Notizie 16-30 settembre 2024
Tirare drittodi Davide Cavaliere Tutti coloro che condannano le azioni dello Stato ebraico volte a contrastare la minaccia rappresentata dall’antisemitismo apocalittico di Hezbollah e Hamas, considerano Israele un progetto criminale e «coloniale». Quando si nutre un odio intenso e irrazionale per una nazione, ma per galateo e convenienza non si può chiederne direttamente la cancellazione dalle mappe, allora si invita quella nazione ad abbassare le armi, a diminuire le difese e a non reagire alle «provocazioni» – anche se si tratta di «provocazioni» mortali.
No, non siamo ancora alla vittoria totale, quella che Benjamin Netanyahu ha promesso a Israele a seguito dell’eccidio del 7 ottobre perpetrato da Hamas, c’è ancora molto lavoro da fare, ma il fatto evidente, incontrovertibile è il cambio di marcia. Nel giro di poche settimane, dopo un lungo, quasi interminabile anno in cui il paese è stato sottoposto a un assedio senza precedenti con sette fronti militari aperti, più un ottavo, non meno temibile e insidioso, come ha sottolineato qui David Elber il ruggito di Israele si sente forte e chiaro. La decimazione del vertice di Hezbollah con l’eliminazione a sorpresa del lord of terror Hassan Nasrallah, il massiccio bombardamento dei suoi arsenali che continua e continuerà, a cui è seguita ieri l’incursione aerea in Yemen per mettere in ginocchio la linea di rifornimento degli Houti, ha messo Teheran con le spalle al muro, ha pietrificato l’anziano Khamenei, il quale, pateticamente, invoca l’unità inesistente del mondo musulmano contro “l’entità sionista” (e quanto sia unito si è visto con festeggiamenti in Iran e in Siria per la morte di Nasrallah e l’ancora più eloquente silenzio tombale proveniente dal mondo arabo sunnita con in testa a tutti l’Arabia Saudita). Sì, c’è ancora della strada to finish the job, come esortava tempo fa Donald Trump e più recentemente ha esortato suo genero Jared Kushner, uno degli artefici degli Accordi di Abramo. A Gaza sono ancora prigionieri 117 ostaggi, non si sa quanti di loro vivi, Yayha Sinwar non è stato eliminato, e Hezbollah è tuttora operativo, ma, come un pugile barcollante sul ring prima del ko, l’asse del terrore guidato da Teheran non è in grado di rispondere. Proprio in un momento come questo, quando il vento soffia in poppa, bisogna evitare di cingersi frettolosamente il capo con l’alloro, e fingere, per scaramanzia, di essere solo all’inizio del cammino anche se in realtà si è molto avanti. Intanto, Benjamin Netanyahu, l’uomo dalle molte vite, che i suoi nemici sparsi ovunque davano per spacciato, incassa l’ingresso nel governo del vecchio e aspro rivale Gideon Sa’ar, fortificandolo e allontanando lo spettro di elezioni anticipate che una opposizione irresponsabile appoggiata da Washington ha cercato insistentemente di provocare in questi mesi.
(L'informale, 30 settembre 2024)
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Sa’ar entra nel governo, Bibi meno ricattabile da destra
Appena rientrato da New York, dopo il suo intervento all’Onu e con in mano il successo dell’eliminazione del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiamato l’ex rivale Gideon Sa’ar. I due hanno concluso un accordo che allarga la maggioranza (da 64 a 68 seggi in parlamento) e permette a Netanyahu di consolidare la sua posizione. Ora il premier sarà meno condizionato dalle pressioni del ministro della Pubblica sicurezza, Itamar Ben-Gvir, e dal peso dei suoi sei seggi alla Knesset. «Apprezzo il fatto che Gideon Sa’ar abbia risposto alla mia richiesta e abbia accettato di entrare nel governo. Questa mossa contribuisce all’unità tra di noi e alla nostra unità di fronte ai nemici», ha dichiarato il premier.
Per Sa’ar e il suo partito Nuova Speranza si tratta di una seconda volta. Avevano già fatto parte del governo di unità nazionale nato dopo il 7 ottobre. A marzo però Sa’ar aveva dato le sue dimissioni, contestando alcune scelte sulla gestione del conflitto. Ora rientra con una posizione più influente: farà parte del gabinetto di sicurezza di Netanyahu, l’organo in cui si decidono le strategie contro Hamas e Hezbollah. Per il momento Sa’ar sarà ministro senza portafoglio. Sperava di sostituire alla Difesa Yoav Gallant, ma l’opzione è sfumata la settimana scorsa. Quando i media locali hanno rivelato il possibile siluramento di Gallant, l’opinione pubblica ha contestato la scelta e Sa’ar ha fatto un passo indietro. Il cambio però, scrive l’emittente Kan, potrebbe avvenire più avanti visto lo scontro aperto tra l’attuale ministro della Difesa e il premier.
«Non ha senso continuare a stare all’opposizione, dove sulla questione della guerra la maggior parte delle posizioni sono diverse, persino lontane dalle mie. In questo momento, è mio dovere cercare di contribuire al tavolo dove si prendono le decisioni», ha dichiarato Sa’ar, definendo la sua decisione di unirsi al governo come «patriottica». Sa’ar è tra i contrari a un accordo con Hamas per lo scambio degli ostaggi in cambio di un cessate il fuoco. Per questo il suo ingresso nel governo è stato commentato con preoccupazione dal Forum delle famiglie degli ostaggi, che vorrebbe al più presto un’intesa per poter riportare a casa i 101 rapiti ancora prigionieri a Gaza.
Oltre alle decisioni sul conflitto, il voto di Sa’ar e degli altri tre parlamentari di Nuova Speranza potrebbe incidere in futuro su altri due punti: la controversa riforma della giustizia, al momento congelata, e la legge per la coscrizione degli studenti delle scuole religiose. Su quest’ultima si giocherà la tenuta dell’intera coalizione, vista la contrarietà dei partiti religiosi. Senza i loro 14 seggi, Netanyahu non ha la maggioranza.
(moked, 30 settembre 2024)
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Un altro miracolo compiuto da Israele
La guerra non è finita, ma a quasi un anno dall'attentato del 7 ottobre 2023, il popolo di Israele sta rinnovando la propria storia.
di Fiamma Nirenstein
Il prossimo 7 ottobre non sarà un anniversario di sole lacrime, di pura contrizione anche se la memoria è cocente. Il popolo d'Israele vive! E non era affatto scontato. Tutta la sua storia è fatta di miracoli: per salvarlo dal faraone si deve aprire il mare; dall'Inquisizione, dai pogrom, dalle altre aggressioni genocide; l'uscita è sempre incredibile e gli ebrei ne sono usciti fedeli a se stessi e alla tradizione Torah, e al ritorno a Gerusalemme, finché l'hanno realizzato. Il 1948 fu una guerra combattuta da reduci dei campi di concentramento eppure abbiamo vinto tutti gli eserciti arabi uniti nell'odio che ci marciarono addosso; e più avanti nel '67, nel '73... Tutte guerre vinte per un pelo, colpi di fantasia miracolosi, leader con idee salvifiche. Oggi nessuno avrebbe puntato un euro sull'idea che si potesse eliminare Nasrallah e tutta la sua gerarchia, pietrificando l'Iran cui abbiamo ridotto a pezzi anche l'altro proxy favorito, Hamas. E adesso abbiamo bombardato a 2mila chilometri di distanza l'altro suo incaricato speciale, gli Houthi, distruggendogli l'aeroporto da cui riceve armi e aiuti. Khamenei è nascosto sotto terra, gli sciiti iracheni e siriani aspettano il loro turno, le cinque capitali controllate da Teheran tremano. È una misura di giustizia come ha detto Biden, Israele se l'è costruita col suo stile impossibile, difendendo i suoi fra mille divieti e senza paura di fantasticare. Solo così si difende uno Stato giovane, attaccato da ogni parte. La guerra non è finita, Hezbollah aveva 100mila uomini: Netanyahu sa che la deve portare fino in fondo, nonostante la pressioni internazionali. Adesso ha capito che la sua stessa esistenza è a rischio se non ci sarà un «nuovo Medioriente». Strano, era il modo in cui Shimon Peres chiamava quello che doveva nascere da un accordo che si è rivelato fallimentare: per stabilire la pace che Israele ama più di se stesso, ha capito che anche la guerra deve essere vera, fino in fondo, altrimenti vince e ti uccide chi non la vuole. Questa è la lezione del nostro tempo per tutti.
Il popolo ebraico è il capofila di una pagina di storia in cui il mondo libero deve combattere al suo fianco, per la sopravvivenza. Per ora ha eliminato le due formazioni terroriste più pericolose del mondo: Hamas e Hezbollah. E sfida l'Iran. Vorrei sentire gli applausi, prego.
(il Giornale, 30 settembre 2024)
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"Il popolo ebraico è il capofila di una pagina di storia in cui il mondo libero deve combattere al suo fianco, per la sopravvivenza", afferma in tono lirico l'autrice aspettandosi gli applausi. Ancora una volta questa giornalista si fa prendere dall'entusiasmo e immagina un Israele "capofila" di popoli in un programma di salvezza del mondo da qualche cosa. In questo caso si tratta della sopravvivenza del "mondo libero". Qualche anno fa il mondo sarebbe stato salvato dal mortale pericolo del Covid tramite "il miracolo della vaccinazione" che sarebbe avvenuto per il ruolo di leader mondiale assunto da Israele nella trattazione dei vaccini 8 (ved.). Israele farebbe bene a guardarsi da certe autocelebrazioni. M.C.
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Gli errori di valutazione di Hassan Nasrallah
La guerra di Hezbollah gli si è ritorta contro, ampie zone del Sud sono distrutte e centinaia di migliaia di sciiti sono sulla strada o sostanzialmente rifugiati nel loro Paese
di Yaroslav Trofimov
Settimane dopo l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre, il leader del gruppo terrorista libanese Hezbollah ha tenuto un discorso fragoroso per spiegare perché i suoi uomini si stavano unendo alla lotta contro il “nemico sionista”. Israele «trema e trema per la paura, più debole di una tela di ragno», ha detto Hassan Nasrallah. A differenza dei precedenti conflitti con lo Stato ebraico, questa guerra «è storica e decisiva» e tutti i movimenti di resistenza sostenuti dall’Iran, dal Libano alla Siria, all’Iraq e allo Yemen, hanno il dovere di partecipare. Oggi Nasrallah è morto, così come gran parte dei vertici di Hezbollah. Il resto dell’organizzazione è stato decimato da una serie di colpi che hanno messo in luce una sorprendente penetrazione dell’intelligence israeliana. In retrospettiva, questo è stato il risultato di due errori strategici commessi da Nasrallah: sottovalutare grossolanamente Israele, il suo nemico, e sopravvalutare le capacità del suo patrono, l’Iran, e della sua rete di gruppi terroristi alleati nella regione. Hezbollah possiede un vasto arsenale di missili e razzi, compresi missili balistici a guida di precisione. L’obiettivo era quello di scoraggiare un’escalation israeliana. Finora le sue armi non hanno inflitto danni significativi a Israele. Migliaia di persone sono state uccise in Libano dal 16 settembre, secondo il ministero della Sanità libanese, durante la campagna israeliana per porre fine agli attacchi di Hezbollah che hanno costretto decine di migliaia di persone a lasciare le loro case nel nord di Israele. Dal 19 settembre, nessun israeliano è morto a causa degli attacchi di Hezbollah. «Abbiamo visto una cosa molto importante negli attuali scontri: Sebbene Hezbollah si comporti come un esercito, non è all’altezza di Israele in termini di potenza di fuoco, di potenza aerea, di intelligence e di tecnologia», ha dichiarato Fouad Siniora, un critico del gruppo sostenuto dall’Iran che era primo ministro del Libano quando Hezbollah e Israele hanno combattuto una guerra nel 2006. L’Iran, nel frattempo, ha dimostrato che il suo concetto di “unità dei fronti” è a senso unico: i suoi alleati nella regione dovrebbero versare sangue per il regime iraniano, ma senza alcuna reciprocità da parte di Teheran. «L’Iran è pronto a combattere fino all’ultimo libanese», ha detto Siniora. Mentre Hezbollah è diventato vittima della sua stessa arroganza, Israele rischia ora di cadere in una trappola simile, soprattutto se lancia un’invasione di terra del Libano e tenta di ridisegnare la composizione politica del Libano. L’invasione del Libano nel 1982, che mirava a questo scopo, ha portato alla creazione di Hezbollah e a un’occupazione prolungata che si è conclusa con il ritiro unilaterale di Israele dal Libano meridionale nel 2000. Israele ha eliminato il predecessore di Nasrallah, Abbas Musawi, nel 1992. Nonostante la morte di Nasrallah e di molti alti comandanti, Hezbollah conserva ancora migliaia di combattenti ben addestrati e un grande arsenale che potrebbe usare per infliggere perdite significative sul terreno preparato nelle sue roccaforti del Libano meridionale. «Hezbollah non può che aspettare che Israele inizi a operare sul terreno nel sud del Libano, perché quel momento potrebbe diventare per loro una svolta, un punto di svolta che gli permetterebbe di risorgere dalle ceneri e di riconquistare ancora una volta il sostegno della società libanese in generale», ha ammonito Ksenia Svetlova, ex legislatore israeliano e senior fellow non residente presso l’Atlantic Council. Mentre i comandanti israeliani sono consapevoli dei pericoli dei combattimenti a terra – e ricordano le perdite della campagna del 2006 – il problema politico è che l’obiettivo dichiarato di Israele – il ritorno di circa 60.000 israeliani sfollati dagli attacchi di Hezbollah dalle aree lungo il confine – è difficile da raggiungere con la sola potenza aerea. Nonostante i recenti colpi, Hezbollah si rifiuta di fermare il fuoco transfrontaliero senza che Israele accetti anche un cessate il fuoco con Hamas a Gaza. «Non possono farlo, sarebbe una sconfitta umiliante per loro», ha dichiarato Eyal Zisser, specialista della regione e vice rettore dell’Università di Tel Aviv. Il drammatico indebolimento di Hezbollah crea una sfida particolare per l’Iran, che ha fatto affidamento sui missili e sui razzi del gruppo libanese come deterrente contro qualsiasi potenziale attacco israeliano al proprio programma nucleare. «È una trasformazione per la regione, perché Hezbollah non è solo un altro proxy dell’Iran. Fa parte della dottrina difensiva dell’Iran e del suo principale strumento di deterrenza contro Israele», ha detto Michael Horowitz, responsabile dell’intelligence della società di consulenza Le Beck International. «Questo mette l’Iran in una posizione molto difficile, perché Hezbollah è stato costruito per difendere l’Iran, ma ora l’Iran si trova di fronte al dilemma di dover potenzialmente difendere Hezbollah». I calcoli dell’Iran – a meno di due mesi dall’eliminazione da parte di Israele del leader di Hamas Ismail Haniyeh in una foresteria governativa – sono ulteriormente complicati dall’incertezza sull’esatta penetrazione di Israele nel proprio apparato di sicurezza. L’Iran, che è sottoposto a sanzioni occidentali, deve procurarsi gran parte delle sue attrezzature e dei suoi componenti attraverso loschi intermediari. Secondo gli analisti militari, Israele, che si è infiltrato nella catena di approvvigionamento di Hezbollah per riempire di esplosivo i suoi walkie-talkie e i suoi cercapersone, potrebbe aver interferito in modo analogo con le reti di comunicazione o le armi iraniane. Con il nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, che sta tentando una “offensiva di fascino” in Occidente e un possibile ritorno ai negoziati nucleari che allevierebbero le sanzioni sulla martoriata economia iraniana, è probabile che Teheran si astenga da azioni dirette a favore di Hezbollah, ha detto Vali Nasr, professore alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies ed ex consulente senior del Dipartimento di Stato. «Lo stato d’animo di Teheran è sempre stato quello di non abboccare all’amo. Sanno che Israele vuole la guerra ora, perché ha un vantaggio militare e di intelligence, perché c’è un vuoto politico negli Stati Uniti e perché la Marina statunitense è seduta nel Mediterraneo», ha detto Nasr. «L’Iran non è pronto in questo momento perché non è il momento giusto. Ma ci sarà il momento giusto». L’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha ucciso quasi 1.200 israeliani e ha portato all’invasione di Gaza che ha causato decine di migliaia di morti palestinesi, è stato un umiliante fallimento di intelligence per Israele. Eppure, uno dei motivi per cui Israele non ha tenuto d’occhio Gaza è stato proprio perché, fin dal 2006, i servizi militari e di intelligence israeliani si sono concentrati su quella che consideravano una guerra inevitabile con Hezbollah. La sequenza di attacchi di settembre ha mostrato quanto profondamente Hezbollah fosse stato infiltrato e ha contribuito a ripristinare la reputazione offuscata dell’intelligence israeliana. «Questi attacchi sono enormemente devastanti per Hezbollah dal punto di vista pubblico e operativo, ovviamente. Ma non è chiaro che cosa emergerà da questa nuova situazione», ha dichiarato Andrew Tabler, ex funzionario della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato che si occupa di Medio Oriente e che ora è senior fellow presso il Washington Institute for Near Eastern Policy. «Cambia davvero la situazione strategica? Non è detto». Hezbollah, naturalmente, non è scomparso e il movimento conserva migliaia di combattenti e una parte significativa del suo arsenale. «Le capacità della resistenza sono ancora intatte, nonostante la battuta d’arresto ricevuta dagli israeliani. Se questa follia non si ferma, Israele potrebbe avere un brusco risveglio», ha avvertito Kamel Wazne, analista politico di Beirut. Ma ciò che Hezbollah ha chiaramente perso all’interno del Libano è l’aura di invincibilità che gli ha permesso di controllare essenzialmente lo Stato libanese. Il Paese è senza presidente dall’ottobre 2022 a causa dell’ostruzionismo di Hezbollah e dei suoi alleati che hanno impedito al Parlamento di tenere una votazione. Hezbollah sta ora rischiando la sua posizione con la sua base all’interno della comunità sciita libanese, soprattutto perché i residenti delle aree a maggioranza sciita nel sud e nella Valle della Bekaa stanno fuggendo dalle loro case a causa degli attacchi aerei israeliani. «La guerra di Hezbollah gli si è ritorta contro, ampie zone del Sud sono distrutte e centinaia di migliaia di sciiti sono sulla strada o sostanzialmente rifugiati nel loro Paese. Come fa Hezbollah a garantire di non perdere queste persone?», ha detto l’analista politico libanese Michael Young. «L’altro problema è che, a livello interno, Hezbollah è isolato quando si tratta di aprire un secondo fronte con Israele. In molte comunità, ora c’è una certa dose di schadenfreude nei confronti di ciò che sta accadendo».
(Rights Reporter, 30 settembre 2024)
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Michael Di Porto: “L’orgoglio di essere ebreo, sionista e senza paura”
di Michelle Zarfati
A volte un gesto, anche piccolo, può far rumore. O musica, come in questo caso. Come è riuscito a fare Michael Di Porto, ventiquattrenne pieno di passioni che sabato ha intonato davanti al Colosseo la melodia di “Am Israel Chai”. Un canto di speranza, in un periodo buio e pieno di insicurezze, eseguito da un giovane ebreo senza paura. Con indosso una maglia con la scritta “Bring Them Home”, riferito agli ostaggi rapiti da Hamas, Michael nel cuore della Capitale ha fatto sentire la sua voce, e idealmente quella di tanti giovani che come lui, non hanno paura. Shalom ha intervistato Michael, che ha rivelato molto di sé, delle sue passioni ma soprattutto della sua identità ebraica.
- Cosa ti ha spinto a fare questo gesto? In realtà è nato tutto in modo abbastanza casuale. Ero lì semplicemente per cantare in strada un paio d’ore, ma quando ho visto il nastro giallo degli ostaggi proiettato sul Colosseo mi è venuta una gran voglia di cogliere l’occasione di fare qualcosa di unico. Ho messo subito una story su Instagram per segnalare quanto stesse accadendo, ed ho ricevuto risposta dal mio amico Benedetto Sacerdoti, Rappresentante per l’Italia del Forum delle famiglie degli ostaggi. Lui mi ha portato la maglietta con scritto “Bring Them Home”, e assieme abbiamo girato il video pubblicato ed un altro paio di backstage che usciranno prossimamente.
- Come è nata la tua passione per il canto? Non ho un momento preciso, la passione per il canto me la porto dietro da quando sono nato, con alti e bassi ovviamente. Non è però soltanto qualcosa di mio, ma un amore che mi è stato trasmesso dalla mia stessa famiglia. Con il canto mi diverto e riesco a coinvolgere le persone intorno a me. Inoltre, ultimamente, ho scoperto che con il busking (arte di strada) posso unire il dovere al piacere, dato che riesco a guadagnare discretamente per gli standard di un semplice studente.
- E lo fai regolarmente nella tua vita? Ad oggi studio economia in magistrale, ma in triennale mi sono laureato in fisica ed ho passato l’ultimo anno e mezzo a fare diverse esperienze che mi sono servite per chiarirmi cosa volessi davvero dalla vita. Ho viaggiato, ho lavorato e ho passato un periodo in un moshav in Israele al confine con l’Egitto in cui ho svolto del volontariato.
- Cosa volevi comunicare questo gesto? Ho voluto dare voce al mio orgoglio, l’orgoglio di essere ebreo, sionista, e soprattutto di non avere paura. Sappiamo tutti che il nostro popolo sta vivendo un momento molto difficile. La situazione degli ostaggi spesso viene dimenticata dal mondo ed anche questa è stata una delle motivazioni che mi ha portato a fare questo gesto, ma come già anticipato non è l’unica. Oggi, nuovamente, non è facile essere ebrei. Il mondo è di fatto riuscito di nuovo ad odiarci: nessuno si dice antisemita, ma poi in moltissimi fanno la distinzione tra gli ebrei buoni (i pochissimi antisionisti) e gli ebrei cattivi (la stragrande maggioranza degli ebrei sionisti). Questi atteggiamenti, puramente antisemiti, rendono problematico anche soltanto comunicare agli altri la nostra identità ebraica. Dietro alla parola sionisti, coscientemente o meno, pregiudizi vecchi e nuovi vengono a galla. Per come la vedo io, il pregiudizio è legato all’ignoranza. I meccanismi dell’antisemitismo e la mancanza di conoscenza sono difficili da combattere, ma se questo è il risultato, vuol dire che necessariamente dobbiamo fare di più.
- Quindi la tua mission, attraverso la tua arte, è far conoscere la verità? Io la verità non ce l’ho in tasca, e non pretendo di imporre a nessuno quello che io posso pensare. Ma allo stesso tempo quello che vedo è che le persone hanno il bisogno e la necessità di confrontarsi con un ebreo. Un ragazzo che oggi dice che i “sionisti” occupano terre altrui è un ragazzo che probabilmente non ha mai parlato con un ebreo in vita sua, e che di sicuro non ha la minima idea di chi siano gli ebrei. Ed è su questo che noi dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Al contrario, capita spesso che abbiamo l’atteggiamento opposto, invece di farci conoscere ci chiudiamo nel tentativo di proteggerci. Ci sono validissime ragioni storiche per cui abbiamo spesso questo atteggiamento; ma se pensiamo che il non ebreo non potrà mai capirci, e che arginare in modo significativo i pregiudizi ed i meccanismi dell’antisemitismo sia impossibile, allora perché siamo ancora in Italia? Andiamo direttamente tutti in Israele! Io non ho voglia di vivere in un Paese in cui comunicare agli altri una cosa normalissima, come la mia identità ebraica, sia un problema. Non ho voglia di essere costantemente non compreso dal prossimo. Non ho voglia di essere straniero in casa mia, quando tra l’altro gli ebrei hanno contribuito in modo significativo alla nascita e allo sviluppo dell’Italia. Ed anche chiudendoci tutti in Israele non credo che il problema dell’antisemitismo si risolverà. Abbiamo buoni rapporti con le istituzioni e tutto ciò è importantissimo, ma a cosa serve se poi buona parte delle persone comuni ci odia? Di fatto non abbiamo scelta, se non comunicare tutti i giorni ed in modo efficace agli altri chi siamo; soprattutto perché dall’altra parte sono invece bravissimi a farlo. Certo li aiuta il numero, ma dobbiamo allora trovare modi alternativi per avere una buona risonanza mediatica. Questo mio gesto è stato proprio un tentativo di parlare agli altri, di far vedere con orgoglio la mia identità ebraica e sionista, e anche di far vedere che un ebreo è una persona qualunque, come un semplice cantante di strada. È pericoloso? Si. Ma non abbiamo altra scelta. Dobbiamo manifestare, farci sentire e conoscere, discutere tra noi e con gli altri. Questa è e deve essere la nostra battaglia, soprattutto quando i nostri fratelli e le nostre sorelle in Israele stanno combattendo una guerra vera. Vorrei rifare flash mob come questi in futuro, e se con me ci fossero 10 ,20, 30 persone si potrebbe riuscire a veicolare il messaggio con ancora più forza. Sono finiti i tempi in cui dobbiamo nasconderci o avere paura, dunque: Am Israel Chai.
(Shalom, 30 settembre 2024)
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I comunisti in piazza esaltano Nasrallah e attaccano gli ebrei
La politica tace. Le reazioni ebraiche
Comunisti che fanno un minuto di silenzio per Nasrallah, defunto capo di un movimento terroristico e islamista, mafioso, implicato nel narcotraffico, proxy dell’IRAN che impicca i gay e uccide le donne che non indossano bene il velo: sono più stupidi e ridicoli che pericolosi, almeno si spera. Perché i loro obiettivi sono gli ebrei italiani, con nomi e cognomi, presi di mira come “agenti sionisti”. Tra questi anche la Senatrice Liliana Segre.
Intanto a Londra i Libanesi ringraziano Israele per aver eliminato il leader di Hetzbollah che avvelena il Paese dei Cedri da troppi anni. Video clicca QUI
Contro gli esponenti di questa frangia del movimento ProPal in piazza a Milano sabato28 settembre sono intervenuti Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano, e Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica.
“Quanto messo in piazza a Milano sabato 28/9 dai ‘manifestanti’ ProPal è di una gravità eccezionale. – ha detto Meghnagi – Questo purtroppo a dimostrazione di come oramai non ci sia più alcun limite che possa considerarsi insuperabile nella sua inaccettabilità. Si è creata una spirale di cieco odio antisemita e appelli genocidi ormai equiparabili a quelli di matrice nazi-fascista degli anni ’30 e 40’ dello scorso secolo. È una involuzione totale e assoluta delle sensibilità, morale e del progresso educativo e culturale che le società civili Occidentali avevano messo in atto dopo la Seconda guerra mondiale. È un ritorno ad un ‘medioevo’ che si pensava sorpassato e sublimato, ma che constatiamo con profonda angoscia e sgomento essere riemerso dai tempi bui della Storia.
Ulteriore motivo di grossa preoccupazione è il continuo spingersi sempre più oltre nel calpestare e oltraggiare i canoni che definiscono e caratterizzano le società libere e democratiche senza che queste reagiscano subendo passivamente questi oltraggi. Questo non può che portare ad un ulteriore involuzione accompagnata da un alzamento del tiro da parte di questi gruppi. Siamo a un passo dalla caccia all’ebreo e da atti di aperta violenza nei confronti di istituzioni ebraiche religiose e non e dei loro rappresentanti.
In virtù di quanto sopra, ma anche dell’imminenza dell’anniversario del 7/10 ritengo necessari i seguenti miei appelli al Governo e alle forze dell’opposizione:
• Al Governo, a cui vanno i nostri più sentiti ringraziamenti per la comprensione ed appoggio che non ci hanno mai fatto mancare, affinché siano prese delle misure preventive e, nel caso queste venissero disattese, anche di contrasto nel caso questo tipo di “manifestazioni” dovessero realizzarsi nelle nostre piazze;
• Ai partiti di opposizione affinché anche loro prendano le distanze dalla galassia da cui si generano queste manifestazioni e di attivarsi in maniera fattiva ad un contenimento delle loro modalità e contenuti espressi”.
Così si è espresso il presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi, mentre Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica, ha detto: “Siamo stufi di questa ennesima manifestazione di odio con annesse minacce personali perfino alla senatrice Liliana Segre. Mi domando come sia possibile che questo governo intervenga su tutto (dai Rave Party a chi manifesta in maniera nonviolenta nelle carceri), ma lasci liberi questi manifestanti di attaccare chi ha già pagato un prezzo incalcolabile nella propria vita ad Auschwitz. Questa gente è così spietata (alcuni di loro anche pregiudicati) da sostenere esplicitamente una organizzazione terrorista e mafiosa come Hezbollah, dedita secondo la DIA anche al narcotraffico e al riciclaggio.
Sarebbe ora di fermare queste continue minacce in stile mafioso rivolte da diversi manifestanti Propal a cittadini italiani che non la pensano come loro”.
Anche Roberto Cenati, già Presidente ANPI provinciale di Milano, ha voluto esprimere solidarietà alla Senatrice Segre, e non solo, con queste parole: “Esprimo la mia profonda solidarietà a Liliana Segre per il vergognoso e infame cartello esposto nel corso della manifestazione propal che ha percorso oggi le vie di Milano. Concordo pienamente con le dichiarazioni di Liliana Segre che ha definito una bestemmia sostenere che Israele sta commettendo un genocidio. La mia solidarietà va anche a Riccardo Pacifici esponente della Comunità Ebraica di Roma”.
Ma a nessuno viene in mente che esiste nel Codice Penale (art. 414) italiano il reato di apologia di terrorismo? Non abbiamo più avvocati e giuristi che intraprendano un'azione legale contro gli organizzatori di queste manifestazioni?
Intanto siamo allo sbando più totale nelle reazioni all’uccisione di Nasrallah, la politica italiana è in stato di confusione se persino il Ministro degli esteri Tajani arriva a chiedere che Israele garantisca la sicurezza dei militari italiani dell’Unifil. Ma non dovevano essere loro a garantire la sicurezza di Israele, del suo confine Nord impedendo le incursioni missilistiche di Hetzbollah dal Libano? Compito fallito miseramente.
Nasrallah è stato eliminato sabato in un bombardamento contro il quartiere generale di Hetzbollah a Beirut, con bombe capaci di sfondare i bunker dove era in corso una riunione generale. L’organizzazione terroristica ha perso tutta la sua catena di comando.
(Bet Magazine Mosaico, 29 settembre 2024)
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Medio Oriente: 'Nasrallah ucciso da Israele con una bomba Usa', Safieddine è il nuovo leader di Hezbollah
Recuperato il corpo dell'ex capo del gruppo sciita, annullati i funerali. Primo attacco in centro a Beirut, altri 105 i morti in Libano. Truppe americane in allerta. Biden: una guerra su larga scala va evitata, parlerò con Netanyahu
di Silvana Logozzo
TEL AVIV - La bomba che Israele ha usato per uccidere l'ex leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, a Beirut la scorsa settimana era un'arma guidata di fabbricazione americana: lo ha rivelato alla Nbc il senatore democratico Mark Kelly, presidente della sottocommissione Aereonautica del Senato per le forze armate Usa. Secondo Kelly, Israele ha utilizzato una Mark 84 da 900 kg. Israele ha effettuato in nottata un attacco aereo nei pressi dell'incrocio di Kola nel centro di Beirut. Lo riferisce il Guardian precisando che è la prima volta che Israele colpisce Beirut fuori dai sobborghi meridionali dall'inizio della guerra. Il rumore dell'esplosione è stato udito in tutta la città. L'incrocio di Kola è un punto di riferimento popolare a Beirut, dove taxi e bus si riuniscono per raccogliere i passeggeri. Le prime immagini del raid mostrano due piani di un condominio completamente distrutti. Fino ad ora Israele aveva limitato i suoi attacchi sulla capitale del Libano ai suoi sobborghi meridionali. Una fonte della sicurezza libanese ha reso noto che almeno due persone sono morte nel raid. Secondo questa fonte, "sono state uccise nell'attacco israeliano con un drone che ha preso di mira un appartamento appartenente alla Jamaa Islamiya. Questo gruppo islamista libanese sostiene Hezbollah nelle sue operazioni condotte nel nord di Israele. Il Consiglio della Shura di Hezbollah, l'organismo decisionale centrale del gruppo sciita libanese, ha scelto Hashem Safieddine per sostituire Hassan Nasrallah come leader di Hezbollah. Lo scrive Haaretz e Al Arabya. Safieddine proviene da Deir Qanoun al-Nahr, un villaggio nel Libano meridionale, nato in una prominente famiglia sciita nota per aver prodotto influenti chierici e parlamentari. È cugino di Nasrallah e ha legami familiari con Qassem Soleimani, l'ex comandante della Forza Quds dell'Iran che è stato ucciso in un attacco aereo statunitense in Iraq nel 2020. I funerali di Hassan Nasrallah, previsti per domani sono stati intanto annullati. Il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha ordinato all'esercito Usa di rafforzare la propria presenza in Medio Oriente con capacità di supporto aereo "difensive" e ha messo altre forze armate in uno stato di prontezza elevata. Austin "ha aumentato la prontezza di ulteriori forze statunitensi da schierare, elevando la nostra preparazione a rispondere a varie contingenze", ha detto il Pentagono. "Austin ha chiarito che se l'Iran, i suoi partner o i suoi alleati dovessero usare questo momento per colpire il personale o gli interessi americani nella regione, gli Stati Uniti adotteranno tutte le misure necessarie per difendere il nostro popolo". L'esercito israeliano ha effettuato oggi violenti raid contro le roccaforti di Hezbollah in Libano in cui sono morte almeno 105 persone. A tracciare il nuovo bilancio delle vittime è stato in serata il ministero della Salute libanese. I feriti sono 359.
IL REPORT DELLA GIORNATA "Chi vuol fare del male allo Stato ebraico pagherà un caro prezzo". Le parole ripetute da tempo dal premier israeliano, dal suo ministro della Difesa e dal capo dell'esercito, sono diventate realtà: nella notte tra sabato e domenica gli aerei con la stella di David (Iaf) hanno colpito duramente 'l'anello di fuoco', la strategia architettata per soffocare lo Stato ebraico dal generale iraniano Soleimani, ucciso dagli Usa nel 2020. Un piano sposato soprattutto da Hassan Nasrallah e perseguito dalle milizie in Libano, Siria, Iraq, Cisgiordania, Gaza e Yemen. Domenica la reazione contro gli Houthi, attesa da giorni, dopo che nel mese di settembre hanno sparato missili balistici terra-terra e droni. L'esercito (Idf) ha inflitto un nuovo, possente colpo agli alleati di Teheran nello Yemen: decine di aerei hanno volato fino a 1.800 chilometri di distanza dal confine israeliano per colpire i porti di Hodeidah e Ras Issa, usati per il rifornimento di armi e petrolio. L'Iaf ha confermato di aver lanciato raid contro i siti utilizzati dal gruppo per scopi militari nel principale porto sul Mar Rosso e nel vicino terminal di Ras Issa. Quattro morti e feriti secondo le autorità locali. Preso di mira anche l'aeroporto internazionale di Hodeidah, dove i cargo degli ayatollah fanno arrivare carichi di armi. Gli stessi con cui gli Houthi da quasi un anno attaccano le navi commerciali in transito. Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha sottolineato che "nessun posto è troppo lontano per Israele". E questo è il secondo attacco in Yemen, dopo che il 20 luglio, rispondendo a un drone lanciato su Tel Aviv, che aveva provocato una vittima, Tsahal aveva bombardato lo scalo portuale di Hodeidah che aveva provocato un incendio colossale. La rappresaglia di Benyamin Netanyahu nella giornata è continuata in Libano dove, dal 17 di questo mese, praticamente l'intera leadership di Hezbollah è stata 'eliminata'. L'Idf ha annunciato che nell'attacco di venerdì al quartier generale di Beirut del gruppo fondamentalista libanese oltre al leader del partito di Dio sono stati uccisi anche 20 comandanti, tra cui Ali Karaki, comandante del fronte meridionale, Ibrahim Hussein Jazini, capo della sicurezza personale di Nasrallah, il consigliere Samir Tawfiq Deeb, Abd al-Amir Muhammad Sablini, responsabile del rafforzamento delle forze militari, Ali Nayef Ayoub, capo della potenza di fuoco di Hezbollah. L'Idf ha pubblicato una mappa dell'area bombardata dove a soli 53 metri c'era una scuola gestita dalle Nazioni Unite. I media libanesi invece hanno mostrato il video con il recupero del cadavere di Nasrallah, 'intatto', tirato fuori dal cratere lasciato dalle bombe anti bunker dell'Idf. Non solo: nella notte tra sabato e domenica i caccia israeliani hanno di nuovo preso di mira la roccaforte sciita uccidendo Nabil Kawak, comandante dell'unità di sicurezza dei miliziani e membro del Consiglio centrale esecutivo. I piloti dell'Iaf hanno poi puntato il mirino sulla Siria, a Homs, dove hanno centrato, secondo il Centro di monitoraggio dei diritti umani, un veicolo con milizie irachene filo-iraniane. Sul fronte di Gaza un nuovo raid ha distrutto con missili di precisione un centro di comando di Hamas in una ex scuola nel nord della Striscia. Intanto il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è tornato a mettere in guardia dalle "conseguenze pericolose" degli attacchi in Libano. E ha aggiunto: "Il regime israeliano non troverà mai pace e tranquillità". Alle minacce di Teheran hanno risposto indirettamente gli Usa con la loro posizione: "Il sostegno alla sicurezza di Israele è incrollabile e questo non cambierà", ha detto il portavoce della sicurezza nazionale John Kirby, ribadendo il diritto dell'alleato a difendersi "da attacchi quotidiani". "Biden e Netanyahu si conoscono da 40 anni, non sono d'accordo mai su nulla ma su una cosa concordano: la sicurezza di Israele", ha aggiunto. Intanto funzionari statunitensi hanno dichiarato ad Abc News che operazioni "su scala ridotta " dell'Idf in territorio libanese "potrebbero essere iniziate al confine con il Libano, o potrebbero essere sul punto di iniziare" per eliminare le posizioni di Hezbollah. Israele tuttavia sembra non aver preso ancora nessuna decisione su una eventuale invasione di terra. Ma se dovesse decidere di muovere le suo truppe oltreconfine, secondo gli Usa "la portata sarà probabilmente limitata".
(ANSA, 30 settembre 2024)
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”Continuate a colpirli”: l'ex prodigio del calcio iraniano Ali Karimi sfida il regime e sostiene Israele
Le sue dichiarazioni pro-israeliane manifestano le profonde divisioni all'interno della società iraniana.
Ali Karimi, leggenda del calcio iraniano, ha pubblicato un messaggio sui social network incoraggiando Israele a continuare i suoi attacchi in Libano. Questo tweet, pubblicato il 18 settembre 2024, segna una nuova tappa nell'impegno politico di Karimi contro il regime islamico di Téhéran.
“Continua a colpire Bibi, stai facendo un ottimo lavoro... spero che questo possa essere un rimedio per i cuori degli iraniani e dell’Iran”, ha scritto Karimi in persiano, accompagnando il suo messaggio con gli hashtag "#ÀVotreServiceNetanyahu" e "#BibiBut".
Non è la prima volta che l'ex centrocampista prende posizione contro la Repubblica islamica dell'Iran. Nell'aprile dello scorso anno, durante l'attacco iraniano a Israele, Karimi aveva già colpito l'opinione pubblica pubblicando un'immagine dei drappi israeliani e iraniani con il messaggio: "Noi siamo l'Iran, non siamo la Repubblica islamica".
La posizione di Karimi avviene in un contesto di crescenti tensioni tra Israele e Hezbollah libanese, sostenuto dall'Iran. Le sue dichiarazioni filo-israeliane, rare per una personalità iraniana della sua importanza, portano in luce le profonde divisioni all'interno della società iraniana e la forte contestazione del regime in corso. Ali Karimi, soprannominato il "Maradona asiatico" per le sue prodezze sul campo, ora usa la sua notorietà come arma politica. Il suo esplicito sostegno a Israele e la sua opposizione al governo iraniano ne fanno una figura di dissidenza, che riflette le aspirazioni di una parte della gioventù iraniana in cerca di cambiamento.
(i24, 29 settembre 2024)
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Hassan Nassrallah (1960-2024), fine di un terrorista
Hassan Nassrallah non c’è più. Il segretario generale di Hezbollah, la temibile milizia sciita libanese armata dall’Iran, è rimasto ucciso in uno dei bombardamenti israeliani di venerdì scorso su Dahieh, il sobborgo meridionale di Beirut, considerato una delle roccaforti del gruppo. Turbante nero degli autoproclamati discendenti del profeta Maometto, Nasrallah era assurto alla guida della milizia nel 1992 dopo che Israele aveva eliminato il suo predecessore Abbas al-Musawi. Immutate le consegne: muovere guerre e distruggere lo stato ebraico in linea con la visione iraniana di un Medio Oriente senza “l’entità sionista” e in cui il mondo sunnita si inchini agli sciiti. Ecco perché sotto la guida di Nasrallah, Hezbollah ha partecipato attivamente alla guerra civile in Siria sostenendo il presidente Bashar Assad, anche lui burattino dell’Iran, nel reprimere le proteste della maggioranza sunnita, massacrandola. Come riportato da tanti blogger indipendenti, nel mondo arabo sunnita l’eliminazione del feroce leader sciita è stata festeggiata nelle piazze. Pur vivendo quasi sempre nascosto, fra bunker e luoghi protetti per sfuggire al Mossad, Nasrallah è stato capace anche di rafforzare il coté politico di Hezbollah, facendo della milizia un partito libanese di primo piano capace di condizionare ogni scelta strategica del governo di Beirut e di eliminare con la forza chi si opponesse alla strategia sciita. È il caso questo come dell’ex premier libanese Rafiq Hariri rimasto ucciso il 14 febbraio del 2005 assieme ad altre 21 persone nell’esplosione della sua auto e di quelle della sua scorta sul lungomare di Beirut: per la sua morte tre hezbollah saranno condannati all’ergastolo nel 2022 (17 anni dopo).
Gli obiettivi di Hezbollah non sono solo Israele – l’ultimo conflitto aperto risale al 2006, sei anni dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano – e i sunniti ma anche gli ebrei in tutto il mondo. Era il 18 luglio del 2012 quando un attentatore suicida di Hezbollah uccise sei persone (cinque turisti israeliani e un bulgaro) ferendone altre 32 a Burgas, località balneare sul Mar Nero, in Bulgaria. Ed era il 18 luglio del 1994 quando 85 persone rimasero uccise e oltre 300 ferite per l’esplosione di un camioncino nei pressi degli uffici dell’Associazione Mutualità Israelita Argentina (AMIA) a Buenos Aires. Le indagini puntarono all’Iran quale mandante e a Hezbollah quale esecutore della strage. Il governo argentino ha catalogato Hezbollah come gruppo terrorista nel 2019. Il governo Usa lo aveva già fatto nel 1997. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha definito la morte di Nasrallah “una misura di giustizia per le sue numerose vittime tra cui migliaia di civili americani, israeliani e libanesi”. dan.mos.
(moked, 29 settembre 2024)
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Israele elimina Nasrallah. Chi era e come è stato ucciso il “padrone” del Libano e leader di Hezbollah
di Ugo Volli
• IL BOMBARDAMENTO
È confermato. Israele ha liquidato venerdì sera il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah con un pesantissimo bombardamento sul quartier generale del gruppo a Dahiyeh, nella periferia sud di Beirut. Con lui sono stati uccisi alcuni altri importanti dirigenti del gruppo terrorista fra cui il numero tre di Hezbollah Ali Karki, che era sfuggito a un bombardamento due giorni prima e il generale di brigata iraniano Abbas Nilfrushan, vicecomandante dei pasdaran e plenipotenziario dell’Iran in Libano e Siria. È il colpo più importante che Israele abbia inferto all’asse terrorista nell’intera guerra, ben maggiore dell’eliminazione del presidente del politburo di Hamas Haniyeh il 31 luglio scorso a Teheran, o delle altre numerose eliminazioni di capi terroristi di questi mesi. Nasrallah era infatti il più importante alleato dell’Iran, il più fidato e sperimentato, il vero padrone del Libano.
• LA DISARTICOLAZIONE DI HEZBOLLAH
Inoltre la sua eliminazione segue immediatamente a una serie di atti di guerra con cui Israele ha disarticolato completamente il vertice della più pericolosa organizzazione terroristica che deve affrontare. Prima, la mattina del 17 settembre in Libano e in Siria, migliaia di cercapersone in dotazione ai quadri di Hezbollah sono esplosi nel giro di pochissimo tempo; il giorno dopo l’azione è stata ripetuta con le radio portatili. Complessivamente sono morte molte decine di comandanti di Hamas e in migliaia sono stati messi fuori combattimento, perlopiù definitivamente. Poi, il 21 settembre, c’è stata l’eliminazione del capo di stato maggiore di Hezbollah, Ibrahim Aqil e di altri quattordici comandanti della forza d’élite del movimento, le “brigate Radwan”. Dopo sono venuti alcuni altri attacchi a capi militari di Hezbollah e ai suoi depositi di missili e di esplosivi, ma soprattutto è stata la volta di Nasrallah. I bombardamenti sono continuati mirando ad altre armi, in particolare i razzi antinave che avevano creato seri problemi alla marina israeliana già nel 2006, i depositi di droni e di missili guidati a lunga gittata.
• CHI ERA NASRALLAH
In questa serie molto concentrata ed efficace di attacchi, che ha almeno dimezzato l’armamento di Hezbollah, distrutto completamente il suo comando militare e i suoi sistemi di comunicazione, l’uccisione di Nasrallah ha un alto valore simbolico, ma anche un grande effetto pratico. Nasrallah aveva preso il comando di Hezbollah nel 1992, l’aveva trasformato da piccolo gruppo terrorista nel padrone del Libano e nella principale forza fra quelle alimentate e dirette dall’Iran, capace di intervenire in maniera decisiva nella guerra civile siriana e di costituire una minaccia serissima per Israele, coi suoi 80 mila uomini inquadrati e più di centomila missili. Era insieme il capo politico e militare indiscusso del gruppo, la sua guida religiosa, il principale interlocutore della “guida suprema” del mondo sciita, Alì Khamenei.
• UNA SCONFITTA DELL’IRAN
La durissima sconfitta di questi giorni mette a rischio l’intera strategia imperialistica dell’Iran. Dopo la distruzione delle forze armate di Hamas, che ormai può continuare a combattere Israele solo in forma di piccoli gruppi di guerriglia. La disarticolazione di Hezbollah distrugge decenni di investimenti economici e militari. Vi sono ancora risorse militari del gruppo libanese, migliaia di armi, missili e infrastrutture, che possono permettere al gruppo di infliggere ancora danni e costringere Israele a fare quel che Hezbollah si era preparato a fronteggiare come prima reazione, cioè un’operazione di terra. Ma soprattutto se le forze armate israeliane saranno lasciate operare senza essere bloccate da tregue imposte dagli americani, la capacità bellica del gruppo terrorista continuerà a diminuire. Tanto più che l’Iran ha commentato la morte dicendo che Hezbollah sta comunque vincendo, che Israele è troppo piccolo per minacciarla, insomma rifiutando di impegnarsi direttamente nella guerra. Tanto che quando Israele sabato mattina ha intimato all’aeroporto di Beirut di non lasciare atterrare un aereo di rifornimenti iraniani, questo ha invertito immediatamente la rotta e Iran Air ha annunciato di rinunciare a ogni collegamento col Libano.
• ISRAELE COLPISCE DA SOLO
Vale la pena di sottolineare due aspetti significativi dell’operazione “nuova forza” con cui Israele ha eliminato Nasrallah. La prima è che gli americani hanno dichiarato ufficialmente di non essere stati informati in precedenza e di non aver fornito intelligence a Israele. Non hanno dato neanche le molto richieste bombe antibunker con cui l’aviazione israeliana ha raggiunto il capo terrorista in un sotterraneo blindato sotto case di abitazione, secondo il solito stratagemma terrorista di usare i civili come scudi umani. Dunque Israele ha fatto tutto da sé, ha usato bombe di sua costruzione e informazioni procurate solo dal Mossad, com’è accaduto del resto anche negli altri attacchi dei giorni scorsi. C’è stato insomma un gesto di forte indipendenza. Israele probabilmente avrebbe potuto eliminare Nasrallah molte volte, avendo informazioni su tutti i movimenti della leadership di Hezbollah, come si è visto nei giorni scorsi. Ma ha deciso di farlo in questo momento nonostante le pressioni provenienti da Usa, Francia e altri Paesi, perché ritiene di dover passare ora all’offensiva, per non essere bloccato in una guerra di logoramento.
• IL DISCORSO DI NETANYAHU
Il secondo aspetto importante è che il bombardamento è avvenuto subito dopo il grande discorso all’assemblea generale dell’Onu pronunciato da Netanyahu, che aveva autorizzato il colpo prima di iniziare a parlare, forse direttamente dalla sede dell’Onu. Il discorso, come pure la discussione intorno a una tregua di 21 giorni promossa dall’amministrazione Biden, è servito dunque come copertura, per tener tranquillo Nasrallah quando gli aerei che l’avrebbero ucciso erano già in volo. Ma è stato anche un intervento alto e significativo, in cui Netanyahu ha chiarito a chi lo stava a sentire (pochi nell’aula dell’Onu abbandonata dai Paesi arabi, ma probabilmente molti nei ministeri degli stati coinvolti). Netanyahu, visibilmente emozionato tanto da commettere un paio di lapsus per lui inconsueti e prontamente corretti, ha quasi anticipato il colpo su Nasrallah, dichiarando a proposito di Hezbollah che “il troppo è troppo” e che “badate signori, noi stiamo vincendo”; ha riaffermato due volte enfaticamente la missione di liberare gli ostaggi (senza mai citare un cessate il fuoco) e poi quella di riportare gli israeliani sfollati a casa; ha motivato duramente la sua totale sfiducia nell’autorità palestinese, ha sostenuto con forza che Israele non combatte solo per sé ma per molti Paesi nel Medio Oriente e nel mondo, ha soprattutto confermato la propria visione della pace come frutto della vittoria di Israele e dell’accordo con gli arabi moderati, innanzitutto i sauditi: un programma politico del tutto diverso da quello dell’amministrazione Biden e dell’Unione Europea, ma che è stato certamente molto rafforzato dalla distruzione della forza dei movimenti terroristi e in particolare dell’eliminazione di Nasrallah. In una situazione normale, questa sarebbe la base dell’accordo che porrebbe fine alla guerra. Non è detto che sia così, perché ammettere la sconfitta sarebbe la fine dei movimenti terroristi e forse anche per la dirigenza iraniana. Bisogna prepararsi ad altri mesi di guerra, a colpi di coda con attacchi missilistici e terroristici. Ma la direzione della pace, come ha spiegato Netanyahu, è quella che usa la forza e l’autodifesa, non certo l’accondiscendenza all’aggressione che vorrebbero i democratici Usa e l’Europa.
(Shalom, 29 settembre 2024)
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Il ministero della Salute getta la spugna sulle sanzioni ai non vaccinati
Le sanzioni non sono mai state abolite: solo sospese. Così il dicastero della Salute invia a una renitente un atto con cui, «in autotutela», annulla anche per il futuro qualunque richiesta di soldi. Dopo anni vince il buonsenso.
di Francesco Carraro
Lo Stato italiano prende finalmente atto che la furibonda stagione degli obblighi vaccinali contro il Covid-19 ha rappresentato qualcosa di molto vicino a una persecuzione illegittima e a un «abuso di potere». Una convinzione che già è condivisa da milioni di italiani, ma che da oggi ha il supporto - anzi, addirittura la «certificazione» - dello Stato medesimo.
Lo dimostra la vicenda che andiamo a raccontarvi, per certi versi surreale, ai limiti del grottesco, ma anche consolante giacché rappresenta una sorta di pubblica abiura rispetto a una delle tante, troppe, degenerazioni dell'assolutismo vaccinale (di Stato) dell'era pandemica.
Protagonista della storia è un avvocato padovano, Elisa Pavanello, la quale - alla pari di moltissimi altri connazionali - ricevette, nel marzo 2022, una lettera del ministero della Salute e dell'Agenzia della riscossione. Con la medesima la si rendeva edotta di essere destinataria di un procedimento sanzionatorio in quanto renitente alla leva della vaccinazione coatta (introdotta dal governo Draghi nei confronti dei soggetti over 50). Nella missiva, si contestava alla legale patavina il fatto di non aver iniziato il ciclo vaccinale alla data del primo febbraio 2022 e le si intimava di adempiere entro dieci giorni, dando altrimenti prova della sussistenza di un valido motivo che giustificasse l'inottemperanza alle prescrizioni di legge. L'avvocato rispondeva, nei termini previsti, con una articolata missiva con cui si protestava tutta una serie di violazioni e irregolarità della ingiunzione ricevuta.
