanyahu afferra il microfono collegato alle casse del veicolo e si rivolge a loro con quelle indiscusse capacità retoriche che da sempre lo caratterizzano. Chiede di essere votato un’altra volta ancora, chiede la fiducia del popolo. “Kapara aleychem”, grida a gran voce al pubblico in visibilio. Un’espressione estremamente popolare in Israele che non può essere tradotta in italiano. Un appellativo comune e confidenziale, utilizzato soprattutto dai giovani, decisamente poco in linea con l’immagine rigorosa del leader politico in questione. Un’esclamazione che viene a dire “sono uno di voi, sono anch’io del popolo”. A dividerlo dal popolo, tuttavia, un vetro antiproiettile e qualche mandato nei sondaggi.
(Bet Magazine Mosaico, 23 settembre 2022)
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Israele e Palestina, la svolta di Lapid all'Onu: "Due Stati per due popoli". Ma il suo governo si divide
Per il primo ministro la condizione per la nascita della nuova entità palestinese deve essere la rinuncia alle armi. Critiche dai partiti di destra della sua coalizione e dal rivale Benjamin Netanyahu
di Rossella Tercatin
GERUSALEMME – “Deponete le armi e ci sarà la pace”. Il primo ministro israeliano Yair Lapid parla di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e tende la mano ai palestinesi. Lapid descrive la visione di due Stati per due Popoli che vivano fianco a fianco in armonia, la soluzione che dopo essere stata a lungo considerata a portata di mano è da tempo finita in secondo piano, in un Medio Oriente che negli ultimi anni ha conosciuto altre priorità, dal tragico fallimento delle Primavere arabe alla minaccia iraniana, ma anche agli Accordi di Abramo, che hanno dimostrato come lo Stato ebraico possa essere considerato un alleato da altri Stati arab
Per questo, e in attesa del discorso del presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen previsto per domani, la scelta di Lapid di sollevare la questione di fronte all’Onu appare significativa.
In Israele infatti è bastato che l’intenzione del premier di nominare la soluzione dei due Stati cominciasse a circolare – alcune ore prima del discorso – per scatenargli contro critiche feroci anche da tanti membri del suo stesso governo, dal ministro delle Finanze Avigdor Lieberman a quello della Giustizia Gideon Sa’ar, leader di due dei piccoli partiti di destra che compongono l’esecutivo insieme a sinistra e centristi, con Sa’ar che ha tuonato contro “la nascita di uno Stato terrorista in Giudea e Samaria (nome biblico della Cisgiordania, ndr)”.
Toni non dissimili da quelli usati dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, che alle elezioni del primo novembre punta a tornare al potere. Netanyahu ha accusato Lapid di aver riportato la questione palestinese al centro dell’agenda mondiale, mettendo in pericolo Israele. Nonostante solo sei anni fa, all’Assemblea dell’Onu, fosse stato proprio lui non solo a ricordare la necessità di non rinunciare alla pace ma addirittura a invitare Abu Mazen a parlare alla Knesset.
Lapid però ha tirato dritto. La soluzione dei due Stati, ha sottolineato, è “giusta per la sicurezza di Israele, per la sua economia e per il futuro dei nostri figli”. A condizione appunto, che il futuro Stato palestinese rimanga pacifico e non si trasformi in "una base terrorista come accaduto con Gaza". “Israele a Gaza ha fatto tutto ciò che il mondo ci aveva chiesto e da quando ce ne siamo andati oltre 20mila razzi e missili sono stati lanciati contro i nostri civili, contro i nostri figli”, ha ricordato il premier, raccontando l’esperienza di dover correre nei rifugi antiaerei nel cuore della notte con la figlia autistica Yaeli: “Mio padre è stato un bambino nel Ghetto, mio nonno è stato assassinato in un campo di concentramento. Vogliamo vivere in pace ma solo se ci dà sicurezza, non se ci minaccia ancora di più”.
Durante il discorso all’Onu, il leader Israeliano ha anche denunciato duramente Teheran: “Se il regime iraniano raggiunge l’arma nucleare, la userà. L'unico modo per impedirgli di ottenerla è mettere sul tavolo una minaccia militare credibile. E poi - e solo allora - negoziare un accordo”.
A New York comunque, Lapid ha messo a segno diversi successi diplomatici, incluso l’incontro con il presidente turco Tayyip Erdogan – il primo di un primo ministro israeliano dal 2008 – e quello con la nuova premier britannica Liz Truss, che gli ha rivelato come il Regno Unito stia considerando l’ipotesi di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Una mossa che se si concretizzasse avrebbe per Israele un altissimo valore simbolico, quattro anni dopo che a compiere una scelta simile fu il presidente americano Donald Trump.
(la Repubblica, 23 settembre 2022)
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Lapid propone soluzione a due Stati all’ONU. Netanyahu: “Butta Israele in un baratro”
di Paolo Castellano
Il 22 settembre, durante il suo discorso all’Assemblea Generale del ONU, il primo ministro israeliano Yair Lapid ha invocato una soluzione a due Stati per far cessare il conflitto israelo-palestinese e ha ribadito che Israele potrebbe fare “qualsiasi cosa necessaria” per fermare lo sviluppo di una bomba nucleare iraniana. Come riporta Reuters, è la prima volta che un leader israeliano fa riferimento alla soluzione a due Stati durante una dichiarazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In questo modo, Lapid ha seguito il suggerimento del presidente americano Joe Biden che lo scorso agosto gli aveva chiesto di rinnovare questa proposta messa in disparte dal precedente governo. «Un accordo con i palestinesi, basato su due Stati per due popoli, è la cosa giusta per la sicurezza di Israele, per l’economia di Israele e per il futuro dei nostri figli», ha detto Lapid. Lapid ha inoltre aggiunto che qualsiasi patto dovrebbe portare alla realizzazione di un pacifico stato palestinese che non sia una minaccia per Israele. Nel suo discorso, il primo ministro israeliano ha anche criticato l’Iran e annunciato che Israele non concederà al suo nemico di lunga data di sviluppare una bomba atomica. «Il solo modo per impedire all’Iran di sviluppare un’arma nucleare è di mettere sul tavolo una concreta minaccia militare», ha detto. «Noi abbiamo le possibilità e non abbiamo paura di agire». Israele considera l’Iran come una minaccia alla sua esistenza sebbene Teheran neghi di voler sviluppare un’arma nucleare. Spesso, sui social media e nei loro discorsi pubblici, i leader iraniani hanno affermato che lo Stato ebraico è il cancro del Medio Oriente e che dovrebbe essere estirpato in qualsiasi maniera. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Tom Nides ha definito “coraggioso” il discorso di Lapid.
• Reazioni dal Medio Oriente
Le parole di Lapid all’ONU non sono piaciute a Benjamin Netanyahu che le ha etichettate come “deboli e disfattiste”. «Dopo che il governo da me guidato ha rimosso dall’agenda internazionale la questione dello Stato palestinese, Lapid lo ha riportato alla ribalta, gettandoci in un baratro», ha commentato Netanyahu. «Noi non consentiremo che uno Stato “Hamas-istan” si costituisca presso le città israeliane di Kfar Saba, Natanya e Petah Tikva. Lapid mette in pericolo il nostro futuro e la nostra esistenza». Anche il precedente primo ministro Naftali Bennett ha espresso il suo disappunto nei confronti di Lapid. «Non c’è alcuna logica nel riportare a galla il progetto dello Stato palestinese. Siamo nel 2022 e non nel 1993. Anche i nostri amici non si aspettano da noi che facciamo compromessi sulla nostra sicurezza e sul nostro futuro». I palestinesi e i gruppi per i diritti umani non credono alle dichiarazioni del primo ministro israeliano. Wasel Abu Youssef, membro di spicco dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), ha detto a Reuters che le parole di Lapid “non significano nulla”.
(Bet Magazine Mosaico, 23 settembre 2022)
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Due startup AI israeliane segnano una svolta contro incendi e inondazioni
Incendi e inondazioni sono in aumento: per fronteggiare questi fenomeni, due startup perfezionano tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.
Due startup tecnologiche, Eversense e SightBit, si avviano a testare le loro tecnologie avanzate contro i disastri naturali in un progetto pilota israeliano. Potrebbero spianare la strada alla prevenzione efficace di incendi e inondazioni, fenomeni purtroppo in via di aumento causa cambiamenti climatici.
• Eversense, anticipare gli incendi Eversense, startup con sede a Tel Aviv, ha sviluppato un esclusivo sensore termico in grado di rilevare gli incendi nella loro prima fase, che può essere dispiegato in gran numero nelle foreste. Doron Honigsberg, fondatore e CEO di Eversense, dichiara che il sistema è efficace con tutte le condizioni atmosferiche e non richiede manutenzione.
• Qual è la differenza tra il sistema di Eversense e gli altri? Rispetto ad altre soluzioni, che richiedono infrastrutture costose e Wi-Fi, questi dispositivi possono funzionare ciascuno in modo indipendente e sono molto facili da installare. Come si alimentano? Col calore degli stessi incendi: quando il fuoco si approssima agli alberi, i sensori si attivano e (dotati di grande sensibilità) rappresentano la “prima linea” che avvisa tempestivamente, prima che la situazione precipiti, fornendo la posizione esatta di un incendio in via di sviluppo. La tecnologia, già testata con successo, potrà arrivare alla commercializzazione al termine del prossimo test su larga scala. Un bel colpo per localizzare e spegnere sul nascere incendi che spesso (causati al 90% da azioni volontarie o involontarie dell’uomo) si propagano a causa di interventi poco tempestivi.
• SighBit, occhi aperti sulle inondazioni SightBit, startup fondata nel 2020 nella città di Beersheba, sfrutta l'intelligenza artificiale (AI) contro un nemico diverso dal fuoco che anima gli incendi: l’acqua che produce inondazioni. La sua tecnologia “ricicla” in modo innovativo delle telecamere standard, come quelle a circuito chiuso, per rilevare potenziali eventi di inondazione e allertare le autorità locali. "Posizionandoci a ridosso dei fiumi possiamo misurare i dati idrici in relazione alla capacità degli alvei,” dice Adam Bismut, CEO e fondatore di SightBit. "In questo modo realizziamo modelli che ci aiutano a capire se un’inondazione si allagherà molto presto in una zona abitata". Il sistema di SightBit è l'unico al mondo ad usare i filmati delle telecamere per rilevare i flussi d'acqua in tempo reale e prevedere potenziali pericoli. Molte altre aziende utilizzano sensori o apparecchiature più complesse, la startup ha bisogno di una semplice telecamera per monitorare un fiume, un lago, una spiaggia. Niente male, per una tecnologia che inizialmente doveva avvisare i bagnini di persone a rischio di annegamento. Queste sono le notizie che mi piacciono. Quelle che mostrano il potenziale positivo dell’intelligenza artificiale. Gli eventi meteorologici estremi dovuti al cambiamento climatico stanno portando a una maggiore frequenza di incendi e inondazioni ovunque nel mondo. La tecnologia può assumere un ruolo strategico per mitigare questi effetti.
(Futuro Prossimo, 23 settembre 2022)
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Esposta al Museo Ebraico di Roma una lastra sepolcrale che attesta la più antica presenza ebraica in Italia
di Michelle Zarfati
Gli ebrei romani amano definirsi “più romani dei romani”, e no, non è affatto un’iperbole. La Comunità Ebraica di Roma può infatti vantare una presenza nel territorio di 22 secoli ininterrotti. Una Comunità profondamente radicata nella Capitale che è riuscita, nonostante gli accadimenti storici, a resistere praticamente a tutto. A tal proposito domenica 18 settembre, in occasione della ventitreesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, è stata presentata presso il Museo Ebraico di Roma una lastra sepolcrale con iscrizione dei Fabii Longii. L’iscrizione sepolcrale, sia per la formula iniziale che per la paleografia, si data entro la metà, o forse addirittura gli inizi del I sec. dell’era cristiana.
L’epigrafe è stata rinvenuta casualmente nel 2009 durante alcuni lavori di scavo per una conduttura dell’ACEA lungo la via Ostiense, nei pressi della necropoli Pianabella a sud-est di Ostia antica. La lastra sepolcrale attesta la più antica presenza ebraica in Italia, confermando quindi quanto gli ebrei romani siano totalmente autoctoni. Inoltre, l’epigrafe rappresenta la testimonianza archeologica della presenza di ebrei a Ostia. Secondo recenti studi la Sinagoga di Ostia antica fu edificata proprio grazie ai finanziamenti della famiglia dei Fabii Agrippini una famiglia che potrebbe avere origine ebraica, un’ipotesi accreditata, soprattutto dopo gli studi del professore ed accademico Fausto Zevi, autorevole studioso di Ostia antica.
“Questo rinvenimento, che peraltro è davvero importantissimo, non è frutto di una vera ricerca archeologica bensì è il frutto di uno scavo occasionale – ha spiegato ai microfoni di Shalom l’archeologo Fausto Zevi – si tratta di un documento estremamente significativo anche perché l’iscrizione nomina un’importante famiglia ostiense ovvero i Fabii Longii che diventeranno poi Fabii Agrippini cominciando una rapida ascesa sociale all’interno del tessuto dell’Impero Romano. Diventando anche senatori, raggiungendo successivamente persino il consolato nell’età degli Antonini”. Un ritrovamento straordinario che restituisce una pagina rilevante della storia degli ebrei romani.
L’esposizione della lapide rappresenta inoltre un importante primo passo alla luce della firma, avvenuta domenica stessa del protocollo d’intesa firmato dalla Comunità Ebraica di Roma con il Parco Archeologico di Ostia Antica. “La Sinagoga di Ostia antica, con tutte le testimonianze archeologiche ad essa associate, è il simbolo di come questo luogo di culto abbia rappresentato l'ebraismo rinascente dopo i disastri delle guerre giudaiche - ha detto la Presidente della Comunità Ebraica Ruth Dureghello - La lastra sepolcrale che da oggi sarà esposta al Museo Ebraico di Roma racconta di un rapporto di lungo periodo degli ebrei con la città di Roma, in cui sono presenti dal II secolo avanti l’era cristiana. Ringrazio il Parco Archeologico di Ostia Antica per l’inizio di questa collaborazione, che sono certa porterà ad un efficace valorizzazione dei siti legati alla presenza ebraica, per troppo tempo dimenticati e che oggi sono sempre più al centro degli interessi culturali nazionali e internazionali”
“L'iscrizione funeraria dei Fabii Longii, esposta da oggi nel Museo Ebraico grazie al prestito assicurato dal Parco archeologico di Ostia antica, è la prima manifestazione della collaborazione formale che abbiamo siglato con la Comunità ebraica romana. La lastra esposta è la testimonianza più antica della presenza di una comunità di ebrei insediata nella capitale dell’Impero Romano fin dai tempi più antichi - ha aggiunto il Direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica Alessandro D’Alessio - Una comunità che si riuniva in 12 diverse sinagoghe nella città di Roma più almeno una nella colonia ostiense, l'unica sopravvissuta fino a oggi. Dopo quella di Delo è la più antica del Mediterraneo ed è visitabile per sei giorni a settimana all'interno del Parco archeologico di Ostia antica”. L’epigrafe sarà esposta al Museo Ebraico fino all’8 marzo 2023.
(Shalom, 22 settembre 2022)
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Hamas contro Truss sull'ambasciata a Gerusalemme
TEL AVIV - Hamas protesta contro la valutazione della possibilità di un trasferimento della ambasciata della Gran Bretagna da Tel Aviv a Gerusalemme, annunciata dopo l'incontro di ieri fra la premier Liz Truss con il suo omologo israeliano Yair Lapid. Uno sviluppo del genere, secondo Hamas, "significa sostegno agli occupanti ed ostilità contro il nostro popolo". "Questa mossa - ha aggiunto Hamas - non garantirebbe comunque agli occupanti alcuna legittimazione, nemmeno su un centimetro del nostro territorio". Hamas ha anche notato polemicamente che ieri, alle Nazioni Unite, il presidente della Autorità nazionale palestinese Abu Mazen si è incontrato con Truss: un colloquio avvenuto comunque, a quanto pare, prima che si diffondessero le prime informazioni su un eventuale trasferimento della ambasciata britannica. Abu Mazen progetta di rivolgersi domani alla Assemblea generale.
(ANSA, 23 settembre 2022)
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Truss come Trump, vuole spostare l'ambasciata britannica a Gerusalemme
La promessa della premier di Londra al suo omologo israeliano Lapid. La mossa rappresenterebbe una svolta che indebolirebbe le rivendicazioni dei palestinesi sulla città.
Il Regno Unito potrebbe presto spostare la sua ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, con una svolta simbolica ma dal significato politico molto pesante. Londra seguirebbe la strada tracciata dagli Stati Uniti di Donald Trump, che nel 2017 fecero la stessa cosa con una mossa che fu condannata in una risoluzione dell'Onu da 128 Paesi tra cui anche la stessa Gran Bretagna. La promessa è arrivata proprio a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York, dove la premier britannica, ha incontrato il suo omologo israeliano Yair Lapid.
"Voglio ringraziare la mia buona amica, il Primo Ministro britannico Liz Truss, che ha annunciato che sta valutando positivamente la possibilità di spostare l'ambasciata britannica a Gerusalemme, la capitale di Israele", ha esultato Lapid su Twitter. Il mese scorso Truss aveva dichiarato già al gruppo conservatore Friends of Israel che avrebbe preso in considerazione una simile mossa se fosse entrata a Downing Street: "Comprendo l'importanza e la sensibilità della posizione dell'ambasciata britannica in Israele. Ho avuto molte conversazioni con il mio buon amico [Lapid] su questo argomento", disse.
Ma secondo The Times questa mossa sarà vista come un affronto non solo nelle capitali arabe ed europee, ma anche a Whitehall, la sede del governo britannico, e si prevede che i diplomatici del Ministero degli Esteri, che fino a poco tempo fa era il dipartimento di Truss, si opporranno a un cambiamento di politica così importante. Sia Israele che la Palestina considerano Gerusalemme come la loro capitale e la comunità internazionale, come segno di neutralità, ha deciso di tenere le sue ambasciate a Tel Aviv fino a quando la questione israelo-palestinese non verrà risolta. Al momento dopo gli Stati Uniti solo Guatemala, Honduras e Kosovo hanno spostato le loro ambasciate a Gerusalemme che, secondo le risoluzioni internazionali, dovrebbe essere divisa tra Israele (l'ovest) e Palestina (l'est), ma dal 1967 quest'ultima parte della città è sotto occupazione israeliana e gli arabi che ci vivono sono di fatto privati anche dei loro diritti politici.
La questione è sensibilissima, dopo l'annuncio di Trump nel 2017 l'Autorità palestinese di Ramallah tagliò i legami con gli Stati Uniti e il giorno dell'inaugurazione della nuova ambasciata, nel maggio 2018, scoppiarono violente manifestazioni e circa 60 palestinesi furono uccisi negli scontri con l'esercito israeliano al confine con Gaza.
(Today Mondo, 22 settembre 2022)
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Israele e palestinesi, la svolta di Lapid all’Onu: «Favorevole alla soluzione dei Due Stati»
L’annuncio durante l’assemblea di oggi. Le critiche del Likud.
Il premier di Israel Yair Lapid annuncerà il sostegno alla soluzione dei Due Stati nel conflitto con i palestinesi durante il discorso all’Assemblea generale dell’Onu previsto per oggi. Lo sostengono molte fonti a lui vicine citate dai media locali, che parlano di una svolta netta nella politica estera israeliana degli ultimi anni. Secondo Haaretz Lapid insisterà sulla necessità di una separazione politica dai palestinesi «per rafforzare la sicurezza di Israele». Commenti molto negativi sono già giunti non solo dall’opposizione nazionalista, ma anche da diversi ministri. Il Likud, principale partito di opposizione, ha già annunciato la sua contrarietà.
