Notizie su Israele 167 - 10 aprile 2003
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Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli. Ci sia pace all'interno delle tue mura e tranquillità nei tuoi palazzi! Per amore dei miei fratelli e dei miei amici, io dirò: «La pace sia dentro di te!» Per amore della casa del SIGNORE, del nostro Dio, io cercherò il tuo bene. (Salmo 122:6-9) LETTERA DI FRANÇOIS ZIMERAY AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO Sig. Patrick COX Presidente del Parlamento Europeo Strasburgo, 9 aprile 2003 Signor Presidente, Voglio esporle le ragioni che mi conducono a chiederle di sospendere tutte le negoziazioni in corso tra la Commissione
In effetti, in un'intervista pubblicata il 27 marzo 2003 in un giornale libanese "Al Safir", il Presidente siriano Bashar Assad ha dichiarato che Israele non sarà riconosciuto come uno Stato legittimo nemmeno se fosse concluso un processo di pace con i Palestinesi" e che "per sua natura, Israele costruirebbe la sua politica sul tradimento e la minaccia, e che la Siria è pronta ad uno scontro". Tali propositi sono inaccettabili e contravvengono ai diritti fondamentali consacrati dall'Unione Europea. Essi sono contrari ai principi di coesistenza pacifica e di reciproco riconoscimento degli Stati sovrani che l'Unione ha sempre difeso. Aggiungo che la Repubblica Araba Siriana ospita diverse organizzazioni terroristiche di cui essa giustifica gli atti e che diverse migliaia di soldati siriani legittimano con la loro presenza l'annessione del Libano. In queste condizioni, Lei comprenderà che l'Unione Europea non può proseguire le discussioni avviate con la Repubblica Araba Siriana senza compromettersi. Le chiedo d'invitare la Commissione a sospenderle senza indugio e di sollecitare delle spiegazioni ufficiali della Repubblica Araba Siriana sul senso e la portata di queste dichiarazioni. François Zimeray (Proche-Orient.info, 09.04.2003) BARGUTI: «QUANDO ARAFAT TACE, CI SONO ATTACCHI» TEL AVIV - Il capo dell'OLP Yasser Arafat esprime con il silenzio il suo consenso a "azioni militari" contro Israele. Questo ha detto il capo dei Tanzim, Marwan Barguti durante un interrogatorio davanti al tribunale di Tel Aviv. Quando Arafat è interessato a un cessate il fuoco, lo comunica, dice Barguti. Quando tace, può essere considerato come luce verde per la prosecuzione delle "azioni militari". Però il capo palestinese non gli ha mai chiesto degli attacchi. Secondo gli atti istruttori che lunedì [7 aprile] sono stati parzialmente pubblicati, Barguti dice che il suo rapporto con Arafat
Quando Barguti aveva bisogno di denaro per le sue "azioni militari", si rivolgeva ad Arafat senza specificare il preciso scopo dell'uso dei soldi. Faceva soltanto il nome dell'attivista designato e indicava la somma desiderata, così ha detto il capo dei Tanzim. Secondo una perizia, l'accusato chiese tra l'altro al capo dell'OLP diverse decine di migliaia di Shekel per comprare strumenti bellici. Questo costituirebbe l'anello di collegamento tra Arafat e gli attivisti. In un interrogatorio Barguti ha confessato di aver incitato alla guerra armata e di essere stato il responsabile di tutte le azioni di Fatah. "Solo la resistenza armata e gli attacchi che provocano dolore a Israele potranno portare la pace", ha detto per giustificare le sue azioni. Perché solo con la sofferenza gli Israeliani capiscono che gli manca qualcosa, perché non c'è pace. Secondo Barguti, lui stesso ha dovuto prendere parte a scontri sanguinosi per guadagnarsi sul campo la simpatia dei palestinesi. L'arresto gli gioverà politicamente. Il 43enne Barguti è stato arrestato dai militari israeliani nell'aprile dello scorso anno a Ramallah. E' considerato un leader della cosiddetta "intifada" e viene processato per l'assassinio di 26 israeliani e di un monaco greco. (Israelnetz Nachrichten, 08.04.2003) GIORNALE ARABO SI PRONUNCIA