Notizie su Israele 67 - 21 gennaio 2002


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Voi che temete il SIGNORE, confidate nel SIGNORE! Egli è il loro aiuto e il loro scudo. Il SIGNORE si è ricordato di noi; egli benedirà, sì, benedirà la casa d'Israele, benedirà la casa d'Aaronne, benedirà quelli che temono il SIGNORE, piccoli e grandi.

(Salmo 115.11-13)


CHI SONO I TERRORISTI? RISPONDE L'EUROPA


Per questa Europa chi uccide in Israele non è un terrorista

di Ehud Gol, Ambasciatore di Israele a Roma

Dopo le dichiarazioni di condanna del terrorismo adottate in seguito agli attacchi alle Torri Gemelle, lo scorso 27 dicembre l'Unione Europea rende pubblica una lista di "persone, gruppi e entità" terroristiche nei confronti delle quali si applicheranno misure restrittive consistenti nel congelamento dei fondi e di altre risorse economiche. In un momento in cui imperversa la guerra in Afghanistan per smantellare la rete di El Quaida e il globo intero è percorso da campagne per intercettare e arrestare i "compagni di merenda" di Osama Bin Laden, una simile notizia non può far altro che rallegrare tutti quei Paesi intenti a prosciugare le paludi del terrorismo. Eppure, al di là delle meritorie intenzioni, la lista del Consiglio Europeo finisce per rivelare strane omissioni che portano al risultato paradossale di creare giubilo anche tra taluni Stati e attori che del terrorismo internazionale e dell'odio anti-occidentale sono accaniti sostenitore e generosi sponsor.
    Tra gli assenti d'eccezione spiccano il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Hamas, responsabili di spargimenti di sangue a catena tra la popolazione israeliana. Ma soprattutto, manca all'appello Hizbullah, il Partito di Dio, famigerata organizzazione terroristica con sede in Libano. Ad Hizbullah si devono efferate quanto spettacolari operazioni quali l'attacco contro le forze internazionali di pace a Beirut del 1983 che causò la morte di 240 marines americani e di 58 francesi e l'esplosione dell'Ambasciata israeliana e del Centro della Comunità Ebraica a Buenos Aires nei primi anni Novanta in cui persero la vita centinaia di civili. Hizbullah continua ad arricchire il suo macabro curriculum con continui attacchi contro Israele, "il piccolo Satana", nonostante ormai da quasi due anni quest'ultima si sia ritirata unilateralmente dal Libano del Sud e nonostante le Nazioni Unite abbiano provveduto a verificare l'entità e le modalità del ritiro e a demarcare la linea di confine (Linea Blu) dichiarandone la piena conformità alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza. In fin dei conti, poco interessa il rispetto del diritto internazionale ad un'organizzazione terroristica come Hizbullah, che ha fatto della distruzione dello Stato d'Israele e della Guerra Santa contro l'imperialismo occidentale il suo grido di battaglia.
    Ora, questo raro esemplare di minaccia alla pace e alla stabilità regionale incomprensibilmente non appare nella lista del Consiglio Europeo. All'indomani della decisione europea, piovono applausi e commenti compiaciuti da parte di Stati che in buona coscienza non possono definirsi campioni del mantenimento dell'ordine e della sicurezza mondiali. Da Beirut a Damasco a Teheran, gli Stati sponsor del terrorismo mondiale esprimono soddisfazione, interpretando la posizione assunta dall'Unione Europea come legittimazione di Hizbullah in quanto movimento di "resistenza", e non feroce e indiscriminata organizzazione che semina da decenni morte e terrore e che si pone come nemico dichiarato del processo di pace in Medio Oriente. Vari esponenti di Hizbullah hanno dichiarato, il 30 dicembre scorso, di vedere la decisione europea come un grande "risultato" che l'organizzazione ha raggiunto grazie alla sua "tenacia" nel resistere alle pressioni esterne. Contenti e soddisfatti anche a Damasco, da dove una fonte diplomatica il 1° gennaio fa sapere che l'esclusione di Hizbullah dalla lista nera dell'Europa è una grande vittoria per la Siria e per il Libano, dove continuano a stazionare 50 mila soldati siriani. L'Iran si unisce al coro degli encomi ed ecco che, in definitiva, le misure anti-terroristiche europee finiscono per assumere l'aspetto di una pagella dei promossi e dei bocciati che premia proprio quegli attori internazionali che da anni si ritrovano con irremovibile costanza nella lista americana degli sponsor del terrorismo.
    L'ideologia propria di Hizbullah, intrisa di fondamentalismo religioso e di violenza terroristica, combinata ad un silenzio-assenso interpretato come legittimazione della sua azione in quanto "resistenza" produce un risultato di segno opposto rispetto agli obiettivi prioritari che la comunità internazionale si è posta dopo l'11 settembre. Non solo è lecito aspettarsi un'intensificazione del terrorismo del Partito di Dio, ma il messaggio implicito e perverso che attaccare Israele è un atto di "resistenza" contraddice il consenso dato dall'ONU, e dunque dalla stessa comunità internazionale, sul fatto che Israele non occupa più territorio libanese e finisce con l'indebolire l'autorità e la credibilità delle Nazioni Unite in quanto garanti del mantenimento della pace e della sicurezza mondiale.
    Da metà ottobre Hizbullah non ha più compiuto attacchi, sintomo che la pressione internazionale non gli è indifferente. Che sia stato fatto inintenzionalmente o con lo scopo di proteggere alcuni interessi particolari di qualche attore europeo, rimane che la "promozione" di Hizbullah nel libro nero degli europei rischia di rafforzare il terrorismo invece di colpirlo. E le conseguenze potrebbero riverberarsi ben oltre i confini della già martoriata regione mediorientale. Oggi il grido di Hizbullah è "Israele delenda est", ma con la tolleranza verso il terrorismo domani potrebbe essere "Europa delenda est".

