Notizie su Israele 83 - 8 aprile 2002


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Infatti tu sei un popolo consacrato al SIGNORE tuo Dio. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il SIGNORE si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché il SIGNORE vi ama: il SIGNORE vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, dalla mano del faraone, re d'Egitto, perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri.

(Deuteronomio 7:6-8)



CHI HA RESO POVERI I "POVERI PALESTINESI"?


West Bank e Gaza sono state sull'orlo di un sommovimento popolare in seguito al tragico sfacelo economico e politico.Prima della nuova Intifada il leader dell'Autorità Palestinese era stato accusato del tracollo della Cisgiordania


Arafat rischiava di essere cacciato dalla sua gente

di Francesco Ruggeri da West Bank


    "Se non avesse lanciato la seconda Intifada contro Israele, firmando l'accordo con Barak la rivolta l'avrebbe subita lui per mano della sua stessa gente". Ahmed e Fatim sono due palestinesi di Beit Jalla che non hanno dimenticato cosa si pensava in Cisgiordania fino a un anno e mezzo fa del Presidente dell'Autorità palestinese Arafat, prima che la ripresa della guerra con lo Stato ebraico lo trasfigurasse in un eroe. Negli anni di governo autonomo dell'Anp dopo gli accordi di pace di Oslo, la cattiva gestione di Arafat era diventata un luogo comune, conducendo West Bank e Gaza sull'orlo di un sommovimento popolare in seguito allo sfacelo economico e politico. Si è spesso detto che la spinta decisiva a riaccendere le ostilità fosse da attribuire alla pressione ideologica degli estremisti islamici, sottovalutando il peso della polveriera palestinese a livello sociale di base. Una situazione divenuta esplosiva negli anni dell'amministrazione di Arafat, il quale ne ha rovesciato l'intera responsabilità sugli israeliani, dimenticando le proprie.
    Prima della creazione dei territori affidati all'Autorità nazionale palestinese, nel 1993 il reddito procapite dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania sfiorava i 2800 dollari ossia circa il 40% di quelli delle controparti israeliane di allora, e addirittura cresceva a un ritmo più veloce rispetto ai vicini di Gerusalemme. Mantenedo un identico tasso di crescita, nel 2000, alla vigilia dell'Intifada, il reddito dei palestinesi avrebbe dovuto essere di circa 7000 dollari a testa, e invece era di 1300 e già nel 1998 era sceso a 1800.
    Solo nei primi due anni di autonomia un terzo degli imprenditori di Gaza aveva chiuso i battenti e gli investimenti esteri erano calati dai 520 milioni di dollari del '93 ai 220 del '97, mentre i beni fabbricati nei territori scendevano dal 50% del totale manifatturiero israeliano pre-Anp a un misero 2% già nel 1996, e l'occupazione diminuiva del 32%.
    Tutto ciò nonostante la contemporanea iniezione nell'economia palestinese di 7.2 miliardi di dollari (15.000 miliardi di lire) tra Oslo e l'Intifada da parte di 43 stati esteri "donatori", e molti altri versati dal governo israeliano e dai Paesi arabi sotto forma di tasse e diritti doganali, senza contare i 2 miliardi di dollari di soli interessi provenienti ogni anno da conti e investimenti esteri controllati da Arafat. Il quale ha sempre impedito ai businessmen palestinesi da lui indipendenti che avevano sfondato all'estero di portare la loro esperienza, e ha anzi costretto tutti gli imprenditori locali a partnership forzate con il carrozzone industriale di stato, quella 'Al Behar Company' intestata a sua moglie che impone commissioni del 50% sui beni prodotti.
    Ma anche tutti gli altri monopoli statali sono affidati ai suoi protetti: 'Al Bak-har'  (case di lusso, cemento, ferro) al capo del suo staff Ramzi Khouri, al consigliere Hassan Asfour quello del petrolio e a Nabil Abu-Rouday il farmaceutico; al capo della sicurezza di Gaza Muhammed Dhalan quello delle tasse doganali, all'emissario dell'Onu Nabil Shaath i computer, al vice Abu Mazen la 'Sky pr' di import-export, a Yasser Abbas la 'Paltech' di elettronica, al negoziatore di Oslo Abu Ala le sigarette e al capo della sicurezza Jibril Rajoub il casinò di Gerico.
    Quanto alla metà del budget del tesoro palestinese che non ha preso la via dei conti personali di Arafat e dei suoi in banche straniere, è stata invece dilapidata in prebende per l'enorme entourage del presidente e dei suoi 'famigli' nella pubblica amministrazione. Una cleptocrazia composta dai circa 10.000 accòliti dell'Olp premiati al rientro da Tunisi con ville e Mercedes sulla alture di Ramallah o sul mare di Gaza city. O dagli 80.451 impiegati dei 24 ministeri (per qualche milione scarso di persone) o i 41.000 membri dei ben 14 differenti servizi segreti o dalle schiere di dipendenti di agenzie ed enti inutili, come il "Palestinian iniziative for the promotion of global dialogue".
    Fin dal suo nascere nel '64 l'Olp aveva attirato una marea di ex-poliziotti corrotti, criminali, militari deviati, gente di strada senza arte né parte, uniti dalla cieca lealtà al leader , tradita unicamente per ulteriore denaro, come nel caso di Jaweed al-Ghussein, per 12 anni a capo delle finanze prima di sparire a Londra con 6 milioni del Palestinian Nation Fund.
    In un tale contesto si può ben comprendere l'origine della miseria nera in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione fuori dalle élite protette, e che fa da incubatrice per i kamikaze motivati dalla disperazione, più che dalla religione o dalla lotta di liberazione. Chi tra loro non ha perso la memoria, all'esterno dell'incompleta clinica oncologica di Beit Jalla, ci dice che "... Il vertice dell'Anp dovrà prima o poi rispondere della montagna d'oro che ha rubato invece di costruire fabbriche, scuole, ospedali e impianti per l'acqua, o aiutare i profughi nei Paesi amici". Rinfocolando la lotta contro Israele, Arafat  si è forse sottratto a un epilogo non dissimile da quello di altri padri padroni della patria, dai Suhartos ai Marcos, ma non certo al giudizio della storia.