CONTRO IL TERRORISMO NAZARET - Il quotidiano in lingua araba "Al-Ahli", edito in Israele, nella sua edizione di martedì [8 aprile] si è espresso contro la partecipazione di arabi israeliani al terrorismo. Nell'articolo il caporedattore Salem Joubran invita i politici arabi del paese a "prendere sul serio" questo problema. Come riferisce il quotidiano "Ha'aretz", Joubran scrive tra l'altro che è difficile per gli arabi israeliani vedere ogni giorno la sofferenza dei palestinesi. Tuttavia, non esiste alcun motivo per uccidere i civili con attacchi terroristici. "Con quale diritto una persona fa esplodere una bomba in un bar o in un club o in una scuola in nome della Palestina?" chiede il giornalista. Secondo le dichiarazioni di "Al-Ali", dopo l'uscita di questo numero sono arrivate in redazione decine di lettere e telefonate in cui i lettori appoggiavano l'opinione di Joubran. (Israelnetz Nachrichten, 09.04.2003) ABU MAZEN MINACCIA DI RIFIUTARE IL POSTO DI PRIMO MINISTRO PALESTINESE Tre settimane dopo essere stato nominato per formare il nuovo governo palestinese, Abu Mazen minaccia di dimettersi se Yasser Arafat non risponde positivamente a certe sue rivendicazioni. Nelle ultime settimane Abu Mazen ha scoperto che i servizi di sicurezza palestinesi funzionano come milizie private e talvolta illegalmente, e che l'amministrazione e certi alti funzionari sono corrotti. Ma quello che disturba di più Abu Mazen è che dopo la formazione del governo, Arafat conta di conservare il controllo dei servizi di informazione, della sicurezza nazionale e di Forza 17. Il candidato Primo Ministro ha anche scoperto che Arafat aveva fatto uso del suo diritto di veto contro la nomina di diversi ministri di sua scelta. Ha inoltre scoperto che Arafat voleva controllare la formazione del suo governo, ritardare le riforme economiche e amministrative e restare ancora alla testa delle negoziazioni con Israele. (Proche-Orient.info, 08.04.2003) IN MOLDAVIA LE STESSE CALUNNIE ANTISEMITE DI CENTO ANNI FA Decine di ebrei moldavi, accompagnati da esponenti politici e ospiti stranieri, hanno celebrato lunedi' il centesimo anniversario del pogrom (ondata di violenze popolari antisemite) scoppiato durante la pasqua cristiana a Chisinau (Kishinev) e che vide l'uccisione di 49 ebrei indifesi e il ferimento di varie centinaia. Migliaia di famiglie restarono senza casa dopo che 1.500 abitazioni e negozi di proprieta' ebraica furono dati alle fiamme il 7 aprile 1903 dalla folla di russi e rumeni inferocita a causa di voci, messe in circolazione ad arte, circa una "calunnia del sangue": la falsa accusa agli ebrei di uccidere bambini cristiani e di usare il loro sangue per impastare il pane azzimo della pasqua ebraica. Le violenze scoppiarono quando venne trovato il corpo di un bambino, che successivamente risulto' assassinato da un parente. Le autorita' zariste, che allora governavano la Moldavia, non fecero nulla per fermare le violenze. Alle celebrazioni ha preso parte il ministro israeliano Avigdor Lieberman, di origine moldava. Oggi nella ex repubblica sovietica di Moldavia (4,5 milioni di abitanti) vivono circa 30.000 ebrei. Un secolo fa in cio' che oggi e' la Moldavia vivevano 200.000 ebrei. Piu' di 50.000 hanno lasciato il paese dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, e si sono per lo piu' trasferiti in Israele. Vale la pena ricordare che la "calunnia del sangue", che ha causato nei secoli innumerevoli violenze ai danni di ebrei innocenti, oggi non e' affatto tramontata. Mustafa Tlass, da trent'anni una delle figure piu' in vista della politica siriana, co-fondatore del partito Ba'ath al potere e ministro della difesa con il presidente Hafez Al-Assad e oggi con il figlio Bashar, ha pubblicato nel 1983 un libro intitolato La mazah di Sion (riferimento alle azzime pasquali) nel quale sostiene come "fatto storico accertato" l'omicidio rituale ad opera degli