Notizie su Israele 103 - 9 giugno 2002


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
«Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io seminerò la casa d'Israele e la casa di Giuda di semenza d'uomini e di semenza d'animali. Avverrà che, come ho vegliato su di loro per sradicare e per demolire, per abbattere, per distruggere e per nuocere, così veglierò su di loro per costruire e per piantare», dice il SIGNORE.

(Ezechiele 31:27-28)


UN'EBREA MESSIANICA PARTECIPA ALLA GARA NAZIONALE DI QUIZ BIBLICI


La comunità messianica "Ro'e Israel" di Gerusalemme si è rallegrata per Ja'ara, la figlia di Re'ut e Amikam Tavo, che nella gara nazionale di quiz biblici ha conquistato il sesto posto. La giovane allieva è stata l'orgoglio degli ebrei messianici nel paese. Per la prima volta un'allieva cristiana ha partecipato alla gara di quiz biblici e ha raggiunto un notevole buon posto.
    Bisogna anche dire che i cinque migliori classificati provengono tutti da scuole di Stato religiose, mentre Ja'ara Tavor, come sesta, ha ottenuto il primo posto tra gli studenti di scuole di Stato non religiose. Nei quiz biblici ebrei agli allievi vengono poste domande molto difficili, il che obbliga gli studenti ad imparare il testo della Bibbia ebraica quasi a memoria.
    Se Ja'ara riuscirà il prossimo anno a classificarsi tra i primi cinque, l'ebrea messianica potrà rappresentare lo Stato d'Israele nella gara internazionale di quiz biblici. Naturalmente lei cercherà di esserci il prossimo anno. 

(Stimme aus Jerusalem, 07.06.02)



PESANTI RIMPROVERI ALL'UNIONE EUROPEA


AMBURGO - Nei suoi versamenti di denaro all'Autorità Palestinese l'Unione Europa ha trascurato fino ad ora ogni indizio di abuso degli aiuti finanziari commesso dal capo dell'OLP Yasser Arafat - questo scrive il settimanale "Die Zeit" (Amburgo). Dagli accordi di Oslo dell'autunno 1993 l'Unione Europea ha versato all'Autorità Palestinese di Arafat in tutto almeno 4,1 miliardi di euro, senza contare le donazioni di singoli paesi. Con questi aiuti economici non è stata finanziata soltanto la propaganda palestinese alla televisione, nei media e nei libri di scuola, ma sono stati anche equipaggiati i terroristi e gli attentatori con armi ed esplosivi e sono state sostenute le famiglie degli attentatori suicidi, scrive "Die Zeit". Ma è soprattutto spaventoso il fatto che la conoscenza della propaganda palestinese alla televisione e nei libri scolastici non ha provocato alcuna conseguenza nelle autorità europee, nel senso di una cessazione dei versamenti all'Autorità Palestinese.

(Israelnetz Nachrichten, 06.06.2002)



AUTISTA DI AUTOBUS SOPRAVVIVE AL QUARTO ATTENTATO


Per il sessantenne autista di autobus Michael Ariel, che nel recente attentato vicino a Meghiddo ha riportato ferite di media gravità, questo è stato il quarto attentato terroristico a cui è sopravvissuto.
    "I giovani soldati che trasporto ogni giorno tutt'a un tratto erano sparsi intorno a me e gridavano aiuto", ha raccontato Michael con le lacrime agli occhi dal suo letto d'ospedale. "Ho combattuto in tre guerre d'Israele, ma una cosa così spaventosa non l'ho mai vista in vita mia. Cercavo, come altri, di portar fuori i soldati feriti dal bus che bruciava."
    Ieri e oggi (venerdì 7) i 17 israeliani sono stati sepolti. 13 di loro erano giovani soldati. Il quotidiano israeliano Jediot Achronot ha mostrato foto di palestinesi che festeggiavano. Si trovavano in arresto nella prigione di Meghiddo distante 100 metri e attraverso la recinzione potevano osservare il bus che bruciava.