• Le critiche del Likud
«Lapid vuole consegnare al nemico lembi della Terra d’Israele. Per anni Benjamin Netanyahu è riuscito a rimuovere la questione palestinese dall’agenda internazionale, e in meno di un anno Lapid ha riportato invece Abu Mazen in primo piano», sostiene il partito. Anche dal governo di transizione che porterà il paese al voto a novembre sono arrivate voci critiche: «Lapid rappresenta solo se stesso con questa presa di posizione», ha avvertito la ministra degli interni Ayelet Shaked, una esponente della destra nazional religiosa. Anche il ministro della giustizia Gideon Saar (leader di una nuova formazione laica centrista) ha affermato che «uno stato terroristico in Giudea-Samaria (Cisgiordania) minaccia la nostra sicurezza. La maggior parte del popolo israeliano e dei suoi rappresentanti lo impediranno». Contrario anche l’ex premier Naftali Bennett: «Non c’è alcuna logica di riportare a galla il progetto dello Stato palestinese. Siamo nel 2022 e non nel 1993 (anno degli accordi di Oslo, ndr). Anche i nostri amici non si aspettano da noi che facciamo compromessi sulla nostra sicurezza e sul nostro futuro».
(Open, 22 settembre 2022)
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Si placa la rivolta di Nablus ma l’Anp vacilla
Le fazioni armate e l'intelligence dell'Autorità nazionale hanno raggiunto un accordo per mettere fine alle violenze. Ma la calma è precaria e gli analisti prevedono giorni sempre più difficili per l'Anp.
di Michele Giorgio
«Anas è in fin di vita. Solo un miracolo può salvarlo, ci hanno detto i medici. Dovesse farcela, rimarrà paralizzato». Jawad Abdel Fattah ieri descriveva così le condizioni di suo figlio ferito due giorni fa a Nablus dagli spari dei reparti antisommossa dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) chiamati a reprimere le proteste popolari seguite all’arresto di due membri di Hamas, tra cui Musab Ashtayah vicecomandante a Nablus delle Brigate Ezzedin al Qassam. Anas è stato raggiunto da due proiettili: il primo ha colpito un rene, il fegato e la colonna vertebrale; il secondo la mano destra. Dolore e rabbia agitano i famigliari del giovane ferito. Anas è finito nel mirino non di soldati israeliani ma di altri palestinesi, è stato colpito da quelle forze che, nell’idea di chi vive da decenni sotto occupazione, dovrebbero essere i primi protettori della popolazione. «Le forze dell’Anp erano sul lato opposto della Rotonda dei Martiri quando Anas è stato raggiunto da proiettili sparati proprio verso di lui, non erano vaganti», ha spiegato il padre. Una versione confermata da testimoni che negano la presenza di combattenti armati in quella zona al momento del ferimento. Dopo gli scontri duri di lunedì notte e martedì che hanno causato un morto – Firas Yaish, 53 anni, un passante – e una quarantina di feriti, a Nablus è tornata una calma precaria. La città ieri stentava a riprendere la sua routine. Appariva come il terreno di una lunga battaglia urbana con barricate improvvisate e cassonetti rovesciati nelle strade oltre a copertoni bruciati, pietre e candelotti lacrimogeni sparati dalla polizia. L’Anp e i gruppi armati, incluse le Brigate di Al Aqsa vicine al partito Fatah, hanno concordato una tregua che ha messo fine, per ora, alle violenze interne più gravi dalla repressione a Ramallah delle proteste del 2021 seguite alla morte, dopo l’arresto, di Nizar Banat, un attivista che aveva ripetutamente criticato le politiche dell’Anp e del suo presidente Abu Mazen. Ma gli scontri potrebbero riprendere in qualsiasi momento perché non è certo se l’intelligence libererà, come chiedono tutti i partiti e le organizzazioni armate di Nablus, Musab Ashtayah portato lunedì notte nella prigione di massima sicurezza di Gerico. I rappresentanti delle forze di sicurezza, secondo ciò che si è saputo, avrebbero anche promesso di non arrestare altri ricercati da Israele ma solo coloro che violeranno la legge palestinese. Pochi però credono a queste assicurazioni. La popolazione da anni chiede all’Anp di cessare la collaborazione con l’intelligence israeliana in Cisgiordania ma il presidente Abu Mazen non ha mai ordinato di interromperla. Proprio in quest’ultimo periodo l’esercito israeliano ha ammonito che se non saranno fermati e arrestati dall’Anp i palestinesi sulla sua lista di ricercati, continuerà le incursioni a Jenin, Nablus e in altri centri abitati cisgiordani – più intense dopo gli attentati della scorsa primavera a Tel Aviv e in altre città israeliane, con 19 morti – che negli ultimi mesi hanno ucciso almeno 90 palestinesi, tra cui molti combattenti armati ma anche civili innocenti. I margini di manovra sul terreno dell’Anp e di Abu Mazen – che in queste ore difficili si trova negli Usa dove oggi leggerà il suo discorso annuale di fronte alle Nazioni unite – si sono ulteriormente ristretti. La battaglia di Nablus, città palestinese tra le più grandi ed importanti, ha evidenziato un profondo disincanto nei confronti dell’Anp a causa dei suoi legami di sicurezza con Israele e anche perché ritenuta corrotta. Pesa anche l’annullamento lo scorso anno delle elezioni politiche: Abu Mazen e Fatah temevano di perderle a favore degli islamisti di Hamas che continuano a guadagnare consensi in Cisgiordania. Gli analisti avvertono che la rivolta di martedì potrebbe essere il preludio di una sollevazione più ampia contro la leadership dell’Anp. In parziale controtendenza, Hamada Jaber, del Centro di ricerche statistiche di Ramallah, pur confermando, a suo giudizio, la «perdita di ogni legittimità dell’Anp», ritiene che la leadership palestinese sia ancora sufficientemente stabile. «Sino a quando Abu Mazen sarà al comando è difficile credere che l’Anp possa collassare». Ma, ha aggiunto, «diversa sarà la situazione quando il presidente, molto anziano e malato, uscirà dalla scena politica. In quel caso prevedo proteste e rivolte popolari contro l’Anp tali da metterne in gioco l’esistenza e una battaglia ai vertici politici per la conquista del potere».
(il manifesto, 22 settembre 2022)
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Antisemitismo in Germania: due attacchi a Berlino in un solo giorno
Sale la tensione nella Comunità
di Roberto Zadik
Nonostante gli sforzi di questi anni e i notevoli progressi compiuti negli ultimi decenni, la Germania conferma l’estrema complessità dei suoi rapporti con il mondo ebraico locale e torna la paura fra gli ebrei tedeschi dopo i due attacchi antisemiti avvenuti a Berlino, lo scorso 13 settembre. A darne notizia il sito Jewish Telegraphic Agency che in un articolo, firmato dal giornalista Toby Axelrod e uscito lo scorso 19 settembre, racconta dell’aggressione subita da Ariel Kirzon, 43 anni, rabbino della Comunità di Potsdam, sobborgo berlinese ed esponente del movimento Chabad Lubavich, assalito solo perché, sul marciapiede davanti alla stazione della metropolitana, stava parlando al cellulare in ebraico. Secondo la ricostruzione dei fatti, l’uomo sarebbe stato spintonato ed insultato da uno sconosciuto che l’avrebbe insultato chiamandolo “lurido ebreo”. Scioccato dall’episodio, egli ha affermato che suo figlio 13enne, presente assieme a lui al momento dell’aggressione, terrorizzato dal vivere in Germania avrebbe chiesto ai genitori di emigrare negli Stati Uniti. “Ho viaggiato varie volte negli Usa” ha aggiunto Kirzon, nato in Ucraina ed emigrato in Germania dieci anni fa, “ma lì non mi è mai successo nulla del genere”. Poche ore dopo, sempre in quel violento mercoledì berlinese, un uomo di 33 anni è stato picchiato ed insultato da due ignoti che a bordo di un treno, secondo la polizia, l’avrebbero malmenato colpendolo ripetutamente alla testa e nella parte superiore del corpo. Durante lo scontro, un passeggero ha invano cercato di difendere la vittima che, successivamente, è stata costretta a scendere dal treno mentre l’aggressore è tranquillamente rimasto a bordo del mezzo. Fortunatamente le ferite dell’uomo aggredito non sarebbero preoccupanti, ma vista la gravità di questi due episodi, la polizia sta indagando su entrambi i casi e, nel caso di Kirzon, gli investigatori hanno affermato di stare controllando le telecamere della stazione compiendo vari accertamenti anche se i colpevoli si sono dileguati facendo perdere le loro tracce. Secondo le statistiche del Centro di Ricerca e Informazione sull’Antisemitismo, organizzazione tedesca nota come RIAS, gli attacchi antisemiti a Berlino sarebbero in forte aumento e solamente nel 2021 nella capitale del Paese sarebbero avvenuti 1.052 attacchi, ventidue dei quali sarebbero aggressioni fisiche. Un aumento considerevole visto che nel 2020 gli attacchi erano 1.019 e nel 2019 circa 886. Ma quali sono state le reazioni dei leader ebraici tedeschi? I dati avrebbero destato preoccupazione fra di loro, considerando le stime fornite a maggio dalla Polizia Criminale Federale tedesca, l’equivalente dell’FBI americana, che, dal 2021, registrano un aumento delle aggressioni antisemite del 29 percento. Profondamente colpito da quanto accadutogli, Kirzon ha invitato le autorità ad intensificare i controlli, in vista delle imminenti festività autunnali, richiedendo, secondo i media tedeschi, lo stazionamento di una pattuglia della polizia davanti alla sua sinagoga non solo in questo periodo ma per tutto l’anno. A quanto pare, egli era già stato vittima di attacchi antisemiti. Infatti nel 2019 durante le festività di Pesach, la Pasqua ebraica, mentre camminava con la famiglia per strada era stato insultato, sembra in russo, da quattro loschi individui apparentemente ubriachi. Parolacce ed urla a squarciagola ma nessuna violenza fisica da parte di quei malintenzionati che secondo lui “volevano solo provocarmi, per vedere se avrei reagito o pensavano che non capissi il russo”. Egli ha successivamente raccontato l’incidente, oltre che al sito, anche alla Polizia Criminale tedesca sottolineando di non aver perso la calma “ho continuato a camminare perché avevo già sperimentato episodi analoghi in Ucraina. Un mio amico aveva cercato di difendersi ma era stato aggredito dai responsabili”. Molto interessante l’articolo che, apparso sul Algemeiner e firmato da Sharon Wrobel , ha messo in luce che il Rabbino Kirzon, intervistato dal quotidiano Bild, avrebbe dichiarato che “l’aggressore probabilmente era un arabo” e che l’avrebbe aggredito, non solo perché parlava ebraico ma riconoscendone l’inconfondibile abbigliamento ortodosso e i suoi tzitziot. L’aggressore l’ha prima spintonato e poi, urlandogli contro, l’ha afferrato per il vestito alzando le mani contro di lui. Secondo il sito ejpress.org il gesto è stato condannato dal Ministro della Cultura di Brandeburgo, Manja Schule che ha definito questo attacco “inaccettabile” esprimendo solidarietà al rabbino aggredito e alla Comunità ebraica con queste parole “non abbiate paura, siamo al vostro fianco, per una vita ebraica tutti assieme ed in mezzo a noi”.
(Bet Magazine Mosaico, 22 settembre 2022)
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Covid, Israele lancia la sua quinta campagna vaccinale
Israele ha lanciato la sua quinta campagna di vaccinazione, invitando le persone appartenenti a gruppi a rischio e gli over 65 a sottoporsi al vaccino anti-Covid. Si tratta di un prodotto specifico per il ceppo Omicron del coronavirus, che costituisce la maggior parte dei casi nel Paese. Il Ministero della Salute israeliano afferma che il nuovo vaccino dovrebbe aumentare le difese dell'organismo contro il ceppo e forse mantenere l'immunità più a lungo. Gli israeliani che hanno ricevuto la prima coppia di dosi di vaccino possono ricevere la nuova iniezione. Giovedì, una clinica di Tel Aviv ha iniziato le somministrazioni e ha riferito di avere una buona richiesta.
(LaPresse, 22 settembre 2022)
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L' avanguardistica politica pro-vaccino di Israele continua imperterrita. Sembra proprio che non ci sia niente da fare. E sia pure così: dovrà andare avanti fino in fondo e subirne le conseguenze. Che però non saranno soltanto sue, e molti di sicuro non lo ringrazieranno. M.C.
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A che servono le feste
di Rav Riccardo Di Segni
Siamo abituati per tradizione a interpretare i fatti che avvengono intorno a noi, trarne delle previsioni e degli insegnamenti. Il fatto che quest’anno, proprio alla vigilia di Rosh ha Shanà, si vada a votare per il nuovo parlamento (noi ovviamente dobbiamo farlo prima del tramonto) è carico di significati. Anno nuovo, vita nuova; e noi ripetiamo la frase “che finisca l’anno con le sue cose negative, e si rinnovi l’anno con le sue benedizioni”. L’anno che ci lasciamo dietro è stato l’anno degli strascichi del Covid, della guerra in Ucraina, dell’impazzimento climatico, dell’improvviso aumento dei prezzi. Sarebbe bene e augurabile che tutto questo finisca. E poi avremo un nuovo parlamento e un nuovo governo, chissà quanto stabile e capace di fronteggiare le difficoltà, chissà quanto in simpatia con lo stato d’Israele, chissà quanto distaccato da nostalgie e simpatie pericolose. La mattina di Rosh ha Shanà, tra una suonata e l’altra dello shofàr, staremo a commentare i risultati delle urne che forse ci rassicureranno o forse ci metteranno in agitazione più di quanto dovrebbe fare lo shofàr. Rambàm spiega che il suono dello shofàr serve a svegliare chi dorme. Dorme, si intende, in senso spirituale: è colui che si è distaccato da una certa realtà, che non raccoglie stimoli esterni o lo fa trasformandoli in sogni. Le nostre feste di inizio anno hanno questo sapore inconfondibile: l’occasione per ritrovarsi in famiglia, tra amici, e più in generale nella comunità e nelle Sinagoghe. Per molti magari è solo un appuntamento dovuto, un’occasione più che altro sociale da non mancare almeno una-due volte all’anno. Ma se tutto questo ha un senso, e ce l’ha, è per utilizzare l’occasione dell’incontro con la comunità e la tradizione per farci delle domande. Nella nostra esistenza siamo sottoposti in continuazione a sollecitazioni negative, a problemi da risolvere. Alle difficoltà quotidiane si aggiungono le crisi generali che turbano l’equilibrio della società. Tutti questi problemi non sono estranei e staccati dalla vita religiosa. Noi preghiamo ogni giorno insieme per la lucidità mentale, per la salute, per la prosperità economica, per la pace sociale, per un mondo ordinato e giusto. I problemi quotidiani e quelli delle crisi diventano oggetto di preghiera. Nelle nostre preghiere noi parliamo al plurale (“ascolta la nostra voce”, “dà a noi…”) perché scatta sempre un senso di solidarietà collettiva e chi ha di più condivide i problemi con chi ha di meno. Ma ognuno può aggiungere alla preghiera collettiva le sue richieste personali. Quindi quando stiamo in una Sinagoga non siamo fuori dalla realtà, ma vi trasferiamo la nostra umanità e la sublimiamo. Ma è proprio dentro alla Sinagoga, e poi fuori “quando stai a casa tua e quando vai per strada”, che dobbiamo essere coscienti di altri problemi, di altre necessità, di visioni più larghe. Paradossalmente riusciamo a sopravvivere, benché a caro prezzo, a crisi energetiche, economiche, politiche, sanitarie, belliche. Ma c’è qualcosa di più difficile da sostenere, difendere, costruire, ed è il nostro impegno ebraico. Il dovere che ha ognuno di noi di far brillare la sua luce, di portare avanti la tradizione e il suo messaggio sacro; studiarlo nei tanti modi possibili, insegnarlo, trasmetterlo, metterlo in pratica, farsi domande e cercare risposte. Avremo problemi con il caro energia, con strani governi e con qualsiasi altra difficoltà, ma poi? Che ne sarà di noi, della nostra famiglia, della nostra comunità, del nostro futuro se non ci rendiamo conto che oltre a ciò che ci rende difficile la vita esistono degli impegni da mantenere e degli ideali più grandi da seguire? Le feste di inizio anno servono anche a questo. A mostrare la differenza tra relativo e assoluto, tra quotidiano ed eterno, tra materia e spirito. A farci crescere, darci energia e serenità. A mettere le cose nelle giuste dimensioni e proporzioni. Che sia veramente, malgrado tutto, un anno buono e dolce.
(Shalom, 22 settembre 2022)
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Israele: neo-designato amb. Alon Bar con Comunità ebraica di Milano
MILANO – Il neo-designato ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar, ha incontrato la Comunità ebraica di Milano. Collaborazione a 360° tra lo Stato d’Israele e la Comunità ebraica di Milano su temi come il cambiamento climatico, valorizzazione dei giovani e disinformazione, è questa la sintesi della visita computa nella scuola ebraica di Milano per incontrare e salutare gli esponenti della Comunità locale. Ad accogliere il diplomatico israeliano il Consiglio e il presidente della CEM, Walker Meghnagi, con il vice-presidente UCEI Milo Hasbani; il presidente del Memoriale della Shoah Roberto Jarach; il segretario generale CEM, Alfonso Sassun, e il preside della Scuola ebraica, Marco Camerini.
L’amb. Alon Bar ha espresso soddisfazione per il ricco palinsesto degli eventi ebraici che sono stati organizzati in tutta Italia in occasione della 23esima edizione della GECE. Ed ha anche sottolineato che le imminenti feste ebraiche, Rosh haShana e Yom Kippur, potranno essere l’occasione per incontrarsi di nuovo soprattutto dopo i terribili anni passati con il timore della pandemia. «Questo è il tempo del rinnovamento per la cultura ebraica europea», ha sottolineato l’ambasciatore israeliano.
Durante l’incontro, Milo Hasbani ha annunciato che l’UCEI ha in programma di coinvolgere maggiormente gli israeliani, che risiedono in Italia per motivi di studio e di lavoro. «Stiamo cercando di coinvolgerli in diversi eventi comunitari come già avviene nella festività di Yom HaAtzmaut».
«Durante il Covid abbiamo avuto legami molto intensi con l’ambasciata israeliana che ci chiedeva costantemente di cosa avessimo bisogno e se ci avrebbero potuto aiutare in qualche modo. In quell’occasione abbiamo sentito il governo d’Israele molto vicino. Per questo vogliamo continuare a coltivare le nostre relazioni», ha aggiunto Hasbani.
Nella parte finale dell’incontro, Roberto Jarach ha illustrato all’ambasciatore il forte valore educativo del Memoriale della Shoah che negli ultimi anni ha contribuito a formare migliaia di studenti sui temi legati alla Shoah.
L'amb. Alon Bar subentra nell'incarico a capo della diplomazia israeliana in Italia all'amb. Dror Eydar.
(Giornale Diplomatico, 21 settembre 2022)
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Caso Eitan, chiesto il rinvio a giudizio per il nonno che lo portò in Israele
Pavia, la Procura vuole processare anche il contractor che guidò l'auto fino in Svizzera.
PAVIA - La Procura della Repubblica di Pavia ha chiesto il rinvio a giudizio per Shmuel Peleg, il nonno di Eitan Biran l'unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, e per Abutbul Gabriel Alon, l'uomo che lo ha aiutato. La richiesta è giunta a conclusione delle indagini preliminari, a poco più di un anno dal momento in cui il 59enne si era presentato a casa della zia del bambino Aya Biran per una visita concordata e non lo ha riportato la sera. I reati contestati a entrambi i cittadini israeliani sono sequestro aggravato di minore, sottrazione di minore all'estero e appropriazione indebita. Quindici giorni fa il nonno del bambino, che vive in Israele e nei confronti del quale era stato spiccato un mandato di cattura internazionale, è stato arrestato e subito scarcerato. Sottoposto a interrogatorio di garanzia in tribunale a Pavia, il gip ha sostituito la custodia cautelare in carcere con il divieto di dimora a Milano, Varese e Pavia, dove il bambino vive con gli zii paterni e le cuginette. Disposto anche il divieto di avvicinamento al nipote. Già nella serata del 7 settembre l'ex militare è rientrato a Tel Aviv, dove vive. Anche Alon, che secondo le accuse avrebbe accompagnato Peleg a Pavia e poi avrebbe guidato l'auto con la quale il nonno e il nipote hanno raggiunto l'aeroporto svizzero dal quale sono partiti, era stato interrogato dai magistrati pavesi il 1° giugno dopo aver prestato il proprio consenso alla consegna davanti alle autorità cipriote, isola nella quale risiede e dove era stato raggiunto da un mandato di arresto europeo.