ebrei. La seconda edizione, del 1986, porta in copertina il disegno di un uomo con la gola tagliata da una menorah (candelabro ebraico) e il sangue raccolto in una bacinella. Il libro di Tlass circola diffusamente negli ambienti antisemiti di tutto il mondo come "fonte attendibile" sull'omicidio rituale ebraico, e puo' essere acquistato anche via internet sia nell'originale arabo, sia in traduzione. Il 21 ottobre 2002 il quotidiano in lingua araba edito a Londra Al-Hayat annunciava "a grande richiesta" l'ottava ristampa del libro e nuove traduzioni in inglese, francese e italiano. Al-Hayat riferiva che le autorita' ufficiali siriane hanno risposto alle accuse di antisemitismo dichiarando: "Noi non siamo razzisti, non siamo contro le religioni monoteistiche e quella ebraica fra esse. Noi siano contro il sionismo". (Jerusalem Post, 7.04.03 - da israele.net) LA PRIMA CELEBRAZIONE DELLA PASQUA EBRAICA DOPO LA CADUTA DEL NAZISMO L'autore di questo articolo, Solly Ganor, è un ebreo nato in Lituania nel 1928 ed è uno dei più "giovani" sopravvissuti all'Olocausto. Quando i tedeschi nel 1941 invasero la Lituania, fu dichiarata aperta la caccia all'ebreo. Orde di lituani "cristiani" si gettarono contro gli ebrei, massacrandoli nelle loro case con una ferocia che sorprese perfino gli invasori tedeschi. Tra il '41 e il '45 il 94% degli ebrei lituani fu sterminato. La più alta percentuale d'Europa. Si arrivò al punto che i tedeschi internavano degli ebrei in campi di concentramento dicendo che volevano salvarli dalle mani dei lituani. Quando i russi invasero la Lituania nel 1944, i tedeschi trasportarono Solly Ganor ed altri prigionieri nel campo di sterminio di Dachau. Essendo giovane e robusto, e quindi adatto al lavoro, poté evitare di essere ucciso. Fu liberato dagli americani nel 1945, mentre con altri prigionieri era in marcia verso i monti del Tirolo, dove i tedeschi avrebbero voluto organizzare un'ultima, disperata resistenza. Nel 1948 si trasferì in Israele, e nonostante fosse stanco di odio e violenza, partecipò alla prima guerra di indipendenza israeliana contro gli arabi. Per quasi cinquant'anni non raccontò nulla della sua esperienza durante la guerra, considerandola un capitolo che per lui doveva rimanere definitivamente chiuso. Modificò la sua decisione quando nel 1992 incontrò casualmente a Gerusalemme il militare americano, di origine giapponese, che l'aveva salvato quando stava per morire assiderato in mezzo alla neve, dove era stato abbandonato dai tedeschi perché ormai stremato e incapace di proseguire. Da quel momento cambiò interamente il suo atteggiamento. Ha scritto un libro "Light One Candle", in cui ha raccontato la sua esperienza e ha cominciato a girare il mondo per raccontare quello che ha visto e vissuto, soprattutto ai giovani. L'articolo che segue è tratto dal suo diario del dopoguerra ed è stato scritto dopo il 1946 e prima della sua alià in Israele, avvenuta nel 1948. Attualmente vive a Herzliya (Israele). Ma lasciamo a lui la parola. Vi farò la descrizione del primo Seder* fatto a Monaco, dopo la caduta dell'impero nazista. Ho partecipato a quel Seder sia come sopravvissuto che come soldato dell'esercito statunitense, nel quale ho lavorato come interprete. La storia del Seder viene da un diario del dopoguerra. Un amico di mio padre, lo storico Joseph Gar, era malato e, non potendo partecipare alla celebrazione, mi chiese di scrivere nei dettagli questo evento, storico per noi sopravvissuti. Per quanto ne so, sono l'unico che ha fatto una descrizione di quel Seder. Possiedo ancora una copia di quell'Hagaddah originale, e l'anno scorso un mio amico professore Saul Touster dell'Università di Brandeis, ha pubblicato una nuova e favolosa edizione dell'Hagaddah. Ma questa che voglio narrare, è una storia a sé. Solly * Seder, da una parola ebraica che significa "ordine". Pasto cerimoniale accompagnato dalla lettura ritualistica dell'Hagaddah, cioè la narrazione dell'esodo; viene celebrato nelle famiglie ebraiche, la prima o le prime due sere della Pasqua ebraica [N.d.T.] LO STORICO SEDER DI MONACO (15-16 aprile 1946)