(da "Libero", 5 aprile 2002)
  


"ARAFAT E' IL CAPO DEI TERRORISTI"


    Mostrando documenti che collegano direttamente Yasser Arafat agli attentati terroristici, il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha dichiarato lunedi' alla Knesset (parlamento israeliano) che il leader palestinese ha creato un "regime terrorista" dedito sistematicamente ad addestrare e inviare terroristi a massacrare cittadini israeliani.
    In un discorso spesso interrotto da vivaci contestazioni di deputati sia di destra che di sinistra, Sharon ha detto che e' Arafat la persona che sta dietro alle "bande di assassini" che cercano di cacciare gli israeliani dalle loro case terrorizzandoli e che e' Arafat la persona che ha mandato in missione gli attentatori che per mesi hanno sanguinosamente colpito la societa' israeliana.
    "Quello che era nato come un timore ed era poi diventato un sospetto si e' rivelato ora un fatto certo, che e' impossibile negare - ha detto Sharon - Arafat ha istituito nel territorio sotto il suo controllo un regime del terrore che addestra attentatori terroristi in modo governativo e organizzato, li finanzia, li munisce di armi ed equipaggiamento e li manda in missione a uccidere israeliani in ogni parte di Israele".
    Sharon ha detto che uno dei documenti rinvenuti negli uffici di Arafat a Ramallah mostra un vero e proprio "listino dei prezzi del terrorismo", compreso il costo di un'operazione terroristica suicida.
    "Le bande di assassini hanno un capo - ha detto Sharon - e il loro obiettivo e' quello di buttarci fuori da qui. Chi li manda e' il capo dell'Autorita' Palestinese Yasser Arafat".

(Ha'aretz, 8.04.02)

 

IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DI GEORGE BUSH


L'autentico discorso pronunciato dal Presidente George Bush nei giorni scorsi è quello sotto riportato nella traduzione, senza le tendenziose sintesi interpretative dei massmedia italiani.


