Notizie su Israele 135 - 6 novembre 2002


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Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché meditano i popoli cose vane? I re della terra si danno convegno e i prìncipi congiurano insieme contro il SIGNORE e contro il suo Unto, dicendo: «Spezziamo i loro legami, e liberiamoci dalle loro catene». Colui che siede nei cieli ne riderà; il Signore si farà beffe di loro. Egli parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti: «Sono io», dirà, «che ho stabilito il mio re sopra Sion, il mio monte santo».

(Salmo 2:1-6)


LA PREPARAZIONE DI ISRAELE DI FRONTE AL PERICOLO IRACHENO


Il Primo Ministro Ariel Sharon, rivolgendosi alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset, il 28 ottobre 2002  ha detto che l'aviazione militare irachena puo' raggiungere Israele.
    Comparendo dinanzi alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset, il Primo Ministro Ariel Sharon ha ribadito che, se Israele venisse attaccato dall'Irak con armi non-convenzionali, comprese sostanze chimiche o biologiche, farà valere il proprio diritto all'autodifesa - a differenza di quanto accadde nel 1991 durante la guerra del Golfo – e non si tratterrà dal reagire. Sharon ha affermato che l'Irak è in possesso di armi biologiche e chimiche e che si stanno prendendo le misure di sicurezza necessarie, al fine di fornire una risposta a tale minaccia. Ha inoltre aggiunto che Israele riceverà dagli Stati Uniti un preavviso sufficiente a prepararsi, prima dell'attacco.


Il livello di preparazione civile e militare di Israele
1) Il Direttore Generale del Ministero della Sanità Boaz Lev ha affermato che, prima che si verifichi una possibilità di contagio, dovrebbe iniziare un'operazione di vaccinazione antivaiolosa di tutta la popolazione. Il costo di tale vaccinazione di massa si aggirerebbe fra i 10 ed i 20 milioni di Shekel (fra $2.230.000 e $ 4.460.000). In caso di esposizione al virus, il vaccino è effettivo nel 96% dei casi, a condizione, però, che venga somministrato entro quattro giorni dal momento del contagio. In questo momento vi è mancanza di anticorpi per la produzione del vaccino, perciò Lev afferma che, prima di arrivare alla vaccinazione di tutta la popolazione, si dovrà produrre una quantità sufficiente di anti-corpi. Diecimila "operatori di emergenza" sono già stati vaccinati, ed essi hanno sofferto meno del previsto degli effetti collaterali della vaccinazione. Le persone già immunizzate sono state chiamate a donare sangue, al fine di permettere la produzione di sufficienti anticorpi contro il virus.

    
Un'operatrice di Magen David Adom (Stella Rossa di Davide) viene sottoposta a una vaccinazione antivaiolosa nella sede centrale dell'organizzazione a Tel Aviv.

Il direttore del Dipartimento Medico del Ministero della Difesa ha comunicato che l'esercito israeliano intende vaccinare contro il vaiolo tutti i soldati in servizio attivo e si offre di vaccinare, su base volontaria, anche i riservisti.

2) Il Foreign Report, il Sunday Times di Londra ed il Washington Post hanno rivelato che unità di commando israeliane sono penetrate in Irak, per scoprire le basi missilistiche da cui vi è pericolo che gli iracheni tentino di lanciare un attacco contro Israele. Le fonti ufficiali israeliane hanno ovviamente rifiutato di commentare tali rapporti.