(Libero, 15 gennaio 2002)


CHI SONO I TERRORISTI? RISPONDE LA SIRIA


Esordio clamoroso e significativo della Siria nel consiglio di Sicurezza dell'Onu. Fayssal Mekdad paragona le macerie delle case palestinesi a 'Ground Zero' e accusa Israele di terrorismo

    Alla prima riunione pubblica dell'organismo internazionale, Fayssal Mekdad, numero due della delegazione di Damasco all'Onu ha paragonato le demolizioni delle case dei palestinesi da parte delle truppe israeliane, agli attentati dell'11 settembre contro le Torri Gemelle.

Case palestinesi distrutte come 'Ground Zero'
    Mekdad ha accusato il Consiglio di Sicurezza di usare due pesi e due misure denunciando il terrorismo in tutto il mondo ma sorvolando sulla condanna di Israele.
    "Dobbiamo osservare che la scena delle decine di case di palestinesi demolite dai carri armati israeliani qualche giorno fa note non è molto differente dalla scena del World Trade Center distrutto dai terroristi, che noi tutti vogliamo combattere ed eliminare".

Usa: paragone oltraggioso
    Pronta la reazione indignata da parte della diplomazia Usa che ha parlato di paragone "oltraggioso".
    "E' veramente deprecabile il fatto che i siriani abbiano utilizzato l'opportunità di parlare in una riunione pubblica contro il terrorismo per fare quello che noi riteniamo un discorso oltraggioso. Queste non sono le parole che noi ci attenderemmo da un responsabile membro del Consiglio di Sicurezza".

Mekdad, La resistenza palestinese è una forma legittima di lotta
    La prima uscita pubblica della Siria in Consiglio di Sicurezza si è trasformata in una giaculatoria contro Israele ed in una ferma difesa delle azioni palestinesi: "La resistenza a questa forma di occupazione straniera ed in particolare la resistenza palestinese è una forma legittima di lotta" ha affermato il rappresentante siriano che quindi ha aggiunto: "Se questi crimini degli israeliani non sono terrorimo, allora che cosa sono?".

Il terrorismo di Israele secondo la Siria
    Quella di Israele, dunque, "è una attività criminale che deve essere portata davanti alla giustizia" ha concluso il rappresentante siriano che non ha mancato di reiterare la propria protesta per l'atteggiamento del Consiglio di Sicurezza che ha più volte bloccato risoluzioni filo-palestinesi.

(http://www.radicali.it, 19 gennaio 2002)


NON CI SONO LIMITI ALLA MENZOGNA


In un'intervista concessa alla televisione egiziana, il capo dei palestinesi Yasser Arafat ha detto: "La nave Karine-A navigava per conto di una ditta israeliana che trasporta materiale edilizio dalla Romania a Israele. Tutto il mondo sa che tra l'Autonomia Palestinese e l'Iran non esiste alcuna cooperazione militare." Israele non è sorpreso da queste menzogne di Arafat.

