Notizie su Israele 168 - 16 aprile 2003


<- precedente    seguente ->                                                                                                                                                 indice
O figli degli uomini, fino a quando si farà oltraggio alla mia gloria? Fino a quando amerete vanità e andrete dietro a menzogna?

(Salmo 4:2)


UN USO DELLA MENZOGNA CHE PORTA ALL'AUTODISTRUZIONE


L'autore di questo articolo è uno scrittore iraniano, giornalista e caporedattore della rivista "Politique Internazionale-Paris". L'articolo è stato scritto pochi giorni prima della caduta di Saddam Hussein ed è una testimonianza impressionante di quanto le illusioni arabe, alimentate dall'antiamericanismo occidentale, siano rimaste intatte fino a poche ore prima del rovinoso crollo del regime iracheno.


La persistenza delle illusioni arabe

di Amir Taheri, scrittore iraniano

Nel momento in cui le forze della coalizione entravano a Bagdad, un comitato di dignitari baatisti stava apportando il tocco finale a quella che speravano fosse "la madre di tutte le feste". Prevista per il 23 aprile, questa celebrazione avrebbe dovuto segnare il 65esimo compleanno di Saddam Hussein!
    Figlio maggiore di Saddam e comandante dei "fedayin", Uday avrebbe dovuto presiedere il comitato. Ma il collegio si è riunito lo scorso lunedì [7 aprile] senza Uday, che la maggior parte delle voci dà per morto o ferito. E' stato il portavoce dell'Assemblea Nazionale, Saadoun Hammadi, a presiedere il Comitato. Le festività prevedono la finale di un torneo di calcio, "la coppa di Saddam", la cui prima partita si è svolta la settimana scorsa. Alcuni artisti professionali e amatoriali porteranno decine di migliaia di opere che riguardano diversi aspetti della vita del dittatore. Il 24 aprile a Bagdad si dovrebbe inaugurare una nuova opera che racconta gli anni di lotta di Saddam, prima che il suo partito prendesse il potere nel 1968. Si attendono migliaia di poeti con le loro odi, i loro "sonetti" e le loro "roubai'yat" alla gloria del "più grande guerriero di tutti i tempi". Per quest'occasione si dovrebbero distribuire in decine di villaggi del paese centinaia di nuovi busti del leader! Il programma prevede anche un seminario su "il mondo arabo e la globalizzazione". Sono stati invitati più di 200 intellettuali arabi e stranieri (e particolarmente alcuni europei già da tempo retribuiti dal regime).
    La determinazione dei leader iracheni a proseguire i preparativi per la celebrazione di questo anniversario, come hanno sempre fatto sin dal 1979, è vista da alcuni corrispondenti occidentali a Bagdad come "un segno di fiducia" (nel regime). Il ministro dell'informazione Said al-Sahlaf ha annunciato che le festività di questo anno coinciderebbero con la più grande vittoria militare del secolo! La domanda legittima da porsi sarebbe: il 23 aprile, il regime attuale sarà pronto a festeggiare con i soliti fuochi d'artificio, forniti dalla consueta società francese come ormai avviene da 22 anni?
    Con le voci sempre più insistenti sulla morte di Saddam e dei suoi figli, l'ottimismo di questo ministro potrebbe essere fondato semplicemente sul fatto che "scambi i suoi desideri per realtà".
    Ma i « baathisti » minacciati non sono i soli arabi a nutrirsi di illusioni. Tutti coloro che seguono questa guerra attraverso i media arabi hanno colto l'impressione che l'Iraq abbia ottenuto una serie di vittorie spettacolari sul terreno e che sia in marcia verso un trionfo totale sugli "invasori". Basta leggere i titoli di prima pagina di un giornale arabo: "Le forze americane davanti la capitolazione o alla morte a Bagdad" [si sono letti gli stessi titoli in tutte le guerre arabo-israeliane, n.d.t.]. Ed eccone un altro: "Gli iracheni accumulano vittorie su tutti i fronti contro gli aggressori!"
    Queste illusioni sono confermate da tutti i reportage televisivi arabi, soprattutto quelli del network Al Jazirah del Qatar. La guerra viene presentata come una serie di massacri dei civili ad opera delle forze della coalizione, provocati dagli "attacchi eroici degli iracheni contro i suoi aguzzini".