Per tutta risposta, nel febbraio del 2023, il ministero della Salute e l'Agenzia della
riscossione notificavano all'avvocato un avviso di addebito con il quale le irrogavano la sanzione amministrativa di 100 euro da pagare entro 60 giorni. L'avvocato proponeva ricorso avanti al giudice di Pace di Padova che, con sentenza del 13 luglio 2023, annullava l'avviso di addebito poiché, per effetto del dl 162 in vigore dal 31 dicembre 2022 - dalla stessa data e fino a giugno 2023 - dovevano intendersi sospese tutte le attività di irrogazione di sanzioni per soggetti inadempienti all'obbligo vaccinale. La sentenza, decorsi i termini per l'appello, passava in giudicato e, a questo punto, la diretta interessata pensava che la controversia potesse considerarsi conclusa. Ma invece non lo era del tutto perché la stessa riceveva, in data 18 settembre 2024, una comunicazione letteralmente (e per due volte) incredibile da parte del ministero della Salute.
Con tale informativa, il ministero comunica all'avvocato l'annullamento d'ufficio, in autotutela, dello stesso avviso di addebito che era già stato annullato, come visto, dal giudice di Pace. Il che già rappresenta un «non senso» sul piano giuridico. Ma veniamo alla motivazione del provvedimento ove si legge testualmente: «In seguito all'acquisizione di ulteriori informazioni da cui risulta insussistenza dell'inadempienza dell'obbligo vaccinale di cui all'art. 4 quater del decreto legge 44 del 2021, è disposto annullamento d'ufficio ai sensi di art. 21 nonies comma 1 della legge 241 del 1990». Ebbene, la norma da ultimo citata dal ministero è quella che consente alla pubblica amministrazione l'annullamento d'ufficio di atti viziati da violazione di legge o eccesso di potere. Ci troviamo, quindi, in presenza di una sostanziale ammissione (da parte dei vertici dello Stato) della illegittimità delle sanzioni. Infatti, il ministero non motiva l'annullamento facendo riferimento alla sentenza, ma alla «insussistenza dell'inadempienza dell'obbligo vaccinale».
Ma è un altro l'aspetto più succoso della vicenda che ci fa comprendere il peso e il valore specifico di un atto amministrativo che, in prima battuta, potrebbe sembrare inutile. Sempre nella missiva del 18 settembre 2024, si specifica pure che l'annullamento è dettato «in considerazione dell'interesse pubblico ad evitare un contenzioso e conseguente dispendio di risorse umane e finanziarie». Insomma, lo Stato non vuole buttare i soldi dei contribuenti in una battaglia persa. Tanto da aggiungere un solenne impegno: «Il procedimento sanzionatorio di cui trattasi non avrà alcun seguito e non sarà necessario, da parte dell'interessato, effettuare alcun pagamento».
A questo punto, bisogna guardare alle date: la sospensione del recupero delle sanzioni in questione risulta, ad oggi, prorogata fino al 31 dicembre 2024. Ergo, se non intervenisse la proroga di tale sospensione, in linea di principio nulla vieterebbe allo Stato di ricominciare, l'anno venturo, un'attività di recupero nei confronti della ricorrente (la quale si è vista annullare l'avviso di addebito solo perché la sanzione era, medio tempore, sospesa). E nulla impedirebbe di procedere con consimili attività nei confronti di cittadini che versino in una situazione analoga. Ma il ministero ha invece, e a tutti gli effetti, con la menzionata comunicazione, dichiarato di abdicare definitivamente a tale possibilità, quantomeno nei confronti della protagonista del caso in esame. Ci troviamo di fronte a un atto di resa dello Stato o, come minimo, di ammissione che gli obblighi di legge nei confronti degli over 50 sono, se non illegittimi tout court, quantomeno iniqui e destinati a sfociare in processi inutili e costosi per le casse pubbliche.
Possiamo concludere affermando che nel caso qui segnalato - ma ciò vale anche tutte le decine di migliaia di situazioni identiche pendenti in tutta Italia - lo Stato non solo non può (per il momento, in base a una sospensione ex lege), ma soprattutto non vuole procedere a recupero coattivo. E ciò per quella ragione non solo di forma (giuridica), ma anche di sostanza (politica) che è stata denunciata innumerevoli volte su queste pagine ed è compendiabile in sette parole: violazione di legge ed eccesso di potere. Più precisamente: violazione di legge costituzionale e intollerabile abuso di potere sulla base di presupposti (anche scientifici) rivelatisi, come noto, inesistenti. Che ora la Repubblica, attraverso il suo ministero di riferimento per materia, lo abbia nesso nero su bianco, lascia ben sperare per il futuro.
(La Verità, 29 settembre 2024)
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Maledirò chi ti diminuirà
Anche l’articolo che segue è presente da tempo sulle pagine del nostro sito, ma lo riproponiamo ora in questa forma come invito a riflettere sulla maledizione che si sta abbattendo su movimenti come Hamas e Hezbollah che maledicono Israele dichiarando apertamente, nelle parole e nei fatti, la loro intenzione di cancellare Israele come nazione dalla faccia della terra (Salmo 83). Chi si indigna per i morti e i danni provocati da Israele per difendere il suo concreto esistere (e non soltanto l’ideologico “diritto all’esistenza”) si pone di fatto dalla parte di coloro che agiscono per cancellarne l’esistenza. Stiano attenti coloro che anche soltanto a parole “diminuiscono” Israele ai loro occhi definendolo con ingiuste parole di disprezzo. La maledizione di Dio è una cosa tremendamente seria. E prima o poi colpisce.
di Marcello Cicchese
L'Eterno disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno, e maledirò quelli che ti malediranno. E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12:1-3).
Questi tre versetti della Genesi possono essere considerati l'incipit di tutto il programma di redenzione di Dio. Soffermiamoci in particolare sulla frase:
"Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò quelli che ti malediranno".
Nell'originale ebraico, per indicare la benedizione in questo testo si usa sempre lo stesso verbo: ברך (barach), mentre per indicare la maledizione sono usati verbi diversi: il maledirò di Dio viene espresso con il verbo ארר (arar) mentre il malediranno degli uomini viene reso con il verbo קלל (qalal).
La cosa merita attenzione. Riportiamo allora i primi versetti della Bibbia in cui compare il verbo "arar".
Genesi 3:14 - Allora Dio il Signore disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sarai il maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le bestie selvatiche! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita.
Genesi 3:17 - Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita.
Genesi 4:11 - Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano.
Come si vede, sono tre devastanti maledizioni con cui Dio colpisce, nell'ordine, il serpente, la terra e l'omicida.
Riportiamo poi i primi due versetti della Bibbia in cui compare il verbo "qalal".
Genesi 8:8 - Poi mandò fuori la colomba per vedere se le acque fossero diminuite sulla superficie della terra.
Genesi 8:11 - E la colomba tornò da lui verso sera; ed ecco, aveva nel becco una foglia fresca d'ulivo. Così Noè capì che le acque erano diminuite sopra la terra.
Il verbo "qalal" qui viene tradotto con l'italiano diminuire, che in questo contesto non ha alcun sinistro significato morale ma indica soltanto l'abbassamento del livello dell'acqua.
In senso morale invece il verbo viene usato poco più avanti per rappresentare l'atteggiamento di Agar verso Sara dopo il concepimento di Ismaele:
Genesi 16:4 - Egli [Abramo] andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di
essere incinta, guardò con disprezzo la sua padrona.
L'espressione "guardò con disprezzo la sua padrona" vuol rendere il senso di una traduzione che letteralmente sarebbe "fu diminuita ai suoi occhi la sua padrona". La serva in un certo senso "diminuì" la sua padrona perché cominciò a guardarla dall'alto in basso. Le parti si erano invertite: prima la padrona stava in alto e lei in basso, adesso la padrona sta in basso e lei sta in alto. E tutto questo senza che nulla sia cambiato nei fatti, ma soltanto "ai suoi occhi". La fertile serva egiziana cominciò a guardare la sterile padrona ebrea con disprezzo, o forse soltanto con compatimento, che è la stessa cosa in forma diversa.
E' chiaro che con femminile intuito Sara non ci mise molto a capirlo. Conosciamo il seguito della storia: Sara va dal marito e gli dice che da quando Agar si è accorta di essere incinta, "io sono diminuita ai suoi occhi". E poiché la cosa non è sopportabile, invoca il giudizio dell'Eterno. Cosa che poi avviene, come si trova scritto nel seguito del racconto.
Il testo in questione di Genesi 12 potrebbe allora essere tradotto così, rispettando la figura retorica del chiasmo usata nell'originale:
Benedirò quelli che ti benediranno, e quelli che ti diminuiranno io maledirò.
Applicando queste parole al popolo d'Israele, discendenza etnica di Abramo, se ne deduce che per cadere sotto la tremenda maledizione di Dio (arar) non è necessario essere antisemiti militanti: è sufficiente diminuire (qalal) Israele ai propri occhi. Basta tenere nei confronti di Israele un atteggiamento simile a quello di Agar verso Sara: un intimo senso di superiorità, un latente disprezzo che può assumere forma di compatimento quando le cose gli vanno troppo male, un'avversione inespressa che emerge soltanto in occasioni particolarmente vistose, un disinteresse totale che si trasforma in antipatia quando viene disturbato e provoca lo sbuffo: "ma sempre questi ebrei, proprio non se ne può più!"
Nella maggior parte dei casi la maledizione di Dio non è percepita come tale, anche perché può avere diverse gradazioni di intensità e di tempi che la rendono irriconoscibile agli occhi di chi non è attento alle vie di Dio. Ma è tremendamente reale, perché Dio è una Persona seria: quello che dice, lo fa. Non è come i nostri governanti.
Le cose non cambiano in ambienti genericamente cristiani. "Diminuire" Israele ai propri occhi con una varietà di argomenti che si presentano come biblici è un fatto che avviene con naturalezza anche tra evangelici, ed esprime quella superbia da cui l'apostolo Paolo (Romani 11:13-32) vuole mettere in guardia i gentili che per grazia di Dio arrivano a credere nel Messia d'Israele come loro Signore e Salvatore. E se la superbia non è riconosciuta come tale, allora non si è più in grado di riconoscere che i tanti problemi che affliggono singoli e comunità possono essere aggravati dalla mancanza di una benedizione che avrebbe dovuto esserci, ma non c'è.
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(Notizie su Israele)
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Nasrallah è morto! Finalmente!
L'esercito israeliano ha annunciato ufficialmente la morte del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah oggi, Shabbat. E questo viene festeggiato in Israele - anche noi abbiamo brindato con un bicchiere di vino a tavola di Shabbat ieri sera, Le'Chaim!
di Aviel Schneider
GERUSALEMME - Poco dopo che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha terminato il suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, la situazione è esplosa a Beirut. Nessuno dei media mondiali si è concentrato sul discorso e sulla retorica di Netanyahu alle nazioni. Tutto era concentrato sulla roccaforte del terrorismo sciita di Dahieh a Beirut. L'area sotto la quale il centro di comando della milizia del terrore sciita si era trincerato in bunker sotterranei sembrava essere stata colpita da un meteorite. Poi è stata diffusa la foto che mostrava Netanyahu al telefono da qualche parte nell'edificio delle Nazioni Unite in territorio americano, dando il via libera al bombardamento di Hassan Nasrallah. Già durante il suo discorso alle nazioni, nella sua testa fluttuava il pensiero che in pochi minuti o ore Hassan Nasrallah sarebbe scomparso da questa terra e sarebbe stato mandato all'inferno. È possibile che a causa di ciò scoppi una guerra su più fronti. L'Iran vede anche quello che è successo ad Hamas ed Hezbollah dal 7 ottobre. È troppo presto per negoziare con il nemico. Solo quando imploreranno di negoziare, non prima. Fino ad allora, Israele deve continuare a colpire. Infine, l'apparato di sicurezza israeliano sta operando come il popolo voleva fin dall'inizio. Non reagire, colpire. Poche settimane dopo l'attacco del 7 ottobre nel sud del Paese, il leader di Hezbollah Nasrallah dichiarò nel suo primo discorso pubblico che l'attacco dimostrava che Israele era "più debole di una tela di ragno". La ragnatela è elastica, è sopravvissuta a quasi dodici sanguinosi mesi di guerra e ha dato una bella lezione a Hamas e Hezbollah. Solo insieme possiamo vincere. E i nostri nemici fantasticano che Israele sia debole come una ragnatela a causa della divisione della società israeliana. Non è l'entità sionista che scomparirà presto, come Nasrallah ha spesso sottolineato nei suoi discorsi. Sembra che lui e tutto il suo gruppo dirigente siano scomparsi una volta per tutte. Nel suo discorso alle nazioni, Netanyahu ha ricordato al mondo ciò che aveva detto l'anno scorso davanti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, pochi giorni prima del 7 ottobre. "L'anno scorso ho detto che oggi ci troviamo di fronte alla stessa decisione che Mosè prese migliaia di anni fa. Egli disse allora che i nostri passi determineranno se lasceremo una benedizione o una maledizione per le generazioni future - e questa è la scelta che abbiamo di fronte oggi. La maledizione dell'Iran o la benedizione di una storica riconciliazione tra arabi ed ebrei. Dopo questo discorso, la benedizione sembrava più vicina che mai - ma poi è arrivata la maledizione del 7 ottobre". Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah, non è un leader qualsiasi di un'organizzazione terroristica e la sua eliminazione non è paragonabile all'uccisione di un membro di spicco del braccio militare di Hamas o di Hezbollah. La sua morte è un enorme terremoto in Medio Oriente e nell'intero mondo del terrore, la cui portata è attualmente difficile da valutare. Per Hezbollah si tratta di una perdita senza precedenti, in quanto la figura più importante dell'organizzazione dalla sua fondazione è scomparsa. È una perdita senza precedenti anche per l'Iran, che vede scomparire il suo agente più importante al di fuori dei confini iraniani. Ed è un duro colpo per tutte le organizzazioni terroristiche, che fino a ieri vedevano in Nasrallah l'uomo in grado di sconfiggere Israele e ridurlo a una "ragnatela". In Occidente, i politici si grattano la testa e pensano che Israele sia impazzito. Josep Borrell, ministro degli Esteri dell'Unione Europea, ha dichiarato dopo gli attacchi israeliani a Dahieh, Beirut: "Stiamo esercitando tutte le pressioni diplomatiche per ottenere un cessate il fuoco, ma sembra che nessuno possa fermare Netanyahu". È vero, Israele sta impazzendo. Qui da noi si dice: "Il padrone di casa sta impazzendo". Finalmente. Ma non è Netanyahu che deve essere fermato, Israele deve essere fermato. Ma Israele non vuole e non può fermarsi ora. Finalmente Netanyahu sta reagendo come la stragrande maggioranza del popolo aveva immaginato. Il nemico va battuto senza pietà. I governi occidentali non capiscono quale favore abbia fatto Israele all'Occidente combattendo le milizie terroristiche islamiche come Hezbollah e Hamas. Ciò che il governo statunitense a Washington teme è che la guerra di Israele in Medio Oriente rovini le prossime elezioni di Kamala Harris e dei Democratici. Tutto il resto è secondario. Il fatto che 70.000 israeliani siano stati sfollati dal nord per un anno non è affatto un problema per i governi occidentali. Credono ancora che la diplomazia possa risolvere tutto. È sbagliato. La guerra è uno strumento di diplomazia e Israele deve continuarla. Negoziati durante la guerra, non durante il cessate il fuoco. È inutile. Può andare bene ai francesi e all'UE e aiutare Hezbollah e Hamas, ma non Israele. L'Occidente e l'UE non capiscono nemmeno la differenza tra Israele e Hezbollah, tra il bene e il male, tra la benedizione e la maledizione. A volte è meglio tacere che dire sciocchezze, e non bisogna essere invidiosi di chi ha il coraggio di combattere il terrore islamico. In Libano e in Siria, musulmani, sunniti, ma anche cristiani e drusi stanno festeggiando l'eliminazione di Nasrallah in Libano da parte di Israele. Lo abbiamo mostrato sul nostro canale Telegram per tutta la notte. Nasrallah era più di un terrorista. È stato un pioniere della politica, del terrorismo e del legame tra i due. A soli 32 anni è stato inaspettatamente nominato Segretario Generale della milizia terroristica, succedendo ad Abbas al-Musawi, anch'egli ucciso da Israele nel 1992. In breve tempo divenne un astro nascente nei cieli del terrorismo internazionale, ma anche sulla mappa politica dell'intero mondo arabo e musulmano, in particolare del Libano. Hezbollah ha distrutto l'armonia in Libano e ha fatto sprofondare il Paese dei Cedri in un abisso politico ed economico negli ultimi 30 anni, proprio come aveva fatto l'OLP sotto il suo leader Yasser Arafat negli anni '70 fino all'invasione israeliana del 1982. Per fermare gli attacchi missilistici, allora erano razzi Katyusha, e cacciare l'OLP dal Libano. Lo stesso scenario si è ora ripetuto. Per molti versi, Nasrallah è riuscito a cambiare la regione, soprattutto il volto del Libano. Sotto la sua guida, Hezbollah si è trasformato da una piccola milizia isolata in un impero militare con influenza sulle forze in Siria, ma anche in Yemen e in Iraq. La guerra civile siriana del 2011 ha spinto Nasrallah a prendere una decisione drammatica: ha inviato truppe per salvare Bashar al-Assad. I suoi combattenti hanno combattuto su tutti i fronti, sia contro i jihadisti dell'IS che contro l'opposizione moderata siriana. Hezbollah ha iniziato a operare anche in Yemen, Iraq, Bahrein e in tutto il mondo. Sotto Nasrallah, Hezbollah è diventato uno dei più grandi cartelli della droga al mondo e ha istituito il cosiddetto narco-terrorismo, ovvero il traffico di droga per finanziare attacchi terroristici. Nasrallah ha diffuso tra molti musulmani di tutto il mondo l'idea che Israele fosse debole come una tela di ragno. Ma l'arroganza di Nasrallah è diventata la sua trappola. Nell'ultimo anno ha commesso un errore dopo l'altro e non ha saputo leggere correttamente la mappa politica. L'errore più grave è stata la sua solidarietà con Hamas e la decisione di attaccare Israele l'8 ottobre 2023. Nasrallah era convinto che Israele fosse troppo debole e diviso per osare lanciare un attacco massiccio contro Hezbollah. Ora sta pagando il prezzo della sua arroganza. In conclusione, ci troviamo davvero di fronte a tempi drammatici ed emozionanti, ma Israele non ha altra scelta che eliminare o almeno ridurre drasticamente la minaccia terroristica e missilistica a sud e a nord una volta per tutte. Un attacco ripetuto dell'Iran stesso contro Israele è possibile, ma non inevitabile. Israele sa che potrebbe scoppiare una guerra. Il problema più grande è l'Occidente, che vuole impedire a Israele di farlo e minaccia di imporre un embargo sulle armi. Anche se l'Occidente non è d'accordo con la guerra di Israele al terrorismo e all'Iran, non dovrebbe almeno impedire a Israele di distruggere le milizie terroristiche. Dopo tutto, questo è nell'interesse di tutte le persone che vogliono vivere in libertà. Ma se non si sa scegliere tra Israele e Hezbollah, non si sa scegliere tra benedizione e maledizione. Netzach Israel lo Jeschaker - L'eternità di Israele non mente!
(Israel Heute, 28 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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La fine del capo terrorista che trasformò una banda di terroristi libanesi in una potenza jihadista al servizio dell’Iran
Nasrallah convinse innumerevoli musulmani di tutto il mondo che Israele fosse debole “come una ragnatela” e potesse essere facilmente sconfitto: una tracotanza che gli si è ritorta contro
Hassan Nasrallah non era un capo terrorista come un altro e la sua eliminazione potrebbe avere ripercussioni in tutto il Medio Oriente, di cui al momento non è possibile stimare la portata.
L’uscita di scena di Nasrallah rappresenta una perdita senza precedenti per Hezbollah e una perdita senza precedenti per l’Iran, in quanto era la sua risorsa più preziosa al di fuori dei suoi confini.
Nasrallah era molto più di un terrorista. Si era fatto strada nella politica ed era riuscito a collegarla al suo terrorismo.
Divenne il capo di Hezbollah a soli 32 anni, dopo che nel 1992 Israele aveva eliminato Abbas Musawi (che deteneva ostaggi israeliani), e divenne rapidamente un astro nascente del terrorismo globale, ma anche della politica nel mondo arabo e musulmano.
Nasrallah è riuscito a cambiare il Libano e l’intera regione, trasformando Hezbollah da una banda di terroristi in un impero militare con forze in Siria, Iraq e Yemen.
Rimuovendo molti membri veterani del suo gruppo terroristico, spianò la strada per diventare parte della politica libanese. Hezbollah si presentò per la prima volta alle elezioni nell’agosto del 1992 e ottenne otto seggi nel parlamento di Beirut, diventando così un partito politico “legittimo” pur continuando a essere una milizia armata.
Dopo quelle elezioni, Hezbollah divenne la principale organizzazione sciita e la più grande fazione religiosa del Libano. Nasrallah guadagnò popolarità anche perché, a differenza di altri politici libanesi, non appariva alla ricerca di ricchezza e vantaggi personali.
Hezbollah crebbe in forza a tal punto che il Libano non è stato più in grado di nominare un presidente o un primo ministro senza l’approvazione del gruppo. Persino il capo di stato maggiore libanese, tradizionalmente un membro della comunità cristiana, non poteva essere nominato senza il consenso di Nasrallah.
Il ritiro di Israele dal Libano meridionale nel 2000 e la seconda guerra in Libano del 2006 trasformarono Nasrallah in una figura mitica, ammirata non solo tra i musulmani sciiti. Era visto, in particolare agli occhi dell’Iran, come colui che era in grado di sconfiggere Israele.
Il Consiglio musulmano che doveva decidere le politiche del gruppo jihadista non era altro che un gruppo di fedeli fan, molti dei quali erano parenti e amici intimi.
Nasrallah ha anche fondato dei mass-media per veicolare il messaggio del gruppo terroristico e guadagnare consensi. Ha sempre cercato di presentarsi come un patriota libanese, sebbene fosse innanzitutto un braccio armato rigorosamente fedele al regime iraniano, facendo del Libano un prolungamento dell’Iran.
I suoi nemici venivano rapidamente eliminati, incluso l’ex primo ministro libanese Rafiq al-Hariri, assassinato nel 2005 dalla Siria con l’aiuto di agenti di Hezbollah.
Quando scoppiò la guerra civile siriana nel 2011, Nasrallah inviò ingenti forze per supportare la feroce repressione del regime del dittatore alawita Assad. Le sue truppe hanno combattuto a fianco delle forze governative su tutti i fronti, sia contro l’opposizione siriana che contro l’ISIS (sunnita). Poi ha inviato truppe in Yemen, Iraq e Bahrein.
Sotto Nasrallah, per finanziare il proprio terrorismo, Hezbollah è diventato anche un impero del narcotraffico, portando alla nascita del termine narcoterrorismo.
Ma l’ossessione principale di Nasrallah è sempre stata la distruzione dello stato ebraico. Fu lui ad instillare nella testa di innumerevoli musulmani di tutto il mondo l’idea che Israele fosse debole “come una ragnatela” e potesse essere facilmente sconfitto.
Questa tracotanza gli si è ritorta contro. Ha commesso errori, in particolare con la decisione di legarsi a Hamas nella guerra scatenata il 7 ottobre contro Israele e di avviare sin dal giorno successivo una serie ininterrotta di attacchi.
Credeva – erroneamente – che Israele fosse ormai troppo debole per attaccare le sue forze in Libano in modo significativo: una convinzione che ha pagato con la vita, dopo aver procurato danni e sofferenze al Libano.
Non sarà facile per l’Iran sostituire una figura carismatica e centralista, da lungo tempo a capo del gruppo terrorista Hezbollah, del Libano e del terrorismo jihadista globale.
(YnetNews, israele.net, 28 settembre 2024)
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“Il popolo d’Israele vive ora, domani, per sempre”: il discorso di Netanyahu all’ONU
Il discorso che il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha tenuto all’ONU.
“Signor Presidente, signore e signori, non avevo intenzione di venire qui quest’anno. Il mio Paese è in guerra, sta lottando per la sua sopravvivenza, ma dopo aver ascoltato le bugie e le diffamazioni rivolte al mio Paese da molti degli oratori su questo podio, ho deciso di venire qui e di mettere le cose in chiaro. Ho deciso di venire qui per parlare a nome del mio popolo. Per parlare per il mio paese, per parlare per la verità. Ed ecco la verità: Israele cerca la pace. Israele anela alla pace. Israele ha fatto la pace e farà di nuovo la pace. Eppure affrontiamo nemici selvaggi che cercano il nostro annientamento, e dobbiamo difenderci da loro. Questi assassini selvaggi, i nostri nemici, non cercano solo di distruggerci, ma cercano di distruggere la nostra civiltà comune e riportarci tutti a un’epoca oscura di tirannia e di terrore. Quando ho parlato qui l’anno scorso, ho detto che ci troviamo di fronte alla stessa scelta senza tempo che Mosè pose di fronte al popolo di Israele migliaia di anni fa quando stavamo per entrare nella Terra Promessa. Mosè ci disse che le nostre azioni avrebbero determinato se avremmo lasciato in eredità alle generazioni future una benedizione o una maledizione. Ed è questa la scelta che ci troviamo di fronte oggi: la maledizione dell’aggressione incessante dell’Iran o la benedizione di una riconciliazione storica tra arabi ed ebrei. Nei giorni successivi a quel discorso, la benedizione di cui parlavo è diventata più nitida. Un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele sembrava più vicino che mai. Ma poi è arrivata la maledizione del 7 ottobre. Migliaia di terroristi di Hamas sostenuti dall’Iran e provenienti da Gaza hanno fatto irruzione in Israele a bordo di pick-up e motociclette e hanno commesso atrocità inimmaginabili. Hanno brutalmente assassinato 1.200 persone. Hanno violentato e mutilato donne. Hanno decapitato uomini. Hanno bruciato vivi bambini. Hanno bruciato vive intere famiglie: neonati, bambini, genitori, nonni, in scene che ricordano l’Olocausto nazista. Hamas ha rapito 251 persone da decine di paesi diversi, trascinandole nelle segrete di Gaza. Israele ha riportato a casa 154 di questi ostaggi, tra cui 117 che sono tornati vivi. Voglio assicurarvi che non ci fermeremo finché anche gli ostaggi rimasti non saranno riportati a casa, e alcuni dei loro familiari sono qui con noi oggi. Vi chiedo di alzarvi in piedi. Con noi c’è Eli Shtivi, il cui figlio Idan è stato rapito dal festival musicale Nova. Quello è stato il suo crimine: un festival musicale. E questi mostri assassini lo hanno preso. Koby Samerano, il cui figlio Jonathan è stato assassinato e il suo cadavere è stato portato nelle segrete, nei tunnel del terrore di Gaza: un cadavere tenuto in ostaggio. Salem Alatrash, il cui fratello Mohammad, un coraggioso soldato arabo israeliano, è stato assassinato. Anche il suo corpo è stato portato a Gaza. E così è stato per il corpo della figlia di Ifat Haiman, Inbar, che è stata brutalmente assassinata durante quello stesso festival musicale. Con noi c’è Sharon Sharabi, il cui fratello Yossi è stato assassinato, e che prega per il fratello maggiore Eli, che è ancora tenuto in ostaggio a Gaza. E con noi c’è anche Yizhar Lifshitz del Kibbutz Nir Oz, un kibbutz che è stato spazzato via dai terroristi. Fortunatamente, siamo riusciti a liberare sua madre, Yocheved, ma suo padre, Oded, sta ancora languendo nell’inferno terroristico sotterraneo di Hamas. Vi prometto ancora una volta che riporteremo a casa i vostri cari. Non risparmieremo questo sforzo finché questa sacra missione non sarà compiuta. Signore e signori, la maledizione del 7 ottobre è iniziata quando Hamas ha invaso Israele da Gaza, ma non è finita lì. Israele è stato presto costretto a difendersi su altri sei fronti di guerra organizzati dall’Iran. L’8 ottobre, Hezbollah ci ha attaccato dal Libano. Da allora, ha lanciato oltre 8.000 razzi contro le nostre città e i nostri paesi, contro i nostri civili, contro i nostri bambini. Due settimane dopo, gli Houthi sostenuti dall’Iran nello Yemen hanno lanciato droni e missili contro Israele, il primo di 250 attacchi di questo tipo, tra cui uno ieri diretto a Tel Aviv. Anche le milizie sciite iraniane in Siria e Iraq hanno preso di mira Israele decine di volte nell’ultimo anno. Alimentati dall’Iran, i terroristi palestinesi in Giudea e Samaria hanno perpetrato decine di attacchi lì e in tutto Israele. E lo scorso aprile, per la prima volta in assoluto, l’Iran ha attaccato direttamente Israele dal suo stesso territorio lanciando contro 300 droni, missili da crociera e missili balistici. Ho un messaggio per i tiranni di Teheran: se ci colpite, vi colpiremo. Non c’è posto, non c’è luogo in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere. E questo vale per tutto il Medio Oriente. Lungi dall’essere agnelli condotti al macello, i soldati di Israele hanno reagito con incredibile coraggio e con sacrificio eroico. E ho un altro messaggio per questa assemblea e per il mondo fuori da questa sala: stiamo vincendo. Signore e signori, mentre Israele si difende dall’Iran in questa guerra su sette fronti, le linee che separano la benedizione dalla maledizione non potrebbero essere più chiare. Questa è la mappa che ho presentato qui l’anno scorso. È una mappa di una benedizione. Mostra Israele e i suoi partner arabi che formano un ponte di terra che collega Asia ed Europa. Tra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo, attraverso questo ponte, poseremo linee ferroviarie, condotte energetiche e cavi in fibra ottica, e questo gioverà a 2 miliardi di persone. Ora guardate questa seconda mappa. È la mappa di una maledizione. È una mappa di un arco di terrore che l’Iran ha creato e imposto dall’Oceano Indiano al Mediterraneo. L’arco maligno dell’Iran ha bloccato le vie marittime internazionali. Interrompe il commercio, distrugge le nazioni dall’interno e infligge miseria a milioni di persone. Da un lato, una luminosa benedizione: un futuro di speranza. Dall’altro, un oscuro futuro di disperazione. E se pensate che questa mappa oscura sia solo una maledizione per Israele, allora dovreste ricredervi. Ecco perché finanzia reti terroristiche in cinque continenti. Ecco perché costruisce missili balistici per testate nucleari per minacciare il mondo intero. Per troppo tempo, il mondo ha placato l’Iran. Ha chiuso un occhio sulla sua repressione interna. Ha chiuso un occhio sulla sua aggressione esterna. Bene, questa pacificazione deve terminare. E deve terminare adesso. Le nazioni del mondo dovrebbero sostenere il coraggioso popolo iraniano che vuole liberarsi di questo regime malvagio. I governi responsabili non dovrebbero solo sostenere Israele nel respingere l’aggressione iraniana, ma dovrebbero unirsi a Israele. Dovrebbero unirsi a Israele nel fermare il programma di armi nucleari dell’Iran. In questo organismo e nel Consiglio di sicurezza, avremo una deliberazione tra qualche mese. E invito il Consiglio di sicurezza a ripristinare le sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro l’Iran perché dobbiamo fare tutti ciò che è in nostro potere per garantire che l’Iran non ottenga mai armi nucleari. Per decenni, ho messo in guardia il mondo contro il programma nucleare iraniano. Le nostre azioni hanno ritardato questo programma di forse un decennio, ma non l’abbiamo fermato. L’abbiamo ritardato, ma non l’abbiamo fermato. L’Iran ora cerca di trasformare il suo programma nucleare in un’arma. Per il bene della pace e della sicurezza di tutti i vostri paesi non dobbiamo permettere che ciò accada, e vi assicuro che Israele farà tutto ciò che è in suo potere per assicurarsi che ciò non accada. Quindi, signore e signori, la domanda che ci si pone è semplice: quale di queste due mappe che vi ho mostrato plasmerà il nostro futuro? Saranno le benedizioni di pace e prosperità per Israele, i nostri partner arabi e il resto del mondo? O sarà la maledizione con cui l’Iran e i suoi delegati spargono carneficina e caos ovunque? Israele ha già fatto la sua scelta. Abbiamo deciso di promuovere la benedizione. Stiamo costruendo una partnership per la pace con i nostri vicini arabi mentre combattiamo le forze del terrore che minacciano quella pace. Per quasi un anno, i coraggiosi uomini e donne dell’IDF hanno sistematicamente annientato l’esercito terroristico di Hamas che un tempo governava Gaza. Il 7 ottobre, il giorno di quell’invasione in Israele, quell’esercito terroristico contava quasi 40.000 terroristi. Era armato con più di 15.000 razzi. Aveva 350 miglia di tunnel terroristici, una rete sotterranea più grande della metropolitana di New York, che usavano per scatenare il caos sopra e sotto terra. Un anno dopo, l’IDF ha ucciso o catturato più della metà di questi terroristi, distrutto oltre il 90% del loro arsenale di razzi ed eliminato i segmenti chiave della loro rete di tunnel terroristici. In operazioni militari misurate, abbiamo distrutto quasi tutti i battaglioni terroristici di Hamas, 23 su 24. Ora, per completare la nostra vittoria, ci concentriamo sul ripulire le capacità residuali di combattimento di Hamas. Stiamo eliminando i comandanti terroristi di alto rango e distruggendo le infrastrutture terroristiche rimanenti. Ma nel frattempo restiamo concentrati sulla nostra sacra missione: riportare a casa i nostri ostaggi, e non ci fermeremo finché questa missione non sarà portata a termine. Ora, signore e signori, anche con la capacità militare notevolmente ridotta di Hamas, i terroristi esercitano ancora un certo potere di governo a Gaza rubando il cibo che noi permettiamo alle agenzie umanitarie di portare a Gaza. Hamas ruba il cibo, e poi alza i prezzi. Si nutre la pancia, e poi riempie le sue casse con i soldi che estorce alla sua stessa gente. Vendono il cibo rubato a prezzi esorbitanti, ed è così che restano al potere. Bene, anche questo deve finire, e stiamo lavorando per porvi termine, e la ragione è semplice: perché se Hamas resta al potere, si riorganizzerà, si riarmerà e attaccherà Israele ancora e ancora e ancora, come ha giurato di fare. Quindi, Hamas deve andarsene. Immaginate, per coloro che dicono che Hamas deve restare, deve far parte di una Gaza postbellica: immaginate, in una situazione postbellica dopo la Seconda guerra mondiale, avere permesso ai nazisti sconfitti nel 1945 di ricostruire la Germania? È inconcepibile. È ridicolo. Non è successo allora e non succederà ora. Ecco perché Israele rifiuterà qualsiasi ruolo per Hamas in una Gaza post-bellica. Non cerchiamo di ricollocare insediamenti a Gaza. Ciò che cerchiamo è una Gaza smilitarizzata e de-radicalizzata. Solo allora potremo garantire che questo round di combattimenti sarà l’ultimo round. Siamo pronti a collaborare con partner regionali e di altro tipo per sostenere un’amministrazione civile locale a Gaza, impegnata nella coesistenza pacifica. Quanto agli ostaggi, ho un messaggio per i rapitori di Hamas: lasciateli andare. Lasciateli andare. Tutti quanti. Quelli vivi oggi devono essere restituiti vivi, e i resti di coloro che avete brutalmente ucciso devono essere restituiti alle loro famiglie. Quelle famiglie qui con noi oggi e altre in Israele meritano di avere un luogo di riposo per i loro cari. Un luogo dove possano piangere e ricordarli. Signore e signori, questa guerra può finire adesso. Tutto ciò che deve accadere è che Hamas si arrenda, deponga le armi e rilasci tutti gli ostaggi. Ma se non lo faranno, combatteremo finché non otterremo la vittoria. Vittoria totale. Non c’è sostituto per essa. Israele deve anche sconfiggere Hezbollah in Libano. Hezbollah è l’organizzazione terroristica per eccellenza nel mondo odierno. Ha tentacoli che abbracciano tutti i continenti. Ha assassinato più americani e più francesi di qualsiasi altro gruppo, eccetto Bin Laden. Ha assassinato i cittadini di molti paesi rappresentati in questa sala. E ha attaccato Israele in modo feroce negli ultimi 20 anni. L’anno scorso, senza alcuna provocazione, un giorno dopo l’eccidio di Hamas del 7 ottobre, Hezbollah ha iniziato ad attaccare Israele, costringendo più di 60.000 israeliani al nostro confine settentrionale ad abbandonare le loro case, diventando rifugiati nella loro stessa terra. Hezbollah ha trasformato città vivaci nel nord di Israele in città fantasma. Quindi voglio che pensiate a questo in termini equivalenti in merito agli Stati Uniti. Immaginate se i terroristi trasformassero El Paso e San Diego in città fantasma. Poi chiedetevi: per quanto tempo il governo americano tollererebbe una cosa del genere? Un giorno, una settimana, un mese? Dubito che lo tollererebbero anche solo per un giorno, eppure Israele ha tollerato questa situazione intollerabile da quasi un anno. Bene, sono venuto qui oggi per dire basta. Non ci fermeremo finché i nostri cittadini non potranno tornare sani e salvi alle loro case. Non accetteremo un esercito terroristico appollaiato sul nostro confine settentrionale, in grado di perpetrare un altro eccidio in stile 7 ottobre. Per 18 anni, Hezbollah si è rifiutato sfacciatamente di implementare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che richiede di spostare le sue forze lontano dai nostri confini. Invece, Hezbollah si è spostato fino al nostro confine. Hanno segretamente scavato tunnel del terrore per infiltrarsi nelle nostre comunità e hanno sparato indiscriminatamente migliaia di razzi nelle nostre città e nei nostri villaggi. Non lanciano questi razzi e missili da siti militari, fanno anche questo, ma li lanciano dopo averli piazzati nelle scuole, negli ospedali, nei condomini e nelle case private dei cittadini del Libano. Mettono in pericolo la loro stessa gente, mettono un missile in ogni cucina, un razzo in ogni garage. Ho detto al popolo del Libano questa settimana: uscite dalla trappola mortale in cui vi ha cacciato Hezbollah. Non lasciate che Nasrallah trascini il Libano nell’abisso. Non siamo in guerra con voi. Siamo in guerra con Hezbollah, che ha sequestrato il vostro paese e minaccia di distruggere il nostro. Finché Hezbollah sceglierà la via della guerra, Israele non avrà scelta. E Israele ha tutto il diritto di rimuovere questa minaccia e di riportare i nostri cittadini alle loro case in sicurezza, ed è esattamente ciò che stiamo facendo. Proprio questa settimana, l’IDF ha distrutto grandi percentuali di razzi di Hezbollah, che sono stati costruiti con i finanziamenti dell’Iran per tre decenni. Abbiamo eliminato comandanti militari di alto rango che non solo hanno versato sangue israeliano, ma anche americano e francese. E poi abbiamo eliminato i loro sostituti. E poi i sostituti dei loro sostituti. E continueremo a degradare Hezbollah finché tutti i nostri obiettivi non saranno raggiunti. Signore e signori, ci impegniamo a rimuovere la maledizione del terrorismo che minaccia tutte le società civili. Ma per realizzare davvero la benedizione di un nuovo Medio Oriente, dobbiamo continuare il percorso che abbiamo spianato con gli Accordi di Abramo quattro anni fa. Soprattutto, questo significa raggiungere uno storico accordo di pace tra Israele e l’Arabia Saudita. E dopo avere visto le benedizioni che abbiamo già portato con gli Accordi di Abramo, i milioni di israeliani che hanno già volato avanti e indietro attraverso la penisola arabica sopra i cieli dell’Arabia Saudita verso i paesi del Golfo, il commercio, il turismo, le joint venture, la pace, vi dico, quali benedizioni porterebbe una tale pace con l’Arabia Saudita. Sarebbe una manna per la sicurezza e l’economia dei nostri due Paesi. Incrementerebbe il commercio e il turismo in tutta la regione. Aiuterebbe a trasformare il Medio Oriente in un colosso globale. I nostri due Paesi potrebbero cooperare su energia, acqua, agricoltura, intelligenza artificiale e molti, molti altri campi. Una tale pace, ne sono certo, sarebbe un vero perno della storia. Inaugurerebbe una riconciliazione storica tra il mondo arabo e Israele, tra l’Islam e l’ebraismo, tra la Mecca e Gerusalemme. Mentre Israele è impegnato a raggiungere una simile pace, l’Iran e i suoi rappresentanti terroristici sono impegnati a mandarla a monte. Ecco perché uno dei modi migliori per sventare i nefandi disegni dell’Iran è raggiungere la pace. Una pace simile costituirebbe il fondamento per un’alleanza abramitica ancora più ampia, e tale alleanza includerebbe gli Stati Uniti, gli attuali partner arabi di Israele per la pace, l’Arabia Saudita e altri che scelgono la benedizione della pace. Ciò promuoverebbe la sicurezza e la prosperità in tutto il Medio Oriente e porterebbe enormi benefici al resto del mondo. Con il supporto e la leadership americana, credo che questa visione possa materializzarsi molto prima di quanto la gente pensi. E come Primo Ministro di Israele, farò tutto ciò che è in mio potere per realizzarla. Questa è un’opportunità che noi e il mondo non dovremmo lasciarci sfuggire. Signore e signori, Israele ha fatto la sua scelta. Vogliamo andare avanti verso un’era luminosa di prosperità e pace. Anche l’Iran e i suoi delegati hanno fatto la loro scelta. Vogliono tornare a un’era oscura di terrore e guerra. E ora ho una domanda, e la pongo a voi: quale scelta farete? La vostra nazione starà dalla parte di Israele? Starà dalla parte della democrazia e della pace? O starà dalla parte dell’Iran, una dittatura brutale che soggioga il suo stesso popolo ed esporta il terrorismo in tutto il mondo? In questa battaglia tra il bene e il male, non ci devono essere equivoci. Quando ti schieri con Israele, ti schieri per i tuoi valori e i tuoi interessi. Sì, ci stiamo difendendo, ma stiamo anche difendendovi da un nemico comune che, attraverso la violenza e il terrore, cerca di distruggere il nostro stile di vita. Quindi non ci dovrebbe essere confusione su questo, ma sfortunatamente, ce n’è molta in molti paesi e in questa stessa sala, come ho appena sentito. Il bene è rappresentato come male e il male è rappresentato come bene. Vediamo questa confusione morale quando Israele viene falsamente accusato di genocidio quando ci difendiamo dai nemici che cercano di commettere un genocidio contro di noi. Lo vediamo anche quando Israele viene accusato in modo assurdo dal Procuratore della CPI di avere deliberatamente fatto morire di fame i palestinesi a Gaza. Che assurdità. Aiutiamo a portare 700.000 tonnellate di cibo a Gaza. Sono più di 3.000 calorie al giorno per ogni uomo, donna e bambino a Gaza. Vediamo questa confusione morale quando Israele viene falsamente accusato di prendere deliberatamente di mira i civili. Non vogliamo vedere morire una sola persona innocente. È sempre una tragedia. Ed è per questo che facciamo così tanto per ridurre al minimo le vittime civili, anche se i nostri nemici usano i civili come scudi umani. E nessun esercito ha fatto ciò che Israele sta facendo per ridurre al minimo le vittime civili. Lanciamo volantini. Inviamo messaggi di testo. Facciamo milioni di telefonate per assicurarci che i civili palestinesi si mettano al sicuro. Non risparmiamo alcuno sforzo in questa nobile ricerca. Assistiamo a un’altra profonda confusione morale quando gli autodefiniti progressisti marciano contro la democrazia di Israele. Non si rendono conto che sostengono i delinquenti sostenuti dall’Iran a Teheran e a Gaza, i delinquenti che hanno sparato ai manifestanti, ucciso le donne perché non si coprivano i capelli e impiccato i gay nelle piazze pubbliche? Alcuni progressisti. Secondo il direttore dell’intelligence nazionale degli Stati Uniti, l’Iran finanzia e alimenta molti dei dimostranti contro Israele, chissà, forse alcuni dei dimostranti o persino molti dei manifestanti fuori da questo edificio ora? Signore e signori, il re Salomone, che regnò nella nostra capitale eterna, Gerusalemme, 3.000 anni fa, proclamò qualcosa che è familiare a tutti voi. Disse: Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Bene, in un’epoca di viaggi spaziali, fisica quantistica e intelligenza artificiale, alcuni direbbero che è un’affermazione discutibile. Ma una cosa è innegabile: non c’è sicuramente nulla di nuovo alle Nazioni Unite. Fidatevi di me. Ho parlato per la prima volta da questo podio come ambasciatore di Israele all’ONU nel 1984. Esattamente 40 anni fa. E nel mio discorso inaugurale qui, mi espressi contro una proposta di espellere Israele da questo organismo. Quattro decenni dopo, mi ritrovo a difendere Israele da quella stessa assurda proposta. E chi guida la carica questa volta? Non Hamas, ma Abbas. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas. Questo è l’uomo che afferma di volere la pace con Israele, ma si rifiuta ancora di condannare l’orribile eccidio del 7 ottobre. Sta ancora pagando centinaia di milioni ai terroristi che hanno assassinato israeliani e americani. Si chiama Pay for Slay. Più uccidi, più vieni pagato. E continua a condurre una guerra diplomatica incessante contro il diritto di Israele a esistere e contro il diritto di Israele a difendersi. E, a proposito, sono la stessa cosa, perché se non puoi difenderti, non puoi esistere. Non nel nostro quartiere, di certo. E forse non nel vostro. In piedi su questo podio 40 anni fa, ho detto ai promotori di quella scandalosa risoluzione per espellere Israele: Signori, lasciate il vostro fanatismo fuori dalla porta. Oggi, dico al Presidente Abbas e a tutti voi che sosterreste vergognosamente quella risoluzione: lasciate il vostro fanatismo fuori dalla porta. L’individuazione dell’unico e solo Stato ebraico continua a essere una macchia morale per le Nazioni Unite. Ha reso questa istituzione un tempo rispettata spregevole agli occhi delle persone perbene ovunque. Ma per i palestinesi, questa casa delle tenebre delle Nazioni Unite è il tribunale di casa. Sanno che in questa palude di bile antisemita, c’è una maggioranza automatica disposta a demonizzare lo Stato ebraico per qualsiasi cosa. In questa società anti-Israele della terra piatta, qualsiasi falsa accusa, qualsiasi accusa stravagante può radunare una maggioranza. Nell’ultimo decennio, sono state approvate più risoluzioni contro Israele in questa sala, nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che contro il mondo intero messo insieme. In realtà, più del doppio. Dal 2014, questo organismo ha condannato Israele 174 volte. Ha condannato tutti gli altri paesi del mondo 73 volte. Sono più di 100 condanne in più per lo Stato ebraico. Che ipocrisia. Che doppi standard. Che buffonata. Quindi, tutti i discorsi che avete sentito oggi, tutta l’ostilità rivolta a Israele quest’anno, non riguarda Gaza; riguarda Israele. Si è sempre trattato di Israele, della stessa esistenza di Israele. E vi dico, finché Israele, finché lo Stato ebraico, non sarà trattato come le altre nazioni, finché questa palude antisemita non sarà prosciugata, l’ONU sarà vista dalle persone imparziali ovunque come niente più che una farsa sprezzante. E dato l’antisemitismo all’ONU, non dovrebbe sorprendere nessuno che il procuratore della CPI, uno degli organi affiliati all’ONU, stia considerando di emettere mandati di arresto contro di me e il ministro della difesa israeliano, i leader democraticamente eletti dello Stato democratico di Israele. La fretta del procuratore della CPI nel giudicare, il suo rifiuto di trattare Israele con le sue corti indipendenti come vengono trattate le altre democrazie, è difficile da spiegare con qualcosa di diverso dal puro antisemitismo. Signore e signori, i veri criminali di guerra non sono in Israele. Sono in Iran. Sono a Gaza, in Siria, in Libano, in Yemen. Quelli di voi che stanno con questi criminali di guerra, quelli di voi che stanno con il male contro il bene, con la maledizione contro la benedizione, quelli di voi che lo fanno dovrebbero vergognarsi di se stessi. Ma ho un messaggio per voi: Israele vincerà questa battaglia. Vinceremo questa battaglia perché non abbiamo scelta. Dopo generazioni in cui il nostro popolo è stato massacrato, massacrato senza pietà, e nessuno ha mosso un dito in nostra difesa, ora abbiamo uno Stato, ora abbiamo un esercito coraggioso, un esercito di incomparabile coraggio, e ci stiamo difendendo. Come dice il libro di Samuele nella Bibbia: “נֵ֣צַח יִשְׂרָאֵ֔ל לֹ֥א יְשַׁקֵּ֖ר” “L’eternità di Israele non vacillerà”. Nel viaggio epico del popolo ebraico dall’antichità, nella nostra odissea attraverso la tempesta e i rivolgimenti dei tempi moderni, quella promessa antica è sempre stata mantenuta e rimarrà vera per sempre. Per citare un verso di un grande poeta: Israele non se ne andrà dolcemente in quella buona notte. Non avremo mai bisogno di infuriarci contro la morte della luce perché la torcia di Israele brillerà per sempre. Al popolo d’Israele e ai soldati d’Israele dico: siate forti e coraggiosi. “חִזְק֣וּ וְאִמְצ֔וּ אַל־תִּֽירְא֥וּ וְאַל־תַּעַרְצ֖וּ מִפְּנֵיהֶ֑ם כִּ֣י ה’ אֱלֹקיךָ ה֚וּא הַהֹלֵ֣ךְ עִמָּ֔ךְ לֹ֥א יַרְפְּךָ֖ וְלֹ֥א יַעַזְבֶֽךּ” עם ישראל חי Il popolo d’Israele vive ora, domani, per sempre”.
(L'informale, 27 settembre 2024 - trad. Niram Ferretti)
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Il 7 ottobre e la grande rimozione
È possibile una lettura religiosa degli avvenimenti?
di Rav Riccardo Di Segni
È successo a tutti in questi mesi. Stiamo seduti davanti alla televisione accesa e sentiamo l’ennesima notizia o commento pieni di odio e disinformazione contro Israele. Possiamo reagire con la rabbia, con l’insulto diretto a chi parla, scrivere su Facebook, protestare con il direttore di testata, o rinchiuderci nell’apatia. Tutte reazioni comprensibili. Ma questo basta? Siamo sicuri che il nostro essere ebrei non ci richieda anche qualcos’altro, su un piano differente?
La tragedia del 7 ottobre e la guerra che ne è derivata hanno determinato reazioni in tutto il mondo e soprattutto nella comunità ebraica. Nella maggioranza dei casi si è trattato e continua ad essere un coinvolgimento politico con un’intensa partecipazione emozionale, quale che sia la posizione che si assume, dal sostegno totale e incondizionato alla critica. C’è un aspetto della reazione che, a confronto con gli altri prevalenti, è passato sotto tono, quasi relegato per molti alla sfera privata o di piccoli gruppi: la dimensione spirituale, o meglio religiosa. È la domanda, davanti a tutto quello che è successo e continua a succedere, se vi sia un senso, un messaggio dall’alto, una sollecitazione a interrogare le coscienze, una spiegazione nelle fonti antiche, una guida per uscirne fuori. Se ascoltiamo una notizia terribile dai fronti aperti ai confini di Israele reagiamo con il dispiacere, l’orrore; se sentiamo un commento polemico antiisraeliano in un blog televisivo o in un qualsiasi canale mediatico ci arrabbiamo, proviamo a rispondere, protestare, manifestare, esprimere solidarietà. Ma il più delle volte non ci poniamo la domanda: perché succede questo? Perché proprio a noi come popolo ebraico è riservato questo nuovo spargimento di sangue e questa campagna di demonizzazione? Che senso ha, alla luce della nostra storia e alla luce di ciò in cui ha creduto il popolo ebraico da millenni?
Vi sono diversi motivi per spiegare questa elusione della domanda. Il primo è il nostro modo di pensare che è sostanzialmente “laico”, portato a spiegare le vicende umane prima di tutto secondo una dinamica sociale e politica, che chiaramente non deve mancare, ma non è detto che debba essere esclusiva. Il secondo motivo è che la ricerca di un senso più profondo è impegnativa, sia perché è difficile trovare risposte esaurienti, sia perché spesso la risposta coinvolge le responsabilità di ogni persona che da spettatore coinvolto e arrabbiato si potrebbe trasformare in una sorta di indagato.
Per dirla in termini molto semplificati, in tutta la Bibbia, e poi nella letteratura successiva, corre un pensiero uniforme: se il popolo ebraico soffre è perché le sofferenze sono un campanello di allarme che ne denuncia comportamenti scorretti e richiama a correggere le proprie azioni.
Un intero periodo dell’anno, il suo inizio, il mese di Tishrì, è dedicato a questo tema. E quest’anno il 7 ottobre cade proprio in mezzo agli Yamim Noraim, tra Rosh hashanà e Kippùr. Ascoltiamo il suono dello shofàr, che come spiega Rambàm in questi giorni ha soprattutto il ruolo di una sveglia: state dormendo, svegliatevi, prendete coscienza. E il ruolo dello shofàr in questi giorni è simile a quello che svolgono determinati accadimenti nella vita. Sta suonando un campanello, da mesi.
