Notizie su Israele 137 - 11 novembre 2002
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«Quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è caduta, ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò com'era nei giorni antichi, affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio nome», dice il SIGNORE che farà questo. «Ecco, vengono i giorni», dice il SIGNORE, «in cui l'aratore s'incontrerà con il mietitore, e chi pigia l'uva con chi getta il seme; quando i monti stilleranno mosto e tutti i colli si scioglieranno. Io libererò dall'esilio il mio popolo, Israele; essi ricostruiranno le città desolate e le abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne mangeranno i frutti. (Amos 9:11-14) CAVALLI DI BATTAGLIA DELL'ANTISEMITISMO In onda i vecchi pregiudizi antisionisti di Dimitri Buffa "Da oggi [6 novembre] la tv privata egiziana metterà a repentaglio i già non facili rapporti tra Egitto e Israele con la messa in onda di un serial televisivo che andrà in video per tutto il mese di Ramadan e che si basa sul falso storico dei famigerati "Protocolli dei savi di Sion". Un falso creato dall'Okrana, la polizia segreta dello zar, per screditare gli ebrei russi. Si chiamerà "Cavaliere senza cavallo" e già le dichiarazioni degli autori e del produttore televisivo non lasciano presagire nulla di buono. Dice ad esempio Muhammad Sobhi, co-autore e attore : "Il Sionismo esiste e ha controllato il mondo fin dall'alba della storia." Gli fa eco Muhammad Baghdadi, co-autore: "... l'entità sionista è stata impiantata in Palestina e nel mondo arabo." Ma chi precisa il target è Hala Sarhan, vice presidente della Dream TV (Telesogno egiziana, ndr), produttore di Cavaliere senza cavallo : "In un certo senso, non dominano ... essi vogliono controllare." Da ieri è quindi partita una petizione appello del centro Simon Wiesenthal al governo egiziano perchè blocchi la messa in onda del serial tv che non farebbe altro che contribuire all'anti ebraismo innato in larghi strati delle popolazioni arabe, anche di quelle considerate moderate come la egiziana. Per la cronaca, risale all'8 maggio 1920 la prima traccia di questi "Protocolli", quando il Times di Londra pubblicò un articolo in cui dava un ampio resoconto del contenuto del libello, annunciando che era stato pubblicato a Tsarkoye Selo, in Russia, nel 1905 dal Prof. Serghei Alexandrovich Nylus e che la biblioteca del British Museum ne possedeva una copia con il timbro di entrata del 10 agosto 1906, nº 3926/D/17. Di cosa parlano? Di un immaginario complotto di 72 savi ebrei decisi a impadronirsi del mondo con l'inganno e il potere economico. Cavalli di battaglia dell'antisemitismo già visti nella Germania nazista." (Libero, 06.11.02 - ripreso da Informazione corretta) "I PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION" E "MEIN KAMPF" di Marcello Cicchese La signora Hadasseh Ben-Itto, giudice distrettuale presso il tribunale di Tel Aviv, nel 1975 faceva parte della delegazione israeliana all'Onu. In una delle sedute del consiglio, un delegato russo, in uno dei suoi soliti attacchi contro Israele citò i Protocolli dei Savi anziani di Sion. Un delegato latinoamericano, sorpreso dal fatto che Ben-Itto non reagiva, le si avvicinò e le disse: «Voi ebrei dovete imparare dal passato. A suo tempo avete ignorato il Mein Kampf di Hitler. Non vi è lecito ignorare gli scritti infamanti antisemiti e, cosa ancora più importante, prendete troppo alla leggera un libello oltraggioso come i Protocolli, che parla di una cospirazione criminale ebraica per il dominio del mondo". Da quel momento Ben-Itto cominciò ad osservare più attentamente questa realtà ed effettivamente si rese conto che gli ebrei, in generale, danno ben poca importanza a questo pamphlet. «Ma come si fa a prendere sul serio una robaccia del genere?» risponde di solito l'ebreo comune quando gli parlano dei Protocolli. «Come si fa a credere che stiamo cospirando per impadronirci del mondo?» Sul piano della razionalità e della verosimiglianza, effettivamente le cose stanno così. Sul piano dell'autenticità poi, i Protocolli sono un falso che più falso non si può, come ormai è stato dimostrato innumerevoli volte da tutte le parti. Quando si legge un saggio (serio) su questo argomento, si può essere soltanto curiosi di sapere quali nuove prove porterà per confermarne la falsità. La conseguenza è che la maggior parte degli ebrei non li ha mai letti. In