    Secondo questi reportage, gli iracheni stanno conducendo una guerra regolare ed eroica, mentre la coalizione terrorizza i civili, istigandoli a ribellarsi contro il proprio governo. Gli esperti arabi più prudenti non prevedono la vittoria di Saddam, ma insistono sul fatto che l'Iraq diverrà "il Vietnam arabo". "Saddam potrebbe morire in questa guerra" ha detto il giornalista libanese Iyad Abouchakra, "ma la maggior parte degli arabi penserà che la sua causa in fin dei conti vincerà". La verità è che gli iracheni, a tutt'oggi, non hanno condotto alcuna lotta organizzata. Le stesse operazioni di grande spessore (chiamate in gergo militare "colpi di appiglio"), sono state portate a termine da missioni suicide contro eserciti meglio equipaggiati e meglio preparati. L'illusione che l'Iraq possa vincere questa guerra è ben vista dai regimi arabi, che sperano segretamente nella rapida sconfitta di Saddam. Convinto dai media che gli iracheni siano passati all'offensiva, l'arabo medio non manifesta la sua rabbia per strada. E in questo modo rassicura i regimi. Questo spiega in gran parte come mai la tanto annunciata esplosione della folla araba per strada, non sia mai avvenuta. Dall'inizio della guerra, soltanto in sei paesi arabi (su 22 in totale) sono state organizzate 17 manifestazioni, pianificate dagli "eterni" fomentatori dei problemi della politica araba: gli islamici, i resti di una certa sinistra, e i "pressappochisti" della Palestina! Ma poi, alla resa dei conti, questi hanno manifestato più per la Palestina che per la guerra in Iraq!
    Le forze radicali arabe cercano di trarre profitto da queste vittorie immaginarie riportate dagli iracheni. Gli islamici dicono che "gli iracheni sono infiammati da zelo religioso", i panarabisti proclamano che "il genio del nazionalismo sta per produrre miracoli in campo di battaglia", i resti della sinistra attribuiscono "enormi risultati ai sentimenti antimperialisti degli iracheni".
    Durante la prima settimana di guerra, questi elogi sono stati accompagnati da una lieve condanna di Saddam. Oggi la maggior parte dei commentatori o continua ad ignorare il Macellaio di Bagdad, oppure lo esalta in modi diversi. In occasione del suo 65esimo compleanno, Saddam potrebbe diventare il prossimo eroe panarabo!
    E' chiaro che gli arabi non sono interessati a far parlare gli iracheni. Gli oppositori iracheni in questi giorni hanno raramente la parola nei media arabi. Al contrario, questi media amplificano la voce della lobby "soprattutto non toccate Saddam" in Europa e negli Stati Uniti. Alcuni giornali arabi pubblicano fino a 10 articoli su « The indipendent » e sul « The guardian », noti per le loro tesi contro la guerra. Un ex ministro degli affari esteri iracheno, Adnan Pachechi, si è lamentato per il fatto che gli arabi vorrebbero sempre sentirsi "eroi" con il sangue altrui. In mezzo secolo, si è sempre chiesto ai palestinesi di morire perché gli arabi potessero "passare per eroi". Ora tocca agli iracheni servire come "carne da macello per le illusioni arabe". Khalid Keshtini è un novellista ed un filosofo molto di moda; esprime in questo modo i suoi sentimenti. "La prima cosa che dovrà fare l'Iraq è prendere le distanze dagli arabi; perché questi cosiddetti intellettuali arabi ci chiedono di morire in una guerra impari, per sentirsi  contenti nelle loro poltrone!" L'attuale "Saddam-mania" è una malattia bella e buona delle élite arabe piuttosto che della gente comune. Con rilevanti eccezioni come quelle di Tourki al Hamad, Ahamad al Roubi, Bakr Owelda o AbdoulRahman al-Rashid, la maggior parte dei commentatori attinge alla fonte delle illusioni o inventa nuovi eroi arabi. Ma non c'è alcun segno evidente che le masse arabe la pensino allo stesso modo.
    Visitando quei 6 paesi arabi, non ho trovato alcuna prova del supporto al despota di Bagdad. Ho percepito al contrario un sentimento di inquietudine e a volte di collera per questa guerra. Ma la maggior parte di quelli che ho incontrato vorrebbero veder andarsene Saddam. Bagdad si è inorgoglita per il fatto che 5000 arabi non iracheni sono venuti a morire da "bombe umane"; ma anche questa è una bugia. L'appello dell'islamico algerino Abdallah Jaballah "per salvare l'Iraq dall'occupazione" non è stato accolto che da quattro volontari di Algeri, fra cui un taxista di 77 anni. Gli stessi Hezbollah, Hamas e l'Jihad islamica non sono riusciti a spingere le loro truppe verso operazioni suicide in Iraq.
    I media hanno pubblicato i nomi di soli 13 volontari che, in un hotel di Bagdad, aspettavano che i servizi segreti verificassero le loro "credenziali". All'infuori di quattro persone, gli altri sono tutti arabi che vivono nei paesi europei o in Canada.
    Il diffuso antiamericanismo è importato dall'Europa e anche dagli Stati Uniti. I media arabi non fanno che diffondere continuamente i sentimenti antiamericani dei militanti occidentali. L'annuncio che il mondo arabo è sul punto di alzarsi in massa per difendere Saddam è frutto dell'immaginazione dei media occidentali, esportato nei paesi arabi dove in questi giorni non trova molti acquirenti.