(Stimme aus Jerusalem, 07.06.02)



MADRE DI UN ASSASSINO DI CINQUE PERSONE: "IO LO SOSTENGO"


Um Nidal, la madre del diciassettenne Muhammad Farhat, che nella notte dell'8 marzo ha ucciso cinque studenti in Atzmona, ha espresso pieno orgoglio per i suoi figli al giornale saudita Al-Sharq. Ha detto che non solo lo ha incoraggiato, ma lo ha anche aiutato a fare il piano d'azione. Prima dell'attentato ha fatto una foto ricordo insieme a lui.
    Um Nidal è la madre di quattro figli, che lei ha educato alla lotta contro Israele. Il più grande, Nida, si trova molto in alto nella lista dei terroristi palestinesi ricercati. Ahmed è stato preso e adesso si trova in prigione, dove deve scontare 11 anni di arresto. Nuhmi è una guardia del corpo del capo di Hamas Scheick Jassin

(Israelische Botschaft in Berlin, 07.06.2002)



LA BOMBA DI ARMAGEDDON


Megiddo: da circa 4000 anni non è un posto qualsiasi. Di Megiddo parla il faraone Thutmosi III: lì affrontò e vinse i suoi nemici. Ma soprattutto di Megiddo si occupa un testo che tutti conosciamo, l'Apocalisse. Lì, sotto il monte di Megiddo, si affronteranno gli eserciti di Dio e quelli dell'Anticristo, lì, alla fine della vicenda umana (Apocalisse XVI, 16) il Bene e il Male combatteranno l'ultima battaglia. Il nome del Monte di Megiddo in ebraico suona Har-Mageddon. Sì, il luogo dell'ultimo attentato arabo, è la biblica Armageddon, nome che mette i brividi. D'altra parte la traduzione letterale di Har-Mageddon è Monte della Distruzione. Chissà che non sia un segnale. Di certo la zona è da sempre, con le sue sorgenti, un luogo strategico per gli eserciti. Abitata da 4 millenni, Megiddo porta le tracce di almeno 20 insediamenti umani in epoche diverse. E di tante battaglie "parziali",in attesa dell'Ultima.

(Il Mattino, 07.06.02)



VOGLIA DI RASSICURAZIONE


Un pacifismo inerme osserva l'ondata di terrorismo palestinese e il riarmo dei Paesi arabi

La pace non è un compromesso da raggiungere ad ogni costo

di Fiamma Nirenstein

    Parlare con i nostri giovani è molto bello: essi sono migliori di noi genitori in tanti sensi, molto più informati, equilibrati, poco propensi all'estremismo politico. La democrazia li ha permeati, la paura dell'antisemitismo li ha abbandonati o comunque è lieve e nascosta, il desiderio di giustizia - nel senso della realizzazione dei diritti civili di tutti - è evidente. Ma c'è dell'altro: in loro vive anche un desiderio e anzi una certezza di potere vivere in pace, una ricerca ad ogni costo del compromesso, che è tenero e un po' futile al contempo. Tante volte, e proferita con quale ansia, sento la frase, riferita al conflitto Medio Orientale, ma anche al terrorismo, anche al disprezzo islamico verso la nostra democrazia, e verso le ripetute dichiarazioni di aperta aggressività verso di noi: "Quando finirà? Cosa possiamo fare?". Ed è triste rispondere: e se non stesse per finire? E se le carte non fossero tutte nelle nostre mani, ma per fare la pace, in ogni senso, culturale e pratico, dovessimo essere in due? E se dovessimo resistere a lungo, e magari affrontare lo scontro? E se il terrorismo fosse un problema endemico alla società contemporanea, e nessuno scongiuro ma solo un'attenta e intensificata lotta valesse a sconfiggerlo, o almeno a diminuirne la portata? Non solo i ragazzi, ma nemmeno tanti adulti vogliono sentire questa triste ipotesi. Tutti vogliono sentirsi rassicurati, credere che il conflitto Medio Orientale stia per finire, che i confini del terrorismo siano delimitati, e che non