(La Provincia Pavese, 21 settembre 2022)
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L'Ambasciata israeliana si congratula per la decisione di nominare un ambasciatore in Türkiye
L'Ambasciata israeliana si congratula per la decisione di nominare un ambasciatore in Türkiye.
I dipendenti del Ministero degli Affari Esteri israeliano hanno pubblicato un videomessaggio sui social media congratulandosi per la decisione di nominare un ambasciatore in Türkiye.
Il Ministero degli Affari Esteri israeliano sui social media ha scritto: "Avete un messaggio! Israele e Türkiye hanno recentemente deciso di alzare il livello delle loro relazioni diplomatiche ed è stato deciso di nominare Irit Lillian come ambasciatrice di Israele ad Ankara".
Nel video, i dipendenti del Ministero degli Affari Esteri israeliano hanno inviato messaggi alla Türkiye in ebraico, turco e inglese.
"Come israeliano il cui nonno è nato in Türkiye e ha radici con questo paese, la Türkiye ha un posto molto forte e profondo nel mio cuore e nel cuore della mia famiglia. Amore da Israele" ha detto un giovane funzionario dell'ambasciata israeliana in Türkiye.
"Ciao Türkiye, saluti da Israele!", "Siamo molto entusiasti di rafforzare le relazioni con la Türkiye. Mazel Tov! (Congratulazioni).", "È bello rivedere i nostri amici dalla Türkiye. Non vediamo l'ora di vedere voi sulle spiagge..", "Ci vediamo a Istanbul!" e "Congratulazioni Türkiye", si legge nel messaggio.
La Commissione per le Nomine del Ministero degli Affari Esteri israeliano aveva deciso il giorno prima di nominare ambasciatrice Irit Lillian, che lavorava gia' come Incaricata d'Affari dell'Ambasciata ad Ankara.
(TRT italiano, 21 settembre 2022)
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“Alcuni segni”
L’Iran torna a dubitare della Shoah e Israele risponde da Auschwitz (“mai l’atomica”)
di Giulio Meotti
ROMA - Mentre il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ha cancellato tutti gli incontri e le apparizioni pubbliche perché gravemente ammalato e l’Iran è scosso dalle proteste per l’uccisione di Mahsa Amini nelle mani della “polizia morale” dopo essere stata fermata perché vestiva in “maniera inappropriata”, il presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Ebrahim Raisi, va di fronte alle telecamere dell’americana Cbs per mettere in dubbio l’Olocausto: “Gli eventi storici dovrebbero essere indagati da ricercatori e storici. Ci sono alcuni segni che è successo. In tal caso, dovrebbero consentire che venga indagato e venga fatta una ricerca”.
Nella sua prima intervista a una testata occidentale, il presidente iraniano Raisi ha anche definito Israele un “falso regime”.
Pochi mesi dopo essere stato eletto nel 2005, l’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad suscitò reazioni indignate in occidente annunciando “la sparizione dalle carte geografiche” di Israele e definendo “un mito” l’Olocausto (il regime degli ayatollah ha anche indetto concorsi internazionali per vignettisti sulla Shoah). Dopo il 1945, mai prima dell’Iran la leadership di un paese così esteso e importante aveva asserito la negazione dell’Olocausto. A Raisi, un religioso ultraconservatore noto per la sua ostilità nei confronti dell’occidente e che voleva diventare Guida suprema, ha risposto dal campo di sterminio di Auschwitz il capo di stato maggiore delle forze di difesa israeliane, Aviv Kohavi. “Non devi essere uno storico o un ricercatore per comprendere gli orrori dell’Olocausto, devi essere un essere umano”, ha detto Kohavi. “Chiunque distorca e neghi la verità della storia mente oggi e mentirà in futuro”. E ancora: “Questa è un’altra conferma del fatto che a queste persone non dovrebbe essere consentito possedere alcuna capacità di alcun tipo per sviluppare armi di distruzione di massa”, ha aggiunto Kohavi, riferendosi al programma nucleare iraniano. Israele ha promesso di impedire all’Iran – che chiede regolarmente la distruzione dello stato ebraico – di acquisire armi nucleari e si è opposto al ritorno degli Stati Uniti all’accordo nucleare con l’Iran, sostenendo che non va abbastanza a fondo nel frenare le ambizioni nucleari di Teheran.
Il primo ministro Yair Lapid è andato su Twitter per rispondere ai commenti di Raisi, pubblicando quattro foto di vittime dell’Olocausto, con la didascalia “alcuni segni”. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha risposto alla controparte iraniana twittando una fotografia che ha detto di tenere sulla scrivania: l’avambraccio della sopravvissuta all’Olocausto Dora Dreiblatt Eisenberg, tatuato con il numero di identificazione, mentre è sorretto dalla pronipote, Daniella Har-Tzvi, sullo sfondo della bandiera nazionale israeliana. Accanto all’immagine, Herzog ha scritto: “Raisi, sulla mia scrivania a Gerusalemme c’è una fotografia. I numeri parlano da soli”. Anche Deborah Lipstadt, inviata speciale degli Stati Uniti per la lotta all’antisemitismo, ha definito le osservazioni di Raisi “ridicole” e “pericolose”.
Noto come “il macellaio di Teheran” per aver giustiziato migliaia di dissidenti dell’opposizione nel 1988 mentre prestava servizio come vice procuratore, Raisi avrebbe sulla coscienza 30 mila prigionieri messi a morte – impiccati da gru edili o fucilati – durante l’epurazione che l’ayatollah-dissidente Hossein Ali Montazeri definì “il più grande crimine nella storia della Repubblica islamica”.
La tv di stato iraniana a febbraio ha rivelato un nuovo missile che ha una gittata di 1.450 chilometri, il che significa che potrebbe raggiungere Israele dall’Iran occidentale (il punto più vicino è a 1.000 chilometri di distanza). Il missile si chiama “Khaybarshekan” ovvero “Demolitore Khaybar”, riferimento alla celebre battaglia che ebbe luogo nel VII secolo contro gli ebrei dell’oasi di Khaybar, a nord di Medina, che furono sopraffatti dai guerrieri musulmani. Il grido di battaglia Khaybar, Khaybar ya yahud (“Khaybar, Khaybar, oh ebrei”) è spesso usato come slogan antiebraico ed è inciso anche sui missili di Hezbollah.
Israele considera l’Iran il suo più grande nemico e minaccia. Il nuovo punto basso sulla Shoah da parte di Raisi conferma i peggiori timori di Gerusalemme, che vuole impedire che l’odio di Auschwitz ottenga la potenza di Hiroshima.
Il Foglio, 21 settembre 2022)
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Archeologia: Israele, oppio in sito canaaneo di 3500 anni fa
'La testimonianza più antica di uso di stupefacenti'
TEL AVIV - Tracce di oppio sono state rinvenute all'interno di vasellame di argilla in un sito archeologico canaaneo risalente a circa 3500 anni fa. Lo riferisce Haaretz citando una ricerca condotta dall'istituto Weizman di Rehovot, dal Dipartimento delle antichità e dalla università di Tel Aviv. In passato, ricorda il giornale, aveva destato sensazione la scoperta di resti di cannabis in un sito ebraico di culto a Tel Arad (Negev), risalente a 2700 anni fa.
La scoperta attuale, secondo gli esperti israeliani, "rappresenta adesso la testimonianza più antica in assoluto di un uso di stupefacenti". Il sito si trova a Tel Yahud, non lontano da Tel Aviv. Nel 2017 furono' trovate tombe canaanee del tardo periodo del bronzo. Accanto ai resti vi era vasellame vario, fra cui oggetti che - secondo Haaretz - ricordavano "un papavero capovolto". Un esame di resti organici prelevati allora da otto di quei piccoli vasi (in parte originari di Cipro) ha indicato che avevano effettivamente contenuto oppio. Secondo il dott. Ron Beeri, del Dipartimento delle Antichità, è possibile che esso fosse utilizzato per riti funebri, oppure che "fosse stato lasciato al defunto per aiutarlo nel passaggio al mondo dei morti".
(ANSAmed, 21 settembre 2022)
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L’Italia compra da Israele aerei-spia per 550 milioni di dollari
ARMI. L'accordo concluso dal governo Draghi prima delle dimissioni. I due velivoli già acquistati nel 2011 sono usati per operazioni top secret in Europa orientale.
di Antonio Mazzeo
Come rifornirsi di aerei spia in Israele e indebitarsi per miliardi di euro fino alla metà del XXI secolo. Prima di formalizzare le dimissioni, il governo Draghi ha concluso un accordo con le industrie militari israeliane per l’acquisto di due sofisticati aerei di pronto allarme e intelligence da destinare alle cosiddette «missioni speciali» dell’Aeronautica militare. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l’holding Iai – Israel Aerospace Industries ha firmato un contratto con l’Italia per un valore di circa 550 milioni di dollari per la vendita degli aerei spia e la fornitura dei servizi di supporto e logistica a terra per le forze aeree italiane.
L’OK AL PROGRAMMA era stato dato dal parlamento tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 (al tempo il premier era Conte), ma il contratto con l’industria aerospaziale israeliana è stato sottoscritto all’inizio di marzo 2022. Nello specifico verranno consegnati due velivoli Caew (Conformal Airborne Early Warning & Control System) basati sulla piattaforma del jet Gulfstream G550 sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd, società del gruppo Iai.
«Gli aerei Caew hanno funzioni di sorveglianza aerea, comando, controllo e comunicazioni, strumentali alla supremazia aerea e al supporto alle forze di terra», spiegano i manager israeliani. «Radar, sensori avanzati e sistemi di raccolta di informazioni forniscono all’operatore una piena consapevolezza della situazione per la gestione delle battaglie aeree; la grande mole di dati raccolti ed elaborati possono essere trasferiti in tempo reale ai vari attori coinvolti».
Grande enfasi per le capacità belliche dei velivoli made in Israel è stata espressa dal generale Alberto Rosso, a capo dello Stato maggiore dell’Aeronautica fino all’ottobre 2021: l’E-550 Caew «è in grado di offrire alle Forze di Difesa italiane un contributo operativo decisivo per il raggiungimento della superiorità informativa».
LE FORZE AEREE avevano già acquistato due Gulfstream nell’ambito del maxi-accordo di cooperazione militare Italia-Israele del 2011 che ha previsto anche la fornitura di un sistema satellitare all’esercito italiano e di caccia-addestratori di produzione Leonardo Spa all’Israel Air Force. Nel maggio 2020 il ministero della Difesa ha firmato un ulteriore contratto con Elta Systems per la gestione decennale dei servizi logistici e supporto per la stazione di terra associata alla flotta degli aerei spia, con una spesa di 332 milioni di euro. L’ambizioso programma del Ministero della Difesa approvato dalle Camere lo scorso anno, oltre alla seconda tranche di Gulfstream, include l’acquisto di altri sei aerei della stessa tipologia. Nel 2020 l’onere finanziario previsto dal governo per gli otto aerei-spia più servizi di manutenzione e supporto logistico-infrastrutturale era di 1.223 milioni di euro, da spalmare sui bilanci annuali fino al lontano 2056.
I primi due aerei Caew sono stati assegnati al 14° Stormo dell’Aeronautica militare di stanza a Pratica di Mare (Rm), alle dipendenze del Comando Forze di Supporto Speciale. Secondo lo Stato maggiore, negli ultimi due anni questi velivoli hanno effettuato 650 missioni d’intelligence.
DA QUANDO È SCOPPIATO il conflitto in Ucraina, vengono impiegati stabilmente per operazioni top secret nello spazio aereo dell’Europa orientale e nel Mar Nero, principalmente ai confini con il territorio ucraino, rumeno, bulgaro e moldavo. Così come avviene con i pattugliatori “Poseidon” di Us Navy e dei droni “Global Hawk” di US Air Force e “Ags” della Nato che decollano da Sigonella, i dati sensibili raccolti dai Caew di Pratica di Mare vengono messi a disposizione delle forze armate di Kiev per pianificare la controffensiva anti-russa.
(il manifesto, 21 settembre 2022)
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Ovazione e già rimpianto a New York per Mario Draghi
di Elisabetta Fiorito
Ancora non è andato via, ma già manca a livello internazionale. Fra poco Mario Draghi lascerà Palazzo Chigi e intanto il presidente del consiglio ha ricevuto a New York il premio di statista dell’anno, World Statesman, dal rabbino Arthur Schneier, presidente e fondatore della fondazione. Tutto questo in occasione della 57ma edizione dell'Annual Awards Dinner della 'Appeal of Conscience Foundation' per la sua "lunga leadership poliedrica nella finanza e nel pubblico servizio di cui hanno beneficiato l'Italia e l'Unione europea e che ha aiutato la cooperazione internazionale", come ha spiegato Schneier. «Non è soltanto dotato di saggezza nel cuore, ma è anche un grande difensore non solo del suo paese ma anche dell’Unione Europea, delle sue relazioni con gli Stati Uniti e dell’umanità. Ci aspettiamo con ansia che rimanga un fattore di quella stabilità di cui l’Italia ha bisogno», le parole del rabbino. E qui Mario Draghi non ha potuto trattenere una piccola risata, forse ironica dato le imminenti elezioni.
Il premier italiano ha parlato di pace. “Nonostante la cupezza dei tempi in cui viviamo, rimango ottimista sul futuro. L’eroismo dell’Ucraina, del Presidente Zelensky e del suo popolo è un potente promemoria di ciò che rappresentiamo e di ciò che rischiamo di perdere”. Poi un messaggio per il rabbino Schneider. “Il ruolo dei leader religiosi è essenziale: con tutte le vostre differenze, voi sostenete la pace, la solidarietà, la dignità umana”. Non è mancato un riferimento alla recente visita in Israele. “Come mi è stato ricordato a Yad Vashem, l’indifferenza è il peggior nemico dell’umanità. Parlare non è solo un obbligo morale, è un dovere civico. A coloro che chiedono silenzio, sottomissione e obbedienza dobbiamo opporre il potere delle parole e, se necessario, dei fatti. Oggi il mondo ha bisogno di coraggio e chiarezza, ma anche di speranza e amore”.
Congratulazioni anche dall’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger. “La sua capacità analitica, il coraggio e la visione ci dicono che continuerà a essere con noi ancora per molto tempo”. Un messaggio è arrivato anche dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. “Draghi è stato una voce potente nella promozione della tolleranza e della giustizia, lo ringrazio per la sua leadership – scrive Biden nella nota inviata all’evento sottolineando che il presidente italiano - ha ricevuto il premio per il suo lavoro per fare avanzare i diritti umani nel mondo”.
(Shalom, 21 settembre 2022)
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Incoronato come statista dell'anno dal rabbino americano Arthur Schneier, elogiato dall'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger per "la sua capacità analitica, il coraggio e la visione", incensato dal Presidente americano per essere stato "una voce potente nella promozione della tolleranza e della giustizia", autopresentatosi con dolci e suadenti parole: "oggi il mondo ha bisogno di coraggio e chiarezza, ma anche di speranza e amore”, se le circostanze politiche nazionali e mondiali dovessero riportare quest'uomo, Mario Draghi, alla guida del nostro paese, sarà un tetro segnale di quello che potrà avvenire in seguito. Non è profezia, è preallarme. M.C.
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Israele. Scoperta una grotta funeraria dell’epoca di Ramses II
di Giorgia Calò
“Sembrava di essere sul set di Indiana Jones o nel film Il Principe d’Egitto”, ha dichiarato il team di archeologi israeliani che ha rinvenuto un’antica grotta funeraria di circa 3.300 anni fa, l’epoca in cui regnava il faraone Ramses II, nel Parco Nazionale di Palmachim, a pochi metri dalla famosa spiaggia vicino Tel Aviv.
La grotta, risalente all’Età del Bronzo, e molto probabilmente al periodo dell’esodo biblico, è stata ritrovata per caso, nel corso dei lavori dell'Ente Natura e Parchi per lo sviluppo del Parco Palmachim, quando il trattore ha colpito una roccia, scoprendo così il tetto della grotta.
Il primo ad accedervi è stato Dror Citron, funzionario dell'Autorità israeliana per le antichità, che al suo ingresso si è trovato di fronte ad un luogo fermo nel tempo: la grotta era infatti colma di vasi di ceramica e bronzo perfettamente intatti; oggetti tipici delle cerimonie di sepoltura dell’epoca, in quanto era convinzione comune che i vasi dovessero essere sepolti accanto ai morti, affinché li usassero nell’aldilà.
“Una scoperta unica nella vita qui in Israele - ha dichiarato il Dott. Eli Yanai, esperto dell’Età del Bronzo all’interno della Israel Antiquities Authority - una grotta con vasi sul pavimento che non sono stati toccati in 3.300 anni. Stiamo parlando della tarda Età del Bronzo. Questi sono precisamente i giorni del famoso re Ramses II che è associato alla storia dell'Esodo”.
L’associazione delle ceramiche all’epoca dello storico faraone che non voleva lasciar partire Mosè e il popolo ebraico è rafforzata dalle fonti storiche, secondo cui sotto il regno di Ramses II l’Egitto avesse una forte rete di commercio internazionale e manufatti come quelli ritrovati nella grotta venissero importati da Cipro, dalla costa settentrionale siriana, e dalle vicine città costiere come Ashdod, Yafo e Ashkelon.
"Il fatto che la grotta sia stata sigillata e non saccheggiata in epoche successive, ci permette, grazie alle tecnologie scientifiche di oggi di estrarre una grande quantità di informazioni dagli oggetti e dai materiali ritrovati e che non sono visibili ad occhio nudo, inclusi i materiali organici” spiega ancora il Dott. Yanai.
I reperti ritrovati all’interno della grotta costituiscono un quadro storico delle usanze sepolcrali dell’epoca: vasi in bronzo e ceramica e ciotole di ogni dimensione, pentole, brocche e candele di argilla, che contenevano olio per dare luce. Oggetti di vita quotidiana, che testimoniano la comune credenza delle popolazioni di 3000 anni fa, che ci fosse una seconda vita dopo la morte.
La notizia della scoperta si è sparsa rapidamente, tanto che poco prima della chiusura del sito archeologico, la grotta è già stata saccheggiata e alcuni vasi rubati.
La Israel Antiquities Authority si è già attivata per richiedere i dovuti permessi per iniziare il processo di conservazione e restauro dei reperti.
(Shalom, 20 settembre 2022)
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Loitering munitions israeliane e statunitensi per il Giappone
di Aurelio Giansiracusa
I media giapponesi hanno riportato che sono prossime le consegne di sistemi aerei a pilotaggio remoto d’attacco o loitering munitions prodotti in Israele e Stati Uniti alla Difesa Giapponese.
Questi droni saranno impiegati nell’ambito di una campagna di sperimentazione che si svolgerà nel corso del prossimo anno con l’obiettivo di raccogliere dati ed informazioni necessarie, in vista di una larga distribuzione a partire dal 2025.
Il Ministero della Difesa di Tokyo vuole rafforzare la difesa delle isole Nansei ed ha individuato in questi droni “kamikaze” o loitering munitions un sistema d’arma utile a tale scopo.
Per questo ciclo di prove e sperimentazioni, gli organi tecnici ed operativi giapponesi hanno selezionato le loitering munitions Harop prodotte da Israel Aerospace Industries e le Switchblade allestite da AeroVironment.
Le Forze di Autodifesa Giapponesi stanno raccogliendo dati e valutazioni sul largo impiego di loitering munitions in Ucraina da parte di entrambi i contendenti ed in altri recenti conflitti; infatti, tali uas d’attacco sempre più si sono imposti come sistemi d’arma “a basso costo” in grado di cagionare gravi perdite in termini di materiali colpiti e distrutti, nonché di ingenerare insicurezza nei comandi e nelle truppe esposte a questo tipo di minaccia.
Pertanto, anche il Giappone vuole sistemi aerei a pilotaggio remoto in grado di individuare ed attaccare bersagli dall’alto, affiancando gli altri sistemi d’arma attualmente impiegati (missili, artiglierie. elicotteri, velivoli, mezzi da combattimento, etc.).