    "Il terrore deve essere fermato. Nessuna nazione può negoziare con i terroristi, perché non c'è modo di fare la pace con coloro il cui solo obiettivo è la morte.
    Ad Oslo e in qualunque altro luogo, il presidente Arafat ha rinunciato al terrorismo come strumento della sua causa, e si è detto d'accordo per controllarlo. Egli non lo ha fatto. La situazione nella quale ora egli si trova è largamente dipendente dal suo comportamento. Egli ha mancato le sue opportunità e, in conseguenza di ciò, ha tradito le speranze del popolo che si ritiene che guidi. Dato il suo fallimento, il governo d'Israele sente di dover colpire le infrastrutture terroristiche che uccidono i suoi cittadini.
    Io faccio appello al popolo palestinese, all'autorità palestinese, e ai nostri amici nel mondo arabo che si uniscano a noi nell'inviare un chiaro messaggio ai terroristi. Facendovi saltare in aria non aiuterete la causa palestinese.  Al contrario, le missioni suicide faranno saltare in aria la migliore e unica speranza di uno stato palestinese.    
    Tutti gli stati devono mantenere le loro promesse, fatte con un voto alle Nazioni Unite, di  opporsi attivamente al terrorismo in tutte le sue forme. Nessuna nazione può raccogliere e scegliere i suoi terroristi amici. Io mi appello all'autorità palestinese e a tutti i governanti della regione per fare ogni cosa in loro potere per fermare le attività terroristiche, per tagliare i finanziamenti ai terroristi, e per cessare l'incitamento alla violenza col tessere le lodi del terrorismo nei media governativi o raccontando ai terroristi suicidi che saranno dei martiri.
    Essi non  sono martiri. Sono assassini. E minano la causa del popolo palestinese. Quei governanti, come l'Iraq, che ricompensano i genitori per il sacrificio dei loro figli sono colpevoli di incitamento all'assassinio della peggiore specie. Tutti coloro che hanno a cuore le causa del popolo palestinese dovrebbero unirsi nel condannare e nell'agire contro gruppi come al-Aqsa, Hezbollah, Hamas, Islamic Jihad, e tutti gli altri gruppi che si oppongono al processo di pace e vogliono la distruzione d'Israele. Non è sufficiente alla nazione araba difendere la causa palestinese; essi devono sinceramente aiutare il popolo palestinese col cercare la pace e col combattere il terrorismo e col promuovere lo sviluppo.
    L'America riconosce il diritto d'Israele a difendersi dal terrorismo.   
    Tuttavia per gettare le basi  della futura pace, ho chiesto a Israele di cessare le incursioni nelle aree controllate dai palestinesi e di cominciare a ritirarsi da quelle città che sono state di recente occupate".

(Federazione Associazioni Italia-Israele, 06.04.02)



UN SONDAGGIO DELLE PREFERENZE IN ISRAELE



Secondo un sondaggio compiuto dal noto Istituto Hanoch Smith, il 72% degli Israeliani è favorevole all'attuale azione militare dell'esercito israeliano; il 17% si è pronunciato contro. Il 36% degli Israeliani interrogati sarebbe favorevole all'espulsione di Arafat; il 15% ne vorrebbe addirittura l'annientamento. Il Primo Ministro Sharon ha ancora la maggioranza delle preferenze rispetto ai suoi rivali dell'opposizione, e perfino rispetto al suo collega di partito Benjamin Netanjahu.

(Stimme aus Jerusalem, 07.04.02)



INTERVISTE DI TELEVISIONI ARABE AD ARAFAT


Proprio mentre i soldati israliani entravano nel quartier generale di Arafat a Ramallah, il capo dell'Autorità Palestinese veniva intervistato da alcune televisioni arabe. Seguono alcuni interventi tratti dalle interviste.