Israele, ha detto qualcuno che ci vive, quando si parla dei Protocolli si tende a fare delle battute. Si nomina qualche miliardario ebreo americano e poi si dice: «Quello dev'essere uno dei savi di Sion!» Ma un simile atteggiamento di superiore condiscendenza può anche essere fatale, perché si sopravvaluta la forza della razionalità e non si tiene conto del fatto che l'irrazionalità,misteriosa e appassionata, può essere egregiamente usata dalla menzogna per muovere fatti e persone, soprattutto quando queste ultime trovano gustosa la menzogna e hanno una grande voglia di prenderla per vera. Il fatto che i Protocolli si fossero rivelati quasi subito come un falso clamoroso non impedì affatto a Hitler di usarli come arma di propaganda antiebraica nella Germania nazista. Nel suo Mein Kampf scrive:
Queste parole sono state scritte prima che Hitler prendesse il potere, e quindi a quel tempo si sarebbe potuto sorridere della goffa e viscerale rabbia di quel presuntuoso antisemitello di provincia. La realtà però si è rivelata ben più tragica. Non sono stati certo i Protocolli di Sion a generare l'antisemitismo, ma certamente sono serviti come arma efficace nelle mani di chi voleva diffonderlo. Oggi si può sorridere su una televisione egiziana che intrattiene i suoi ascoltatori con "simili sciocchezze", ma quale sarà la tragedia che spegnerà questo sorriso? L'argomento dell'inautenticità non rende affatto meno pericoloso il pamphlet antisemita. La prefazione alla versione italiana del 1921 concludeva sbrigativamente il dibattito sull'autenticità del documento con queste parole:
Nel 1991 la signora Hadasseh Ben-Itto sorprese amici e colleghi annunciando di voler lasciare anticipatamente la sua professione di giudice. Motivo: dedicarsi interamente alle ricerche e agli studi necessari per scrivere un libro contro i Protocolli dei Savi di Sion. Lo scopo non era solo quello di confutarli, ma anche di aprire gli occhi a coloro che non vi attribuiscono alcuna importanza. Si era resa conto che il non contrastare quel pamphlet significava permettere all'idea di una cospirazione mondiale ebraica di farsi strada anche tra persone culturalmente non sprovvedute, anche tra chi non è pregiudizialmente antisemita. Una notizia interessante viene riportata da Ben-Itto. Shimon Peres, premio Nobel per la pace, noto in tutto il mondo come una "colomba", ha scritto un libro: "The New Middle-East". Il libro è stato diffuso anche in Egitto, ma con la seguente postilla:
Tutti conoscono i guai che possono provocare i Protocolli, tranne gli ebrei, che non prendono in considerazione il tema e spesso lo minimizzano. Ho perfino sentito dire da dei politici che i Protocolli sono una cosa buona perché così gli altri penseranno che siamo forti e ci rispetteranno. I Protocolli sono disponibili in quasi tutte le lingue del mondo, tranne una: l'ebraico. Non ci interessa quello che scrivono di noi le persone?» --------------- Fonti: Bote neues Israel, nr 129, 1998. Jerusalem Post, 29.5.1998. Klaus Mosche Pülz, Antisemitismus gestern und heute, Hänssler- Verlag 2000. Note:
IL NUOVO ANTISEMITISMO ARABO Due libelli, una escalation di Eliahu Salpeter Nonostante le proteste dei movimenti ebraici di tutto il mondo occidentale, la televisione egiziana ha annunciato che durante il prossimo mese di ramadan, mandera' in onda la serie televisiva in 14 puntate intitolato "Un cavaliere senza cavallo". La serie e' basata sui "Protocolli dei savi di Sion", il libello antisemita del 1905 distribuito dalla polizia segreta dello zar russo Nicola II, che descrive un complotto ebraico per la conquista del mondo. La serie narra gli sforzi di un giornalista egiziano per "scoprire la verita'" dei Protocolli e, il produttore dice, il protagonista scopre un "complotto sionista per conquistare la palestina". Sara' una coincidenza, ma il pezzo forte della fiera internazionale del libro di Damasco e' un libro scritto dal Ministro della Difesa siriano Mustafa Tlas. Il libro, "La matza di Sion", che e' arrivato all'ottava ristampa, e' la versione araba del libello cristiano medievale del sangue: gli ebrei usano il sangue di un bambino musulmano per preparare le focacce per Pasqua. La comparsa dei due libelli e il fatto che i governi arabi li stiano diffondendo sono indicatori di una pericolosa escalation dell'antisemitismo nel mondo arabo. Le organizzazioni ebraiche sono sempre piu' preoccupate perche' anche paesi che respingono