In questo periodo ciascuno è invitato a riflettere sul suo comportamento, a riparare le azioni sbagliate, e a tornare indietro (è il significato letterale della parola teshuvà). Quale possa essere il comportamento scorretto di un singolo individuo, davanti al lungo elenco di precetti da rispettare, può essere facile dirlo. Le cose si complicano quando ci si chiede quale sia il comportamento scorretto di un intero popolo. E ancora di più si complicano quando si confrontano i comportamenti sbagliati del singolo o del gruppo con gli eventi negativi che li colpiscono; spesso ai nostri occhi c’è una sproporzione inspiegabile. Tutto questo rende difficili i ragionamenti, e discutibili le conclusioni. Si pensi ad esempio che malgrado vi siano state tante interpretazioni autorevoli sulla Shoah, dal punto di vista filosofico e religioso, nessuna appare convincente fino in fondo. E le domande prevalgono sulle risposte, che qualche volta rischiano di essere banali e divisive.
Lo stesso rischio si può correre tentando di interpretare religiosamente il 7 ottobre, come ha fatto qualcuno accusando e denunciando certi comportamenti della società israeliana. Una società della quale si apprezzano le virtù ma che non è certo una società ideale, attraversata come è da polarizzazioni, fratture e profonde incomprensioni.
Il 7 ottobre ha rafforzato in molti ebrei l’identità ebraica, il sentirsi popolo minacciato. Questo per molti ebrei lontani è già un inizio di teshuvà. Dubito però che abbia risvegliato una teshuvà più forte, singolare e collettiva. Non è facile declinare in termini attuali le rampogne dei profeti della Bibbia. Non è facile, e forse è impossibile, spiegare in termini religiosi perché certe cose sono successe e stanno succedendo, ma l’incapacità di dare una risposta non ci sottrae dal dovere di esaminare noi stessi e provare a migliorarci. Il senso diretto e immediato nel messaggio antico è che non dobbiamo solo dolerci o arrabbiarci o reagire politicamente, non siamo solo delle vittime reali o potenziali, siamo persone dotate di coscienza che ogni giorno la devono sottoporre ad esame, e che devono capire cosa va fatto sul piano personale e collettivo per migliorare noi e la società.
(Shalom, 27 settembre 2024)
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È possibile una lettura religiosa degli avvenimenti? E’ doverosa direi, se per “religiosa” s’intende “in rapporto con Dio”. Se per molti la cosa non è possibile, dipende da loro, che pensano di poter interpretare i fatti riguardanti Israele senza far riferimento a Dio. Una difficoltà interna del mondo ebraico potrebbe essere il fatto che il tema centrale della loro riflessione ruota intorno alla Torà e non alla figura del Messia. Al centro della riflessione sulla Torà c’è il Dio che istruisce, mentre al centro della riflessione sul Messia c’è il Dio che agisce, che nella sua azione ha come oggetto primario la persona del Messia. Come primo frutto dell’agire di Dio nel mondo c’è proprio la presenza stessa di Israele come popolo e nazione. Come è possibile allora interpretare gli avvenimenti intorno a Israele prescindendo dalla volontà di Dio per Israele? Che senso ha interrogarmi su quello che devo pensare e fare io, se non mi chiedo che cosa ha fatto, sta facendo e si propone di fare Dio? M.C.
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Il Muro del Pianto viene pulito per Rosh HaShanah
Tra pochi giorni, tutto Israele festeggerà Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. Le celebrazioni iniziano la sera del 2 ottobre e terminano venerdì 4 ottobre.
In preparazione alla festa, decine di migliaia di piccoli pezzi di carta sono stati rimossi dal Muro del Pianto, come ogni anno. Il rabbino del Muro del Pianto e dei luoghi sacri, Rabbi Shmuel Rabinowitz, ha personalmente supervisionato e portato a termine l'azione. Si tratta principalmente di preghiere e petizioni, piccoli pezzi di carta che le persone di oltre 100 Paesi inseriscono personalmente nelle fessure o inviano dall'estero via e-mail o lettera ad alcuni servizi, che poi depositano i foglietti di preghiera tra le pietre del cosiddetto Muro Occidentale. In media, ogni mese arrivano circa 3.000 richieste di preghiera dall'estero. La maggior parte dei biglietti stranieri proviene da Stati Uniti, Brasile, Canada e Colombia.
Negli ultimi sei mesi si è registrato un aumento significativo del numero di biglietti di preghiera inviati al Muro Occidentale. La situazione del Paese spinge molti residenti a lasciare una preghiera al Muro del Pianto. La maggior parte delle preghiere sono per il recupero di soldati feriti o di ostaggi rapiti. "Quest'anno biglietti sono pieni di lacrime di famiglie in lutto, famiglie rapite, soldati feriti, cittadini evacuati, famiglie di soldati e altro ancora", ha detto il rabbino.
Il rabbino Rabinowitz ha augurato, in occasione dell'azione di pulizia: "Che un anno con le sue maledizioni finisca, un anno con le sue benedizioni inizi - la pace in Israele e l'unità tra noi è la preoccupazione di tutti noi".
I biglietti di preghiera vengono rimossi ogni anno secondo le linee guida della halacha. Vengono utilizzati guanti e utensili di legno monouso. L'operazione deve essere effettuata regolarmente per fare spazio ai nuovi biglietti di preghiera dei fedeli e dei visitatori che si recheranno al Muro del Pianto in futuro. I biglietti stessi vengono raccolti in speciali sacchetti Geniza e cerimoniosamente sepolti insieme ai libri sacri consumati. Questa usanza è stata documentata 300 anni fa. Di tanto in tanto, durante gli scavi nelle vicinanze, vengono ritrovati pezzi di carta sepolti di epoche passate.
Alla fine, si è pregato per il ritorno a casa dei rapiti e dei dispersi, per la pace dei soldati e delle forze di sicurezza dell'IDF, per la guarigione dei feriti, per la pace e la sicurezza in Israele e per le migliaia di visitatori e credenti le cui preghiere sono raccolte qui.
(Israel Heute, 27 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Riflessioni sulla “chirurgia” israeliana contro Hezbollah
di Giovanni Giacalone
Le operazioni militari dell’esercito israeliano in Libano hanno messo in ginocchio Hezbollah, decimandone non soltanto l’arsenale missilistico, ma anche la catena di comando e controllo al punto che soltanto due comandanti, Ali Karaki e Abu Ali Rida, sarebbero ancora in vita. Sul primo si era tra l’altro inizialmente pensato fosse morto in un raid. Rimane poi il leader supremo, Hassan Nasrallah, nascosto nel suo bunker.
Inoltre, l’utilizzo dei beeper esplosivi per colpire i terroristi di Hezbollah, una tattica mai usata prima da nessuno e che rimarrà nella storia, ha suscitato stupore ma anche forti critiche.
Ovviamente Israele è finita per l’ennesima volta al centro di accuse provenienti da più parti e la narrativa è sempre la stessa: gli attacchi dell’IDF non sono chirurgici e causano vittime civili; le operazioni israeliane non sono di contro-terrorismo ma si tratta invece di un’aggressione nei confronti del Libano; Hezbollah non era in grado di mettere in atto un attacco in stile 7 ottobre e per finire, Israele bombarda le abitazioni dei civili libanesi.
E’ bene dunque chiarire una volta per tutte questi punti visto che tali accuse presentano una natura faziosa e di parte, ben lontana dalla realtà dei fatti.
In primis, la natura chirurgica degli attacchi e la morte dei civili. Quando il 2 gennaio del 2024 a Beirut venne eliminato Saleh al-Arouri, il missile dell’IDF colpì il pavimento dell’abitazione dove era nascosto il soggetto in questione, raggiungendo l’obiettivo ed evitando di far collassare l’edificio. La stessa tattica venne utilizzata anche per l’eliminazione di Ibrahim Muhammad Qabisi, nel popoloso quartiere di Dahieh, a sud di Beirut.
Nel caso di Ibrahim Aquil, il missile raggiunse il piano seminterrato e ciò causò l’involontario collasso delle fondamenta dell’adiacente edificio. Diverse invece le dinamiche nel caso della tentata uccisione di Ali Karaki visto che veniva colpito il piano sbagliato, errore che permetteva al comandante di Hezbollah di sopravvivere all’attacco.
E’ dunque possibile affermare che attacchi di questo tipo non sono chirurgici? Ci sono forse altre forze armate che sono riuscite a fare di meglio in altri conflitti?
I missili hanno tra l’altro un costo non indifferente ed anche la raccolta delle informazioni, lavoro di anni, ha un forte valore. Non è dunque interesse di Israele sprecarli.
Per quanto riguarda la popolazione libanese, l’IDF invia ripetuti messaggi ai civili utilizzando sms, messaggi audio, comunicati radio, avvisandoli di allontanarsi da tutti quegli edifici civili dove Hezbollah nasconde e spara contro Israele. La medesima strategia è tra l’altro stata utilizzata a Gaza.
Sul tema della detonazione dei beepers in possesso dei terroristi di Hezbollah, bisogna veramente arrampicarsi sugli specchi per affermare che non è di natura chirurgica. E’ chiaro che se i terroristi si nascondono in mezzo alla popolazione, c’è sempre il rischio che qualche civile si faccia male, ma questa è una responsabilità che riguarda Hezbollah, certamente non Israele. Tanto più che l’eliminazione di terroristi salva vite, sia israeliane e sia libanesi.
Altra accusa mossa contro Israele è quella di aver aggredito uno Stato sovrano, il Libano, presentando la cosa come operazione di contro-terrorismo.
Anche questa è una semplificazione errata che mostra una non comprensione del fenomeno in corso. Hezbollah è infatti una vera e propria struttura di tipo militare dedita al terrorismo e che ha preso il controllo del Libano. Trattasi di un vero e proprio esercito, più potente di quello libanese e facente capo a un partito politico, oltre che un proxy iraniano e un suo strumento di destabilizzazione regionale.
Quella in atto è una vera e propria guerra tra l’esercito israeliano e una struttura militare che occupa il suolo libanese con l’obiettivo di aggredire Israele.
Sulla questione delle abitazioni civili colpite dall’IDF nel sud del Libano, anche in questo caso la responsabilità ricade su Hezbollah che le utilizza per nascondere missili, armi e per lanciare attacchi contro Israele. Una tattica ben nota e già vista anche a Gaza ad opera di Hamas. L’immagine del missile cruise posizionato all’interno di un’abitazione civile e pronto per essere lanciato dalla finestra ha fatto il giro del mondo, mostrando la reale natura terroristica di Hezbollah.
E’ inoltre utile ricordare che Hezbollah è da mesi che bersaglia i centri abitati del nord di Israele. Più di 60,000 cittadini israeliani sono attualmente sfollati e aspettano di poter rientrare nelle proprie abitazioni. La situazione è diventata insostenibile e Israele ha il diritto e il dovere di garantire ai propri cittadini la normalità. Questo non può avvenire senza un intervento forte nei confronti della minaccia, ovvero Hezbollah.
Bisogna poi aggiungere che le stesse preoccupazioni di molti enti internazionali non sono state riscontrate nei confronti dei civili israeliani bersagliati da Hezbollah.
In ultimo, si è addirittura letto che Hezbollah non era in grado di mettere in atto un attacco in stile 7 ottobre, nonostante le superiori capacità militari ed operative rispetto a Hamas. Già di per sé tale affermazione è contraddittoria per sua natura, visto che maggiori capacità e strumenti a disposizione permettono una maggior scelta tattica.
Il presidente israeliano, Israel Herzog, ha reso noto che i comandanti di Hezbollah (eliminati in un raid aereo) si erano riuniti a Beirut per pianificare proprio un attacco in stile 7 ottobre nel nord di Israele, a ridosso del confine con il Libano.
Anche il sito statunitense Al-Monitor ha citato una fonte vicina a Hezbollah, la quale ha affermato che tale incontro era stato organizzato per pianificare un’invasione su vasta scala della Galilea settentrionale.
Questa, che piaccia o no, è la situazione reale sul campo, priva di teorie quanto meno faziose che non tengono conto dei fatti concreti.
(L'informale, 27 settembre 2024)
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Parashà di Nitzavìm-Vayèlekh: Vi sono diversi tipi di ‘Avodà Zarà
di Donato Grosser
In questa parashà Moshè avvertì il popolo di non pensare che qualcuno possa evitare la punizione divina se servirà “gli dei falsi e bugiardi”. Moshè disse: “Non vi sia tra di voi un uomo o una donna o una famiglia o una tribù il cui cuore si distolga [dall’accettare il patto] dell’Eterno nostro Dio, per andare a servire gli dei di altre nazioni; non vi sia tra di voi una radice che produca veleno e assenzio. E non avvenga che qualcuno, dopo aver udito le parole di questo giuramento, si lusinghi in cuor suo dicendo: Avrò pace, anche se camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore […]. L’Eterno non lo vorrà perdonare […] (Devarìm, 29: 17-19). R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 371-2) si sofferma sulle parole “Avrò pace, anche se camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore”. R. Elyashiv scrive: Sembra impossibile capire come una persona possa pensare di darsi all’idolatria e di non essere soggetto a nessuna punizione divina. Perché quindi è necessario che venga scritto che “L’Eterno non lo vorrà perdonare”?. Per rispondere a questa domanda r. Elyashiv cita i Maestri nel trattato ‘Avodà Zarà (Sull’idolatria, culti estranei, 14b) dove è raccontato che il nostro patriarca Avraham scrisse un trattato sull’idolatria di quattrocento capitoli. Possibile che una trattato su questo argomento comprendesse tanti capitoli? Bisogna capire quindi che vi sono molti tipi e manifestazioni di ‘Avodà Zarà. Per esempio, nel trattato talmudico di Sotà (Sulla donna traviata, 4b) i Maestri affermano che una persona arrogante assomiglia a chi si dedica all’idolatria. Nel trattato di Ketubòt (Sui contratti matrimoniali, 68a), è detto che chi ignora il suo dovere di fare beneficenza assomiglia a chi “adora le stelle” e così via. Questi sono quindi alcuni degli argomenti che erano compresi nel trattato del patriarca Avraham. In verità le persone arroganti, coloro che ignorano la beneficienza, o anche che si adirano facilmente non pensano affatto di commettere delle trasgressioni che hanno a che fare con l’idolatria. Al contrario, sono lontanissimi dal commettere questa trasgressione. Queste persone frequentano regolarmente il bet ha–kenèsset (la sinagoga), indossano i tefillìn (filatteri) e si comportano in modo regolare. Con tutto ciò la Torà testimonia che nel fondo di queste persone esiste un seme di ‘Avodà Zarà o, nel linguaggio della Torà, “una radice che produce veleno e assenzio”. Poiché questa persona pensa “camminerò secondo l’ostinazione del mio cuore”, egli ritiene di essere a posto e non si rende conto affatto del suo peccato. E così il Signore non lo potrà perdonare. Anche il profeta Geremia (2:35) espresse questo concetto quando disse: “Ecco, Io entrerò in giudizio con te, perché hai detto: Non ho peccato”. R. Elyashiv conclude che non è possibile tornare sulla via retta senza la Torà. Per questo motivo i nostri Maestri nella quinta benedizione della ‘amidà (la tefillà, preghiera, che comprende diciotto benedizioni), le parole “fai sì che possiamo tornare alla Tua Torà” precedono le parole “e fai sì che possiamo tornare con totale pentimento alla Tua presenza”. R. Joseph Pacifici in Hearòt ve-He’aròt (p. 231) commenta che Moshè sapeva che in quel momento non vi era tra il popolo nessuno che adorava gli idoli, ma temeva che ci fosse qualche “radice” di opinioni false (“veleno e assenzio”) dalla quale sarebbe potuta scaturire l’idolatria. R. Pacifici aggiunge che se non si sradicano le opinioni false dalla radice, ne può venire fuori l’idolatria e sottolinea quindi che lo studio della Torà fatto nel modo giusto impianta nell’uomo opinioni consone con la Torà.
(Shalom, 27 settembre 2024)
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Parashà della settimana: Nitzavim
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Netanyahu smentisce le notizie di un imminente cessate il fuoco con Hezbollah
"La notizia di un cessate il fuoco è falsa. Si tratta di una proposta americano-francese alla quale il primo ministro non ha nemmeno risposto", ha dichiarato l'ufficio del primo ministro israeliano.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu giovedì ha smentito le notizie secondo cui Israele starebbe per concludere un cessate il fuoco con Hezbollah in Libano.
"La notizia di un cessate il fuoco è falsa. Si tratta di una proposta americano-francese alla quale il Primo Ministro non ha nemmeno risposto", ha dichiarato il suo ufficio mentre Netanyahu si recava a New York per parlare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite venerdì.
"Anche la notizia di un presunto ordine di moderare i combattimenti nel nord è falsa", ha proseguito il comunicato. "Il Primo Ministro ha dato istruzioni all'IDF di continuare a combattere con piena forza e secondo i piani che gli sono stati presentati", ha dichiarato il suo ufficio.
Anche le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza continueranno "fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi di guerra", ha aggiunto il comunicato.
Pochi minuti dopo, il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X: "Non ci sarà alcun cessate il fuoco nel nord. Continueremo la lotta contro l'organizzazione terroristica Hezbollah con tutte le nostre forze fino alla vittoria e al ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case".
Le dichiarazioni arrivano dopo che i membri della coalizione di Netanyahu hanno respinto la proposta statunitense-francese di un cessate il fuoco di 21 giorni.
"La campagna nel nord può terminare solo con uno scenario: lo smantellamento di Hezbollah e l'eliminazione della sua capacità di danneggiare i residenti del nord", ha dichiarato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, un membro chiave della coalizione di governo.
Gli Stati Uniti, l'Australia, il Canada, l'Unione Europea, la Francia, la Germania, l'Italia, il Giappone, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar hanno chiesto congiuntamente, mercoledì sera, un "immediato cessate il fuoco di 21 giorni al confine tra Libano e Israele per creare lo spazio per una soluzione diplomatica".
In precedenza, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Presidente francese Emmanuel Macron avevano dichiarato che era "tempo di una soluzione al confine israelo-libanese che garantisca la sicurezza in modo che i civili possano tornare alle loro case".
Nessuna delle due dichiarazioni faceva riferimento a Hezbollah.
(Israel Heute, 26 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Israele: “Hezbollah responsabile di un duplice crimine di guerra”
di Olga Flori
Nelle ultime 24 ore Israele ha attaccato 1600 obiettivi terroristici in Libano, avvertendo prima con telefonate, comunicazioni radiofoniche, siti internet e sms i civili di evacuare alcune zone del Paese interessate dalle operazioni militari. Sono queste le ultime informazioni fornite dal portavoce del governo israeliano, David Mencer che, nel corso di una conferenza stampa, martedì 24 settembre, ha accusato l’organizzazione terroristica di Hezbollah di un “doppio crimine di guerra”: «Hezbollah sta mettendo in pericolo i cittadini libanesi usandoli come scudi umani per nascondere le loro armi e per portare avanti attacchi contro Israele».
«Preferiremo sempre una soluzione diplomatica» ha ribadito Mencer «ma per 11 mesi e mezzo Hezbollah l’ha rifiutata e il governo libanese non è stato in grado di fare pressioni sull’organizzazione terroristica». Mencer ha spiegato che «l’Iran ha creato un anello di organizzazioni terroristiche [intorno ad Israele] da Hezbollah in Libano, Huthi in Yemen e altre milizie. Riceviamo missili anche dall’Iraq. Siamo in alta allerta».
A Shalom il portavoce del governo israeliano ha risposto sull’eventuale impatto dell’escalation militare in Libano sui colloqui per un cessate il fuoco, considerando che Hezbollah ha affermato che i suoi attacchi sono direttamente collegati alle operazioni militari a Gaza. Mencer ha spiegato che «la preoccupazione di Hezbollah di lanciare missili verso Israele per sostenere la causa palestinese non ha senso. Da oltre 76 anni molti palestinesi dentro al Libano non hanno mai ottenuto la cittadinanza. […] Si tratta di un odio patologico contro Israele». Le negoziazioni con Hamas, secondo quanto riferito dal portavoce israeliano, stanno proseguendo sulla base delle linee previste dagli Stati Uniti per prevedere il ritorno degli ostaggi e per raggiungere gli altri obiettivi della guerra.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che le azioni militari israeliane sono dirette contro l’organizzazione terroristica di Hezbollah e non contro il popolo libanese. Operazioni che hanno l’obiettivo di prevenire la minaccia di Hezbollah (eliminando leader di Hezbollah, i missili e le armi del gruppo), secondo quanto ribadito in data odierna nel corso della conferenza stampa. Mencer ha anche sottolineato che «alcuni dei leader di Hezbollah che abbiamo eliminato hanno sangue americano sulle loro mani e di 250 marine US degli anni ’80, oltre che di soldati francesi».
Dal giorno successivo al massacro del 7 ottobre, Hezbollah ha attaccato Israele con missili, droni ed oltre 9100 razzi, ferendo oltre 345 israeliani ed uccidendo 48 persone tra cui 12 bambini drusi israeliani su un campo da calcio. L’organizzazione terroristica ha colpito città del nord, abitazioni civili, kibbutzim e bestiame. Sono oltre 63mila gli israeliani evacuati dal nord del paese per motivi di sicurezza. «Non è una realtà sostenibile» ha spiegato Mencer.
(Shalom, 26 settembre 2024)
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Il tacito consenso islamico
E' un po' come se, sotto sotto, approvino la guerra di Israele contro il terrorismo islamico
Se c’è una cosa che appare roboante in merito alle guerre di Israele contro Hamas e contro Hezbollah, è il tacito consenso islamico all’annientamento dei terroristi palestinesi e dei terroristi al soldo di Teheran. Il silenzio dei regimi islamici, in particolare di quelli arabi, non stupisce più di tanto. Al di là del lato formale e delle condanne di circostanza, il rapporto tra Israele e gli Stati Arabi non è mutato nemmeno dopo la distruzione di Gaza. Gli Accordi di Abramo non ne hanno minimamente risentito. Meno che meno stupisce il silenzio arabo sull’attacco di Israele a Hezbollah. Persino Bashar Assad non è andato oltre le denunce di circostanza, forse perché stanco di vedersi bombardato per colpa dell’Iran e di Hezbollah. Se qualche voce si è alzata è per chiedere di tener fuori il popolo libanese. Almeno fino a quando sarà possibile dato che Hezbollah, esattamente come Hamas, usa le abitazioni civili, le scuole e gli ospedali come rifugio o, peggio, come base di lancio per gli attacchi. Scudi umani. Secondo Ynet, dieci anni fa, Hezbollah lanciò un’iniziativa segreta per offrire incentivi finanziari alle famiglie sciite nel Libano meridionale se avessero assegnato una stanza della loro casa a un lanciamissili a lungo raggio. Il missile, con una testata pesante, sarebbe stato pronto per essere lanciato da quella stanza. La stanza avrebbe avuto un tetto rimovibile, consentendo di sparare rapidamente. Ynet ha aggiunto che Hezbollah ha scelto specificamente le famiglie povere sciite che avevano bisogno di un reddito extra. A quanto si dice, Hezbollah ha acquistato appezzamenti di terreno e ci ha costruito case residenziali, offrendole a un prezzo ridotto o gratuitamente se le famiglie erano disposte a immagazzinare missili. L’Iran, chiaramente incapace (o timorosa) di dare il via a una iniziativa bellica in aiuto di Hezbollah, che pure lo ha chiesto, alle Nazioni Unite ha provato a mettere insieme il mondo islamico contro Israele. Non ha funzionato, o ha funzionato poco. Anzi, la mossa ha mostrato la tigre di carta che si nasconde dietro la facciata da bullo degli Ayatollah. Gli arabi sono stanchi dei palestinesi. Miliardi e miliardi di dollari in aiuto di uno Stato che non nascerà mai, con leader corrotti o votati unicamente alla Jihad. Un popolo che non ha storia, di cui non si sapeva niente prima degli anni 70 quando è stato inventato come arma contro Israele. Un’arma che agli arabi adesso non serve più, ma che fa comodo all’Iran e a tutto il mondo antisemita che ogni giorno brama una strage da usare contro Israele. L’unico caso che in parte si discosta dagli Stati arabi è quello del Qatar, che con Al Jazeera diffonde propaganda pro-Hamas e pro-Hezbollah a grandi mani e che, come maggiore finanziatore del terrorismo islamico, da ISIS fino ad Hamas, non gradisce particolarmente che Israele gli rompa i giocattoli. Noi abbiamo chiesto diverse volte e in diverse occasioni ad Al Jazeera e ai loro giornalisti come spiegavano il sostanziale silenzio degli arabi sulle guerre di Israele e come mai gli Accordi di Abramo non ne avessero risentito. Ma non abbiamo mai avuto risposta. Troppo piccoli noi, troppo bugiardi loro. Diciamolo chiaramente, il silenzio islamico assomiglia tantissimo ad un tacito consenso. La vita nei paesi arabi scorre senza scossoni, senza grandi proteste contro Israele. Anzi, le proteste contro Israele sono vietate in diversi stati arabi, compresa l’Arabia Saudita. Paradossalmente ci sono più proteste contro Israele in Occidente di quante ce ne siano nel mondo islamico. Magari se qualcuno lo facesse notare anche ai nostri tromboni non sarebbe male.
(Rights Reporter, 26 settembre 2024)
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La BBC vieta di chiamare quelli di Hamas “terroristi”
di Nathan Greppi
Yariv Mozer, regista israeliano del documentario We Will Dance Again, incentrato sul massacro avvenuto al Supernova Music Festival, ha raccontato in una recente intervista rilasciata a The Hollywood Reporter di aver dovuto evitare di descrivere Hamas come un’organizzazione terroristica se voleva che andasse in onda sulla BBC. Il film, trasmesso dall’emittente pubblica britannica mercoledì 25 settembre e commissionato dalla BBC Storyville, contiene filmati inediti del massacro di Hamas avvenuto al festival musicale il 7 ottobre 2023.
Mozer ha dichiarato a The Hollywood Reporter che questa era una concessione che ha dovuto fare affinché il film ricevesse la giusta copertura nel Regno Unito: “Era un prezzo che ero disposto a pagare affinché il pubblico britannico potesse vedere queste atrocità e decidere da sé se si tratta o meno di un’organizzazione terroristica”, ha detto.
Successivamente, il documentario verrà proiettato anche in Spagna e in Australia. Mentre negli Stati Uniti, è stato acquisito dalla piattaforma streaming Paramount+. Mozer ha raccontato di aver offerto We Will Dance Again a più piattaforme di streaming negli Stati Uniti; tuttavia, secondo quanto riferito, non erano disposti a riprenderlo a causa delle loro preoccupazioni in merito alla situazione politica attuale. “Il film non è politico – ha affermato Mozer -. È raccontato attraverso gli occhi dei sopravvissuti e quelli di Hamas. C’è la verità su quello che è successo”.
• FILMATI ATROCI Per quanto riguarda il contenuto del documentario, e l’utilizzo di filmati pieni di violenza, Mozer ha detto che voleva conservarne il più possibile, per poter mostrare quale fosse la portata dell’attacco e la brutalità con la quale Hamas ha colpito persone che non potevano difendersi. “Un brutale movimento fondamentalista sta cercando ossessivamente di distruggere i valori della società occidentale. Si trattava di giovani ad un festival musicale che celebrava la vita, l’amore e la pace: molto ingenui e di spirito libero. E hanno incontrato le persone peggiori, che amano la morte”.
Il documentario fa una ricostruzione minuziosa: partendo dal momento precedente all’attacco, iniziato alle 6:30 di sabato 7 ottobre, descrive gli eventi utilizzando testimonianze, video, telecamere a circuito chiuso, filmati GoPro dal live streaming di Hamas e filmati di telefoni e dashcam. Il filmato copre le oltre sei ore in cui le persone hanno cercato di nascondersi o fuggire dai terroristi.
• L’OPERATO DELLA BBC Intervistato da Israel Hayom, Asserson ha spiegato la sua teoria in merito alle ragioni dietro alla mancanza di obiettività da parte dell’emittente: “Sulla carta, la BBC si impegna rigorosamente ad essere oggettiva e imparziale, ma la sua direzione non ha regole effettive per assicurarsi che sia rispettato questo impegno. Noi ora possiamo dimostrare, attraverso le ricerche che abbiamo condotto, quanti intervistati sono vicini ai palestinesi e quanti a Israele, quanti contenuti mostrano empatia verso Hamas, ma l’azienda stessa non ne ha idea. Non possiede dati, non controlla le proprie produzioni, e in tal modo si permette di aggirare i suoi stessi standard”.
“La seconda ragione -, ha continuato Asserson – è che attaccare Israele è diventato lo sport di riferimento per gruppi di sinistra che si definiscono ‘progressisti’. Nel corso degli anni, questa tendenza è peggiorata. I giornalisti della BBC hanno adottato classici preconcetti di sinistra per quel che concerne Israele, e così loro, compresi quelli più estremi, sentono che la direzione non li supervisiona e lascia mano libera per mettere in atto delle manipolazioni, e persino per creare notizie false anziché riportare quelle vere. La BBC è stata presa in ostaggio da persone che fanno pienamente parte di questa propensione all’odio contro Israele”.
(Bet Magazine Mosaico, 26 settembre 2024)
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ROMA – I volti di Israele, la testimonianza di rav Ascoli
Misurare cosa è cambiato nella società israeliana dopo il 7 ottobre è uno degli obiettivi del ciclo di incontri “I tanti volti di Israele”, promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma.
Stasera alle 20.45 porterà una sua testimonianza al Pitigliani l’ingegnere e rabbino Michael Ascoli, già docente al Collegio Rabbinico Italiano e assistente del rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni. Dal 2010 rav Ascoli vive a Haifa, dove svolge la professione di project manager. Apriranno l’incontro i saluti della presidente Ucei Noemi Di Segni e del presidente del Pitigliani Daniel Coen. L’ospite sarà poi intervistato da Raffaele Genah, ex capo sede Rai per il Medioriente.
Nel numero di ottobre di Pagine Ebraiche in arrivo nelle case, rav Ascoli affronta uno dei dilemmi che attraversano la società israeliana di questi tempi: «Riportare a casa gli ostaggi o garantire la sicurezza nazionale?».
(moked, 26 settembre 2024)
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Antisemitismo incandescente
di Niram Ferretti
Nel teatro metafisico e apocalittico di Hezbollah, il Partito di Dio, nato nel 1982 a seguito dell’operazione israeliana del Libano del sud contro l’OLP, non è solo Israele a rappresentare il male assoluto ma lo sono gli ebrei in quanto tali. L’antisemitismo è una componente persistente della formazione radicale musulmana sciita, mano longa dell’Iran in Medioriente. Nel 2002, Hassan Nasrallah il segretario generale del partito, disse al giornalista americano Jeffrey Goldberg: “Se cercassimo nell'intero mondo delle persone più vigliacche, disprezzabili, deboli e senza nerbo nella psiche, mente, ideologia e religione, non troveremmo nessuno come gli ebrei. Noti, non sto dicendo gli israeliani ma gli ebrei”. Lo stesso Nasrallah che, sempre nel 2002, dichiarò al Daily Star di Beirut, “Se gli ebrei si radunassero in Israele, ci risparmierebbero la fatica di cercarli in giro per il mondo”. Come ha scritto Robert S. Wistrich, nel suo opus magnum, A lethal obsession, Antisemitism from Antiquity to the Global Jihad, “Hezbollah considera chiaramente il suo conflitto con Israele come una lotta per la vita o la morte. Questa lotta è simultaneamente storica, sociale e culturale, con le sue radici in una battaglia lunga tredici secoli tra l’ebraismo e l’Islam”. La guida spirituale di Hezbollah, il suo chierico più influente, lo sceicco Muhammad Husayn Fadallah, spiegava come il sionismo null’altro fosse se non la maschera del “giudaismo politico” e che il suo nucleo portante fosse da trovarsi nella continua e invincibile aggressione degli ebrei per i musulmani radicata nel rigetto ebraico di Allah. Tutto ciò non ha mai impedito che in Occidente, Hezbollah trovasse ammiratori, anche tra file ebraiche di estrema sinistra. Nel 2009 l’attivista antiisraeliano, ex professore universitario e politologo statunitense Norman Finkelstein, pupillo di Noam Chomsky, imbastiva una apologia di Hezbollah davanti a una giornalista libanese palesemente spiazzata da ciò che il suo ospite stava dicendo, ovvero che l’antagonismo di Hezbollah a Israele andrebbe inteso come una lotta per non soccombere alla “schiavitù” inevitabile che verrebbe imposta al Libano da parte di Israele e degli Stati Uniti, dipinti come stati guerrafondai e imperialisti interessati ad estendere il proprio dominio sulla regione. L’anno dopo sarebbe stato il turno del suo mentore Noam Chomsky che si recò in Libano per incontrare l’allora capo spirituale di Hezbollah, Mohammad Hussein Fadlallah, (dopo avere già incontrato nel 2006 Nasrallah) grande sostenitore della distruzione di Israele e degli attacchi terroristici contro civili inermi, il quale definì “eroico” il massacro alla yeshiva Mercaz HaRav avvenuto nel 2008 in cui vennero massacrati otto studenti religiosi ebrei. In Europa c’è chi andava con Hezbollah a braccetto per le strade di Beirut, come l’ex Ministro degli Esteri Massimo D’Alema, il quale, nel 2006, si accompagnava con un deputato del partito perché Hezbollah era “un interlocutore necessario per la pace”. Il ragionamento allora svolto fu il seguente: “Hezbollah mi sembra difficilmente liquidabile come un gruppetto terroristico essendo un movimento di natura assai complessa. Hezbollah è innanzitutto un partito politico che gode di un vasto consenso democratico, di una robusta rappresentanza parlamentare e che fa parte del governo di quel Paese che le Nazioni Unite dicono che dobbiamo sostenere”. Sicuramente, per i distratti, non per gli appassionati della malafede il consultare cosa pensa specificamente l’Unione Europea di Hezbollah, potrebbe essere utile, laddove il Regolamento d’esecuzione (UE) 2018/468 del Consiglio del 21 marzo 2018 che attua l’Articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420, continua ad inserire fra gli organismi terroristici l’«Ala militare di Hezbollah» («Hizballah Military Wing») [alias «Hezbollah Military Wing», alias «Hizbullah Military Wing», alias «Hizbollah Military Wing», alias «Hezballah Military Wing», alias «Hisbollah Military Wing», alias «Hizbùllah Military Wing», alias «Hizb Allah Military Wing», alias «Consiglio della Jihad» (e tutte le unità che dipendono da essa, compresa l’Organizzazione per la sicurezza esterna)]. La visione del mondo di Hezbollah è quella rigorosamente islamica incarnata dalla teocrazia sciita iraniana per la quale Israele è uno stato da annichilire e gli Stati Uniti sono il Grande Satana. Gli appartenenti al gruppo non hanno mai fatto mistero del loro antisionismo radicale forgiato sull’incudine del loro antisemitismo: un insieme di antigiudaismo coranico abbinato all’antisemitismo cospirazionista originato da “I Protocolli dei Savi di Sion”, l’Urtext di tutti gli antisemiti del Novecento, Hitler in testa. Dobbiamo a Muhammad Husayn Fadlallah, la dovuta chiarezza sull’argomento, “Gli ebrei desiderano minare o obliterare l’Islam e l’identità culturale araba in modo da incrementare il loro dominio economico e politico”, una frase che sembra uscita direttamente dai Protocolli. D’altronde, per ribadire meglio il concetto, nel 2008, l’emittente televisiva dell’organizzazione islamica, Al Manar mise in onda un programma il cui fulcro era la cospirazione ebraica per dominare il mondo a cui veniva aggiunta una variante moderna dei libelli medioevali antiebraici, la responsabilità diretta degli ebrei nella diffusione dell’AIDS. Il gemellaggio tra Hezbollah e Hamas, al di là delle differenze denominative, (lo sciismo per il primo, il sunnismo per il secondo) non può essere più stretto, l’antisemitismo virulento, lo stesso che ha motivato l’eccidio del 7 ottobre scorso. Nel gennaio 2010, il Segretario di Stato Hillary Clinton avviò delle trattative con i talebani. “Non fai pace con i tuoi amici. Devi essere disposto a impegnarti con i tuoi nemici”, spiegò. Fu un duro colpo per il governo afghano eletto e una scarica di adrenalina per gli talebani insorti . Per la Clinton, però, si trattò solo di realismo. Non importava quanto potessero essere detestabili i talebani, erano una realtà. Gli Stati Uniti non potevano né sconfiggere il gruppo né farli scomparire. Gli stessi atteggiamenti verso i gruppi terroristici permeano ampiamente, non solo Washington, ma anche l’Europa e le Nazioni Unite. Dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, un attacco che ha causato la morte in un singolo giorno di più ebrei dall’ epoca dell’Olocausto, i diplomatici hanno scrollato le spalle e hanno sollecitato la negoziazione. Dopo tutto, Hamas controllava Gaza. Era una realtà impossibile da invertire. Usare la forza militare per sradicarlo sarebbe equivalso a pugnalare la gelatina. La maggioranza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite era dello stesso avviso, premiando il terrorismo palestinese nel concedere l’adesione allo Stato di Palestina. La stessa valutazione vale per Hezbollah. Il 20 settembre 2024, un orientalista britannico ha affermato che “gli interessi dell’Iran, di Hezbollah e, a lungo termine, di Israele, non risiedono in una guerra con obiettivi massimalisti, ma in uno stato di coesistenza che, per quanto deplorevole e cinico possa essere, include tutto tranne la guerra”. Ci sono tre fattori che governano tali atteggiamenti. Il primo è l’eredità delle frequenti rotazioni di diplomatici e funzionari internazionali. Il saccheggio di Kabul da parte dei talebani nel 1996 o la presa del potere da parte di Hamas a Gaza poco più di un decennio dopo possono essere stati scioccanti nella loro brutalità, ma le rotazioni diplomatiche ogni anno o due li hanno normalizzati. Per quanto riguarda i diplomatici, i talebani rappresentavano la cultura pashtun e lo hanno sempre fatto, ed era normale che i terroristi controllassero il Ministero della Salute di Gaza. Il secondo è l’assenza di consapevolezza storica e di visione strategica. L’islamismo è semplicemente l’ultimo “ismo” ad avere invaso il Medio Oriente. Il nazionalismo arabo del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser è scomparso con il tempo e così faranno anche le visioni islamiste dell’ayatollah Ruhollah Khomeini o di Recep Tayyip Erdoğan. Né è corretto supporre che sia impossibile sconfiggere l’ideologia. Il gruppo Baader Meinhof è scomparso molto prima della fine dell’Unione Sovietica. Ciò è vero anche quando il gruppo ideologico controlla il territorio. Né l’Occidente né le Nazioni Unite sono scese a compromessi con i Khmer Rossi mentre trasformavano la Cambogia in campi di sterminio. Il gruppo è scomparso dopo l’invasione del Vietnam allo scopo di porre fine al terrore. La forza militare ha ampiamente sconfitto il califfato dello Stato islamico, anche se la Turchia di Erdoğan cerca di tenerlo in vita. Il terzo è la condiscendenza, se non il razzismo e l’antisemitismo. Gli Stati Uniti e l’Europa possono avere uno standard di tolleranza per quanto riguarda il terrorismo ai loro confini, ma i diplomatici che dominano il Foreign Office insinuano che Israele e gli arabi vivano secondo standard inferiori. L’operazione “Sotto la cintola” di Israele del 17 settembre 2024 o, come l’ha definita Michael Doran dell’Hudson Institute, “l’Operazione Grim Beeper”, è stata brillante dal punto di vista tattico e strategico. Ha preso di mira Hezbollah in modo preciso e ha neutralizzato il gruppo con effetti devastanti. Gli attacchi successivi di Israele contro le radio e gli scontri faccia a faccia hanno lasciato Hezbollah nel caos. Mai nei 42 anni da quando la Repubblica islamica dell’Iran ha formato il gruppo esso è stato così vicino a un colpo definitivo. È tempo che Israele sferri questo colpo. Guidando nel Libano meridionale nel 2020, ho incontrato membri attuali ed ex di Hezbollah nel loro territorio. Seduti in una sala da tè appena fuori Nabitiyeh, in Libano, i membri di Hezbollah, tra cui un uomo che aveva trascorso anni in una prigione israeliana, hanno detto che ne avevano abbastanza. Israele esisteva, Hezbollah era più una mafia che un movimento di liberazione e volevano solo la normalità. Quella “pressione massima” ha prosciugato le risorse di Hezbollah e ha solo accelerato tali conclusioni. Molti hanno maledetto l’Iran e hanno visto il commercio di confine con Israele prima del 2000 come un periodo d’oro per il Libano meridionale. Quando Israele invase per la prima volta il Libano nel 1982, gli sciiti libanesi li acclamarono mentre gli israeliani cacciavano l’Organizzazione per la liberazione della Palestina dalle loro città e dai loro villaggi. La luna di miele fu breve, poiché Israele si trattenne oltre il suo benvenuto e il corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche e la Siria cercarono separatamente di riempire il vuoto con gruppi fedeli a Teheran o Damasco ma ostili a Israele. L’Iran vinse la guerra civile intra-sciita del Libano entro il 1986, ma 38 anni dopo, gli sciiti libanesi ne hanno avuto abbastanza. Gli Antony Blinken, i Jake Sullivan, i Jeremy Corbyn e i David Lammy potrebbero cercare di preservare lo status quo, ma Israele non dovrebbe farlo. Eliminare Hezbollah e ripristinare la piena sovranità del Libano cambierebbe il paradigma strategico e cambierebbe la convinzione diplomatica prevalente che sia necessario parlare con i terroristi piuttosto che elaborare strategie preordinate alla loro sconfitta.
(L'informale, 25 settembre 2024)
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I nemici di Israele aiutano Israele contro altri nemici
È così semplice. Quello che sta accadendo ora in Libano è esattamente questo.
di Aviel Schneider
GERUSALEMME - Negli ultimi giorni e settimane, Israele ha dimostrato ai suoi nemici di avere tutte le informazioni segrete necessarie per uccidere uno ad uno l'intera leadership di Hezbollah. Questo perché la milizia terroristica sciita ha abbastanza nemici in Libano che stanno generosamente aiutando Israele a sbarazzarsi della piaga di Hezbollah in Libano - cristiani, drusi e sunniti. Ma Israele sa anche come usare i suoi nemici in Siria per attaccare altri nemici. La stragrande maggioranza dei siriani è sunnita e l'Iran è diventato sempre più potente nel Paese dallo scoppio della guerra civile in Siria nel 2011. Questo era importante e necessario per il regime di Assad, ma ora l'Iran e gli sciiti in Siria sono diventati troppo potenti e questo crea sfiducia e inimicizia. Una brillante opportunità per Israele. Nell'ultimo anno, questi gruppi hanno ripetutamente sottolineato nei media libanesi che loro e il Libano non vogliono una guerra con Israele. Ieri abbiamo mostrato un video sul canale Telegram che mostra come i cristiani libanesi non accolgano gli sfollati del Libano meridionale e gli scontri nel quartiere residenziale di Ain al-Rummaneh, un sobborgo cristiano di Beirut. Il motivo: i residenti cristiani del sobborgo si rifiutano di accogliere nel loro quartiere gli sciiti di Nasrallah fuggiti dal sud del Libano. Alla fine di luglio, il leader di Hamas Ismail Haniye è stato ucciso nel cuore di Teheran, pochi giorni dopo l'eliminazione del numero due della milizia terroristica sciita Hezbollah, Fuad Shukr, nel cuore di Beirut. Poi, improvvisamente, migliaia di cercapersone sono esplosi nelle tasche dei terroristi Hezbollah in Libano e in Siria. L'aviazione israeliana ha poi immediatamente bombardato i depositi di armi e razzi nel sud del Libano. Israele ha anche tutti i dettagli e i luoghi in cui Hezbollah li nasconde. So da varie fonti a Gerusalemme che i drusi e i cristiani, ma anche i sunniti in Libano, sostengono Israele nella guerra contro gli sciiti e Hezbollah. È stato così anche nella prima guerra del Libano, nel 1982, quando cristiani e drusi hanno inizialmente operato con Israele contro i terroristi palestinesi dell'OLP in Libano, finché tutto è andato storto. Non è un segreto che la milizia terroristica sciita stia subendo pesanti colpi da Israele in questi giorni e sembra che Hassan Nasrallah si aspetti un aiuto urgente dall'Iran. Ma finora il regime degli ayatollah non ha mai preso le difese delle sue milizie in Libano. Questo potrebbe essere il motivo per cui il presidente iraniano Massud Peseshkian ha dichiarato ieri che l'Iran non vuole la guerra. "È Israele che vuole trascinare l'Iran in una guerra su larga scala in Medio Oriente e tendere trappole a Teheran affinché si unisca a tale guerra". Peseshkian, che si è recato a New York per partecipare all'annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: "Non vogliamo essere la causa dell'instabilità in Medio Oriente, perché le conseguenze sarebbero irreversibili. Non vogliamo la guerra, vogliamo vivere in pace, mentre è Israele che vuole provocare una guerra totale". Ha sottolineato che l'Iran è consapevole che in una guerra non ci sono vincitori. "In una guerra e in un conflitto tutti perdono, ci inganniamo se crediamo che qualcuno possa uscire vincitore da una guerra regionale", ha detto il presidente iraniano. "Sappiamo meglio di chiunque altro che una guerra in Medio Oriente non porterà benefici a nessuno nel mondo. Non vogliamo la guerra". Finora l'Iran non ha reagito all'uccisione di Ismail Haniye. Israele ha anche dimostrato all'Iran di avere un'intelligence precisa che opera in profondità tra i ranghi delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Ora si ipotizza che anche il Presidente iraniano Ebrahimm Raisi, destituito a maggio, sia stato un obiettivo dell'intelligence israeliana, dopo che è stata diffusa una sua foto che mostra un cercapersone accanto a lui. Ammettere pubblicamente una cosa del genere sarebbe motivo di imbarazzo per il regime degli ayatollah. È possibile che Israele sia riuscito a dimostrare all'Iran che non vale la pena di mettersi contro Israele? Dopo tutto, l'attacco missilistico iraniano contro Israele a metà aprile è fallito. In seguito si è persino scoperto che la metà dei missili era un'arma difettosa. Forse l'Iran si sta rendendo conto di non essere attrezzato per una guerra con Israele? Le cose potrebbero cambiare, perché è in gioco anche l'onore. Gli sciiti e l'Iran possono rendersi ridicoli di fronte ai loro vicini sunniti, come già avviene sui social network e sui media. Israele opera con astuzia dietro le linee nemiche. "Fai la guerra con l'astuzia, e la salvezza è dove ci sono molti consiglieri", disse il saggio re Salomone, e questo è stato il motto del servizio segreto israeliano Mossad, oltre che dell'esercito, da allora. All'inizio di aprile, tre giorni dopo che Israele aveva deliberatamente ucciso il comandante iraniano dell'unità Quds, Mohammad Reza Zahadi, in un edificio vicino al consolato iraniano a Damasco, è stato citato un alto funzionario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale a Teheran. Egli ha dichiarato che le forze di sicurezza hanno presentato al Consiglio un rapporto in cui sospettano che funzionari del governo siriano siano coinvolti nell'uccisione di alti comandanti iraniani. Secondo questa fonte mediatica araba, le informazioni segrete delle autorità di sicurezza siriane avrebbero permesso a Israele di compiere le uccisioni. Due mesi prima, fonti iraniane avevano dichiarato alla Reuters che "le autorità di sicurezza iraniane sospettano che attori siriani abbiano fornito a Israele informazioni precise che hanno portato all'uccisione di alcuni alti comandanti delle Quds". Il mese scorso, il capo di Stato Maggiore siriano Abdul Karim Mohammad Ibrahim ha visitato segretamente Teheran per rafforzare i legami con l'Iran, all'insaputa del presidente siriano Bashar al-Assad. Lo ha riferito l'emittente televisiva saudita Al-Hadath in agosto. Secondo il rapporto, il Capo di Stato Maggiore siriano ha autorizzato operazioni contro Israele dalla Siria senza informare il suo capo Assad, compreso il lancio di droni contro Israele dalla Siria. Queste decisioni hanno portato Israele ad attaccare posizioni siriane e non iraniane. Inoltre, il Capo di Stato Maggiore siriano avrebbe autorizzato la consegna di armi dall'esercito siriano a Hezbollah. "Il Capo di Stato Maggiore siriano sta mettendo a rischio la stabilità della Siria e danneggiando le sue strutture vitali", sostiene il giornale saudita. Secondo il rapporto, la guerra ha modificato la presenza dell'asse iraniano in Siria. Gli sciiti, iraniani, hanno iniziato a mescolarsi con la popolazione siriana, abusando di loro come scudi umani e mettendoli così in pericolo. Inoltre, risorse civili e apparentemente legittime dello Stato vengono utilizzate per scopi terroristici. La forte presenza iraniana in Siria è evidente anche nel settore civile. Negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, le attività religiose a Damasco sono aumentate, soprattutto nei luoghi sacri sunniti. Le fonti riferiscono che la presenza iraniana sta diventando sempre più dominante sia nel settore civile che nelle basi dell'esercito siriano. All'ombra dell'escalation regionale, nei giorni scorsi alcuni rappresentanti del regime di Assad hanno inviato messaggi all'Iran, affermando che la Siria non vuole essere coinvolta in una guerra regionale in Medio Oriente. Questo è stato riportato dal Wall Street Journal. Secondo il rapporto, che si basa sulle dichiarazioni di un consigliere del governo siriano e di un alto funzionario della sicurezza europea, Damasco ha dichiarato di non voler essere coinvolta in una guerra in questo momento a causa della grave crisi economica del Paese e delle sanzioni internazionali contro il regime siriano. Israele sta sfruttando la situazione in Siria per i propri scopi e sa come colpire gli altri nemici in modo feroce e intenso in questo momento. Israele sta facendo lo stesso in Libano e sta collaborando con i nemici delle milizie terroristiche sciite in Libano contro Hezbollah. Questo spiega il successo delle eliminazioni e dei bombardamenti di depositi di armi e razzi in Libano e in Siria. Israele è in avanzata e non deve fermarsi. Perché i nemici di Israele capiscono solo il potere e altro potere - non la pietà.
(Israel Heute, 25 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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“Cari amici di Israele”
Editoriale di “Nachrichten aus Israel”
di Fredi Winkler
HAIFA - Israele ha giurato di trovare e liquidare tutti i responsabili delle atrocità del 7 ottobre di un anno fa, proprio come fece con gli assassini degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, anche se ci sono voluti 20 anni perché l'ultimo venisse catturato.
Israele conosce abbastanza bene i responsabili, poiché gli stessi membri di Hamas hanno filmato le loro atrocità per potersene vantare in seguito. E la maggior parte di questo materiale cinematografico è finito nelle mani degli israeliani.
Con la liquidazione di Ismail Haniyeh a Teheran, è stato raggiunto un leader di Hamas di altissimo livello. L'attacco contro di lui è stato un colpo da maestro dell'intelligence israeliana, che ha dimostrato come questi efferati assassini non saranno al sicuro da nessuna parte.
L'Iran non poteva credere a quello che era successo. Uno dei suoi più importanti alleati nella lotta contro Israele era stato fatto fuori da Israele nel bel mezzo di Teheran. Le voci più assurde giravano su come Israele fosse riuscito a uccidere Ismail Haniyeh, che era un ospite d'onore sotto la protezione del regime degli ayatollah.
L'Iran non aveva altra scelta che vendicare questa umiliazione. Ma la domanda è: vale la pena di rischiare una grande guerra per questo? Sebbene Ismail Haniyeh sia stato un alleato nella lotta contro il nemico sionista, non era uno sciita come gli iraniani, ma "solo un sunnita". Ma quando si tratta di combattere il nemico sionista, anche le differenze religiose altrimenti rivali nell'Islam scompaiono.
Le dichiarazioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan sono estremamente preoccupanti in questo contesto. Ha minacciato Israele di invaderlo. Questa dichiarazione è una minaccia oltraggiosa, ma Israele deve prenderla sul serio.
Inoltre, Erdogan ha dichiarato una giornata di lutto nazionale per Ismail Haniyeh, durante la quale la bandiera turca è stata esposta a mezz'asta.
Sebbene Turchia e Iran appartengano a campi religiosi diversi all'interno dell'Islam, si stanno avvicinando sempre di più. Ciò che li unisce sempre più è l'opposizione a Israele. Questo crescente avvicinamento ideologico tra Iran e Turchia è un serio motivo di preoccupazione per Israele.
Tuttavia, quattro Stati arabi non hanno condannato l'eliminazione dell'assassino di massa Ismail Haniyeh: Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Mauritania e Marocco. Questo dimostra che il mondo arabo e islamico non è così unito come potrebbe sembrare dall'esterno.