3) Il rapporto annuale del Controllore di Stato [Corte dei Conti] rivela che il paese – e specificatamente la regione di Tel Aviv – non è preparato a sostenere un attacco iracheno.
    Il Comune di Tel Aviv non sarà in grado di assicurare il rifornimento idrico ad alcune zone della città, in parte perché nel settembre 2001 è stata bloccata l'attività di due serbatoi d'emergenza, mentre un terzo serbatoio è stato chiuso nel 1998 e, malgrado la sua importanza ed il fatto che siano trascorsi tre anni, [non è stato ancora rimesso in funzione].
    Gli operatori d'emergenza non sono organizzati in modo adeguato, mentre alcune funzioni mancano totalmente di personale. Il 10% delle persone che dovrebbero svolgere funzioni di emergenza saranno arruolate dall'esercito come riservisti e non saranno quindi a disposizione della città. Inoltre, la maggioranza del personale designato non è stata adeguatamente addestrata.
    Sono state trovate gravi mancanze nella capacità della città di provvedere alloggi alternativi agli evacuati. Nell'area urbana di Tel Aviv risiedono 73.000 anziani e 35.000 disabili. Il Controllore rivela che, in caso di emergenza, la città non ha i mezzi per evacuare dalle loro case le persone anziane e che il 30% dei posti destinati dalla municipalità a servire come ripari d'emergenza sono già occupati da altri organismi. Il 45% dei ripari d'emergenza designati si trovano lontano da strutture mediche.
    La città non sarà in grado di far fronte al proprio impegno di fornire generi alimentari agli evacuati, e solo quattro delle sette aziende, con cui la municipalità ha un contratto di rifornimento di razioni d'emerganza, sono in grado di supplire alle necessità.
    Menachem Liba, direttore generale del Comune di Tel Aviv, afferma che la città è pronta e la maggioranza dei problemi segnalati dal Controllore sono stati in effetti fatti presenti dalla municiplità, essendo i risultati di un'esercitazione condotta nel 2000. Tali risultati sono stati studiati accuratamente e sono stati assegnati nuovi compiti.

4) Il capo di stato maggiore del comando del Fronte Interno, Maggior Generale [gen. di divisione] Yosef Mishlav ha affermato che il Fronte interno è pronto per affrontare un attacco. Il sistema difensivo del missile anti-missile Arrow è in grado di intercettare qualsiasi missile in arrivo. Al momento del lancio di un missile, si udrà una sirena d'allarme, accompagnata dalle parole d'ordina in codice "Muraglia di Ferro". Appena identificato in aria il missile nemico, sarà permesso di uscire dalle "stanze sigillate" a quella parte di popolazione che non ha necessità di rimanervi. Anche la popolazione è pronta. Dallo scorso 11 settembre, oltre due milioni di persone hanno rinnovato le loro maschere anti-gas.

5) Il Ministero della Pubblica Istruzione, insieme alla polizia ed alle autorità locali, ha iniziato un programma di difesa civile nelle scuole. Equipes composte da psicologi e poliziotti si sono recate nelle scuole in tutto il paese, per istruire studenti ed insegnanti sul comportamento da tenersi in caso di un attacco terroristico o in una situazione di emergenza.

6) Molte persone, che hanno ricordi inquietanti risvegliati dall'imminente minaccia irachena, stanno dando segni di ansia. Alcuni ripetono di non voler essere sepolti in una fossa comune allo Stadio Bloomfield. Sono state aperte linee telefoniche di emergenza per aiutare chiunque abbia bisogno di affrontare le proprie paure. (Yediot Aharonot, 9.10.2002).


Israele e gli
Stati Uniti
Il Congresso ha dato mano libera al Presidente Bush, circa l'uso della forza militare contro l'Irak, quando egli lo ritenga opportuno. Dennis Ross è convinto che Saddam lancerà missili a carica biologica e chimica contro Israele, mentre recenti foto scattate da un satellite americano hanno rivelato una ripresa delle attività nel luogo in cui in passato erano state prodotte armi chimiche, quali l'iprite e gas nervini. Saddam, inoltre, avrebbe dato l'ordine al suo stato maggiore di far uso di armi non-convenzionali.
    Nel corso della visita a Washington, la scorsa settimana, del Primo Ministro Ariel Sharon, il Presidente Bush ha detto: "Se l'Irak dovesse attaccare domani Israele, ritengo che il Primo Ministro reagirebbe. Gli è venuto voglia di difendersi". Un portavoce del Consiglio Nazionale della Sicurezza ha spiegato che il Presidente è convinto che Israele abbia il diritto di reagire "ad un attacco non-provocato" da parte dell'Irak. Fonti all'interno della Casa Bianca hanno espresso preoccupazioni che invece di una guerra fra l'Occidente e "le forze del Male", Saddam possa scegliere di scatenare una guerra degli Stati Arabi contro Israele.
    La stampa straniera si sta dando da fare per organizzare gli alloggi dei giornalisti e le strutture per la trasmissione negli alberghi di Tel Aviv. Hanno prenotato camere ai piani alti, che serviranno da redazioni, studi TV e qualsiasi altra cosa sia necessaria per una trasmissione diretta dall'albergo. Hanno inoltre riservato spazi sul tetto, per poter filmare comodamente i missili in arrivo. Due piani del parcheggio sotterraneo dell'Hotel Hilton sono stati trasformati in rifugi resistenti ad armi non-convenzionali.