Intervista con Al-Jazeera

Arafat:  "Hanno deciso di tenermi prigioniero, di deportarmi o di uccidermi. No. A loro io dico che sarò un martire, un martire, un martire... E loro saranno in guerra fino al Giorno del Giudizio... e uno dei martiri [che cadono nella battaglia per Gerusalemme] vale per 40 martiri [e quindi, secondo i calcoli, avrà a disposizione 70x40=2800 vergini, n.d.t.]... Allah mi conceda il martirio in Gerusalemme, il luogo da cui il profeta Maometto è asceso al cielo, il luogo dove è nato il nostro Signore Gesù... Forse io sarò un martire, ma certamente uno dei nostri ragazzi o delle nostre ragazze sventolerà

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la bandiera della Palestina sulle mura di Gerusalemme, sopra i minareti di Gerusalemme e sulle chiese di Gerusalemme. 'Loro pensano che il giorno sia lontano, ma noi sappiamo che è imminente, e abbiamo ragione'... 'Entreranno nella moschea come se entrassero per la prima volta' [citazione dal Corano]... Questo è il cammino che ho scelto... Allah, dammi il martirio..."
    "Noi difendiamo non solo la Palestina, ma la nazione araba, e non solo i luoghi santi islamici e cristiani, ma anche tutti gli uomini di libertà e onore nel mondo. Questo è il nostro destino. Questo è un decreto divino..."
    "Noi diciamo agli Americani: 'Dovete agire! Dove state andando? Non vedete che si scuote tutto il Medio Oriente?' Io dico al nostro popolo palestinese:  'O montagne, il vento non vi scuoterà'. Io dico alla nostra nazione araba: 'Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!'".

Domanda: "Signor Presidente, Sharon ha detto nella sua conferenza stampa che lei è diventato un nemico, che lei non è un partner per la pace e che Ramallah è diventata un covo di terrorismo. Come risponde a questo?
Arafat: "Non è forse lui [Sharon] un covo di terrorismo? L'occupazione non è un covo di terrorismo? Gli aerei da guerra F-15 e F-16 non sono un covo di terrorismo? I carri armati che mi mettono sotto la sedia non sono un covo di terrorismo? Quarantasettemila palestinesi martiri e feriti in questa intifada non sono un covo di terrorismo? Distruggere le istituzioni del popolo palestinese non è un covo di terrorismo? Distruggere le fattorie del popolo palestinese non è un covo di terrorismo?..."

Domanda: "E' possibile che le forze israeliane cerchino di assassinarla?"
Arafat: "Sono più che benvenuti. Io cerco il martirio. Allah, concedimelo! Sono forse meglio che l'eroico giovane Fares Odeh? Noi cerchiamo il martirio. Noi siamo tutti ricercatori del martirio. Tutto il popolo palestinese cerca il martirio..."

Domanda: "Signor Presidente, non pensa che questa massiccia invasione delle forze di occupazione sia una risposta all'attentato di Netanya o all'iniziativa del summit arabo?"
Arafat: "No. E' una risposta al summit arabo in Beirut... all'iniziativa del Principe ereditario Abdullah... E' la risposta israeliana a tutti i tentativi di pace, perché loro non vogliono la pace. Non vogliono la pace!!! Dobbiamo ricordare queste cose. Questi elementi estremisti hanno assassinato il mio partner Yitzhak Rabin. Perché l'hanno assassiato? Perché non vogliono la pace."
    "Perché distorcono Camp David? Chiedono perché non abbiamo accettato Camp David. Dovrei concedere Gerusalemme a loro? Possiamo forse accettare una cosa simile? Ditemi voi, possiamo accettare una cosa simile?... Loro sono i saccheggiatori, gli assassini, i veri terroristi in tutto il mondo, in tutto il mondo. Noi siamo il solo popolo al mondo che si trova sotto occupazione. Noi porgiamo a loro la mano... Se questa è la risposta all'iniziativa araba, che cosa significa questo? Chi sono i terroristi? I palestinesi? Gli arabi? I musulmani? I cristiani? Siamo noi che abbiamo bombardato la statua della Vergine Maria [in Betlemme]? Tutto il mondo è stato sconvolto per il tentativo dei Talebani di distruggere la statua di Budda - e la statua di Maria non è sacra? Non è forse lei l'unica donna menzionata nel Corano? Non c'è forse un capitolo del Corano che porta il suo nome?"

Domanda: "Sharon dice che adesso c'è guerra senza confini. Come valuta questa situazione?"
Arafat: "Per Allah, io considero tutte le possibilità. Nessuno trema, nessuno si spaventa, nessuno batte in ritirata. Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!'"