Quando la Turchia minaccia di invadere la terra d'Israele, Dio dice: "Nel giorno in cui Gog entrerà nella terra d'Israele, dice il Signore Dio, la mia ira salirà nelle mie narici" (Ezechiele 38:18). Ciò che significa è descritto nei versetti 19 e 20, e poi nel versetto 21 si dice: "E chiamerò la spada contro di lui su tutti i miei monti, dichiara il Signore DIO, e la spada dell'uno sarà contro l'altro".
Il mondo islamico può apparire minaccioso ed esteriormente unificato, ma grazie a Dio ci sono molte crepe. Ci sono anche coloro che vogliono semplicemente pace e tranquillità e che sono contrari alle sciabolate dell'Iran.
Grazie alla Parola di Dio - come in Ezechiele 38, dove possiamo vedere che il Signore stesso combatterà contro i nemici - un caloroso saluto dall'Israele minacciata.
(Nachrichten aus Israel, ottobre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Israele: nozze last minute a pochi chilometri dal confine con il Libano
Tanti invitati per un matrimonio programmato da tempo in una location di Haifa. Un desiderio di una giovane coppia di israeliani, Aviram Afota e Shani Vaknin, che l’incessante lancio di missili da parte di Hezbollah ha però dissolto, costringendoli ad annullare il lieto evento.
Tuttavia, Aviram e Shani non hanno perso la speranza e sono riusciti a ripianificare le nozze in una sinagoga a Nahariya, nel nord d’Israele, a circa 10 chilometri dal confine con il Libano. Un matrimonio last minute: poche ore per trovare un truccatore, un event designer, un DJ e un catering e alla fine gli sposi sono stati raggiunti anche da 70 persone, tra familiari e amici. “Queste non saranno nozze tristi perché coloro che devono essere qui, ora sono proprio accanto a noi. – ha detto lo sposo, come riporta Ynet – Certamente, sarebbe stato più gioioso essere in una sala con tutti i nostri amici e la famiglia intera, ma festeggeremo con loro più avanti. La chuppah di oggi è il nostro modo di rispondere a Hezbollah, proprio qui a Nahariya”.
La coppia ha anche auspicato il ritorno degli ostaggi israeliani e la sicurezza dei soldati dell’IDF.
Il padre e il fratello maggiore di Shani fanno parte della squadra di allerta locale del moshav di Shomera, mentre un altro fratello, tornato di recente da Gaza, presta servizio come comandante di plotone nella Brigata Golani. “Stiamo attraversando un momento difficile, ma siamo qui e ringraziamo Dio perché stasera possiamo stare sotto la chuppah e perché nostra figlia sta iniziando la sua vita matrimoniale in Israele. – ha detto la madre di Shani, Ayelet Chen Vaknin. Questa è la nostra forza, la forza del popolo di Israele: siamo qui contro Nasrallah e Hezbollah. – e ha aggiunto – Non ci toglieranno la gioia. Prego per il ritorno di tutti gli ostaggi sani e salvi e che i nostri soldati tornino presto a casa”.
(Shalom, 25 settembre 2024)
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Gli sciacalli della guerra
Agghiacciante la spasmodica ricerca di bambini tra le vittime dei bombardamenti israeliani, fino quasi ad augurarselo pur di sparare il "titolone".
di Sarah G. Frankl
Ieri sera ho avuto modo di vedere praticamente in diretta una chat privata tra una fonte libanese e alcuni giornalisti che mi dicono essere italiani e inglesi.
Il libanese avvisava che c’erano morti e feriti tra i civili ma ai giornalisti interessava solo sapere se tra le vittime c’erano bambini e quanti erano. Una cosa incredibile. Tutti lì a sbavare, quasi a sperare che ci fossero bambini tra le vittime così da poter sparare il titolone.
Noi di RR ci eravamo già accorti su Twitter che, oltre ai video e immagini fake (fatti malissimo) c’era questo interesse quasi morboso per sapere se tra le vittime civili, ammesso che si possa distinguere tra miliziani e civili, ci fossero bambini.
Ai giornalisti (chiamiamoli così giusto per dar loro una collocazione) non interessava affatto quello che il libanese aveva da dire, tra l’altro non lesinava attacchi a Hezbollah, no, a loro interessava esclusivamente sapere se tra le vittime ci fossero bambini o, in seconda battuta, donne.
Se nella realtà non si ripete del tutto lo schema di Gaza, grazie al fatto che il Ministero della salute libanese è certamente più attendibile di Hamas, nel mondo virtuale girano numeri e resoconti destituiti di ogni fondamento. Addirittura video e immagini risalenti alla guerra in Siria che mostrano distruzioni assolutamente non compatibili con la situazione in Libano.
Quello di questi “giornalisti” è uno sciacallaggio sulle vittime innocenti – come ce ne sono in tutte le guerre – che lascia francamente inorriditi. Questa maniacale ricerca di bambini vittime di bombardamenti, anzi, questo schifoso “quasi augurarsi” che vi siano bambini tra le vittime, è agghiacciante.
(Rights Reporter, 25 settembre 2024)
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Angelica Calò Livne: Mi dispiace per i libanesi ma dobbiamo reagire
La chat del kibbutz Sasa trilla a ciclo continuo. L’invito, reiterato a ogni ora, è a tenere pronto un bagaglio in caso di evacuazione urgente. E in ogni caso a riempire il mamad, la stanza blindata, con tutto il necessario. Perché la situazione da molto complicata potrebbe presto farsi critica.
«Potremmo dover lasciare il kibbutz in ogni momento», racconta l’educatrice italo-israeliana Angelica Edna Calò Livne da Sasa. Il Libano ed Hezbollah sono appena oltre il confine e la pioggia di razzi e missili è la cifra quotidiana del vivere da queste parti. Nelle ultime ore il contesto è ulteriormente peggiorato e un ordigno sparato da Hezbollah ha avuto come conseguenza il divampare di un ampio incendio «partendo dal nostro frutteto». Per fortuna, aggiunge la donna, «mio marito Yehuda, che è il responsabile della sicurezza qui a Sasa, è riuscito ad attrezzare un camion che ci permette di affrontare scenari del genere senza dover attendere l’arrivo dei pompieri». L’incendio è stato domato, ma due kibbutznik del gruppo della sicurezza «sono stati comunque ricoverati in ospedale».
(moked, 24 settembre 2024)
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Una vittoria israeliana su Hezbollah cambierebbe il paradigma strategico
di Michael Rubin
Nel gennaio 2010, il Segretario di Stato Hillary Clinton avviò delle trattative con i talebani. “Non fai pace con i tuoi amici. Devi essere disposto a impegnarti con i tuoi nemici”, spiegò. Fu un duro colpo per il governo afghano eletto e una scarica di adrenalina per i talebani insorti . Per la Clinton, però, si trattò solo di realismo. Non importava quanto potessero essere detestabili i talebani, erano una realtà. Gli Stati Uniti non potevano né sconfiggere il gruppo né farli scomparire.
Gli stessi atteggiamenti verso i gruppi terroristici permeano ampiamente, non solo Washington, ma anche l’Europa e le Nazioni Unite. Dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, un attacco che ha causato la morte in un singolo giorno di più ebrei dall’epoca dell’Olocausto, i diplomatici hanno scrollato le spalle e hanno sollecitato la negoziazione. Dopo tutto, Hamas controllava Gaza. Era una realtà impossibile da invertire. Usare la forza militare per sradicarlo sarebbe equivalso a pugnalare la gelatina. La maggioranza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite era dello stesso avviso, premiando il terrorismo palestinese nel concedere l’adesione allo Stato di Palestina.
La stessa valutazione vale per Hezbollah. Il 20 settembre 2024, un orientalista britannico ha affermato che “gli interessi dell’Iran, di Hezbollah e, a lungo termine, di Israele, non risiedono in una guerra con obiettivi massimalisti, ma in uno stato di coesistenza che, per quanto deplorevole e cinico possa essere, include tutto tranne la guerra”.
Ci sono tre fattori che governano tali atteggiamenti. Il primo è l’eredità delle frequenti rotazioni di diplomatici e funzionari internazionali. Il saccheggio di Kabul da parte dei talebani nel 1996 o la presa del potere da parte di Hamas a Gaza poco più di un decennio dopo possono essere stati scioccanti nella loro brutalità, ma le rotazioni diplomatiche ogni anno o due li hanno normalizzati. Per quanto riguarda i diplomatici, i talebani rappresentavano la cultura pashtun e lo hanno sempre fatto, ed era normale che i terroristi controllassero il Ministero della Salute di Gaza.
Il secondo è l’assenza di consapevolezza storica e di visione strategica. L’islamismo è semplicemente l’ultimo “ismo” ad avere invaso il Medio Oriente. Il nazionalismo arabo del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser è scomparso con il tempo e così faranno anche le visioni islamiste dell’ayatollah Ruhollah Khomeini o di Recep Tayyip Erdoğan. Né è corretto supporre che sia impossibile sconfiggere l’ideologia. Il gruppo Baader Meinhof è scomparso molto prima della fine dell’Unione Sovietica. Ciò è vero anche quando il gruppo ideologico controlla il territorio. Né l’Occidente né le Nazioni Unite sono scese a compromessi con i Khmer Rossi mentre trasformavano la Cambogia in campi di sterminio. Il gruppo è scomparso dopo l’invasione del Vietnam allo scopo di porre fine al terrore. La forza militare ha ampiamente sconfitto il califfato dello Stato islamico, anche se la Turchia di Erdoğan cerca di tenerlo in vita.
Il terzo è la condiscendenza, se non il razzismo e l’antisemitismo. Gli Stati Uniti e l’Europa possono avere uno standard di tolleranza per quanto riguarda il terrorismo ai loro confini, ma i diplomatici che dominano il Foreign Office insinuano che Israele e gli arabi vivano secondo standard inferiori.
L’operazione “Sotto la cintola” di Israele del 17 settembre 2024 o, come l’ha definita Michael Doran dell’Hudson Institute, “l’Operazione Grim Beeper”, è stata brillante dal punto di vista tattico e strategico. Ha preso di mira Hezbollah in modo preciso e ha neutralizzato il gruppo con effetti devastanti. Gli attacchi successivi di Israele contro le radio e gli scontri faccia a faccia hanno lasciato Hezbollah nel caos. Mai nei 42 anni da quando la Repubblica islamica dell’Iran ha formato il gruppo esso è stato così vicino a un colpo definitivo. È tempo che Israele sferri questo colpo.
Guidando nel Libano meridionale nel 2020, ho incontrato membri attuali ed ex di Hezbollah nel loro territorio. Seduti in una sala da tè appena fuori Nabitiyeh, in Libano, i membri di Hezbollah, tra cui un uomo che aveva trascorso anni in una prigione israeliana, hanno detto che ne avevano abbastanza. Israele esisteva, Hezbollah era più una mafia che un movimento di liberazione e volevano solo la normalità. Quella “pressione massima” ha prosciugato le risorse di Hezbollah e ha solo accelerato tali conclusioni. Molti hanno maledetto l’Iran e hanno visto il commercio di confine con Israele prima del 2000 come un periodo d’oro per il Libano meridionale.
Quando Israele invase per la prima volta il Libano nel 1982, gli sciiti libanesi li acclamarono mentre gli israeliani cacciavano l’Organizzazione per la liberazione della Palestina dalle loro città e dai loro villaggi. La luna di miele fu breve, poiché Israele si trattenne oltre il suo benvenuto e il corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche e la Siria cercarono separatamente di riempire il vuoto con gruppi fedeli a Teheran o Damasco ma ostili a Israele. L’Iran vinse la guerra civile intra-sciita del Libano entro il 1986, ma 38 anni dopo, gli sciiti libanesi ne hanno avuto abbastanza.
Gli Antony Blinken, i Jake Sullivan, i Jeremy Corbyn e i David Lammy potrebbero cercare di preservare lo status quo, ma Israele non dovrebbe farlo. Eliminare Hezbollah e ripristinare la piena sovranità del Libano cambierebbe il paradigma strategico e cambierebbe la convinzione diplomatica prevalente che sia necessario parlare con i terroristi piuttosto che elaborare strategie preordinate alla loro sconfitta.
(L'informale, 24 settembre 2024)
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Con “Frecce del Nord” inizia la seconda fase della guerra
di Ugo Volli
• L’AGGRESSIONE DI HEZBOLLAH
Ha un nome la nuova operazione delle forze armate di Israele in Libano: “Frecce del Nord”. In realtà non è un’operazione isolata, ma l’inizio di una nuova fase della guerra che è iniziata a Gaza il 7 ottobre dell’anno scorso e al nord il giorno dopo, l’8 ottobre, quando Hezbollah, senza alcuna provocazione, iniziò a bombardare Israele coi suoi missili. All’inizio erano singoli razzi anticarro (RPG) sparati da armi a spalla, poi i bombardamenti aumentarono di intensità e di qualità, con missili sulle istallazioni militari e anche sui kibbutzim, i villaggi e le cittadine della Galilea, fino a lanci più penetranti che arrivarono anche su località maggiori come Tzfat. Dall’8 ottobre Hezbollah ha sparato più di 8.800 missili, ferendo 325 persone e uccidendone 48. Particolarmente efferato fu il bombardamento diretto, cioè mirato di un campo sportivo del villaggio druso di Majdal Shams che il 26 luglio scorso uccise dodici ragazzini morti mentre giocavano a calcio. Oltre 63.000 civili israeliani sono stati costretti ad abbandonare le loro case in seguito ai bombardamenti.
• LA RISPOSTA PUNTUALE DELLA PRIMA FASE
La tattica dell’esercito israeliano è stata in questi mesi quella delle risposte puntuali: ogni volta che c’era un bombardamento, Israele sparava a sua volta contro la fonte del fuoco, usando l’artiglieria e gli aerei, con l’intento di distruggere il pericolo. Vi sono stati anche numerosi abbattimenti mirati di comandanti terroristi di grado più o meno alto. Ma non sembrava possibile intervenire sulla minaccia complessiva del nord, perché la massa dell’esercito era impegnata a Gaza e perché la forza di Hezbollah è molto superiore a quella di Hamas: all’inizio della guerra si stimava che i terroristi libanesi avessero nei loro depositi fra 100 e 150 mila missili, di cui un numero notevole di lunga gettata e con guida elettronica che ne assicurava la precisione e molte migliaia di droni, tutti forniti dall’Iran. Inoltre Hezbollah ha parecchie decina di migliaia di militari inquadrati in reparti ben armati e addestrati, veterani di campagne importanti nella guerra civile siriana. Il terreno montuoso con valli molto strette e il controllo totale del territorio, su cui sono stati scavati numerosi bunker e tunnel offensivi, rendono difficile un’offensiva di terra, in particolare la manovra dei carri armati, come si era già visto nella seconda guerra del Libano del 2006. Vi era inoltre una forte pressione americana ed europea, in particolare della Francia, perché non si “estendesse” la guerra al Libano – come se quel che faceva Hezbollah non fosse già una guerra terroristica. Israele ha comunque sempre dichiarato di non poter sopportare i bombardamenti sul proprio territorio e lo svuotamento della popolazione del nord, tanto da aver inserito recentemente fra gli scopi ufficiali della guerra in corso la possibilità per loro di tornare indisturbati alle loro case.
• LA NUOVA STRATEGIA
Dopo averlo molto annunciato e aver ripetutamente ammonito Hezbollah a cessare la sua aggressione e a obbedire alla risoluzione dell’Onu del 2006 che imponeva non vi fossero forze armate in Libano fra il confine con Israele e il fiume Litani, 15 chilometri circa più al nord, salvo l’esercito regolare libanese e il corpo internazionale Unifil dell’Onu, Israele ha cambiato strategia ed è passato all’offensiva. Non però come tutti credevano e Hezbollah pure aveva pensato, facendo entrare immediatamente una forza di terra oltre il confine, in modo da ripulire la zona da cui prevalentemente agiscono i terroristi, esponendosi però alle trappole da loro predisposte. È stata un’operazione diversa, più complessa ed efficace. Prima, martedì e mercoledì scorso, vi è stata l’esplosione dei cercapersone e delle radio detenute dai quadri dell’organizzazione, con il doppio risultato di mettere fuori combattimento alcune migliaia di terroristi, in sostanza tutti i capi intermedi, disarticolandone il quadro di comando, e di disabilitare l’infrastruttura di comunicazione, che per un esercito moderno è come il sistema nervoso- Poi venerdì c’è stato il bombardamento di un edificio di Deyah, il quartiere fortezza di Hezbollah a Beirut, che ha colpito una riunione dei massimi comandanti dell’organizzazione, eliminandoli tutti e sconvolgendo ulteriormente la sua catena di comando con la distruzione di tutto lo stato maggiore terrorista. Infine negli ultimi due giorni è partita una campagna sistematica di distruzione dei luoghi dove Hezbollah schiera e conserva i suoi missili e i loro lanciatori, tanto al confine con Israele quanto più al nord, nella lunga valle della Beka. Sono stati colpiti finora quasi duemila obiettivi, a quanto pare, dimezzando gli strumenti offensivi del gruppo. Hezbollah è riuscito a sparare alcuni missili, anche a lunga gettata, ma non è stato in grado finora di provocare gravi danni: evidentemente le difficoltà interne di comunicazione, l’eliminazione dei comandanti, lo stato di shock dell’organizzazione è tale da rendere difficile una sua offensiva anche coi materiali che le restano. L’esercito israeliano del resto continua a colpire i missili e i depositi di armi che spesso sono nascosti dentro villaggi e case civili (dopo aver invitato insistentemente e con molti mezzi la popolazione civile a evacuarli).
• COME ANDRÀ AVANTI?
È difficile dire come proseguirà “Frecce del Nord”. L’obiettivo minimo israeliano è costringere Hezbollah a ritirarsi dietro il fiume Litani, obbedendo alla risoluzione dell’Onu, e a abbandonare l’aggressione. Per questo potrebbero bastare in teoria i bombardamenti aerei. Ma è possibile che ciò non accada e che un’azione di terra si riveli necessaria per distruggere molto più a fondo il gruppo terrorista, sul modello di Gaza. L’incognita è l’Iran, grande protettore e in sostanza mandante di Hezbollah come di Hamas. Visto che i suoi calcoli strategici di sconfiggere lo stato ebraico col logorio di una guerra multifronte non funzionano, gli ayatollah accetteranno la sconfitta e indurranno i loro satelliti a cercare una via d’uscita, salvando almeno parte della loro organizzazione, o li getteranno completamente nella mischia, rischiando la loro distruzione totale? O addirittura, come si vociferava ieri, l’Iran entrerà direttamente in guerra? Su questo punto c’è dissenso, a quanto dicono i media, fra il nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, più disponibile a una de-escalation e la Guida Suprema Khatami che sarebbe più propenso a una guerra totale. Quel che è certo è che devono fare i conti con un Israele tutt’altro che esaurito e senza risorse, che conosce il fronte settentrionale molto meglio di quel che sapeva di Hamas un anno fa e ha pianificato da molto tempo la possibilità di uno scontro diretto con l’Iran, addestrandosi anche a distruggere il suo apparato nucleare. Tutti questo avviene in un momento in cui gli Stati Uniti sono ormai a meno di due mesi dalle elezioni e i candidati devono misurare bene il loro atteggiamento di fronte a un elettorato che è in grande maggioranza schierato dalla parte di Israele. Questo potrebbe essere un momento di svolta nella guerra.
(Shalom, 24 settembre 2024)
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L'aviazione israeliana colpisce 1.300 obiettivi in Libano mentre Hezbollah bombarda il nord di Israele
L'esercito invita i civili nel sud del Libano a lasciare le case utilizzate dall'organizzazione terroristica sostenuta dall'Iran.
di Joshua Marks
GERUSALEMME - Per tutta la giornata di lunedì, i caccia dell'aviazione israeliana hanno effettuato massicci attacchi aerei su obiettivi di Hezbollah in Libano per impedire all'esercito del terrore sostenuto dall'Iran di lanciare razzi oltre il confine. La sera di lunedì, l'IAF aveva attaccato più di 1.300 obiettivi di Hezbollah in Libano. Oltre a un precedente aggiornamento, l'esercito ha pubblicato un video in cui il tenente generale Herzi Halevi autorizza gli attacchi dalla sala di comando sotterranea del quartier generale delle Israel Defence Forces a Tel Aviv. Il portavoce dell'IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha avvertito che gli attacchi dell'IAF continueranno nel prossimo futuro e ha criticato il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah. Ha accusato il capo del terrorismo di "trascinare il Libano e l'intera regione in un'escalation". Sulla possibilità di manovre di terra in Libano, ha dichiarato: "Faremo tutto il necessario per riportare gli abitanti [del nord di Israele] nelle loro case. Abbiamo piani dettagliati che abbiamo presentato alla leadership politica". Lunedì mattina, Hagari ha avvertito i civili libanesi lungo il confine che Hezbollah stava usando le loro case come nascondigli di armi e che dovevano essere evacuati immediatamente per la loro sicurezza. Durante la conferenza stampa, ha anche annunciato che i terroristi hanno recentemente tentato di lanciare un missile da crociera da una casa civile, ma sono stati sventati, e ha presentato la documentazione dell'attacco preventivo. Il missile da crociera era un modello DR-3 con un raggio di volo di 200 km (124 miglia) e una testata fino a 300 kg (661 libbre), ha dichiarato l'IDF. "Ho registrato un messaggio chiaro per tutti i residenti del Libano meridionale - nelle ultime ore abbiamo rilevato l'intenzione di attaccare Israele e colpiremo presto", ha detto Hagari. "Per più di 20 anni, Hezbollah ha piazzato armi nelle case e le ha armate, trasformando il Libano meridionale in una zona di combattimento. Noi monitoriamo queste attività, localizziamo le armi e le distruggiamo con attacchi precisi. Vi invitiamo ad allontanarvi immediatamente da queste case per la vostra sicurezza. Hezbollah vi sta mettendo in pericolo", ha detto Hagari. L'IDF ha inviato messaggi di testo ai residenti del Libano meridionale invitandoli a stare lontani dagli edifici di Hezbollah. Il video messaggio di Hagari era sottotitolato in arabo: "Chiunque si trovi vicino o nelle case in cui Hezbollah nasconde armi è pregato di andarsene immediatamente". Gerusalemme ha intensificato la sua retorica e gli attacchi contro Hezbollah da quando ha recentemente aggiunto come obiettivo ufficiale di guerra il ritorno dei suoi residenti nel nord. Più di 60.000 israeliani rimangono sfollati all'interno del Paese dopo quasi un anno di attacchi quasi quotidiani di razzi, missili e droni da parte di Hezbollah a sostegno di Hamas nella Striscia di Gaza. I media libanesi affiliati a Hezbollah hanno riferito di vittime degli attacchi israeliani, che sono penetrati in profondità nel territorio libanese nella Valle della Bekaa. Nel frattempo, nella zona di Safed, nell'Alta Galilea israeliana, è stato lanciato un allarme razzi, con numerose esplosioni e decine di intercettazioni. È stata segnalata anche una raffica importante nella Bassa Galilea. Il gruppo medico di emergenza Magen David Adom ha dichiarato che due israeliani hanno riportato ferite minori quando un razzo ha colpito nella zona del Golani Junction, nella Bassa Galilea, tra Tiberiade e Nazareth. I due uomini, di 25 e 59 anni, sono stati portati al Centro medico di Poria (Baruch Padeh Medical Centre) vicino a Tiberiade per essere curati. A Giv'at Avni, situata sul Mar di Galilea, è scoppiato un incendio dopo che un razzo di Hezbollah ha colpito direttamente una casa, hanno riferito i media locali. I residenti si erano barricati nel loro rifugio e ne sono usciti illesi dopo gli attacchi. Dopo l'attacco dell'IAF a Beirut, lunedì sera, le sirene di allarme aereo hanno suonato in tutto il nord di Israele, mettendo in guardia da un nuovo lancio di razzi e missili. Il Magen David Adom ha dichiarato che i suoi paramedici hanno evacuato un uomo di 23 anni in condizioni moderate al Centro medico Rambam di Haifa dopo che era stato colpito alla testa da frammenti di razzi nell'Alta Galilea.Il leader dell'opposizione israeliana Yair Lapid ha accolto con favore gli attacchi dell'IAF in Libano in una dichiarazione. "Sostengo l'aviazione, l'IDF e le forze di sicurezza nella loro operazione in Libano. I tempi sono maturi. Siate forti e coraggiosi e agite - non abbiate paura e non disperate finché tutti i residenti del nord non torneranno sani e salvi nelle loro case", ha twittato il presidente del partito Yesh Atid.
(Israel Heute, 24 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Iran: una tigre di carta ammutolita dalla decimazione di Hezbollah
Il Presidente iraniano appena arrivato a New York dice senza mezzi termini che l'Iran "è disposta a deporre le armi se lo farà anche Israele". Una presa di coscienza non si sa quanto gradita ai Guardiani della Rivoluzione e all'Ayatollah Khamenei
di Franco Londei
Una vera pioggia di fuoco si è abbattuta su Hezbollah e per il momento la tanto temuta risposta dell’Iran a sostegno dei terroristi libanesi o come ritorsione per l’eliminazione di Ismail Haniyeh avvenuta proprio in casa degli Ayatollah, non si è vista. Anzi, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian si è affrettato a dire che «Vogliamo vivere in pace, non vogliamo la guerra». «Siamo disposti a mettere da parte tutte le nostre armi a condizione che Israele sia disposto a fare lo stesso», ha affermato al suo arrivo a New York dove parteciperà all’Assemblea Generale dell’ONU. Poi ha aggiunto che Israele vuole trascinare il Medio Oriente in una guerra in piena regola provocando l’Iran a unirsi al conflitto che dura da quasi un anno tra Israele e Hezbollah sostenuto da Teheran in Libano. Il fatto di accusare Israele di “provocazione”, usanza assai diffusa tra gli antisemiti, è una sorta di capovolgimento della realtà a cui purtroppo siamo abituati. Hezbollah ha iniziato a lanciare missili dall’8 ottobre, cioè dal giorno dopo del massacro del 7 ottobre e solo un sito antisemita come la BBC può tirar fuori un rapporto secondo il quale nello scambio tra Israele e Hezbollah lo Stato Ebraico avrebbe attaccato i terroristi con un numero di attacchi 4/5 volte superiore a quello dei terroristi. Tuttavia è molto indicativo il fatto che il Presidente iraniano abbia lanciato un messaggio di de-escalation, anche se poi il Ministero degli Esteri di Teheran si è affrettato a rilasciare una dichiarazione in cui smentisce le dichiarazioni riportate dal presidente. Perché è indicativo? Perché gli iraniani temono più il rischio che la guerra arrivi in casa loro di quanto abbiano sete di vendetta. Se infatti provassero a lanciare un nuovo attacco contro Israele, nel volgere di pochissimo tempo l’IDF colpirebbe direttamente obiettivi in Iran. E la situazione interna all’Iran potrebbe portare ad una implosione del regime. Non solo, esattamente come Hezbollah, l’Iran ha tantissimi missili ma pochi lanciatori per i missili balistici, circa 250 in tutto. Una volta lanciata la prima salva i lanciatori verrebbero immediatamente individuati e distrutti. È già successo in Libano. Gli iraniani lo hanno visto e sanno che succederà anche in Iran. Come hanno visto cosa è in grado di fare il Mossad che in due giorni ha tolto di mezzo il 10% dei miliziani di Hezbollah, decimato i vertici del gruppo terrorista e messo nel panico tutto il resto, lasciati quasi senza mezzi di comunicazione. La capacità di infiltrazione del Mossad, dimostrata anche ieri con l’attacco mirato contro Ali Karaki, il comandante in capo di Hezbollah, e contro quello che rimaneva dei vertici operativi terroristici, rende nervosi i Guardiani della Rivoluzione (IRGC) che, come dimostra anche l’eliminazione di Ismail Haniyeh, sanno di essere stati infiltrati ma non sanno come né a che livello. Il dubbio che una sorpresa come quella dei cercapersone esplosivi capitata a Hezbollah, possa capitare anche a loro, magari in forma più grande, sconsiglia qualsiasi azione. L’IDF e l’intelligence israeliane hanno calcolato tutto. Sanno che l’Iran non può lanciare «migliaia di missili» come i catastrofisti e gli anti-israeliani (spesso la stessa persona) vanno dicendo. Non perché non hanno i missili, non hanno i lanciatori e quelli che hanno sono facilmente individuabili. La lezione che sta subendo Hezbollah è molto più grande di quello che si possa vedere dall’esterno. È la decimazione del gruppo terrorista sia a livello fisico, a partire dai vertici, che a livello militare. A Teheran guardano impotenti l’umiliazione del loro proxy più potente. Attenti, non sto dicendo che Hezbollah non è ancora pericoloso. Sarebbe un errore imperdonabile crederlo. Anche questa mattina hanno lanciato centinaia di missili. Tuttavia è innegabile che in poco più di una settimana ha subito un colpo che se non è mortale poco ci manca. E adesso l’Iran è di fronte al dilemma più grande che gli Ayatollah si siano mai trovati ad affrontare: supportare Hezbollah con un attacco a Israele, oppure rimanere fermi aspettando che lo Stato Ebraico ritenga di aver raggiunto il suo obiettivo e si fermi. Nel primo caso sanno che sarebbe probabilmente la loro fine. Nel secondo dimostrerebbero di essere una tigre di carta e perderebbero ogni forma di deterrenza verso i nemici regionali, gli Stati Arabi.
(Rights Reporter, 24 settembre 2024)
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USA: allarmante aumento dei crimini d'odio antiebraico nel 2023
L'FBI ha pubblicato lunedì le statistiche che rivelano un aumento del 63% dei crimini d'odio contro gli ebrei negli Stati Uniti nel 2023. Il numero di episodi segnalati è passato dai 1.122 del 2022 ai 1.832 dell'anno successivo, raggiungendo il livello più alto mai registrato.
Secondo i dati, gli incidenti antisemiti hanno rappresentato il 15% di tutti i crimini d'odio nel 2023 e il 68% dei crimini d'odio basati sulla religione, anche se gli ebrei rappresentano solo il 2% circa della popolazione statunitense.
Il rapporto dell'FBI mostra anche un aumento del 34% degli incidenti anti-arabi, con 123 casi documentati, il numero più alto da quando l'agenzia ha iniziato a tracciare questi dati nel 2015. Gli incidenti anti-musulmani hanno registrato un aumento del 49% nel 2023, raggiungendo un totale di 236, il più alto dal 2017.
Jonathan Greenblatt, amministratore delegato dell'Anti-Defamation League (ADL), ha reagito ai dati dichiarando: "In un momento in cui la comunità ebraica sta ancora soffrendo per il forte aumento dell'antisemitismo in seguito al massacro di Hamas in Israele del 7 ottobre, il numero record di episodi di crimini d'odio antisemiti è purtroppo del tutto coerente con l'esperienza della comunità ebraica e con il monitoraggio dell'ADL".
Ted Deutch, amministratore delegato dell'American Jewish Committee (AJC), ha aggiunto: "Mentre la comunità ebraica si sta ancora riprendendo dallo shock del brutale attacco di Hamas agli israeliani del 7 ottobre, ci troviamo contemporaneamente di fronte a un aumento scioccante della violenza antisemita. I 1.832 crimini antisemiti denunciati - uno sconcertante aumento del 63% rispetto allo scorso anno - hanno avuto un grave impatto sullo stile di vita di molti ebrei americani".
Greenblatt ha sottolineato l'importanza di una raccolta completa di dati per combattere efficacemente questa recrudescenza della violenza d'odio: "I dati guidano la politica, e senza una comprensione completa del problema, non possiamo affrontare efficacemente questo significativo aumento della violenza d'odio".
Deutch ha concluso esprimendo la sua preoccupazione: "La parte peggiore di questa nuova realtà è che i giovani ebrei sono sempre più il bersaglio di questo aumento dell'odio antisemita, secondo il rapporto 2023 dell'AJC sullo Stato dell'Antisemitismo in America. È inaccettabile che negli Stati Uniti, tra tutti i luoghi, ci siano in media quasi cinque crimini di odio antisemita al giorno".
(i24, 24 settembre 2024)
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La lettera testamento di Daniel Mimon Toaff: Il bene del nostro popolo la mia bussola
Lettera scritta dal capitano Daniel Mimon Toaff prima di entrare a Gaza, poche settimane dopo il 7 ottobre.
«Comincerò dicendo che ricordo che da bambino, nonno e nonna mi dicevano sempre che quando sarei cresciuto non ci sarebbero più state guerre e non sarebbe servito l’esercito. Ho capito molto presto che non era vero, perché ho imparato cosa sono il popolo di Israele, la terra di Israele e lo Stato di Israele, che in ogni generazione si alzano contro di noi per annientarci, e il Santo, benedetto Egli sia, ci salva.
Noi ci troviamo in un momento storico, un momento che sarà ricordato per le generazioni, e noi qui abbiamo il privilegio di partecipare a questa storia. Un altro capitolo nella storia del popolo ebraico. Ogni capitolo nella storia del popolo ebraico inizia sempre da una cosa: le nostre lotte interne, quando osiamo pensare che anche chi la pensa diversamente da me sia inutile, rotto, non parte del popolo, e scollegato da noi.
Ogni volta che giungono le nostre crisi interne, ne deriva una catastrofe nazionale, come quella che è appena accaduta a noi: neonati sgozzati, intere famiglie distrutte, e noi siamo rimasti qui con le uniformi dell’IDF per difendere il nostro popolo, e abbiamo fallito. Bisogna dire la verità.
Ora tocca a noi, è il nostro turno di portare il peso, di assumere la responsabilità per il popolo. Come Abramo, Isacco e Giacobbe, ciascuno con la sua prova, Mosè che portò il popolo nella terra, Giosuè ben Nun nella conquista della terra, Davide, Salomone e i re di Israele, Ester e Mardocheo, i Maccabei, i membri delle organizzazioni clandestine, i partigiani, gli ebrei che affrontarono le sofferenze della Shoah, i soldati dell’IDF di tutte le generazioni: tutti presero la responsabilità per il loro popolo. Ora tocca a noi.
Un mese e mezzo fa era Rosh Hashanah, i Dieci Giorni di Penitenza e Yom Kippur. Tutti noi abbiamo pregato per il bene collettivo, e personalmente, la cosa su cui mi concentro sempre di più è il “Libro della Vita”. Non si tratta di vivere un altro anno o non morire, ma di avere una vita significativa, di fare del bene per il popolo di Israele e la terra di Israele. Io mi concentro sempre su questo e prego che la nostra vita sia dedicata a fare del bene per il popolo e la terra, una vita in cui rendiamo il mondo un posto migliore, e rendiamo il nostro popolo migliore. Questo è lo scopo della vita, e ora sono giunto a questo momento, e ho avuto il privilegio di fare questa cosa e di vivere questa vita: una vita di collettività e di fare del bene per il popolo di Israele con tutto il mio essere.
Grazie per un’educazione straordinaria, senza compromessi, con valori eterni di un popolo eterno che vincerà sempre. Ai miei cari fratelli, vi amo tutti. Ho imparato da ciascuno di voi, sono sempre orgoglioso di raccontare ciò che fate. Siete il mio orgoglio, anche se a volte mi comporto come un bambino sciocco, sappiate che vi amo sempre e sono orgoglioso di voi.
Grazie a mamma e papà, che per tutta la vita mi avete dato ciò di cui avevo bisogno, ma non mi avete mai permesso di montarmi la testa e pensare di essere il centro del mondo. Tutta la mia vita vedo come vi preoccupate di fare il bene ovunque vi troviate, sia mamma che lavora giorno e notte, sempre preoccupata per i problemi del nostro popolo nei luoghi in cui si trova, e come non rimane mai indifferente e pretende che giustizia e verità prevalgano. E sia papà che lavora sempre per il popolo, per la sicurezza del nostro popolo, e ne trae una soddisfazione ispiratrice. Siete la fonte della mia vita.
L’uomo è il riflesso del suo ambiente, e l’ambiente in cui sono cresciuto è questo: un ambiente di donazione infinita e di fare per il bene comune, non guardando solo a me stesso. Vi amo e vi chiedo, mentre io sono lì a combattere contro il male e a riportare il bene al popolo di Israele, che voi siate qui a casa, continuando a fare del bene per il nostro popolo. Non fermatevi mai. Tenete sempre la testa alta e il petto in fuori, perché siete riusciti a crescere una generazione fedele e devota al popolo di Israele, alla terra di Israele e alla Torah di Israele. Guardate che impero avete cresciuto: ogni figlio, con la sua unicità, contribuisce al popolo di Israele. Questa è la prova del successo di genitori eccellenti. Tutti dovrebbero invidiarvi per quanto siete riusciti a fare.
“E concedimi di crescere figli e nipoti saggi e intelligenti, amanti del Signore, timorati di Dio, che siano veramente un seme santo attaccato al Signore. Che illuminino il mondo con buone azioni e in ogni lavoro di servizio al Creatore.” [Preghiera istituita da Rav Levi Itzchak di Berditchev, recitata dai genitori ogni Motzei Shabbat. N.d.r.]
Questo è ciò che avete fatto e in cui siete riusciti, e io prego di riuscire come voi. Ci vediamo presto, e vi chiedo di mantenere sempre il sorriso, non importa cosa accada, e di continuare a fare per il popolo e la terra. Vi amo senza fine».
(moked, 24 settembre 2024)
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Israele: nuova grande ondata di attacchi contro Hezbollah
di Sarah G. Frankl
L’IDF ha annunciato di aver lanciato una nuova ondata di attacchi aerei contro obiettivi di Hezbollah nel Libano meridionale.
Anche i media libanesi riferiscono di pesanti attacchi in diverse zone del sud del Paese.
Gli attacchi sono avvenuti dopo che l’IDF avevano avvertito che avrebbero preso di mira le armi di Hezbollah conservate nelle case dei civili e avevano dichiarato di aver individuato agenti di Hezbollah che si preparavano a lanciare attacchi missilistici contro Israele.
Questa mattina i civili libanesi erano stati avvertiti con messaggi e telefonate da un numero libanese di lasciare le loro case nel caso in cui ospitassero armi di Hezbollah. Lo stesso numero li avvertiva di stare ad almeno 1.000 metri dalle postazioni di Hezbollah.
Secondo Ynet, dieci anni fa, Hezbollah lanciò un’iniziativa segreta per offrire incentivi finanziari alle famiglie sciite nel Libano meridionale se avessero assegnato una stanza della loro casa a un lanciamissili a lungo raggio. Il missile, con una testata pesante, sarebbe stato pronto per essere lanciato da quella stanza. La stanza avrebbe avuto un tetto rimovibile, consentendo di sparare rapidamente.
Ynet ha aggiunto che Hezbollah ha scelto specificamente le famiglie povere sciite che avevano bisogno di un reddito extra. A quanto si dice, Hezbollah ha acquistato appezzamenti di terreno e ci ha costruito case residenziali, offrendole a un prezzo ridotto o gratuitamente se le famiglie erano disposte a immagazzinare missili.
(Rights Reporter, 23 settembre 2024)
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Cresce la tensione in Medio Oriente, tra l’escalation nel nord di Israele e il mistero della scomparsa di Sinwar
di Luca Spizzichino
Il conflitto tra Israele e Hezbollah, in parallelo alla guerra contro Hamas a Gaza, si sta intensificando giorno dopo giorno. Negli ultimi giorni, lo scontro tra Israele e il gruppo terroristico sciita libanese ha assunto proporzioni preoccupanti, caratterizzate da pesanti bombardamenti e attacchi mirati dell’esercito israeliano, mentre Hezbollah ha intensificato il lancio di missili verso il territorio israeliano. Nel frattempo circolano voci sulle sorti del capo di Hamas, Yahya Sinwar, che si presume sia stato colpito in uno dei recenti bombardamenti nella Striscia di Gaza.
• Attacchi missilistici di Hezbollah contro il nord di Israele Nelle ultime ore, Hezbollah ha intensificato i suoi attacchi missilistici contro Israele, con un’ondata di oltre 85 razzi che ha colpito l’area di Haifa nelle ultime ore. L’attacco ha provocato il ferimento di tre persone e, tragicamente, ha causato la morte indiretta di un adolescente, vittima di un incidente d’auto mentre cercava rifugio durante le sirene d’allarme. Questo episodio rappresenta uno degli attacchi più pesanti da parte del gruppo, evidenziando la crescente aggressività della campagna condotta da Hezbollah contro Israele.
• Raid aerei israeliani contro le installazioni militari e i vertici di Hezbollah Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato: “Non permetteremo a Hezbollah di continuare ad attaccare i nostri cittadini impunemente. La nostra risposta sarà feroce e mirata”. Nelle ultime ore, infatti, Israele ha ulteriormente intensificato la sua risposta militare con un massiccio bombardamento contro Hezbollah. Più di 300 attacchi sono stati lanciati dalle IDF in una serie di raid mirati che hanno colpito lanciarazzi, depositi di armi e posizioni strategiche del gruppo terrorista. La portata e l’intensità delle operazioni non hanno precedenti, con attacchi concentrati soprattutto nelle aree da cui Hezbollah lancia missili contro Israele. Prima di avviare queste operazioni, l’IDF ha inviati degli avvertimenti ai civili libanesi affinché evacuassero le aree controllate da Hezbollah, sottolineando che chiunque si trovasse nelle vicinanze dei siti colpiti sarebbe stato considerato a rischio. “Non stiamo mirando ai civili libanesi, ma Hezbollah si nasconde tra di loro e usa i loro villaggi come basi operative”, ha dichiarato il portavoce dell’IDF. Il capo di Stato maggiore dell’IDF, Herzi Halevi, ha confermato che queste operazioni continueranno fino a quando Hezbollah non cesserà i suoi attacchi contro il nord di Israele. Uno degli attacchi più significativi, tuttavia, è avvenuto venerdì a sud di Beirut, in una delle roccaforti di Hezbollah. L’aviazione israeliana ha colpito un edificio in cui erano presenti due alti comandanti di Hezbollah e altri 14 membri della Forza d’élite Radwan di Hezbollah. Questa operazione ha colpito duramente l’organizzazione, che stava pianificando possibili incursioni contro Israele. Il presidente israeliano Isaac Herzog in un’intervista a Sky News ha parlato del raid, che ha prevenuto un attacco su larga scala simile a quello compiuto da Hamas il 7 ottobre. “Le informazioni di intelligence indicavano che i vertici di Hezbollah stavano pianificando un’invasione coordinata nelle nostre comunità settentrionali, – ha affermato Herzog – Abbiamo impedito una catastrofe”. L’IDF ha confermato che i comandanti uccisi stavano discutendo un’offensiva simile.
• La possibile morte del capo di Hamas, Yahya Sinwar Parallelamente al conflitto al nord, vi sono crescenti speculazioni sulla sorte del leader di Hamas, Yahya Sinwar. Secondo fonti israeliane, Sinwar potrebbe essere “irraggiungibile” o addirittura morto, a seguito di un attacco aereo israeliano. “Siamo in fase di verifica, ma le probabilità che Sinwar sia stato colpito sono alte”, ha riferito un funzionario della sicurezza israeliana. Il portavoce di Hamas ha evitato di commentare queste notizie; tuttavia, l’IDF continua a monitorare la situazione con attenzione.
• Un conflitto sempre più complesso L’intensificarsi del conflitto tra Israele e Hezbollah, in parallelo alla guerra contro Hamas, sta creando un contesto sempre più complesso, in primis per lo Stato ebraico, dove il timore di un conflitto esteso rimane alto, con il nord del Paese che rappresenta un fronte particolarmente vulnerabile. Hezbollah ha promesso di continuare i suoi attacchi, e il segretario generale del gruppo, Hassan Nasrallah, ha dichiarato in un recente discorso: “Israele non riuscirà a riportare i suoi cittadini al nord finché continua a colpire Gaza e il Libano. Non smetteremo di combattere finché l’aggressione contro il nostro popolo non cesserà.” Le forze israeliane si stanno preparando a fronteggiare e rispondere a nuove minacce. “Non esiteremo a continuare le nostre operazioni contro Hezbollah, e saremo inflessibili nel difendere i nostri cittadini”, ha affermato il ministro della Difesa Yoav Gallant.
(Shalom, 23 settembre 2024)
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Escalation del conflitto: oltre 100 razzi di Hezbollah verso Israele
di Anna Balestrieri
L’esercito israeliano ha riferito che Hezbollah ha lanciato oltre 100 razzi verso il nord di Israele, colpendo aree civili e attivando sirene di allarme. Gli ospedali nel nord del paese hanno trasferito le loro operazioni in strutture sotterranee protette. In risposta, l’aviazione israeliana ha effettuato una serie di attacchi aerei contro obiettivi di Hezbollah nel sud del Libano, intensificando ulteriormente le tensioni.
- HEZBOLLAH COLPISCE COMPLESSI INDUSTRIALI ISRAELIANI Hezbollah ha rivendicato un attacco contro complessi industriali della compagnia di difesa israeliana Rafael, vicino a Haifa, come “risposta iniziale” agli attacchi recenti in Libano. Le ostilità tra Israele e Hezbollah si sono intensificate, con bombardamenti reciproci tra il sud del Libano e il nord di Israele. Le autorità libanesi hanno confermato la morte di almeno una persona e il ferimento di altre nell’ultimo attacco israeliano.
- DICHIARAZIONI DEL PREMIER BENJAMIN NETANYAHU Domenica, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito la strategia di Israele di intensificare gli attacchi contro Hezbollah, affermando che il paese avrebbe intrapreso “qualsiasi azione necessaria” per ridurre la minaccia rappresentata dalla milizia libanese, nonostante i timori di un possibile conflitto regionale più ampio. Le sue dichiarazioni sono arrivate poche ore dopo che Hezbollah ha lanciato più di 100 razzi, missili e droni contro il territorio israeliano, in risposta a una serie di attacchi mortali contro il gruppo in Libano, tra cui esplosioni di dispositivi di comunicazione e attacchi aerei contro alti comandanti. Netanyahu ha lasciato intendere, senza entrare nei dettagli, che Israele aveva inflitto a Hezbollah “una serie di colpi” inaspettati. “Se Hezbollah non ha compreso il messaggio, vi prometto che lo comprenderà”, ha affermato in una dichiarazione registrata, sottolineando la determinazione di Israele a riportare gli israeliani sfollati nelle loro case nel nord del paese. Nonostante non abbia menzionato direttamente ’attacco notturno di Hezbollah, il quale ha fatto scattare sirene antiaeree in numerose città del nord di Israele, Netanyahu ha indicato la volontà di continuare le azioni militari. Hezbollah ha rivendicato di aver colpito basi militari israeliane, tra cui una vicino a Haifa. L’attacco è stato il più profondo nel territorio israeliano da quando il gruppo ha iniziato a lanciare attacchi l'8 ottobre, ma le forze israeliane hanno dichiarato di aver intercettato la maggior parte dei missili con i sistemi di difesa aerea. Tuttavia, la vita in molte città del nord, tra cui una a nord di Haifa, è stata pesantemente disturbata, con nuove restrizioni sugli assembramenti pubblici imposte in aree come le Alture del Golan e la Galilea. L’offensiva aerea di Hezbollah sembrava essere stata calibrata con attenzione, evitando un colpo diretto su una grande città come Tel Aviv, probabilmente per evitare una risposta ancora più dura da parte di Israele.
- SITUAZIONE IN LIBANO In Libano, la tensione è aumentata a seguito delle esplosioni di cercapersone e walkie-talkie, attribuite a Israele, e a un raid aereo nel quartiere Dahieh di Beirut. L Hezbollah ha confermato la morte di Ibrahim Aqil, capo delle operazioni e comandante della Forza Radwan dell’organizzazione terroristica Hezbollah, ricercato dagli Stati Uniti per il suo ruolo negli attentati del 1983 a Beirut, che causarono oltre 350 vittime. Oltre ad Aqil, nell’attacco sono stati eliminati altri 15 terroristi di Hezbollah, tra cui alti comandanti della catena di comando della Forza Radwan, che secondo l’esercito israeliano, erano responsabili della pianificazione, dell’avanzamento e dell’esecuzione di centinaia di operazioni terroristiche contro Israele, compresa la pianificazione del piano omicida di Hezbollah di razziare le comunità della Galilea. Tra i terroristi eliminati c’era Abu Hassan Samir, che era a capo dell’unità di addestramento della Forza Radwan. Ha ricoperto varie posizioni all’interno dell’organizzazione terroristica ed è stato comandante della Forza Radwan per un decennio, fino all’inizio del 2024. È stato uno dei pianificatori e leader del piano d’attacco “Conquista della Galilea” ed è stato coinvolto nell’avanzamento del radicamento di Hezbollah nel sud del Libano, cercando di migliorare le capacità di combattimento terrestre dell’organizzazione. Nel corso degli anni e durante i primi mesi di guerra, ha pianificato ed eseguito numerosi attacchi e infiltrazioni in territorio israeliano. Gli altri comandanti: Samer Abdul-Halim Halawi – Comandante della zona costiera; Abbas Sami Maslamani – Comandante dell’area di Qana; Abdullah Abbas Hajazi – Comandante dell’area della cresta di Ramim; Muhammed Ahmad Reda – Comandante dell’area di Al-Khiam; Hassan Hussein Madi – Comandante dell’area di Monte Dov. Inoltre, sono stati eliminati alti funzionari dell’organizzazione e del quartier generale della Forza Radwan: Hassan Yussef Abad Alssatar, responsabile delle operazioni della Forza Radwan. Ha guidato e portato avanti tutte le operazioni di fuoco della Forza Radwan; Hussein Ahmad Dahraj – Capo di Stato Maggiore della Forza Radwan. Era coinvolto nel trasferimento di armi e nel rafforzamento dell’organizzazione.
- DICHIARAZIONI DEL PRESIDENTE ISAAC HERZOG In un’intervista con Trevor Phillips di Sky News, il presidente israeliano Isaac Herzog ha affermato che Israele non vuole una guerra con il Libano, ma ha accusato le forze iraniane e Hezbollah di essere la causa dell’attuale conflitto. Herzog ha dichiarato: “Israele sta lottando per il suo benessere, la sua esistenza e i suoi cittadini”. Ha poi aggiunto che Hezbollah, che ha definito un “organizzazione terroristica”, sta usando il Libano come base per attacchi contro Israele, con il sostegno dell’Iran.
- L'IRAQ, UN ALTRO FRONTE Domenica, l’esercito israeliano ha dichiarato di aver intercettato il fuoco proveniente dall’Iraq, dove un altro gruppo sostenuto dall’Iran ha affermato di aver lanciato droni contro Israele. In un’intervista rilasciata a New York, prima dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha accusato Israele di aver creato “un vero inferno a Gaza”. Citato dalla giornalista di Haaretz, Allison Kaplan Sommer, Araghchi ha affermato che “i crimini del regime sionista in Libano, seppur mossi dalla frustrazione, non rimarranno senza risposta”.
- L'IDF ANNUNCIA MODIFICHE ALLE LINEE GUIDA DIFENSIVE NEL NORD Da questa mattina, sono stati apportati aggiornamenti significativi alle linee guida difensive dell’Israeli Home Front Command, a seguito di una valutazione della situazione condotta dalle Forze di difesa israeliane (IDF). Queste modifiche, entrate in vigore alle 06:00, hanno un impatto su diverse regioni settentrionali, tra cui le alture del Golan settentrionali e meridionali, la Galilea, la baia di Haifa e le valli. L’IDF ha chiarito che queste linee guida sono fondamentali per la sicurezza dei civili in queste aree. “Le istruzioni pubblicate sui canali ufficiali dell’Home Front Command devono essere seguite”, ha sottolineato l’IDF, esortando ulteriormente i cittadini a fare riferimento al National Emergency Portal e all’app dell’Home Front Command per le informazioni più aggiornate. Oltre alle misure difensive riviste, l’IDF Northern Command ha emesso linee guida specifiche per le comunità lungo la linea di scontro, in particolare nelle alture del Golan settentrionali e meridionali. Mentre le comunità di Emek Hayarden sono esentate da queste nuove misure, quelle situate lungo la linea di scontro sono invitate ad attenersi scrupolosamente alle istruzioni aggiornate. Nel frattempo, mentre aumentano le tensioni al confine settentrionale di Israele, l’IDF ha intensificato le sue operazioni nel Libano meridionale. Nel corso della giornata appena trascorsa, l’aeronautica militare israeliana (IAF), sotto la direzione della Direzione dell’intelligence dell’IDF, ha lanciato una vasta serie di attacchi, prendendo di mira l’infrastruttura terroristica di Hezbollah. “L’IDF ha colpito circa 290 obiettivi, tra cui migliaia di lanciarazzi, insieme ad altre infrastrutture terroristiche in più aree nel Libano meridionale”, ha riferito l’IDF. Solo nelle ultime ore, “l’IDF ha colpito circa 110 obiettivi terroristici di Hezbollah”, continuando la sua campagna per indebolire le capacità operative di Hezbollah. L’IDF ha ribadito il suo impegno per questi attacchi in corso, affermando: “L’IDF continuerà a operare per smantellare e degradare le capacità e le infrastrutture terroristiche di Hezbollah”. Con l’evolvere della situazione, si invitano i cittadini a tenersi informati attraverso i canali ufficiali dell’Home Front Command e ad attenersi scrupolosamente alle linee guida aggiornate per la loro sicurezza.