(Keren Hayesod No. 203, 04.11.02)



GIORNALISTI PALESTINESI BOICOTTANO HAMAS


Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha deciso di boicottare Hamas in seguito ad un attacco contro giornalisti che giovedì scorso stavano riprendendo un'esplosione della bomba nella città di Gaza.
    Tre membri di Hamas sono stati uccisi nell'esplosione quando una bomba che  apparentemente stavano preparando è esplosa prematuramente. Un gran numero di attivisti e sostenitori di Hamas ha attacato i giornalisti che sono arrivati sulla scena, picchiandoli e distruggendo le loro macchine fotografiche. Gli aggressori hanno accusato i giornalisti di collaborazionismo con Israele ed hanno minacciato di ucciderli.
    Una dichiarazione pubblicata dal sindacato ha detto che l'attacco è avvenuto in presenza di importanti funzionari di Hamas. La guardia del corpo del dott. Mahmoud Zahar, un "top leader" di Hamas, ha minacciato i cineoperatori, ha agitato il suo fucile automatico e li ha costretti a consegnare le loro videocassette.
    I giornalisti appartenevano a Associated Press, Reuters, Agence France
Press e Palestine TV. Alcuni di loro sono stati presi a sassate e maltrattati dagli arrabbiati attivisti di Hamas.

"Noi consideriamo Hamas completamente responsabile dell'assalto ai giornalisti e di aver messo in serio pericolo le loro vite", si dice nella dichiarazione, che usa parole forti. "Chiediamo un'aperta e pubblica scusa di Hamas per questo attacco".

    I giornalisti locali non sono intervenuti ai funerali che sono seguiti e hanno deciso di boicottare i portavoce e i leader di Hamas.
    Sabato Hamas ha pubblicato una dichiarazione in cui si deplora l'attacco chiamandolo "uno sfortunato evento". Si dice che Hamas "apprezza altamente i giornalisti palestinesi e il loro ruolo nel trasmettere al mondo le sofferenze del popolo palestinese".
    In seguito, una stazione della radio ufficiale "Voce della Palestina" ha chiesto che vengano puniti i giornalisti che non simpatizzano con la causa palestinese.
    "Il ministro dell'informazione e della cultura dovrebbe seguire il lavoro dei giornalisti che cercano di danneggiare la nostra patria, il nostro popolo e il nostro programma nazionale. Questi giornalisti sfruttano il libero accesso a loro permesso per diffondere il loro odio e la loro ostilità contro il nostro popolo", ha detto Yusef al-Kazaz.

(ICEJ New Service from Jerusalem, 04.11.02)

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NOTA - Non risulta che i giornalisti palestinesi abbiano mai protestato o scritto articoli di denuncia contro la pratica "ufficiale" di Hamas degli attentati suicidi contro Israele. Hanno detto che le loro vite sono state messe "in serio pericolo" dagli attivisti di Hamas, ma molte altre vite sono già state stroncate da quella "onorevole" associazione. M.C.