il fondamentamentalismo islamico stanno promuovendo l'antisemitismo, compresi gli stati reazionari come l'Arabia Saudita. Il fenomeno mette in evidenza i cambiamenti subiti dall'antisemitismo arabo negli ultimi anni. Tradizionalmente, l'islam credeva nella coesistenza con gli ebrei, la cui religione, a differenza di quella cristiana, non era considerata un rivale pericoloso per l'islam. L'islam attribuiva uno status inferiore all'ebraismo, che il profeta Maometto considerava una religione monoteistica che precedette la sua fede. L'antisemitismo arabo e musulmano e' collegato alla lotta contro il sionismo nella terra di Israele, e recentemente ha subito un cambiamento "reazionario". Negli ultimi anni, l'antisemitismo arabo moderno prendeva spunto dall'antisemitismo cristiano e dal razzismo europeo. Ora, con lo scoppio del fondamentalismo musulmano, l'antisemitismo arabo ha riscoperto il corano. Gli ebrei non sono piu' un popolo inferiore che deve essere tenuto in una condizione subordinata e le cui vite vanno protette; sono nemici dell'islam che vanno annientati. L'antisemitismo islamico sta quindi diventando un antisemitismo "di sterminio", come quello dell'epoca nazista. Il risultato e' il paradosso per cui gli unici compagni in questo tipo di antisemitismo sono gli europei cristiani neonazisti e razzisti. Che sono gli stessi gruppi i cui hooligans organizzano le aggressioni contro gli immigrati musulmani. Il radicale ritorno al fondamentalismo islamico e' descritto dalle ricerche del Dott. Meir Litvak nella relazione del 2002 del "Centro Internazionale per lo studio dell'antisemitismo Vidal Sassoon" dell'Universita' Ebraica di Gerusalemme. Litvak sottolinea, fra le altre cose, che "Sionismo", "Israele" ed "ebrei" vengono usati in modo interscambiabile dagli arabi, non solo per scopi propagandistici, per dimostrare che non sono antisemiti, ma anche per motivi ideologici. Vedono il sionismo e lo Stato d'Israele come la moderna incarnazione dell'ebraismo, che, sostengono, era il nemico giurato del profeta Maometto. "La centralita' del conflitto arabo israeliano nelle vite dei palestinesi ha fatto diventare l'antisemitismo ancora piu' influente nella dottrina di Hamas - il movimento islamico adesso ritiene la lotta contro Israele e gli ebrei come una parte della piu' vasta lotta fra la cultura islamica e la cultura occidentale" Litvak ha notato che ci sono molti concetti che la propaganda di Hamas ha preso dai "Protocolli dei savi di Sion", riguardo al mondo dei media e alla fondazione di "organizzazioni segrete" come il "Rotary Club" o il "Free Masons" allo scopo di "distruggere la cultura" e "disseminare la vilta' ebraica". Sotto molti aspetti, il nuovo antisemitismo islamico e' piu' pericoloso dei suoi predecessori perche' esprime una potenza ideologica. Deriva da una profonda convinzione popolare ed e' meno soggetta ai cambiamenti politici come gli accordi di pace. Recentemente, e' emerso un nuovo sviluppo nell'antisemitismo islamico - una combinazione dell'ideologia dei movimenti di antiglobalizzazione occidentale e odio per gli ebrei. "Molti scrittori arabi e musulmani vedono la globalizzazione come una minaccia per la cultura e l'identita' araba e temono che questa fara' aumentare il controllo occidentale sulle loro economie e ordinamenti politici". Associando la globalizzazione con "le congiure ebraiche" diventa facile per gli arabi spiegare la propria arretratezza economica, tecnologica e scientifica", conclude Litvak. La ricca e fondamentalista Arabia Saudita, il terreno su cui e' cresciuto Osama Bin Laden e il suo movimento, e' un focolaio di antisemitismo islamico, che spesso influenza l'Egitto, la Siria ed altri Stati arabi "progressisti". La televisione e i giornali sauditi incitano ad uccidere gli ebrei, cosa che fa infuriare in modo particolare gli ebrei americani, ai quali l'Arabia Saudita viene presentata come un fedele alleato. L'antisemitismo saudita e la sua arretratezza sociale hanno ricevuto maggior risalto dai media dall'attacco terroristico alle Twin Towers di settembre dell'anno scorso. I sauditi, da parte loro, attribuiscono questo crescente criticismo all'influenza ebraica. "Basta guardare il numero dei membri del Congresso che indossano il copricapo ebraico per spiegare le accuse che vengono rivolte contro di noi" ha dichiarato il Ministro della Difesa saudita (padre dell'ambasciatore dell'Arabia Saudita negli Stati Uniti) in