(Bet Magazine Mosaico, 22 settembre 2024)
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La tattica di Israele: lasciare Hezbollah senza lanciatori
Se non puoi eliminare l'arsenale di Hezbollah, lo rendi inutilizzabile.
di Sarah G. Frankl
Nella notte appena trascorsa Hezbollah ha lanciato un centinaio di missili verso Israele mentre l’aviazione israeliana ha colpito decine di lanciarazzi con i loro equipaggi.
La tattica dell’esercito israeliano sembra quella di colpire i lanciatori in modo che ad Hezbollah rimangano i missili ma non la possibilità di lanciarli.
Nelle ultime settimane, a partire dalla vasta azione preventiva fino alle ultime grandi ondate di attacchi successive alle operazioni del Mossad in Libano che hanno distrutto centinaia di lanciatori, l’IDF e l’IAF si sono concentrati in modo sistematico sulla distruzione della capacità di Hezbollah di lanciare missili.
In sostanza, non potendo eliminare tutti i missili stessi (si dice 150.000) eliminano i mezzi per lanciarli.
Il discorso vale anche per i missili balistici, difficilmente non individuabili prima del lancio visto che i lanciatori sono enormi e vengono caricati su camion. Negli attacchi preventivi della notte tra il 24 e il 25 agosto ne sono stati distrutti centinaia tra cui molti lanciatori per Fateh-110, cioè per i missili tra i più pericolosi in dotazione a Hezbollah.
Rimane il pericolo rappresentato dai droni di produzione iraniana. Anche questa mattina l’IDF ne ha abbattuto uno partito dall’Iraq, da dove hanno lanciato anche due missili balistici abbattuti dai sistemi di difesa israeliani fuori dallo spazio aereo di Israele. Presto toccherà anche a loro.
(Rights Reporter, 22 settembre 2024)
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“La nuova caccia all’ebreo”: l’antisemitismo che cambia nel libro di Pierluigi Battista
di Michelle Zarfati
Tante cose sono cambiate dopo il 7 ottobre. Ma ciò che più ha caratterizzato gli accadimenti legati al pogrom messo in atto da Hamas è un risveglio, pericoloso e senza precedenti, di odio antiebraico. È un antisemitismo dal volto nuovo che si è insidiato nelle menti dell’Occidente, un’ondata di odio che si è trasformata in una vera nuova caccia all’ebreo quella di cui parla nel suo libro – edito da Liberilibri – Pierluigi Battista. Shalom ha intervistato l’autore su come oggi la Shoah sia stata “desacralizzata” e su come l’odio contro l’ebreo agisca ormai indisturbato nella società odierna.
- Il tuo libro si chiama “La nuova caccia all’ebreo”: in cosa differisce questa “caccia all’ebreo” rispetto ai fenomeni del passato? Per nuova caccia all’ebreo non ci si riferisce soltanto a quel fenomeno, ormai noto, della persecuzione verso gli ebrei, ma piuttosto a come questo antisemitismo dilagante abbia delle motivazioni profondamente diverse, diciamo aggiornate, rispetto al passato. Nessuno oggi potrebbe avanzare l’idea di un antisemitismo di tipo biologico, come il nazismo classico, oppure additare agli ebrei la morte di Gesù, come faceva l’antisemitismo di matrice cristiana. Questo antisemitismo odierno è esploso con la totale sovrapposizione di antisemitismo e antisionismo. L’odio verso Israele ha trascinato l’odio verso gli ebrei, per cui non si protesta per la politica sbagliata del governo israeliano – cosa anche legittima – ma si mette in discussione l’esistenza d’Israele. Basti pensare all’ormai famoso slogan “from the river to the sea”. Lo suggerisce la frase stessa, il problema è semplicemente l’esistenza dello Stato ebraico. Israele è diventato il nemico: lo Stato usurpatore e gli ebrei di conseguenza, a causa del loro rapporto con Israele, devono esser presi di mira. E da qui l’assalto alle sinagoghe, l’interdire l’entrata nelle università agli studenti ebrei – in Italia come in Francia – come è accaduto in un tempio della cultura come Sciences Po. Ormai la distinzione è completamente devastata. Gli ebrei sono diventati i nuovi oppressori, e lo sono per l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Questo è un fenomeno nuovo e sconvolgente, assolutamente non arginato dalla cultura democratica. Ormai tutto accade nella totale indifferenza e omertà.
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Dopo il 7 ottobre possiamo asserire che il lavoro sulla memoria abbia fallito L’Italia è un paese in cui il Giorno della Memoria viene insultata Liliana Segre ed è proprio questo a cui faccio riferimento quando parlo di una “nuova caccia all’ebreo”, un fenomeno che si nutre di odio mettendo in atto una totale sovrapposizione di antisemitismo e antisionismo. Tutto questo compone un quadro agghiacciante in cui gli ebrei vengono inesorabilmente lasciati soli. Proprio all’inizio del secondo capitolo del mio libro racconto di una studentessa torinese che nell’aprile del 2024 ha rilasciato a La Repubblica un’intervista. Lei racconta della sua paura ad andare in giro per Torino, al dover nascondere, assieme ai suoi amici, i simboli ebraici, all’aver paura di entrare nelle università o di dire il proprio cognome. La vera follia è come la classe parlamentare possa permettere che una cittadina italiana possa sentirsi così perseguitata alla luce del sole. Che senso ha allora far le cerimonie del 27 gennaio? L’ebreo che si difende non è più simpatico e viene messo ai margini. Non è più un problema di memoria, il mai più è diventato una formula ridicola e vuota. Ormai la nostra cultura si nutre della memoria ma si gira dall’altra parte mentre si dà la caccia all’ebreo, questo è ciò che dovrebbe preoccupare: questa specie di pellicola di indifferenza. Tutto ciò accade perché è stata “sconsacrata” la Shoah, che era una sorta di argine morale in passato. Gli ebrei sono soli a causa di questo antisemitismo culturale, ed è forse a causa di ciò che viene insegnato nelle università, ovvero che il mondo si divide in oppressi e oppressori, e in questa ottica gli oppressi hanno il diritto di ribellarsi. Così, il 7 ottobre è diventato un atto di resistenza. Stuprare le donne ebree, massacrare i bambini ebrei nei kibbutzim e uccidere centinaia di ragazzi in un rave diviene improvvisamente sinonimo di resistenza da parte di gente che non vuole, come vorrei io, due popoli due stati – e, come diceva Marco Pannella, due Stati democratici – questa gente vorrebbe solo pura Jihad, desidererebbe semplicemente la cancellazione d’Israele dalla faccia della terra, non esiste niente di più, nessuna rivendicazione nazionalista. Non c’è la volontà di uno Stato palestinese ma la volontà della fine totale degli ebrei.
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Bernard-Henri Lévy in una recente intervista sul suo libro ha affermato che se Israele perdesse sarebbe peggio della Shoah, è d’accordo? Proviamo ad immaginare un mondo senza Israele per gli ebrei di tutto il globo, non solo quelli della diaspora o gli israeliani stessi. Immaginiamo: 8 milioni d’israeliani che fine farebbero? Tornerebbero in Polonia? Non sarebbe possibile, specialmente perché dall’altra parte non esiste la possibilità di una coesistenza pacifica.
- Tu sei stato il primo ad intervistare Gadiel Gaj Taché: riconosci qualcosa in comune con quel 9 ottobre? In realtà è tutto molto peggio, anche del clima che si respirava nel 1982. Non dobbiamo più guardare al passato, non è quella la chiave, non è più come allora, ma il quadro è ancora più agghiacciante. Questa è una cosa sta avvenendo ora: una donna in Francia viene stuprata perché ebrea, ora; le sinagoghe vengono prese d’assalto perché sono il luogo di culto degli ebrei, ora; non c’entra più il passato, si tratta invece di vecchi pregiudizi dentro a un contesto culturale nuovo e diverso, che non dovrebbe essere ignorato.
(Shalom, 22 settembre 2024)
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Hollywood – Lauren Bacall fra successo e antisemitismo
Per quanto sullo schermo sia ricordata come un personaggio audace e spavaldo, Lauren Bacall ha trascorso buona parte della sua carriera cercando di schivare l’antisemitismo di Hollywood. Morta nel 2014, l’attrice era nata nel Bronx come Betty Joan Perske, per poi adottare una versione modificata del nome della madre, Natalie Weinstein-Bacal. Nel 2014, subito dopo la sua morte, il Forward ricordava come nel suo libro di memorie, By Myself and Then Some, Bacall raccontò di essere stata licenziata, subito dopo aver informato un collega di essere ebrea: «L’antisemitismo del mondo intero fu particolarmente scioccante, e opposto all’atmosfera calorosamente accogliente data dall’insieme delle radici ebraiche e rumene». L’attrice si dichiarava felice delle sue radici, e della sua identità, cui non avrebbe mai neppure pensato di rinunciare, ma quando arrivò a Hollywood, grazie a un contratto con il regista Howard Hawks, non gli disse di essere ebrea perché – disse al New York Times nel 1996 – «lui era antisemita e mi spaventava a morte… Mi rendeva così nervosa che non dissi nulla. Sono stata vigliacca, devo dirlo».
Nel 1979, dopo essersi innamorata di Humphrey Bogart, affrontò l’argomento raccontando un vecchio episodio a People Magazine: «Una volta un cadetto di West Point mi aveva chiesto di uscire ed era saltato fuori l’argomento religione. Non mi richiamò mai, e io ero sicura che fosse perché ero ebrea… Così, quando mi sono innamorata di Bogie, ho capito che dovevo assolutamente mettere le cose in chiaro, lui era l’ultimo uomo al mondo a cui avrebbe dato fastidio». Quando nel 1944 uscì To Have and Have Not, i pubblicitari parlarono di una «figlia di genitori che hanno origini americane da diverse generazioni» rimuovendo il fatto che sua madre era passata per Ellis Island, come tanti altri immigrati ebrei.
Del suo ebraismo era consapevole solo una cerchia ristretta, a Hollywood, e – scriveva Benjamin Ivry – «forse la Yiddishkeit della Bacall si riflette meglio nei suoi saldi principi etici, e nella sua propensione ad abbracciare un punto di vista minoritario, se lo riteneva giusto. Come ha detto a Larry King nel 2005, era antirepubblicana e liberale. Riteneva che essere liberali fosse la scelta migliore che si possa fare: quando si è liberali si è accoglienti con tutti». Una diva che ha spesso optato per personaggi fuori dagli schemi, scegliendo parti pensanti, complesse, e che non cercò mai di ingraziarsi il potere. Anche quando Shimon Peres fu nominato primo ministro in Israele, la Bacall tenne una linea di discrezione: era suo cugino dal lato paterno, i Perske, che lei aveva evitato per decenni, e in seguito si recò a trovare Peres in Israele per una visita di cortesia, forse come gesto di riconciliazione. L’epitome di una donna indipendente, e forte.
(moked, 22 settembre 2024)
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«Io farò di te una grande nazione»
di Marcello Cicchese
La difficoltà che hanno molti cristiani ad inserire correttamente il popolo d’Israele nella loro comprensione del Vangelo dipende dal fatto che gran parte dell’insegnamento ricevuto è centrato sulla salvezza individuale e sulla santificazione personale. Al centro dell’interesse ci sono io, la mia felicità eterna e il mio benessere temporale. La dimensione sociale e storica dell’opera di salvezza di Dio non è tenuta in considerazione perché non interessa, dal momento che non corrisponde a quella richiesta di felicità individuale che è la ragione di vita di quasi tutti, ivi compresi molti cristiani.
Quanto agli ebrei invece, si può dire che se non si fanno riferimenti al loro popolo e alla loro storia, non esistono. Tutti i tentativi di presentare - in modo di solito dispregiativo - i caratteri antropologici tipici dell’individuo ebreo si sono rivelati vani. Il singolo ebreo non ha niente di particolare, né nel bene, né nel male. Gli ebrei esistono nella loro specificità in quanto sono un popolo, e il popolo esiste in quanto ha una storia. Ed è una storia che non si è arrestata nel passato, ma inaspettatamente continua ancora nel presente e, secondo la convinzione di molti ebrei e non ebrei, e, soprattutto, secondo quanto sta scritto nella Bibbia, continuerà ancora nel futuro. La storia di Israele come popolo e nazione ha a che fare direttamente con la volontà di Dio. Chi trascura o interpreta in modo distorto questa volontà, sia egli ebreo o non ebreo, si pone in rotta di collisione con Dio stesso.
Per salvare il mondo Dio prese la decisione di scendere nell’umanità, senza naturalmente perdere la sua divinità, nella persona del suo Figlio. Ma dopo il diluvio la società universale umana si era suddivisa in tante sottosocietà che Dio stesso aveva chiamato “nazioni”. Prima ancora di scegliere una donna in cui far scendere il suo Spirito Santo, Dio avrebbe dunque dovuto scegliere la nazione a cui questa donna avrebbe dovuto appartenere. Ma, se così si può dire, tra le nazioni che si erano sparse sulla terra dopo il diluvio Dio non ne trovò alcuna. Decise allora di formarsene una sua propria, di “generarla” come si genera un figlio.
Il modo in cui avvenne questo particolare parto è di importanza fondamentale per la comprensione della successiva opera di salvezza compiuta da Dio nella storia. Dio chiamò un uomo ad uscire dalla sua nazione, a rompere i legami affettivi con il suo paese e i suoi familiari, e a recarsi in un paese a lui sconosciuto.
“Il Signore disse ad Abramo: «Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò»” (Genesi 12:1).
Fu dunque un ordine, con aspetti indubbiamente laceranti e spaventosi, ma accompagnato da una precisa promessa:
“Io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».” (Genesi 12:2-3).
Per creare una nuova nazione Dio avrebbe potuto procedere in molti modi. Avrebbe potuto, per esempio, scegliere tra le varie nazioni un certo numero di persone particolarmente dotate, insegnare loro una nuova lingua, stabilire una gerarchia di autorità, consegnare una legislazione per regolare i rapporti fra di loro. In questo modo sarebbe stato esaltato l’aspetto sociale della nazione, la struttura comunitaria a cui tutti i singoli cittadini avrebbero dovuto conformarsi. Nel continuo gioco tra individuo e società si pone sempre di nuovo la domanda: quale dei due termini ha la priorità? E’ il singolo che deve essere pronto a sacrificare il proprio interesse personale per il bene comune, o è la società che deve mettersi al servizio dei singoli per offrire a ciascun membro le maggiori possibilità di sviluppo e il massimo conforto? Nell’attuale società occidentale è chiaramente vero il secondo caso. Ma non è sempre stato così. La Germania nazista offre un esempio recente di società in cui era stato inculcato e accettato il principio secondo cui “il singolo è nulla, la nazione è tutto”. L’attuazione di un principio simile porta inevitabilmente alla costruzione di un idolo, che prima o poi richiede il compimento di sacrifici umani, come sempre è avvenuto nella storia.
Dio invece comincia sempre dall’individuo. Il Dio che si rivela nella Bibbia non è un brillante organizzatore di esseri a lui sottoposti, ma è innanzitutto un Dio che parla. E quando decide di parlare agli uomini non raduna intorno a Sé le folle per arringarle come fanno i tribuni, ma sceglie tra tutti un particolare interlocutore, un uomo fatto a sua immagine e somiglianza, gli rivolge la parola e gli affida un messaggio che contiene due tipi di ingredienti: ordini e promesse. Nel suo rapporto con gli uomini Dio fa sempre precedere la parola all’azione. Dio parla all’uomo che ha scelto, aspetta la sua risposta, e in conformità di questa risposta agisce, manifestando la sua sovranità e la sua fedeltà. Da quel momento l’interlocutore a cui Dio si è rivolto diventa il rappresentante della società che nasce da questo rapporto tra Dio e l’uomo. Prima di Abraamo, questo era già avvenuto nel rapporto di Dio con Adamo e con Noè. Adamo è diventato il rappresentante di tutta l’umanità peccatrice, e Noè è diventato il rappresentante di tutta l’umanità che, pur essendo peccatrice, si trova sotto la paziente misericordia di Dio che tollera la presenza del peccato in vista dell’opera di salvezza che ha progettato fin dall’eternità.
Anche Abraamo è stato scelto da Dio come interlocutore, ma, al contrario di Adamo e Noè, non diventerà il rappresentante di tutta l’umanità. Attraverso il segno della circoncisione Abraamo diventerà rappresentante storico della nazione d’Israele e, spiritualmente, di tutti coloro che credono nella Parola salvifica di Dio.
Anche ad Abraamo Dio diede ordini e promesse. Il primo ordine era di lasciare la nazione in cui era nato e cresciuto, e che era diventata parte della sua identità. La prima promessa, che sembra quasi la contropartita dell’ordine, fu espressa con queste parole: “Io farò di te una grande nazione”. Ad Abraamo Dio dunque non disse: “Io ti inserirò in un’altra nazione più adatta che ho già preparata per te”, ma gli promise che da lui sarebbe nata una nuova, grande nazione. E’ nella relazione verbale tra Dio e Abraamo che fu concepita la nazione d’Israele.
La nazione però non nacque subito. Abraamo non conobbe il calore di una comunità nazionale in cui condividere con i suoi simili gioie e dolori. Con lui Dio aveva fatto un patto solenne contenente grandiosi promesse che parlavano di nazione e di terra, ma nella sua vita terrena non vide compiersi le parole di quel patto. E tuttavia è scritto che “credette al Signore, che gli contò questo come giustizia” (Genesi 15:6).
“Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio. Per fede anche Sara, benché fuori di età, ricevette forza di concepire, perché ritenne fedele colui che aveva fatto la promessa. Perciò, da una sola persona, e già svigorita, è nata una discendenza numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia lungo la riva del mare che non si può contare. Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra.” (Ebrei 11:8-13).
La nazione d’Israele, il popolo eletto di Dio, nacque dunque come conseguenza della fede ubbidiente di un singolo uomo. Dio aveva proposto ad Abraamo un patto che aveva come unica clausola l’ubbidienza a un ordine: “Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò”. E la risposta fu che “Abramo partì, come il Signore gli aveva detto” (Genesi 12:4). Da quel momento Dio si considerò impegnato a mantenere tutte le promesse contenute nel patto che aveva fatto con Abraamo.
Continuando nell’immagine della nascita della nazione d’Israele come parto, si può dire che il tempo dei patriarchi, da Abraamo fino a Giuseppe, corrisponde al concepimento, il periodo dei quattrocento anni trascorsi nella “casa di schiavitù” (Esodo 20:2) dell’Egitto, alla gravidanza, e l’uscita traumatica per mano di Mosè dal paese del Faraone, al momento del parto vero e proprio, preceduto dalle doglie delle dieci piaghe. Il ventre che conteneva il futuro popolo d’Israele apparteneva dunque a un popolo pagano, e poiché il suo capo, il Faraone, sembrava deciso a impedire la nascita del “figlio di Dio”, intervenne direttamente il Signore,:
“Tu dirai al faraone: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito, e io ti dico: «Lascia andare mio figlio, perché mi serva; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo primogenito»” ( Esodo 4:22-23).
Sorge subito la domanda: perché questa preferenza? La venuta al mondo di questa nuova nazione significa forse che Dio voleva salvare soltanto gli israeliti e condannare tutti gli altri? Sono interrogativi che si pongono coloro che sanno ragionare soltanto in termini di salvezza individuale e non percepiscono gli aspetti storici dell’opera di Dio. Dicendo: “Io farò di te una grande nazione” , Dio costituisce Abraamo come capostipite e rappresentante della nazione storica d’Israele; e dicendo: “… in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”, Dio manifesta, attraverso la scelta di Abraamo e della sua progenie, di voler compiere un’opera di salvezza universale. Questo però non significa che un giorno tutte le differenze tra le nazioni saranno annullate: se Dio parla di famiglie della terra, vuol dire che il suo proposito non è di far diventare tutti una grande famiglia. Le differenze tra famiglie rimarranno, ma il punto di riferimento delle nazioni (non dei singoli) davanti a Dio, e il metro di giudizio con cui saranno valutate, sarà Israele, il popolo che Dio “si è formato” (2 Samuele 7:23, Isaia 43:21). Le nazioni sono sorte come conseguenza di un’azione di giudizio di Dio contro un peccato “sociale” degli uomini, cioè contro il loro tentativo di crearsi una società che fosse a loro propria gloria e potesse fare a meno di Dio, ma nel momento stesso in cui furono stabilite era già presente nella mente di Dio il progetto di una nazione che aveva deciso di creare non come espressione di giudizio, ma come volontà di grazia: Israele.
Prima di morire Mosè rivolse al suo popolo queste parole:
“Ricòrdati dei giorni antichi, considera gli anni delle età passate, interroga tuo padre ed egli te lo farà conoscere, i tuoi vecchi ed essi te lo diranno. Quando l’Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli degli uomini, egli fissò i confini dei popoli, tenendo conto del numero dei figli d’Israele. Poiché la parte del Signore è il suo popolo, Giacobbe è la porzione della sua eredità.” (Deuteronomio 32:7-9).
Dopo l’esperienza della torre di Babele, Dio dunque fissò i confini dei popoli, cioè permise a ciascuno di loro di attribuirsi una parte di terra da considerare come loro eredità. Ma nel fare questo pensò anche alla porzione della sua eredità: Giacobbe. La Bibbia non dice in quale senso Dio tenne conto del numero dei figli d’Israele, ma in ogni caso è chiaro che dal momento in cui la nazione d’Israele venne al mondo, uscendo dalla casa di schiavitù d’Egitto, le altre nazioni sono state destinate a tener conto del popolo che il Signore ha scelto come “sua parte”. E un giorno dovranno anche risponderne, perché prima ancora che fosse annunciata la benedizione in Abraamo per tutte le genti, Dio aveva avvertito:
Nella storia di Abraamo, come del resto in tutta la Bibbia, sono presenti aspetti individuali e aspetti sociali che bisogna sapere distinguere e ben collegare fra di loro. La fede con cui Abraamo ubbidisce alla Parola di Dio è certamente un fatto individuale:
“Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare». E soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che gli contò questo come giustizia.” (Genesi 15:5-6).
E’ scritto che Abraamo credette al Signore, ed è questa la prima volta che nella Bibbia si usa il verbo credere. Dio “gli contò questo come giustizia” (Genesi 15:6): Abraamo dunque fu giustificato per fede, e questa fu la prima e più importante forma in cui Dio lo benedisse. Il Signore però aveva anche promesso: … in te saranno benedette tutte le famiglie della terra; questo significa che con Abraamo sono destinati ad essere benedetti, e quindi giustificati, tutti coloro che crederanno in Dio con una fede personale simile alla sua.
“Così Abraamo «credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia»; sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di Abraamo. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato le nazioni mediante la fede, diede prima ad Abraamo una buona notizia: «Tutte le nazioni saranno benedette in te». Perciò coloro che si fondano sulla fede sono benedetti col fedele Abraamo.” (Galati 3:6-9).
“Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»), affinché la benedizione di Abraamo pervenisse ai gentili in Cristo Gesù, perché noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.” (Galati 3:13-14).
La fede personale di Abraamo gli ha permesso di ricevere per grazia la giustizia che viene da Dio e lo ha fatto diventare il padre spirituale di tutti coloro che credono con una fede simile alla sua. La benedizione che in Abraamo giunge a tutte le famiglie della terra è la possibilità individuale di ricevere per grazia mediante la fede il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo promesso a Israele (Ezechiele 36:26-27), ma destinato, dopo la risurrezione e l’ascensione di Gesù, a spandersi su tutti coloro che avrebbero creduto alla predicazione del Vangelo (Atti 10:44-47). Per ricevere questa benedizione non ha alcuna importanza l’essere circonciso o incirconciso, perché Abraamo fu giustificato quando era ancora incirconciso.
“Che diremo dunque che il nostro antenato Abraamo abbia ottenuto secondo la carne? Poiché se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio; infatti, che dice la Scrittura? «Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia». Ora a chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede è messa in conto come giustizia. Così pure Davide proclama la beatitudine dell’uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: «Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l’uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato». Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gl’incirconcisi? Infatti diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia. In quale circostanza dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso, o quando era incirconciso? Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse padre di tutti gl’incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia; e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quand’era ancora incirconciso. Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in base alla giustizia che viene dalla fede. Perché, se diventano eredi quelli che si fondano sulla legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata; poiché la legge produce ira; ma dove non c’è legge, non c’è neppure trasgressione. Perciò l’eredità è per fede, affinché sia per grazia; in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza; non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per quella che discende dalla fede d’Abraamo. Egli è padre di noi tutti (com’è scritto: «Io ti ho costituito padre di molte nazioni») davanti a colui nel quale credette, Dio, che fa rivivere i morti, e chiama all’esistenza le cose che non sono. Egli, sperando contro speranza, credette, per diventare padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». (Romani 4:1-18).
La promessa fatta ad Abraamo di essere erede del mondo ha carattere universale, perché l’ingresso personale nel nuovo mondo riconciliato con Dio e da Lui benedetto non avviene sulla base dell’appartenenza a una particolare nazione o dell’osservanza di una legge morale, ma sulla base della fede personale nella Parola rivolta da Dio agli uomini nelle varie epoche della storia. E’ chiaro allora che per l’apostolo Paolo la Parola che Dio rivolgeva agli uomini al suo tempo, e rivolge ancora oggi, è l’invito a ravvedersi e a credere in Gesù come Figlio di Dio, Messia d’Israele, Signore e Salvatore di tutti gli uomini. Dio ha chiamato Abraamo padre di molte nazioni perché sapeva che in tutte le parti del mondo il patriarca avrebbe avuto dei figli spirituali, cioè delle persone a cui la fede sarebbe stata imputata come giustizia.
Ma ad Abraamo Dio aveva anche promesso di diventare una grande nazione, e questa nazione è Israele, un ben preciso popolo storico, diverso dagli altri non per le qualità peculiari dei suoi membri, ma per la scelta fatta da Dio in vista di un incarico che è chiamato a svolgere tra le nazioni. E’ vero che il compito principale del popolo eletto era quello di “generare” ed accogliere, dal punto di vista umano, il “Salvatore del mondo” (Giovanni 4:42), ma il suo incarico non si esaurisce in questo puro fatto genetico. Se così fosse, effettivamente dopo la venuta di Gesù su questa terra e il suo ritorno al Padre in cielo, la presenza nel mondo del popolo d’Israele non avrebbe più alcun senso. Ma non è così. Dire che “La salvezza viene dai Giudei” (Giovanni 4:22) non significa soltanto – come qualcuno ha detto – che Gesù è nato ebreo. Il significato di quella dichiarazione è molto più profondo e ricco di implicazioni: in quelle parole è contenuto l’ammonimento che chiunque riceve individualmente il perdono dei peccati è tenuto a ricordarsi che la salvezza ottenuta per grazia non gli piove in testa direttamente dal cielo, ma gli arriva attraverso un percorso storico che ha nel popolo d’Israele un passaggio ineliminabile. La sua salvezza individuale è conseguenza di un patto che Dio ha fatto “con la casa d’Israele e con la casa di Giuda” (Geremia 31:31), cioè con una realtà sociale che ha un posto unico e insostituibile nell’opera di “riconciliazione del mondo” (Romani 11:5) con Dio.
Quando la chiesa locale si riunisce per celebrare la Cena del Signore istituita da Gesù, molto spesso si leggono queste parole dell’apostolo Paolo:
“Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».” (1Corinzi 11:23-26).
Si tratta certamente di un memoriale, non di un sacrificio. I credenti riuniti ricordano Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra, esaltandolo come Colui “che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue” (Apocalisse 1:5). Spesso però si dimentica che il vino simboleggiante il “sangue dell’aspersione che parla meglio del sangue d’Abele” (Ebrei 12:24) è contenuto in un calice che rappresenta il “nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda” (Geremia 31:31). Il memoriale di Gesù è dunque sempre, anche, un memoriale d’Israele, affinché si ricordi che la persona di Gesù è inscindibile dal suo popolo. Chi ha stabilito un rapporto individuale con Dio tramite Gesù deve sapere che nello stesso tempo ha stabilito un rapporto sociale con Israele. Che lo sappia o no, che lo voglia o no.
Dio è amore, su questo tutti sono d’accordo. Purtroppo però di solito si parte dal presupposto umano di sapere che cos’è l’amore e questa conoscenza dovrebbe gettare luce sulla persona di Dio. E’ vero il contrario. Soltanto la conoscenza di Dio può far capire che cos’è l’amore, e a questa conoscenza non si può arrivare per riflessione o esperienza, ma soltanto per rivelazione. Dio è amore, ma manifesta la sua natura sempre attraverso la parola e nella forma di un patto. L’amore di Dio non è mai semplice effusione di sentimenti affettuosi o prestazione di servizi pratici: Dio parla, si rivolge all’uomo con ordini e promesse, vincolandosi a lui con la sua parola ed esigendo da lui fiducia ubbidiente. Questa forma di rapporto amorevole tra Dio e l’uomo nella Bibbia si chiama patto. E da Abramo in poi Dio ha stipulato i suoi patti d’amore sempre e soltanto con il popolo d’Israele. Parlando dei suoi parenti secondo la carne, l’apostolo Paolo si esprime con queste parole:
“… gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!” (Romani 9:4-5).
E rivolgendosi ai gentili dice invece:
“Perciò, ricordatevi che un tempo voi, Gentili di nascita, chiamati i non circoncisi da quelli che si dicono i circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d'uomo, voi, dico, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, non avendo speranza, ed essendo senza Dio nel mondo” (Efesini 2:11-12).
Il nuovo patto annunciato da Gesù nell’ultima cena è certamente quello con la casa d’Israele e con la casa di Giuda promesso dal profeta Geremia, ed è nuovo rispetto al patto di Dio con Mosè, non rispetto al patto con Abraamo, di cui invece è un’articolazione, una precisazione e un compimento. Questo viene chiaramente espresso in un famoso cantico del Vangelo di Luca:
“Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo e profetizzò, dicendo: «Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti; uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano. Egli usa così misericordia verso i nostri padri e si ricorda del suo santo patto, del giuramento che fece ad Abraamo nostro padre, di concederci che, liberati dalla mano dei nostri nemici, lo serviamo senza paura, in santità e giustizia, alla sua presenza, tutti i giorni della nostra vita. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie, per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace»” (Luca 1:67-79).
Come nel caso della liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto, la venuta del Messia è vista come un intervento di Dio in favore del suo popolo, perché Dio “si ricorda” del suo patto con Abraamo ( Esodo 2:24, Luca 1:72).
Ma come si devono intendere le parole di Zaccaria quando dice, sotto l’impulso dello Spirito Santo, che il Dio d’Israele ha visitato e riscattato il suo popolo? In un commentario esegetico pratico della casa editrice Claudiana viene data la seguente spiegazione:
«Le vedute di Zaccaria intorno a questo avere «Iddio ha visitato e riscattato il suo popolo» dovevano essere molto indistinte e imperfette. E’ probabile che partecipasse alle idee prevalenti tra i suoi compatrioti intorno al regno terreno del Messia, e alla liberazione dai loro nemici con la spada e con la lancia; ma nel mentre le parole messegli in bocca dallo Spirito di Dio, avrebbero potuto naturalmente risvegliare tali immagini terrene nella mente d’un Giudeo dominato da siffatti pregiudizi, erano egualmente adatte ad esprimere i concetti più spirituali della redenzione che è in Cristo Gesù. Tale è il senso che noi dobbiamo dare al linguaggio di Zaccaria, sebbene possa darsi che egli non comprendesse appieno il significato delle parole che gli dettava lo Spirito Santo.»
Chi sono i nemici da cui Dio promette di liberare il popolo? Lo stesso commentario risponde in questo modo:
«Che Zaccaria avesse, come pensano alcuni, o non avesse, in vista nemici temporali, quali erano stati in passato i Macedoni sotto Antioco, ed erano ai suoi giorni i Romani, è certo che lo Spirito d’ispirazione ci insegna in questi versetti che la principale benedizione contemplata nel patto con Abraamo non era il potere o lo splendore temporale dei suoi discendenti secondo la carne, ma, come si è detto, la liberazione della sua progenie da tutti i nemici spirituali; la salvazione dal peccato e dalla sua potenza.»
Queste parole, scritte nei primi anni del secolo scorso, prima delle due guerre mondiali e dell’orrore dell’Olocausto, sono un esempio eloquente di quella “superbia dei gentili” che costituisce il tema del presente libro. I “compatrioti” di Zaccaria avrebbero avuto il torto, non solo secondo l’autore del commentario, ma anche secondo l’opinione “cristiana” più diffusa nei secoli, di aspettarsi un regno messianico “terreno”, mentre non avevano capito che il regno che avrebbe instaurato il Messia era di natura “spirituale”. E questo perché la mente dei giudei era “dominata da siffatti pregiudizi”. Zaccaria dunque non avrebbe nemmeno capito quello che diceva, perché i concetti espressi nel suo cantico erano prettamente spirituali, cosa che gliene rendeva difficile una piena comprensione, dal momento che la sua mente di giudeo era piena di immagini terrene. Anche i nemici, naturalmente, erano spirituali e non temporali, e lui non l’aveva capito.
Non a tutti forse appare chiara la gravità delle conseguenze teologiche e politiche di una simile “spiritualizzazione” del messaggio evangelico. Nel sinistro linguaggio dei nazisti questa operazione potrebbe essere chiamata “Entjudung” (degiudaizzazione), perché secondo alcuni una caratteristica tipica degli ebrei è proprio quella di essere un popolo materialista, attaccato alla terra, privo di autentici interessi spirituali superiori.
«No, l’ebreo non possiede nessuna forza creativa, poiché egli è privo di quell’idealismo senza il quale non è possibile uno sviluppo dell’umanità verso l’alto.»
«… dalla sua natura fondamentale l’ebreo non poteva trarre istituzioni religiose, ché gli manca completamente ogni forma di idealismo, e perciò ogni fede nell’aldilà.»
Sono considerazioni espresse da Adolf Hitler nel suo “Mein Kampf”.
La prima domanda da porre a chi rimprovera agli ebrei il loro materialismo è questa: da quali passi della Sacra Scrittura gli ebrei del tempo di Gesù avrebbero dovuto capire che il regno messianico era di natura puramente spirituale? In realtà, i profeti dell’Antico Testamento parlano sempre di un regno anche politico, in cui il Messia governerà come Re d’Israele su un popolo liberato dalla mano dei suoi nemici. Parlando della Gerusalemme dei tempi messianici, il profeta Isaia si esprime così:
“«Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria del Signore è spuntata sopra di te! Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli; ma su di te sorge il Signore e la sua gloria appare su di te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, i re allo splendore della tua aurora. Alza gli occhi e guàrdati attorno; tutti si radunano e vengono da te; i tuoi figli giungono da lontano, arrivano le tue figlie, portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, il tuo cuore palpiterà forte e si allargherà, poiché l’abbondanza del mare si volgerà verso di te, la ricchezza delle nazioni verrà da te. Una moltitudine di cammelli ti coprirà, dromedari di Madian e di Efa; quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso, e proclamando le lodi del Signore. Tutte le greggi di Chedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiot saranno al tuo servizio; saliranno sul mio altare come offerta gradita, e io onorerò la mia casa gloriosa. Chi mai sono costoro che volano come una nuvola, come colombi verso le loro colombaie? Sono le isole che spereranno in me e avranno alla loro testa le navi di Tarsis, per ricondurre i tuoi figli da lontano con argento e con oro, per onorare il nome del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti avrà glorificata. I figli dello straniero ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio; poiché io ti ho colpita nel mio sdegno, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te. Le tue porte saranno sempre aperte; non saranno chiuse né giorno né notte, per lasciar entrare in te la ricchezza delle nazioni e i loro re in corteo. Poiché la nazione e il regno che non vorranno servirti, periranno; quelle nazioni saranno completamente distrutte. La gloria del Libano verrà a te, il cipresso, il platano e il larice verranno assieme per ornare il luogo del mio santuario, e io renderò glorioso il luogo dove posano i miei piedi. I figli di quelli che ti avranno oppressa verranno da te, abbassandosi; tutti quelli che ti avranno disprezzata si prostreranno fino alla pianta dei tuoi piedi e ti chiameranno la città del Signore, la Sion del Santo d’Israele. Invece di essere abbandonata, odiata, al punto che anima viva più non passava da te, io farò di te il vanto dei secoli, la gioia di tutte le epoche. Tu popperai il latte delle nazioni, popperai al seno dei re, e riconoscerai che io, il Signore, sono il tuo salvatore, io, il Potente di Giacobbe, sono il tuo redentore. Invece di rame, farò affluire oro; invece di ferro, farò affluire argento; invece di legno, rame; invece di pietre, ferro; io ti darò per magistrato la pace, per governatore la giustizia. Non si udrà più parlare di violenza nel tuo paese, di devastazione e di rovina entro i tuoi confini; ma chiamerai le tue mura: Salvezza, e le tue porte: Lode” (Isaia 60:1-18).
Questo è soltanto uno dei moltissimi passi profetici che parlano di un regno messianico di natura anche politica. Chi vuole “spiritualizzarli” fa violenza al testo e non prende in seria considerazione la Scrittura.
Anche per quanto riguarda i nemici di Israele, non è assolutamente possibile spiritualizzare tutti i passi che evocano “il giorno della vendetta del Signore, l’anno della retribuzione per la causa di Sion” (Isaia 34:8). Celebrando il Messia come uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano, Zaccaria poteva avere in mente un passo come questo:
“«Ma tu, Israele, mio servo, Giacobbe che io ho scelto, discendenza di Abraamo, l’amico mio, tu che ho preso dalle estremità della terra, che ho chiamato dalle parti più remote di essa, a cui ho detto: «Tu sei il mio servo, ti ho scelto e non ti ho rigettato, tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia. Ecco, tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla e periranno; tu li cercherai e non li troverai più. Quelli che litigavano con te, quelli che ti facevano guerra, saranno come nulla, come cosa che più non è; perché io, il Signore, il tuo Dio, fortifico la tua mano destra e ti dico: Non temere, io ti aiuto!” (Isaia 41:8-13).
Quello che gli ebrei del tempo di Gesù, ivi compresi i suoi discepoli, non avevano capito, perché non avevano voluto capire, non era il carattere “spirituale” del regno, ma il fatto che il Messia avrebbe dovuto soffrire prima di entrare nella gloria del suo regno. Questo però era stato chiaramente preannunciato dai profeti (Luca 24:25-26). La difficoltà di comprensione per gli ebrei di allora e di oggi non sta dunque nella “spiritualità” del regno, ma nello scandalo della croce.
(da "La superbia dei Gentili")
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Israele colpisce Hezbollah, Netanyahu: “Obiettivi chiari”
Usa: “Serve diplomazia”
Non solo cercapersone e walkie talkie esplosivi. Il raid in Libano con l'uccisione del numero due di Hezbollah a Beirut ha reso ancora una volta "chiari" gli obiettivi di Israele mentre "le nostre azioni parlano da sole".
A dirlo è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dopo il raid di ieri, un attacco aereo ''mirato'', il terzo condotto dalle Forze di difesa israeliane (Idf) a Beirut dall'inizio della guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza lo scorso 7 ottobre. Obiettivo principale dell'attacco, il comandante di Hezbollah Ibrahim Aqil, ricercato dagli Stati Uniti per il suo coinvolgimento negli attentati all'ambasciata americana e alla caserma dei marines americani a Beirut nel 1983. Aqil, precisa il Times of Israel, era membro del Consiglio della Jihad, massimo organismo militare di Hezbollah. Era ricercato anche per aver diretto la presa di ostaggi tedeschi ed americani in Libano negli anni Ottanta. Sulla sua testa pendeva una taglia di 7 milioni di dollari posta dal dipartimento di Stato americano. L'Idf, che ha poi confermato l'avvenuta uccisione del comandante di Hezbollah, descrive Aqil come il capo delle operazioni militari del gruppo sciita, comandante in carica della forza di élite Radwan, a capo di un piano di invasione della Galilea.
Assieme ad Aqil, secondo l'esercito, sono stati uccisi i vertici dello schieramento operativo di Hezbollah e la leadership della Forza Radwan. "Aqil e i comandanti che sono stati eliminati erano tra gli architetti del 'piano per l'occupazione della Galilea', in cui Hezbollah progettava di fare incursioni in territorio israeliano, occupare le comunità della Galilea, assassinare e uccidere innocenti, in modo simile a quello che l'organizzazione terroristica di Hamas ha compiuto nel massacro del 7 ottobre", afferma l'Idf nella dichiarazione.
Le Forze di difesa israeliane non vogliono tuttavia allargare l'escalation nella regione, ha assicurato il portavoce Daniel Hagari in un briefing con i giornalisti. "Non puntiamo a un'ampia escalation nella regione. Stiamo operando in linea con gli obiettivi definiti della guerra e continueremo a farlo”, ha dichiarato. Il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha intanto parlato per telefono con il ministro della Difesa israeliano ed ha ribadito "la sua preoccupazione" per l'escalation delle tensioni tra Israele e Hezbollah, ha reso noto il Pentagono. Il ministro ha anche sottolineato come gli Stati Uniti credano nell'"importanza di raggiungere una soluzione diplomatica che consenta ai residenti di tornare in sicurezza nelle loro case dalle due parti del confine". Il Pentagono teme intanto per l'avvio di una operazione militare di terra delle forze israeliane nel sud del Libano nel prossimo futuro, scrive il Wall Street Journal. Ne ha parlato nei giorni scorsi il segretario della difesa e l'attacco ai dispositivi di comunicazione di Hezbollah dà sostanza a tali timori. Se Austin e il dipartimento di Stato hanno insistito nel sollecitare Israele a dare più tempo alla diplomazia, gli Stati Uniti temono che la situazione possa andare fuori controllo.
(ANSA, 21 settembre 2024)
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La piaga contemporanea degli antisemiti riciclatisi esperti di antisemitismo
di Iuri Maria Prado
Fertilizzato dal sangue del 7 ottobre, il campo degli esperti ha prodotto l’ultima categoria: gli esperti di antisemitismo. Sono quelli che ti spiegano che cos’è, come si manifesta, in che cosa risiede. Ma sono quelli che, soprattutto, ti spiegano che cosa non è antisemita. Non è la critica a Israele. Non è la protesta contro il governo israeliano. Non è la denuncia dei crimini sionisti a Gaza. Non è l’antisionismo.
Tutte cose, queste, in modo notorio intimamente connesse all’incendio delle sinagoghe, alla devastazione dei cimiteri ebraici, alle sassate ai bambini con la kippah, alle stelle disegnate sulle case degli ebrei, ai rabbini bastonati per strada, alla caccia all’ebreo nelle università: vale a dire i fatti che, sottoposti agli esperti di antisemitismo, sono da questi giudicati con l’opportuno richiamo alla legittimità di quegli altri oggetti e modi di contestazione. Cioè, appunto, la critica a Israele, la protesta contro il governo israeliano, la denuncia del genocidio, l’antisionismo (e un po’ anche il ritiro dei ghiacciai: che lo zampino magari non degli ebrei, ma dei sionisti sì, deve esserci anche nel cambio climatico).
Magari è venuto il tempo di insinuare che gli esperti di antisemitismo non sono quelli. Sono altri. Magari è il tempo di dire che gli esperti di antisemitismo sono coloro che lo subiscono. Gli esperti di antisemitismo sono quelli che ne hanno fatto esperienza. Gli esperti di antisemitismo sono coloro che lo subiscono e ne fanno esperienza da duemila anni. Gli esperti di antisemitismo sono coloro che, dopo averlo subito e averne fatto esperienza per duemila anni, si sentono spiegare, due mila anni dopo, ciò che è davvero antisemitismo e ciò che, palesemente, non lo è, signori miei.
Gli esperti di antisemitismo sono coloro ai quali si spiega, da parte degli altri esperti di antisemitismo, che quando una sinagoga è incendiata, quando un cimitero ebraico è devastato, quando un bambino con la kippah è preso a sassate, quando fioriscono le stelle gialle sulle case degli ebrei, quando i rabbini sono bastonati per strada, quando nelle università ci si esercita nella caccia all’ebreo, occorre ricordare che l’antisionismo non è antisemitismo, che criticare Israele non è antisemita e che Israele commette crimini a Gaza. Gli esperti di antisemitismo sono coloro ai quali si spiega, da parte degli altri esperti di antisemitismo, che l’antisemitismo, a guardare bene, di norma non c’è. E a guardare meglio, quando proprio lo si trova, si vede che non viene dal nulla.
(LINKIESTA, 21 settembre 2024)
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Cresce la tensione tra Israele e Hezbollah: cosa sta succedendo?
di Luca Spizzichino
Negli ultimi giorni, il conflitto tra Israele e Hezbollah si è intensificato drammaticamente, con un’escalation di attacchi su entrambe le parti del confine tra Libano e Israele.
Ieri l’aviazione israeliana ha lanciato decine di raid contro obiettivi nel sud del Libano, colpendo oltre 100 rampe di lancio di razzi pronte per essere utilizzate. Secondo l’esercito israeliano, le rampe, appartenenti a Hezbollah, contenevano circa 1000 tubi di lancio, posizionati per sferrare attacchi immediati contro il territorio israeliano. Inoltre, sono stati distrutti diversi edifici e depositi di armi di Hezbollah in varie località del sud del Libano. “L’IDF continuerà a danneggiare le capacità terroristiche e l’infrastruttura militare dell’organizzazione terroristica Hezbollah”, ha dichiarato un portavoce dell’IDF.
I bombardamenti sono arrivati in risposta a un pesante lancio di razzi contro le comunità israeliane del nord e si inserisce in un contesto di preparazione per un potenziale conflitto su vasta scala con Hezbollah. “Non abbiamo mai visto una tale intensità di attacchi dal Libano dall’inizio di questo conflitto”, ha affermato David Azoulay, sindaco di Metula, una delle città più colpite. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha commentato la situazione durante un incontro con i vertici militari. “Le nostre operazioni militari continueranno. L’obiettivo è garantire la sicurezza dei residenti del nord e riportarli nelle loro case in sicurezza. Col passare del tempo, Hezbollah pagherà un prezzo sempre più alto”.
Sul fronte libanese, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha promesso vendetta contro Israele. Tra martedì e mercoledì, delle esplosioni coordinate hanno distrutto migliaia di dispositivi di comunicazione utilizzati dai membri del gruppo. Gli attacchi, attribuiti a Israele sebbene non rivendicati ufficialmente, hanno causato decine di vittime e feriti, colpendo duramente le unità d’élite di Hezbollah. “Questa è stata una perdita enorme e senza precedenti nella storia della nostra resistenza”, ha ammesso Nasrallah in un discorso televisivo. “Israele ha superato ogni limite con questi attacchi, che costituiscono crimini di guerra e una vera dichiarazione di guerra. Ma non ci fermeremo. Continueremo i nostri attacchi finché l’occupazione non terminerà e l’aggressione a Gaza non cesserà” ha ribadito.
Mentre le autorità israeliane continuano a monitorare attentamente la situazione, il rischio di una guerra su più fronti è concreto. Gli alti comandi dell’esercito hanno presentato nuove strategie al governo per affrontare il peggioramento del conflitto.
(Shalom, 20 settembre 2024)
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“Probabilmente l’intera leadership di Hezbollah è danneggiata”.
Un ex funzionario della difesa afferma che l'attacco ai cercapersone si aggiunge ad altri attacchi volti a “indebolire” il gruppo terroristico in vista di futuri sviluppi.
di Yaakov Lappin
In un discorso televisivo giovedì, il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha riconosciuto che la sua organizzazione ha subito un colpo senza precedenti al suo personale e alla sua sicurezza. Nasrallah e altri leader di Hezbollah hanno giurato di reagire. Lo storico attacco ha colpito duramente l'infrastruttura operativa di Hezbollah, strappando migliaia di comandanti dal campo di battaglia, centinaia dei quali in modo grave, e distruggendo gran parte della loro capacità di comunicare con le forze sul campo, dato che i cercapersone erano stati pensati come un sostituto più sicuro degli smartphone, che il gruppo considerava troppo vulnerabili allo spionaggio. Si ritiene che i danni alla struttura di comando, all'infrastruttura di comunicazione e al morale di Hezbollah siano stati significativi e abbiano influito sulla capacità dell'organizzazione di operare con fiducia.
• HEZBOLLAH IN GINOCCHIO Secondo Eyal Pinko, ricercatore presso il Centro Begin-Sadat per gli studi strategici dell'Università Bar-Ilan ed ex ufficiale della marina israeliana che ha lavorato anche in un'organizzazione di intelligence, l'attacco ha colpito fino a 3.000 terroristi in “meno di un secondo”. "Se si considerano le persone che indossavano questi cercapersone, probabilmente si trattava di comandanti di alto rango e oltre. Comandanti di battaglione e oltre. Quello che probabilmente sta accadendo ora con Hezbollah è che l'intera struttura di comando, diciamo dal grado di tenente colonnello nell'esercito regolare fino ai generali, due o tre generali, sono completamente feriti o alcuni di loro sono già morti. Ci vorranno alcuni giorni perché si riprendano e capiscano cosa è successo. L'attacco a sorpresa ha messo in ginocchio Hezbollah, ha aggiunto, anche se l'opposizione dell'organizzazione in Libano non ha ancora alcuna possibilità di contrastare i militanti armati del gruppo islamista, stimati in quasi 100.000 (comprese le forze di riserva). “Ci vorrebbe un esercito enorme per affrontarli”, afferma Pinko. Tuttavia, i circa 3.000 militanti feriti significavano che un numero enorme di comandanti di alto livello non era operativo - con ogni probabilità “tutti i comandanti di alto livello sono stati feriti”, ha stimato. Anche i militanti di Hezbollah in Siria sono stati feriti dalle esplosioni dei cercapersone. Il 9 settembre, secondo i media internazionali, le forze speciali e gli aerei israeliani hanno attaccato una fabbrica di missili dell'IRGC ad Hama, nella Siria occidentale, dove vengono prodotti missili di precisione per Hezbollah. Questo attacco, ha detto Pinko, ha colpito la capacità del gruppo “di ottenere kit che rendono le loro bombe più precise - il programma di miglioramento della precisione dei missili”. Tutti questi passaggi sembrano indebolire l'obiettivo prima che venga effettivamente attaccato”, ha affermato. Il 31 luglio, l'aviazione israeliana ha ucciso il secondo in comando di Hezbollah, Fuad Shukr, considerato il capo di stato maggiore “militare” dell'organizzazione, infliggendo un ulteriore colpo. Pinko ha dichiarato che questo e altri attacchi simili hanno rivelato “un'intelligence molto precisa, molto accurata, molto buona e sorprendente”. Mentre la copertura mediatica internazionale si è concentrata sull'attacco con il cercapersone, è stata prestata meno attenzione alle modalità di attivazione degli esplosivi in esso contenuti.
• CODICE MALIGNO Barak Gonen, docente presso il Jerusalem College of Technology ed ex ufficiale di sicurezza informatica delle Forze di Difesa israeliane, ha dichiarato a JNS che in teoria “per eseguire un codice maligno su un dispositivo remoto è necessario caricare il codice sul dispositivo prima dell'esecuzione, il che è un compito immenso se fatto da remoto”. E ha aggiunto: “Presumo che tutti i moderni servizi di intelligence impieghino esperti in grado di attaccare i dispositivi da remoto. Ma in questo caso, man mano che vengono rivelati i dettagli, diventa sempre più chiaro che i dispositivi sono stati 'trattati' prima di essere passati a Hezbollah. Per un aggressore è molto più facile attaccare un dispositivo quando lo ha in mano, perché può modificare il codice in esecuzione sul dispositivo. L'aggressore avrebbe solo bisogno di un'immagine del nuovo codice e potrebbe masterizzarlo nel dispositivo nello stesso modo in cui lo fanno la fabbrica o i tecnici dei telefoni cellulari”.
(Israel Heute, 20 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Scienziati israeliani e italiani identificano le debolezze delle cellule tumorali
Una ricerca innovativa identifica i punti deboli delle cellule tumorali aneuploidi, aprendo la strada a nuove terapie mirate.