ANTISEMITISMO DILAGANTE


Il ritorno dell´ebreo cattivo

di Fiamma Nirenstein

Era certo già abbastanza ripugnante trovare da anni nella traduzione araba in Giordania, in Egitto, presso i palestinesi, in Siria e un po' ovunque negli Stati del Medio Oriente I Protocolli dei savi di Sion, il libello dei tempi zaristi che descrive gli ebrei come un odioso gruppo devoto alla congiura per la conquista del mondo. Come è noto fu usato dal nazismo e da tutte le ideologie di estrema destra per giustificare l'antisemitismo liquidazionista: il libretto in arabo era ripugnante e stupefacente - ma nel mondo arabo pubblicisti, giornalisti, intellettuali in genere (al contrario che in Occidente, dove hanno sempre annoverato nelle loro file coraggiosi pacifisti) sono i più eccitati anti-israeliani e antisemiti.
    Adesso dalla pagina stampata siamo giunti alla fiction: un canale della tv egiziana, trasmetterà durante i giorni di Ramadan, quindi a partire dalla seconda settimana di novembre, 41 puntate di questo pilastro dell'odio, uno per sera, nelle ore in cui la gente torna a casa, digiuna e si raggruppa davanti al televisore. Il serial narra come una cospirazione intessuta di sangue innocente spillato dagli ebrei, la storia mediorentale fra il 1855 e il 1917. Il canale «Dream TV» è una delle due reti non statali, ma il portavoce del governo Nail Osman dice che Cavaliere senza cavallo, questo è il titolo, non viola le leggi egiziane che proibiscono i programmi porno o offendono la religione. Gli Stati Uniti hanno compiuto passi diplomatici per fermare lo scempio, noi europei, che abbiamo sull'anima la Shoah, niente: e sì che ha funzionato con l'Arabia, quando nel marzo di quest'anno un quotidiano saudita pubblicò una storia in cui si spiegava come sia abitudine ebraica usare il sangue dei gentili per confezionare le azzime di Pasqua. Il direttore, dopo le pressioni americane, si rimangiò le accuse.
    Ma la verità è che la diga si è ormai spalancata: il maggiore argomento delle cronache della Fiera Internazionale del Libro di Damasco è il libro del ministro della Difesa Siriano Mustafa Tlas, otto edizioni, un successone. Il titolo: L'azzima di Sion. Il tema: un'altra versione araba del mito medievale antisemita. Nelle prediche del venerdì, nelle moschee, gli ebrei vengono regolarmente definiti «figli di cani e di scimmie»: la loro immagine viene disumanizzata, l'incitamento a ucciderli «ovunque si trovino» motivato ontologicamente: l'ebreo secondo la vulgata, come si è visto nella vicenda israelo-palestinese, è cattivo; trama per impossessarsi prima del Medio Oriente, poi del mondo;

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deve essere estirpato. L'intrigo ebraico, le organizzazioni segrete, fra cui anche il Rotary Club e la massoneria sono visti, per esempio nella propaganda di Hamas, come strumenti di penetrazione «per distruggere la cultura e impossessarsi dei media» così da «diffondere la malvagità ebraica». La negazione dell'Olocausto, molto praticata con convegni e scritti, e la convinzione che gli ebrei se lo siano inventato come cinico strumento di potere, sono ormai senso comune.
Sul giornale Al-Hayat al-Jadida, controllato dall'Autorita' Palestinese, il 17 ottobre gli Stati Uniti venivano definiti "il nemico delle aspirazioni democratiche dei popoli arabi". Lo stesso giorno il     E qui dovremmo purtroppo affrontare anche il capitolo dell'Europa, in cui l'interpretazione irrazionale e unilaterale del conflitto mediorientale suggerisce un'idea di colpevolezza intrinseca a Israele, che si contagia all'idea di ebreo, e viceversa: tutti gli stilemi classici dell'antisemitismo sono ormai patrimonio del 21 per cento della popolazione europea, che «alberga vedute fortemente antisemite», secondo una recentissima ricerca dell'Anti Diffamation League. L'Italia occupa un posto ragguardevole, anzi supera di un punto la media europea; nelle varie convinzioni classicamente antisemite è quasi sempre seconda in classifica dopo la Spagna. Per esempio gli italiani sono per il 58 per cento certi che gli ebrei italiani siano fedeli a Israele più che al loro paese, e per il 27 per cento pensano che questo si accompagni al fatto che siano disposti all'uso di pratiche segrete per ottenere quello che vogliono. Per il 43 per cento, poi, ritengono che gli ebrei parlino troppo dell'Olocausto.
    Tutto è già avvenuto, ed è come se non lo fosse. Autocrazie alla ricerca di un capro espiatorio, gli ebrei, e intorno democrazie spaventate, che invece di reagire a questa politica la circondarono con il velo pietoso dell´appeasement. Nelle settimane scorse, a Milano, durante la festa delle capanne, un corteo che avrebbe dovuto soltanto sostenere la causa palestinese ha attraversato una piazza dove era eretta una Succà, la capanna tradizionale: le autorità hanno chiesto agli ebrei di rimuoverla e togliersi la kippà. L'irrazionalità e il cinismo si incontrano a uno dei loro consueti appuntamenti, nell'imminenza dell'eventuale guerra americana contro Saddam Hussein: la Finlandia si è rifiutata di vendere a Israele quelli che sono considerati i migliori kit per l'individuazione di gas e materiali venefici. Erkki Tuominioija, il ministro degli Esteri finlandese, lo ha spiegato dicendosi «affranto per la politica di oppressione, subordinazione, impoverimento inflitta da Israele ai palestinesi». Di conseguenza, punisce Israele negandogli i kit di difesa contro le armi chimico-biologiche di Saddam Hussein, e dopo che nell'esperienza di Israele non mancano i missili iracheni. Una logica che sostituisce la critica politica con il cinismo e l'odio esteso a un intero popolo. Si chiama punizione collettiva.