un'intervista con un giornale arabo londinese. Gli arabi continuano a considerare l'olocausto e il senso di colpa che ne deriva come una delle ragioni prinicipali della nascita dello Stato di Israele. La negazione dell'olocausto e' una delle caratteristiche dell'antisemitismo arabo, che viene regolarmente ripetuta dai media arabi ufficiali. Ci sono anche altre ragioni: gli arabi sanno che il senso di colpa e' uno dei motivi per cui l'occidente sostiene Israele. Sono consapevoli del grande impatto che il ricordo dell'olocausto ha sull'identita' ebraica della diaspora e sul supporto della diaspora per lo Stato Ebraico. Gli arabi sanno che l'olocausto e' l'argomento piu' sensibile per gli ebrei e che puo' essere usato per colpire sia i sionisti che i non sionisti. Gli ebrei si sentono fisicamente minacciati dal terrorismo dei fondamentalisti musulmani. Chiedono alle autorita' locali di proteggere le loro vite e le loro istituzioni. D'altra parte, molti si aspettano anche che Israele reagisca con cautela, in modo che non aumentino il sostegno per la minoranza musulmana nei media internazionali e la critica dal pubblico cristiano. Ci sono degli intellettuali arabi che capiscono ed apprezzano il valore del supporto dei loro colleghi ebrei occidentali e liberali alla causa palestinese. Comunque, i fondamentalisti islamici non fanno distinzioni fra "ebrei buoni" ed "ebrei cattivi". L'antisemitismo dei fondamentalisti e' rivolto ad entrambi. (Ha'aretz, 11.11.02 - ricevuto da Yosef Tiles) LA PRIMA INTERVISTA A SADDAM HUSSEIN IN DODICI ANNI Il settimanale di opposizione egiziano Al-Usbou' ha pubblicato un'intervista a Saddam Hussein. Secondo l'Al-Usbou', che ha un orientamento pan-arabo molto forte, questa è stata la prima intervista concessa da Saddam a qualsiasi media negli ultimi 12 anni (1). In una lunga prefazione, Sayyid Nassar, il giornalista dell'Al-Usbou' che ha fatto l'intervista, ha precisato: "Non tutto quello che un giornalista sente viene riferito; egli riferisce ciò che viene consentito e che non danneggi la sicurezza araba nazionale. Quindi, mi scuso con i lettori per non aver riferito parte dell'intervista". Ecco il testo: "Noi non chiediamo ai leader arabi più di quello che possono darci" Nassar: "Vorrei chiederle anzitutto: come giudica la posizione araba verso l'Iraq, le sanzioni che deve fronteggiare e la minaccia di aggressione e di guerra?". Saddam: "Noi non chiediamo ai leader arabi più di quanto essi possano darci. Valutiamo le condizioni di ciascun paese, la sua posizione sulla mappa politica e la sua capacità di sacrificarsi. Il sacrificio è relativo ed è il risultato di condizioni storiche, di capacità personali e dei punti di vista personali del suo leader. Comunque, in generale siamo soddisfatti. I fattori positivi stanno aumentando, e quelli negativi diminuiscono. In generale, la posizione [araba] sta cambiando in direzione degli interessi dell'Iraq. Mi consenta di dirle francamente che stiamo progredendo con i fattori positivi, e stiamo facendo in modo che quelli negativi diminuiscano da soli, dato che i punti di vista giusti diventano più chiari e dominano la scena politica". Nassar: "Ancora, signor presidente, lei deve avere alcuni commenti da fare qua e là sulle posizioni di alcuni paesi arabi verso l'Iraq. A noi pare che ci sia qualche falla da parte loro nel sostegno all'Iraq". Saddam: "Io sono interessato solo ai fattori positivi. Come ho detto, i fattori negativi diminuiranno da soli quando ognuno capirà le nostre reali intenzioni e la sensibilità delle nostre circostanze, e ciò che si sta complottando contro di noi e contro di loro. L'Iraq non è l'unico paese sottoposto a congiure. Gli Stati Uniti vogliono imporre la loro egemonia sulla regione, e fare in modo che debbano dirigere le ostilità verso i paesi arabi, specialmente quelli |