Con un'importante scoperta, scienziati israeliani e italiani hanno identificato vulnerabilità cruciali nelle cellule tumorali che potrebbero portare a trattamenti innovativi. Ricercatori dell'Università di Tel Aviv e dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano hanno scoperto, in due recenti studi, specifiche debolezze nelle cellule tumorali aneuploidi, caratterizzate da un numero anomalo di cromosomi. L'aneuploidia, una condizione in cui le cellule si discostano dalle normali 23 coppie di cromosomi, è una caratteristica comune a molti tumori. Queste anomalie creano fattori di stress unici per le cellule tumorali, che i ricercatori ritengono possano essere presi di mira per ottenere trattamenti più efficaci. Gli studi, guidati dal professor Uri Ben-David e dalla dottoranda Johanna Zerbib a Tel Aviv, insieme al professor Stefano Santaguida e alla dottoranda Marica Rosaria Ippolito a Milano, hanno rilevato due principali punti deboli nelle cellule aneuploidi: la loro dipendenza dai meccanismi di riparazione del DNA e la loro difficoltà a gestire la produzione di proteine in eccesso. I risultati sono stati pubblicati su Cancer Discovery e Nature Communications. “Una parte significativa delle cellule tumorali è aneuploide e questa caratteristica le distingue dalle cellule sane”, ha spiegato Ben-David. “Il nostro lavoro si concentra sulle vulnerabilità delle cellule aneuploidi, con l'obiettivo di promuovere nuove strategie per eliminare i tumori cancerosi”. Sulla base di ricerche precedenti, il team ha indotto l'aneuploidia in colture di cellule umane geneticamente identiche, consentendo di isolare gli effetti specifici di un numero anomalo di cromosomi. Attraverso il sequenziamento del DNA e dell'RNA, la misurazione dei livelli proteici e lo screening CRISPR, hanno identificato che la via MAPK (mitogen-activated protein kinase) svolge un ruolo chiave nella riparazione del DNA nelle cellule aneuploidi. La ricerca ha dimostrato che l'interruzione della via MAPK rende queste cellule tumorali più sensibili alla chemioterapia, che agisce causando danni al DNA. Questa scoperta potrebbe consentire ai medici di trattare il cancro con dosi inferiori di chemioterapia, riducendo gli effetti collaterali dannosi. Un'altra vulnerabilità significativa identificata è stata la sovrapproduzione di RNA e proteine nelle cellule aneuploidi, risultato del loro numero anomalo di cromosomi. Le cellule cercano di degradare questo materiale in eccesso, rendendole particolarmente sensibili ai farmaci che inibiscono la degradazione delle proteine. I ricercatori hanno scoperto che le cellule aneuploidi sono più sensibili a questi farmaci, aprendo potenzialmente la strada alla riproposizione dei trattamenti esistenti per colpire i tumori altamente aneuploidi. Questa ricerca innovativa offre nuove speranze per terapie antitumorali più efficaci e mirate, sfruttando le debolezze specifiche delle cellule tumorali aneuploidi.
(Israfan, 20 settembre 2024)
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Perché è necessario un attacco in Iran
di David Elber
Dopo quasi un anno dall’eccidio palestinese del 7 ottobre e dalla conseguente guerra che Israele è costretto a combattere su due fronti, Gaza e Libano, è opportuno che l’establishment di Israele cambi strategia. Da una guerra di logoramento su due fronti imposta dall’Iran, Israele deve prendere l’iniziativa e attaccare la fonte del problema: l’Iran.
Per prima cosa è opportuno chiarire la natura di un possibile attacco militare. Israele è in guerra con l’Iran perché l’Iran ha attaccato Israele tramite le organizzazioni terroristiche che finanzia, addestra e arma: Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah e Houti. Inoltre l’Iran ha attaccato militarmente Israele con droni e missili balistici (14 aprile). In pratica l’Iran sta attuando una guerra di logoramento nei confronti di Israele che lo Stato ebraico non può sostenere all’infinito, mentre l’Iran finanzia questa guerra con i proventi del petrolio. Per molti aspetti, all’Iran, questo logoramento non costa nulla in termini di perdite economiche, militari e di infrastrutture. Tutti i terroristi uccisi sono facilmente rimpiazzabili con altri. Ad esempio, è notizia di questi giorni che diverse centinaia di terroristi Houti sono giunti nel sud della Siria per prendere parte ad un eventuale scontro armato in Libano o per attaccare Israele dal Golan o per infiltrarsi in Israele (per attaccare le comunità ebraiche in Samaria o in Giudea) tramite il porosissimo e mal controllato confine sul Giordano. Per tutte queste ragioni un attacco in Iran deve avere due obiettivi precisi: la distruzione del programma nucleare e la distruzione delle infrastrutture petrolifere che finanziano e alimentano la guerra in corso contro lo Stato ebraico. È doveroso mettere subito in luce che tale azione militare è estremamente complessa, rischiosa e dagli esiti incerti. Ma bisogna tentarla per non doverlo fare in futuro, quando sarà ancora più difficile soprattutto quando il regime iraniano sarà dotato di armi nucleari (il vero scopo del suo programma nucleare).
Israele ha già dimostrato di avere la capacità aerea di colpire a grande distanza (il 20 luglio quando ha attaccato il porto yemenita di Hodeidah che si trova ad una distanza maggiore rispetto l’Iran). Inoltre, Israele dispone di una flotta di sottomarini con enormi capacità offensive, soprattutto, quelli di classe Dolphin, tecnologicamente avanzatissimi, dotati di missili da crociera e balistici. Questi sottomarini sono in grado di avvicinarsi alle coste iraniane (se necessario) per distruggere le infrastrutture petrolifere senza essere individuati dall’Iran.
Un attacco all’Iran provocherebbe sicuramente una reazione militare iraniana e soprattutto una reazione politico-diplomatica capeggiata dalla Russia e dalla Cina, ma questo non deve essere un deterrente decisivo per fermare l’azione militare di Israele, per vari motivi che illustreremo.
Per prima cosa, una reazione militare iraniana può essere contenuta da Israele, come già dimostrato il 14 aprile scorso, e questo ha portato alla rinuncia iraniana, ad agosto, di vendicare l’eliminazione di Hanyeh a Teheran.
In merito ad una reazione di Russia e Cina, esse sono già apertamente e sempre schierate contro Israele in tutti i forum internazionali ad iniziare dall’ONU. Intrattengono già una forte collaborazione militare, nucleare ed economica con gli Ayatollah. Quindi da punto di vista politico e diplomatico la situazione per Israele non può peggiorare rispetto alla sua configurazione attuale. Presumere un coinvolgimento militare di Cina e Russia a fianco dell’Iran è altamente improbabile: la Russia è impantanata in Ucraina e in Siria non ha mai contrastato le centinaia di raid israeliani. La Cina non ha interesse a scatenare una guerra contro Israele, cosa, tra l’altro, estremamente difficile per i cinesi che non hanno truppe in Medio Oriente né basi militari. Sicuramente sono molto più interessati a partecipare a ricostruire le infrastrutture che eventualmente saranno distrutte e mettere così un piede in Medio Oriente come stanno facendo, da anni, in Africa e in America del Sud. L’unica vera incognita è rappresentata dagli Stati Uniti.
Con gli USA si possono aprire due scenari completamente diversi in base a chi vincerà le prossime elezioni presidenziali il 5 novembre. Nel caso, malaugurato, che vincesse il partito democratico, l’appoggio ad Israele sarebbe limitatissimo. A una fase iniziale di forte opposizione a un'azione militare, seguirebbe molto probabilmente un appoggio diplomatico obtorto collo in sede ONU per evitare le condanne più dure che si scatenerebbero al Consiglio di Sicurezza. Militarmente non fornirebbero nessun tipo di aiuto rendendo il blitz di Israele molto più difficoltoso. Ben diverso sarebbe lo scenario se vincessero i repubblicani. Con Trump al timone, è auspicabile e più probabile un grande appoggio militare oltre che diplomatico e politico. Con Trump alla presidenza può divenire plausibile un coinvolgimento indiretto anche dell’Arabia Saudita (il vero antagonista dell’Iran) sotto forma di concessione dello spazio aereo per compiere il blitz, ma soprattutto un coinvolgimento saudita per il dopo attacco.
Se l’Iran non fosse in grado di produrre petrolio per un lungo periodo, questo porterebbe ad un aumento vertiginoso delle sue quotazioni che potrebbe causare una crisi economica mondiale. Ma se l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti aumentassero la loro produzione per compensare quella mancante dell’Iran i mercati si stabilizzerebbero in poco tempo. Dopo una fiammata iniziale sopra i 100$ al barile le quotazioni scenderebbero con i mercati rassicurati dalla maggiore produzione di petrolio di Arabia Saudita, USA e altri paesi del Golfo. Oggi l’Iran produce circa 3.5 milioni di barili al giorno che equivalgono a circa il 4% della produzione mondiale. Quota ampiamente recuperabile con una maggiore produzione saudita e americana. Perché questo accada è necessaria una intesa politica non semplice ma possibile con Trump già artefice degli Accordi di Abramo.
Un simile scenario è sicuramente un grande azzardo ma è l’unico che possa garantire una certa sicurezza a Israele nei prossimi anni, altrimenti assisteremo a una interminabile serie di piccole guerre che porteranno lo Stato ebraico al collasso. In fin dei conti cosa ha Israele che possa interessare all’Arabia Saudita? La forza militare e la determinazione di sconfiggere l’unico avversario pericoloso per i sauditi: l’Iran.
Se invece che attaccare l’Iran, Israele decidesse di attaccare Hezbollah, si troverebbe a combattere una sanguinosissima guerra campale che produrrebbe un uguale sdegno mondiale con le immancabili condanne di ONU, UE, “amici” e nemici vari. Dal punto di vista politico e diplomatico con cambierebbe nulla. Ma questa guerra non sarebbe risolutiva: per l’Iran anche Hezbollah – e tutto il Libano – sarebbero sacrificabili. Questo perché molti terroristi libanesi riparerebbero in Siria e da lì tutto ricomincerebbe da capo: attacchi dal suolo siriano da parte di Hezbollah, milizie sciite siriane e irachene oltre agli Houti (già arrivati in Siria) e altri ancora. Cosa dovrebbe fare Israele nel momento in cui dalla Siria si ripetesse lo stillicidio di missili e razzi quotidiani che ora proviene dal Libano? È pensabile che Israele invada anche la Siria? No, non è ipotizzabile, ma anche se di dovesse verificare questo caso, inizierebbe un lancio di razzi dall’Iraq, altro Sato controllato dall’Iran, a questo punto cosa potrebbe fare Israele? L’unica cosa da fare è non cadere nella trappola iraniana di una infinita guerra di logoramento e colpire direttamente la fonte del terrorismo di tutta l’area, fonte ben nutrita e fatta crescere dalle amministrazioni Obama e Biden. Gli errori incalcolabili di Obama/Biden sono ormai un fatto compiuto, ora è necessario eliminare il pericolo iraniano prima che si doti di armi nucleari perché a quel punto non ci saranno rimedi.
In conclusione, o la comunità internazionale decide di fare cessare l’aggressione iraniana con mezzi sanzionatori/militari (assai probabile) oppure Israele dovrà prendere l’iniziativa militare per la sua stessa sopravvivenza.
(L'informale, 20 settembre 2024)
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Nasrallah denuncia “l’atto di guerra” di Israele, ma è vulnerabile
Le minacce del leader di Hezbollah che si ritrova con la rete dei miliziani e delle comunicazioni molto danneggiata
Il percorso dei cercapersone.
di Priscilla Ruggiero
ROMA - Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha parlato ieri, il primo discorso dopo che, per due giorni di fila, migliaia di suoi miliziani sono stati feriti – molti gravemente – e uccisi – una quarantina – in seguito all’esplosione di cercapersone e walkie-talkie in dotazione per le comunicazioni interne al gruppo. Questo attacco senza precedenti attribuito a Israele vìola “tutte le norme e le regole” esistenti, ha detto Nasrallah, “è un atto di guerra” che supera “limiti e linee rosse”: “il nemico” riceverà “una giusta punizione, che se l’aspetti o no”. Mentre il leader del Partito di Dio compariva sugli schermi e pronunciava questo suo discorso minaccioso, forse il più duro dal 7 ottobre, i jet israeliani volavano a bassa quota sopra Beirut.
Nasrallah si è riferito alle esplosioni simultanee dei device in tutto il Libano e in Siria definendolo “il massacro di martedì e mercoledì”, un’azione “disumana e senza morale” oltre che senza precedenti, con l’obiettivo di “uccidere quattromila persone in un minuto”: un colpo ben assestato, “in termini di sicurezza e in termini umani”, che però non fermerà il sostegno dato a Gaza, il fronte libanese continuerà a essere operativo e la punizione arriverà al momento giusto.
Molti commentatori hanno sottolineato il tono duro e severo del leader di Hezbollah, simile a quello che aveva avuto all’inizio di agosto dopo che il suo numero due era stato ucciso a Beirut e il leader di Hamas, Ismail Haniyeh era stato ucciso a Teheran: allora aveva detto che la guerra sarebbe cambiata, “entra in una nuova fase”, “questa non è più una guerra di sostegno” a Hamas e a Gaza “ma una guerra aperta in Libano e in Iran”. Le linee rosse sono state nuovamente superate, ma se il tono minaccioso di Nasrallah è certamente più concreto di quanto fosse in passato – prima dell’estate e degli omicidi mirati si era rivelato ben più cauto rispetto alle attese – questo è anche un momento di grande vulnerabilità per Hezbollah: il controspionaggio del gruppo non è riuscito a intercettare l’operazione degli scorsi giorni (stava per farlo, secondo le ricostruzioni, ed è anche per questo che Israele ha deciso di accelerare il suo piano), centinaia di suoi miliziani sono in ospedale, molti sono morti e la sua rete di comunicazione è stata devastata. Per quanto Nasrallah si sia premurato di specificare che, grazie alla bontà divina, molti device erano spenti e quindi non sono esplosi, il danno è enorme, in termini umani e di operatività, ma anche di immagine: la più importante e potente milizia armata della Repubblica islamica dell’Iran è stata dilaniata da migliaia di aggeggi minuscoli manomessi senza che nessuno se ne accorgesse. Lo sconvolgimento attraversa tutta la rete del cosiddetto “Asse della resistenza” genera insicurezza e condiziona le decisioni future sulla reazione (foss’anche solo la catena delle comunicazioni).
Nasrallah ha detto che è in corso un’indagine interna per capire come sia stato possibile il “massacro”: in realtà se lo sta chiedendo tutto il mondo. Se sulla manomissione dei dispositivi si è stabilito che è stata inserita una piccola quantità di un esplosivo molto potente, ancora resta da capire il dove, il chi e il quando. Il New York Times ha fornito qualche dettaglio significativo: i funzionari dell’intelligence israeliana avrebbero visto nella richiesta di Nasrallah di non utilizzare più i telefoni cellulari e investire nei cercapersone un’opportunità, e ancora prima che decidesse di ampliarne l’utilizzo, “Israele aveva messo in atto un piano per fondare una società fittizia che si sarebbe spacciata per produttrice internazionale di cercapersone”. Sin dalle prime ore dell’esplosione dei cercapersone le indagini si sono così concentrate sul percorso della manomissione dei device, e si è presto raggiunta una conclusione: poiché i dispositivi elettronici sono diventati più complessi e le catene di fornitura globali più contorte, è ormai impossibile proteggere la moderna catena di fornitura di prodotti elettronici da un avversario determinato e sofisticato. E non è così difficile pensare a delle infiltrazioni nella catena con la cooperazione di un produttore.
Il marchio sui pager era dell’azienda taiwanese Gold Apollo, uno dei principali produttori di cercapersone al mondo, ma il presidente Hsu Ching-Kuang ha subito precisato di essere completamente estraneo alla vicenda e di aver soltanto concesso i diritti di produzione con il proprio marchio a un’azienda europea, l’ungherese Bac Consulting. Ai media, Hsu ha raccontato come ci fossero anche stati dei pagamenti “strani” da parte di Bac da un conto mediorientale. L’attenzione si è così spostata su Budapest, su un ufficio deserto, un sito web chiuso e una misteriosa unica proprietaria e responsabile, Cristiana Barsony- Arcidiacono. La ceo ha però affermato di essere soltanto un’intermediaria, e anche il governo ungherese ha precisato che l’azienda non ha alcun sito produttivo in Ungheria. Secondo il New York Times, la Bac sarebbe soltanto una delle società fittizie aperte dall’intelligence israeliana per vendere i cercapersone manomessi – sarebbero almeno altre due le società fantasma – che accettavano sì clienti “ordinari”, ma l’unico che contava davvero era solo Hezbollah. E’ infine emersa una pista bulgara, con i media ungheresi che hanno individuato un’altra azienda con sede a Sofia, Norta Global Ltd., con un proprietario norvegese e un altro sito web bloccato. I walkie-talkie esplosi mercoledì avevano invece un marchio giapponese, della società Icom, con sede a Osaka, che ha affermato come gli apparecchi esplosi siano stati esportati in medio oriente dal 2004 al 2014, quindi ormai fuori produzione con quelli in circolazione quasi tutti contraffatti. Eppure secondo fonti della sicurezza libanese, i walkie-talkie sarebbero stati acquistati da Hezbollah circa cinque mesi fa, nello stesso periodo in cui sono stati acquistati anche i cercapersone.
Il Foglio, 20 settembre 2024)
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Come hanno fatto i cercapersone di Hezbollah a diventare bombe?
di Christiaan Hetzner
Due giorni consecutivi di esplosioni che hanno colpito chirurgicamente i militanti di Hezbollah in tutto il Libano hanno mostrato quella che sembra essere un’elaborata e sofisticata infiltrazione, da parte di Israele, nella catena di rifornimento che equipaggia il suo nemico.
Martedì scorso, migliaia di cercapersone imbottiti di esplosivo sono scoppiati contemporaneamente, prima che un numero imprecisato di radio ricetrasmittenti venisse fatto esplodere appena 24 ore dopo.
Si stima che gli attacchi coordinati contro Hezbollah, organizzazione paramilitare sciita sostenuto dall’Iran, abbiano ucciso più di due dozzine di persone e ne abbiano ferite gravemente altre decine. Gli esperti stanno ancora cercando di mettere insieme le prove nella speranza di spiegare come sia stata compiuta questa ‘straordinaria’ impresa. Ma una cosa è chiara: Israele in questo modo ha ridotto drasticamente la capacità di Hezbollah di colpire le posizioni dell’IDF nel nord del Paese.
“In due ondate di attacchi, ciascuna di pochi minuti, Hezbollah ha perso migliaia di militanti pronti a combattere e le sue capacità di comando e controllo”, ha scritto Avi Melamed, ex funzionario dell’intelligence israeliana, in un commento a Fortune. Tra i morti ci sono anche due bambini e più di 2.800 persone sono rimaste ferite, molte delle quali potrebbero essere innocenti. “Questa è stata un’operazione brillante in termini di intelligence ed esecuzione, davvero su scala globale”, ha dichiarato il generale di brigata israeliano Amir Avivi, citato da Bloomberg. “Da molti anni dico che siamo bravi nelle missioni e pessimi nelle guerre”.
• Chi ha prodotto i cercapersone esplosivi?
I cercapersone esplosi martedì erano un modello venduto con il marchio Gold Apollo. Hsu Ching-kuang, fondatore e presidente dell’azienda taiwanese, ha tuttavia dichiarato di aver autorizzato una società ungherese chiamata BAC Consulting a progettare e produrre il cercapersone in questione utilizzando il suo marchio.
“Lo hanno progettato loro stessi”, ha dichiarato nei commenti citati dall’Associated Press. Gold Apollo ha semplicemente riscosso un compenso per aver concesso loro l’uso del marchio della sua azienda, secondo quanto dichiarato. Quando l’emittente pubblica tedesca DW ha cercato l’azienda al suo indirizzo di Budapest, le tracce si sono raffreddate. Tutto ciò che ha trovato per confermare la sua esistenza è stata una pagina di carta con il suo nome stampato. Ciò suggerisce che si tratta di una società di comodo per fornire copertura.
• Gli alleati di Israele potrebbero aver intercettato dispositivi in viaggio
L’amministratore delegato dell’azienda, Cristiana Bársony-Arcidiacono, ha inoltre smentito qualsiasi coinvolgimento diretto nella loro produzione. “Non produco i cercapersone. Sono solo l’intermediario”, ha dichiarato a NBC News. Non ha detto però chi fosse responsabile della loro produzione né ha risposto a una richiesta di commento di Fortune. È possibile che sia stata un’azienda israeliana a produrre i cercapersone, ma potrebbe anche trattarsi di un’azienda legata a Hezbollah che desidera semplicemente rimanere nell’ombra. L’analista militare Elijah Magnier, da Bruxelles, ha suggerito un’altra possibilità: Israele è stato probabilmente avvisato da servizi segreti amici in Medio Oriente che hanno assicurato che i cercapersone sarebbero stati bloccati durante il viaggio prima di raggiungere Hezbollah. In questo modo, gli agenti israeliani avrebbero avuto il tempo e l’accesso ai dispositivi per impiantare manualmente l’esplosivo in migliaia di cercapersone, probabilmente nascosto direttamente nelle loro batterie agli ioni di litio.
“Avevano tutto il tempo del mondo”, ha dichiarato l’analista ad Al Jazeera.
• Le radio potrebbero essere state acquistate sul mercato nero
Come siano stati compromessi esattamente i walkie-talkie al momento rimane un mistero. Le prove visive suggeriscono che i dispositivi erano radio ricetrasmittenti vendute dall’azienda giapponese Icom, uno dei principali produttori. Tuttavia, l’azienda ha dichiarato di aver interrotto la produzione del modello in questione, l’IC-V82, circa dieci anni fa. Inoltre, Icom non fornisce più batterie di ricambio.
Gli agenti di Hezbollah avrebbero potuto procurarsi le radio portatili da qualsiasi fonte, senza affidarsi a documenti scritti che potessero essere rintracciati: per un’organizzazione indicata come terrorista dalla maggior parte dei governi occidentali, sarebbe sensato coprire le proprie tracce.Gli IC-V82 potrebbero anche non essere originali, ma copie a basso costo provenienti dal mercato nero, impossibili da rintracciare.
“Non è stato applicato un sigillo con ologramma per distinguere i prodotti contraffatti, quindi non è possibile confermare se il prodotto sia stato spedito dalla nostra azienda”, ha dichiarato Icom alla BBC. Con così tanti dettagli non chiari, potrebbero passare settimane, mesi, o addirittura anni, prima che si possa fare luce sugli eventi di questa settimana.
• Storia dei dispositivi di comunicazione con trappola esplosiva
Il governo israeliano non ha confermato né smentito la propria responsabilità e l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu non ha risposto a una richiesta di commento di Fortune.
Ma i servizi segreti del Paese hanno dimostrato più volte in passato la capacità di colpire chirurgicamente gli agenti nemici. Yahya Ayyash, una figura di spicco dell’ala militare di Hamas, è stato assassinato nel 1996 dopo l’esplosione del suo telefono cellulare proprio con una trappola esplosiva. L’impiego di questa tecnica su così larga scala, tuttavia, sembra senza precedenti. “Si può intervenire su un singolo dispositivo a distanza, e anche in questo caso non si può essere sicuri che prenda fuoco o che esploda davvero”, ha dichiarato al Financial Times un anonimo ex funzionario dell’antiterrorismo israeliano. “Farlo a centinaia di dispositivi contemporaneamente? Sarebbe una sofisticazione incredibile”.
L’operazione arriva poco dopo l’assassinio mirato di Ismail Haniyeh a Teheran, dove la figura di spicco di Hamas era stata ospite personale del leader iraniano Ayatollah Ali Khamenei, e pochi giorni prima dell’anniversario dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas che ha ucciso circa 1.200 israeliani.
Il prezzo del “Brent” europeo del Mare del Nord, il parametro di riferimento del greggio globale, è balzato dell’1,3% a 73,70 dollari al barile, in seguito al ritorno dei timori di un’escalation in Medio Oriente.
• Probabile paralisi dell’efficacia militare di Hezbollah
Se dietro l’attacco ci fosse il governo israeliano, come si ritiene da più parti, si può dire che sarebbe riuscito a compromettere le infrastrutture critiche di Hezbollah. Eliminando in un colpo solo gran parte delle loro possibilità di comunicazione, si paralizza la loro capacità di rispondere efficacemente a un attacco israeliano, mentre l’attenzione si sposta dalla lotta contro Hamas a Gaza al nord del Paese e a Hezbollah. “La perdita delle capacità di comunicazione wireless di Hezbollah compromette gravemente la sua flessibilità, connettività e manovrabilità”, ha dichiarato Melamed a Fortune. Inoltre, qualsiasi macchina alimentata da una batteria agli ioni di litio potrebbe potenzialmente essere una bomba a orologeria in miniatura e, pertanto, è ora sospetta. Setacciare le loro forniture per individuare i punti deboli distoglie l’attenzione dal campo di battaglia. “I componenti di Hezbollah ora esamineranno a fondo tutto ciò che può fungere da dispositivo di comunicazione”, ha dichiarato Fabian Hinz, analista militare dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici, in un’intervista rilasciata giovedì all’emittente televisiva tedesca ZDF. “E sarà un compito immane”.
(Fortune Italia, 20 settembre 2024)
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“Il 7 ottobre ha cambiato il mondo. Non solo per gli ebrei, ma per l’umanità”
Il soldato Maayan Mulla ospite della Comunità ebraica di Milano
di Pietro Baragiola e Ludovica Iacovacci
Martedì 17 settembre la
Scuola Comunità Ebraica di Milano ha ospitato
Ritorno alla vita di un eroe da oltre il mare, la conferenza del riservista
Maayan Mulla, rimasto ferito a Gaza durante
un’imboscata dei terroristi di Hamas.
Comandante del battaglione di ingegneria dell’esercito israeliano con 14 anni di esperienza nell’IDF, il 39enne Mulla è stato tra i primi soldati israeliani a varcare la Striscia di Gaza
il 27 ottobre.
“Sono rimasto scioccato nel vedere che
ogni casa ha al suo interno decine di armi e bombe” ha affermato Maayan, raccontando la sua esperienza diretta al pubblico riunito nella
Sala Segre.
Lo scorso dicembre, durante l’assalto all’
ospedale Kamal Adwan, il comandante e il suo team sono caduti in una trappola tesa dai terroristi di Hamas.
Due soldati sono morti sul colpo e cinque sono rimasti gravemente feriti.
“Io sono stato portato d’urgenza in ospedale con
l’elicottero. Il mio corpo era pieno di schegge e sono rimasto sotto osservazione per diversi mesi” ha spiegato Maayan che, una volta dimesso, ha deciso di raccontare la sua vicenda in tutto il mondo. “La mia vita quel giorno è cambiata per sempre ma non mi guardo indietro per autocommiserarmi, bensì per ricordarmi che sono vivo e che posso ancora dare il mio contributo”
• LA CARRIERA DI MAAYAN MULLA
Dopo il liceo, tutti i ragazzi israeliani sono tenuti alla
leva obbligatoria ma il giovane Maayan, nonostante fosse felice di prendere servizio nell’esercito, è stato subito
respinto perché era considerato ‘un cattivo ragazzo e un pessimo studente’.
“Ciononostante ho continuato a lottare per questa opportunità e, dopo diversi tentativi, hanno lasciato che mi arruolassi” ha spiegato Mulla, orgoglioso della sua tenacia.
Le parole di sua madre sul ‘
non abbandonare mai un obiettivo’ hanno guidato il soldato per tutta la sua carriera, spingendolo sempre verso nuovi e straordinari traguardi: Maayan è diventato presto
ufficiale dell’IDF, poi
comandante di battaglione, poi è tornato all’università conseguendo a pieni voti la
laurea in legge e ha persino completato per ben 5 volte la nota competizione agonistica
Iron Man.
Nel 2017 Mulla si è trasferito a Nuova Delhi, in
India, dove è diventato
CEO della Watergen, l’azienda che si impegna nel combattere la carenza di acqua pulita nel mondo attraverso un processo che la ricava dall’atmosfera.
“Per molti il
6 ottobre è stato un venerdì come un altro, ma per me è stata una delle giornate migliori della mia carriera: avevo appena finito di programmare i miei futuri viaggi di lavoro a Dubai, Londra e in Grecia e avevamo raddoppiato il nostro KPI rispetto alle previsioni di quell’anno fiscale” ha raccontato Maayan.
La mattina del 7 ottobre però, dopo aver appreso al telegiornale la notizia del brutale attacco di Hamas, la vita di Mulla è cambiata per sempre.
“Ho chiamato
mia moglie, Rachel, e l’ho informata che sarei subito partito” ha proseguito Maayan. “Israele era la nostra casa e sapevamo entrambi che mi ero impegnato a difenderla anche per garantire la sicurezza dei nostri figli Barry, Noah e Nativ.”
Appena arrivato in Israele, Mulla ha fatto visita a suo fratello, rimasto ferito durante gli scontri con i miliziani di Hamas. Qui ha incontrato anche i suoi genitori che, sorpresi nel vederlo di nuovo a casa, hanno cercato in tutti i modi di fermarlo dal tornare nell’esercito, ma senza successo.
Dieci giorni dopo, quando Israele ha lanciato ufficialmente la sua operazione di terra,
Maayan è stato tra i primi soldati ad entrare nella Striscia di Gaza: “avevo un team di quasi 700 persone quando sono entrato a Gaza il 27 ottobre, e lì sono rimasto fino al fatidico 12 dicembre”.
• L’IMBOSCATA
Il
12 dicembre 2023, il sesto giorno di Hanukkah, Maayan e i suoi soldati sono stati mandati ad eseguire un’operazione nel
campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza.
Il loro compito era far saltare gli edifici dei terroristi di Hamas nascosti nell’area ma, all’insaputa dell’IDF, il territorio in cui sono entrati era un’imboscata.
Alle 2.30 del pomeriggio un
RPG ha colpito la squadra di Maayan, uccidendo due soldati e ferendone altri 5.
“Mi ricordo ancora che, quando l’esplosione mi ha sbalzato indietro, mi sembrava come se un camion mi avesse schiacciato contro un muro” ha spiegato Maayan. “Ho controllato subito se tutti gli arti c’erano ancora e, non vedendo parti mancanti, ho pensato di stare bene. Non sospettavo minimamente di essere gravemente ferito.”
Durante la presentazione di martedì, l’ex comandante ha mostrato un
video di 3 minuti e mezzo registrato dall’elmetto del suo commilitone
David, in cui si vede il momento dell’esplosione e come Maayan abbia prestato assistenza al suo compagno tra il caos e il fuoco nemico.
“Sono solo 3 minuti e mezzo ma il combattimento è durato 24 minuti. Le altre tre persone rimaste ferite nell’esplosione costituivano il nostro intero team medico perciò non c’era nessuno ad aiutarci ed io ho cercato di tenere unita la mia squadra, gestendo la situazione al meglio delle mie capacità” ha affermato Mulla. “L’unica cosa importante in quel momento era la missione: non avrei permesso che nessuno dei miei soldati venisse rapito.”
Ci sono voluti
14 minuti prima che i membri del suo team riuscissero a ricevere i primi soccorsi.
• LE FERITE DEL COMANDANTE
Quando la squadra di soccorso ha raggiunto Mulla, si è accorta subito che il comandante aveva
più di 140 schegge conficcate nel corpo, dal piede destro fino al collo.
“Avevo perso 3 litri di sangue. Riportavo danni ai nervi delle gambe e un buco nello stomaco causato dalle schegge” ha spiegato Maayan che è stato caricato subito sull’elicottero dell’equipe medica.
Qui ha incontrato la
dottoressa Roni Sharon, sua amica di lunga data, che non aveva idea che lui fosse a Gaza.
“Maayan, cosa ci fai qui?” ha gridato la dottoressa e, capendo subito la gravità della situazione, nei 14 minuti di volo verso l’ospedale ha effettuato un
intervento d’urgenza per rimuovere le schegge dalle costole di Mulla, salvandogli la vita.
“L’arrivo all’
Ospedale di Sheba è stato come un film. Il mio corpo era lì ma la mia mente era a Gaza e continuavo a pensare che sarei tornato presto” ha raccontato l’ex comandante. “Cercavo di convincere tutti che stavo bene, ma negli occhi dei dottori capivo che non sarebbe stato così.”
Maayan si è sottoposto a
più di 7 interventi chirurgici, 5 dei quali alle gambe, ed ha dovuto affrontare un lungo e faticoso processo di riabilitazione in Israele, lontano dalla sua famiglia in India.
È stato su una sedia a rotelle per 5 mesi e mezzo e le ferite gli hanno fatto
perdere l’80% dell’udito dall’orecchio destro.
Un recupero “completo” potrebbe richiedere almeno 5 anni, ma Maayan sa che non tornerà più come prima.
“Cosa avrei potuto fare? Portare la mia famiglia in Israele? I miei figli non sapevano studiare in ebraico nonostante fosse la loro lingua madre. E cosa avrei fatto con la mia azienda?” sono queste le domande che Maayan si è posto in ospedale. “Era una situazione difficile ma sapevo che non dovevo caderne vittima. Anzi dovevo lottare per renderla migliore!”
Mulla ha concluso l’incontro spiegando come il vedere volontari che arrivavano da ogni parte del mondo per aiutare i feriti israeliani in ospedale gli ha aperto gli occhi sulla vera forza della comunità ebraica: “non dobbiamo mai smettere di aiutarci e darci speranza l’un l’altro.
Questa non è solo la guerra d’Israele bensì la guerra dell’intera comunità ebraica mondiale. È la guerra per far sì che ciò che è successo il 7 ottobre non riaccada mai più.”
• L’INTERVISTA A MOSAICO
- Maayan, lei era in India il 7 ottobre, quando ha deciso di tornare in Israele per arruolarsi in Tzahal. Quali sono le ragioni che l’hanno mossa a compiere questo gesto?
“Quello che so è che abbiamo solo un Paese ed è Israele, lo Stato delle Comunità ebraiche del mondo. Noi abbiamo un impegno verso questo Paese e nei confronti della Comunità. A seguito del 7 ottobre ho pensato che ognuno dovesse fare quanto poteva. Un’ora dopo che ho capito cosa stesse accadendo, ovvero verso le 8 e mezza israeliane, ho realizzato che se non fossi andato in Israele non me lo sarei mai perdonato”.
- Poi le è successo qualcosa tra le strade imprevedibili di Gaza. Potrebbe riassumerlo?
“Sono andato in Israele volontariamente, nessuno mi ha chiamato. Io ho servito l’esercito per 14 anni dopodiché ho deciso di lasciare il militare per iniziare una nuova vita. A seguito del 7 ottobre ho scelto di tornare. Non mi importava cosa mi assegnassero da fare, perché
avrei fatto di tutto per aiutare: soldato regolare, autista, qualunque posizione. Ho ricevuto tre missioni differenti. Inizialmente sono stato incaricato di pulire e seppellire i corpi, dopo 10 giorni mi hanno nominato leader di un’operazione speciale da condurre a Gaza, successivamente mi hanno dato una nuova posizione come Comandante del Battaglione degli Ingegneri perché ero cresciuto in quell’unità. Il 27 ottobre siamo entrati a Gaza, di venerdì notte. A Jabalia, il 12 dicembre, alle 14:30 del pomeriggio, abbiamo condotto un’operazione speciale, critica, nel campo di rifugiati: dovevamo far saltare in aria alcuni edifici relativi ai terroristi responsabili del 7 ottobre. Sapevamo al cento per cento che loro erano dentro l’edificio e che erano gli artefici dei disastri nei kibbutzim, avevamo le evidenze, ma le posizioni degli edifici rendevano molto difficile l’entrata. Sulla strada, appena alcuni metri prima di entrare negli edifici,
Hamas ci ha teso un’imboscata. Uno dei miei è morto sul campo. Quella domenica aveva festeggiato il suo compleanno ebraico, aveva 20 anni.
A causa dei combattimenti sono rimaste ferite sei persone, tre in maniera molto grave, altre tre in maniera meno grave. Io ero uno di quelli più gravemente feriti, ma inizialmente non l’avevo capito. Quando sei il comandante di un’unità pensi agli obiettivi della missione, non ti interessa del tuo corpo, non senti il dolore, sei unicamente concentrato nel finire quello che devi fare. Mi sono ritrovato a gestire tutto il combattimento ed ero l’unico comandante lì, provvedendo per il supporto medico perché le tre persone ferite mediamente erano la nostra squadra di medici. È stato un grande scontro, per 70 minuti nessuno si è potuto avvicinare perché volavano proiettili dappertutto. Ho cercato di dare il primo soccorso medico assolutamente necessario per la sopravvivenza dei feriti più gravi. Quando una squadra di soccorso è riuscita a raggiungerci, un dottore mi si è avvicinato e mi ha detto che ero pieno di sangue. In quel momento mi sono guardato e avevo una scheggia molto grande tra le costole che è entrata nella prima linea di protezione del fianco. Ho perso più di due litri e mezzo di sangue e quando mi hanno salvato mi hanno portato all’ospedale: avevo
più di 100 schegge, gravi danni ai nervi, all’elevatore, il mio balbettio è esploso, il braccio destro si è danneggiato, ho perso l’udito all’orecchio destro, ho avuto un danno celebrale al cervello e ho ancora un centinaio di schegge nel corpo. È qualcosa che resterà con me per sempre. Sono già stato operato undici volte e ricoverato per circa 247 giorni e ne ho ancora da fare”
- Secondo lei, prima di entrare in Gaza e tutt’ora, è cambiata l’opinione della società israeliana nei confronti dell’esercito rispetto a quanto successo?
“Io non credo che ci sia stato un cambiamento nel capire cosa succeda, posso dire che questa è la mia quarta guerra, sono stato già in Libano nel 2006 e già a Gaza.
L’apprezzamento e l’aspettativa dei soldati dopo il 7 ottobre è sempre stata in crescendo. Controllare la mentalità dei soldati affinché agissero come tali è stata una delle sfide più impegnative. Quello che abbiamo visto il 7 ottobre è qualcosa che un essere umano non dovrebbe vedere mai. Quando si pensa a tutta la barbarie con cui hanno agito, quello che verrebbe istintivamente da fare è ripagarli. Il fatto che non abbiamo perso il controllo è qualcosa che mi rende molto fiero sia nei confronti dei nostri soldati sia delle Comunità ebraiche.
Abbiamo fatto tutto ciò che ci si aspetta da un soldato, non da terroristi. Questo è il modo in cui abbiamo agito in Gaza ed è così che le persone parlano dei nostri soldati fuori.
Non è tutto un arcobaleno, c’è una guerra con delle sfide da affrontare ma alla fine ci chiederemo cosa abbiamo fatto e dovremmo rimanere focalizzati sulle missioni, senza distrazioni e lasciando fuori le emozioni. Nella mia unità c’erano 700 soldati sotto di me, tra loro c’era chi aveva perso la famiglia, i fratelli, gli amici; loro hanno fatto ciò che c’era bisogno da fare e questo è qualcosa di incredibile. La stragrande maggioranza delle persone, quando c’è un pericolo, scappa. Noi abbiamo visto il pericolo e ci siamo andati dentro. Questo è un approccio totalmente diverso ed è qualcosa legato alla nostra Comunità ebraica mondiale, di cui, dopo tanti anni vissuti all’estero, ho capito l’importanza e la sua connessione con Israele. Siamo tutti uniti, come un grande puzzle; se manca un piccolo pezzo, il puzzle non è completo.
Oggi la nostra sfida più grande è connettere Israele con gli altri Paesi. È difficile da gestire, perché il mondo è stanco della guerra e la sua continuazione è qualcosa che gli altri fanno difficoltà ad accettare, ma bisogna trovare una soluzione affinché i politici degli altri Stati supportino Israele: questa è la missione principale delle comunità ebraiche nel mondo. Se presentiamo le nostre comunità in un buon modo, andrà bene”.
- Collegandomi a questo, come pensa che nel resto del mondo, per esempio nel Paese nel quale viveva, vedano Israele e le Comunità ebraiche?
“Non sono un politico e non voglio entrare in questioni politiche ma posso dire di aver capito che
il governo di Israele ha un gran lavoro da fare nel connettersi alle opinioni pubbliche degli altri Stati. Per esempio, in India noi abbiamo supporto: loro capiscono perfettamente la situazione. Nei Paesi occidentali, come in Europa o negli Stati Uniti, la guerra stanca, quindi Israele ha una finestra di due, tre, quattro mesi per concluderla, ma sfortunatamente è impossibile risolvere la questione in termini così rapidi. Se si vuole ripulire il territorio, questa operazione richiede molto tempo. A Gaza ci sono ancora degli ostaggi e non si ha qualcuno con cui contrattare, perché dall’altra parte c’è un’organizzazione terroristica che non ha standard, loro fanno quello che vogliono. Questa è la sfida più grande.
Se vogliamo finire la guerra – come infatti vogliamo –
abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile degli altri Paesi, affinché facciano pressione su questa organizzazione terroristica. La maggioranza delle persone crede che questa guerra sia dello Stato d’Israele: non è la realtà.
Il 7 ottobre ha cambiato il mondo. Non solo per gli ebrei, per l’umanità. Se un’organizzazione terroristica supera l’ISIS, questa è la chiave di ogni cellula terroristica per agire contro cristiani, indù, o qualsiasi altra persona. Noi, persone che viviamo sulla Terra, non possiamo aiutare e supportare tali organizzazioni. Questo conflitto è iniziato in Israele ma è la guerra di tutte le comunità ebraiche del globo e di tutto il mondo contro persone che compiono azioni di questo genere. Uccidere bambini, una donna incinta, è inaccettabile come essere umani. Secondo me l’unico modo per finire la guerra in una buona maniera è mettere da parte le agende politiche e restare insieme. Quando siamo insieme, nessuno può entrare dentro; quando siamo divisi, c’è una fessura nella quale insidiarsi. “Basta terrore” dovrebbe essere il messaggio che unisce l’Europa. Guardiamo cosa succede in Francia, nel Regno Unito… i governi non sanno cosa fare. Non importa se si è a destra, sinistra, o al centro, la questione è facile: si tollerano azioni di questo tipo? Sì o no? Se si risponde affermativamente, allora non si merita di essere qui. È molto semplice”.
(Bet Magazine Mosaico, 20 settembre 2024)
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Onustan e Nasrallah
Le Nazioni Unite sembrano diventate la Farnesina di Hamas e Hezbollah
di Giulio Meotti
ROMA - A volte sembra che il segretario generale dell’Onu per i suoi comunicati tragga spunto da “1984” di George Orwell. Come quando disse che il 7 ottobre non era avvenuto “dal nulla”. Insomma, Israele se l’è un po’ cercata. A proposito delle esplosioni ai danni di Hezbollah a Beirut, Antonio Guterres ieri ha chiesto di “non trasformare gli oggetti civili in armi”. Non sta bene far detonare cercapersone e walkie talkie in tasca ai terroristi sciiti libanesi. Va da sé che il segretario generale non si è chiesto perché anche l’ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani, aveva un cercapersone di Hezbollah. All’Onu non sta bene porsi certe domande.
E così molti occidentali sono troppo impegnati a criticare il malvagio Israele per chiedersi perché un alto funzionario iraniano si trovasse così vicino a un cercapersone di Hezbollah. Sappiamo tutti perché. Né Guterres ha mai chiesto a Hamas di non “trasformare gli oggetti civili in armi”, come invece ha fatto ogni giorno dal 7 ottobre e con ogni risorsa civile di Gaza: scuole, case, uffici dell’Onu, moschee, impianti per acqua e luce, ospedali, ambulanze. Guterres non riesce proprio a dire “Hezbollah”, neanche quando a fine luglio tirarono un missile sul campo da calcio di Majdal Shams, nel Golan, uccidendo dodici bambini. Nel comunicato del segretario non c’è traccia di chi ha lanciato il missile. Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi, ieri ha ripostato su X un video di Edward Said, intellettuale palestinese della Columbia University, in cui il famoso orientalista spiegava che il terrorismo in medio oriente è stato introdotto dai “sionisti”. Caspita. Ma Orwell non è una prerogativa del Palazzo di vetro. Ieri il Lemkin Institute, che prende il nome da Raphael Lemkin, il giurista ebreo che coniò il termine “genocidio” in risposta alla Shoah, condanna “l’attacco israeliano al popolo libanese”. Popolo libanese? Forse voleva dire milizia armata illegale?
Intanto all’Onu si approvava una risoluzione (a cui si sono opposti soltanto Stati Uniti, poche isole dalle Fiji a Papua e alcuni stati europei dell’Est) che impone un embargo su Israele e gli ordina di lasciare tutte le terre prese nella guerra del 1967 entro dodici mesi. Il testo non si sforza neanche di citare Hamas, il 7 ottobre o gli ostaggi. Perché l’Italia si è astenuta? Una coalizione di avvocati che combattono l’antisemitismo, nota come International Legal Forum, commenta che la risoluzione ha segnato il posto dell’Onu come “braccio diplomatico di Hamas”.
Martedì, prima del voto, l’ambasciatrice statunitense all’Onu Linda Thomas-Greenfield ha detto al plenum che la risoluzione “si rifiuta di affrontare la realtà che Israele, uno stato membro delle Nazioni Unite, ha semplicemente il diritto di proteggere e difendere il suo popolo da atti di terrore e violenza. Nonostante il fatto che Hamas abbia appena sconvolto i negoziati del cessate il fuoco assassinando brutalmente sei ostaggi e nonostante il fatto che Hamas continui a usare i civili come scudi umani a Gaza, questa risoluzione non include alcuna misura per fare pressione su Hamas”.
Invece l’Onu di pressione su Israele ne mette molta. Dal 2015, l’Assemblea generale ha approvato 141 risoluzioni di condanna di Israele, che è più del doppio del numero di risoluzioni di condanna rivolte a tutti gli altri paesi messi insieme. E il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato 104 risoluzioni contro Israele, rispetto alle 99 contro altri paesi. E oggi si riunisce anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu, su richiesta dell’Algeria, per discutere delle esplosioni a Beirut. E Guterres ormai non fa più neanche finta di citare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Fu sottoscritta nel 2006 e prevedeva che nel raggio di trenta chilometri dal confine con Israele non fossero schierate milizie non regolari. Quindi, secondo la 1701, i terroristi di Hezbollah non dovrebbero essere dove si trovano, con o senza walkie talkie. E nonostante la risoluzione, nel 2008, i miliziani sciiti hanno creato una loro unità chiamata “Radwan”, con la missione di stare proprio al confine, pronta a infiltrarsi nel territorio israeliano. Ma così va. Quando Israele bombarda è colpevole di “genocidio”. Quando Israele compie strike chirurgici contro un’organizzazione designata come terroristica da Stati Uniti e Unione europea, è colpevole di “terrorismo di stato”. Quando Israele esiste, è colpevole di “colonialismo”. Il “partito di Dio” ha davvero tanti amici in occidente.
Il Foglio, 20 settembre 2024)
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L’offerta a Hamas: tutti gli ostaggi contro salvacondotto
Il rilascio di tutti gli ostaggi in una sola volta in cambio della fine dei combattimenti e di un passaggio sicuro fuori dalla Striscia di Gaza per il leader di Hamas Yahya Sinwar e i suoi uomini. Sono alcuni dei termini dell’ultima proposta di Israele per arrivare a un accordo con Hamas. Il piano, scrivono i media locali, è stato presentato all’amministrazione Usa la scorsa settimana da Gal Hirsch (nell’immagine), responsabile israeliano dell’accordo sugli ostaggi. Se il gruppo terroristico palestinese dovesse dimostrarsi interessato, spiega l’emittente Kan, allora la proposta verrebbe formalizzata dal governo di Gerusalemme. L’iniziativa di Hirsch prevede il rilascio di prigionieri palestinesi incarcerati in Israele, la smilitarizzazione della Striscia e un nuovo sistema di governance per l’enclave. «Un accordo in una sola fase che includa tutti i 101 ostaggi è l’aspirazione di tutti i cittadini d’Israele», ha commentato il Forum delle famiglie degli ostaggi, sostenendo la nuova trattativa israeliana.
Sul terreno intanto l’attenzione militare è sempre più rivolta al nord. In 48 ore Hezbollah ha perso diversi suoi uomini a causa dell’esplosione, attribuita all’intelligence israeliana, di cercapersone, radio e walkie-talkie. I terroristi libanesi hanno giurato vendetta e attaccato ancora una volta il nord d’Israele. Otto le persone rimaste ferite dai missili anticarro del movimento sostenuto dall’Iran. «Il centro di gravità si sta spostando a nord. Stiamo dirottando forze, risorse ed energie in questa direzione», ha ribadito il ministro della Difesa Yoav Gallant. L’obiettivo, ha aggiunto, «è chiaro e semplice: riportare i residenti delle città del nord alle loro case in modo sicuro». Da quasi un anno l’area è bersaglio di Hamas e decine di migliaia di persone sono state evacuate. Il prossimo passo potrebbe essere una operazione nel sud del Libano. «La regola è che ogni volta che agiamo, le due fasi successive sono pronte», ha avvertito il capo dell’esercito Herzl Halevi. In ogni nuova fase «il prezzo pagato da Hezbollah aumenterà», ha aggiunto.
Oltre ai fronti di guerra, Gerusalemme deve affrontare anche quello diplomatico. Una nuova risoluzione dell’Assemblea generale Onu punta il dito contro lo stato ebraico. Il provvedimento chiede di «porre fine senza indugio alla sua presenza illegale» nei «Territori palestinesi occupati» entro 12 mesi, ritirando tutti i soldati e i civili israeliani dall’area. Si chiede inoltre un embargo sulle armi inviate a Israele dai diversi paesi. «La risoluzione dell’Onu guidata dai palestinesi, che chiede mosse unilaterali contro Israele, non porrà fine al conflitto, ma che rafforzerà un’Autorità Palestinese già radicalizzata», ha commentato il ministero degli Esteri israeliano.
(moked, 19 settembre 2024)
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Israele colpisce ancora Hezbollah: la strategia dell’eliminazione mirata
di Ugo Volli
• UN COLPO STRAORDINARIO – E RADDOPPIATO
È difficile pensare a una storia di spionaggio e di azione meglio congegnata. Dopo il colpo ai cercapersone, il personale di Hezbollah è stato colpito di nuovo ieri da una serie di esplosioni alle radio personali (i cosiddetti walkie talkie) e ha subito altre centinaia di feriti di cui molti gravi e una decina di morti. Il responsabile dell’azione, naturalmente, è Israele, che però non l’ha rivendicata e non l’ha neppure negata, come accade regolarmente nel caso di azioni sensibili, per esempio per l’eliminazione del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Damasco il 4 agosto. Il risultato è una doppia crisi molto grave del nemico dello Stato ebraico più attivo in questo momento: da un lato la maggioranza dei quadri di Hezbollah sono feriti e messi nell’impossibilità di nuocere; dall’altro è disabilitato completamente il sistema di comunicazione che è ciò che tiene insieme e rende operativi gli eserciti moderni. Hanno un bel dire i nemici di Israele, come il senatore americano Sanders o la deputata Ocasio-Cortez, o la vicepremier belga Petra De Sutter che l’azione andrebbe punita perché non rientrerebbe nelle consuete tattiche della guerra. In realtà non vi è mai stata un’eliminazione più mirata. Solo i terroristi inquadrati da Hamas (e i loro più stretti alleati, come l’ambasciatore iraniano) avevano i mezzi di comunicazione che sono esplosi; e fra essi solo i più responsabili, quelli che svolgono un ruolo di comando. È un colpo di grandissima efficacia e selettività che rientra perfettamente nella dura guerra che Hezbollah conduce contro Israele senza provocazione dal 7 ottobre dell’anno scorso.
• PASSARE ALLA BASSA TECNOLOGIA
La storia di questa azione deve far riflettere. In generale i terroristi conoscono l’abilità digitale di Israele, in particolare per quanto riguarda il web, i computer e gli smartphone. Cercano dunque di usarli il meno possibile. A quanto si dice, il più ricercato di tutti, il capo di Hamas Sinwar, dall’inizio della guerra non usa nessun mezzo tecnologico e comunica solo con biglietti scritti, quel che nel gergo mafioso si chiamano pizzini. Anche Hezbollah ha deciso all’inizio della guerra di usare le tecnologie meno avanzate per gestire il coordinamento e la comunicazione interna, scegliendo come canale informativo e veicolo degli ordini non dei telefoni cellulari, ma i vecchi cercapersone, che si usavano negli anni Ottanta. Sono dispositivi che ricevono solo brevi messaggi di testo, non voce né dati né immagini, e che per lo più sono passivi, cioè non possono trasmettere ma solo ricevere; non sono nella rete, ma prendono i dati da onde radio su una frequenza personalizzata. Quindi sono difficilmente intercettabili, e sembravano molto sicuri per i terroristi.
• LA TRAPPOLA
Di conseguenza Hezbollah, all’inizio della guerra o forse anche prima, ne ha ordinati 5.000 (abbastanza per tutti i suoi quadri), molto resistenti ed efficaci, alla Gold Apollo, un’azienda di Taiwan. Peccato che questa avesse ceduto i business e il marchio a un’altra azienda, la BAC Consulting KFT, una compagnia che ha sede in Ungheria e che da un paio d’anni gestisce gli ordini per alcune aree geografiche, fra cui il Medio Oriente. Questa però è solo un “intermediario commerciale senza nessun impianto di fabbricazione in Ungheria”, dice il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs sui social, affermando quindi che non gli risulta che i cercapersone siano stati prodotti in Ungheria. Non si sa dunque chi abbia prodotto gli apparecchi: probabilmente forse una società creata dai servizi israeliani, che comunque hanno avuto fisicamente in mano le macchine per qualche tempo. Il che conferma che Israele ha il modo di conoscere anche le decisioni organizzative più riservate dei terroristi, come quelle che riguardano i sistemi di comunicazione.