(Ares Osservatorio Difesa, 20 settembre 2022)
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Genova, barzelletta antisemita in sinagoga
L’assessore Rosso in commissione consiliare: “Se sono qui vuole dire che non mi sono dimessa”. Messaggio di scuse alla comunità ebraica insieme al sindaco.
di Annamaria Coluccia
GENOVA – "Se sono qui vuol dire che non mi sono dimessa". Lo ha detto l'assessore comunale ai servizi sociali Lorenza Rosso, rispondendo in Sala Rossa ai consiglieri comunali di opposizione che a più riprese le hanno chiesto oggi un chiarimento sull'episodio di ieri, quando l'assessore è finita al centro di un'ondata di polemiche per la barzelletta a sfondo antisemita raccontata a un convegno organizzato domenica per la Giornata europea della cultura ebraica.
Le opposizioni già domenica avevano chiesto le sue dimissioni e oggi, all’inizio della commissione dedicata ai minori non accompagnati, il capogruppo del PD Simone D'Angelo e la collega di gruppo Cristina Lodi le hanno chiesto conto delle sue dichiarazioni e anche delle sue intenzioni rispetto al ruolo in giunta. Ma Rosso non ha risposto, dicendo che, lontano dal microfono, che "domani ci sarà consiglio comunale" e poi che "ci sarà la sede opportuna".
"Ma qual è la sede opportuna assessore? - ha chiesto D'Angelo - Le sue dichiarazioni ai giornali dimostrano che lei non riconosce la gravità di quanto è avvenuto e che per lei la comunità ebraica è straniera in questa città". "Parlare di diritti oggi dopo quello che è accaduto ieri sembra un po' contraddittorio", ha incalzato Lodi, e "il fatto che lei assessore non veda connessione fra i fatti di ieri e questa commissione è ancora più grave di quello che lei ha detto domenica", ha attaccato Stefano Amore di Genova Civica.
Due lettere di scuse alla presidente della comunità ebraica genovese, Raffaella Petraroli, da parte del sindaco Marco Bucci e dell'assessore Lorenza Rosso sono state inviate oggi e rese pubbliche dall'amministrazione comunale, dopo la bufera che ha investito l'assessore per la sua barzelletta a sfondo antisemita.
La comunità ebraica di Genova: “Non vogliamo che diventi un caso politico”
"Non voglio che diventi un caso politico anche per evitare ulteriore disagio alla Comunità. Ho inviato una lettera privata al sindaco Bucci, prendo le scuse come una lettera privata". Mantiene l'aplomb la presidente della Comunità ebraica genovese Raffaella Petraroli, lo stesso aplomb avuto ieri mentre l'assessore Rosso recitava la barzelletta antisemita sul naso degli ebrei, uno dei peggiori esempi di propaganda fascista del Ventennio. Arrivate le scuse di sindaco e assessore Rosso, Petraroli si dice "dispiaciuta perché con tutto questo non si è dato risalto all'importante contenuto del convegno che si è tenuto ieri. La Giornata della cultura ebraica è nata proprio per questo: per diffondere e far conoscere tutte le mille sfaccettature della cultura ebraica e la conoscenza millenaria del popolo ebraico. Conoscenza utile per evitare condizioni di ignoranza che poi possono portare a espressioni antisemite come tante ne sentiamo ancor oggi".
Ariel Dello Strologo: “La cosa che più colpisce è la mancanza di sensibilità”
"E' arrivata in Comunità la lettera di scuse dell'assessore. Quanto al fatto in sé, al di là del contenuto che ha lasciato tutti senza parole e ha richiamato momenti passati, la cosa che più colpisce è la mancanza di sensibilità e attenzione che un rappresentante delle istituzioni dovrebbe avere. Non capire quale possa essere la differenza di fondo tra una barzelletta raccontata in un determinato contesto privato e in uno pubblico indica proprio la mancanza delle basi fondamentali per poter ricoprire un ruolo pubblico". Ariel Dello Strologo, candidato sindaco di Genova per la coalizione progressista alle amministrative del 12 giugno 2022 contro l'attuale primo cittadino Marco Bucci, commenta così all'Adnkronos la "storiella" raccontata ieri in sinagoga dall'assessore genovese alle Politiche sociali, Lorenza Rosso, durante un convegno dedicato alla cultura ebraica. "La reazione della Comunità ebraica, ma anche di tutte le persone che si sono sentite colpite da questo fatto e si sono indignate, è dovuta al fatto che queste barzellette vanno messe all'interno di un contesto che storicamente ha rappresentato centinaia di anni di persecuzione degli ebrei. Facevano e fanno parte del bagaglio aggressivo dell'antisemitismo - ribadisce - E' evidente che la stessa barzelletta detta a proposito dei genovesi o degli scozzesi non ha la stessa carica negativa perché fortunatamente nella storia, loro, non sono stati oggetto di persecuzioni tanto gravi e forti. Un po' di conoscenza della storia, un po' di sensibilità avrebbero ben consentito a un amministratore avveduto di non cadere in un grave errore come questo".
(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)
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Barzelletta antisemita in sinagoga a Genova, la storica Anna Foa: “L’inconsapevolezza rende tutto più grave”
La storica: “È pericoloso considerare normale dire una cosa del genere. Antisemita anche parlare degli ebrei separandoli dai genovesi”.
di Annamaria Coluccia
GENOVA – Si dice «allibita» e preoccupata soprattutto per «l’inconsapevolezza che emerge» dall’episodio che ha visto protagonista l’assessore del Comune di Genova, Lorenza Rosso, con la barzelletta sul naso grosso degli ebrei raccontata durante un convegno in sinagoga. A dare voce all’indignazione che la vicenda ha suscitato nelle comunità ebraiche di tutta Italia è Anna Foa, storica, studiosa della storia degli ebrei, figlia di Vittorio Foa, uno dei padri della Costituzione.
- Ha letto quello che è avvenuto a Genova? Che cosa ne pensa? «Ho letto e ne ho anche scritto sul moked, il portale on line dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Penso che quanto è accaduto sia stato fatto in modo inconsapevole ma, proprio per questo, è ancora più grave. Il contenuto della barzelletta in sé è senza dubbio antisemita: i nazisti parlavano del naso grosso degli ebrei, c’erano anche le caricature sulle riviste naziste. E poi quel dire “gli ebrei”, come se fossero una razza, separandoli fra l’altro dai genovesi, come a rimarcare che i genovesi sono genovesi. Immagino che chi era in sinagoga sia rimasto di sasso. Non ho mai sentito raccontare una barzelletta in una sinagoga, se poi la barzelletta raccontata è anche antisemita...»
- L’assessore ha spiegato di non aver avuto alcun intento offensivo, e ha sottolineato anche l’importanza delle storielle nella cultura ebraica. «Una storiella sul naso grosso non è certo parte della cultura ebraica. Non so se la signora sia cattolica, ma non credo che se uno va in chiesa dopo la messa possa andare a raccontare una barzelletta dal pulpito. Forse pensa che, invece, tra gli ebrei si possa fare, e anche questo mi sembra un segno di mancanza di rispetto. La sola idea di raccontare una barzelletta durante una cerimonia pubblica è un segno di mancanza di rispetto. Penso che la signora sia inadeguata a fare l’assessore, perché credo che per avere un ruolo pubblico ci voglia un minimo di cultura e di consapevolezza».
- Una barzelletta di quel genere che cosa significa oggi per la comunità ebraica? «Significa definire gli ebrei come razza: nel dire “gli ebrei” o “voi ebrei” aleggia l’idea di razza, perché subito c’è anche la fisicità del naso. Chi delinea caratteristiche di questo tipo o è razzista o è ignorante. Le storielle del mondo yiddish sono diverse, molto più sottili e malinconiche. Questo non è episodio di antisemitismo, è una rozza esternazione, fuori contesto e per di più inconsapevole. Io sono rimasta allibita, e la mancanza di consapevolezza rende tutto più grave».
- Perché? Quali rischi intravvede? «È pericoloso considerare normale che qualcuno possa dire una cosa del genere, senza pensare a quello che c’è stato, a quello che è derivato in passato da affermazioni del genere. Nel primo volume della rivista antisemita La difesa della razza, del 1938, gli ebrei erano raffigurati con un naso adunco che sembrava un becco».
- Che eco ha avuto questo episodio fra le comunità ebraiche italiane? «Se n’è molto parlato, con stupore, scandalo, indignazione. Credo che per noi ebrei sia più facile difenderci da chi dice che siamo inferiori o che prepariamo complotti, piuttosto che da queste percezioni, che emergono senza che coloro che le fanno emergere ne siano consapevoli».
(Il Secolo XIX, 20 settembre 2022)
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Il Comitato per gli Immigrati si dissocia dalle accuse antisemite contro la Consigliera Lorenza Rosso
Il Comitato per gli Immigrati si dissocia dalle accuse antisemite contro la Consigliera Lorenza Rosso: “Nessun nesso con l’antisemitismo, denunciamo i fatti seri”. “Nessuno in Italia parla dei BAMBINI UCCISI A GAZA”.
“Ascoltando attentamente le sue parole si comprende che lei ha parlato di un suo caro Amico di origini Ebraiche che scherzosamente le aveva chiesto se sa perché gli Ebrei hanno il naso grande, dopodiché le avrebbe risposto che è perché l’aria è gratis. Il tutto raccontato per accomunare il Popolo ebraico con quello Genovese. Sinceramente, se fosse stato sgarbato il commento e davvero contro gli Ebrei, la Consigliera Rosso di certo non avrebbe eguagliato sé stessa, per lo più da Genovese, con gli Ebrei, tanto meno in quanto rappresentante del Comune di Genova. Evidentemente si è trattato di un’infelice battuta riuscita male e forse non compresa. Ma francamente non ravvisiamo in quanto detto e rapportato nessun nesso all’antisemitismo” – commenta Aleksandra Matikj, Presidentessa del Comitato – “Noi come Comitato non procediamo con la denuncia perché non vediamo l’odio contro gli Ebrei in un contesto in cui simpaticamente si nomina per lo più un AMICO EBREO CHE LO SI ACCOMUNA AL PROPRIO POPOLO AMATO.
Noi abbiamo sempre denunciato e denunceremo ma i fatti SERI e REALI. Quando e se ci saranno delle esternazioni nazifasciste e/o con la mano alzata come faceva Hitler o Mussolini, davanti alle frasi che nominano i forni crematori e le frasi del tipo “Bruciamo questi o quelli”, noi ci saremo in prima linea a querelare. Come abbiamo fatto finora. Anche perché io personalmente essendo Partigiana da quando sono nata, solo per la storia di mio nonno Jugoslavo che è stato quasi fucilato durante la seconda guerra mondiale, non tollero le istigazioni del genere.
Bisogna stare molto attenti prima di accusare una persona di un reato fondato sull’ANTISEMITISMO, esporre una Persona pubblicamente e rovinare una vita.”
(La Notizia.net, 20 settembre 2022)
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Il riferimento ai "bambini uccisi a Gaza" fa pensare che quel comitato non sia ben disposto verso Israele, e non si sa se anche verso gli ebrei. In ogni caso, sarà bene che si rifletta sulle reazioni che possono nascere quando si continua a gridare "al lupo, al lupo antisemita". E' proprio in mezzo alle grida di "al lupo, al lupo fascista" che adesso si sta instaurando in Italia un fascismo di nuovo conio. Ci potrebbe essere qualche analogia? M.C.
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L’insulto a Israele del presidente cileno
di Ugo Volli
• Antisemitismo e mancanza di rispetto
Uno dei tratti comuni all’antisemitismo, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini, è quello di non esercitare solo nei confronti degli ebrei odio e violenza, fino al genocidio, ma di cercare prima di distruggere il rispetto delle vittime attraverso atti simbolici di disprezzo, di atroce presa in giro e di disumanizzazione. Durante la “Notte dei cristalli” i nazisti costrinsero gli ebrei a buffonesche processioni, non molto diverse da quelle che a lungo durante il carnevale subirono gli ebrei di Roma ad opera del Papato; era pratica comune nei paesi del Maghreb accogliere a schiaffi gli ebrei che venivano a pagare la jiza, l’esosa tassa cui il Corano obbliga gli “infedeli protetti”, i dhimmi. Sulle chiese gotiche sono ancora visibili le “Judensau”, rappresentazioni degli ebrei che baciano il sedere di un maiale.
• Il caso cileno
Bisogna pensare a questa orribile tradizione per capire il senso di quel che è avvenuto la settimana scorsa in Cile. È un fatto molto semplice e in apparenza privo di conseguenze importanti. In tutti gli stati gli ambasciatori stranieri, prima di entrare nel pieno della loro funzione, devono presentare al capo dello stato le loro credenziali, un documento ufficiale dello stato cui appartengono, che assegna loro la responsabilità di rappresentarlo. Prima che ciò avvenga, non solo ci devono essere relazioni diplomatiche fra i due stati, ma il nome del futuro ambasciatore viene reso noto al ministero degli esteri ospitante, che deve esprimere il suo gradimento. Si tratta dunque solo di una cerimonia ufficiale, non di un atto politico, che serve a sottolineare il rapporto fra i due stati e il ruolo speciale e l’immunità dell’ambasciatore. Così doveva avvenire a Santiago del Cile giovedì scorso. Il nuovo ambasciatore israeliano Gil Artzyeli doveva presentare le sue credenziali al presidente cileno Gabriel Boric, era stato convocato al palazzo presidenziale per la cerimonia ed era già lì, quando Boric si è improvvisamente rifiutato di riceverlo e di accettare le credenziali, rimandandolo all’ambasciata. Il pretesto per lo sgarbo era la morte di un giovane terrorista, Uday Trad Salah, 17 anni, di Kafr Dan, pochi chilometri a ovest di Jenin, che con altri suoi compagni aveva intrapreso uno scontro a fuoco con l’esercito israeliano per resistere all’arresto di un altro terrorista. Secondo un altro vecchio stereotipo antisemita, Boric aveva presentato la morte, armi in pugno, del terrorista come “assassinio di bambini palestinesi”.
• Il processo diplomatico
La decisione di Boric è del tutto inedita nei rapporti fra stati, proprio perché interviene in un momento puramente formale. A rimediare l’insulto sono intervenute le diplomazie. Il ministero degli esteri cileno si è scusato con Artzyeli, l’ambasciatore cileno è stato convocato al ministero israeliano di Gerusalemme per ricevere una nota di protesta e anche in questo caso vi sono state delle scuse, alla fine si è deciso di “voltare pagina” (così ha detto Gil Artzyeli) e di tenere la cerimonia a ottobre. Ma vale la pena di approfondire la ragioni di questo deliberato oltraggio.
• La situazione cilena
Il Cile è una nazione profondamente divisa. Boric è stato eletto un anno fa, con una maggioranza piuttosto risicata, in contrapposizione a un candidato di destra, José Antonio Kast. È un estremista di sinistra su tutti i temi, e in particolare un nemico dichiarato di Israele. Ricevendo l’omaggio della piccola comunità ebraica locale, ha detto di accettarlo, ma invitandola a rompere i rapporti e a condannare “lo stato razzista e assassino” che sarebbe Israele. Questo odio antisionista si spiega in parte con ragioni elettorali: il Cile è la sede di una notevole comunità tedesca di fuggitivi o nostalgici nazisti e anche di una significativa emigrazione di palestinesi, probabilmente la più numerosa del mondo. Ma non bisogna sottovalutare la base ideologica del suo atteggiamento. Boric, che ha solo 36 anni appartiene a quella generazione di militanti di sinistra di cui abbiamo visto qualche traccia notevole anche fra i candidati delle elezioni italiane, che ha perso ogni ritegno legato alla Shoà ed esprime un odio per lo stato ebraico che si estende chiaramente agli ebrei. Questo antisemitismo di sinistra non cancella naturalmente quello di destra, ma è oggi probabilmente il più pericoloso. L’estremismo di Boric è stato probabilmente esasperato da una grave sconfitta politica da lui subita pochi giorni fa, il 4 settembre, quando un progetto di nuova costituzione per il paese, fortemente caratterizzata in senso “rivoluzionario”, è stata respinta da un referendum con ampio margine (62% contro 38%). Incapace di realizzare il suo progetto ultrasinistro, Boric ha voluto forse mobilitare i suoi sostenitori con un eclatante gesto antisionista e anche chiaramente antisemita.
(Shalom, 19 settembre 2022)
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GECE 2022. Bensoussan: “In Israele la memoria della Shoah ha fatto dimenticare il ruolo centrale del sionismo”
di Ilaria Myr
“Senza la Shoah Israele non sarebbe mai nato”. “Israele è nato dal senso di colpa dell’occidente nei confronti degli ebrei per la Shoah”. Queste sono convinzioni diffuse sul rapporto fra Israele e Shoah, che lo storico francese Georges Bensoussan ha cercato di smontare come ‘falsi miti’ durante il suo intervento intitolato ‘Vittime nel paese degli eroi’ nella mattinata della Giornata europea della cultura ebraica. Introduceva il giornalista e scrittore Niram Ferretti.
• I falsi miti “Dopo la guerra non c’era alcun senso di colpevolezza fra gli occidentali nei confronti degli ebrei – ha spiegato -. Non lo avevano gli inglesi, che avevano di fatto combattuto Hitler (ma avevano allo stesso tempo chiuso la Palestina). Ma non lo avevano neanche gli americani: lo dimostra il fatto che il generale Marshall si fosse opposto alla proclamazione dello stato ebraico, nel 1948. Solo Truman aveva chiesto di votare sì per lo Stato ebraico, ma semplicemente perché aveva bisogno del voto ebraico. Importante, poi, è la questione dei rifugiati ebrei. Gli inglesi non volevano mettersi contro il mondo arabo, e negli Usa c’era all’epoca un forte antisemitismo, e spingevano perché fossero gli inglesi a prenderli”. Non solo, quindi, secondo Bensoussan, lo stato di Israele non è nato dalla Shoah, ma il genocidio ha costituito una molteplice sconfitta per il sionismo da vari punti di vista: morale, perché non è riuscito a salvare gli ebrei d’Europa; politico, perché non è riuscito a convincere gli ebrei quando si era ancora in tempo, e demografico, perché molti sionisti che erano in Europa non sono poi andati in Israele. “Dire che Israele è nato dalla Shoah è una tesi revisionista, anzi, negazionista – afferma Bensoussan -. Perché ci sono stati ben 3 riconoscimenti giuridici della legittimità di uno stato ebraico: nella conferenza di Sanremo (1920), in cui si parla di focolare ebraico, un riconoscimento del mandato nel 1922, e poi dall’Onu nel 1947”. Non solo: già alla fine del 1800, alcuni fatti, oggi dimenticati, hanno portato alla costruzione dello Stato ebraico. “Senza l’yishuv sefardita, senza Eliezer Ben Yehuda, che fece nascere l’ebraico moderno, e senza la seconda alyià, dei primi del ‘900, non ci sarebbe stato lo Stato d’Israele. Basta pensare alla nascita di Tel Aviv, nel 1909, prima città israeliana dopo la distruzione del Tempio, o alla nascita di grandi istituzioni come l’histadrut (1920), il magen david adom (1920), l’haganah 1920 (divenuta poi Zahal nel’48), o l’università ebraica di Gerusalemme (1925)”.
• Il lento percorso della memoria della Shoah in Israele Bensoussan ha poi affrontato il tema della memoria della Shoah in Israele, ripercorrendo le diverse tappe della sua evoluzione nella coscienza collettiva del paese. “Dopo la Shoah arrivarono in Israele 400.000 sopravvissuti, ma la priorità del neonato Paese è costruirsi e difendersi dai nemici circostanti e non certo di occuparsi di loro e del loro stato psicologico – ha spiegato -. E poi c’è negli israeliani il senso di colpa di non avere potuto salvare gli ebrei d’Europa, che si trasforma in aggressività nei confronti dei sopravvissuti, che con la loro presenza rimandano a quel senso di colpevolezza. Dal canto loro, gli israeliani askenaziti nutrivano un aumentato senso di colpa nel vedere annientato quel loro mondo di origine che, da ferventi sionisti, avevano detestato e disprezzato. E poi, nel paese creato sulla base dell’eroismo, c’era il senso di vergogna nei confronti di quegli ebrei che nella diaspora si erano lasciati morire “come animali al macello. L’accoglienza dei sopravvissuti, quindi, di fatto fallisce”. La Shoah quindi tarda a diventare una memoria collettiva: le prime commemorazioni sono private, organizzate dai sopravvissuti, Yom haShoah, come giorno nazionale di commemorazione viene istituito solo nel 1951, e Yad vashem, il memoriale, solo nel 1953. “Anche se ci si stava già pensando nel 1942, quando ancora la Shoah non aveva raggiunto i suoi apici, viene creato nel 1953 solo perché a Parigi i sopravvissuti creano un memoriale”. Si punta, però, soprattutto sulla memoria degli atti di eroismo degli ebrei: ad esempio in occasione del funerale di Hannah Senesh. “A Yom haShoah quelli che parlano sono solo i resistenti, mentre i ‘normali’ sopravvissuti restano in silenzio: perché sono schiacciati dai sentimenti di colpa e di vergogna, perché non si sentono ascoltati e perché sono tutti giovani e guardano al futuro da ricostruire”.