Da "Il mio diario del dopoguerra" di Solly Ganor Ethel, la mia matrigna canadese oggi ci ha fatto una bella sorpresa. Siamo stati invitati dall'esercito statunitense a partecipare al primo Seder di Pesach, dopo la guerra. Sarà il rabbino Abraham Klausner a condurre il Seder. Il rabbino Klausner è un cappellano dell'esercito statunitense, che ho già incontrato una volta grazie ad Ethel. Oltre a noi, è stato invitato un gruppo di reduci ebrei. Il Seder si celebrerà nel ristorante Deutsches Theater, in via Schwanthaler, proprio al centro di Monaco. E' uno dei pochi ristoranti rimasti relativamente incolumi sotto il bombardamento della guerra. E' un posto spazioso, molto elegante e durante la guerra era frequentato dai vip nazisti. Il primo Seder. Monaco, 15 aprile 1946. E' passato quasi un anno da quando l'esercito americano ci ha liberato, e non riesco ancora a credere come siano cambiate le cose in un anno. Mi ricordo i primi americani che, con i loro enormi carri armati, ci passavano accanto gettandoci cioccolate, sigarette, arance ed altre cose da mangiare. Li guardavo stupiti, come se fossero stati angeli scesi dal cielo per liberarci. Chi, se non angeli mandati da Dio, avrebbe avuto così tanto cibo, un bene prezioso che durante quegli anni aveva significato per noi la vita o la morte? Una frazione di quello che ci stavano lanciando avrebbe salvato migliaia di persone, morte di fame negli ultimi giorni della guerra, mentre marciavamo incontro al nostro destino. La liberazione era alle porte, eppure molti di noi non ce l'hanno fatta: che fine crudele e disumana, dopo tanti anni di sofferenze! Allora avevo diciassette anni, avevo subito quattro anni di fame e schiavitù, ed ero "la peggiore specie vivente", come ci chiamavano i nazisti. In effetti, dopo quattro anni, quasi ci avevo creduto. C'è poco da meravigliarsi se ho creduto che gli americani fossero angeli. E adesso ero stato sollevato dall'abisso del male di un campo di concentramento nazista ed elevato all'Olimpo americano; indossavo persino la loro uniforme! Penso che se un angelo fosse venuto ad offrirmi le sue ali, avrei preferito comunque l'uniforme dell'esercito americano. Dopo un breve percorso, arrivammo in via Schwanthaler, dove si sarebbe tenuto il Seder, e lì il conducente ci lasciò all'ingresso. Molti soldati americani, ufficiali e gente in abiti civili stavano entrando nel ristorante ben illuminato. All'ingresso due soldati controllarono i nostri inviti e ci lasciarono entrare. C'erano circa duecento persone, fra soldati e civili riuniti assieme; i civili erano per lo più dei sopravvissuti. Ne conoscevo pochi. |
Alcuni erano stati collaboratori di mio padre nella comunità ebraica di via Mehl. Vi erano diverse file di tavoli lunghi, coperti da tovaglie candide, piatti splendenti e posate in argento avvolte in tovaglioli ancor più candidi. Sui tavoli c'erano persino fiori e bottiglie di vino dolce, con l'etichetta Kosher, adatto alla Pasqua. C'erano anche piatti di matzoth e piatti con "Zroa, Maror, Beitzah, Karpas e Chazeret". Era da prima della guerra che non vedevamo una tavola imbandita per il Seder di Pasqua, e la maggior parte di noi sopravvissuti aveva le lacrime agli occhi. Il pensiero corse alla nostra ultima Pasqua al campo, quando si stava avvicinando l'esercito americano e i nazisti ci avevano condotto in quella marcia della morte verso il Tirolo. Mi ero ripromesso che oggi non ci avrei pensato. Ma le dolorose memorie di quei quattro anni erano riuscite ad infiltrarsi facilmente, nonostante i miei proponimenti. Anche mio padre e gli altri sopravvissuti erano toccati. Il contrasto fra questa Pasqua e l'ultima, era così enorme, così sconvolgente che ne eravamo tutti