che hanno un ruolo centrale. Tutto questo serve all'entità israeliana e al sionismo internazionale". I complotti degli Stati Uniti contro il mondo arabo Nassar: "Signor presidente, che cosa esattamente vogliono gli Stati Uniti dall'Iraq?". Saddam: "Gli Stati Uniti vogliono distruggere i centri di potere nel mondo arabo, indipendentemente dal fatto che il centro di potere sia a Damasco o a Bagdad! Si guardi intorno e osservi ciò che sta accadendo nella regione. Veda quello che avviene nel Sudan meridionale, i tentativi di separare il sud dal nord e di influire sulla nostra grande sorella Egitto, sulla sua sicurezza nazionale e sulla complessiva sicurezza nazionale della nazione araba!". "Guardi a quel che avviene ad Algeri, a quel che è accaduto e sta ancora accadendo in Somalia e in tutti i paesi del Corno d'Africa. Veda che cosa succede in Palestina e cosa sta facendo Sharon ai nostri fratelli palestinesi. Tutto questo mostra l'ambito della congiura contro la nostra nazione araba". Nassar: " Signor presidente, scendendo dal generale al particolare, cosa vogliono gli Stati Uniti dall'Iraq?". Saddam: "Gli Stati Uniti vogliono imporre la loro egemonia sul mondo arabo e, come preludio, vogliono controllare l'Iraq e poi colpire le capitali che si oppongono e si ribellano alla loro egemonia. Dopo Bagdad, che sarà sotto controllo militare, colpiranno Damasco e Teheran. Le frammenteranno e causeranno problemi maggiori all'Arabia Saudita. Stanno cercando di creare piccole entità controllate da "safe-keepers" al servizio degli Stati Uniti, in modo che nessun paese sia più grande di Israele, quantitativamente e qualitativamente. In questo modo il petrolio arabo sarà sotto il loro controllo e la regione, e specialmente le fonti del greggio - dopo la distruzione dell'Afghanistan - saranno sotto il totale controllo americano. Tutto questo è funzionale agli interessi israeliani e lo scopo di questa strategia è di fare di Israele un grande impero nell'area". "Il problema dell'Iraq è che si oppone a tutti questi complotti, e gli altri non capiscono che noi stiamo difendendo [loro]. Tutti dovrebbero sapere che nessuno sarà al sicuro dai complotti che si stanno preparando ora contro l'Iraq. Dal punto di vista degli Stati Uniti e di Israele, siamo tutti la stessa cosa, e quello che accadrà a noi, accadrà più tardi agli altri". Nassar: "L'articolazione del complotto riguarda l'Arabia Saudita e i paesi del Golfo?". Saddam: "Io non sono [sic] tra coloro che pensano che l'Arabia Saudita sarà divisa e che lo Yemen o l'Oman ne trarranno beneficio, o che ci sono tentativi di eliminare alcuni degli Sceiccati o degli Emirati nel Golfo. Al contrario, penso che il modello dei piccoli Sceiccati ed Emirati si espanderà nella regione. Perciò, tutti i grandi paesi come Iraq, Siria o Arabia Saudita saranno divisi in piccoli Emirati e le risorse di petrolio saranno nelle mani di paesi-nani in modo che ciò serva agli interessi degli Stati Uniti, che conseguiranno il completo controllo sui campi di petrolio da Algeri ai paesi del Mar Caspio. Dopo aver sottomesso l'Afghanistan, [gli Stati Uniti] si preparano ora a dominare l'Iraq, l'Iran e la Siria". La differenza fra il programma nucleare della Corea del Nord e quello dell'Iraq Nassar: "Signor presidente, due settimane fa la Corea del Nord ha ammesso o, più esattamente, ha annunciato senza alcuna pressione, che ha un programma nucleare. Tuttavia, non abbiamo visto o sentito nessuna reazione americana ostile simile a quella verso l'Iraq, malgrado l'Iraq abbia dichiarato di non avere armi di distruzione di massa, e gli ispettori internazionali lo hanno confermato. Malgrado ciò, gli Stati Uniti stanno indirizzando i loro colpi solo contro l'Iraq. Qual è, a suo giudizio, il significato di tutto ciò?". Saddam: "In breve, la Corea del Nord non ha petrolio. Questo, per prima cosa. In secondo luogo, la Corea del Nord non è nemica di Israele, e non gli è vicina [geograficamente] ". Nassar: "Signor presidente, voglio chiederle qualcosa che già so, ma vorrei la sua conferma. Avete prigionieri kuwaitiani non ancora rilasciati, sapendo che il Kuwait esige il loro rilascio come una condizione per la riconciliazione?". Saddam: "Lei sa, come tutti gli altri, che io ho preso la decisione di rilasciare tutti i prigionieri, politici e criminali, arabi e iracheni. Tranne le spie che hanno lavorato per Israele e per gli Stati Uniti. Abbiamo rilasciato persino gli assassini, a condizione che fosse raggiunto un accordo tra le famiglie degli assassini e le famiglie delle vittime, e che l'amnistia fosse volontà di entrambe le parti. Le prigioni in Iraq sono diventate le uniche al mondo, e nella storia, senza occupanti". Nassar: " E i guardiani hanno un problema, signor presidente: devono cercarsi un lavoro, poiché le prigioni sono vuote ". Saddam: "Trasformeremo le prigioni in rifugi per orfani, le vittime dei quotidiani attacchi missilistici americani al sud e al nord del paese e sui quartieri di Bagdad, mentre la coscienza del mondo rimane indifferente".