(La Stampa, 3 novembre 2002)



L'ONU, L'IRAQ E ISRAELE


Parallelismi impropri. I diversi compiti di Assemblea
e Consiglio dell'Onu.


di Marco Paganoni

L'ONU non può trattare Israele come l'Iraq. Breve storia di un abbaglio caro alla sinistra. Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza non impongono alcun obbligo "senza condizioni" a Tel Aviv.

L'argomento seduce e sembra ineccepibile: perché la comunità internazionale non usa la forza per costringere Israele a rispettare le risoluzioni dell'Onu così come usa la forza per costringere l'Iraq? E' un parallelo suggestivo, che tuttavia non regge né sul piano giuridico né su quello politico, come sanno bene coloro che si occupano della cosa professionalmente.
    La prima distinzione fondamentale è quella tra Assemblea generale e Consiglio di sicurezza. Come si può leggere nella stessa presentazione che l'Onu offre di sé(www.un.org), l'Assemblea generale «non ha alcun potere vincolante sull'azione dei governi». Viceversa il Consiglio di sicurezza, cioè l'organismo cui la Carta dell'Onu demanda il compito specifico di preservare la pace e la sicurezza nel mondo, «può ricorrere a misure speciali per garantire il rispetto delle sue decisioni». Innanzitutto, quindi, bisogna sgomberare il campo da questo equivoco. Israele, come qualunque altro paese, non è tenuto ad applicare le risoluzioni dell'Assemblea generale per il solo fatto di essere membro dell'Onu. D'altronde, nessuno stato accetterebbe di far parte dell'Onu se non vi fosse questa clausola. Il meccanismo "uno stato - un voto" che governa l'Assemblea, infatti, non dà alcuna garanzia che essa non approvi risoluzioni assurde e inapplicabili. La sua storia, anzi, dimostra esattamente il contrario.
    La seconda distinzione riguarda le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Anche queste non sono tutte uguali: vi sono quelle approvate sulla base del capitolo 6 della Carta delle Nazioni unite e quelle approvate sulla base del capitolo 7.
    Il capitolo 6 si intitola: "Composizione pacifica dei conflitti" e afferma (art. 33) che «le parti in causa in un conflitto […] dovranno, prima di tutto, cercare una soluzione attraverso il negoziato, l'analisi, la riflessione, la conciliazione, l'arbitrato, il patteggiamento giudiziale, ricorrendo a enti di concordato regionali o altri mezzi pacifici di loro scelta». Dunque, quando il Consiglio vota sulla base del capitolo 6 è come se dicesse agli stati in guerra fra loro: «Dovete negoziare per comporre il vostro conflitto e dovete farlo sulla base delle linee che vi indico». Gli stati che accettano di negoziare rispettano la risoluzione, quelli che non accettano di negoziare violano la risoluzione.
    Il capitolo 7, invece, si intitola: "Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di aggressione". Gli articoli di questo capitolo conferiscono al Consiglio la responsabilità di individuare le minacce alla pace mondiale e gli danno facoltà di promulgare risoluzioni con valore esecutivo e vincolante, autorizzando la comunità internazionale a ricorrere a varie forme di coercizione per ottenere la loro applicazione, dalle sanzioni fino all'uso della forza militare. Quando il Consiglio vota sulla base del capitolo 7 è come se dicesse a uno stato: «Il tuo comportamento vìola i principi della Carta e mette in pericolo la pace del mondo: o ti adegui a quanto ti dico di fare, o interveniamo con la forza».