scavalcheranno i confini di Gerusalemme o di New York. Così abbiamo assistito in questi giorni a due strani fenomeni: i commenti all'allarme americano per un'eventuale serie di attacchi in vista, e i commenti alla sorte dei tredici presunti terroristi della Chiesa della Natività. Nel primo caso, invece di scavare nella verità eventuale dell'ipotesi, gli europei hanno preferito giocherellare con i perché delle dichiarazioni di Bush: forse vuole distogliere l'attenzione da altri problemi politici, forse vuole coprire il tragico errore compiuto quando ha sottovalutato le informazioni che già erano in suo possesso prima dell'11 settembre, forse sta solo preparando il terreno a un attacco all'Iraq ("Dio non voglia!" hanno detto alcuni editorialisti, seguiti da acclamazioni pacificanti, scordandosi l'autentica minaccia chimico-biologica e persino atomica di Saddam). Come se il terrorismo fosse un fatto mitologico, come se le Twin Towers non ci fossero mai state, come se l'Iran non fornisse armi con l'aiuto della Siria e di altri a tutti i movimenti terroristici esistenti, come se la Libia non si stesse avviando anch'essa all'arma atomica, come se Israele non saltasse per aria ad ogni angolo, come se gli hezbollah non fossero i padroni di gran parte delle politiche libanesi... Come se...
    Ma ci sarà pure qualcosa da fare, ribadiscono gli speranzosi, e non si accorgono, per esempio, che in Israele il numero di attacchi terroristici è aumentato proprio nei periodi in cui le prospettive di pace erano migliori, che non vi è azione e reazione nel terrorismo islamico, ma una linea di continuità che ha un carattere ideologico prefissato, e che non siamo noi a causarlo, ma che si autogenera in un rifiuto totalizzante.
    Lo stesso atteggiamento speranzoso si nota nell'informazione intorno ai tredici della Basilica della Natività, tredici che già tutti si ingegnano di chiamare "militanti", "miliziani", "rifugiati", "esiliati" o quant'altro. Di loro si favoleggia come di personaggi sofferenti e nostalgici di casa, di esiliati la cui sorte forse avrebbe potuto essere quella di tornarsene al riparo delle loro famiglie (spesso potenti clan politici) a godere dello status di reduce di una legittima condizione di soldato di una guerra combattuta nella lealtà. Si descrivono le loro lettere da casa, il tedio dell'attesa, la paura della dispersione. Ma anche qui è chiaro lo scongiuro, un non voler sapere che i nostri nuovi ospiti (in particolare uno dei tre che ci toccano) hanno un curriculum ben preciso, che alcuni sono mandanti di terroristi suicidi delle Brigate di Al Aqsa e di Hamas, che hanno sparato in agguati a civili innocenti, che sono personaggi con un ruolo organizzativo nello studiare obiettivi di stragi in feste religiose, abitazioni di civili, strade di passaggio con utilitarie che portano impiegati, professionisti, mamme con bambini al lavoro o a scuola. Che insomma fanno parte di una rete forte e potente di terrorismo ideologico, generato da situazioni geopolitiche difficilmente amovibili, motivate da spinte ideologiche e religiose fortissime e autoreferenziate, che disprezzano la vita umana dei nemici e di sé stessi, che hanno una fede profonda nella vittoria, perché si credono nel giusto. E che non ci vorranno bene e ci risparmieranno dagli attentati perché siamo stati gentili con loro, ma ci considereranno parte di una macchina sfruttatrice e repressiva che li odia e li reprime, di un sistema indebolito: l'Occidente corrotto gestito da lobby di ebrei e di americani.