• LE ESPLOSIONI
Qualcuno legato ai servizi israeliani, infatti, ha inserito all’interno dei dispositivi vicino alla batteria una piccola quantità (fra i 20 e i 50 grammi, il peso di un piccolo tuorlo d’uovo) di alto esplosivo. I “pager” sono stati consegnati cinque mesi fa e distribuiti immediatamente. Al momento buono, con una chiamata contenente un apposito comando software che ha raggiunto tutte le macchine, i cercapersone sono stati indotti a sovraccaricarsi, sfruttando al massimo e riscaldando così la batteria, che ha fatto esplodere l’esplosivo ed essa stessa si è incendiata producendo una pericolosissima fiammata. Chi stava leggendo il messaggio inserito nel dispositivo ha perso la vista e le mani, chi lo teneva in tasca ci ha rimesso le parti basse del ventre. Lo stesso è accaduto quando dopo l’esplosione dei cercapersone Hezbollah ha ordinato di passare a dispositivi ancora più primitivi, i walkie talkie che consentono solo una comunicazione bidirezionale vocale di qualche chilometro. Anch’essi erano stati consegnati alcuni mesi fa ed erano stati minati e al momento buono sono esplosi, provocando altri numerosi feriti e morti.
• CHE SUCCEDE ADESSO?
Hezbollah ha minacciato rappresaglie sanguinose, ma al momento è disorganizzato. Questo sarebbe il momento di attaccarlo, e infatti si dice che tutta l’operazione fosse stata concepita in vista dello scontro sul terreno con i terroristi libanesi, ma Israele si sarebbe accorto che intorno ai cercapersone incominciavano a girare dei sospetti nell’organizzazione di Hezbollah e dunque avrebbe deciso di procedere ora prima che l’esplosivo fosse trovato. Ma, a quanto pare, c’è un veto dell’amministrazione democratica, che non vuole la vittoria di Israele e neppure troppi combattimenti fino alle elezioni. E Israele, di fronte alle minacce americane di togliere l’appoggio militare e quello diplomatico all’Onu, è costretto a cedere. Deve quindi aspettare che sia Hezbollah, quando se la sentirà, a provocare lo scontro di terra. Per ora Israele ha dimostrato ancora una volta di avere risorse di intelligence e audacia operativa senza pari al mondo.
(Shalom, 19 settembre 2024)
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Israele: attacco di Hezbollah nell’Alta Galilea. Diversi feriti. Jet in azione
Durante la notte, i caccia israeliani hanno colpito gli edifici utilizzati da Hezbollah a Chihine, Taybeh, Blida, Mays al-Jabal Aitaroun e Kafr Kila, nel Libano meridionale. Anche un deposito di armi di Hezbollah è stato colpito da un drone a Khiam.
In mattinata almeno due missili anticarro sono stati lanciati da Hezbollah verso l’Alta Galilea, nei pressi di Menara, ferendo diverse persone.
Secondo quanto riferito, i feriti sono stati curati sul posto prima di essere trasportati in ospedale. L’IDF ha risposto al fuoco con tiri d’artiglieria e droni che hanno colpito la zona di Ramim Ridge.
Hezbollah ha promesso una “sanguinosa vendetta” attribuendo a Israele la colpa per le esplosioni dei cercapersone prima e delle radio ricetrasmittenti poi che negli ultimi due giorni hanno provocato la morte di decine di terroristi e il ferimento di almeno 4.000 miliziani di Hezbollah.
(Rights Reporter, 19 settembre 2024)
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“Dal Front Populaire al Nouveau Front Populiste”, il webinar di UAII
di Anna Balestrieri
L’Unione delle Associazioni Italia Israele presieduta da Celeste Vichi ha ospitato su zoom il 17 settembre “Dal Front Populaire al Nouveau Front Populiste”, un’analisi incisiva sulle due ultime elezioni in Francia e sull’evoluzione politica del paese. L’incontro, continuum ed aggiornamento del precedente webinar del 29 maggio, ha visto la partecipazione della professoressa Sophie Nezri, esperta di letteratura italiana e studi ebraici, e di Francesco Domenico Vitale, dottorando in storia contemporanea. La discussione ha offerto uno sguardo approfondito sugli sviluppi politici, sociali e culturali che stanno plasmando il panorama francese.
• LA FRANCIA E IL NUOVO ANTISEMITISMO La professoressa Sophie Nezri ha analizzato in modo approfondito la condizione della comunità ebraica in Francia, evidenziando una preoccupante crescita dell’antisemitismo nel paese. La fuga di oltre 4000 ebrei francesi verso Israele, nonostante la situazione di guerra nel paese dal 7 ottobre 2023, dimostra come il clima di ostilità locale sia diventato insostenibile. Aggressioni quotidiane, discriminazioni e minacce nelle università francesi sono ormai parte della realtà per molti giovani ebrei, e l’antisemitismo sembra alimentarsi da diversi fronti: da una parte l’estrema sinistra rappresentata dal partito La France Insoumise, dall’altra l’estrema destra del Rassemblement National, entrambe forze che cercano consensi elettorali su basi ideologiche contrapposte, ma con un pericoloso elemento in comune: la strumentalizzazione delle tensioni religiose e sociali. Il partito France Insoumise, con il suo leader Jean-Luc Mélenchon, trova una vasta base di sostegno non solo negli intellettuali di sinistra, ma anche tra i sei milioni di musulmani in Francia, una comunità in crescente tensione con la popolazione ebraica. Questo schieramento politico ha contribuito ad un clima di intolleranza che sta spingendo sempre più ebrei a cercare rifugio all’estero. A ciò si contrappone il Rassemblement National, unico partito che ha difeso pubblicamente Israele dopo i fatti del 7 ottobre, pur rimanendo ancorato a un elettorato legato al ceto popolare che spesso manifesta sentimenti nazionalisti e xenofobi.
• LA QUESTIONE DELL’IDENTITÀ E IL “PROBLEMA DI CIVILTÀ” La Francia vive un momento di crisi identitaria profonda, descritto dalla professoressa Nezri come un “problema di civiltà”. Alcuni quartieri, ad esempio nella città multietnica di Marsiglia, vedono una crescente islamizzazione, con negozi in cui le donne non possono entrare senza velo. La stessa Nezri ha denunciato la situazione precaria in cui si trova come donna ebrea, costretta a confrontarsi con una crescente ostilità. La polarizzazione politica si riflette anche nelle elezioni, dove il declino dei partiti tradizionali ha permesso l’ascesa di formazioni populiste di destra e sinistra.
• IL FUTURO POLITICO DELLA FRANCIA Durante la conferenza, Vitale ha sollevato interrogativi cruciali sulle prospettive politiche del paese, chiedendosi quale sarà il destino della Francia nel prossimo futuro. Con la recente nomina di Michel Barnier, il più anziano primo ministro del paese, ci si chiede se il governo riuscirà a formare una maggioranza solida. La risposta, secondo Nezri, è incerta, soprattutto in un contesto in cui gli arabi, descritti come i “nuovi dannati della terra”, stanno diventando la nuova classe proletaria. La Fête de l’Humanité, paragonata da Nezri alla festa dell’Unità in Italia, è un esempio della crescente propaganda anti-israeliana che sta prendendo piede in Francia. La conferenza ha offerto una visione complessa e inquietante del futuro della Francia, definita come un laboratorio del nostro futuro europeo. La crescente tensione tra la comunità ebraica e quella musulmana, l’emergere di movimenti populisti e il declino dei partiti tradizionali sono solo alcuni dei segnali di una crisi politica e sociale che richiede un’attenta riflessione.
(Bet Magazine Mosaico, 19 settembre 2024)
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“Non ho mai visto una macchina diffamatoria così ben oliata"
La moglie di Gideon Saar denuncia la violenza scatenata dalle voci sulla nomina del marito. “Ho persino pensato di venire in studio per assumermi la responsabilità del 7 ottobre, della cattiva gestione della guerra, della mancata restituzione degli ostaggi - perché questa settimana sono stata accusata di tutto questo”.
Mentre si rincorrono le voci sulla nomina di Gideon Saar a Ministro della Difesa, sua moglie, Geula Even-Saar, ha parlato giovedì a Radio 103FM della settimana che ha appena vissuto: “Non ho mai visto nulla di simile. Una macchina della calunnia ben oliata, un sacco di soldi investiti, un tentativo grossolano di estorcere e minacciare un funzionario eletto e la sua famiglia”.
In un'intervista con Nissim Mishal, ha dichiarato ironicamente: “Ho persino pensato di venire in studio per assumermi la responsabilità del 7 ottobre, del fallimento, del massacro, della cattiva gestione della guerra, del mancato ritorno degli ostaggi - perché sono stata accusata di tutto questo questa settimana”.
“Personalmente ricevo migliaia di sms e telefonate minatorie, rivolte anche ai miei figli e alle figlie maggiori di Gideon, migliaia ogni giorno. Messaggi come 'Il sangue degli ostaggi è sulle tue mani, moglie di un assassino, dovresti vergognarti, certi atti sono imperdonabili, sei una traditrice, se Gideon sarà nominato ministro della Difesa sarai punita per sempre' - questi sono solo esempi”.
Ha continuato: “Sono abituata alle campagne diffamatorie, ma non ho mai visto nulla di simile. Si tratta di una macchina ben rodata, con molti soldi investiti, e soprattutto di un palese tentativo di fare pressione su un funzionario eletto e sulla sua famiglia. Non è solo di cattivo gusto. Sono una persona coraggiosa. Le persone stanno vivendo tragedie reali. Non sono una vittima e non c'è bisogno di dispiacersi per me. Ma queste non sono persone che scrivono con il cuore, è un sistema orchestrato”.
“Non sono il portavoce di Gideon Saar, ma è forse l'unico uomo, oltre a Netanyahu, che ha esperienza in un gabinetto di governo quando si tratta di decisioni sulla sicurezza. Cosa hanno fatto le persone esperte a ottobre? Come sono state abbandonate le persone della periferia? Non ditemi che se Gideon fosse stato il capo di gabinetto sarebbe stato diverso. C'erano persone esperte nello staff, eppure siamo sopravvissuti a ottobre. Continuerò a ricevere messaggi, ma questo è il mio messaggio: non importa quanta pressione facciate su di me, non mi costringerà a fare pressione su di lui. Non riuscirete a ricattare un politico attraverso di me”.
(i24, 19 settembre 2024)
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Bernard-Henri Lévy: “Se Israele perde è peggio dell’Olocausto. L’accordo di pace ci sarà, ma senza Hamas”
Le esplosioni che a macchia d’olio si allargano da Beirut, proiettando sulla regione l’ombra di una pericolosa escalation, non sorprendono Bernard-Henri Lévy, il cui ultimo libro, “Solitudine di Israele” (La nave di Teseo), racconta il piano inclinatosi vertiginosamente dopo il 7 ottobre e l’inevitabilità per lo Stato ebraico di affrontare a «una guerra esistenziale». Il celebre filosofo francese è in partenza da New York diretto in Italia dove, da Pordenone a Milano, ripeterà la sua convinzione, il suo incubo: «Israele deve vincere o sarà peggio dell’Olocausto».
- Il Libano è ammutolito, Hezbollah minaccia vendetta, Tsahal sposta le truppe al nord. Può Israele permettersi un’altra guerra e quanto conta invece la volontà del premier Benjamin Netanyahu di sopravvivere politicamente? «È in corso una guerra dichiarata da altri contro Israele, un Paese sotto attacco su più fronti. C’è Hezbollah, ci sono le milizie in Siria e gli houthi nel mar Rosso, c’è l’Iran e c’è Hamas. Combattere questa guerra è nell’interesse di Israele».
- Non ci sono grandi dubbi sulla paternità della sbalorditiva operazione libanese. Come spiega invece il fallimento d’intelligence del 7 ottobre? Israele aveva con arroganza rimosso i palestinesi al punto di trascurare i segnali? «Non è questione di arroganza ma di cosa sia possibile prendere in considerazione e cosa no. Il pogrom del 7 ottobre è un evento impensabile, imprevedibile, imparabile. Pur disponendo di alcune informazioni nessuno in Israele avrebbe potuto credere a uno scenario del genere, neppure avendocelo sotto gli occhi, è troppo nuovo, selvaggio, troppo inutile se non per il gusto della crudeltà. È così irrazionale e disumano che si fa fatica anche a capire».
- Conosce Bibi Netanyahu? «Ho incontrato tutti i primi ministri israeliani, da Golda Meir in poi. Con alcuni, come Rabin e Peres, siamo stati amici, per altri, come Begin, ho provato rispetto pur trovandomi in disaccordo. Ho criticato Netanyahu, che conosco bene, per tutta la mia vita politica: l’ho fatto in modo molto duro durante le proteste contro la sua riforma della giustizia e lo farò di sicuro quando questa guerra sarà finita. Ma oggi no, non mentre Israele è in guerra».
- «Se ti dimentico, responsabilità ebraica che ha fatto dire a un grande primo ministro ebreo: ancora più imperdonabile dell’omicidio dei figli d’Israele è costringere Israele a uccidere i figli dei suoi assassini...» scrive alla fine del suo libro paventando la perdita dell’anima ma chiosando che non siamo a quel punto. Siamo però a oltre 40 mila morti a Gaza e la Knesset è ostaggio degli estremisti. Vede ancora margini per recuperare lo spirito originario d’Israele? «Non c’è nulla da recuperare perché quello spirito è lì, vibrante. Basta andare tra le famiglie degli ostaggi per sentirlo fisicamente, in mezzo a loro l’ho respirato come nel giugno del 1967. In Israele ci sono due correnti politiche contrastanti: la prima spinge per la normalizzazione e per fare del Paese una nazione come qualsiasi altra dimenticando i valori del giudaismo, l’altra tiene vivi i principi dei pionieri. C’è tensione, ma per ora non sono pessimista sull’anima d’Israele, lo sono invece sulla guerra esistenziale che il Paese sta affrontando e che deve vincere: se perdesse sarebbe la più grossa tragedia dall’Olocausto».
- Hamas non sembra un partner con cui Israele possa negoziare alcunché, sebbene neppure l’Olp di Arafat lo fosse prima di Olso. Ma, sul fronte opposto, come potrebbe Israele dialogare senza sacrificare le colonie che, cresciute senza sosta, sono oggi dilaganti? «Non c’è parallelismo tra Hamas e i coloni. Con Hamas non esiste accordo di sorta che non sia quello circoscritto alla liberazione degli ostaggi. E Hamas non li libererà perché sono la sua assicurazione, la più potente arma di terrore. Chi spera nel negoziato s’illude. E per quanto riguarda i coloni, li avverso. Ma credo che quando l’Autorità nazionale palestinese si sveglierà e riconoscerà come la “resistenza” di Hamas abbia avvelenato la sua gente avremo una soluzione politica in Cisgiordania, nell’ambito della quale i coloni decideranno se andarsene o restare da minoranza in uno Stato arabo».
- La prospettiva due popoli per due Stati è naufragata, restano al massimo sul tavolo gli accordi di Abramo, congelati il 7 ottobre. Ma con quale partner palestinese se l’Anp, anche con la complicità d’Israele, è così screditata? «Mi rifiuto di parlare di una soluzione politica fin quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e Hamas non sarà stato sconfitto militarmente in modo tale che il suo mondo riconosca il disastro di quella strategia. Succederà. Anche l’Unione europea era impensabile nel 1945. La condizione però è zero compromessi con Hamas, un gruppo che equivale ad al Qaeda e va schiacciato. Gli accordi di Abramo non sono stati accantonati, restano sullo sfondo, i Paesi arabi si stanno muovendo con accortezza, consapevoli che Hamas è il peggio anche per loro».
- “La solitudine d’Israele”, nato per essere il rifugio degli ebrei del mondo, è la solitudine degli ebrei nel mondo? «Di sicuro, gli ebrei sono sotto attacco negli Stati Uniti, nei campus, nelle strade. Criticare Israele è legittimo ma condannare la natura ebraica d’Israele o gli ebrei in generale è diverso. Ho ascoltato proporre l’espulsione d’Israele dalle Nazioni Unite, un’enormità senza precedenti, una misura mai evocata per l’Iran o per altre feroci dittature. Questa non è critica politica è antisemitismo».
- C’è stato un tempo in cui Israele dialogava col socialismo mentre oggi ha spesso accanto amici di destra. È cambiata la sinistra o Israele? «La sinistra è cambiata molto più d’Israele».
Israele, scrive, è diviso tra i liberali che gli somigliano e gli illiberali che lo difendono. Un buon esempio è la nuova Europa emersa dal voto di giugno, spostata a destra e con forze conservatrici che avanzano dall’Italia, alla Francia, alla Germania. Cosa si aspetta da questa Europa? «Mi aspetto il ritorno dei liberali in Europa, l’illiberalismo non è un’opzione. E rispetto ai nuovi amici illiberali d’Israele, credo che il Paese sia in uno stato di debolezza tale da non poter rifiutare nessun aiuto. Al tempo stesso però gli suggerisco di tenere gli occhi aperti perché l’alleanza con le forze illiberali è fragile, non si basa su valori condivisi né sulla reciproca conoscenza ma sull’opportunità del momento».
- È un’Europa attrezzata a fronteggiare le sfide poste dalle nuove potenze come la Russia, la Cina e l’Iran ma anche dalla prospettiva di un’America sempre più lontana? «No, è troppo divisa per affrontare le due minacce più serie: l’America, che gradualmente ci volterà le spalle indipendentemente da chi vinca le elezioni, e l’offensiva dei nuovi attori che io definisco i 5 re e che rappresentano per l’Europa una sfida esistenziale, a cominciare dalla guerra in Ucraina».
- Cosa succede se Donald Trump diventa presidente? «È imprevedibile, lo sappiamo debole con dittatori. Non c’è nulla di buono da aspettarsi».
- Come risponde ai tanti Paesi del sud che nel caso di Russia, Israele e delle violazioni del diritto internazionale parlano di due pesi e due misure ? «Israele non viola il diritto internazionale, la Russia lo fa. Israele si difende e difende la democrazia contro il peggior fascismo del nostro tempo».
- Le critiche più dure in questo senso vengono da Israele, i soldati refusenik, l’ex capo dello Shin Bet Ami Ayalon… «C’è un dibattito interno che dimostra la vitalità della democrazia israeliana, non per questo devo essere d’accordo».
(La Stampa, 19 settembre 2024)
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Centinaia di cercapersone esplodono in tutto il Libano: Hezbollah accusa Israele
di Anna Balestrieri
Hezbollah ha accusato Israele di aver orchestrato un attacco coordinato, in cui centinaia di cercapersone sono esplosi simultaneamente in tutto il Libano e in alcune parti della Siria. L’esercito israeliano ha rifiutato di commentare.
• L'ATTACCO SIMULTANEO
Centinaia di cercapersone sono esplosi contemporaneamente in tutto il Libano e in alcune parti della Siria, in quello che sembra essere un attacco coordinato che ha preso di mira i membri di Hezbollah, secondo le dichiarazioni di funzionari libanesi e di Hezbollah.
L’attacco è avvenuto il giorno dopo che i leader israeliani avevano avvertito di un possibile intensificarsi della loro campagna militare contro Hezbollah, in risposta ai continui attacchi contro il nord di Israele del gruppo filo-iraniano, solidale con i terroristi di Hamas nella guerra contro Israele a Gaza. Tre funzionari informati sull’attacco hanno dichiarato che l’operazione ha preso di mira centinaia di cercapersone utilizzati dai membri di Hezbollah, dispositivi che si erano diffusi ulteriormente dopo gli attacchi del 7 ottobre, quando il leader di Hezbollah aveva avvertito che la rete cellulare era stata tracciata dai servizi segreti israeliani e la segretezza dei loro spostamenti irrimediabilmente compromessa.
Hezbollah ha accusato Israele e ha promesso di vendicarsi per quella che ha definito “aggressione flagrante”. L’esercito israeliano non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali.
• TENTATIVO DI ASSASSINIO FALLITO
Martedì pomeriggio, il 17 settembre, prima delle esplosioni dei cercapersone, l’esercito israeliano ha accusato Hezbollah di aver tentato di assassinare un ex membro di alto livello dei servizi di sicurezza israeliani con un ordigno esplosivo. Questo tentativo di attacco era stato attribuito agli stessi operativi di un altro attentato fallito a Tel Aviv l’anno scorso.
• AMBASCIATORE IRANIANO FERITO
Tra le vittime delle esplosioni ci sono anche il figlio di un parlamentare di Hezbollah, Ali Ammar, e l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amini, che ha riportato ferite alla mano e al volto quando il cercapersone che portava è esploso.
L’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amini, è rimasto ferito nell’apparente attacco, secondo i media statali iraniani. Le sue ferite non sono gravi e si prevede che si riprenderà. Le recenti esplosioni coordinate di cercapersone in tutto il Libano, che Hezbollah attribuisce a Israele, segnano una significativa escalation nel conflitto in corso tra le due entità. Questo evento ha aggiunto un nuovo livello di complessità a una regione già instabile. Con i cercapersone che detonano simultaneamente, ferendo quasi 3.000 persone e uccidendone almeno nove, tra cui civili e membri di Hezbollah, le implicazioni di questo attacco sono multiformi e toccano la strategia militare, le vulnerabilità tecnologiche e le dinamiche geopolitiche.
• CONFUSIONE E SHOCK A BEIRUT
La serie di esplosioni ha lasciato Beirut in uno stato di confusione. Testimoni hanno riferito di fumo proveniente dalle tasche delle persone, seguito da piccole esplosioni. Filmati amatoriali mostrano scene caotiche negli ospedali con pazienti feriti che cercano soccorso.
Il ministro della sanità libanese, Firass Abiad, ha dichiarato che almeno otto persone sono rimaste uccise e più di 2.700 ferite, con circa 200 in condizioni critiche. Una delle vittime era una bambina di 8 anni.
Un medico che ha visitato gli ospedali di Sidone ha dichiarato che molti dei feriti hanno subito gravi lesioni agli occhi e che c’è una carenza di chirurghi oculisti. I medici hanno raccolto donazioni di sangue a Sidone e nella periferia meridionale di Beirut, mentre le ambulanze continuavano a trasportare feriti agli ospedali.
Le scuole in tutto il Libano rimarranno chiuse mercoledì, secondo quanto riferito dai media statali libanesi.
Almeno 14 persone sono rimaste ferite dalle esplosioni di cercapersone in Siria, secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani.
• CONFLITTO IN ESCALATION
Le esplosioni sembrano essere l’ultima mossa in un conflitto che dura da 11 mesi tra Israele e Hezbollah, iniziato dopo che il gruppo, sostenuto dall’Iran, ha iniziato a sparare missili nel territorio israeliano in solidarietà con Hamas.
• NATURA DELL'ATTACCO E SIGNIFICATO MILITARE
Il targeting dei cercapersone utilizzati dai membri di Hezbollah sottolinea un cambiamento critico nel modo in cui la tecnologia gioca un ruolo nella guerra moderna. I cercapersone erano diventati uno strumento sempre più importante per Hezbollah dopo aver percepito che l’intelligence israeliana si era infiltrata nelle reti di telefonia mobile del Libano. Affidandosi a questi dispositivi low-tech, Hezbollah sperava di salvaguardare le comunicazioni, evitando intercettazioni che avrebbero potuto portare ad attacchi mirati. L’attacco sofisticato a questi stessi dispositivi illustra la capacità di Israele di penetrare anche sistemi di comunicazione presumibilmente sicuri, probabilmente attraverso la rete di intelligence del Mossad, secondo alcuni esperti militari.
Il presunto coinvolgimento di Israele, sebbene non confermato dall’esercito, rientra in un modello più ampio di attacchi mirati e operazioni di intelligence, tesi a minare l’infrastruttura militare di Hezbollah. Disattivando il sistema di comunicazione del gruppo, questo attacco potrebbe essere stato progettato per seminare confusione e interrompere le capacità operative di Hezbollah, ostacolandone il coordinamento. Tuttavia, l’atto ha conseguenze molto più profonde che vanno oltre gli obiettivi militari immediati.
• IMPATTO STRATEGICO E IMPLICAZIONI REGIONALI
Le esplosioni giungono in un momento di forti tensioni, con Israele e Hezbollah già impegnati in periodici scontri da ottobre. L’allineamento di Hezbollah con Hamas durante la sua guerra con Israele complica ulteriormente la situazione, trasformando quelli che un tempo potevano essere conflitti localizzati in tensioni regionali più ampie. L’attacco, che ha ferito membri di Hezbollah e civili, tra cui l’ambasciatore iraniano in Libano, segnala un potenziale ampliamento del campo di battaglia, con il rischio crescente di un coinvolgimento diretto dell’Iran.
La decisione di Israele di evitare di commentare l’incidente potrebbe riflettere il desiderio di mantenere l’ambiguità strategica, un segno distintivo del suo approccio alle operazioni basate sull’intelligence. Tuttavia, la promessa di rappresaglia di Hezbollah rende chiaro che questo attacco non passerà senza una risposta. La retorica di Hezbollah di infliggere una “giusta punizione” a Israele aumenta la probabilità di un’escalation che potrebbe estendersi oltre i confini del Libano, coinvolgendo fazioni siriane e potenzialmente persino l’Iran.
• CAOS UMANITARIO E RIPERCUSSIONI INTERNE
Il tributo alla popolazione civile libanese, già sconvolta da anni di instabilità politica, difficoltà economiche e guerra, non può essere sottovalutato. Con gli ospedali sopraffatti dall’afflusso di pazienti, la crisi umanitaria si sta aggravando. Il governo libanese ha etichettato l’attacco come una violazione della sovranità, ma la sua capacità di rispondere in modo significativo è limitata dalle sue crisi interne.
Per Hezbollah, l’attacco è una grave violazione del suo apparato di sicurezza e potrebbe minare la sua reputazione a livello nazionale, anche tra i suoi sostenitori. La forza di Hezbollah si è sempre basata in parte sulla sua immagine di forza resiliente “contro l’aggressione israeliana”. Questo attacco dimostra che il gruppo non è immune alle operazioni di intelligence israeliane, sollevando interrogativi sulla sua strategia futura e su come può mantenere la sua influenza nella regione.
Da un punto di vista geopolitico, questo incidente aumenta la pressione sugli attori internazionali come gli Stati Uniti e l’ONU, entrambi impegnati a contenere il conflitto e a impedirgli di trasformarsi in una guerra più ampia. La presenza dell’ambasciatore iraniano tra i feriti introduce un ulteriore livello di complessità, poiché Teheran potrebbe considerare questo come un affronto diretto ai suoi interessi in Libano, aumentando così il potenziale coinvolgimento iraniano in future escalation.
Le esplosioni, unite alla promessa di Hezbollah di vendicarsi, probabilmente avranno effetti di vasta portata sulla diplomazia nella regione, bloccando potenzialmente gli sforzi di cessate il fuoco tra Hamas e Israele. Il rischio di una guerra su vasta scala che coinvolga Hezbollah e, per estensione, l’Iran, potrebbe avere conseguenze devastanti non solo per il Libano e Israele, ma per l’intero Medio Oriente. L’attacco ai cercapersone di Hezbollah rappresenta più di una violazione tecnica; è un’escalation drammatica che potrebbe cambiare la traiettoria del conflitto in Libano e oltre.
Mentre il guadagno militare immediato per Israele potrebbe essere chiaro (l’interruzione delle comunicazioni di Hezbollah), le conseguenze a lungo termine, sia per le operazioni di Hezbollah sia la fragile stabilità della regione, restano impossibili da prevedere.
(Bet Magazine Mosaico, 18 settembre 2024)
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Esplosione dei cercapersone in Libano: ecco i dettagli dell’operazione del Mossad
di Luca Spizzichino
Oltre cinquemila cercapersone appartenenti ai membri di Hezbollah sono esplosi simultaneamente in diverse aree del Libano, causando almeno dieci morti e circa 2.750 feriti, tra cui l’ambasciatore iraniano a Beirut, che ha riportato gravi ferite e ha perso un occhio. L’operazione, attribuita al Mossad, rappresenta uno dei più grandi atti di sabotaggio degli ultimi anni, infliggendo un colpo significativo all’organizzazione sciita libanese e ai suoi alleati iraniani. Le linee di comando di Hezbollah sono state decimate, mettendo in luce le avanzate capacità operative di Israele anche nelle roccaforti del gruppo.
• IL PIANO DEL MOSSAD Secondo diverse fonti, tra cui Times of Israel e Ynet, l’attacco è stato reso possibile attraverso l’infiltrazione della catena di approvvigionamento dei cercapersone ordinati da Hezbollah. Questi dispositivi erano stati acquistati da Gold Apollo, un’azienda taiwanese, ma durante il processo di produzione sarebbero stati alterati dall’agenzia di intelligence israeliana. L’analisi effettuata da diversi esperti di cybersicurezza evidenzia la complessità dell’operazione: il Mossad non solo ha impiantato gli esplosivi nei cercapersone senza essere scoperto, ma ha anche garantito che la detonazione potesse essere comandata a distanza e simultaneamente su migliaia di dispositivi.
Arutz 7 ha riportato che i dispositivi erano stati prodotti in una fabbrica europea, autorizzata a utilizzare il marchio Gold Apollo, e che il Mossad avrebbe infiltrato la catena di produzione per sabotare i dispositivi sin dall’inizio. Hsu Ching Kuang, fondatore di Gold Apollo, ha espresso profondo imbarazzo per la situazione: “Il prodotto non era nostro. È stato prodotto da una compagnia europea. È molto imbarazzante,” ha dichiarato, sottolineando che la sua azienda non aveva avuto alcun coinvolgimento diretto nella produzione dei cercapersone manomessi. La posizione della fabbrica europea resta ignota, ma questa strategia ha permesso agli agenti israeliani di alterare i dispositivi prima che fossero consegnati in Libano.
La maggior parte dei dispositivi coinvolti erano del modello AP924, sebbene altre tre varianti prodotte dalla stessa azienda siano state coinvolte. Diversi analisti di sicurezza sono rimasti sorpresi dalla sofisticatezza dell’operazione, in particolare per la capacità del Mossad di inserire una piccola quantità di esplosivo – meno di 20 grammi per ogni cercapersone – direttamente nella batteria dei dispositivi. Questa soluzione ha reso praticamente impossibile l’individuazione dell’esplosivo da parte di Hezbollah.
L’innesco è avvenuto a distanza attraverso un impulso elettronico. Yehoshua Kalisky, ricercatore dell’Institute for National Security Studies in Israele, ha suggerito che l’attivazione sia stata orchestrata tramite un impulso elettromagnetico inviato al momento giusto, causando l’esplosione dei dispositivi in modo simultaneo. Secondo il rapporto di Al Monitor, il Mossad avrebbe anticipato la detonazione quando due membri di Hezbollah avevano iniziato a sospettare un’anomalia nei dispositivi, costringendo l’agenzia ad agire rapidamente.
• LE FALLE NELLA SICUREZZA DI HEZBOLLAH Hezbollah, che aveva scelto di utilizzare i cercapersone come sistema di comunicazione più sicuro rispetto agli smartphone, si trova ora a dover fare i conti con una grave falla nella propria sicurezza interna. Un funzionario dell’organizzazione ha definito l’attacco “la più grande violazione di sicurezza” subita da Hezbollah dalla guerra con Israele iniziata il 7 ottobre. La portata della violazione ha colto di sorpresa anche i leader dell’organizzazione, che ora stanno conducendo indagini interne su come il Mossad sia riuscito a infiltrarsi nella loro catena di approvvigionamento senza essere scoperto.
• UNA NUOVA FASE NEL CONFLITTO? L’attacco arriva in un momento di alta tensione nella regione e potrebbe avere importanti implicazioni per il conflitto in corso. Al momento, Israele non ha né confermato né smentito la propria responsabilità per l’attacco. Tuttavia, Hezbollah ha immediatamente accusato Israele e ha promesso vendetta, considerando l’operazione una grave violazione della propria sicurezza.
Jonathan Panikoff, ex vice ufficiale dell’intelligence nazionale statunitense per il Medio Oriente, ha commentato: “Questo rappresenta il più grande fallimento di controspionaggio che Hezbollah abbia subito in decenni”. La situazione resta estremamente incerta e non è escluso che questo evento possa innescare una nuova fase di scontro tra Israele e Hezbollah, alimentando ulteriormente le tensioni nella regione.
(Shalom, 18 settembre 2024)
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Con astuzia e grazia di Dio
Se Israele vuole sconfiggere i suoi nemici in questo round di guerra, dobbiamo procedere con astuzia. Fare la guerra con astuzia. Questo è esattamente ciò che abbiamo visto in diretta in Libano ieri pomeriggio.
di Aviel Schneider
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Un'ambulanza arriva all'American University of Beirut Medical Center (AUBMC) di Beirut, in Libano, il 17 settembre 2024, dopo l'esplosione di migliaia di cercapersone appartenenti a membri di Hezbollah.
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GERUSALEMME - Più di 5000 cercapersone sono esplosi simultaneamente nelle tasche dei terroristi di Hezbollah ieri pomeriggio. I membri della milizia terroristica sciita portano sul corpo questo tipo di dispositivo di chiamata per ricevere messaggi ed essere pronti all'azione in qualsiasi momento. Come disse il saggio re Salomone nei Proverbi 24: “Con l'astuzia si fanno le guerre, e la liberazione è dove ci sono molti consiglieri”. Per inciso, questo è il motto del servizio segreto israeliano Mossad: “fare guerre di nascosto”. Questo spiega anche il nostro messaggio Telegram di ieri, quando il capo del servizio segreto israeliano Mossad, David Barnea, ha dovuto improvvisamente lasciare un lungo incontro con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ieri all'ora di pranzo . Tre ore dopo, i cercapersone dei terroristi di Hezbollah in Libano sono esplosi. Questo è l'unico modo - con l'astuzia e la grazia di Dio - in cui Israele può sconfiggere i suoi nemici. Anche se nessuno nel Paese ha ancora ammesso ufficialmente che c'è lo zampino di Israele, siamo tutti orgogliosi di questa esplosione tascabile. L'operazione avrà conseguenze? Questa operazione ricorda le guerre bibliche con l'astuzia e dà speranza. Questo è sempre positivo.
Il sito web arabo-americano Al-Monitor ha riferito poche ore fa che Israele non aveva pianificato di far esplodere le migliaia di dispositivi di chiamata presenti ieri in Libano. Tuttavia, l'operazione è stata effettuata perché Hezbollah si era insospettito. Secondo il rapporto, due attivisti di Hezbollah si sono insospettiti per i dispositivi, il che ha costretto Israele a far esplodere il dispositivo ieri. La decisione di far esplodere l'ordigno è stata presa all'ultimo minuto, secondo il rapporto. Ora si discute se sia stato saggio effettuare comunque l'operazione, anche se potrebbe scatenare una guerra globale. Ieri il quotidiano kuwaitiano Al-Anbaa, citando una fonte diplomatica occidentale a Beirut, ha rivelato il messaggio completo dell'inviato statunitense Amos Hochstein a Israele poco prima del cosiddetto “attacco con il cercapersone”. Nel suo messaggio, Hochstein ha trasmesso tre punti chiave per evitare che Israele scateni una guerra totale contro Hezbollah. Washington teme che Israele entri in guerra, il che potrebbe portare a una guerra mondiale. In Libano ci sono 4.000 vittime, tra cui 400 terroristi gravemente feriti. Altri 500 terroristi sarebbero ora ciechi: “Circa 500 combattenti di Hezbollah hanno perso la vista a causa dell'esplosione di cercapersone”, ha riferito l'emittente televisiva saudita Al-Hadath. Il famoso giornalista siro-ruzo Fitzal Al-Qassem, che ha milioni di follower sui social media e un programma su Al-Jazeera, descrive così il colpo:
"Quello che è successo a Hezbollah può essere descritto come il più grande attacco preventivo della storia moderna. È paragonabile all'attacco preventivo di Israele contro la forza aerea egiziana prima della Guerra dei Sei Giorni. Oggi Hezbollah ha migliaia di paraplegici nelle sue forze d'élite. E se Hezbollah entra in guerra ora, i suoi feriti non troveranno un letto d'ospedale libero perché gli ospedali sono attualmente sovraffollati di feriti. Peggio ancora, Hezbollah ha perso i suoi mezzi di comunicazione sicuri. Scacco matto”.
Fonti libanesi e di altri Paesi arabi chiariscono che la milizia terroristica in Libano è sotto shock. Più di 5000 dispositivi di chiamata sono esplosi in Libano. Hezbollah incolpa Israele per l'attacco informatico e minaccia una rappresaglia. Israele si sta preparando a una risposta di Hezbollah all'attacco informatico, che viene attribuito a Israele. L'aviazione, il Comando settentrionale, i servizi segreti e l'intero esercito sono in stato di massima allerta. Al-Jazeera cita una fonte della sicurezza libanese: “I cercapersone sono stati portati in Libano cinque mesi fa. Erano stati preparati per questo attacco fin dall'inizio. Ogni dispositivo conteneva esplosivo del peso massimo di 20 grammi”. Improvvisamente, come un fulmine o come in una storia di guerra biblica, 500 arcinemici di Israele sono diventati ciechi. Sospetto che ciò sia avvenuto a causa del messaggio che ogni singolo terrorista aveva ricevuto prima dell'esplosione del cercapersone. I terroristi hanno guardato il messaggio e poi il dispositivo è esploso davanti ai loro occhi. La batteria agli ioni di litio è stata probabilmente riscaldata dal messaggio, che ha portato all'esplosione. I feriti sono stati distribuiti e curati in circa 100 ospedali in tutto il Paese, compresi quelli cristiani (maroniti), che sono avversari di Hezbollah. 400 terroristi sono rimasti gravemente feriti. È da notare che questo attacco informatico non unisce i vari gruppi etnici (sciiti, sunniti, maroniti, altri cristiani, drusi e altri) in Libano contro Israele. È vero il contrario, dicono. Le ambulanze cristiane (Croce Rossa) portano i membri di Hezbollah e i terroristi feriti negli ospedali. Il video mostra una chiesa, cioè i membri della milizia terroristica sciita vengono curati nei quartieri cristiani del Libano. Nella Bibbia, ci sono diverse guerre che i figli di Israele hanno vinto con l'astuzia. Ma anche altri hanno superato Israele, come i Gabaoniti. Gli esempi che seguono mostrano che l'astuzia e la tattica erano spesso elementi importanti nelle guerre degli israeliti nella Bibbia. La conquista di Ai. (Giosuè 8) Dopo che gli israeliti furono inizialmente sconfitti nel loro primo attacco ad Ai, Giosuè escogitò uno stratagemma per conquistare la città. Preparò un'imboscata nascondendo alcune delle sue truppe mentre attaccava direttamente la città con un altro gruppo. Quando gli uomini di Ai uscirono per inseguire gli israeliti, finsero di fuggire. Mentre le truppe di Ai inseguivano gli Israeliti, la forza nascosta entrò in città, la catturò e la mise a ferro e fuoco. I soldati di Ai furono presi dal panico e alla fine furono sconfitti dagli israeliti. La conquista di Gerico. (Giosuè 6) La conquista di Gerico da parte degli israeliti potrebbe anche essere vista come una vittoria per astuzia divinamente ispirata. Per ordine di Dio, essi marciarono intorno alla città per sette giorni, finché il settimo giorno le mura crollarono a causa degli squilli di tromba e delle forti grida del popolo. Questa tattica insolita portò alla conquista della città pesantemente fortificata. La vittoria di Gedeone sui Madianiti. (Giudici 7) Gedeone vinse la guerra contro i Madianiti con soli 300 uomini utilizzando una tattica astuta. I suoi uomini suonarono trombe, ruppero vasi di argilla e alzarono torce per confondere il nemico e fingere un esercito molto più numeroso. Ciò provocò il caos nell'accampamento madianita, che fu preso dal panico e si attaccò a vicenda. Il trucco dei Gabaoniti contro Giosuè e Israele. (Giosuè 9) Anche se non si tratta di una guerra diretta, l'inganno dei Gabaoniti appartiene alla stessa categoria. Quando i Gabaoniti vennero a sapere che Giosuè e gli Israeliti stavano entrando nella terra di Canaan, finsero di venire da una terra lontana. Indossarono abiti logori e si finsero viaggiatori pacifici per concludere un trattato di pace con gli israeliti. Giosuè e gli Israeliti caddero in questo stratagemma e risparmiarono i Gabaoniti.
CONCLUSIONE: I dispositivi di chiamata esplosi hanno neutralizzato la capacità delle milizie terroristiche sciite di condurre un'operazione su larga scala contro Israele, consentendo un'opportunità senza precedenti per un attacco israeliano pianificato e ad ampio raggio. La situazione in cui si trova attualmente Hezbollah è un'opportunità storica per Israele di sconfiggere la milizia terroristica in Libano. Tuttavia, è probabile che gli Stati Uniti impediscano a Israele di farlo.
(Israel Heute, 18 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Israele ha una lunga storia di attacchi non convenzionali
Bombe piazzate nei telefoni, virus informatici, mitragliatrici comandate a chilometri di distanza: l'attacco con i cercapersone di Hezbollah ha molti precedenti.
L’operazione in cui si ritiene che Israele abbia fatto esplodere migliaia di cercapersone appartenenti a membri del gruppo radicale libanese Hezbollah è senza precedenti per ambizione e per l’eccezionale numero di persone colpite. Al tempo stesso si inserisce in una lunga storia di operazioni a distanza con esplosivi nascosti, azioni tecnologicamente avanzate e uccisioni mirate con cui Israele ha da sempre colpito i propri nemici, e che hanno contribuito a rendere il Mossad, l’intelligence esterna israeliana, una delle agenzie di spionaggio più temute del mondo. Una delle operazioni più note messe in atto dal Mossad avvenne nel 1972 a Parigi contro Mahmoud Hamshari, il rappresentante dell’OLP (l’allora Organizzazione per la liberazione della Palestina, guidata da Yasser Arafat). Agenti dell’intelligence israeliana piazzarono un esplosivo nella base di marmo del telefono fisso di casa sua, e quando Hamshari alzò la cornetta per fare una telefonata lo attivarono a distanza. Hamshari fu ferito gravemente, e morì in ospedale il giorno dopo: fu uno dei leader dell’OLP uccisi dopo l’attacco palestinese contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco di quell’anno. Un altro caso, forse più noto, è quello di Yahya Ayyash, un famoso miliziano di Hamas soprannominato “l’ingegnere” per la sua bravura nel fabbricare bombe. Nel 1996 Ayyash si trovava nella Striscia di Gaza quando lo Shin Bet (l’intelligence interna israeliana) convinse con promesse e minacce un suo conoscente a consegnargli un telefono cellulare Motorola. Al conoscente era stato detto che dentro al telefono c’era una ricetrasmittente con cui lo Shin Bet avrebbe tenuto sotto controllo le comunicazioni di Ayyash. Invece nel telefono c’era una potente carica esplosiva: appena gli agenti israeliani ebbero conferma che Ayyash era al telefono (con suo padre), fecero partire l’esplosione, uccidendolo.
Più in generale, soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta, l’intelligence israeliana face un notevole utilizzo di pacchi esplosivi. Era un periodo in cui la leadership dell’OLP si trovava in clandestinità ed era sparsa in vari paesi del mondo, ed era relativamente frequente che leader e miliziani ricevessero nelle loro abitazioni lettere e pacchi con esplosivi all’interno, pensati per attivarsi all’apertura. A volte l’intelligence israeliana nascondeva esplosivi in oggetti innocui come libri; altre volte piazzava esplosivi in elettrodomestici casalinghi come radio e televisori, che si attivavano all’accensione. Un altro strumento molto utilizzato sono sempre state le autobombe, come quella che uccise nel 2008 Imad Mughniyeh, uno dei più importanti comandanti di Hezbollah. Questo tipo di tattiche era usato anche dai miliziani palestinesi, che hanno messo in atto negli anni numerosi attacchi esplosivi contro israeliani. Anche la recentissima uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, potrebbe ricadere nella categoria delle operazioni di questo tipo: secondo alcune ricostruzioni (smentite però dall’Iran) Israele aveva piazzato una bomba nella camera di hotel di Haniyeh con mesi di anticipo, e poi l’aveva fatta esplodere quando aveva avuto conferma che il leader palestinese vi si trovava dentro. Oltre agli esplosivi, l’intelligence israeliana ha utilizzato numerosi altri metodi inusuali per mettere in atto uccisioni e operazioni comandate a distanza. Uno dei casi più noti ed eccezionali è stato quello di Mohsen Fakhrizadeh, uno dei più importanti scienziati nucleari iraniani, che Israele e gli Stati Uniti consideravano la mente dietro ai piani dell’Iran di sviluppare un’arma nucleare. Fakhrizadeh fu ucciso nel 2020 in Iran da una mitragliatrice comandata da più di 1.600 chilometri di distanza. La mitragliatrice, montata su un pick-up, era stata fatta entrare in Iran da alcuni collaboratori, e piazzata al bordo di una strada in cui si sapeva che Fakhrizadeh sarebbe passato. Quando l’auto di Fakhrizadeh si è avvicinata la mitragliatrice, comandata a distanza per via satellitare e aiutata da un software che migliorava la precisione dei colpi, ha cominciato a sparare, uccidendolo. Un altro attacco celebre contro il programma nucleare iraniano è quello di Stuxnet, un virus informatico che nel 2011 si diffuse nei sistemi digitali iraniani fino a raggiungere i computer che governavano le centrifughe nucleari del sito di ricerca di Natanz (le centrifughe sono macchinari necessari per l’arricchimento dell’uranio). A quel punto il virus attaccò i sistemi, facendo girare fuori controllo le centrifughe nucleari fino a renderle del tutto inutilizzabili. Ancora oggi quello di Stuxnet è considerato uno degli attacchi informatici più efficaci della storia.
(il Post, 18 settembre 2024)
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7 ottobre – Il riservista Mulla racconta la sua guerra a Gaza
«L’attacco contro il mio battaglione è sempre nei miei pensieri. Ho perso un amico quel giorno, diversi miei soldati sono rimasti feriti. Io stesso sono stato ferito in modo grave e la mia vita è cambiata per sempre. Non mi guardo indietro per autocommiserarmi, ma per ricordarmi che sono vivo e posso ancora dare il mio contributo», racconta a Pagine Ebraiche Maayan Mulla, riservista dell’esercito israeliano, ferito lo scorso 12 dicembre a Gaza. «Era la sesta sera di Hanukkah. I terroristi di Hamas ci hanno teso un’imboscata, attaccandoci con un lanciarazzi». Mulla ricorda l’esplosione e la palla di fuoco che lo ha investito. Ospite della Comunità ebraica di Milano, racconterà questa sera la sua esperienza.
Con l’adrenalina in corpo e ignaro dell’entità delle sue ferite, subito dopo l’attacco era riuscito a fatica a dare assistenza a un commilitone ferito. «Sono riuscito a raggiungerlo strisciando vicino a lui. Per 30 secondi ho risposto al fuoco nemico da solo. Non potevo usare la mia radio perché era danneggiata». Quando una squadra di soccorso è riuscita a raggiungere Mulla, il team medico si è accorto dell’entità delle sue ferite: aveva oltre 100 pezzi di schegge conficcate nel corpo. «Sono stato portato d’urgenza con l’elicottero in ospedale. Ho subito un danno neurologico e per mesi sono rimasto in ospedale». Quando è stato dimesso ha deciso di raccontare la propria esperienza in Israele e all’estero. «Penso sia importante far capire quanto in questo momento il popolo ebraico debba rimanere unito. Il conflitto in corso non è solo una guerra d’Israele, ma è una guerra del mondo ebraico per difendere il suo diritto ad avere un paese sicuro. Io da otto anni vivo in India, ma il 7 ottobre sono tornato subito per dare il mio contributo nella lotta al terrorismo».
(moked, 18 settembre 2024)
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Netanyahu ha un nuovo obiettivo nella guerra contro Hamas
Permettere ai cittadini sfollati dal nord a causa degli attacchi di Hezbollah di rientrare nelle loro case al confine con il Libano.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha aggiunto un nuovo obiettivo nella guerra in corso contro Hamas, ovvero permettere ai cittadini sfollati dal nord a causa degli attacchi di Hezbollah di rientrare nelle loro case al confine con il Libano. Lo rende noto l'ufficio di Netanyahu. Finora i tre obiettivi che si era posto il premier israeliano erano sconfiggere Hamas militarmente e politicamente, far sì che la Striscia di Gaza non rappresentasse più una minaccia per Israele e riportare a casa gli ostaggi ancora trattenuti nell'enclave palestinese.
"Il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case" è stato ora aggiunto come quarto obiettivo della guerra, ha affermato l'ufficio del Primo Ministro in una nota. "Israele continuerà ad agire per raggiungere questo obiettivo", si legge nella nota rilasciata dopo una riunione a tarda notte del gabinetto di sicurezza a Tel Aviv. Gli sfollati del nord sono in gran parte ospitati in hotel pagati dallo stato ebraico.
• Blinken in Egitto, no tappa in Israele mentre cerca accordo su ostaggi Intanto visita oggi in Egitto per il segretario di Stato americano Antony Blinken, che nel suo nuovo tour nella regione questa volta non farà tappa in Israele. E' la prima volta che evita di recarsi nello Stato ebraico dal massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre dello scorso anno, l'ultima volta che visitò Israele fu ad agosto per fare pressione su Benjamin Netanyahu perché accettasse i termini dell'accordo. Obiettivo nella missione è sempre quello di cercare di arrivare a un accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi, obiettivo che sembra sempre più difficile prima della scadenza dell'Amministrazione Biden.
Il Dipartimento di Stato ha affermato in una nota che Blinken "incontrerà i funzionari egiziani per discutere degli sforzi in corso per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza che garantisca il rilascio di tutti gli ostaggi, allevi le sofferenze del popolo palestinese e aiuti a stabilire una più ampia sicurezza regionale". Sarà anche "co-presidente dell'apertura del dialogo strategico Usa-Egitto con il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty", ha affermato la nota, sottolineando che il "dialogo strategico mira a rafforzare le relazioni bilaterali e ad approfondire lo sviluppo economico, nonché ad aumentare i legami tra le persone attraverso la cultura e l'istruzione".
• Idf: "Ucciso comandante Jihad islamica in raid a Khan Younis" Sul fronte della cronaca, un comandante della Jihad islamica palestinese è stato ucciso in un attacco con drone israeliano nella Striscia di Gaza meridionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che Ahmed Ayesh Salama al-Hashash, che comandava l'unità missilistica della Jihad islamica a Rafah, è stato ucciso nell'attacco di ieri nella zona umanitaria designata da Israele nell'area di Khan Younis.
Mentre è di quattro morti il bilancio del bombardamento israeliano di un'abitazione nel campo profughi di Bureij, nella Striscia di Gaza centrale, ha reso noto la protezione civile dell'enclave, aggiungendo che decine di persone sono ancora intrappolate sotto le macerie dell'edificio crollato.
(ANSA, 17 settembre 2024)
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Israele a un passo dalla guerra totale contro Hezbollah
Se sarà guerra totale, quella tra Israele e Hezbollah, sarà una guerra sanguinosa.
di Franco Londei
Ieri sera il gabinetto di guerra israeliano ha aggiunto un nuovo significativo obiettivo alla guerra, quello del ritorno alle loro case degli sfollati al nord costretti a lasciare città e kibbutz a causa degli attacchi di Hezbollah.
Detta così sembra una cosa da niente, ma non lo è. Anzi, è una cosa enorme perché per far rientrare alle loro case gli sfollati del nord occorre ricacciare Hezbollah oltre la linea blu decisa dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite la quale prevede una zona smilitarizzata che va da fiume Litani al confine con Israele. Risoluzione del tutto disattesa da Hezbollah che invece occupa stabilmente quel tratto di terra da dove dal giorno successivo al massacro del 7 ottobre ogni giorno lancia missili contro Israele.
In realtà non spetterebbe a Israele far rispettare la risoluzione 1701, spetterebbe alla missione UNIFIL la quale avrebbe dovuto vigilare affinché Hezbollah non entrasse nella zona smilitarizzata, meno che meno con armi e missili.
Purtroppo, checché ne dicano le cornacchie dell’ONU, UNIFIL ha fallito miseramente nella sua missione di mantenimento della pace, perché non si mantiene la pace permettendo ad un gruppo terrorista islamico di fare tutto ciò che vuole senza battere ciglio.
E così si torna alla riunione del gabinetto di guerra di ieri sera e alla decisione di inserire negli obiettivi di guerra il ritorno alle loro case degli sfollati del nord.