"Siamo pronti per la guerra" Nassar: "Signor presidente, pensa che l'attacco sia imminente?". Saddam: "Noi ci stiamo preparando come se la guerra cominciasse fra un'ora. Siamo pronti psicologicamente. Gli Stati Uniti - con i loro quotidiani attacchi e tentativi di indebolirci e di uccidere civili ogni giorno con i loro missili e con l'artiglieria da paesi vicini - ci fanno sentire come se fossimo in una guerra perpetua dal gennaio 1991. Perciò, siamo pronti per la guerra. Ma l'Iraq non sarà in nessun modo simile all'Afghanistan. Questo non significa che siamo più forti degli Stati Uniti, poiché essi hanno missili a lungo raggio e forze navali, ma noi abbiamo fiducia in Allah, nella nostra patria e nel popolo iracheno. Inoltre, e questo è importante, abbiamo fiducia nella nazione araba. Non trasformeremo la guerra in un picnic per gli americani o per i soldati britannici. In nessun modo! La terra combatte sempre a fianco dei suoi proprietari". Nassar: "Signor presidente, torniamo al nostro punto di partenza. E' soddisfatto delle posizioni di numerosi paesi arabi verso l'Iraq, del loro sostegno contro i programmi ostili americani e britannici? Non pensa che ci sia un chiaro fallimento?". Saddam: "Io sono soddisfatto di tutti gli sforzi che appoggiano la forte posizione araba nel sostenere l'Iraq e la Palestina. Il problema non è più solo dell'Iraq: è il problema dell'intera nazione araba da Tangeri a Bagdad. Il destino è unico, ed è scritto nel sangue dei martiri". "Se c'è chi pensa che l'Iraq abbia ancora problemi con il Kuwait, allora [mi lasci dire] che tutti i paesi arabi hanno problemi con i paesi arabi vicini. Noi riteniamo che qualsiasi successo ottenuto da qualsiasi paese arabo, inclusa la nazione araba del Kuwait, sia un nostro successo. Il Kuwait è una nazione araba che crede nel suo pan-arabismo. L'ultimo evento [lì] contro la base americana ne è la prova". "Più in generale, noi riponiamo fiducia nella nostra nazione araba che, contrariamente a quel che molti potrebbero pensare, non è in un profondo sonno. Le manifestazioni che abbiamo visto nel mondo arabo e in Occidente hanno coinvolto migliaia di sostenitori della pace e gli avversari della guerra e dell'aggressione contro l'Iraq. Queste dimostrazioni hanno sfidato gli sforzi dell'estrema destra sionista a Washington di distruggere l'Iraq". "La coalizione americano-britannica si disintegrerà" Nassar: "Signor presidente, pensa che il tempo lavori a suo favore, o contro?" Saddam: "Nessun dubbio, il tempo sta lavorando per noi. Dobbiamo guadagnare un po' più di tempo e la coalizione americano-britannica si disintegrerà per ragioni interne e per la pressione dell'opinione pubblica nelle strade americane e britanniche. Le nazioni conoscono la verità e sono più capaci di comprensione dei leader, che sono preoccupati delle congiure sioniste elaborate da parte dei media, congiure che accecano quei leader". Nassar: "Signor presidente, torniamo all'inizio: cosa vogliono esattamente gli Stati Uniti dall'Iraq?". Saddam: "Vogliono un Iraq che accetti l'egemonia politica e geografica americana sulle risorse arabe. Vogliono anche un Iraq che riconosca l'esistenza sionista e il suo controllo sulla Palestina. Inoltre, vogliono un Iraq privo dell'ideologia pan-araba, un Iraq che accetti di distruggere la Lega araba e di costituire un'organizzazione mediorientale. Vogliono un Iraq non arabo [diviso] in nazioni separate". L'opposizione irachena Nassar: "Signor presidente, è preoccupato dell'opposizione irachena, che è in società con Washington e Londra? Questa opposizione potrebbe diventare un'alternativa al regime di Baghdad?". Saddam: "Anzitutto, non c'è alcuna vera opposizione irachena che ci preoccupi. E, se ci fosse, avrebbe dovuto lottare anzitutto dall'interno per prendere il controllo, e non dall'esterno, da una distanza di decine di migliaia di miglia". "Inoltre, i membri dell'opposizione dei quali sentiamo parlare ma che non vediamo, e che il nostro popolo non riconosce, sono un gruppo che comprende alcuni condannati per reati economici e per altri reati morali". "I membri dell'opposizione, di cui sentiamo parlare, non hanno alcun senso; essi [persino] non nascondono il fatto d'essere agenti dei servizi segreti americani e britannici, e che ricevono denaro da loro, o che sono colpevoli di appropriazione indebita e di sperpero di denaro. Infine, sono un gruppo di persone che potrebbe riempire un unico bus a Bagdad, non di più". Nassar: "Signor presidente, alcuni giorni fa c'è stato un referendum sul rinnovo della presidenza per altri sette anni. Alcuni si sono interrogati sul significato del sostegno del 100% che lei ha ricevuto, specialmente perchè la cultura occidentale non è in grado di comprendere una tale percentuale". Saddam: "Ha un grande significato. Significa che io tratto il mio popolo con giustizia e verità. A quelli che sostengono che io non rappresento il mio popolo, rivela che io lo rappresento effettivamente. E' il risultato di un referendum di una