devastati; molti si sentivano colpevoli di essere sopravvissuti, mentre le nostre famiglie e i nostri amici non ci erano riusciti. I soldati americani ebrei ci guardavano con simpatia, mentre sedevamo fra di loro asciugandoci le lacrime. Dal modo in cui guardavano i sopravvissuti, capivo che si sentivano in imbarazzo. Sembravano stupiti del fatto che avevamo cercato di sopravvivere all'inferno nazista, ma allo stesso tempo si chiedevano come e perché eravamo sopravvissuti, mentre gli altri no. Quando il rabbino Klausner si alzò in piedi e si rivolse a noi, ci chiese di ricordare le nostre famiglie e i compagni ebrei che erano morti in guerra, benedetta sia la loro memoria. La sorpresa più grande è stata l'Hagaddah scritta in inglese, in ebraico e in yiddish. Sulla copertina c'era un'enorme A cerchiata, insegna delle forze americane. Sotto c'era scritto "Servizio della Pasqua", poi Monaco e la data dei due Seder, il 15 e 16 aprile. Si diceva inoltre che sarebbe stato il rabbino Klausner a condurre il servizio. Le prime due pagine erano scritte in inglese per gli americani, immagino. Il resto era in ebraico e in yiddish. Era stato fatto molto bene, c'erano disegni ed intagli realizzati da un compagno sopravvissuto dall'Ungheria, di nome Ben Benjamin. Mio padre pensò si trattasse di un eccellente artista. L'Hagaddah stesso era opera di Scheinson, amico di mio padre, che si vedeva ci aveva messo dentro tutto il suo amore e la sua anima. Scheinson era un sopravvissuto dalla nostra nativa Lituania. Non si trattava di un Hagaddah tradizionale, come lo conoscevamo noi in Lituania; mancavano molte parti, ma il testo alterato era stato adattato proprio per noi sopravvissuti, soprattutto per quelli che fra noi intendevano fare aliyah in Eretz Israel. "Siamo stati schiavi di Hitler in Germania", era scritto sulla prima pagina, e tutto attorno alla pagina c'erano disegni di ebrei bruciati e torturati, le ciminiere di Auschwitz con le teste morte e l'ignominiosa insegna "Brausebad", con sotto la svastica. Iniziammo poi il Seder con le solite benedizioni, dividendo i sei ingredienti nei piatti. Leggemmo poi la "Mah Nishtana". In realtà, cos'era cambiato? Qual era la differenza fra questa sera e un'altra sera? La prima e più dolorosa differenza fu l'assenza dei bambini piccoli che di solito ponevano le quattro domande. Erano stati tutti assassinati dai nazisti. Pensai agli anni precedenti la guerra, lì in Lituania, dove sedevamo tutti insieme attorno al tavolo di Pesach, quando i miei cugini più piccoli ponevano le domande. Anche queste erano, naturalmente, differenze tremende; si trattava della diversità fra la vita e la morte, il cielo e l' inferno, se pensavamo all'ultima Pesach a Dachau. Non importa ciò che leggevamo nell'Hagaddah, ma ogni parola ci ricordava quella terribile tragedia caduta addosso al popolo ebreo d'Europa. "Behol Dor va Dor Haiav Adam lirot et atzmoh kiilu hoo jatzah Mimitzraim". "Ogni generazione, ognuno di noi si dovrà considerare uno scampato dall' Egitto". "Che ne sarà di noi, sopravvissuti a questa terribile calamità? Lasciare l' Egitto non è stato niente, di fronte a quello che abbiamo dovuto sopportare, per sopravvivere. Se mai si celebrerà un Hagaddah per la nostra sopravvivenza, sarà mille volte più faticoso di quando lasciarono l'Egitto. Perché non dovrebbe esserci un Hagaddah perché siamo sopravvissuti?" Questi pensieri amari mi vennero in mente leggendo le parole dell'Hagaddah. Mi resi conto inoltre che non importava quello che avremmo detto al mondo che ci circondava, non importava quanto saremmo stati eloquenti: sarebbe stato comunque impossibile raccontare le nostre esperienze a chi non le aveva vissute. Non era ancora stato inventato un linguaggio per narrare le nostre sofferenze, gli orrori del campo di concentramento, per spiegare come i nostri cari e le persone a noi più vicine erano state fucilate, sottoposte