    Tutte le risoluzioni rilevanti del Consiglio riguardanti Israele e i vicini arabi sono state approvate sulla base del capitolo 6 della Carta. Viceversa, le risoluzioni riguardanti l'aggressione dell'Iraq al Kuwait nel 1990 e quelle successive sul disarmo dell'Iraq sono state approvate sulla base del capitolo 7. Non si tratta di una distinzione formale. Essa riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un caso, infatti, il Consiglio di sicurezza individua nel regime iracheno e nei suoi comportamenti una minaccia alla stabilità e alla pace mondiale. Pertanto il minimo che il Consiglio possa fare è esigere da quel regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla forza.
    Nell'altro caso, invece, il Consiglio di sicurezza deve promuovere la composizione di un conflitto arabo-israeliano pluri-decennale che vede coinvolte più parti, ognuna con le proprie responsabilità. Pertanto non avrebbe alcun senso "imporre" in modo coercitivo a una parte soltanto determinati comportamenti. Ciò che il Consiglio può fare è esortare tutte le parti in causa (e sono molte) a negoziare fra loro la composizione del conflitto.
    E infatti, tutte le risoluzioni rilevanti del Consiglio di sicurezza dell'Onu che chiamano in causa Israele formulano anche contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe. In altri termini, nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza impone a Israele alcun obbligo "senza condizioni", ma sempre e soltanto nel quadro di impegni reciproci da parte dei suoi avversari. E ciò per la ovvia considerazione che la pace in Medio oriente non può essere fatta da una parte soltanto.
    Così, la risoluzione 242 (1967) chiedeva a Israele di ritirarsi purché da parte degli altri stati della regione vi fosse il riconoscimento della sovranità, integrità territoriale e indipendenza di Israele entro confini sicuri e la fine di ogni pretesa o stato di belligeranza. La 425 (1978) chiedeva a Israele di ritirarsi dal Libano meridionale purché venisse ripristinata la sovranità di Beirut su tutto il territorio libanese e garantita la calma al confine fra i due paesi. Le risoluzioni 1397, 1402 e 1435 del 2002 chiedono a Israele di ritirarsi dalle zone A dell'Autorità palestinese purché da parte palestinese vi sia la cessazione immediata di ogni atto di violenza, terrorismo, provocazione e istigazione.
    In applicazione della 242, Israele ha negoziato e firmato accordi con i soli vicini arabi disposti a fare altrettanto: l'Egitto nel 1978-79, la Giordania nel 1994, le rappresentanze palestinesi nel periodo 1993-1999. Andando persino oltre quanto era tenuto a fare, Israele ha applicato la risoluzione 425 in modo unilaterale ritirandosi dal Libano meridionale nel maggio 2000 senza che da parte libanese e siriana vi fosse il minimo impegno a rispettare le risoluzioni e garantire la pace. Alla fine di settembre Israele ha tolto l'assedio al quartier generale di Arafat a Ramallah senza che l'Autorità palestinese si impegnasse non già a far cessare ogni atto di violenza e istigazione, ma nemmeno ad arrestare quei venti o trenta ricercati per terrorismo che vi si erano asserragliati sotto la protezione di Arafat. Dunque la comunità internazionale ha da esercitare pressioni in molte direzioni il giorno che decidesse di far rispettare sul serio le risoluzioni Onu sul conflitto arabo-israeliano.
   