nazione libera, verificato da osservatori e giornalisti arabi e stranieri, e attesta l'errore dell'esistenza di un'opposizione al regime iracheno". Nassar: "Signor presidente, la sua gestione della recente crisi è diversa da quella del 1991. E' il risultato di uno studio delle condizioni attuali, o del passato, o di entrambe? Quali lezioni ha appreso?". Saddam: "La politica è una scienza, e in qualsiasi scienza ci sono esperimenti. Il politico è un eterno studente, e trae sempre beneficio dall'esperienza personale, o dall'esperienza di altre persone. Noi crediamo nell'importanza dell'opinione pubblica e dei suoi effetti, e impariamo dalle nostre esperienze. Commettere errori e correggerli è un atto umano che potrebbe essere migliorato. Nessuno di noi è infallibile, e solo Allah è perfetto". Nassar: "Signor presidente, non è tempo di riconciliarsi con i nostri fratelli curdi del nord?". Saddam: "Lei sa che l'Iraq ha concesso loro quello che nessun altro ha dato. Lei fu il primo giornalista arabo a incontrare Mulla Mustafa Al-Barazani nel 1966, e lo sentì dire che la sua aspirazione ultima era la gestione autonoma, che egli ha ottenuto [più tardi] dall'Iraq. Qualsiasi ulteriore cosa sarebbe una divisione. Noi la rifiutiamo, e così fanno tutte le persone sagge tra i nostri fratelli curdi. Siamo convinti che se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non mettono mano nell'Iraq settentrionale, e non interferiscono, definiremo le nostre posizioni in completa libertà, senza la loro interferenza, e riconcilieremo il popolo e la terra". (The Middle East Media Research Institute, N° 437, 08.11.02) -------------- Note (1) Al-Usbou' (Egitto), 4 novembre 2002. LA PENA DI MORTE NELL'AUTORITA' PALESTINESE di Valentina Piattelli Reintrodotta nel 1994, la pena capitale ha già fatto decine di vittime. Molti sono stati condannati per "collaborazionismo", ma forse erano solo oppositori politici.
Nel 1994, con la creazione dell'Autorità Palestinese, gli israeliani manifestarono il loro timore per una possibile reintroduzione della pena di morte pretendendo, con l'Accordo di Gerico, che la pena capitale non fosse applicabile ai sospetti estradati da Israele verso l'Autorità Palestinese. La pena di morte effettivamente è stata reintrodotta in Palestina quello stesso anno. La prima persona ad essere condannata a morte è stata Tha'er Mahmoud Faris, fucilato nel maggio del 1995, dopo essere stato condannato da una corte militare sulla base della "Legge della Rivoluzione Palestinese", approvata dall'Olp nel 1974. Possono condannare a morte, oltre ai tribunali militari, anche le Corti di Sicurezza di Stato istituite nel 1995. Queste corti - che lavorano a porte chiuse e per le cui sentenze non c'è diritto d'appello - sono state aspramente criticate da Amnesty International perché non seguono le procedure legali basilari, violando i diritti dell'accusato. Ad esempio Rajeh Huliel Ali Abu-Sitta è stato processato a porte chiuse subito dopo il suo arresto, alle tre di notte, e condannato a morte in 15 minuti. Inoltre Abu-Sitta ha affermato di essere stato picchiato fra il momento dell'arresto e il processo. La famiglia ha saputo dai giornali dell'arresto e della condanna morte del loro congiunto. L'applicazione della pena di morte è stata subito massiccia: soltanto nel 1996 vi sono state 12 condanne a morte. Nel 2001 vi sono state due esecuzioni e 12 condanne a morte, tutte dopo processi iniqui e sommari. La maggior parte dei condannati erano stati accusati di tradimento o "collaborazionismo" con le autorità israeliane.
Il 13 gennaio 2001, Allan Bani Odeh è stato fucilato nella pubblica piazza di Nablus, in Cisgiordania, davanti a migliaia di palestinesi che gridavano "Dio è grande". Lo stesso giorno, Majdi Mikkawi è stato fucilato presso la stazione centrale della polizia di Gaza. Entrambi erano stati condannati a morte perché ritenuti colpevoli di aver fornito a Israele informazioni che avevano portato all'uccisione di attivisti palestinesi. Il leader palestinese Yasser Arafat aveva ratificato le condanne a morte emesse 2 giorni prima da tribunali per la sicurezza dello stato. Secondo il Palestinian Human Rights Monitor Group (Phrmg), un'organizzazione palestinese per la difesa dei diritti umani, "Alan Bani Odeh è stato fucilato il 13 gennaio 2001 dopo un processo durato appena tre ore; i suoi avvocati, designati d'ufficio, avevano avuto quindici minuti per prendere conoscenza degli incartamenti". Nel marzo del 2002 una troupe della BBC ha incontrato le famiglie delle due vittime; secondo i giornalisti entrambi gli assassinati avevano un passato di oppositori dell'Autorità Palestinese ed entrambi avevano criticato apertamente Arafat. Secondo l'associazione pacifista Betselem sono decine le persone uccise sommariamente o condannate a morte per "collaborazionismo". Sotto questo termine vi sono i comportamenti più vari: dal non partecipare a scioperi generali al compiere azioni "immorali", quali la prostituzione e il consumo di droghe.