ai gas e bruciate davanti ai nostri occhi. Come avremmo potuto spiegare che ogni ora che passavamo da svegli era un concentrato di angoscia, paura e soprattutto una terribile fame, in cui lo stomaco ci consumava lentamente il corpo, lasciando solo pelle ed ossa. Ero arrabbiato con me stesso perché pensavo a queste cose terribili, invece di gioire per la libertà e per il fatto che mio padre era seduto accanto a me ed era di nuovo felice insieme ad Ethel. Per un momento mi rallegrai, finché giungemmo al punto: "Shelo ahad bilvad amad aleinu lehaloteineu!... Vehakadosh Boruch Hoo, matzeleiny miadam." "Molti sono sorti in ogni generazione per cercare di distruggerci ma Dio, benedetto sia il suo nome, ci ha salvato dalle loro mani". Guardai il rabbino Klausner e lo vidi abbassare lo sguardo. Si sentiva addosso i nostri sguardi. Tutti noi sentivamo, anche i più religiosi, che quella promessa non era stata mantenuta. Guardando i sopravvissuti attorno a me, queste parole non solo mi sembravano insensate, ma persino beffarde. "Sì, dov'eri Rebono Shel Haulam, quando milioni dei nostri figli, madri, padri, sorelle e fratelli, entravano nelle camere a gas?", era la muta domanda che tutti ci ponevamo. Non ce ne capacitavamo. La nostra calamità era semplicemente troppo enorme. Dopo aver letto l'Hagaddah mangiammo le quattro portate, ognuna delle quali conteneva abbastanza cibo da poter nutrire per un mese tutti gli ospiti di Dachau. C'era la tradizionale zuppa di pollo con piccoli knedlech, pesce ripieno, un quarto di pollo con patate schiacciate, carote e piselli, una composta di prugne, albicocche e pere stufate, ed una torta al cocco con tè o caffè. Fu il pranzo di Pesach più delizioso che abbia mai mangiato, ma non riuscivo più a ricordare che sapore aveva quello che cucinava di solito mia madre. Erano passati solo cinque anni, ma per me era come se ne fossero trascorsi mille. I terribili anni della guerra avevano deformato la mia percezione del tempo. Lasciai questo primo Seder dopo la liberazione, combattuto da sentimenti opposti. Era la prima volta, dopo la fine della guerra, che mi sedevo a valutare quanto era successo veramente. In effetti, l'anno era passato in fretta, e l'avevo vissuto alla luce accecante dell'euforia che sin dal giorno della liberazione ci aveva avvolto. Questa era la prima volta che il mio cuore si era riempito di amarezza e di pensieri tristi, mentre permettevo alle tenebre del passato di sopprimere in qualche modo quell' euforia. D'altra parte ero anche felice di essere vivo e di essere seduto accanto a mio padre, con un futuro davanti a me. Una delle conseguenze di questo Seder fu di accentuare la mia intenzione di andare in Eretz Israel, a combattere per la fondazione di uno Stato ebraico, piuttosto che andare con Ethel e papà in Canada. Le parole dell'Hagaddah di Scheinson mi fecero capire più che mai che nelle nazioni cristiane saremmo stati sempre stranieri indifesi, e che in caso di crisi avrebbero sempre addossato la colpa a noi ebrei. Da lì ad ucciderci, il passo sarebbe stato breve, come ha dimostrato la storia degli ultimi duemila anni, specialmente da quando Hitler era salito al potere. Forse perché eravamo stati la generazione destinata ad attraversare la peggiore calamità della storia del popolo ebraico, saremmo stati anche quella che avrebbe fatto nascere lo Stato ebraico, uno Stato dove ci saremmo potuti difendere con le armi in mano contro chiunque volesse distruggerci. Voglio adempiere il mio destino, e quindi presto andrò in Eretz Israel. (da Naomi Ragen, 8 aprile 2003) UN'ISTITUZIONE STRUTTURALMENTE OSTILE AL POPOLO EBRAICO L'apertura degli archivi del Vaticano e la recente pubblicazione di un libro di David Kertzer: "Il Vaticano contro gli Ebrei, il ruolo del papato nell'emergere dell'antisemitismo moderno" rilanciano il triste dibattito sulla responsabilità della chiesa cattolica e, direttamente, quella di Pio XII, nella propagazione dell'antisemitismo durante la seconda guerra mondiale. L'antisemitismo del Vaticano di Myriam Anissimov