(Arouts 7, 10.04.2003)


A PEZZI LE VECCHIE IDEE SUL MEDIO ORIENTE


Da un'analisi di Barry Rubin,
direttore della Middle East Review of International Affairs

    Non tutto, ma gran parte del vecchio Medio Oriente giace oggi sotto le rovine delle statue di Saddam Hussein. Ancora una volta le principali asserzioni e convinzioni con cui viene normalmente interpretata e governata questa regione si sono infrante con sorprendente rapidita'. Le forze americane sono a Bagdad, applaudite dalla popolazione irachena nello stesso momento in cui vengono biasimate da tanti che non hanno mai sofferto sotto la frusta di Saddam. Bisognera' non dimenticare troppo in fretta questa giornata.
    Certo, e' il Medio Oriente: molte cose andranno storte, le vittorie saranno infamate, presto faranno la loro comparsa nuove menzogne e nuove giustificazioni. Ma intanto diciamolo chiaro: cio' che avevano previsto coloro che sostenevano la necessita' di questa campagna militare si e' rivelato corretto; cio' che dicevano gli oppositori si e' rivelato errato. Si e' rivelato corretto cio' che sostenevano coloro che propugnano una lettura diversa del Medio Oriente, mentre si e' rivelato errato cio' che sostenevano i paladini del Vecchio Medio Oriente, delle vecchie idee morte e sepolte insieme a quelle centinaia di migliaia di vittime del dittatore iracheno che non comparivano mai nelle teorie, nelle recriminazioni, neanche nei resoconti di coloro che hanno poi il fegato di definirsi "amici" dei popoli arabi.
    Sul breve periodo, il mondo arabo non si e' sollevato in difesa di Saddam. Non ci sono stati catastrofici attentati terroristici. La mitica piazza araba e' rimasta ragionevolmente quieta. Le forze armate irachene sono effettivamente crollate in poco tempo. La gente non amava il dittatore e non ha combattuto fino all'ultimo per difendere le proprie catene. I campi d'addestramento dei terroristi e le camere di tortura del regime sono ora sotto agli occhi del mondo, come probabilmente saranno presto anche le armi non convenzionali. Le folle hanno accolto festanti le forze anglo-americane. E tutte quelle storie sui piani sbagliati, sulla dura resistenza, sulla sconfitta americana, su deliberate atrocita' da parte occidentale, su una presunta devozione nazionalistica al tiranno e tante altre ancora? Sbagliate. Sbagliavano i governi e i dimostranti europei [compreso il Papa, n.d.r.] che volevano permettere a Saddam di continuare a malgovernare e tiranneggiare ancora per anni e anni. Riconosceranno l'errore? Un amico francese mi ha detto che, dopo che e' stata svelata in Iraq quella prigione del regime piena di bambini in condizioni terribili, la popolazione francese avrebbe chiesto al proprio governo come aveva fatto a prendere le difese di una tale dittatura. Accadra' davvero?
    Non meno importanti i miti di lungo periodo che sono stati smascherati per quello che sono. Alla fin fine il mondo arabo si schiera unito, sempre e dovunque, contro l'occidente? Falso. La retorica dei giornali e delle televisioni arabe riflette una qualche forza potente destinata a scatenarsi nel mondo reale della politica? Falso. I sentimenti anti-occidentali, il nazionalismo pan-arabo e l'odio verso Israele sono destinati e determinare sempre e comunque il comportamento degli arabi su ogni questione importante? Falso. Il conflitto arabo-israeliano e' l'unica questione che conta ed e' destinata a plasmare ogni altra opinione e considerazione in Medio Oriente? Falso (E' significativo che sia finito come e' finito proprio quel regime ba'athista ircheno che non faceva che propugnare una infinita lotta per "liberare" la Palestina, nello sforzo incessante di distogliere la propria gente dalla tentazione di liberare se stessa.) L'unico modo per l'occidente di trattare con i dittatori mediorientali e' la condiscendenza e l'arrendevolezza? Falso. Non si puo' fare nulla per combattere i grandi sponsor del terrorismo, dell'aggressione e delle dittature perche' questa e' la natura stessa del mondo arabo? Falso.
    Cio' non significa, naturalmente, che ora tutto andra' via liscio. Gli iracheni vogliono una vita migliore e vogliono governare se stessi. Si opporrebbero a un eventuale governo prolungato da parte dell'occidente. Dunque deve aver luogo un trasferimento di poteri in tempi ragionevoli. E anche questo problema potra' essere trattato, se la politica degli Stati Uniti sara' guidata con il buon senso usato finora.
    Ma per quanto importante sia la questione in se' dell'Iraq, c'e' anche un'altra questione altrettanto importante: se e fino a che punto tutto cio' segnera' l'avvio di una nuova era. La fragorosa caduta delle statue di Saddam avra' un effetto in qualche misura simile a quello che ebbe la caduta delle statue del comunismo in Urss ed Europa dell'est un decennio fa? Da qui potrebbe venire una ennesima, parziale delusione, come e' stato per tante altre grandiose giornate nella storia moderna del Medio Oriente. Dalla guerra arabo-israeliana del 1967 a quella per il Kuwait del 1991, molte volte in questa regione le forze della reazione sono state sconfitte. Ma nessuna singola dimostrazione ne' l'effetto cumulativo nei decenni di tante dimostrazioni della necessita' di un profondo e completo cambiamento nelle istituzioni e nella mentalita' del Medio Oriente e' riuscita finora ad abbattere la cortina di ferro psicologica e politica che avvolge la regione. Eppure le dure lezioni della realta' si sono regolarmente presentate alla porta piu' e piu' volte. Sara' questa la volta buona? Si puo' dubitarne, ma si deve sperare.
  