Intervista con la TV egiziana

Arafat: "Vi dirò una cosa. Il mondo si è arrabbiato per quello che i Talebani hanno fatto alla statua di Budda. Ma quando loro [gli Israeliani] distruggono la statua della Vergine Maria, che è la sola donna menzionata nel Corano, nessuno al mondo dice una parola... Noi difendiamo questi luoghi sacri. Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!"

Domanda: "... Che cosa pensa di fare adesso che i carri armati sono qui a due metri...?"
Arafat: "Come a due metri?!! Mi stanno bombardando. Non sente le bombe?"

Domanda: "... Effettivamente, le sentiamo in distanza..."
Arafat: "Attaccano le posizioni all'interno del gruppo dei leader."

Domanda: "... La domanda era: che cosa pensa di fare in questa situazione. In che modo la leadership palestinese pensa di calmare la situazione?
Arafat: "Noi tutti cerchiamo il martirio. Non esiteremo e non ci tireremo indietro... Come v'ho detto: Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!"

Domanda: "Questa è una specifica risposta all'operazione Netanya?"
Arafat: "Grande! Tutto questo in risposta all'operazione Netanya?..."

Domanda: "E' evidente che la simpatia e l'entusiasmo delle strade arabe non è abbastanza. Che cosa chiede adesso ai leader arabi?"
Arafat: "Di agire nella sfera internazionale e globale con tutti i leader nel mondo per arrestare questo terrorismo internazionale e globale condotto da Sharon. Non parlatemi del terrorismo in Kandahar, non parlatemi del terrorismo dei Talebani e non parlatemi del terrorismo da nessun'altra parte. Il più importante e più pericoloso terrorismo è il terrorismo che sta operando sulla terra santa..."

Domanda: "Signor Presidente, noi seguiamo gli avvenimenti con lei e vediamo che i carri armati israeliani si stanno avvicinando... Noi siamo con lei nei nostri cuori e nelle nostre anime e preghiamo per la sua salvezza e per la salvezza del popolo palestinese."
Arafat: "Ragazzi, non auguratemi la salvezza! Pregate affinché io possa ottenere il martirio! C'è forse qualcosa di meglio che diventare martiri per la terra santa? Noi tutti cerchiamo il martirio..."


Intervista con la TV Abu Dhabi

Arafat: "Allah, concedimi il martirio in difesa dei sacri luoghi cristiani e musulmani... Noi siamo in guerra, e questo popolo sta difendendo questi santi luoghi..."
    "E' vero, lui [Sharon] ci occupa...  E' vero, lui usa tutte le armi proibite dalle leggi internazionali. E' vero, usa l'uranio arricchito, è vero, usa i gas tossici... ma noi restiamo saldi... E loro resteranno in guerra fino al Giorno del Giudizio..."

(MEMRI, Dispatch No.361, 31.03.02)



UN'EBREA ITALIANA "A CASA" IN ISRAELE


Intervista di Marilena Lualdi a Debora Fait, ebrea nata in Italia che dal '95 vive in Israele.
    
    REHOVOT - «Volete essere pacifisti? Venite qui in Israele a presidiare i supermarket... andate in bus avanti e indietro, fate una catena umana davanti ai ristoranti. Qui c'è una guerra che non dura da quando ci sono i "territori occupati". Da 55 anni ci assaltano».

    C'è amarezza, non rabbia nella voce di Deborah Fait. E' nata in Italia 58 anni fa, a Trieste. Ha conosciuto le persecuzioni: un familiare che non era riuscito a nascondersi, finì in mano ai nazisti. Non è più tornato. Deborah si è prodigata per l'Associazione Italia - Israele: «E nel '95 sono tornata a casa».

    A casa, signora Fait?
    «Sì, in Israele. Io amo l'Italia. Ma questa è la mia casa. C'è anche mio figlio, lui è venuto prima e sta facendo il dottorato qui a Rehovot, all'istituto Weizmann. Mi considero italiana. E'difficile da capire ma per la maggior parte degli ebrei non nascere in Israele significa avere due patrie».

    Si ricorda il periodo della guerra in Italia?
    «Ero troppo piccola, mi ricordo i racconti di mamma. I miei zii sono scappati a Roma, noi eravamo nascoste a Trieste... Purtroppo i nazisti hanno preso il vecchio papà di mia zia: non se n'è saputo più niente. E' finita la guerra...».