(Shalom, giugno 2002 )



prosegue ->

SE OGGI SI DEPONGONO LE ARMI...


Se oggi gli arabi depongono le armi, non ci sarà più violenza.
Se oggi gli ebrei depongono le armi, non ci sarà più Israele.

Il rabbino di Tai Pei


LETTERA A ISRAELE


Cara Israele,

    come stai? Prego che tu stia bene. Lo so lo so che non ti vengo mai a trovare, e che postponendo ogni anno, io invecchio e a me invecchiare fa male e tu invecchi, ma a te invecchiare fa bene. Dovrei per lo meno venire, cosi' che quando saro' ottantenne potro' dire ai miei nipotini: "Eh, l'Israele dei miei tempi...!" Innanzitutto mi scuso. Mi scuso perche' non posso fare meno di trattare i cittadini in Israele come malati all'ospedale. Gente che vorresti andare a trovare, portare arance e fiori, stringergli timidamente la mano, sedertici accanto per una mezz'oretta, provare a dire cose divertenti, lunghi blabla sul lavoro e poi andartene provando disagio allo stesso modo in cui sei venuta, pensando tra te e te, che hai probabilmente annoiato a morte il povero malato, che la coscienza ti dovrebbe prendere a calci perche' non spendi la notte a vegliare, ma allo stesso tempo ti dici che il malato stesso sarebbe imbarazzato dalla tua presenza, vuole star solo. La tua eccessiva spensieratezza lo offende, la tua energia lo rende ansioso... Hai fatto la tua parte, no? Se tutti facessero la loro piccola parte che cosa bella sarebbe, potremmo sconfiggere il male e la paura e la fame. Sarebbe un mondo d'amore... Sogni...
    Allora, eccomi qui, sono disposta a fare quello che posso, e a ricordare a me stessa ogni giorno che se non mando per esempio un e-mail al giorno mandando informazione in giro per il mondo a proposito di Israele, faccio torto a quel soldato, che chiamato alla leva non si e' tirato indietro, a quella madre che avendo cresciuto i figli, aspetta ansiosamente che il telefono squilli per sapere che stanno bene, a quella povera creatura di meno di due anni che e' andata a prendersi un gelato lo stesso giorno in cui ho gustato un gelato anch' io tranne che io sono tornata a casa e lei no...
    Ma deve esserci qualcosa di piu' che posso fare, che tutti noi uomini e donne di buona volonta', di mente sana, di alti valori possiamo fare.
    C'e' forse qulcuno che ha una buona idea da mettere in atto? Vi fornisco quelle che gia' so:
  1. comprate prodotti israeliani. Pompelmi Yaffa, sali del mar morto, vino, datteri, alcuni tipi di telefonini cellulari, costumi Gottex, Biglietti aerei El Al, gomme Bazooka, viaggi in Israele...
  2. scrivete a Bush, ai giornali, ai vostri amici, al parlamento Europeo, a Kofi Annan, al Berlusca, al Premier Britannico e a quello canadese. Firmate petizioni sull'internet, che importa se hanno solo 50 firme? Meglio soli che male accompagnati.
  3. Spronate amici e conoscenti al dialogo. E ricordate quello che ha detto Bush: "O Siete con noi o contro di noi!" Non accettate posizioni ambigue, non accettate la caratterizzazione ambigua del terrorismo, non c'e' semplicemente alcuna ragione al mondo che regga moralmente e legalmente alla strage di civili inermi.
  4. Donate soldi a Israele, al Mogen David Adom, all'IDF e se avete problemi a dare soldi ad un esercito caratterizzato da molti come assassino, ricordatevi che l'esercito potremmo essere noi se vivessimo in Israele e nessuno puo' dire che noi siamo sanguinari.
  5. Ricordate ai vostri amici le stragi contro minoranze cristiane da parte di maggioranze musulmane in Nigeria, Pakistan, Sudan... Citate quella bellissima poesia di Bertold Brecht che qui parafraso: "Quando le SS vennero per gli Ebrei, io non dissi niente, perche' non ero ebreo, quando vennero per i comunisti, non dissi niente perche' non ero comunista, quando vennero per me, non c'era rimasto nessuno che parlasse a mio favore".
  6. Pregate.
Sinceramente,

Emanuela Prister   

(Gruppo Rimon, 07.06.02)



STORIE DI ALIA'


I nuovi immigranti in un incontro virtuale con le loro famiglie in Argentina

"Pronto! Buenos Aires! Qui Gerusalemme!"