(israele.net, 11.04.03 - dalla stampa israeliana)


LE MENZOGNE DEI MEDIA CHE ILLUDONO GLI ARABI


Prima ancora che la guerra in Iraq avesse la svolta decisiva della caduta di Saddam Hussein,  il direttore responsabile del quotidiano saudita a Londra Al-Sharq Al-Awsat, Abd Al-Rahman Al-Rashed, in una serie di tre articoli aveva criticato i servizi sulla guerra dei media arabi (1). Dopo la scoperta delle menzogne con cui i media arabi hanno ingannato il pubblico con resoconti che davano ai lettori l'illusione di un Saddam Hussein eroicamente resistente agli invasori, questi articoli sono ancora più significativi. Ecco alcuni estratti:


'Rallentate, media del 1967'

In un articolo dal titolo 'Rallentate, media del 1967', Al-Rashed ha scritto:

"La guerra in Iraq può durare alcuni anni... e può essere una guerra di lampo... e finire in 45 giorni. Combattere è dovere dei militari, mentre quello dei media non è di dover essere trascinati nelle trincee della stessa guerra... Questa è la verità per un giornalismo rispettabile".
  
"Ma, quando esaminiamo i media arabi, [troviamo] che è cambiato poco dall'ultimo secolo. Sembra come se le guerre di oggi non siano diverse da quelle di quarant'anni fa. A quel tempo, i media arabi sopravanzavano gli eserciti arabi facendo false predizioni. Supponevano che pubblicare un titolo sull'abbattimento di 100 aerei militari israeliani nella guerra del 1967 avrebbe costruito la fiducia in se stessi e poteva anche diventare vero in futuro. Tuttavia, quelli che si assopiscono e si svegliano davanti a una Tv araba non perdonano i media [arabi] per le loro bugie quando il fumo svanisce e la verità si vede in pieno".
  
"Io [capisco] i sentimenti dei miei colleghi, i giornalisti arabi, che trattano gli avvenimenti emotivamente piuttosto che razionalmente. Essi raccolgono frammenti di notizie che soddisfano le loro speranze. Ma, professionalmente, un giornalista che sta entro i confini delle notizie di cui dispone, e lo fa con imparzialità, rende il miglior servizio ai suoi lettori e ai suoi spettatori, che così saranno in grado di vedere la realtà come realmente è".
  
"So che assumere una posizione imparziale nel mondo dei media [arabi] è come suicidarsi, perché ci sono molti che spingono i media agli estremi,  prendono posizioni 'nazionaliste' e sostengono che chiunque la pensi diversamente commette un tradimento contro la causa [nazionale]. [Essi ritengono] che mentire per il bene della causa sia morale e onorevole. I media arabi [di oggi], in questi tempi duri, si stanno lentamente trasformando nei media del 1967; a quel tempo, gli annunciatori radiofonici, gli analisti e i giornalisti amplificavano gli atti di coraggio e coprivano le sconfitte, che, storicamente, sono diventate una farsa".
  
"I media arabi di oggi, con la loro chiara tendenza per le esagerazioni e le false promesse di vittoria, stanno alimentando le storie pubbliche che non hanno niente a che fare con i reali avvenimenti sul campo. Perciò, si stanno replicando i vecchi media, malgrado il fatto che si trasmetta a colori e si utilizzino le tecnologie elettroniche…".
  
"Prima dell'inizio della Guerra del Golfo del 1991, gli arabi che sostenevano il regime iracheno straripavano di promesse che sarebbe stata una grande guerra, un secondo Vietnam, e che decine di migliaia di invasori sarebbero tornati in bare di plastica, e che il Golfo sarebbe diventato un mare di sangue. Siamo stati inondati di servizi sul sostegno dell'opinione pubblica internazionale [per l'Iraq], ma subito tutto finì con la firma del Safwan Agreement, in cui l'Iraq si arrendeva completamente, con la sorpresa di milioni di persone…".

"I media, nei loro servizi, non dovrebbero fare aperture preventive alla propaganda dei ministeri dell'Informazione... Il miglior servizio che [i media arabi] possano fornire al pubblico è la verità. In questo modo potranno salvare la loro reputazione che è stata infangata in passato, al punto che sono diventati le sorelle gemelle dei più bassi regimi politici".