(il Riformista, 26,10,02)

   

IN FRANCIA QUALCUNO SI OPPONE AL BOICOTTAGGIO CONTRO ISRAELE


Parlamentari francesi invitano la giustizia a intervenire contro il boicottaggio dei prodotti israeliani

Sotto il titolo "Boicottaggio scandaloso", Le Figaro dell'1 novembre 2002 ha pubblicato l'appello di alcuni parlamentari francesi, indirizzato al Guardasigilli, affinché applichi i rigori della legge ai fautori del richiamo al boicottaggio. Ecco il testo dell'appello:

«Il boicottaggio dei prodotti israeliani e delle società accusate di sionismo o di collaborazione con Israele (la cui lista infame è ormai pubblica, come marchiata da una stella gialla economica), lanciato l'estate scorsa nel nostro paese da diverse personalità e associazioni, deve provocare una legittima reazione.
    Poco efficace in generale sul piano economico, la pratica insidiosa consistente nell'utilizzare il boicottaggio contro certi settori economici commerciali mondiali in nome dei diritti dell'uomo non ha senso. Si tratta in realtà di un effetto economico e politico controproducente, perché in nome della solidarietà, il procedimento contribuisce di fatto ad aumentare ancor di più le difficoltà di una regione del mondo già percorsa dalla violenza e dal terrorismo, aggravando così le condizioni di vita economiche di coloro, israeliani e palestinesi, che si fa finta di difendere.
    Non avremmo sottolineato questa classica manipolazione se non avesse costituito un'altra occasione di rafforzamento delle idee razziste e antisemite di cui la Francia non riesce a sbarazzarsi. Si può non essere d'accordo con la politica dello Stato d'Israele, ma l'amalgama tra Sharon, Israele, gli ebrei e il capitalismo internazionale ha delle consonanze troppo forti per lasciare che si sviluppino impunemente.
    Il governo attuale ha deciso di reagire contro la deriva razzista e antisemita che percorre la Francia dal ritorno dell'intifada. E' per questa ragione che noi, parlamentari dell'UMP e dell'UDF, chiediamo con fermezza al ministro della Giustizia, il Guardasigilli, di applicare in tutto il suo rigore la legge francese sulla pratica e l'appello al boicottaggio (articolo 225-2, 2° del Codice Penale, articolo 23 della Legge del 29 luglio 1881).
    Chiediamo che la Cancelleria provochi l'azione pubblica dei Procuratori Generali contro le persone e le associazioni, quale che sia la loro notorietà, che sono all'origine di questo boicottaggio che favorisce l'odio: nessuna tolleranza può essere ammessa contro coloro che sono avversari della tolleranza.»

(segnalato da Réinfo-Israël.com, 03.11.02)



I SERMONI RELIGIOSI DELL'AUTORITA' PALESTINESE


"Gli Ebrei sono scimmie e maiali, presuntuosi, arroganti, sleali e traditori, e saranno torturati nel Giorno del Giudizio"

di Itamar Marcus
   
    Questo sermone del venerdì sulla TV ufficiale palestinese è indicativo di uno dei più disgustosi aspetti dell'ideologia dell'Autorità Palestinese, del suo virulento razzismo e antisemitismo. Secondo l'ideologia religiosa dell'Autorità Palestinese, l'essenza degli Ebrei racchiude numerosi mali, come segue:
    "Allah li descrive (gli Ebrei) nel suo Libro, caratterizzati da presunzione, orgoglio, arroganza, violenza, slealtà e tradimento... imbroglio e astuzia... per i quali Allah li ha trasformati in scimmie e maiali."
    Essi sono colpevoli di "impostura, complotto e tradimento, e terrorismo ideologico..." e sono i "maledetti nemici di Allah; maledetti e stramaledetti fino al Giorno del Giudizio."
    Il comportamento degli Ebrei, insegnano essi, è stato sempre malefico:
    "Essi bramavano (la roba altrui) e tutt'oggi la desiderano. Uccidevano e ancora uccidono. Tradivano un tempo e tradiscono adesso. Sangue spargevano e sangue spargono... Hanno un unico denominatore comune: ostilità per l'Islam e per i Musulmani, ostilità per i portatori della verità... Dobbiamo conoscere la situazione reale ed essere in guardia, poiché il nostro nemico non distingue fra potente e dipendente, fra grande e piccolo, fra vecchio e neonato."
    Pertanto i Musulmani hanno un ruolo speciale per tormentare gli Ebrei:
    " Noi combatteremo la nostra Jihad contro di loro... Allah ama coloro che combattono per Lui...
    Oh servitori di Allah, siate voi coloro per mezzo dei quali Allah tortura gli Ebrei con i peggiori tormenti."
    Il futuro degli Ebrei è stato deciso per l'ultima punizione:
    "[Allah] non li risusciterà fino al Giorno del Giudizio e allora li torturerà con le più atroci torture."
Il razzismo palestinese è particolarmente pericoloso perché dipinto come il volere di Allah. In questo modo, l'odio per gli Ebrei non solo riceve il sigillo dell'approvazione divina, ma è anche trasformato in pratica religiosa obbligatoria. Un musulmano palestinese religioso, praticamente l'intera popolazione, è così messo di fronte all'obbligo di odiare gli Ebrei e di combatterli per non andare contro il volere di Allah.
   
(Palestinian Media Watch Bulletin, 04.11.02)



INDIRIZZI INTERNET


Unione delle Comunità Ebraiche