    Non l'antisemitismo.
    «No. Casomai cambiava faccia, o meglio ne aveva due. Sporco ebreo e a morte Israele. Mio figlio, il primo giorno di scuola a Bolzano, si è sentito accogliere così da un compagno: «Tu sporco ebreo». Oggi c'è odio verso Israele, anche dei cosiddetti pacifisti. Purtroppo l'Europa è culla dell'antisemitismo e dell'Olocausto.Se non si ripeterà l'Olocausto, è perché c'è Israele».

    Ma che accade in Israele?
    «Abbiamo vissuto ben cinque guerre mosse da Stati arabi e 40 anni di terrorismo, con Arafat. Sulla carta dell'Olp è scritto in modo inequivocabile che la lotta dei palestinesi è dedicata alla distruzione dello Stato di Israele. Arafat, Nobel per la pace: dice pace in inglese, jihad in arabo».

   Arafat... però i palestinesi? Non vogliono la pace?
    «Purtroppo hanno anche dirigenti corrotti, che in 40 anni non sono riusciti a costruire una casa per i campi profughi. Noi parliamo con i palestinesi. Con chiunque di loro tranne chi fa il doppio gioco. Non siamo contro il popolo, ma contro i terroristi. E a Ramallah nei giorni scorsi si sono scoperti documenti che provano il coinvolgimento di Arafat negli attentati. Il 15 settembre alcuni gruppi chiedevano soldi per attacchi, c'erano ricevute. A settembre. Quando Arafat piangeva in tv per l'attentato in America».

   Con la reazione militare e il suo isolamento non lo trasformate in eroe?
    «Sì, ma il capo della sicurezza israeliana ha risposto: non possiamo rischiare di accattivarci le simpatie del mondo e sparire. Dobbiamo difendere il nostro popolo, la nostra sopravvivenza».

    Intanto piovono le critiche. Tutti gridano a Sharon, "il sanguinario"...
    «Grazie alla macchina di propaganda palestinese. Perfetta, anche perché hanno tanti soldi per farla. A Camp David 18 mesi fa c'era Barak, non Sharon. Offrì ad Arafat il 97 per cento dei territori, la sovranità sul Monte del Tempio, su Gerusalemme Est, soldi per le strutture... Arafat ha interrotto le trattative, perché voleva mandare in Israele quattro milioni di palestinesi. Ma come, in 600 mila erano usciti nel '48, o meglio erano stati fatti uscire dagli arabi che volevano invadere Israele. Noi abbiamo solo 5 milioni di abitanti, più un milione di arabi. Vogliono che diventiamo il 22° Paese arabo».

    Si è sentito (in sordina) di un'iniziativa di musulmani a Gerusalemme Est: vogliamo restare con Israele, è una democrazia. Leggenda o vero dissenso?
    «E' vero , ma hanno paura. Se parlano, trovano i morti sul gradino di casa. A Gerusalemme Est molti tremano all'idea di finire sotto l'Autorità palestinese. Oggi hanno diritti, rappresentanti, sussidi».

    E i pacifisti?
    «C'è razzismo. Vengono in un Paese in guerra a fare i pacifisti, perché più di qualche calcio non prendono, dai soldati. Non vanno in Sudan. In India, dove sono morti in 800 in una settimana, negli scontri tra indù o musulmani. Non vengono dagli israeliani, a difenderli dagli attentati. A incoraggiarli, perché hanno paura a uscire di casa».

    Paura... lei è pentita di aver lasciato l'Italia?
    «No. Non mi muovo. Resterò qui. Anche se la Siria manderà i guerriglieri. Il conflitto si estenderà. Spero che lo vinceremo, se no...».

    Se no?
    «Non so. Se no, l'ultimo spegnerà la luce. Fisicamente. Spero nell'aiuto degli altri ebrei. Non dell'Europa, purtroppo».

    Perché?
    «Ha fatto tanti errori, il più grande, appoggiare Arafat e il terrorismo. Per il petrolio... non so. Non dico di trattarlo male, capisce? Ma se gli avesse messo un freno, forse non saremmo a questo punto».

Marilena Lualdi

(da "La Prealpina", 5 aprile 2002)



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