'Persino peggio dei media arabi del 1967'

In un successivo articolo alcuni giorni dopo, Al-Rashed ha replicato alle critiche rivolte al suo precedente intervento:

"I media arabi di oggi sono persino peggiori di quelli del 1967, perché non sono obiettivi e imparziali... I media del 1967 avevano una diffusione limitata, mentre oggi nessuno è immune dai media del 2003, che raggiungono ogni casa…"

"I media arabi hanno volutamente censurato le proposte dell'opposizione irachena, sebbene essa rappresenti fette del popolo iracheno…Ancor più importante, essi hanno censurato qualsiasi servizio che contraddiceva le loro posizioni [ideologiche], come quelli relativi ad unità dei servizi segreti iracheni che sparavano sugli iracheni che stavano cercando di fuggire. [Invece], i media arabi hanno pubblicato storie che ricordavano le avventure di Sindibad, come quella sul contadino che ha abbattuto un elicottero Apache con un vecchio fucile. Alcuni media arabi  hanno diffuso servizi secondo cui le forze della coalizione usavano armi chimiche, un'affermazione che neanche il ministro iracheno dell'Informazione ha mai fatto. Decine di storie sono state soppresse solo perché erano in contraddizione con quel che Baghdad andava dicendo, o perché le loro fonti erano americane".

  
"La questione è, quindi, come sappiamo la verità quando un giornalista si trasforma in un censore parziale?"
  
"[Lasciatemi chiarire]: Io non sto chiedendo di ignorare la versione irachena, malgrado il fatto che essa sia ridicola o sia una completa bugia. E non chiedo di riferire le notizie che provengono solo dai comandanti americani, anche se esse sono veritiere. Io sto chiedendo di consentire al cittadino arabo di avere le notizie nelle due versioni, per evitare di cadere nella trappola di resoconti parziali, come nel 1967..".
  
"Oggi c'è una battaglia di informazioni esattamente come nel 1967. Ogni direttore siede con le sue forbici e dice alla gente: questo è quel che vedrete, e questo non vi è consentito di sentire perché ha come protagonista  un iracheno supporter di Washington, o descrive la sconfitta delle coraggiose truppe [irachene], o sembra una campagna propagandistica. C'è differenza tra uno strumento dei media che agisce come un setaccio e uno che si comporta come un distributore. Quest'ultimo è migliore".
  
" [Alcuni critici hanno affermato] che io non  riconosco il miglioramento qualitativo dei media arabi. Non è questo il forum per valutare gli sviluppi tecnologici nelle trasmissioni : il colore, l'elettronica, e la velocità. Sfortunatamente, queste non sono creature del genio arabo. Sono importate esattamente come la carta che importiamo dalla Svezia e le stampanti che importiamo dalla Germania. Sono miglioramenti importati, proprio come l'abbigliamento, le auto e gli orologi. Ma gli stessi servizi sono ancora pubblicati nello stesso vecchio modo, che è più preoccupato dei princìpi [nazionali] che della presentazione della verità".
  
"Guardate quello che la maggior parte delle stazioni tv arabe, non solo Al-Jazeera, stanno trasmettendo da Baghdad. La maggior parte di loro si stanno comportando come portavoci del ministero iracheno dell'Informazione. Nessuna di loro ha avuto il coraggio di chiedere, solo chiedere - durante il dramma dell'abbattimento di un aereo a Baghdad e la ricerca dei piloti nelle acque del Tigri - al ministero dell'Informazione iracheno, che ha radunato [la gente] e l'ha mandata a guardare il dramma, dov'era l'aereo, che non avrebbe potuto evaporare dopo l'abbattimento, e [dov'erano] i paracadute che i due [piloti] hanno utilizzato. Purtroppo, è stata una montatura...".

"Notate la differenza nelle conferenze stampa tra le due parti. Nell'Occidente, i giornalisti non si accontentano di ascoltarle. Essi sondano, esprimono opinioni contrarie e svelano le bugie. Sui  nostri media, qualsiasi cosa dica [il ministro dell'Informazione iracheno] Al-Sahhaf viene diffusa come se lui fosse un predicatore del venerdì in una moschea…" (2).


'O si conquistano gli spettatori o qualcun altro lo fa'

In un altro articolo, Al-Rashed ha scritto: "L'influenza dei media è arrivata a tal punto che [anche] i sostenitori della democrazia hanno cominciato a radunarsi dietro un dittatore del mondo, e il popolo religioso ha cominciato a raccogliersi per pregare dietro il leader del partito [laico] Ba'ath…".

"Molti nell'establishment dei media [arabi] [così come] il personale... hanno accettato di sottoporsi al ministero dell'Informazione di Saddam non per convinzione, ma per cavalcare la marea emotiva che impazza per le strade, e per trarne profitto. Ho chiesto ad uno di loro perché il suo canale Tv stava prendendo una posizione parziale. Lui ha risposto che era una gara, somigliante a un "beauty contest": gli spettatori o li conquisti tu o li conquisterà qualcun altro".
  
"Abbiamo trasformato i nostri media in portavoci del ministero per l'Informazione iracheno, ed essi non permettono ai lettori e agli spettatori di vedere nient'altro che un punto di vista parziale. Essi considerano un tradimento qualsiasi discussione oggettiva ed è proibito qualsiasi resoconto imparziale…".
  