Per farlo Israele sembrerebbe orientato a creare una zona cuscinetto non si sa bene entro che confini, se cioè entro quelli stabiliti a suo tempo dalle Nazioni Unite con la risoluzione 1701, o se andare oltre il fiume Litani e risalire il Libano.
Come dicevo non è affatto una cosa da niente. Significa entrare in Libano, significa intraprendere una guerra su larga scala con Hezbollah, cioè con l’esercito più forte e preparato del Medio Oriente dopo quello israeliano.
Attenti, l’esercito israeliano non si scontrerà con l’esercito libanese, per altro addestrato e armato dagli americani, ma con Hezbollah, uno Stato nello Stato, un esercito indipendente meglio armato di quello nazionale.
Voglio vedere quanti anti-israeliani avranno il coraggio di accusare Israele di aver invaso un altro Stato sovrano invece che accusare l’Iran di controllare il Libano attraverso Hezbollah. Voglio vedere quanti salteranno a piè pari il fatto che da 11 mesi Hezbollah spara ogni giorno missili contro Israele.
Naturalmente non sono stato a spiegare che Hezbollah è controllato, armato, addestrato e finanziato dall’Iran e in particolare dai Guardiani della Rivoluzione Islamica e dalla loro Forza Quds. Credo che tutti lo sappiano.
Tutto ciò detto, se sarà guerra totale sarà una guerra sanguinosa, molto diversa da quella che si combatte a Gaza contro Hamas. Gli Hezbollah si sono fatti il callo in Siria, sanno combattere, sono molto ben armati, hanno temibili razzi anticarro, missili antinave, almeno 150.000 tra razzi e missili, forse qualcosa di meno dopo l’ultima operazione preventiva israeliana. Ma sono davvero pericolosi.
La scelta di Israele deve essere attentamente valutata. So che in tanti analisti, me compreso, giudicano “indispensabile” una operazione israeliana su larga scala in Libano. Forse lo è, non lo metto in dubbio. Ma è facile fare gli strateghi da una poltrona (mi ci metto pure io). Questa sarà una guerra totale, si andrà a sbattere contro un vero vespaio terrorista. Iran, Siria, Iraq, Yemen, saranno tutti coinvolti contro Israele. Forse chiudere prima il fronte con Hamas non sarebbe una cattiva idea.
(Rights Reporter, 17 settembre 2024)
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Rav Arbib: «Ebrei fra le nazioni o no?»
Gli ebrei fanno ancora parte della famiglia delle nazioni? È l’interrogativo con cui rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, nella sinagoga di via Guastalla si è rivolto al pubblico della 25esima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Domenica mattina nel tempio si è celebrato un evento felice: un matrimonio. Per questo il rav ha parlato sotto una chuppah, il baldacchino matrimoniale della tradizione ebraica. «In una giornata dedicata alla famiglia è una coincidenza felice e di buon augurio», afferma il presidente della Comunità, Walker Meghnagi. Ma il suo messaggio, come quello di Arbib e del vicepresidente Ucei Milo Hasbani è amaro. «Oggi più che mai è importante celebrare la cultura ebraica, senza dimenticare che la nostra è una famiglia ferita dal 7 ottobre», ha affermato Meghnagi. Una ferita che tra un mese, a un anno di distanza dai massacri di Hamas, verrà ricordata in Israele e in tutto il mondo ebraico. «A voi, ai media, alle istituzioni chiediamo ancora una volta di ricordare l’origine di questa guerra, di ricordare la verità: tutto è iniziato con i crimini di Hamas», sottolinea Hasbani. Un appello alla solidarietà raccolto dalla presidente del Consiglio comunale di Milano, Elena Buscemi. «Questa giornata non è solo un’occasione di studio, ma anche un momento per ricordare come il 7 ottobre abbia gettato nel vuoto, nella disperazione, nel dolore migliaia di famiglie. Per riconoscere il coraggio di questi parenti che continuano a farsi sentire e manifestare».
Proprio l’eccidio compiuto dai terroristi palestinesi ha riportato d’attualità l’interrogativo di Arbib. Il rav si è soffermato sul significato per l’ebraismo di essere diverso e allo stesso parte integrante della famiglia delle nazioni. Il punto di partenza sono le parole che Dio rivolge ad Abramo «Vai verso di te (lekh lekhà)». E subito dopo: «In te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Il primo è «un ordine ad Abramo a separarsi dalla propria famiglia, tradizione, cultura, terra», ha spiegato il rabbino capo. Con una separazione, aggiunge, «ha quindi inizio la storia ebraica». Una particolarità coltivata e difesa nel corso dei secoli dall’ebraismo. Una differenza, ha sottolineato il rav, che permette di dare seguito alla seconda parte del dettato di Dio ad Abramo, la benedizione. «Solo consapevoli della nostra identità, della nostra differenza possiamo essere utili al mondo. Come diceva rav Jonathan Sacks, bisogna prima separarsi per poi potersi unire».
La separazione però nella storia ebraica non è stata solo volontaria. Anzi. Secoli di antisemitismo hanno segnato con violenza e dolore la vita di milioni di ebrei. «Alcuni elementi si sono riprodotti nel tempo: l’accusa di essere vendicativi, di complottare contro il mondo, di non essere mai uguali agli altri, di non avere empatia». Elementi di un odio antico, ha ricordato il rav, oggi ritornati d’attualità nell’ondata di antisemitismo post 7 ottobre. «Più volte ci siamo illusi che il pregiudizio fosse stato sconfitto. È un errore che non dobbiamo commettere ancora».
A chiudere la domenica in sinagoga, un dialogo sulla famiglia Rothschild con lo storico ed economista britannico Niall Ferguson, la lezione di rav Roberto Colombo sul rispetto coniugale e il racconto di come si è evoluto oggi lo shidduch, il sistema ebraico per far incontrare e sposare le coppie.
Il programma della Gece milanese prosegue lunedì con l’appuntamento organizzato dalla Fondazione Cdec al Memoriale della Shoah (ore 18.00) e intitolato “Scene di famiglia: la vita e i luoghi attraverso i filmati privati”. Nel corso della serata, il direttore del Cdec Gadi Luzzatto Voghera e Daniela Scala, responsabile dell’archivio fotografico, presenteranno una selezione di pellicole raccolte grazie al progetto “Mi ricordo – Raccolta nazionale di film di famiglia”, una campagna nazionale di raccolta, digitalizzazione e catalogazione dei filmati conservati dalle famiglie ebraiche italiane, avviata nel 2019 dalla Fondazione CDEC in collaborazione con l’Archivio Nazionale Cinema Impresa.
(moked, 16 settembre 2024)
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Nel 31° anniversario di Oslo, la sinistra deve rinunciare all'odio
Il problema della politica dell'odio è che l'odio è un'abitudine difficile da spezzare.
di Caroline Glick
Il 13 settembre 1993 è stato il giorno in cui la classe dirigente israeliana ha abbandonato il sionismo. Il giorno in cui l'allora primo ministro Yitzhak Rabin si presentò nel Giardino delle Rose della Casa Bianca e riconobbe ufficialmente l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina - tra gli applausi entusiasti dei suoi sostenitori in patria - fu il momento in cui l'élite israeliana rinunciò collettivamente all'attaccamento alla propria nazione. L'OLP era molte cose. Era un'organizzazione terroristica. È stata l'architetto del terrorismo moderno, compresi i dirottamenti aerei, i rapimenti, l'assassinio di famiglie, l'uccisione di massa di bambini e l'assassinio di diplomatici. L'OLP ha addestrato chiunque, dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche di Khomeini all'Armata Rossa giapponese, alla Banda Baader-Meinhof e alle Pantere Nere. Ha riunito terroristi di ogni provenienza ideologica e li ha forgiati in un conglomerato rivoluzionario unito dal desiderio di distruggere gli Stati Uniti, l'Occidente, gli ebrei e il loro Stato di Israele. L'OLP era un gruppo di guerra politica. Ha portato l'odio genocida per gli ebrei nella sinistra radicale dell'Occidente. Ha usato i media per romanzare i barbari omicidi di massa e le brutali torture mentre li eseguiva. Attraverso i suoi lacchè occidentali, l'OLP è riuscita a ristabilire l'odio per gli ebrei come strumento di mobilitazione politica e come forza culturale importante, appena 20 anni dopo l'Olocausto. Attraverso le sue operazioni di propaganda, l'OLP ha convinto giovani ignoranti con la coscienza sporca che i loro genitori nazisti erano in realtà vittime. Il sionismo è stato demonizzato come un nuovo nazismo, peggiore del primo. Nel 1975, 30 anni dopo la liberazione di Auschwitz, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 3374, che etichettava il sionismo come una forma di razzismo. Il sionismo viene spesso definito come il movimento di liberazione nazionale ebraico. Anche questo è vero, ma questa definizione oscura più che illuminare. Il sionismo è semplicemente ebraismo. L'ebraismo ha tre fondamenti: la Torah, la nazione di Israele e la terra di Israele. Ci sono stati secoli di campagne per convertire con la forza gli ebrei ad altre fedi, con tanto di roghi di massa di libri sacri con l'obiettivo di sradicare la Torah e distruggere gli ebrei distruggendo fisicamente i loro testi sacri e imprigionandoli spiritualmente attraverso la rinuncia forzata alla loro fede. Le campagne di annientamento del popolo ebraico - attraverso il genocidio, le espulsioni di massa, il Codice napoleonico o i diktat comunisti che imponevano agli ebrei di abbandonare la loro fedeltà nazionale - miravano a distruggere fisicamente gli ebrei o a costringerli a rifiutare la rilevanza della propria identità. Il sionismo ha preceduto sia la Torah che il popolo di Israele. L'ebraismo è iniziato nel momento in cui Dio disse ad Abramo di lasciare la terra dei suoi padri e di trasferirsi nella terra d'Israele, dove sarebbe diventato una nazione organizzata secondo le leggi prescritte da Dio. La nazione ebraica è nata nella terra d'Israele. E lì è nata la fede di Israele. Né la legge né la nazione hanno alcun significato senza la terra d'Israele. E questo è il punto: ognuno dei tre fondamenti degli ebrei è inseparabile dagli altri. L'OLP ha avuto tre fondatori: Yasser Arafat, il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e il KGB. Per Arafat, l'OLP era un mezzo per ereditare l'eredità del fondatore del nazionalismo palestinese, l'agente nazista Haj Amin el Husseini. Husseini era il leader della moderna jihad contro gli ebrei e gli inglesi in tutto il mondo arabo. Usò l'antisemitismo come mezzo per convincere gli inglesi e altri a sostenere i suoi sforzi contro gli ebrei, mentre dirigeva i suoi seguaci a fare la guerra contro la Gran Bretagna. Con l'aiuto dei suoi sponsor sovietici, Arafat ha condotto un'operazione politica simile tra i radicali occidentali. Come Husseini, Arafat cercò di consolidare il sostegno panarabo per la distruzione di Israele nel lungo periodo. L'OLP servì gli obiettivi di Nasser in due modi. Quando fondò il gruppo terroristico nel 1964, Nasser pensava che esso avrebbe consolidato la sua posizione di leader indiscusso del mondo arabo. Dopo la sua schiacciante sconfitta nella Guerra dei Sei Giorni, tre anni dopo, vide l'OLP come un proxy che doveva servire come avanguardia della guerra panaraba per distruggere Israele e tenerlo nei titoli dei giornali mentre gli arabi ricostruivano le loro forze e si organizzavano per un nuovo round di guerra. Per i sovietici, l'OLP era un mezzo per minare la sensibilità morale dell'Occidente guidato dagli Stati Uniti. Lo Stato ebraico era il fondamento paradigmatico dello Stato nazionale occidentale. I padri fondatori degli Stati Uniti cercarono di stabilire una nuova Gerusalemme nel Nuovo Mondo, basata sulla legge di Dio e sulla fede nella fallibilità intrinseca dell'uomo. L'OLP, che sosteneva che Israele fosse un avamposto razzista e colonialista, era uno strumento per delegittimare Israele e, per estensione, gli Stati Uniti e il mondo occidentale. Se Israele era nato nel peccato, allora la Bibbia era una menzogna e gli stessi Stati Uniti erano stati fondati sulla convinzione immorale di una supremazia razzista ed europea. Per quanto riguarda Israele, il duplice terrorismo e guerra politica dell'OLP mirava alla balcanizzazione della società israeliana. I surrogati e i simpatizzanti dell'OLP corteggiavano avidamente prima gli ebrei americani di sinistra e poi gli attivisti israeliani di sinistra per allontanarli dalla stragrande maggioranza degli ebrei americani e israeliani che riconoscevano l'insidiosità delle azioni politiche dell'OLP e la pura malvagità del suo terrorismo. L'idea era di convincerli che la “pace” avrebbe prevalso se Israele avesse semplicemente accettato la legittimità dell'OLP. Questi attivisti, a loro volta, lanciarono campagne nella comunità ebraica americana e in Israele per demonizzare gli israeliani che rifiutavano l'OLP come guerrafondai atavici. Col tempo, i loro sforzi sono stati ripagati. Quando la destra israeliana salì al potere per la prima volta nel 1977 con il sostegno degli israeliani religiosi e della classe operaia, prevalentemente sefardita, la legittimazione dell'OLP divenne sempre più un mezzo per unire la sinistra in un'opposizione coesa e in una classe sociale. Data la natura, l'obiettivo e il modus operandi dell'OLP, riconoscere la legittimità dell'OLP al suo inizio significava rifiutare la legittimità del sionismo o dello Stato degli ebrei. Per gli israeliani e gli ebrei della diaspora, ciò significava attivismo sociale e politico volto a legittimare l'odio verso le comunità israeliane i cui membri rifiutavano di indebolire i loro legami con l'ebraismo. Questo vale sia per l'ebraismo tradizionale degli ebrei sefarditi, sia per l'ultraortodossia degli Haredim, sia per l'attaccamento della comunità religiosa nazionale israeliana alla terra d'Israele, in particolare alla Giudea e alla Samaria. La decisione di Rabin di riconoscere la legittimità dell'OLP alla Casa Bianca, il 13 settembre 1993, ha fatto di questo atteggiamento odioso e antiebraico nei confronti del popolo di Israele e della sua identità nazionale la strategia nazionale del governo israeliano. Tuttavia, essa è completamente fallita. È fallita completamente per due motivi. In primo luogo, l'obiettivo dell'OLP non è mai stato la pace. È sempre stato la distruzione di Israele - di tutto Israele. Pertanto, non ha mai potuto essere un vero partner per nessun israeliano, per quanto di sinistra, che non fosse convinto che Israele dovesse scomparire completamente. E anche loro hanno avuto un problema. Perché si scoprì che l'OLP era solo una droga di passaggio per Hamas, che non voleva nemmeno fare la distinzione tra ebrei post-sionisti e sionisti. La seconda ragione del fallimento è che la narrazione della criminalità e dell'immoralità di Israele non è mai stata vera e la maggior parte degli israeliani non ci ha mai creduto. La maggior parte degli israeliani non ha mai accettato la distinzione tra ebrei “buoni” e “cattivi”. Non hanno mai accettato che ci sia qualcosa di moralmente riprovevole nel sionismo, nella Torah o nel popolo israeliano. Per quanto la sinistra ci abbia provato, non è mai riuscita a far accettare alla maggioranza degli israeliani il principio fondamentale che guida le sue politiche e le sue azioni. Certo, gli israeliani vogliono la pace. Ma non credono di essere il motivo per cui lo Stato ebraico e il popolo ebraico non hanno ottenuto la pace. Si rifiutano di incolpare se stessi per l'aggressione e l'odio contro il loro popolo e il loro Paese. Il problema della politica dell'odio è che l'odio è un'abitudine difficile da spezzare. Se siete stati condizionati a credere che il vostro futuro dipenda dalla sconfitta dell'oggetto del vostro odio, potete cambiare idea solo se smettete di odiare. Dal 1993, l'OLP ha dimostrato più volte di essere il nemico di Israele e non il suo partner di pace. Ma accettare la verità significava accettare che la sinistra aveva portato il Paese al disastro e che gli oggetti del loro odio - gli ebrei che si rifiutavano di rinunciare a qualsiasi aspetto della loro identità - avevano sempre avuto ragione. In altre parole, l'accettazione del fallimento imponeva loro di ridefinire la propria identità di classe o di abbandonarla. La sinistra scelse di reinventarsi. Ha abbracciato il concetto di “Start-Up Nation” per garantire il proprio potere economico e culturale, prendendo le distanze dal resto della società. Impadronendosi del nuovo elisir dell'alta tecnologia, la sinistra è entrata a far parte dell'élite globale con le sue capitali a Davos e nella Silicon Valley. Ma per entrare nel regno della nuova élite globalista bisogna pagare. I padroni si battono per una forma di governo post-nazionalista e internazionalista. Le loro radici ideologiche non sono nel capitalismo americano. Piuttosto, i leader della nuova classe dirigente globale, educati nelle università d'élite radicate nell'anti-occidentalismo sovietico, sono post-nazionalisti e sottoscrivono la visione sovietica secondo cui il sionismo, l'apoteosi delle aspirazioni nazionaliste, è illegittimo. Per entrare nel loro club, i titani della tecnologia israeliana hanno dovuto rinnegare la loro fedeltà ai loro compatrioti “coloni violenti” e “ultraortodossi”. In altre parole, anche quando hanno cercato di sfuggire all'elisir dell'OLP che ha portato alla catastrofe dello Stato del terrore palestinese nel cuore di Israele, si sono trovati di fronte alla stessa scelta. Ha funzionato, più o meno, fino al 7 ottobre. Quel giorno sono accadute due cose. In primo luogo, i terroristi palestinesi, con i loro parapendii, i loro pick-up Toyota, i loro bazooka e la loro sadica sete di sangue, hanno fatto esplodere il mito che la tecnologia libererà Israele dalla necessità di difendersi con i fratelli che la sinistra sperava disperatamente di abbandonare. Tutte le applicazioni militari della Start-Up Nation - i sensori ad alta tecnologia, i segnali di intelligence, i recinti intelligenti, l'aviazione - hanno fallito completamente il 7 ottobre. L'unica cosa che ha funzionato quel giorno è stato l'eroismo e il patriottismo sfrenato dei civili e delle forze di sicurezza ebraiche che si sono precipitati a sud, senza alcun preavviso, per salvare le famiglie e le comunità che venivano invase. La seconda cosa che accadde fu che il jet set internazionale, l'élite globale, abbandonò ogni distinzione tra ebrei “buoni” e “cattivi”. Le foto degli ostaggi di Be'eri e di Kfar Azza sono state oggetto dello stesso odio che per lungo tempo era stato rivolto solo ai “coloni violenti” o agli “ebrei identificabili”. I detrattori degli ebrei universitari non hanno più sentito il bisogno di fingere che alcuni israeliani fossero accettabili. Negli ultimi 11 mesi, i membri del settore post-sionista hanno lottato per venire a patti con la frantumazione delle loro illusioni. I loro leader stanno cercando di consolidare la loro posizione. Ma la loro insistenza sul fatto che i problemi risiedano nel Primo Ministro Benjamin Netanyahu, negli Haredim, nei coloni messianici o negli imbecilli che scoppiano in lacrime alle canzoni su Am Yisrael trova sempre meno sostenitori. Ogni protesta si spegne dopo pochi giorni. L'emozione non c'è più. Senza le foglie di fico della “pace” o della “Start Up Nation” dietro cui nascondersi, l'odio è tutto ciò che rimane. Trentuno anni dopo aver abbracciato l'OLP e l'odio, la sinistra deve finalmente abbandonarlo. La sopravvivenza di Israele dipende da questo.
(Israel Heute, 17 settembre 2024 - trad. www.ilvangelo-israele.it)
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Antica Torà venduta all’asta per 6,9 milioni di dollari
di Michelle Zarfati
L’antica Torà di Shem Tov, risalente a 700 anni fa e acquistata nel 1994 dal banchiere Jacob (Jacqui) Safra per 825.000 dollari, è stata venduta all’asta da Sotheby’s la scorsa settimana a New York, dopo una fitto rilancio di offerte tra tre acquirenti anonimi. Il prezioso testo è stato venduto per 6,9 milioni di dollari. La Bibbia, nota come “Tanach Shem Tov” fu scritta nel Regno di Castiglia (nell’attuale Spagna) intorno all’anno 1312, ed è considerata una delle versioni più accurate della Bibbia ebraica scritta a mano.
Il testo, scritto da Rabbi Shem Tov ben Avraham Ibn Gaon, ha intrapreso un viaggio intorno al mondo che è iniziato nel Regno di Castiglia ed è proseguito in Medio Oriente, Africa, Europa e Safed, dove è stato acquistato da un ricco uomo di Baghdad. Il manoscritto è sempre stato conservato dalle famiglie nobili della comunità ebraica locale. Uno dei suoi proprietari in passato fu il famoso collezionista David Solomon Sassoon, che lo acquistò nel 1909. Dopo la sua morte, questa Torà fu venduta per la prima volta da Sotheby’s a New York. La famiglia Safra ha acquistato il libro nel 1994, aggiungendolo così alla loro collezione di manoscritti storici ebraici, che comprende anche il Codice Sassoon che è stato venduto nel maggio 2023 per 38,1 milioni di dollari, diventando il manoscritto ebraico più costoso mai venduto.
Durante l’ultima asta, la concorrenza per aggiudicarsi questa Torà è stata particolarmente agguerrita. Secondo i presenti, hanno partecipato telefonicamente almeno tre acquirenti. Infine, la Bibbia è stata venduta per un totale di 6,9 milioni di dollari, comprese le commissioni, ad un acquirente anonimo. La famiglia Safra, una delle più importanti famiglie di banchieri al mondo, è originaria della Siria ha avuto fortuna in Libano, con l’apertura della prima banca da parte di Jacob Safra nel 1920 a Beirut. La famiglia è oggi nota per i suoi investimenti globali.
La Bibbia di Shem Tov non è solo un bene finanziario, ma anche un elemento culturale e storico di enorme importanza. Fu scritto durante l’età d’oro della Spagna, quando ebrei, musulmani e cristiani vivevano fianco a fianco in una cooperazione culturale relativamente insolita, e questo elemento è evidente nel suo complesso lavoro di progettazione, che combina stili artistici di tutte le religioni monoteistiche.
L’autore non era impegnato solo in manoscritti ebraici, mezuzot e tefillin, ma era un vero e proprio artista. Le sue pagine sono piene di illustrazioni e simboli appartenenti al mondo della flora e della fauna, motivi architettonici come gli archi a ferro di cavallo (che rivelano una chiara influenza musulmana), e persino immagini mistiche come il serpente Ouroboros (il serpente che si mangia la coda). Gli esperti spiegano che si tratta di un’opera artistica rara, in quanto le illustrazioni sono direttamente correlate al testo scritto, il che indicherebbe che lo stesso Ibn Gaon potrebbe essere stato l’illustratore del testo.
Nel corso degli anni, il documento passò attraverso importanti collezioni fino ad arrivare nelle mani di Safra. In precedenza, è stato esposto in prestigiose mostre in tutto il mondo, tra cui Amsterdam, Berlino e New York.
(Shalom, 16 settembre 2024)
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Israele nel mirino: Hezbollah spara, razzo dallo Yemen
di David Zebuloni
A meno di un mese dall’anniversario del 7 ottobre, data in cui i terroristi di Hamas hanno invaso il sud di Israele per commettere un vero e proprio pogrom, la tensione in Medio Oriente pare alle stelle. Dopo innumerevoli attacchi missilistici di Hezbollah sulle alture del Golan e con decine di migliaia di sfollati israeliani che non possono tornare nelle loro case a causa dell’offensiva terroristica, la scorsa notte Benjamin Netanyahu ha dato il via libera per un’operazione militare in Libano. Non prima di aver subito l’ennesima aggressione: 55 missili lanciati su Tiberiade.
Così, secondo fonti libanesi, lo Stato ebraico ha bombardato due villaggi a circa 150 e 80 km dal confine. Secondo fonti saudite, invece, i due obiettivi in questione sono stati attaccati insieme ad altre nove località diverse, tutte nel giro di un’ora. L’Idf ha confermato di aver colpito i depositi militari di Hezbollah, sia nella valle della Bekaa che nel distretto di Baalbek. «La situazione non può continuare così», ha dichiarato il premier israeliano, facendo poi intendere di essere pronto ad ampliare il conflitto così da neutralizzare Hezbollah. «Dobbiamo ridefinire gli equilibri al confine, per permettere ai nostri cittadini di tornare a vivere nelle loro case. Ciò non sarà possibile senza un intervento militare di larga scala», ha aggiunto. La riunione di gabinetto volta a discutere la faccenda, tuttavia, è stata rimandata a lunedì prossimo.
Secondo alcuni esperti coinvolti nella mediazione tra i due Paesi, l’eventualità di trovare una soluzione diplomatica al conflitto nel nord è quasi inesistente. «Quali sono le probabilità che Nasrallah accetti di rinunciare alla propria offensiva armata? È un sogno utopico che non si realizzerà mai», hanno spiegato. Nonostante ciò, entrambi gli armamenti sembrano indugiare. Giocano a braccio di ferro e a nascondino contemporaneamente.
Colpiscono in modo tale da tenere acceso il conflitto, ma non da far scoppiare una vera e propria guerra. Diversa è la situazione a sud, a Gaza, dove la guerra contro il terrorismo continua imperterrita.
Il portavoce dell’Idf ha informato ieri che gli aerei da combattimento dell’aeronautica militare israeliana hanno attaccato in modo mirato, e sotto la guida dell’intelligence dello Shin Bet, un complesso di comando e controllo dell’organizzazione terroristica. Hamas si era insediato nell’edificio precedentemente utilizzato come scuola, rendendolo una vera e propria base militare a fini bellici. Il complesso è stato utilizzato dai terroristi come luogo in cui nascondersi e prepararsi al fuoco dell'IDF, per poi rispondere al fuoco in modo indisturbato, sotto copertura, fingendo di rifugiarsi in un innocuo luogo di studio.
«Prima dell'attacco, sono state adottate molte misure per ridurre la possibilità di danneggiare i civili, compreso l'uso di armi di precisione, osservazioni aeree e ulteriori informazioni di intelligence», ha precisato il portavoce per poi concludere: «Hamas viola sistematicamente il diritto internazionale, sfruttando brutalmente le istituzioni civili e la popolazione come scudi umani per i loro fini terroristici. L’Idf continuerà ad agire con forza e determinazione contro tutte le organizzazioni terroristiche che minacciano la sua esistenza».
Intanto, mentre il conflitto si fa sempre più duro, tre ostaggi israeliani sono stati dichiarati morti ieri mattina: Ron Sherman, 19 anni, Nik Beizer, 19 anni, Elia Toledano, 28 anni.
Oltre a loro, altri 97 ostaggi innocenti sono tenuti ancora in cattività, nei tunnel dei terrore di Hamas a Gaza. Il loro rilascio incondizionato, probabilmente, definirebbe la fine della guerra.
Libero, 16 settembre 2024)
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Yahya Sinwar, il genio del male
Il leader di Hamas conosce gli israeliani meglio di quanto loro conoscano sé stessi
Sinwar ha trovato l’arma con cui sconfiggere gli ebrei e manipolare il mondo: la morte dei loro connazionali. Invita gli ebrei a uccidere il suo popolo.
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"Ho visto il video di Eden prima che fosse uccisa: lo facciamo perché siete figli di maiali - è il messaggio di Hamas - godiamo del dolore che vi causiamo."
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Nel 2011, dopo cinque anni di negoziati, un soldato israeliano tenuto prigioniero da Hamas è stato scambiato con mille prigionieri palestinesi, compresi i peggiori terroristi” scrive il romanziere olandese Leon de Winter sulla Neue Zürcher Zeitung. “Uno di loro era l’attuale leader di Hamas, Yahya Sinwar. Durante la prigionia studiò gli ebrei e li conobbe meglio di quanto loro stessi conoscessero sé stessi. Gli israeliani lo rilasciarono, un criminale responsabile di innumerevoli omicidi, perché quell’unico soldato era al centro dell’immagine che gli ebrei avevano di sé. Un migliaio di potenziali terroristi furono rilasciati in un colpo solo. Non ci sono regole per i nemici di Israele. Riguarda la distruzione di Israele, indipendentemente dai metodi, dalle morti, dal dolore. L’Islam è permeato dall’idea di una guerra permanente contro gli infedeli, e gli ebrei sono un ostacolo in quella guerra, che sarà eliminato con perseveranza e sufficiente spargimento di sangue, poiché ogni ostacolo è stato eliminato nella storia dell’Islam. E’ solo questione di tempo e di generazioni di credenti che dovranno essere sacrificate prima che gli ebrei vengano sottomessi ed espulsi.
Sinwar ha trovato l’arma con cui può sconfiggere gli ebrei e manipolare il mondo: la morte dei suoi stessi connazionali. Invita gli ebrei a uccidere il suo popolo, e gli israeliani non possono sottrarsi a questo nella loro lotta contro Hamas, poiché il movimento terroristico si nasconde dietro le spalle della popolazione di Gaza.
Quando ci sono morti civili, il mondo incolpa Israele, non Sinwar e la sua cricca di assassini. Sa come reagisce il mondo alle morti causate dagli ebrei. E gli ebrei prendono sul serio queste accuse. Sviluppano metodi di combattimento per ridurre al minimo il rischio di vittime civili nella Striscia di Gaza proteggendo i terroristi, ma nel caos della guerra si verificano ancora innumerevoli morti civili. Sinwar, d’altro canto, non si preoccupa di risparmiare il più possibile i civili israeliani. I suoi uomini uccidono senza pietà e sanno di essere in armonia con la loro gente, la loro cultura e le loro tradizioni. Perché gli ebrei non sono solo i loro nemici, ma anche i nemici del loro profeta, e lui stesso ha ordinato l’assassinio delle tribù ebraiche, come dicono i resoconti islamici. Di conseguenza, nei territori palestinesi non esiste un ampio dibattito sociale sulla possibilità che una società civile possa tollerare l’omi-cidio, lo stupro, la mutilazione e la decapitazione. Internet è pieno di leader religiosi che definiscono le circostanze legali in base alle quali lo stupro è consentito. Nella tradizione islamica è un mezzo consentito per instillare la paura nei non credenti.
Mentre viveva in una prigione israeliana, a Yahya Sinwar è stato diagnosticato un tumore al cervello. Da detenuto aveva dei diritti e ha subito un intervento chirurgico. E gli è venuto in mente che quando un prigioniero ha diritto a un’operazione costosa, possibile solo grazie alle tasse pagate dagli israeliani, grazie alle loro conoscenze scientifiche, grazie al loro impegno a onorare e proteggere ogni vita, anche quella di un assassino che odiava gli ebrei come lui, allora gli ebrei erano perduti. Allo stesso tempo, l’operazione con cui gli ebrei gli salvarono la vita fu l’umiliazione più profonda che potesse essergli inflitta. Ma era anche euforico. Aveva riconosciuto la debolezza degli ebrei, i quali credevano che la salvezza di una vita fosse la salvezza di tutta l’umanità. Sinwar sapeva che un’idea del genere era uno scherzo in medio oriente. Gli ebrei non potevano immaginare che egli disprezzasse i suoi salvatori in ogni senso: personale, culturale, religioso. E sebbene potessero immaginarlo, gli ebrei non erano nella posizione di lasciarlo morire. L’unico soldato scambiato con mille prigionieri palestinesi nel 2011 è stato rapito in un attacco dalla cosiddetta Striscia di Gaza libera nel 2006. Nel 2005 Israele se ne era completamente ritirato. Non c’erano più ebrei lì. Ma il 25 giugno 2006, un gruppo di terroristi emerse da un tunnel lungo 300 metri che avevano scavato al valico di frontiera di Kerem Shalom. Il loro attacco a sorpresa ha provocato la morte di diversi soldati israeliani e la cattura del caporale Gilad Shalit. Non un uomo famoso. Non uno scienziato degno di nota. Solo un giovane ebreo. Il prezzo per la sua liberazione fu di 1.027 prigionieri responsabili della morte di 569 israeliani. Per persone come Sinwar, questa fu la prova finale della debolezza degli ebrei. Nessun leader di un paese islamico sarebbe disposto a scambiare mille criminali con un qualunque soldato. Ma gli ebrei erano abbastanza stanchi del mondo da credere che la vita di Shalit fosse più importante dell’imprigionamento degli assassini di 569 ebrei. Sinwar sapeva come stremare gli ebrei, ricattarli e metterli gli uni contro gli altri. Cento ebrei rapiti avrebbero fatto a pezzi la terra ebraica. La chirurgia cerebrale può portare a profondi cambiamenti caratteriali, ma Sinwar era già infinitamente crudele quando fu condannato nel 1989 per l’omicidio di due soldati israeliani e l’uccisione di quattro palestinesi che accusava di collaborare con Israele. Il medico della prigione che lo conosceva ha detto al Times of Israel: ‘Prima del suo arresto, viveva nella paura e nel terrore. Fece scavare delle fosse, vi gettò dentro le persone che sospettava fossero contro di lui e vi versò sopra il cemento mentre erano ancora vive. In prigione mandava le persone a torturare gli altri che non gli piacevano. Ma non si è sporcato le mani lui stesso’. Finché Sinwar avrà i suoi ostaggi, sarà intoccabile. I familiari degli ostaggi chiedono al governo israeliano di accettare qualsiasi accordo per la loro liberazione, compreso il ritiro completo dalla Striscia di Gaza e l’abbandono della striscia di confine, che contiene i tunnel attraverso i quali Hamas fornisce componenti per armi e razzi, nonché come materiali da costruzione contrabbandati per la città sotterranea della guerra. Ma Sinwar non consegnerà mai gli ostaggi. Il tempo è dalla sua parte. Non importa se gli ostaggi sono ancora vivi o sono già stati uccisi. Ogni ostaggio in un tunnel sconosciuto significa tortura per lo Stato ebraico, che non può adempiere al proprio obbligo di salvare ogni ebreo. Al contrario, nessun leader islamico si sottometterebbe mai a un simile ricatto.
Per Sinwar il fine giustifica ogni mezzo. Tiene sulla linea di fuoco innumerevoli suoi compatrioti nella Striscia di Gaza. Con l’aiuto di utili idioti nei media e nei governi occidentali, incolpa gli ebrei per la loro morte. Ciò è diabolico: Sinwar scommette sulla coscienza degli israeliani e, se ne avrà la possibilità, massacrerà spietatamente gli ebrei. La legge marziale avvantaggia i terroristi Questa guerra è asimmetrica, dicono i critici israeliani, intendendo con questo che la forza militare di Israele è di gran lunga maggiore di quella di Hamas. Questa è una distorsione della realtà. La spietatezza di Hamas è in netto contrasto con la coscienza di Israele, che è vincolata alle regole culturali interne ed esterne e alle leggi dello stato di diritto. L’esercito di Hamas conta due milioni di persone, tutti potenziali martiri sacrificati da Hamas nella guerra mediatica globale contro Israele. La vera forza dirompente nell’asimmetria è la capacità di Hamas di contrastare i civili dell’esercito israeliano, non la potenza di fuoco dell’esercito israeliano. La leadership israeliana si trova di fronte a un dilemma insolubile: se stringerà un accordo con Sinwar e si ritirerà dalla Striscia di Gaza in cambio del rilascio degli ostaggi, Hamas sfrutterà l’opportunità per rafforzare il suo esercito. Poi tra cinque o dieci anni attaccherà di nuovo, sostenuto dalle armi nucleari iraniane. Se il governo israeliano non riuscirà a raggiungere un accordo, condannerà i restanti ostaggi a morte o a sofferenza per tutta la vita in una gabbia nel deserto del Sinai o in una prigione in Iran. Israele è stato fondato per dissipare la paura tra gli ebrei che nessuno al mondo si preoccupi di loro. Nessun politico israeliano può abbandonare gli ostaggi al loro destino. Sinwar, il brillante diavolo, conosce gli ebrei e quelli che considera i cani miscredenti dell’occidente. Lui lo sa, che il moderno stato costituzionale occidentale non è in grado di sostenere le guerre nel deserto: il paese più potente della terra si è ritirato dall’Iraq e dall’Afghanistan. Nessun accordo potrà convincerli che è meglio convivere pacificamente con gli ebrei. Nel loro mondo non ci sono dubbi sulla direzione della storia. Conducono una guerra eterna sotto la bandiera del Profeta finché l’umanità non sarà sottomessa. È triste, drammatico, disperato: per sopravvivere, lo Stato ebraico deve diventare uno Stato mediorientale che agisce spietatamente come i leader della Siria o dell’Arabia Saudita? E’ questo il prezzo che gli ebrei devono pagare per preservare la loro autonomia e le loro tradizioni in Medio Oriente? Questo è il nocciolo della crisi nella società israeliana: è possibile combattere il male senza usare i mezzi del male? E’ qui che hanno origine le storie della Bibbia. Noi, menti illuminate in Occidente, riduciamo le cause delle bestialità perpetrate da Hamas alle conseguenze della deprivazione socioeconomica, alla Nakba del 1948 o alla rabbia per le azioni dei coloni in Cisgiordania. Ma tutto questo fallisce quando si vede il video dell’ostaggio assassinato Eden Yerushalmi. La 24enne era stata rapita il 7 ottobre dal festival musicale Nova, dove lavorava al bar. Era bellissima. Nel video è ancora lì, ma emaciata, con lo sguardo sfinito e triste. Le forze israeliane erano sulle tracce di Eden Yerushalmi e di altri cinque ostaggi. Ma prima che potessero essere liberati, furono uccisi in un tunnel sotterraneo.
Quando i soldati israeliani l’hanno trovata, Hamas ha pubblicato un video in cui Eden parlava per alcuni minuti con la sua famiglia. Lo facciamo perché non siete altro che figli di maiali, è il messaggio implicito di Hamas, vi massacriamo e godiamo del dolore che causiamo. Ero sopraffatto, sbalordito, mentre la guardavo parlare e mi rendevo conto che era stata macellata come un cane. Non sono religioso. Ma il rituale di Hamas può essere descritto solo con un termine religioso. Il male assoluto”.
(Il Foglio, 16 settembre 2024 - trad. Giulio Meotti)
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I Fratelli Musulmani trionfano alle elezioni in Giordania, cresce la frustrazione per la guerra a Gaza
di David Fiorentini
Le recenti elezioni legislative in Giordania hanno segnato un trionfo significativo per il Fronte di Azione Islamica (IAF), l’ala politica dei Fratelli Musulmani, che ha conquistato 31 seggi su 138 nel parlamento del regno. Questo risultato ha triplicato la rappresentanza del principale partito islamista, che nel 2020 aveva ottenuto solo 10 seggi, riporta The Times of Israel. Il successo dell’IAF è avvenuto in un contesto politico e sociale dominato dalla crescente frustrazione dei giordani per la guerra tra Israele e Hamas a Gaza. Con metà della popolazione giordana di origine palestinese, la crisi ha avuto un impatto profondo sull’opinione pubblica, che ha visto nel voto per l’IAF un modo per esprimere la propria solidarietà con il popolo palestinese e la propria opposizione alla normalizzazione dei rapporti con Israele. Il leader dei Fratelli Musulmani in Giordania, Murad Adailah, ha descritto la vittoria come un “referendum popolare” in favore del sostegno a Hamas e contro il trattato di pace firmato tra Giordania e Israele nel 1994. L’accordo, pur garantendo stabilità geopolitica, è sempre stato motivo di divisione all’interno del paese, con gli islamisti fortemente opposti. Nonostante l’importante affermazione elettorale, l’IAF rimane lontano dalla maggioranza parlamentare, che richiederebbe 70 seggi. Tuttavia, il partito ha consolidato la sua posizione come forza politica più influente nel paese, superando partiti come Al-Mithaq Al-Watani, di orientamento nazionale, che ha ottenuto 21 seggi, e Taqaddum, partito progressista di sinistra, fermo a 8 seggi. Le elezioni si sono svolte con un’affluenza del 32%, un dato relativamente basso, con 1,6 milioni di votanti su 5,1 milioni di aventi diritto, di cui circa 500.000 andati all’IAF. Un elemento significativo di questa tornata elettorale è stata anche l’elezione di 27 donne in parlamento, superando la quota minima di 18 seggi, evidenziando un passo avanti verso una maggiore inclusione di genere nella vita politica del paese. D’altro canto, il potere legislativo del Parlamento in Giordania rimane limitato, poiché ampiamente superato dal Senato, composto da 65 membri nominati dal Re, così come il ramo esecutivo. Per questo, ogni disegno di legge proposto dal Parlamento deve essere ratificato dal Senato e, in ultima istanza, dal Re stesso, garantendo al sovrano un controllo diretto sul processo legislativo. Gli islamisti, dal loro ingresso sulla scena politica all’inizio degli anni ’90, hanno sempre rappresentato l’opposizione principale agli accordi di pace con Israele, ma hanno evitato critiche dirette alla famiglia reale, considerata intoccabile nella politica giordana. Questa strategia ha permesso al movimento di consolidarsi come una forza politica rilevante senza scontrarsi apertamente con il potere centrale. Con il risultato delle elezioni, il Fronte di Azione Islamica ha ora l’opportunità di ampliare ulteriormente la sua influenza e di giocare un ruolo chiave nel prossimo futuro politico della Giordania, soprattutto in un contesto regionale sempre più teso e instabile.
(Bet Magazine Mosaico, 16 settembre 2024)
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GECE – Torino apre l’evento. Dario Disegni: Vetrina di conoscenza. Noemi Di Segni (Ucei): Spazio sereno e di stimolo
Si è aperta in Piazzetta Primo Levi, davanti all’ingresso della sinagoga di Torino, la XXV edizione della Giornata della Cultura ebraica (Gece). Il primo a salutare il pubblico è stato “il padrone di casa” – Torino è città capofila dell’edizione 2024 – il presidente della Comunità ebraica torinese, Dario Disegni, che ha dato lettura del messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «La conoscenza è lo strumento fondamentale per superare le degenerazioni dei valori della convivenza civile che i principi fondanti della Repubblica scolpiscono nell’uguaglianza di tutti i cittadini. In un momento di cambiamenti epocali e di ferite lancinanti procurate dalle guerre», ha scritto il Capo dello Stato, «la cultura, nella sua pluralità, assume un valore risolutivo per la difesa dell’umanità».
Nel ricordare il 600esimo anniversario della vita ebraica a Torino, Disegni ha definito la Gece, dedicata quest’anno al tema della famiglia, «una straordinaria vetrina per far conoscere la vita e la cultura ebraica vero antidoto contro il pregiudizio». Dopo di lui ha parlato Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) che ha tra l’altro ricordato come «conoscere la cultura ebraica significa comprendere che il vissuto ebraico non è solo Shoah e persecuzione, orrore e crimini subiti e distorsioni denunciate. È vita quotidiana, è vitalità di comunità, di bambini, di famiglie che prima della Shoah e nei secoli precedenti, così come dopo la Shoah, hanno reagito e dato un significato anche ebraico alla propria esistenza».
La presidente Ucei ha poi approcciato il tema della famiglia: «Mishapachà in ebraico nella radice e nel concetto di essere l’uno di servizio all’altro. Una parola che per ciascuno di noi è immediata e intuitiva, tra le prime alle quali diamo un senso dopo il primo respiro nel mondo circondati di padre, madre, fratelli e nel mondo ebraico tipicamente da un intero parentame. Nel nostro vissuto è il luogo primario, al centro della trasmissione dell’identità ebraica e, per la giornata di oggi, appunto desiderio di condividere con voi i «come» della nostra cultura di essere famiglie ebraiche, può essere un contributo anche alle famiglie accanto alle quali conviviamo. Quest’anno – ha proseguito Di Segni – la Giornata arriva dopo lunghi mesi di sofferenza e dolore, dopo la strage del 7 ottobre avvenuta in Israele, violando e distruggendo le case che pensavamo essere sicure e blindate, facendo lasciare alle spalle le case e gli spazi personalizzati amati per cercare sicurezza, rendendo vedove ragazze speranzose di vita banale, orfani fratelli e figli per gli oltre 1.658 caduti, massacrando e violando ogni sacralità della famiglia, prendendo ostaggi e lasciando monche centinaia di famiglie. E con loro la grande famiglia del popolo di Israele. Con animo sconvolto e affaticati anche da una continua ed esasperante distorsione, affrontiamo sempre più punti interrogativi. Ineludibile, in questo contesto, il riferimento alla famiglia, proprio come soggetto preso di mira, considerato il nucleo sul quale perpetrare l’orrore e su cui si è poi abbattuta la guerra. Il 7 ottobre oltre il dolore e il lutto mai immaginati ci ricorda ancora una volta che la funzione dei precetti religiosi è di coadiuvare la vita e la convivenza. L’abuso e l’uso della ragione religiosa per ricercare altro genera orrore, prevaricazione e conquista politica.
Invece per noi la cultura e la conoscenza reciproca sono il presupposto per arginare fenomeni di odio, sospetto e antisemitismo e, proprio per questo, desideriamo vivere questo appuntamento non come momento di protesta contro una situazione insostenibile ma come spazio sereno, gioioso e ricco di stimoli per tutti i partecipanti».
(moked, 15 settembre 2024)
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I Rothschild e il “potere ebraico”
Intervento di Niram Ferretti tenuto ieri al Tempio Centrale di via Guastalla a Milano in occasione della Giornata Europea della Cultura ebraica dedicata quest’anno al tema della famiglia.
Il nome Rothschild è un nome immediatamente evocativo ed è sostanzialmente sinonimo di denaro, potere, e, con il passare del tempo, di influenza occulta. Su questo aspetto torneremo in modo particolare a breve. Intanto un bignamino storico. I Rothschild hanno origine a Francoforte, nel sedicesimo secolo, e iniziano la loro fortuna attraverso la gestione delle finanze di Gugliemo I il Langravio di Assia, ultimo dei figli di Federico II. Sostanzialmente, Meyer Amschel Rothschild, il capostipite della futura dinastia di banchieri, inizia come cosiddetto ebreo di corte, ovvero nel ruolo di quegli ebrei che potevano prestare il denaro ai reali i quali, in questo modo, non si sporcavano le mani con una attività considerata disonorevole come il prestito di soldi. Da qui si arriverà poi, dopo la rivoluzione francese, alla gestione dei capitali che, attraverso la Gran Bretagna, arrivavano in Assia Kassel per l’arruolamento dei mercenari da impiegare nelle guerre contro Napoleone. E’ importante tenere a mente questo punto perché verrà usato poi contro i Rothschild. I profitti che essi fecero durante il periodo delle guerre napoleoniche gli verrà in seguito imputato. Infatti, dalle guerre napoleoniche, i Rothschild trassero enormi profitti che poi vennero usati per finanziare altre imprese. E ora arriviamo al tema del mio intervento, che è relativo a come, nel corso dei secoli, il nome dei Rothschild sia diventato sostanzialmente, ad uso degli antisemiti, una sineddoche per ebreo.
Nella immaginazione paranoica degli antisemiti, Rothschild significa sostanzialmente “potere ebraico”, e soprattutto, potere occulto ebraico, e qui, inevitabilmente, non possiamo evitare di ricollegarci ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il falso complottista confezionato agli inizi del Novecento, dall’Ochrana, la polizia segreta zarista, l’antesignana del KGB, in cui viene descritto come realmente accaduto, un incontro dei maggiori esponenti dell’ebraismo i quali, in sintesi, illustrano il loro piano segreto per influenzare e dirigere il mondo.
Nel 1846 esce a Parigi un pamphlet di un autore che si firma con lo pseudonimo “Satana” il quale informa i suoi lettori che Nathan Rothschild, il più noto dei figli del capostipite della dinastia, conoscendo in in anticipo l’esito della battaglia di Waterloo era riuscito a trarne grandi profitti in borsa e che suo fratello James era il principale responsabile di un incidente ferroviario avvenuto in Francia causato da una carenza di manutenzione intenzionale, quindi dovuto alla volontà di risparmiare a danno degli utenti. Il libretto fu un grande successo editoriale, vendette decine di migliaia di copie ed è il primo esempio di una pressoché infinita serie di accuse rivolte ai Rothschild, di fatto assurti al ruolo dell’ebreo astuto, cinico, avido e manipolatore.
Nel suo libro del 2023 Jewish space lasers, the Rothschilds and 200 years of conspiracy theories, Mike Rothschild, l’autore, un giornalista americano, che è solo un omonimo, ha raccolto l’insieme di queste teorie cospirazioniste che vanno dalle più plausibili a quelle più folli, come è appunto quella che dà il titolo al volume, secondo la quale, nel 2018 dei generatori solari spaziali avevano provocato l’incendio di alcune foreste in California. Una deputata repubblicana aveva sostenuto che avendo fatto delle ricerche aveva scoperto che i generatori erano riconducibili, tra gli altri, a dei finanziamenti dei Rothschild.
Il fondamento delle teorie della cospirazione si basa sull’assunto che la maggioranza, se non tutti i fenomeni rilevanti, politici, storici, economici e culturali abbia una regia, ci sia cioè un gruppo o più gruppi che li determinano, i quali, però, poi fanno sempre riferimento in senso ascendente, a un gruppo egemone, a un apice generativo, che ne è il regista occulto. Il primo a mettere nero su bianco questa idea fu un sacerdote francese alla fine del diciottesimo secolo, l’abate Barruel il quale, nel 1797, nei cinque volumi del suo Memoire pour servir a l’histoire du jacobinisme, sostenne che la Rivoluzione Francese era stata ordita dai massoni i quali, a loro volta erano dominati dall’ordine dei templari, che in realtà non era mai stato distrutto nel 1314. Dai massoni si arrivava poi agli illuminati bavaresi.
E’ interessante evidenziare come, ai primi dell’Ottocento, un presunto ufficiale dell’esercito italiano, J.B. Simonini poi diventato protagonista di Il cimitero di Praga di Umberto Eco, scrive una lettera all’abate per informarlo che c’era in giro gente assai peggiore dei massoni, si trattava della “setta ebraica”, il prototipo della cosiddetta lobby, una setta molto ricca e influente che ordiva trame e complotti spaventosi.
I Rothschild sono e diventano senza sosta il prototipo di questa setta, ne rappresentano il nefasto emblema, così come vengono raffigurati in una vignetta su un settimanale satirico francese. Le Rire, fondato a metà Ottocento in cui un vecchio dalla lunga barba bianca e sul capo una strana corona con una testa di animale, il vitello d’oro, ghermisce un globo con delle mani artigliate.
Nell’immaginazione paranoica degli antisemiti e dei complottisti, due categorie che si intrecciano indissolubilmente, essi sono inscalfibilmente tali, e nulla, nessun argomento, nessun tentativo di spiegare in modo puntiglioso che questo assunto si basa su fantasie e leggende potrà fare cambiare loro opinione poiché le teorie complottiste sono logicamente inespugnabili, essendo strutturalmente circolari, cioè inglobando al loro interno ogni possibile confutazione come parte stessa del complotto.
(L'informale, 16 settembre 2024)
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Dunque secondo l'autore antisemiti e complottisti sarebbero “due categorie che si intrecciano indissolubilmente” e “logicamente inespugnabili” perché “strutturalmente circolari, inglobando al loro interno ogni possibile confutazione come parte stessa del complotto”. E’ un modo superficiale di fare accostamenti.
Prima che emergesse l’anelito e il tentativo di fondare uno stato ebraico, prima che uscissero i falsi “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, l’antisemitismo nella storia ha preso forme anche molto diverse dal semplicistico “complottismo”. Quello che accomuna complottisti e anticomplottisti nell’antisemitismo è l’incapacità di riconoscere e capire quale sia, o anche quale potrebbe essere, la relazione che lega tra loro gli ebrei e ne mantiene in vita una inspiegabile unità. Il complottista crede di aver trovato una ragione, ma l’anticomplottista che si vanta di non cadere in sempliciotte o truffaldine spiegazioni, non trovandone una che lo soddisfa finisce col dire che non c’è nessuna ragione per cui quelli che si dicono ebrei debbano voler vivere una particolare forma di unità. Nel caso storico attuale, può significare che non si giustifichi l’accanimento con cui si vuol difendere uno stato come Israele che vuol essere ebraico e tale vuol essere chiamato. L’antisionista che propone uno stato binazionale, o la consegna di quella terra a qualche governance sovranazionale o, peggio ancora, agli islamici che la pretendono, non è certo un complottista, ma è forse un antisemita ancora più insidioso.
Inoltre, se si vuol dire che la “teoria complottista” è “logicamente inespugnabile”, lo stesso si può dire della “accusa di complottismo”. Se sei accusato di essere complottista, non hai possibilità di difesa, perché ogni tuo sforzo di dimostrare il contrario sarà visto come una tecnica tipicamente complottista di deviare l’accusa. “Complottista ti sei rivelato, e come come complottista sarai per sempre etichettato”: questa l’irrevocabile condanna. Esempio recente: l’epiteto ingiurioso di “no-vax”. M.C.
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