(NAI - Stimme aus Jerusalem, 20.01.02)

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LE PREOCCUPAZIONI DEL VATICANO


Nazaret - Il governo israeliano ha formato un comitato per esaminare la legittimità giuridica della contestata costruzione di una moschea davanti alla chiesa dell'annunciazione a Nazaret. Gli Israeliani devono prendere una decisione ed è sicuro che si inimicheranno uno dei due gruppi.

(NAI - Stimme aus Jerusalem, 18.01.02)



CON L'ATTENTATO DI HADERA CROLLA LA FRAGILE TREGUA


Medio oriente, le strade senza uscita

di Luciano Tas
    
    L'attentato di Hadera del 17 gennaio, che ha procurato almeno sei morti e 30 feriti, costituisce un altro gradino nell'escalation di violenza palestinese iniziata da ormai molti mesi con la seconda intifada.
    Quest'ultima strage, che sarebbe potuta essere anche più micidiale se l'attentatore non avesse mancato il suo scopo, quello di farsi esplodere nell'affollata sala della festa, ha però una caratteristica nuova e diversa rispetto alle precedenti.
    A perpetrarla non è stato infatti un seguace di Hamas o della Jihad, ma uno dei tanzim di al Fatah, la principale organizzazione dell'OLP, che fino a questo momento fedele è considerata fedele ad Arafat.     Con l'attentato di Hadera, che ha rappresentato per i palestinesi la risposta all'uccisione da parte israeliana di un terrorista, Raed al Karmi, capo delle brigate Al Aqsa, il cerchio si chiude, dimostrando la contiguità di tutte le componenti politiche palestinesi, e si avvalora una tesi già dimostrata dalla cattura della nave contenente cinquanta tonnellate di armi e munizioni provenienti dall'Iran e dirette all'Autorità Palestinese, vale a dire ad Arafat. La tesi israeliana secondo cui Arafat continua ad essere il leader riconosciuto di tutti i palestinesi, dai cosiddetti moderati agli estremisti fanatici.
    L'interrogativo che ci si è posti a lungo, se cioè Arafat non potesse o non volesse controllare tutte le fazioni, già vano di per sé (visto che il risultato con cambiava), appare così sciolto. Arafat non può e non vuole.
    Quando Arafat si è trovato di fronte all'irripetibile offerta dell'allora Premier israeliano Ehud Barak, ha mancato l'occasione di garantire un futuro alla sua gente. Avrebbe potuto accettarla, magari anche con le riserve mentali che la sua opinione pubblica imponeva. Riserve che riguardano la meta ultima di gran parte del mondo arabo: l'eliminazione fisica d'Israele.
    Non ha colto quell'occasione perché ha preferito rilanciare gettando sul tavolo negoziale una nuova e più micidiale intifada, suscettibile secondo lui di essere internazionalmente vincente sul piano dell'immagine.
    Non solo l'Europa, tradizionalmente filo-araba, avrebbe abboccato all'amo di Arafat, ma gli stessi Stati Uniti, che incominciavano a dare segni di stanchezza per l'affaire mediorientale e d'irritazione per certe ruvidezze israeliane, si apprestavano a raddoppiare le pressioni su Israele perché facesse ulteriori concessioni ai palestinesi, senza aver ben chiaro il concetto che Israele già si trovava, con l'offerta di Barak, sulla linea del Piave.
    Persino dopo il famigerato 11 settembre gli Stati Uniti, costretti a raccattare alleanze là dove le trovavano, non si rendevano conto di quanto era maturato al mondo proprio nell'anno primo del terzo millennio.
    Se ne dovevano rendere conto un po' alla volta, dando un'occhiata più approfondita al mappamondo, dove la fiammata del fondamentalismo terrorista islamico si andava estendendo.
    Nel Kashmir per esempio, dove il terrorismo islamico tentava le sue mosse contro l'India (probabilmente sbagliando: l'India non è Israele, piccolo e isolato) e in contemporanea contro le Filippine, dove Washington alla fine ha dovuto mandare i suoi marines, mentre tra pressioni, minacce ed elargizioni munifiche costringeva il Pakistan a sconfessare gli estremisti del Kashmir ed i suoi propri.
    L'incendio si estende e lambisce, oltre al solito Iraq, anche l'Iran, colto sul fatto nel Mar Rosso. Dal canto loro i palestinesi hanno irrazionalmente fatto il possibile e l'impossibile per unificare il loro estremismo a quello islamico generale.