Gli archivi recentemente aperti dal Vaticano mettono a disposizione dei ricercatori 800 dossier con 600.000 pagine di documenti concernenti le sue relazioni con la Germania nazista e la condotta di Pio XII durante la sua nunziatura a Berlino dal 1922 al 1929, e poi negli anni fatidici della seconda guerra mondiale dal1939 al 1945. Uno dei documenti più importanti corrobora le tesi di David Kertzer: una lettera a Pio XII di Edith Stein, ebrea convertita al cattolicesimo e canonizzata, morta in una camera a gas. Edith Stein scongiurava il papa di intervenire a favore degli ebrei d'Europa. Questa lettera non ricevette alcuna risposta. In quegli anni bui il Santo Padre pregava per la vittoria della Germania nazista. Quando, tre anni fa, il Vaticano ha annunciato che stava per proclamare la beatificazione di Pio IX durante la celebrazione del giubileo, David Kertzer, professore all'università di Brown e specialista di storia del papato del XIX secolo, si è meravigliato di questa scelta. In un'intervista radiodiffusa in Italia ha spiegato che il Santo Padre nel 1871 aveva dichiarato, davanti a un uditorio di donne cattoliche, che gli ebrei erano dei "cani che abbaiano per le strade e attentano al pudore dovunque si trovano". Il giorno successivo alla trasmissione, il portavoce del Vaticano si è meravigliato e rattristato per questa affermazione. Gli ebrei terrorizzati sentivano la sinistra vettura del Sant'Uffizio fare la sua entrata nei vicoli in piena notte Lo storico allora ha ricordato che fu con il consenso di Pio IX che Edgardo Mortara, ragazzo ebreo di sei anni, fu strappato nel 1858 ai suoi genitori dalla polizia del Sant'Uffizio a Bologna con il pretesto che una domestica aveva fatto di nascosto il segno di croce sulla sua fronte con un po' di acqua. Il piccolo ragazzo, prigioniero nella casa dei catecumeni, poi trasformata in convento, non poté mai più rivedere i suoi genitori. Fu ordinato prete con grande soddisfazione di Sua Santità. Centinaia di casi simili si verificarono nel ghetto di Roma tra il 1850 e il 1860. Gli ebrei erano terrorizzati quando sentivano la sinistra vettura del Sant'Uffizio fare la sua entrata nei vicoli in piena notte per strappare un lattante o un bambino ai suoi genitori. I redattori delle leggi di Norimberga "per la protezione del sangue e dell'onore tedeschi" hanno semplicemente parafrasato il diritto ecclesiastico David Kertzer ha acquisito la convinzione che il secolare antigiudaismo della chiesa è il terreno su cui è prosperato l'odio e la demonizzazione degli ebrei - all'origine dell'antisemitismo moderno di tipo biologico. Il Vaticano porta dunque, secondo lui, una pesante responsabilità morale nello sterminio di sei milioni di ebrei. Raul Hilberg non dice cose diverse nel primo capitolo del suo autorevole libro "Lo sterminio degli Ebrei d'Europa". La legislazione cattolica e la legislazione nazista presentano grandi somiglianze. I redattori delle leggi dette di Norimberga "per la protezione del sangue e dell'onore tedeschi", che sono entrate in vigore il 15 settembre 1935, hanno semplicemente parafrasato il diritto ecclesiastico. Durante cinque secoli la chiesa in effetti si è accanita a calunniare e distruggere il popolo ebraico, con l'intenzione di "proteggere la comunità cristiana dalla perniciosa influenza degli ebrei". Esiste un legame tra le calunnie medioevali della chiesa che sono durante fino ai primi decenni del XX secolo (secondo le quali i rabbini rapivano i bambini cristiani per sgozzarli al fine di raccogliere il loro sangue, necessario alla fabbricazione dei Matzot della Pasqua), e i burocrati nazisti della Wannsee che ordinarono lo sterminio degli ebrei nei camion e nelle camere a gas? Gli Einsatzgruppen che fucilarono più di un milione di ebrei