"In questo partito, ci sono gruppi di ballerini che traggono profitto dall'infiammare e dall'incitare i sentimenti pubblici. Questi sono gruppi che non hanno niente a che fare con l'Iraq o con la guerra. Erano contenti dell'invasione americana più degli stessi americani. Stanno sfruttando la crisi per arruolare la gente ideologicamente... Ho chiesto ad uno di loro: 'Come potete guidare le proteste e infiammare l'opinione pubblica, quando domani dovrete collaborare con gli americani nella regione? Come venderete il vostro petrolio e coesisterete con i [nuovi] dettami politici? Come convincerete quelle menti che sono state riempite con il rifiuto a confrontarsi con la realtà?'".
  
"In tali crisi, l'obiettività e la riflessione di entrambi i lati della questione sono essenziali per abbassare l'ostinazione e per evitare questa follia che affligge la gente e i governi. A nessuno viene chiesto di sostenere la guerra... ma è illogico che i funzionari e i media diventino appendici di un regime che sta crollando, solo a causa della competizione [dei media] e della paura della retorica infernale di quelli che sono pieni di odio" (3).

------------------------
Note:
(1) Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 27 marzo 2003.
(2) Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 1 aprile 2003.
(3) Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 29 marzo 2003.

(The Middle East Media Research Institute, aprile 2003)


LA VOGLIA DI FAVOLE DEL MONDO ARABO


Il punto di vista di un arabo americano

di Joseph Farah

    Quello che segue è un pezzo fatto sulle osservazioni di Joseph Farah al simposio della Coalizione Cristiana sull'Islam, il 15 febbraio a

Washington, D.C., e quindi trasmesso due volte su C-SPAN [canale televisivo specializzato in politica]. Centinaia di telespettatori hanno scritto chiedendo una trascrizione del suo discorso; questa ne costituisce una versione ridotta.