    Così facendo hanno messo sul chi vive anche paesi tradizionalmente vicini (almeno fino al crollo dell'impero sovietico) alle cause terzomondiste, giuste o sbagliate che fossero, purché antiamericane.
    In primo luogo la Russia, alle prese con l'endemico problema ceceno e con quello – potenziale – delle repubbliche islamiche ex-sovietiche. In secondo luogo la Cina, le cui inquietudini riguardano le zone ai confini con l'Afghanistan, ma anche con il Pakistan e, come per la Russia, con le nuove repubbliche islamiche ex sovietiche, non tutte tranquille.
    Come si vede, il terrorismo palestinese, ora per sua scelta parte indivisbile del terrorismo islamico, non può più essere blandito in una sorta di esorcismo antisraeliano. Dovrebbe essere chiaro che se tutti gli ebrei d'Israele venissero gettati in mare, questo costituirebbe un enorme incoraggiamento a tutto l'estremismo, inducendolo a usare al massimo e ovunque lo strumento del terrore, compreso quello suicida, specialmente dove non si è più attrezzati a reagire alle aggressioni.
    Il risultato di questa situazione è, per quanto riguarda il Medio Oriente, una impasse sanguinosa.
    Da una parte il club dei mentecatti che vanno a farsi saltare in mezzo alla folla israeliana sembra avere sempre nuovi soci, e contro questo tipo di attentati non esiste una difesa davvero impenetrabile.
    Dall'altra parte, cioè dalla parte d'Israele, si ha l'impressione che non si riesca a trovare il difficilissimo bandolo della matassa.
    Nessuno delle proposte ventilate anche da persone di grande livello intellettuale e morale, pare davvero capace di debellare il terrorismo e far riprendere un dialogo.
    L'idea di stabilire più o meno unilateralmente dei confini con uno Stato palestinese, sottoponendoli al riconoscimento internazionale oltre che all'accettazione dell'Autorità palestinese (con o senza Arafat), solo in teoria può essere considerata valida. Uno Stato palestinese non fermerebbe gli estremisti, così come non li fermerebbe l'evacuazione di tutti o di gran parte degli insediamenti (alcuni dei quali occupati da estremisti ebrei) nei territori del nuovo Stato. Perché, una volta stabiliti quei confini, come potrebbe reagire Israele a nuovi attentati, a nuove stragi, se non facendo quello che fa ora? E si sarebbe al punto di partenza.
    Il ritorno dell'occupazione militare israeliana in tutta la Cisgiordania e in tutta Gaza, altra soluzione ventilata anche in questi giorni, è realistica? Non porterebbe più guai di quanti ce ne siano già? Potrebbe fermare gli attentati o ne procurerebbe di nuovi?
    E d'altra parte, continuare con rappresaglie che servono più a placare i giusti risentimenti della popolazione israeliana che a costituire un serio deterrente, non finirebbe per appannare l'immagine d'Israele, che a torto o a ragione è già sufficientemente deteriorata?
    Domande senza risposta. E sfortunatamente oggi in Medio Oriente (ma attenzione, non solo) le domande sono molte e le risposte latitano.
    
(Federazione Associazioni Italia Israele, 18.01.02)
    


9,9% DI DISOCCUPATI IN ISRAELE


Secondo i dati più recenti dell'Ufficio delle Statistiche, nel novembre 2001 il numero dei disoccupati in Israele è salito di 250.000 unità. In confronto all'anno precedente si tratta di una crescita di circa l'1,2%. "Per la nostra nazione questo è uno dei momenti più difficili che abbiamo mai avuto" ha detto il Ministro del Lavoro Schlomo Benizri. "La causa principale dell'alto numero di disoccupati sta nell'alto numero di lavoratori stranieri", ha spiegato il Ministro, aggiungendo che il rapporto tra i lavoratori stranieri e i lavoratori israeliani è cresciuto del 10%. Per quel che riguarda la quota di lavoratori stranieri, Israele si trova ai primi posti rispetto agli altri paesi occidentali. Soltanto la Svizzera ha una quota di lavoratori stranieri più alta di Israele, ha detto il Ministro del Lavoro.

(ICEJ Nachrichten, 19.01.02)



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