nella Bielorussia e negli Stati Baltici, erano forse animati da un fanatismo religioso? Credevano che le loro vittime erano dei bevitori di sangue? In un certo senso, sì, perché Hitler, nei suoi discorsi, spargeva la voce che gli ebrei, simili a insetti nocivi, succhiavano il sangue del popolo tedesco che era in punto di morte. Alcuni critici hanno fatto notare a David Kertzer che è proprio la Germania, che aveva la fama di essere il paese più educato e civile d'Europa, il paese delle università, che ha commesso questo crimine. Nel 1998 il Vaticano ha affermato che la natura del suo antigiudaismo era più sociologica e politica che religiosa, e che in ogni caso era completamente diversa dall'antisemitismo biologico dei nazisti. Tuttavia, come sottolinea Kertzer nel suo "Il Vaticano contro gli Ebrei", la chiesa ha sostenuto sulla sua stampa ufficiale, particolarmente sull'"Osservatore Romano" e su "Civilità Cattolica", fino alla fine degli anni venti, che gli Ebrei appartengono a una razza inferiore. L'Inquisizione, messa in atto nel XV secolo dal Sant'Uffizio, ha affermato che esistono dei tratti fisici e spirituali, nocivi e trasmissibili, propri degli ebrei. E' nel XV secolo, in Spagna, dove viveva la più importante comunità ebraica d'Europa, che furono promulgati gli editti sulla purezza del sangue - estatutos de limpieza de sangre - che precedettero i battesimi forzati, gli autodafé e, nel 1492, l'espulsione degli ebrei che rifiutavano di convertirsi. I "Protocolli dei Savi di Sion", questo falso fabbricato dalla polizia zarista sulla base di un pamphlet di Maurice Joly contro Napoleone III, ebbero un successo folgorante in Europa. Nonostante la dimostrazione fatta da Lucien Wolf nel 1921, in una serie di articoli pubblicati sul "London Times", che si trattava di una mistificazione, il libro apparve convincente agli ambienti cattolici, poiché il suo tema era identico alle tesi del Vaticano. Negli anni venti monsignor Umberto Benigni utilizzò quest'opera nella sua crociata antisemita. Pubblicò la prima edizione italiana dei "Protocolli" nel 1921 in una serie di supplementi al suo giornale "Fede e Ragione", al quale aggiunse un altro volume intitolato "I documenti della conquista del mondo da parte degli ebrei". Nella Germania e nell'Austria della fine del XIX secolo, l'agitazione antisemita dei settori cattolici galvanizzati da Karl Lueger, che diventò sindaco di Vienna, incontrò un'accoglienza popolare entusiastica. Il Vaticano non se ne preoccupò. Al contrario, portò il suo sostegno al Partito social-cristiano e favorì la sua vittoria nonostante il fatto che nei vari organismi i suoi capi parlavano apertamente di propaganda della "razza ebraica". Mentre giganteschi pogrom, fomentati dal prete Stanislaw Stojalowski, incendiavano la Galizia sotto la sovranità dell'impero austro-ungarico, il Vaticano si rifiutava di condannarli, nonostante che l'imperatore Francesco Giuseppe avesse inviato il conte Casimir Badeni presso il nunzio apostolico per chiedergli di mettere fine al sostegno del Vaticano al Partito social-cristiano e al prete polacco. Pio XII rimproverava all'ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede di ripetergli sempre la stessa storia riguardo agli ebrei Alla fine Pio XII, che senza protestare lasciava che gli ebrei di Roma fossero portati via sotto le sue finestre, fu pienamente informato dello sterminio degli ebrei in Polonia, precisamente da una lettera di Kaziermiez Papée, ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, consegnata personalmente il 21 dicembre 1942 al cardinale Tardini, segretario di Stato. Papée fu ricevuto più volte dal Papa, il quale, esasperato dalle sue lamentele e dalle sue richieste, gli rimproverava vivamente di venirgli a raccontare sempre la stessa storia riguardo agli ebrei. (Proche-Orient.info, 7 aprile 2003) INDIRIZZI INTERNET Welcome to State of Israel | ||||||||||||||