• La svolta con il processo Eichmann La svolta si ha con il processo Eichmann del 1961. “Ben Gurion non era favorevole al processo ma capisce che si deve rafforzare la coesione nazionale di paese, che si deve formare una memoria comune. Il processo è però centrato sul mondo askenazita, mentre quei sefarditi che pure subirono l’invasione nazista non vengono accettati come testimoni. Si accresce così il sneso di umiliazione e il divario fra i sefarditi, che erano vittime di razzismo, e gli askenaziti, oggi ancora presente nella società israeliana”. Il processo, come è noto, ha un impatto impressionante sia a livello nazionale che internazionale: dalle parole dei testimoni si capisce davvero che cosa sia stata la Shoah, al di là degli atti di eroismo. E la Shoah diventa storia dello Stato.
• Le guerre e di nuovo il senso di precarietà e abbandono E poi ci sono la Guerra dei sei giorni, del 1967, e la guerra del Kippur, che risvegliano negli israeliani il senso di precarietà e la minaccia di essere distrutti. “Ma anche la paura di essere abbandonati: quando, nella guerra del Kippur, l’America, che fornisce armi a Israele, chiede ai Paesi della Nato di potere fare scalo per posarsi, tutto, tranne il Portogallo, rifiutano, perché già influenzati dalla pressione araba. Ma già nel 1972, con la strage delle Olimpiadi di Monaco, il senso di abbandono era stato forte”.
• Parte dell’identità, davanti alla minaccia iraniana La Shoah diventa quindi dagli anni 70 un elemento della identità di Israele, integrato nella coscienza dei giovani israeliani. I programmi nazionali di educazione vengono modificati dandole sempre più spazio. E con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione sovietica i sopravvissuti cominciano a volere portare i nipoti nei luoghi di origine. “La memoria però salta una generazione: dopo il silenzio iniziale, con il passare del tempo i sopravvissuti sentono di dovere tramandare ai nipoti la propria storia, continuando però a proteggere i propri figli. E con la minaccia iraniana, il senso di precarietà è ancora ben presente”. Oggi la Shoah è dunque onnipresente nell’identità e nella storia ebraica – Yad Vashem è il luogo più visitato insieme al Muro del Pianto – mentre si è totalmente rimosso che lo Stato di Israele è nato grazie al sionismo ben precedente allo sterminio. “Si ha una ipermnesia della Shoah – a cui molti sopravvissuti si oppongono – e un’amnesia del sionismo”, conclude Bensoussan.
(Bet Magazine Mosaico, 19 settembre 2022)
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Genova, barzelletta antisemita in sinagoga: bufera sull’assessora ma Bucci la difende
La “storiella” raccontata da Lorenza Rosso al termine del suo intervento per la giornata europea della cultura ebraica continua a suscitare polemica. La presidente della Comunità ebraica, Petraroli: “Stupita dal basso livello culturale: scriverò al sindaco”.
di Annamaria Coluccia
GENOVA– La barzelletta
che nessuno si aspettava è piombata nel mezzo della mattinata nella sinagoga genovese, durante una delle iniziative organizzate ieri anche nel capoluogo ligure per la Giornata europea della cultura ebraica. «Una volta un mio amico ebreo mi ha raccontato questa storia: “Sai perché gli ebrei hanno un naso grande? Perché l'aria è gratis”. Ecco, direi che questo accomuna ancora di più questa città a questa comunità». A raccontarla è stata l’assessore comunale ai Servizi sociali Lorenza Rosso, delegata dal sindaco Marco Bucci a rappresentare l’amministrazione cittadina al convegno. E nella sala della sinagoga, affollata da rappresentanti della comunità ebraica e non solo, e da autorità civili, religiose e militari della città, le sue parole sono diventate subito di piombo, suscitando reazioni di sconcerto che, nel corso della giornata, hanno innescato un’ondata di polemiche e di indignazione anche sul web, fino alla richiesta di dimissioni da parte dei gruppi opposizione in consiglio comunale. L’assessore, avvocato di professione, eletta a giugno in Comune con la lista del sindaco Vince Genova, ha pensato di concludere il suo intervento con una storiella che recupera uno dei luoghi comuni della propaganda antisemita, e lo ha collegato ad un altro luogo comune sulla tirchieria dei genovesi. Il suo intento - ha spiegato - era quello di evidenziare un’affinità fra ebrei e genovesi, e non aveva considerato lo sfondo antisemita che la barzelletta porta con sé e che, soprattutto in una giornata e in un evento come quelli di ieri, non poteva certo passare inosservato. La presidente della comunità ebraica genovese, Raffaella Petraroli, annuncia una lettera al sindaco Bucci sull’accaduto, e le sue parole sono dure: «Sono rimasta stupita dal basso livello culturale dell’intervento dell’assessore: in un’occasione del genere, con il rilievo culturale che ha questa giornata, mi sembra che l’intervento potesse essere di un’altra natura». «È stata una battuta molto infelice», commenta Ariel Dello Strologo, ex presidente della comunità ebraica genovese, di cui è attualmente consigliere, e anche avversario di Bucci alle ultime elezioni, quando Dello Strologo era candidato sindaco della coalizione giallorossa. Ma, anche se adesso siede in consiglio comunale, in questo caso preferisce parlare come esponente della comunità ebraica: «Quello che mi preoccupa - osserva - è che sia venuta un po’ meno la sensibilità che c’era una volta, e che permetteva alle persone di rendersi conto dei contesti in cui certe cose si possono o non si possono dire. Una barzelletta così certamente non si può mai dire ma, meno che meno, in una giornata così». «La questione fondamentale - secondo Dello Strologo - è che rischiamo di perdere la sensibilità rispetto agli effetti che certe parole o certi atteggiamenti possono provocare negli altri». Ma le parole dell’assessore Rosso hanno innescato anche una polemica politica, con la richiesta di dimissioni arrivata da Pd, Genova Civica (la lista di Dello Strologo), lista Rosso Verde e Movimento 5 Stelle. «Chiediamo all’assessora Lorenza Rosso di rassegnare le dimissioni. Non è evidentemente all’altezza di rappresentare le genovesi e i genovesi», scrivono in una nota, esprimendo solidarietà alla comunità ebraica e dichiarando che «non è accettabile che una rappresentante del governo della città usi toni irrisori nei confronti di una comunità civile e religiosa, utilizzando stereotipi che fanno ripensare alla più bieca propaganda antisemita. Né è accettabile - attaccano che si parli di ciò che accomuna la città alla comunità ebraica: tutte le realtà genovesi sono la città». Il sindaco Marco Bucci, però, interpellato ieri pomeriggio dal Secolo XIX, minimizza: «Non so nulla di quello che è successo, ma non mi sembra che una barzelletta possa essere un grosso problema, ce ne sono tante anche sui genovesi», il suo primo commento.
(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)
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L’assessore si difende: “E’ una battuta razzista? Forse non me ne rendo conto”
di Annamaria Coluccia
GENOVA – Assicura di non aver avuto alcun intento offensivo nei confronti della loro comunità ebraica, e si scusa se le sue parole sono state interpretate diversamente. Ma Lorenza Rosso, l’assessore nell’occhio del ciclone, è anche stupita dalle polemiche provocate dalle sue parole.
- La sua barzelletta ha suscitato sconcerto nella comunità ebraica e sta sollevando molte polemiche. «Ma non è stato e non voleva essere affatto un affronto. Me l’aveva raccontata un amico, ebreo, che non c’è più, e io volevo mettere in evidenza un atteggiamento che accomuna ebrei e genovesi. Come poteva avere un significato negativo? Allora ho fatto uno sgarro anche a tutti i genovesi?».
- Però c’è chi vi ha letto uno sfondo razzista, antisemita. «Ma è possibile interpretarla così? Perché magari io non me ne rendo conto».
- Ma non pensa che fosse una barzelletta quanto meno inopportuna in quella giornata e in quel contesto? «Mi scuso moltissimo se ho offeso qualcuno. Non è proprio il mio essere quello di offendere le culture, e religioni, le libertà in generale. Tutto il discorso che ho fatto credo lo abbia dimostrato, probabilmente sono stata fraintesa. Ho raccontato quella barzelletta in un’ottica di comunanza in una giornata importante. Ho evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città, più di così… Come poteva essere travisata la barzelletta? Non lo capisco. Se lo è stata me ne scuso e se occorre presenterò scuse formali».
- Ma lei si è accorta delle reazioni che aveva suscitato? «No, assolutamente, nessuno mi ha detto niente. Prima di andarmene sono andata salutare il rabbino, e non mi ha detto nulla».
- Le opposizioni in Comune chiedono le sue dimissioni da assessore. «Se dovrò dare le dimissioni, le darò. Tutti pensano che io sia attaccata alla poltrona, ma non è affatto così».
(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)
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La lettera: «Non chiamatelo ghetto, è il quartiere ebraico di Roma»
Un gruppo di residenti ha scritto al Corriere spiegando che il vecchio termine non va più usato perché è «insultante».
di Umberto Pavoncello, Speranza Sonnino, Francesca Romei, Anselmo Calò, Marina Sermoneta, Roberto Coen, Tiziana Della Rocca, Andrea Portaleone, Cinthya Spizzichino, Vittorio Pavoncello, Marina Calò, Cesare Terracina, Francesco Salvi
Quand’ero piccolo se a mia madre chiedevano «Scusi, dov’è il ghetto?» lei rispondeva a brutto muso trattandoli male «Il ghetto non esiste più! Non esiste più!». Ancora oggi la parola «ghetto» è utilizzata per descrivere un luogo di emarginazione: i ghetti degli immigrati nelle campagne del meridione, o quelli dei neri nelle città americane. Così come «ghettizzare» è sinonimo di isolare, costringere in una situazione di emarginazione, di inferiorità sociale e culturale. Tecnicamente il quartiere ebraico di Roma, non essendo un luogo di emarginazione, non si può e non si deve chiamare «ghetto». Continuare a definire «ghetto» il quartiere ebraico di Roma è semplicemente insultante perché a un ebreo (ma dovrebbe essere così per chiunque) evoca un periodo di umiliazioni e miseria. Tutte le persone a cui ho segnalato la questione si sono dimostrate pienamente d’accordo e disposte a correggere questo uso improprio. Speriamo che facciano altrettanto tutti quelli che leggeranno e che si uniscano a questo necessario lavoro di sensibilizzazione.
(Corriere della Sera - Roma, 17 settembre 2022)
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La lettera contro l’uso di «ghetto»: storici e intellettuali a confronto
Le opinioni di Lia Levi, Anna Foa, Marco Bellocchio, Elèna Mortara Di Veroli
di Paolo Conti
Usare o non usare «ghetto» per indicare l’antico quartiere ebraico romano? Alcuni residenti, ebrei e non ebrei, con una lettera che abbiamo pubblicato sabato 17, chiedono di archiviare la definizione: «Continuare a definire ghetto il quartiere ebraico di Roma è semplicemente insultante perché a un ebreo (ma dovrebbe essere così per chiunque) evoca un periodo di umiliazioni e di miseria». Il documento ha aperto un dibattito durante la Giornata europea della cultura ebraica. Sostiene per esempio la scrittrice Lia Levi, scampata alla Shoah, da anni impegnata sul fronte della Memoria («Una bambina e basta», «Questa sera è già domani») e che fondò e diresse per 30 anni la rivista «Shalom»: «Negli anni del giornale mi posi il problema e individuai una soluzione nell’espressione “L’Antico ghetto”. Così diventa una sorta di monumento sottratto a ogni possibile significato legato a un insulto. Non era una furbizia ma un modo per mantenere le vestigia storicizzandole ma senza dimenticare il peso che hanno avuto per gli ebrei romani nei secoli». Domenica 18 la Comunità ebraica progressiva «Beth Hillel» ha organizzato un dibattito sul caso di Edgardo Mortara, il bimbo ebreo convertito al cattolicesimo a forza nella Roma di Pio IX, una storia che indignò l’Europa e gli Usa e che diventerà un film diretto da Marco Bellocchio. Alla fine del confronto si è parlato anche del tema del ghetto. Ha detto Anna Foa, storica contemporanea e dell’ebraismo italiano: «Io stessa presto attenzione quando devo indicare la zona e magari dico “l’antico quartiere ebraico”. Dal 1870 in poi il ghetto è stato abolito, lo sappiamo. Ma non drammatizzerei un suo uso molto legato alle abitudini di tanti romani, soprattutto non ebrei. È un’abitudine radicata e farne un caso sarebbe, secondo me, un eccesso». La domanda è stata rivolta anche al regista Marco Bellocchio, che si è dichiarato «non credente» anche se di radici cattoliche: «Penso che ci sia stato un ghetto e che il ghetto semplicemente ora non c’è più. Abbiamo realizzato alcune riprese nella zona del Portico d’Ottavia e abbiamo faticato a ricostruire la realtà precedente al 1870. Grazie alla finzione cinematografica abbiamo persino trasformato una chiesa in una sinagoga. Insomma, il ghetto non esiste più». Invece Elèna Mortara Di Veroli, già docente di storia della Letteratura anglo-americana a Tor Vergata, discendente di Edgardo Mortara e appassionata storica di quell’episodio, sostiene: «Penso che ricorrere all’espressione “ex ghetto” potrebbe essere una soluzione capace di tenere insieme la storia, la traccia del passato e la cancellazione di quella pagina terribile. Però, diciamoci la verità: gli ebrei romani non usano mai quella parola, quando vogliono ritrovarsi lì dicono “in piazza”…». Cioè l’attuale piazza delle Cinque Scole, un tempo piazza Giudea (o Giudìa, in romanesco più stretto). E qui tutti sono d’accordo.
(Corriere della Sera - Roma, 19 settembre 2022)
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Il Macellaio di Teheran, Ebrahim Raisi, nega ancora l’olocausto ebraico
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi (il macellaio di Teheran) ha dichiarato lunedì che sono necessarie “ulteriori ricerche” per determinare se l’Olocausto sia realmente accaduto.
Nel corso di un’intervista a 60 Minutes, la conduttrice Lesley Stahl ha chiesto a Raisi se credeva che l’Olocausto fosse accaduto, suscitando una risposta che dire controversa è dire poco.
“Gli eventi storici dovrebbero essere indagati da ricercatori e storici. Ci sono alcuni segnali che indicano che è successo. Se è così, dovrebbero permettere che si indaghi e si faccia ricerca”.
In risposta, il Primo Ministro Yair Lapid ha twittato un collage di immagini orribili dell’Olocausto, intitolandolo “alcuni segni”.
L’ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite Gilad Erdan ha attaccato il leader iraniano su Twitter, definendo le osservazioni “scioccanti”.
“Chiedo ad Antonio Guterres di negare a quel negazionista un palcoscenico mondiale per diffondere l’antisemitismo e l’odio. L’ONU raggiungerà un nuovo livello di bassezza se darà al Macellaio di Teheran una piattaforma”, ha detto Erdan.
(Rights Reporter, 19 settembre 2022)
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Salmo 109 (6)
- Per il maestro del coro. Salmo di Davide.
O Dio della mia lode, non tacere, - perché bocca di malvagio e bocca d'inganno si sono aperte contro di me; hanno parlato contro di me con lingua di menzogna.
- Mi hanno circondato con parole d'odio, mi hanno fatto guerra senza motivo;
- in risposta al mio amore mi accusano. E io resto in preghiera.
- Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore.
- Costituisci un empio sopra di lui, un accusatore si tenga alla sua destra.
- Sia giudicato ed esca condannato;
la sua preghiera gli sia imputata a peccato.- Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo ufficio.
- Siano orfani i suoi figli e vedova sua moglie.
- Vadano errando i suoi figli e accattino; cerchino pane lontano dalle loro case in rovina.
- Getti l'usuraio le sue reti sui suoi beni; facciano preda gli estranei delle sue fatiche.
- Nessuno mostri a lui benevolenza, e non si trovi chi abbia pietà dei suoi orfani.
- Sia distrutta la sua progenie; nella seconda generazione sia cancellato il loro nome!
- Sia ricordata dall'Eterno l'iniquità dei suoi padri, e il peccato di sua madre non sia cancellato.
- Restino sempre davanti all'Eterno quei peccati e faccia Egli sparire dalla terra la sua memoria.
- Perché non ha voluto aver pietà, ma ha perseguitato il povero e bisognoso, chi aveva il cuore spezzato, per ucciderlo.
- Ha amato la maledizione, ricada essa su di lui; non ha gradito la benedizione, resti essa lontana da lui.
- Si è avvolto di maledizione come di un vestito, penetri essa come acqua in lui,come olio nelle sue ossa.
- Sia per lui come un manto che lo ricopre, come una cintura che sempre lo cinge!
- Tale sia da parte dell'Eterno la ricompensa dei miei accusatori, e di quelli che proferiscono del male contro l'anima mia.
- Ma tu, Eterno, o Signore, opera in mio favore, per amore del tuo nome; poiché buona è la tua misericordia, liberami!
- Perché povero e bisognoso io sono e il mio cuore è ferito dentro di
me.- Me ne vado come un'ombra che s'allunga, sono scosso via come una locusta.
- Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, la mia carne deperisce e dimagra.
- Son diventato un obbrobrio per loro; mi guardano e scuotono il capo.
- Aiutami, o Eterno, Dio mio, salvami secondo la tua benignità.
- E sappiano essi che questa è la tua mano, che sei tu, o Eterno, che agisci.
- Essi malediranno, ma tu benedirai; s'innalzeranno, ma saranno confusi, e il tuo servo esulterà.
- I miei accusatori saran vestiti di vituperio e avvolti nella vergogna come in un manto!
- Ad alta voce io celebrerò l'Eterno con la mia bocca, lo loderò in mezzo a molti;
- perché Egli sta alla destra del povero per salvarlo da quelli che lo condannano a morte.
Si può immaginare un Gesù che usa i versetti "scandalosi" di questo salmo per rivolgersi al Padre celeste nelle sue preghiere?
A questa domanda si può rispondere senza esitazione SÌ.
Il credente in Dio è autorizzato fare proprie queste richieste del salmista nelle sue preghiere?
A questa domanda si deve rispondere con decisione NO.
In questo salmo, e in altri simili a questo, il servitore del Signore che si trova sulla terra dà voce all'ira di Dio che freme nel cielo contro i suoi nemici che spavaldamente si muovono sulla terra contro di Lui. Dio freme nell'udire le parole accorate del suo servitore che soffre nell'adempimento del suo servizio, ma nel piano di Dio è previsto che per un certo tempo il Cielo taccia e anche di questo silenzio il suo servitore sulla terra debba soffrire.
Il primo esempio di una simile situazione si trova in quell'uomo "integro e retto" che Dio chiama "il mio servo Giobbe" (Giobbe 1:8). E' il primo uomo a cui viene accordato questo titolo, e come servo di Dio sperimenta, stando sulla terra, con lamenti ad alta voce, una sofferta relazione col suo Signore che è nel cielo e tace: "Io grido a te, ma tu non mi rispondi; ti sto davanti, ma tu non mi consideri!" (Giobbe 30:20).
Ma dove sono i nemici di Giobbe? si chiederà qualcuno. Sulla terra non appaiono, ma ce n'è uno in cielo: Satana.