Nell'agosto del 2002 Ikhlas Yasin Khouli, palestinese, vedova e con sette figli, è stata fucilata, senza processo, a Tulkarem dalle Brigate martiri Al-Aqsa per "collaborazionismo con Israele". L'esecuzione e la confessione della donna sono state trasmesse dalla televisione palestinese. "Non collaborate con Israele", sono state le ultime parole di Ikhlas Khouki, prima di essere trascinata nelle strade di Tulkarem e fucilata. In seguito il figlio diciassettenne Bakir Khouli, anche lui in attesa di esecuzione, ha fatto sapere a giornalisti della Bbc: "Mi hanno torturato finché ho inventato una confessione che incolpava mia madre". L'anno precedente era stato ucciso il padre di questa famiglia, sempre per "collaborazionismo". Un mese dopo la zia, anche la nipote della donna, di soli diciassette anni, è stata giustiziata sommariamente dopo essere stata condotta in un terreno incolto. La figlia adolescente Nadjla ha detto a "Le Monde" di non essere affatto convinta della colpevolezza della madre: "Stavamo tutto il tempo assieme; so di lei vita morte e miracoli. Non vedo quando possa aver fatto la spia per gli israeliani". Così racconta l'esecuzione: "E' venuto un impiegato del comune a comunicarmi la morte di mia madre. Era stata prelevata il giorno prima. Dopo averla uccisa, hanno abbandonato il suo corpo per la strada. E' stato durante il coprifuoco imposto dall'esercito israeliano. Ho saputo in seguito che un'ambulanza palestinese si era fermata accanto a lei, ma i barellieri non hanno voluto trasportarla all'obitorio perché era una collaborazionista. E' questa l'immagine che mi fa più male". Talvolta le prigioni palestinesi vengono assaltate da gruppi armati che si impossessano dei presunti "collaboratori" per linciarli. L'ultimo caso è avvenuto nella primavera scorsa a Tulkarem, quando otto prigionieri sono stati prelevati dalle celle e uccisi. I loro corpi sono rimasti esposti in una via del centro per molte ore. Sono una cinquantina le vittime di queste esecuzioni sommarie dall'inizio della seconda Intifada. Un numero finora inferiore rispetto alla prima Intifada (1987-1993), quando furono ben 1200 i presunti collaborazionisti giustiziati sommariamente Secondo il Phrmg: "L'utilizzo da parte degli occupanti di persone dei territori occupati per ottenere informazioni è contrario alla convenzione di Ginevra". Secondo l'esercito israeliano, circa l'80% degli attacchi contro gli israeliani viene sventato grazie a informazioni fornite da palestinesi.
Qualche giorno fa è toccato a Khaidar Ghanem, un ricercatore dell'associazione pacifista israeliana Betselem. Khaidar Ghanem, un attivista per i diritti umani, aveva ottenuto il permesso dei Servizi di Sicurezza Generali palestinesi per poter lavorare per Betselem, un'associazione pacifista israeliana. Ciononostante il suo lavoro per Betselem era il principale capo di accusa. Dopo un processo farsa durato appena due ore e mezza e basato soltanto sulla sua confessione, è stata pronunciata la sentenza accolta con un fragoroso applauso dal pubblico. Un agente dei Servizi di Sicurezza Preventiva coinvolto negli interrogatori di Ghanem aveva detto ai tre giudici che l'accusato aveva aperto un ufficio stampa a Rafah che forniva informazioni ai servizi segreti israeliani. Secondo la corte Ghanem avrebbe aiutato Israele ad uccidere quattro attivisti di Fatah a Rafah. Ghanem si era dichiarato colpevole di "collaborazionismo", ma aveva negato il coinvolgimento negli omicidi. È il quarto palestinese ad essere condannato a morte nelle ultime settimane. Fonti di Betselem hanno detto a "The Jerusalem Post" che l'Autorità Palestinese non era contenta del lavoro di Ghanem perché "aveva cominciato a fare troppe domande che imbarazzavano gli agenti dell'Autorità Palestinese". (www.squilibrio.it - ripreso da "Amici di Israele", 06.11.02) INDIRIZZI INTERNET Federazione Italia Israele | ||||||||||||