di Shimon Griver
    
Laura Simotzkin sventola con aria di sfida la sua nuova carta di identità israeliana, con palese compiacimento di suo fratello David, che si trova a Buenos Aires. La diciottenne nuova immigrata dall'Argentina è stata ferita in un attentato suicida nello scorso marzo e per reazione all'attacco terroristico ha deciso di cambiare il suo status di turista e diventare cittadina israeliana.
    La diciottenne Laura è stata una dei cinque immigranti dall'Argentina che hanno preso parte ad un collegamento video con le loro famiglie. Dal campus del Dipartimento di Educazione dell'Agenzia Ebraica a Kiryat Moriah a Gerusalemme, i nuovi immigranti non solo hanno potuto parlare con i loro parenti ed amici, ma anche con la missione dello UJC in visita a Buenos Aires.
    In seguito all'attentato all'autobus che viaggiava sull'autostada di Nahal Iron, in Galilea, l'Agenzia Ebraica ha portato in Israele i genitori da Laura, affinché potessero essere con lei all'Ospedale Ha-Emek di Afula. Alberto e Liliana, per la prima volta in Isrele, ora stanno prendendo seriamente in considerazione la possibilità di alià.
    "Quando Laura mi ha telefonato dall'ospedale, poche ore dopo l'attentato – ha ricordato Liliana – per dirmi che era stata ferita, anche se non troppo gravemente, ho cominciato a strillarle che tornasse a casa, in Argentina, immediatamente. E' stata una reazione stupida, ma ero sotto shock. Queste telefonate sono l'incubo di ogni madre. Laura è stata così coraggiosa. Mi ha detto che Israele è il suo paese e che non se ne sarebbe andata".
    Nel corso della video-conferenza, Laura ha detto a suo fratello David di essere stata ferita dalle schegge in tre punti e di essere rimasta in ospedale per tre giorni. Nell'attentato sono state uccise sette persone. In questo momento studentessa liceale nell'ambito del programma  per i nuovi immigranti Na'aleh-Zohar, Laura ha deciso di arruolarsi la prossima estate nell'esercito israeliano.
    Suo padre Alberto, che ha numerosi cugini in Israele, ha detto di aver sempre voluto fare l'alià. Commerciante di legno nella città provinciale di Concordia, in Argentina, [Alberto afferma] che in questo momento gli affari vanno talmente male, che la crisi economica in Argentina fornisce un'altra buona ragione per immigrare in Israele. Liliana, proprietaria di una piccola impresa di ristorazione specializzata in cibo casher, subisce continue perdite.
    "Ci piacerebbe molto stare in Israele – ha affermato – Ashdod ci sembra il tipo di posto dove potremmo stabilirci. Il programma è di tornare in Argentina per un anno, finché David, in nostro primogenito, finisce gli studi di psicologia all'Università di Rosario e poi fare l'alià tutti insieme".
    Andres Farhi, di 19 anni, che studia nell'ambito del programma Atid dell'Agenzia Ebraica a Kfar Saba, ha parlato via video-collegamento ad un gruppo di amici a Buenos Aires. "Qui è formidabile - ha detto – meglio di quanto mi immaginassi. Perché non venite anche voi?"
    Farhi, arrivato in Israele in gennaio, è venuto per la prima volta in Israele con il Programma Birthright nel corso del 2001, decidendo che il suo futuro era in questo paese. Parla già correntemente l'ebraico, che aveva studiato al Liceo ebraico. Ha in programma di arruolarsi durante l'estate.
    Leo Greenberg, ventitrenne di Buenos Aires, è al secondo anno di biologia all'Università Ebraica di Gerusalemme. Ha fatto l'alià nel 1999 e terminato con successo l'Ulpan in Kibbutz e il Programma TAKA di Preparazione Accademica dell'Agenzia Ebraica prima di iniziare l'Università. Il collegamento video è stata la prima occasione che ha avuto di vedere sua madre Marta, dopo il suo ultimo viaggio in Argentina la scorsa estate, e la prima volta che ha  visto sua sorella Sylvina, che vive in Spagna, da quando ha fatto l'alià.
    "Non abbiamo veramente detto molto, oltre a chiedere come stavamo tutti – ha detto Greenberg, eccitatissimo – ma vederli è stato splendido. Sono rimaste sorprese da come i miei capelli sono diventati lunghi".
    Greenberg, che ha ricevuto un addestramento militare di base, ha affermato di sentirsi più sicuro in Israele che in Argentina.
    "Frequentavo un liceo non-ebraico – ha raccontato – dove c'era un terribile antisemitismo. Sono stato picchiato molte volte e chiamato 'sporco ebreo'".
    La video-conferenza ha avuto un finale a sorpresa, quando una torta di compleanno è stata portata nella stanza, a Gerusalemme, per Alejandra Kadden, che festeggiava il suo diciottesimo compleanno.
    Alejandra è immigrata in Israele in gennaio, nell'ambito del programma Atid, a Kfar Saba. Non è stata trattenuta dalla situazione della sicurezza in Israele: "C'è tanta violenza criminale a Buenos Aires – ha detto - che avevo più paura là".
    Durante la video-conferenza ha raccontato a sua madre Isabel e ai suoi fratellini, David di 15 anni e Adrian di 12, come tutto sia meraviglioso in Israele: "Spero di riuscire a persuadere i miei fratelli a fare l'alià, quando avranno raggiunto la mia età", ha detto.

(Keren Hayesod, 06.06.02)



CAMPAGNA PER MOBILITARE I CRISTIANI A FAVORE DI ISRAELE


Una nuova campagna chiamata "Stand for Israel" si propone di mobilitare 100.000 chiese americane e un milione di cristiani per esprimere solidarietà con Israele. La campagna sarà condotta dal Rabbino Yechiel Eckstein, fondatore e presidente della "International Fellowship of Christians and Jews", e Ralph Reed, che è stato direttore esecutivo della "Christian Coalitation".
    Rabbi Eckstein, la cui associazione ha versato l'anno scorso un milione di dollari all'Agenzia Ebraica per l'inserimento degli immigranti, ha detto che "gli ebrei cominciano a capire soltanto adesso la profondità del sostegno che hanno tra i cristiani conservatori. Quando il popolo ebreo avrà pienamento capito il potenziale di questa immensa riserva di buona volontà... si vedrà crescere in modo enorme il sostegno a Israele negli Stati Uniti". Reed dice inoltre che "l'America ha sempre coltivato l'amicizia con Israele, e che i cristiani evangelici conservatori sono tra i suoi più forti sostenitori".
    La campagna "Stand for Israel" includerà anche un sito web, fax, e istruzioni per i collegamenti tra leader cristiani e rappresentanti israeliani.

(Arutz Sheva News Service, 07.06.02)


INDIRIZZI INTERNET


Jews for Jesus