Il libro di Giobbe appartiene alla preistoria israeliana, infatti non fa alcun riferimento alla Torah o a Israele. Forse si trova lì, in un tempo che precede tutta la storia del popolo eletto, per indicare che di tutte le guerre che in seguito si svolgeranno sulla terra nel nome di Dio, la guerra madre di tutte è quella che si combatte in cielo tra Dio e Satana. La sua origine e la sua radice si trovano nel cielo, ma i fatti della sua storia si svolgono sulla terra, fra gli uomini, con la partecipazione dell'invisibile mondo angelico.
Il peccato originale ha causato il crollo di una diga che ha permesso l'entrata del male nella creazione, e Satana è diventato "il principe di questo mondo" (Giovanni 14:30). Da quel giorno la situazione sulla terra è inevitabilmente e costantemente di tipo bellico, in tutti i suoi aspetti. La Bibbia è piena dall'inizio alla fine di battaglie, scontri, uccisioni, violenze di tutti i tipi, umane e divine: bisogna leggere i salmi imprecatori per accorgersene?
La realtà caratteristica del mondo è la guerra, non la pace. E le situazioni di guerra si affrontano e si risolvono in ambito politico, cioè con l'uso adeguato delle forze in gioco, non con morali declamazioni o lirici slanci. Il compimento del piano salvifico di Dio si presenta in termini di guerra, ma come una guerra di liberazione, non come una contesa fra contendenti di pari legittimità, come avviene in ambito sportivo.
Non si può trattare qui in modo esteso la questione di Satana nella Bibbia, ma vi faremo riferimento con naturalezza durante la spiegazione, a conferma del fatto che non si può esaminare il problema dei salmi imprecatori isolandolo e passandolo al microscopio. Vale sempre la regola: o si capisce il tutto o non si capisce niente.
Limitandoci al salmo 109, si può dire anzitutto che se deve essere visto come semplice espressione di rapporto fra uomini, religiosi o no, quel testo è moralmente irrecuperabile. Avrebbe ragione André Wénin a dire che è un salmo di vendetta e che quelle parole "restano di traverso nella gola". Sarebbe pienamente giustificata la sua domanda: "Oggi non si potrebbe forse dire che preghiere del genere riflettono la mentalità di un terrorista che, convinto di essere religioso, tira Dio dalla sua parte nella sua rabbia assassina?" Sì, si potrebbe dire.
Non sarebbe recuperabile neppure come espressione di una legislazione moralmente primitiva, perché nella legge di Mosè non si contemplano punizioni di simile crudeltà come quelle invocate da Davide sul suo avversario. Al contrario, la legge mosaica condanna l'odio per il fratello, anche se solo covato internamente; Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua (Levitico 19:17).
Sul piano poi della comune psicoterapia, Davide sarebbe da esaminare e curare come soggetto pericoloso per sé e per gli altri. Dice di amare qualcuno, ma poiché si sente trattato male da loro (senza dirne il perché) il suo cosiddetto amore si trasforma improvvisamente in un odio sfrenato che lo porta ad auspicare le più dure disgrazie su qualcuno che prima diceva di amare tanto.
Affermare allora che il salmo 109 è un salmo messianico, come il salmo 22, e quindi che quelle parole possono essere state un nutrimento della preghiera di Gesù al Padre celeste, trasforma la questione dei salmi imprecatori da problema morale a problema cristologico. Non si chiede soltanto chi è il Messia, ma anche come pensa e prega il Messia.
Prima ancora di procedere nell'argomentazione, si può far notare che una soluzione come quella qui proposta farebbe sparire di colpo il dualismo superiore-inferiore in fatto di moralità. Se Gesù può usare, anche solo nella sua mente e nelle sue preghiere, espressioni che sono state sulla bocca di re Davide, cessa la possibilità di contrapporre l'"alta moralità" del sermone sul monte alla "primitiva moralità" della legge del Sinai. Ebrei e cristiani si troverebbero intrigati nello stesso tipo di problema: perché Davide ha parlato così? può Gesù aver pensato così? E la risposta potrebbe avvicinare in modo inaspettato Davide e Gesù.
Ebrei e cristiani hanno in comune un Dio che agisce, non un Dio che insegna. E' insegnamento morale la liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù del Faraone? E' insegnamento morale la nascita di Gesù da una giovane ebrea per la liberazione di Israele e di tutta l'umanità dalla schiavitù di Satana?
Parlando di liberazione, in senso totale e non solo personale, si arriva inevitabilmente a parlare di guerra, perché la liberazione da un potere malvagio che non vuol cedere può avvenire soltanto con la guerra.
Nella guerra che Dio combatte contro Satana per la piena riconquista del mondo, la sua azione prevede la presenza sulla terra di uomini che combattano per conto suo. Quando indica uno di loro, Dio usa un'espressione carica di significato: "mio servo". Questo non significa che si tratti di qualcuno particolarmente buono secondo metri umani, ma di una precisa persona che Dio ha scelto secondo suoi criteri per il combattimento della sua guerra. Davide è uno di questi: "Ho trovato Davide, mio servo; l'ho unto con l'olio mio santo" (Salmo 89:20).
Davide aveva ricevuto da Dio grandi capacità per poter vincere i popoli nemici di Israele, e le fece vedere fin dall'inizio sconfiggendo con un atto di guerra eccezionale il campione filisteo che aveva osato "insultare le schiere del Dio vivente" (1 Samuele 17:26). Dovette però arrivare ad occupare il suo posto di re d'Israele superando difficili prove provocate dall'opposizione perfida e violenta di molti nemici interni, a cominciare da Saul.
Se Dio si era "cercato un uomo secondo il suo cuore" (1 Samuele 13:14) e l'aveva trovato in Davide, anche Satana si era cercato e trovato "uomini secondo il suo cuore" per tentare di vanificare il progetto di Dio. Tra questi il più importante nella storia di Davide, a cui altri poi si riferiranno, è stato probabilmente Saul, che da un certo momento in poi Satana avrebbe potuto chiamare a ragione "mio servo".
Ma se in politica estera Dio ha concesso a Davide la capacità di usare le armi della forza per difendere la sua sovranità contro nemici esterni, in politica interna Dio non gli ha dato una pari delega: deve combattere con le sole armi della giustizia e della verità, perché Dio vuol fare di Israele un "regno di sacerdoti, una nazione santa" (Esodo 19:6). Dunque colui a cui è affidato l'uso del potere deve dar prova di volerlo usare in piena sottomissione a Colui che lo ha prescelto. Se verso l'esterno Davide esprime la forza di Dio, all'interno deve esprimere la debolezza in Dio. E come banco di prova per il servo di Dio, viene concessa all'interno del regno anche la presenza di servi di Satana con un delimitato spazio di manovra
La guerra che si combatte all'interno del regno di Dio in formazione è di natura giuridica: chi ha il diritto di governare? Ma è duro per il re designato da Dio dover combattere la guerra con le sole armi della giustizia e della verità contro nemici che invece fanno un uso spregiudicato di menzogne e inganni per far cadere chi si oppone. E a volte sembra che ci riescano; e deridono quelli che danno ormai per sconfitti.
Il servo di Dio allora volge il suo sguardo in alto e chiede: ma Tu, che fai? perché taci? perché non intervieni? E arriva al punto di suggerire a Dio quello che dovrebbe fare con quella gente, e in particolare con l'empio che li guida. E lo fa con parole dure, che "restano di traverso nella gola", ma è possibile che sia stato fin troppo delicato nelle sue esecrazioni, perché anche Davide non poteva immaginare fino a che punto può arrivare l'ira di Dio quando decide di far vendetta dei suoi nemici: "È spaventoso cadere nelle mani del Dio vivente" (Ebrei 10:31).
Qualcuno si chiederà: ma che c'entra Gesù in tutto questo? E' strano questo interrogativo, perché all'inizio del libro degli Atti la Scrittura pone un chiaro collegamento tra il rapporto di Davide con l'empio del salmo e il rapporto di Gesù con Giuda. E' un'analogia profetica naturalmente, quindi non si devono ricercare puntuali corrispondenze in ogni particolare, ma la volontà che Davide esprime nelle sue parole, anche le più dure, può essere vista come un'anticipazione della volontà che Gesù esprime nella preghiera al Padre, pur rimanendo in sottomissione a Lui.
Se Gesù si è espresso con parole del salmo 22 sulla croce, è possibile che Gesù si sia espresso con le parole del salmo 109 nelle sue notti di solitario combattimento in preghiera.
Ma si può pensare che una persona come Gesù abbia potuto formulare, anche solo in preghiera, pensieri e desideri di male così forti e netti contro un essere umano? Il problema, come si vede, è cristologico.
Riportiamo allora un passo del Vangelo di Luca, al capitolo 19, nella versione Riveduta Luzzi: «Or com'essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio stesse per essere manifestato immediatamente. Disse dunque: 'Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare. E chiamati a sé dieci suoi servitori, diede loro dieci mine, e disse loro: Trafficate finché io venga'».
Al ritorno i servitori mostrano le mine in più che erano riusciti a guadagnare con il loro traffico. Tutti tranne uno: «Poi ne venne un altro che disse: Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quel che non hai messo, e mieti quel che non hai seminato. E il padrone a lui: Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi ch'io sono un uomo duro, che prendo quel che non ho messo e mieto quel che non ho seminato; e perché non hai messo il mio danaro alla banca, ed io, al mio ritorno, l'avrei riscosso con l'interesse? Poi disse a coloro che erano presenti: Toglietegli la mina, e datela a colui che ha le dieci mine: Essi gli dissero: Signore, egli ha dieci mine. - Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Quanto poi a quei miei nemici che non volevano che io regnassi su loro, conduceteli qui e scannateli in mia presenza».
Da questa parabola sono stati tratti molti edificanti sermoni sull'importanza del servizio al Signore, ma di solito non si sottolinea abbastanza l'ultimo versetto, e in particolare le ultime parole: "conduceteli qui e scannateli in mia presenza". E' un po' imbarazzante per "il buon Gesù".
Forse per questo nella maggior parte delle versioni italiane si attutisce un po' la cosa traducendo il verbo con un "uccideteli". Nell'originale greco il termine è un hapax, cioè uno di quelli che compaiono una sola volta nella Bibbia, quindi non si possono fare paragoni con altri passaggi. Resta comunque il fatto che con questo termine si vuol esprimere qualcosa di più che il semplice togliere la vita. Le versioni inglesi usano "slay", non "kill". La versione di Lutero usa addirittura il verbo "erwürgen", che significa strangolare; un'altra versione tedesca più moderata traduce con "erschlagen" che significa colpire (a morte).
Ma quel servo un po' infingardo non aveva bisogno anche lui di comprensione e perdono? Gesù non è forse venuto a portare l'amore sulla terra? Di nuovo, un problema cristologico. Il fatto è che qui si tratta del regno di Dio, quindi di sovranità, non di grazia. Gesù è il Figlio di Dio, il Re d'Israele, come ha riconosciuto Natanaele, che era "un vero israelita in cui non c'è frode" (Giovanni 1:45-51). E quel servo infingardo non è un debole peccatore bisognoso d'aiuto, ma un caparbio nemico che si oppone e rifiuta la grazia di Dio perché rifiuta la sua sovranità. E in questo modo rivela di essere un servo di Satana, un nemico di Gesù al servizio del Nemico di Dio. E contro i nemici militanti che contrastano apertamente la sua sovranità il Re d'Israele non fa giustizia, ma vendetta.
Parlare di Satana è inevitabile se si vuol seguire e comprendere la storia di Gesù, perché la figura di questo essere angelico occupa fin dall'inizio un posto fondamentale. Le tentazioni di Gesù nel deserto (non riuscite) sono il corrispondente della tentazione di Adamo nel giardino di Eden (riuscita). Satana poi ha proseguito nei suoi tentativi di fuorviare la missione di Gesù attraverso i suoi inconsapevoli servi umani. E se con le tentazioni nel deserto non è riuscito ad "ingaggiare" Gesù, ha cercato poi di far fallire la sua missione riuscendo ad ingaggiare uno dei suoi discepoli: Giuda. Ha l'occhio fino Satana, sa scegliere bene i suoi uomini: amore dei soldi e disposizione all'inganno sono elementi sicuri.
Eppure anche Giuda era stato scelto da Gesù. Non è necessario supporre che Gesù abbia capito fin dall'inizio che tipo era, ma quando l'ha capito, per Lui è stata certamente una delle più grandi sofferenze d'amore.
A un certo punto del suo ministero, quando il suo successo tra il popolo cominciava a diminuire, ha detto chiaramente ai suoi discepoli: "Non ho io scelto voi dodici? eppure uno di voi è un diavolo" (Giovanni 6:70). Chiamandolo "diavolo", Gesù mostra di aver riconosciuto in Giuda l'azione diretta di Satana. Ha detto qualcosa di simile anche a Pietro, quando con le sue obiezioni avrebbe potuto fuorviarlo dalla sua missione: "Vattene mia da me, Satana, tu mi sei di scandalo" (Matteo 16:23). Ma Pietro era inconsapevole e sincero, mentre Giuda era consapevole e bugiardo.
Satana attiva in modo decisivo il suo servo nell'ultimo seder che Gesù celebra coi suoi discepoli: "Durante la cena, quando il diavolo avea già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio, se ne cinse. Poi mise dell'acqua nel bacino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto" (Giovanni 13:2-5).
Giuda andò alla cena sicuro che nessuno sapesse quello che aveva deciso di fare, ed era così: nessuno aveva capito. Nessuno, tranne Gesù. Ma durante la cena avvenne qualcosa che Giuda non si aspettava: "Dette queste cose, Gesù fu turbato nello spirito, e apertamente si espresse così: In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardavano l'un l'altro, non capendo di chi parlasse. Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava. Simon Pietro quindi gli fece cenno e gli disse: Di', di chi è che parla? Ed egli, chinatosi così sul petto di Gesù, gli domandò: Signore, chi è? Gesù rispose: È quello al quale darò il boccone dopo averlo intinto. E intinto un boccone, lo prese e lo diede a Giuda figlio di Simone Iscariota. E allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Per cui Gesù gli disse: Quello che fai, fallo presto" (Giovanni 13:21-27). Perché Gesù ha agito così? Perché non ha cercato di trattenerlo? Perché ha addirittura accelerato l'esecuzione di un tale misfatto? Come nel salmo 109, se qui si descrive soltanto un rapporto fra uomini, il comportamento di Gesù è moralmente indifendibile. Ma nella persona di Gesù è in gioco Dio; e in quella di Giuda è in gioco Satana. E' un momento della guerra fra Dio e Satana, combattuta nei rispettivi servi. E a prima vista sembrerebbe che ha vinto Satana.
Qui il problema cristologico, che in realtà è un problema messianico, si sposta sul suo punto centrale: la croce. E' lì che avviene la vittoria di Dio. Di lì bisogna passare, se si vuole capire il salmo 109 e tutto il resto della Bibbia. Prendere o lasciare.
Le esecrazioni di Davide sull'empio del salmo 109 appaiono inaccettabilmente violente, ma sentiamo che cosa dice Gesù di Giuda in un versetto che si ripete uguale in due Vangeli: "Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato" (Matteo 26:24, Marco 14:21). "Guai a quell'uomo". Gesù non nomina questi guai, ma sono guai grossi, molto più grossi di quelli auspicati da Davide all'empio del salmo 109. E sono guai che Gesù stesso, come Figlio di Dio e Re d'Israele, gli procurerà: «A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione!» (Ebrei 10:30).
Sorge allora la domanda: Gesù ha veramente amato Giuda? La risposta è sì, perché Dio ama tutti gli uomini, fin dall'inizio. Ma non fino alla fine, dipende da loro.
Nel Vangelo di Giovanni, prima dell'episodio della lavanda dei piedi sta scritto: "Ora, prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (Giovanni 13:1). Gesù ha amato i dodici lavando i piedi a tutti, anche a Giuda, mostrando così di avere amore anche per lui, fino a quel momento. Ma Giuda aveva già preso la decisione di tradire Gesù, e questo l'ha esposto all'azione di Satana, che è entrato in lui e ne ha preso il posto di comando. A quel punto Giuda ha manifestato definitivamente a Gesù di non essere dei suoi, ma di appartenere al Nemico. E Gesù non l'ha amato fino alla fine.
Infatti nella successiva "preghiera sacerdotale" (Giovanni 17) Gesù dice al Padre di avere custodito tutti quelli che Egli gli ha dato, e che nessuno di loro è perito "tranne il figlio di perdizione", perché ha respinto l'amore di Gesù e ha scelto di arruolarsi nell'esercito di Satana, il nemico di Dio.
Come nel salmo 109, Dio ha messo alla prova il suo servo Gesù lasciandolo in una posizione di debolezza in mezzo all'imperversare apparentemente vittorioso dei suoi nemici. Il Padre celeste ha mandato il suo Figlio sulla terra a combattere la sua guerra disarmato. Ma in tutti i suoi movimenti, Gesù si è sempre mosso come Re.
All'inizio le nazioni sono venute a Gerusalemme ad onorarlo come Re dei Giudei (Matteo 2:2). Davanti a Pilato l'ha detto chiaramente: "Io sono Re" (Giovanni 18:37). E il rappresentante dell'impero mondiale del momento l'ha mandato a morte con la pubblica motivazione: "Gesù Nazareno Re dei Giudei".
Nel corso del suo ministero Gesù ha sofferto di una sofferenza unica al mondo: ha dovuto osservare con occhi lucidi e puri tutta la melma di menzogne, inganni, violenze, ingiustizie che lo circondavano sapendo di avere in Sé l'autorità di fare quello che Giovanni Battista aveva annunciato: pulire col ventilabro la sua aia e bruciare la pula "con fuoco inestinguibile" (Luca 3:17). Ma avendo deciso, in comunione col Padre, di non farlo a motivo degli eletti, ha superato la tentazione per l'amore che l'aveva spinto ad accettare il compito di raccogliere il grano nel suo granaio.
E' possibile però che in quelle notti di solitaria sofferenza in preghiera si sia "sfogato" col Padre celeste anche con parole provenienti dai salmi imprecatori.
In relazione a Giuda si pone anche una domanda teologica: può Dio amare Satana? La questione è fastidiosa, e non pochi la risolvono eliminando del tutto il fattore Dio; altri invece lasciano Dio ma tolgono Satana, il fattore più intrigante. In ogni caso per loro il problema non si pone. Grave errore, perché quando si fa intervenire l'amore nella realtà dei fatti, certi quesiti possono rimanere senza risposta.
Sul piano umanistico si pensa all'amore come a un'enorme riserva di energia positiva a cui i buoni attingono, mentre altri, detti cattivi, ne fanno poco uso per costituzione propria o per scelta errata. Così si pensa che tutti, anche i più delinquenti o i più disgraziati, potrebbero essere soccorsi o rieducati se trovassero qualcuno provvisto di una sufficiente dose di energia positiva d'amore che fosse disposto ad usarla a beneficio di chi ne ha bisogno.
Per questa via si possono trovare parziali rimedi in certi casi, ma non in tutti. Espressioni di amore genuino possono anche provocare risposte di odio altrettanto genuino. Più amore si dona, più odio si riceve in cambio. Questo accade quando l'amore umano, che rimanda comunque all'amore di Dio anche nelle sue forme più imperfette, incontra qualcuno che per potersi avvalere delle armi efficaci messe a disposizione da Satana ha dovuto indossare una corazza, proveniente dalla stessa ditta, imposta ai combattenti di quell'esercito al fine di proteggersi dagli attacchi del campo avverso: un'autentica corazza contro ogni possibile "freccia d'amore". Perché Satana, che odia il Dio d'amore, si sente minacciato ogni volta che avverte indizi che rivelano la presenza del suo Avversario. E reagisce duramente, o con più violenza o con più menzogna.
"Mi hanno reso male per bene, e odio in cambio d'amore": non è forse questa l'esperienza di Davide nel salmo 109? Come servo di Dio, Davide ha amato quelli che considerava amici perché combattevano insieme a lui le medesime battaglie, ma le loro parole e le loro azioni li hanno alla fine rivelati come servi di Satana. Allora l'amore di Davide è finito e si è trasformato in odio.
E questo è giusto, perché Satana non si può amare. Non è possibile un "processo di pace" fra i due campi avversi. E' invece tuttora in corso un processo di guerra per la conquista degli uomini e del mondo. Ma di questo si conosce già il nome del vincitore: Gesù Cristo.