    Sono veramente infastidito, soprattutto dopo l'11 Settembre, da tutti i portavoce autoproclamati arabi-americani o musulmani- americani che vedo nelle varie trasmissioni.Quel che mi infastidisce è il modo in cui palesano la loro mancanza di apprezzamento per come gli americani sono tolleranti, privi di pregiudizi e di mentalità aperta verso di loro e verso il mondo arabo e musulmano.Gli americani sono così buoni, così corretti e così comprensivi. Non sono certo pronti a generalizzare e imporre stereotipi - anche quando sarebbe nel loro interesse.
    Questa settimana in due giorni ho preso 9 differenti voli aerei e sono passato da 9 diversi controlli di sicurezza degli aeroporti. Neanche una volta in questi due giorni mi è stato rivolto lo sguardo più di una volta dal personale di sicurezza. Né sono stato sottoposto a particolari controlli extra. E sono un arabo americano. Ho un faccia araba e un nome arabo. Ma non mi hanno controllato più degli altri. Invece ho visto giovani madri con bambini piccoli lottare per convincerli a passare ulteriori controlli. Ho visto anche una nonna affrontare l'insolenza di controlli extra.
    E nel frattempo le lobby dei musulmani-americani e gruppi anti- discriminazioni degli arabi-americani denunciano questo paese come se fosse razzista e attuasse una politica discriminatoria nei loro confronti. Non è vero. E quel che è peggio è che ci sarebbe ogni ragione di buon senso per farlo.
    La minaccia del terrorismo negli Stati Uniti viene in gran parte, se non esclusivamente, dagli arabi e dai musulmani. Noi ignoriamo questo fatto a nostre spese. Quando viaggio in Medioriente, uso spesso l'El Al (la compagnia aerea israeliana). In realtà è la mia preferita. Perché? Per la sua grande sicurezza. So che per la mia origine araba i miei bagagli saranno controllati più scrupolosamente degli altri. Questo mi dà fastidio? Per niente. In realtà sono loro grato, perché so che questo personale di sicurezza non sta solo proteggendo i passeggeri, stanno proteggendo me. Ha senso fare queste differenze - soprattutto quando siamo in guerra e il nostro stile di vita è a rischio.
    Per chi di voi non ha letto i miei scritti sul Medioriente e il conflitto fra Occidente e Islam, non ritengo che queste battaglie avvengono per scarsa comprensione. Non credo siano dovute alla difficoltà di comunicare. Non credo dipendano dall'incapacità di trovare un compromesso. Penso dipendano da persone malvagie che fanno cose malvagie, ecco la verità pura e semplice.
    Sono arrivato ad occuparmi della questione mediorientale in un modo un po' diverso da quello di altri. Sono un giornalista arabo-americano cristiano. Sono arrivato alle conclusioni appena esposte attraverso esperienze di prima mano, occupandomi per lavoro di Medioriente in loco. Nei miei 25 anni di carriera come inviato di un giornale, ho avuto due obiettivi: Hollywood e il Medioriente. Vi chiederete cosa abbiano in comune. Hanno in comune il fatto che entrambi sono a metà fra realtà e sogno. Entrambi si basano su leggende. In realtà la capacità degli arabi di creare favole, reinventando la storia e drammatizzando i fatti farebbe arrossire Oliver Stone. E sono queste leggende che vorrei affrontare oggi nel poco tempo che abbiamo.
    Qual è la contesa? Quali sono le radici del conflitto? Se credete a quello che sta scritto negli articoli, i palestinesi vorrebbero una patria e i musulmani vorrebbero controllare luoghi che considerano sacri? Semplice, no? Sbagliato! In realtà queste due richieste non sono altro che mosse strategiche, giochetti della propaganda. Non sono altro che scuse false e tentativi di razionalizzare il terrorismo e l'assassinio degli ebrei. Il vero obiettivo di chi fa queste richieste è la distruzione dello stato di Israele.
    La prova è che prima della guerra arabo-iscraeliana del 1967, non c'erano seri movimenti per la creazione di uno stato palestinese. Perché? Nel 1967, durante la guerra dei sei giorni, gli israeliani conquistarono la Giudea, la Samaria e Gerusalemme Est, ma non presero questi territori ad Arafat. Li conquistarono a Hussein, Re di Giordania. Perché i cosiddetti palestinesi improvvisamente scoprirono la loro identità nazionale dopo che Israele aveva vinto la guerra? Perché non c'era stata prima la richiesta di uno stato palestinese?
   La verità è che la Palestina non è più reale del paese dei balocchi. La prima volta che questo nome è stato usato è stato nel 70 D.C., quando i romani commisero un genocidio nei confronti degli ebrei, distrussero il Tempio e dichiararono che le terra di Israele non sarebbe esistita più. Da allora, promisero i romani, sarà chiamata Palestina. Il nome deriva, si pensa, dai filistei, un popolo conquistato dagli ebrei secoli prima. Contrariamente a quello che vi dirà Arafat, i filistei erano estinti all' epoca. Ad Arafat piace fare finta che il suo popolo sia il discendente dei filistei. Invece il nome era stato scelto semplicemente per insultare gli ebrei - non erano stati annientati, ma la loro terra veniva chiamata con il nome di un popolo che avevano conquistato.
    La Palestina non è mai esistita - prima o dopo - come stato nazione. Quella terra stata governata a turno da Roma, dai crociati cristiani e islamici, dall'Impero Ottomano e, per un breve periodo, dai britannici, dopo la Prima Guerra Mondiale. I britannici accettarono di restituire almeno una parte della terra al popolo ebraico quale loro madre patria. Chi respinge l'idea? Gli arabi. Gli ebrei non potevano avere un posto nel Medioriente. Nessuno. Zero. Zip. Nada.
    Adesso, almeno agli occidentali, Arafat e alcuni cosiddetti arabi "moderati" vi diranno che è giusto che anche gli ebrei abbiano una patria - a fianco degli arabi. Perché non andava bene nel 1948?
    Non esiste una lingua nota come "palestinese". Non esiste una distinta cultura palestinese. Non c'è mai stata un terra chiamata Palestina, governata da palestinesi. I palestinesi sono arabi, indistinguibili dai giordani, dai siriani, dai libanesi, dagli iracheni etc. Ricordatevi che gli arabi controllano il 99,9% delle terre arabe. Israele costituisce l'uno per mille di quelle terre. Ma questo è troppo per gli arabi. Vogliono tutto. E questo è alla fine il motivo dei combattimenti in Israele oggi. Non importa quante concessioni territoriali farà Israele, non sarà mai abbastanza.
    Arafat stesso ha spiegato il trucco dei negoziati con Israele in un discorso del 1994 in Sudafrica, in inglese. L'ha spigato in arabo decine di volte. Prima creiamo uno stato nostro, poi usiamo questo stato per liberare tutta la Palestina. Ecco lo scopo. È sempre stato lo scopo.
    Arafat e i suoi sostenitori vi diranno che c'è bisogno di uno stato arabo perché gli arabi sono stati forzatamente rimossi dalle loro proprietà nella guerra del 1948. Ma sentite cosa dicevano gli arabi riguardo ai rifugiati dopo la guerra:

    - "Il fatto che vi siano questi rifugiati e una diretta conseguenza delle azioni degli stati arabi contro la spartizione e lo stato ebraico. Gli stati arabi concordano con questa politica unanimemente e devono condividere l'onere della soluzione del problema" (Emile Ghoury, segretario dell'Alto Comitato Arabo Palestinese, in un'intervista con il "Beirut Telegraph" 6 settembre 1948).

    - "Gli stati arabi, che hanno incoraggiato gli arabi palestinesi a lasciare le proprie case temporaneamente in modo da non intralciare l'invasione degli eserciti arabi, non hanno poi mantenuto la promessa di aiutare i rifugiati" (quotidiano giordano "Falastin", 19 febbraio 1949).

    - "Chi ha portato i palestinesi in Libano come rifugiati, facendo loro soffrire l'atteggiamento malevolo dei giornali e dei leader comunali che non hanno né onore né coscienza? Chi li ha portati nella miseria e nella povertà, dopo aver perso l'onore? Sono stati gli stati arabi e il Libano fra questi" (Settimanale di Beirut "Kul-Shay" 19 agosto 1951).

    - "Il 15 maggio 1948 arrivò .. Quel giorno il muftì di Gerusalemme si appellò agli arabi di Palestina affinché lasciassero il paese perché gli eserciti arabi stavano per arrivare e combattere per loro" (quotidiano cairota "Akhbar el Yom", 12 ottobre 1963).