In conclusione, si può sperare di comprendere il salmo 109 nella sua incredibile stranezza soltanto inserendolo nella storia di Gesù Messia. E poiché questa ha il suo centro nella "pazzia" della croce, terminiamo con una citazione tratta dalla prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinzi (1:18-25): «La parola della croce è pazzia per quelli che periscono; ma per noi che veniamo salvati è la potenza di Dio. Poiché sta scritto: "Io farò perire la sapienza dei savi e annienterò l'intelligenza degli intelligenti." Dov'è il savio? Dov'è lo scriba? Dov'è il disputatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa pazza la sapienza di questo mondo? Poiché, visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la pazzia della predicazione. Poiché i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza; ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Gentili pazzia; ma per coloro che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini».
M.C.
(6. fine)
(Notizie su Israele, 18 settembre 2022)
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Siria: cinque militari uccisi in un attacco israeliano contro l’aeroporto di Damasco
Israele ha sferrato nella notte un attacco aereo contro l’aeroporto internazionale di Damasco, in Siria, e altre posizioni a sud della capitale, uccidendo almeno cinque militari siriani. Lo riferisce l’agenzia di stampa governativa siriana “Sana”, citando una fonte militare. “La difesa aerea siriana ha respinto l’aggressione e abbattuto la maggior parte dei missili”, ha detto la fonte. Il ministero dei Trasporti siriano ha annunciato che non ci sono modifiche ai voli da e per l’aeroporto internazionale di Damasco, che starebbe quindi operando normalmente.
Secondo il quotidiano israeliano “Jerusalem Post”, lo Stato ebraico ha intensificato gli attacchi agli aeroporti siriani per interrompere le linee di rifornimento e le crescenti consegne di armi da parte dell’Iran agli alleati in Siria e Libano, incluso il Hezbollah, il “Partito di Dio”. Teheran ha scelto di utilizzare il trasporto aereo come mezzo più affidabile per portare equipaggiamenti militari alle sue forze sul terreno e ai combattenti alleati in Siria, dopo lo stop ai trasferimenti via terra. Centinaia di migliaia di persone sono morte e milioni di siriani sono sfollati da quando le proteste contro il presidente siriano Bashar al Assad nel 2011 si sono trasformate in una guerra civile che ha coinvolto potenze straniere, dividendo la Siria in aree di influenza.
(Nova News, 17 settembre 2022)
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Siria, la situazione è critica: e Israele la trasforma in terreno di guerra per procura
di Amer Al Sabaileh
In questo breve post vediamo quale è la situazione che vede la sempre crescente frequenza di attacchi israeliani alla Siria: non è solo il numero ad essere aumentato ma anche e soprattutto la caratura degli obiettivi strategici. Gli attacchi israeliani indicano chiaramente che Israele prende di mira gli interessi, le milizie e l’arsenale dell’Iran in Siria piuttosto che l’esercito siriano stesso. Con il tempo, la Siria è diventata un campo di guerra per procura, all’interno dello scenario più ampio del conflitto iraniano-israeliano. Le operazioni israeliane in Siria stanno diventando più sofisticate e sono il risultato di colossali sforzi di intelligence contro le manovre dell’Iran e di Hezbollah. Questo sviluppo è stato ulteriormente rafforzato dal fatto che la presenza russa in Siria non ha influenzato la capacità o la volontà di Israele di attaccare l’Iran in Siria. Inoltre, anche i recenti attacchi a siti strategici come aeroporti e porti e obiettivi principali vicino alle postazioni militari russe in Siria hanno avuto un incremento, senza che questo abbia implicato alcuna reazione russa o siriana che sicuramente non limita né tantomeno impedisce a Israele di aumentare la sua strategia di intervento. Attraverso l’adozione di tali strategie e tattiche Israele sta trasformando la Siria in un terreno di conflitto aperto per procura, che lo aiuta a eliminare i rischi interferendo nelle primissime fasi dell’aumento dell’uso iraniano delle linee di rifornimento aeree per fornire armi ai suoi alleati in Siria e Libano. Anche se Israele insiste sul fatto che i suoi attacchi prendono di mira solo l’attività iraniana e di Hezbollah e non l’esercito siriano, la maggior parte degli attacchi israeliani mira a indebolire le capacità difensive siriane e a interrompere qualsiasi consegna di armi iraniane a Hezbollah in Libano. Questa situazione potrebbe essere interpretata come una tattica israeliana per non dare alla Russia alcun alibi per agire mentre tiene aperte le porte alla Siria con i negoziati per il rilancio dei colloqui di pace congelati dal 1997, soprattutto con l’inaugurazione di una nuova fase di pace tra Israele e gli arabi. Una nuova fase che include anche i paesi del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti che intrattengono ottime relazioni sia con la Siria sia con Israele e che potrebbero percepire questa situazione come un’opportunità per agire da mediatore, un ruolo che darà a questa piccola monarchia del golfo uno status di importanza regionale. L’attuale situazione in Siria è decisamente critica, soprattutto considerando la ricomparsa del terrorismo nella parte meridionale del Paese, senza dimenticare le condizioni in cui versa il nord est. Oltre al rischio di una nuova ondata di terrorismo nella capitale Damasco che potrebbe ulteriormente deteriorare la situazione esistente caratterizzata da forti difficoltà che potrebbero bloccare ogni possibilità di risoluzione per la crisi in Siria. Mentre gli attacchi israeliani potrebbero non diminuire né di numero né rispetto agli obiettivi, il flusso di armi dall’Iran ai suoi alleati e il successo nel consegnare queste armi a vecchi o nuovi alleati in Libano potrebbero essere visti dagli iraniani come una delle tattiche più efficaci per contrastare l’aggressiva campagna militare e di intelligence israeliana. Pertanto, si prevede un’ulteriore escalation nella guerra per procura con entrambe le parti che identificheranno la Siria come la principale area di confronto.
(il Fatto Quotidiano, 17 settembre 2022)
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Non solo omaggi per Godard, Darmon: ‘Odiava gli ebrei’
Le accuse, raccolte da France 5, arrivano dall’attore franco-marocchino Gérard Darmon: ‘Temo di essere un po’ controcorrente...’
Non solo omaggi in Francia per Jean-Luc Godard, il grande regista franco-svizzero scomparso martedì all’età di 91 anni. A spezzare il fiume di elogi nei confronti del cineasta simbolo della Nouvelle Vague è stato l’attore franco-marocchino Gérard Darmon, che intervistato dalla tv pubblica France 5 ha accusato Godard di antisemitismo. Godard? ‘Temo di essere un po’ controcorrente parlando di questo signore, che è stato il regista che è stato, anche se non era il mio genere, ma soprattutto l’uomo non molto benevolo nei confronti della mia comunità, per gli ebrei in generale e per Israele in particolare", ha dichiarato l’attore, uscendo dal coro di riconoscimenti al regista recentemente scomparso, durante il talk show ‘C à Vous’ di France 5.
Noto per la sua vena polemica, Godard – apertamente pro-palestinese durante la sua vita – suscitò polemiche negli Stati Uniti, nel 2010, per le sue posizioni su Israele e gli ebrei, subito prima di ricevere l’Oscar alla carriera. Con la compagna, Anne-Marie Miéville, realizzò, tra l’altro, ‘Ici et Ailleurs’, un documentario che paragonava ebrei e nazisti e che all’epoca – era il 1979 – fece scandalo. Nell’intervista alla giornalista Anne-Elisabeth Lemoine, Darmon si è riferito, in particolare, alle dichiarazioni attribuite a Godard dallo scrittore Alain Fleischer: nel 2006, sul set del documentario ‘Morceaux de conversations’, il regista di ‘A bout de souffle’ avrebbe dichiarato, secondo Fleischer, che "gli attentati kamikaze dei palestinesi per arrivare alla creazione di uno Stato palestinese assomigliano in fin dei conti a ciò che fecero gli ebrei lasciandosi condurre come delle pecore e sterminare nelle camere a gas, sacrificandosi in questo modo per arrivare all’esistenza dello Stato d’Israele". Parole "assolutamente inammissibili", ha protestato Darmon, accusando Godard di "antisemitismo", "negazionismo" e "revisionismo". E ha aggiunto: "Penso di essere rimasto più colpito dalla morte della Regina Elisabetta che da quella di Godard, mi dovete perdonare ma non posso ammirare qualcuno che odiava a tal punto gli ebrei. Pace all’anima sua, ma non è qualcuno che apprezzo, che amo. È tutto ciò che ho da dire".
(la Regione, 17 settembre 2022)
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E Facebook riporta alla luce la storia di Mario e Agnese “Giusti tra le Nazioni”
Nel settembre 1943 nascosero a Vinadio una famiglia ebrea in fuga dalla Francia
di Vanna Pescatori
La provincia Granda ha due nuovi Giusti tra le Nazioni: i vinadiesi Mario Giordano e Agnese Laugero. La consegna del riconoscimento istituito dallo Yad Vashem di Gerusalemme avverrà la prossima settimana, ma la data deve essere ancora ufficializzata dall’Ambasciata di Israele. Verrà dato alla famiglia alla memoria della coppia, protagonista di una storia eroica ma che – spiega la figlia Luigina – «Per i miei genitori era del tutto normale. Siamo noi, oggi, a provare un grande orgoglio».
Era il settembre 1943, Zaccaria Griener, pellicciaio di Nizza e sua moglie Elena con la figlia tredicenne Charlotte raggiungono Vinadio attraverso il Colle della Lombarda, per cercare rifugio in Valle Stura. Sono alloggiati all’Albergo Italia, ma è troppo esposto e gli viene consigliato di salire nel vallone di Neraissa. Riprende Luigina: «Incontrarono i miei genitori che parlavano molto bene il francese perché, dopo il matrimonio nel 1934, erano emigrati in Francia, tanto che i loro primi tre figli: Mario, Giuseppe e Marcello sono nati ad Arles». Mario e Agnese offrono ai fuggiaschi una casa nella borgata Brutin, ma poi gli lasciano la loro che è più in alto, in borgata Podio. Riprende Luigina: «Per i miei genitori dare ospitalità era un fatto naturale: erano stati stranieri, per questo la loro casa è stata sempre aperta a tutti e per tutti c’era un piatto caldo di minestra». Elena aspetta un bambino che nasce nel marzo 1944 nell’ospedale di Vinadio, protetta da tutto il paese.
Lucien viene registrato come «figlio di coppia ariana», ma il pericolo è grande. I coniugi Giordano nascondono i Griener fino alla Liberazione, e nel frattempo nasce nel ’45 Luigina. Agnese ha un parto difficile che la debilita, Elena allatta la neonata insieme con suo figlio. E’ un legame strettissimo che si mantiene anche quando, a guerra finita, i Griener vanno a Parigi. Diventata adulta, («Me la ricordo bellissima» dice Mario che all’epoca aveva sei anni), Charlotte si sposa e si trasferisce negli Stati Uniti. Lucien ritorna a Vinadio alcune volte, l’ultima con la fidanzata per cercare l’atto di nascita per sposarsi, ricorda Marisa, la figlia dei Giusti nata nel 1958.
Zaccaria, ormai vedovo, viene a Vinadio negli Anni Ottanta, poi le famiglie si perdono di vista. Nel 2016, grazie a Facebook, Gloria Degioanni, figlia di Luigina, riesce a ritrovare Lucien. «Avevamo scritto a un indirizzo parigino, ma la lettera ci è tornata indietro – spiega -, fino a quando attraverso Facebook non ho trovato due nomi, un maschio e una femmina, con il cognome Griener. Ho scritto alla ragazza: era la figlia di Lucien che poi con la moglie è venuto a trovarci». Lucien, oggi cardiologo, ha voluto avviare la richiesta di riconoscimento di «Giusti tra le Nazioni» per Mario e Agnese.
Determinante è stata un’intervista che Charlotte, morta anni fa, ha rilasciato nel 1995, alla Fondazione istituita dal regista Steven Spielberg, per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah, fra cui Enzo Cavaglion e Beppe Sajeva.
Charlotte ricordava benissimo tutto.
(La Stampa, 17 settembre 2022)
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Il silenzio che urla
“Ecco il mio libro sull’attentato alla Sinagoga di Roma, per far conoscere ai giovani una storia italiana” – Intervista a Gadiel Gaj Tachè
di Ariela Piattelli
Ritorna con un’immagine, una frase, e anche in un sogno. L’incubo di un attentato quando lo vivi non ti lascia più e continua ad affacciarsi nella tua vita ogni volta che trova uno spazio, un richiamo, una piccola crepa. Gadiel Gaj Tachè il suo incubo, quello che non finisce dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre ’82, lo ha visto tornare ogni giorno nell’assenza di suo fratello Stefano, ucciso nell’attacco per mano dei terroristi palestinesi a soli due anni, e nelle schegge della bomba che gli esplose accanto e che lo ferì per sempre. Per molti anni Gadiel non ha mai raccontato il dolore privato, la denuncia pubblica ad uno Stato che non ha protetto gli ebrei di Roma quel giorno, ad un’Italia che ha rimosso quella memoria ancora famelica di verità. Non lo ha fatto, anche se quel dolore lo accompagnava forte ma silente in ogni singolo istante della sua vita. Poi Gadiel è arrivato a parlarne, e adesso, dopo un lungo processo di gestazione, ha scelto di scriverne in Il silenzio che urla (Giuntina), un libro importante, scritto come un diario intimo in cui c’è tutto il suo dolore e le tappe della vicenda privata, e come un racconto d’inchiesta che ricostruisce in un linguaggio diretto fatti e rivoli di una storia che ancora oggi resta sospesa. Shalom ha intervistato Gadiel Gaj Tachè.
- Gady, era il 2011 quando hai iniziato a parlare dell’attentato e del tuo vissuto. Adesso esce il tuo libro. Come ci sei arrivato? È il quarantesimo anniversario che ti ha spinto a farlo? Questo libro ha avuto una gestazione molto lunga. In un certo senso è una cosa che mi girava in testa da tanti anni. Nel 2015, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi, scattò una molla dentro di me. Mi sentivo in prima linea nella lotta contro il terrorismo. Pensai che era un dovere per me far conoscere la storia del 9 ottobre per far sapere all'opinione pubblica italiana che il nostro paese era stato già colpito in modo molto duro dal terrorismo internazionale. Capii che non solo era importante che io continuassi a parlare della mia storia, ma era indispensabile che facessi qualcosa che potesse restare. Naturalmente dall'idea iniziale ci è voluto molto tempo e un grande lavoro su me stesso per poterlo realizzare.
- Colpisce molto che nel tuo libro dosi le emozioni, quindi il racconto della tragedia, e la spiegazione dei fatti, di ciò che portò al 9 ottobre ’82. Ho cercato di scrivere questo libro come se fosse un diario. Come se parlassi a me stesso. Io non sono uno storico. Non sono un ricercatore. E non sono uno scrittore. Quindi misurarmi con tutte le informazioni relative a quel periodo nefasto, fare i conti con le mie emozioni e mettere tutto nero su bianco non è stato facile. Ma ho fatto del mio meglio per cercare di dosare le emozioni che provavo mentre scrivevo con la razionalità necessaria per ricostruire i fatti in modo più distaccato possibile.
- In questi anni ti sei immerso nei documenti, nella storia e in molti suoi rivoli legati all’attentato alla Sinagoga. In questa ricerca di verità hai scoperto molte cose che prima non conoscevi. Puoi condividere con noi un particolare, un documento, un fatto, che ti ha rivelato o confermato aspetti della vicenda? Tra i documenti che ho avuto modo di visionare presso l'Archivio centrale dello Stato, ci sono molte informazioni che mi hanno particolarmente colpito. Ad esempio ho trovato ben 17 segnalazioni che il SISDE inviò tra giugno e settembre 1982 per avvertire dell'imminente pericolo di attentati contro obiettivi ebraici ed israeliani. In una di queste segnalazioni si elencavano persino i luoghi di ritrovo ebraici che sarebbero stati in pericolo. Tra cui scuole, centri comunitari e templi. Il che mi fece capire che lo Stato italiano non era all'oscuro di un pericolo imminente per una parte consistente dei suoi cittadini. Inoltre trovai una delle prime dichiarazioni della ex fidanzata di Al Zomar (unico personaggio riconosciuto responsabile dell'attentato e condannato all'ergastolo in contumacia dalla giustizia italiana). La ragazza, subito dopo l'arresto del giovane, dichiarò che il suo fidanzato le avrebbe confessato di essere stato tra i responsabili dell'attacco e che avrebbe ricevuto l'incarico dall'Olp. Questo documento mi ha colpito più di tutti. Avevo sempre saputo che il mandante dell'attentato alla Sinagoga fu Abu Nidal, leader di una fazione Palestinese ritenuta in contrapposizione con l'Olp di Arafat. Scoprire oggi che Al Zomar confessò alla fidanzata di aver ricevuto l'ordine dall'Olp mi fece praticamente saltare dalla sedia.
- Mi hai spesso detto che la tua urgenza è quella di consegnare la memoria del 9 ottobre ai ragazzi. Leggendo il tuo libro, ciò che emerge, è che oltre ad aver condiviso e consegnato alla società civile una testimonianza importantissima, che tutti gli italiani dovrebbero leggere per conoscere quella pagina di storia del nostro Paese, hai creato uno strumento di conoscenza per i giovani e gli studenti. È questo che ti ha mosso a scrivere?
Il mio primario obiettivo sono sempre stati i giovani. Loro sono il nostro futuro e dovranno essere loro a portare avanti la memoria. Il sogno della mia famiglia è sempre stato che questa importante pagina di storia fosse studiata nelle scuole, quindi il mio intento era proprio questo. Fornire ai ragazzi uno strumento semplice ed efficace che potesse aiutarli a comprendere e ad approfondire questa vicenda.
- In questi 40 anni cosa è cambiato della memoria del 9 ottobre ’82?
Per molti anni la memoria del 9 ottobre è stata un po’ messa da parte. Per troppo tempo, la società italiana, ha considerato questa storia una tragedia di qualcun altro. Come se fosse un evento che aveva riguardato solo gli ebrei. In questi ultimi anni, specialmente dopo il discorso di insediamento per il suo primo settennato del Presidente Sergio Mattarella, la storia dell’attentato alla Sinagoga di Roma ha avuto una risonanza maggiore nei media e nell’opinione pubblica. C’è ancora molto da fare ma credo che siamo sulla strada giusta.
- Continuerai a cercare la verità? E pensi che questa possa portare ad avere giustizia? Certamente la verità va ricercata sempre. Spero che il mio libro possa riportare questa vicenda all’attenzione della società italiana. Quanto alla giustizia ci credo poco visto che sono passati 40 anni. Anni di domande sospese senza risposta, ad esempio quella sulla mancata vigilanza alla Sinagoga di Roma nel 9 ottobre ’82. Ma se rinunciassimo a cercare la verità e a chiedere giustizia sarebbe una sconfitta per tutti noi e per l’Italia intera.
(Shalom, 16 settembre 2022)
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Israele e Unione Europea firmano accordo di intelligence per contrastare il terrorismo
Secondo l’accordo, le forze dell’ordine israeliane potranno condividere e ricevere informazioni con le loro controparti europee in tempo reale.
di Livio Varriale
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La polizia israeliana ha concluso mercoledì un accordo con l’Unione Europea per condividere l’intelligence con l’Agenzia dell’Unione Europea per la Cooperazione con le Forze dell’Ordine, più comunemente nota come Europol. Secondo il nuovo accordo, le forze dell’ordine israeliane potranno condividere e ricevere informazioni con le loro controparti europee in tempo reale. L’accordo si concentra sulle informazioni relative ai reati gravi e al terrorismo.
• Un’altra pietra miliare nella cooperazione Israele-UE Haim Regev, l’ambasciatore israeliano presso l’Unione Europea che era presente alla firma, ha scritto su Twitter di essere “felice di concludere” i negoziati con Europol, notando che l’accordo segna “un’altra pietra miliare nel rafforzamento della cooperazione tra Israele e l’UE”. Le nuove capacità di intelligence di Israele sono destinate a rafforzare in modo significativo la capacità della polizia di mantenere la sicurezza pubblica, si legge in una dichiarazione del governo. Per il Ministro della Pubblica Sicurezza Omer Bar Lev è stato cruciale assicurare l’accordo, dato che il suo mandato di ministro probabilmente terminerà presto, ha dichiarato dopo la notizia dell’accordo. “Poiché la criminalità e il terrorismo raggiungono un livello senza precedenti in tutto il mondo, era importante portare a termine i lunghi negoziati per rafforzare la cooperazione tra le agenzie”. “Il nemico che abbiamo di fronte è diventato sfuggente, sofisticato e sempre più finanziato”, ha affermato il ministro della Pubblica sicurezza. “Questo accordo rafforzerà le capacità della Polizia di Israele e del Ministero della Pubblica Sicurezza”.
• Cooperazione israelo-europea: Uno dei principali obiettivi di Lapid L’accordo si aggiunge a una serie di accordi in diversi settori di cooperazione tra Israele e l’Europa. Nel 2018, la polizia israeliana ha firmato un accordo con Europol per espandere la cooperazione nella lotta alle attività criminali transfrontaliere. In un comunicato, Europol ha affermato che il nuovo livello di cooperazione tra l’agenzia e Israele “sarà importante per affrontare le aree di criminalità prioritarie che interessano sia l’UE che Israele, come le frodi, la criminalità informatica e il terrorismo”. Israele ha anche collaborato con l’UE su programmi e iniziative culturali. A giugno è entrato nel programma Europa Creativa dell’UE, che promuove la cooperazione culturale tra gli artisti delle nazioni partecipanti, nonostante includa una “clausola territoriale” che riconosce solo i territori israeliani sovrani, escludendo quindi la Cisgiordania. Tuttavia, si tratta di un altro passo fondamentale verso l’aumento della cooperazione di Israele con l’Europa, uno degli obiettivi fissati dal primo ministro Yair Lapid al momento della formazione del governo uscente lo scorso anno. A maggio il Jerusalem Post aveva riportato che Israele e l’UE erano in trattative per esportare il gas israeliano in Europa attraverso l’Egitto, colmando il vuoto lasciato dalle sanzioni alla Russia a causa della sua guerra contro l’Ucraina. All’inizio di questa settimana, il primo ministro ha dichiarato che nel 2023 Israele intende fornire circa il 10% del gas che l’Europa ha ricevuto dalla Russia lo scorso anno. L’ultimo accordo tra Israele e l’UE è soggetto all’approvazione di entrambe le parti, come da procedura standard, si legge nel comunicato.
(Matrice Digitale, 16 settembre 2022)
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A due anni dagli Accordi di Abramo, ad Abu Dhabi si celebra il più grande matrimonio ebraico degli Emirati
Centinaia di ebrei da tutto il mondo si sono radunati ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, a pochi giorni dal secondo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche con Israele per festeggiare il più grande matrimonio ebraico nella storia degli Emirati Arabi Uniti. Gli sposi novelli, emissari del movimento Chabad insediati in questo Paese, avevano scelto questa data, sotto forma di omaggio all’anniversario della firma degli accordi. Circa 1.500 persone, tra cui dignitari e membri della famiglia reale degli Emirati, nonché rabbini di tutto il mondo, hanno partecipato al matrimonio del rabbino Levi Duchman, 29 anni, nato a Brooklyn e residente negli Emirati Arabi Uniti dal 2014, con Léa Hadad, 27 anni , da Bruxelles, secondo le informazioni del dipartimento delle relazioni con i media del movimento Chabad-Lubavitch. Questo matrimonio “è motivo di orgoglio nazionale, testimonianza viva dell’impegno degli Emirati per la convivenza e il pluralismo religioso”, si legge in una pubblicazione all’attenzione dei media. Gli emissari Chabad generalmente rimangono per molti anni nel paese di assegnazione e vengono spesso inviati in coppia. Solo pochi rabbini sono nominati capi emissari, come Duchman, prima del loro matrimonio. Negli ultimi otto anni, Duchman ha supervisionato l‘apertura di una scuola ebraica e di una scuola di lingua ebraica, un mikveh e un’agenzia di certificazione kashrut approvata dagli Emirati. Secondo lo stesso comunicato, la comunità ebraica negli Emirati sarebbe di poche migliaia di persone.
(Bet Magazine Mosaico, 16 settembre 2022)
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Walker Meghnagi, il presidente della comunità ebraica di Milano: "La cultura per combattere l'antisemitismo"
Domenica 18 settembre la sinagoga di via Guastalla aprirà le porte per la Giornata europea della cultura ebraica: "Rilancio il mio appello a tutti i partiti perché espellano chi ha fatto dichiarazioni o atti antisemiti".
di Zita Dazzi
- Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica milanese, domenica si celebra anche a Milano la Giornata europea della Cultura ebraica. Ricorrenza che vedrà arrivare in sinagoga, in via Guastalla, moltissimi intellettuali e studiosi da tutto il mondo. Un evento che serve anche a combattere l'antisemitismo? "Certo, occorre parlare di cultura per combattere l'antisemitismo sempre in agguato. L'Italia in Europa è il Paese dove la situazione è migliore da questo punto di vista. Il popolo italiano non è antisemita, anche se purtroppo anche qui, ci sono segnali di crescita degli episodi".
- Siamo alla vigilia delle elezioni e i sondaggi annunciano grandi novità politiche. Siete preoccupati? "Rilancio il mio appello a tutti i partiti perché espellano le persone che hanno fatto dichiarazioni o atti antisemiti. L'ho chiesto a destra e a sinistra, ma nessuno ha il coraggio di sbatterli fuori".
- Prevede un aumento di questi fenomeni dopo le elezioni? "Non so. Ma chiunque vinca, faccia interventi sulla scuola per contrastare il risorgere di una cultura antisemita. Se non si educa la popolazione a respingere certi atteggiamenti, non se ne verrà mai a capo. Pensiamo ai cori razzisti che si sentono negli stadi. Io non accetto che questo succeda: ci vuole più impegno da parte dello Stato e delle istituzioni perché i bambini vengano educati fin da piccoli su questi temi".
- La senatrice Liliana Segre e il parlamentare Emanuele Fiano, sono sotto scorta per le minacce. "Anche io sono stato sotto scorta, abbiamo le forze dell'ordine davanti alle nostre sinagoghe: questa è la situazione. Liliana Segre a 92 anni, con la sua storia, subisce minacce e le riceve anche Fiano, che da tanti anni si spende nelle istituzioni per questo Paese, con una dedizione totale. Abbiamo avuto posizioni politiche diverse, ma lo stimo per l'impegno che mette nel suo lavoro in Parlamento. Mi spiace che il Pd l'abbia candidato in un collegio così difficile. Spero proprio che vinca".
- La sua competitrice, Isabella Rauti, si è sottratta a un confronto pubblico con lui organizzato da Repubblica. "È assurdo. Ricordo che quando Fini creò Alleanza Nazionale proprio per tagliare i ponti con un passato impresentabile, suo padre, Pino Rauti, ne uscì e rifece l'Msi. Questa è la storia e non si può rinnegare. Mi spiace molto per Fiano perché diventa un'offesa personale".
- Perché gli ebrei sono sempre perseguitati dall'odio? "È inspiegabile e doloroso. Noi siamo italiani di religione ebraica, è difficile trovare un ebreo razzista, io sono nato in Libia, a Tripoli, nel 1950. Ho una figlia che lavora a Bollate e si dedica ai migranti, io potevo essere uno dei barconi, uno di colore. Non ammetto il razzismo verso gli altri popoli, così come non lo ammetto verso gli ebrei. È un problema di cultura, innanzitutto".
- Che cosa si può fare? "L'iniziativa di domenica serve anche a questo, è rivolta alla città di Milano. Speriamo che tanti vengano in sinagoga ad ascoltare i grandi ospiti che avremo. L'antisemitismo nasce perché molti non sanno nemmeno cosa sono gli ebrei, che cos'è l'ebraismo, cosa facciamo per il mondo, oltre che per noi stessi. La giornata è dedicata al "Rinnovamento" e sarà l'occasione per dimostrare che la nostra religione si rinnova mantenendo le tradizioni. Parleremo ovviamente anche di Israele, perché chi è anti-israeliano è anche antisemita, come disse il presidente Napolitano".
- Liliana Segre ha invitato Chiara Ferragni al Memoriale della Shoah. "Un'idea geniale, che sottolinea appunto come si possa e si debba innovare per spiegare al mondo chi sono gli ebrei e qual è la loro storia".
- Nella comunità è tornata la pace? "Sì, lunedì scorso abbiamo stretto un'alleanza di cui sono felicissimo. Abbiamo condiviso fra maggioranza e opposizione scelte ed assessorati. Ci sono tanti problemi da affrontare dopo il Covid, l'aumento dei poveri, la gente senza lavoro. C'è bisogno di positività, Sono molto felice che siamo riusciti trovare l'armonia fra di noi".
(la Repubblica, 16 settembre 2022)
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Con Aerospazio, il Piemonte punta a Parigi e Tel Aviv
TORINO – L’industria piemontese dell’aerospazio chiude molte trattative all’estero e si conclude oggi la missione d’una decina di imprese piemontesi in Israele dove si è svolta, per la prima volta in questo paese, un’edizione degli Adm (Aerospace & defense meetings).
Il mercato israeliano rappresenta un potenziale importante di crescita. In agenda 170 incontri “b2b” per soddisfare con future commesse le esigenze d’un mercato, quello israeliano, costituito da una sessantina di aziende particolarmente potenti in alcuni settori, come quello dei droni, dell’atterraggio e decollo automatico, di robot e componenti. Le aziende piemontesi lavorano già coi tre big player locali – Iai, Rafael e Elbit – e l’obiettivo della missione è consolidare le relazioni commerciali alla luce della necessità di Israele di diversificare i canali di acquisizione e ampliare le forniture a fronte delle difficoltà di reperimento delle materie prime.
Dopo Tel Aviv l’aerospazio fa rotta verso Parigi, dove da domenica è in programma lo Iac, il principale congresso internazionale del settore. Qui sono 12 le aziende del distretto che cercheranno di stringere affari con operatori internazionali. Parteciperanno realtà come Airbus Defence & Space, Axiom, Astrobotic, Virgin Galactic, Australian Space Agency, Austrade, Clearspace, Dubay Space Agency, Nanoracks, Space X e Voyager Space. Nello stand del Piemonte transiterà anche l’americana Blue Origin, la società del fondatore di Amazon Jeff Bezos per i voli spaziali. Con Ceipiemonte i contatti sono iniziati l’anno scorso a Dubai, durante un salone sull’aerospazio, e poi nella missione di inizio anno, quando il Piemonte ha partecipato agli eventi Expo.
(Alessandria Oggi, 16 settembre 2022)
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La carne creata in laboratorio potrebbe diventare meno costosa grazie al tabacco
In Israele una start-up punta a usare le piante di tabacco come fattori di crescita per produrre carne in laboratorio attraverso l’agricoltura cellulare.
Usare le piante di tabacco come bioreattori potrebbe rendere la produzione di carne in laboratorio molto meno costosa. È su questo che sta lavorando BioBetter, start-up con sede in Israele, paese dove il settore biotech in ambito alimentare è in prima linea nella ricerca di modalità per produrre cibo con un impatto inferiore sull’ambiente. Uno degli alimenti più “sporchi” a livello di inquinamento è proprio la carne. Tra le alternative al classico sistema degli allevamenti emerso negli ultimi anni c’è l’agricoltura cellulare, cioè la replicazione del processo di rigenerazione dei tessuti della carne sfruttando le cellule dell’animale in condizioni controllate in laboratorio.
• Carne creata in laboratorio meno costosa L’agricoltura cellulare, però, presenta un problema: gli alti costi delle “materie prime” usate in laboratorio. Costi che si riflettono a loro volta sul prezzo finale, proibitivo per i consumatori che così non possono permettersi la carne in provetta. L’idea di BioBetter di utilizzare le piante di tabacco punta proprio ad abbattere i costi di queste materie prime usate per la carne creata in laboratorio. Ma di cosa stiamo parlando? Il costo maggiore è rappresentato dai terreni di cultura, soluzioni solide o liquide contenenti sostanze nutritive (come glucosio, amminoacidi e vitamine) su cui è possibile crescere cellule. A questo si aggiungono poi i fattori di crescita (growth factors), proteine, a volte sono di derivazione animale, capaci di stimolare appunto la crescita della cellula. Si stima che solo questi due elementi assorbano tra il 55 e il 95 per cento dei costi marginali della produzione di cibo in laboratorio.
• Piante di tabacco come bioreattori Il problema potrebbe essere risolto grazie all’uso delle piante di tabacco, nello specifico di Nicotiana tabacum, come bioreattori per creare fattori di crescita di origine vegetale. Il bioreattore di solito consiste in un’apparecchiatura tecnologica usata per ricreare le condizioni ideali per la crescita degli organismi biologici desiderati. In questo caso saranno invece le piante, “bioreattori naturali, autosufficienti e animal free”, afferma BioBetter. La start-up vuole mettere a punto questo sistema per poi arrivare a fornire i growth factors alle realtà che praticano l’agricoltura cellulare con l’obiettivo di produrre carne in laboratorio. E già possiede una tecnologia di estrazione e purificazione che permette di sfruttare quasi l’intera pianta e, allo stesso tempo, fornire un prodotto di grande purezza su larga scala. Il taglio dei costi sarebbe significativo. In un’intervista al portale FoodNavigator, il Ceo di BioBetter Amit Yaari ha dichiarato che, in base ai dati in suo possesso, si stima che i prezzi dei fattori di crescita attualmente in commercio vadano dai 50mila ad addirittura un milione di dollari per un grammo di queste proteine. L’alternativa rappresentata dalle piante di tabacco permetterebbe di averli invece ad appena un dollaro per grammo.
• Gli obiettivi Forte di un round di finanziamento da 10 milioni di dollari da poco chiuso, BioBetter punta ad espandere le proprie strutture, scalare la produzione e commercializzare i fattori di crescita ottenuti dal tabacco entro il 2024. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, quindi, prima di capire se questa intuizione avrà un impatto positivo sul mercato della carne creata in laboratorio e, di conseguenza, sull’ambiente.
“La crescita della popolazione mondiale combinata con la riduzione delle risorse naturali è destinata a mettere in grande sofferenza l’offerta di carne – e il nostro già fragile ambiente – nei prossimi decenni”, ha spiegato in un comunicato della start-up lo stesso Yaari. “La carne coltivata rappresenta una soluzione promettente a questi problemi e può assicurare una catena di approvvigionamento più resiliente con migliori riflessi sia sul piano economico, che ambientale”.
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(Innaturale, 16 settembre 2022)z
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E' vero progresso?
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Un futuro cupo per l’Europa
di Gerardo Coco
L’anno scorso la Russia ha fornito il quaranta per cento del gas usato nell’Unione europea. Ma dal 31 agosto di quest’anno ha interrotto le forniture e gli attuali prezzi del gas nel Vecchio Continente sono aumentati di circa dieci volte rispetto al loro listino medio dell’ultimo decennio. L’Europa e gli Stati Uniti hanno accusato Vladimir Putin di “armare” l’energia. Francamente, non riusciamo a capire la logica di ciò che passa per la mente dei leader occidentali. Per loro va benissimo sanzionare la Russia e confiscare i beni dei russi, ma poi si lamentano se la Russia smette di fornire gas all’Europa. Putin taglierà tutto il gas all’Europa perché può facilmente venderlo altrove. E allora? Questa realtà ha implicazioni di ampia portata, perché significa lo smantellamento della sicurezza energetica europea. Con i prezzi del gas alle stelle, il tentativo dell’Unione europea di limitare i prezzi per i consumatori fallirà. Con l’inflazione già in corso, la crisi energetica porterà non solo al congelamento delle case in inverno, ma anche alla povertà su larga scala in Europa. L’energia è tutto. È sempre stato così. Se prendiamo qualsiasi Paese che nel passato è riuscito a ridurre la povertà e ad aumentare il tenore di vita, al centro di questo progresso c’è sempre l’energia. Più l’energia è a buon mercato, maggiore è il progresso. Ovviamente è vero anche il contrario. Il Continente europeo, il luogo di nascita della civiltà occidentale, la nostra civiltà, sta diventando molto più povero rapidamente. Forse è questo a cui si riferiva il presidente francese Emmanuel Macron quando di recente ha parlato della “fine dell’abbondanza”. Migliaia di persone stanno chiedendo ai loro governi di prevenire il disastro imminente. Ma i leader europei non hanno piani del genere, a esclusione della Gran Bretagna, che ha il petrolio del Mare del Nord. I Paesi europei hanno ridotto la produzione di combustibili fossili per perseguire l’agenda dell’energia verde. Sono loro ad aver optato, senza alcuna preparazione, per le tecnologie Swb che significa solare, eolico e batteria e che non possono essere potenziate nei momenti di maggior bisogno. Non lo sapevano che questo li avrebbe resi sempre più dipendenti dalla Russia? Se l’energia è vita e la mancanza di energia è morte, allora lo smantellamento della sicurezza energetica da parte dell’Europa equivale al suicidio della sua civiltà. Eppure, la leadership dell’Ue conosceva perfettamente le drastiche conseguenze di queste decisioni. E ora sta dicendo ai suoi cittadini che devono pagare il prezzo del razionamento energetico per difendere l’ordine mondiale “liberale”. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, usando con poca accortezza la retorica pandemica del Covid-19, ha dichiarato che il consumo di elettricità in Europa deve essere ridotto durante le ore di punta per “appiattire la curva”. Piuttosto che ammettere che lei e le politiche dei suoi colleghi globalisti sono responsabili della crisi, von der Leyen invece scarica le loro responsabilità sui cittadini europei che questo inverno dovranno vivere da poveri e al freddo gelido. Siamo di fronte all’esempio classico dell’irresponsabilità politica: il Governo europeo che ha creato questa crisi energetica chiede ora che il popolo soffra a causa della cattiva gestione dell’Esecutivo stesso. E questo sarebbe l’ordine liberale europeo da salvare? Quando i cittadini non possono più pagare le bollette, quando le imprese crollano e il Governo esaurisce i bonus-elemosina, l’economia è destinata a fallire e l’agitazione sociale è garantita. Gli Stati Uniti e i loro burattini europei hanno inviato miliardi in Ucraina, (un canale di riciclaggio per riempire le tasche al Partito Democratico americano e al Partito dei Servitori del Popolo ucraino pro-guerra) senza porre fine alle aggressioni della Russia. Continuando a perseguire politiche di distruzione dell’economia in nome della lotta al cambiamento climatico e in nome del patriottismo, l’Europa si è assicurata un futuro davvero molto cupo. Di conseguenza, anche le prospettive per la moneta comune sono fosche. Putin sta già strategicamente allineando il suo mercato alternativo per il carburante all’Asia in preparazione al taglio dell’Europa: in guerra si fornisce forse energia al nemico? Così si stanno verificando gli stessi presupposti che nel 1941 portarono a Pearl Harbor. Durante l’Amministrazione di Franklin Delano Roosevelt, i Neo-conservatori fecero esattamente quello che stanno facendo oggi. Odiavano i giapponesi, come oggi odiano i russi. Nel 1938 imposero pesanti sanzioni commerciali al Giappone seguite dalla chiusura del Canale di Panama, cercando di isolare il Giappone che, all’epoca, importava ferro e rame dagli Stati Uniti. Tre anni dopo, gli Usa fecero lo stesso. Proprio come quanto hanno messo in atto oggi con le riserve russe: sequestrarono tutti i beni giapponesi negli Stati Uniti come rappresaglia per l’occupazione dell’Indocina francese (che però non metteva a rischio la sicurezza nazionale americana). Seguì l’embargo delle esportazioni petrolifere provenienti dagli Stati Uniti e, infine, il divieto di ottenere petrolio da altre fonti. Fu l’ultima goccia per i giapponesi, che si impadronirono del sud-est asiatico per garantirsi le risorse energetiche. Per impedire alla Marina americana di ostacolare l’accesso al carburante nel sud-est asiatico, i giapponesi attaccarono Pearl Harbor. I politici hanno lavorato alacremente per creare i presupposti di una guerra con la Russia, tutti mascherati dal loro vero obiettivo di controllare il pianeta. Quando la crisi energetica sarà inevitabile per la persona media e il tenore di vita collasserà, i politici punteranno il dito contro la Russia e la Cina. E allora saranno guai per il mondo intero.
(l'Opinione, 16 settembre 2022)
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