    - "Per la fuga e la caduta degli altri villaggi sono i nostri capi ad essere responsabili a causa della loro propaganda di voci che esageravano i crimini degli ebrei e li descrivevano come atrocità per infiammare gli arabi. Diffondendo le voci di atrocità ebraiche, uccisioni di donne e bambini ecc., hanno indotto paura e terrore nei cuori degli arabi di Palestina fino a farli fuggire lasciando le loro case e proprietà al nemico" (quotidiano giordano "Al Urdun" 9 aprile 1953).

    Potrei andare avanti con questa storia dimenticata – deliberatamente scordata. Ma ormai avete capito. Non c'è stato alcun complotto ebraico per scacciare gli arabi dalle loro case nel 1948. Non è mai accaduto. Ci sono invece copiose prove che mostrano come gli ebrei avessero pregato i loro vicini arabi di restare e vivere in pace e armonia. Tuttavia, nonostante le parole chiare e per niente ambigue degli osservatori arabi dell'epoca, la storia è stata efficacemente riscritta per far apparire gli ebrei come i cattivi.
    Gli stati arabi che hanno cominciato le ostilità non hanno mai accettato la responsabilità - nonostante le loro enormi ricchezze e la loro capacità di assorbire decine di milioni di rifugiati nelle loro grandi nazioni sotto-popolate. E gli altri stati non hanno fatto accettare loro questa responsabilità.
    Oggi, naturalmente, questa farsa crudele continua. Le sofferenze di milioni di arabi vengono perpetuate soltanto per motivi politici dagli stati arabi. Sono semplici pedine nella guerra per distruggere Israele.
    C'erano circa 100 milioni di profughi nel mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale. I palestinesi sono gli unici nel mondo a non essere stati assorbiti o integrati nelle loro terre. Da allora, milioni di profughi ebrei da tutto il mondo sono stati assorbiti nel piccolo stato di Israele.
    Non ha senso aspettarsi che lo stesso piccolo stato risolva la crisi dei profughi che non ha creato. Pensate forse che agli arabi interessi veramente la sorte dei profughi? Vorrei farvi notare che Israele, fra tutti gli stati mediorientali, ha trattato i profughi arabi con maggior correttezza e compassione.
    Lasciate che vi faccia un esempio:
    Secondo il "Jordan Times" "i profughi palestinesi in Libano, ai quali sono a lungo stati negati molti diritti civili, compreso il diritto al lavoro, devono adesso affrontare un ulteriore ostacolo alle loro esistenze precarie. In base a un decreto introdotto dal parlamento l'anno scorso, gli arabi palestinesi saranno privati del diritto alla proprietà. Chi già possiede delle proprietà non potrà passarle ai propri figli"
    Provate a immagine cosa sarebbe successo se Israele avesse emanato una legge simile? Vi lascio immaginare quali strepiti sarebbero stati fatti a livello internazionale. Cosa avrebbero detto le Nazioni Unite? Come avrebbero vista i media occidentali un piano così draconiano?
    Tuttavia questo è successo in paese arabo senza che praticamente nessuno lo abbia commentato - a parte qua [negli Stati Uniti. N.d.T.].
    E riflettiamo sulla motivazione lucida per questa azione in Libano, come viene descritta dal "Jordan Times": "Il parlamento libanese ha approvato questa legge per proteggere il diritto dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case da cui sono fuggiti dopo la creazione dello stato di Israele su terre palestinesi nel 1948". Non vi sembra bello? "Proteggiamo i vostri diritti negando i vostri diritti".
    Mentre Israele muore dalla voglia di fare concessioni agli arabi palestinesi - soprattutto quelli vittime della guerra del 1948 - gli stati arabi hanno solo cercato di sfruttare le loro miserie. E lo sfruttamento continua ancor oggi. È nascosto. È una questione legale. E il mondo non lo nota.
    Fin da quando ho scritto un articolo nell'ottobre del 2000, chiamato "I Miti del Medioriente", i lettori da tutto il mondo mi hanno chiesto cosa significa il termine "palestinesi": La semplice risposta è che significa qualsiasi cosa Arafat voglia che significhi.
    Arafat stesso è nato in Egitto. In seguito si è trasferito a Gerusalemme. Infatti la maggior parte degli arabi che adesso vivono nei confini di Israele sono venuti da qualche altro paese arabo in un qualche momento della loro vita. Gli arabi continuano a migrare verso Israele anche oggi. Continuano a trasferirsi nell'Autorità Palestinese. Immigravano là prima ancora che Israele ne abbandonasse il controllo.
    Gli arabi hanno costruito 261 insediamenti in Cisgiordania dal 1967. Non sentiamo parlare molto di questi insediamenti. Sentiamo invece parlare degli insediamenti ebraici che sono stati creati. Sentiamo come essi siano destabilizzanti, come siano provocatori. Tuttavia soltanto 144 insediamenti ebraici sono stati costruiti dal 1967, compresi quelli intorno a Gerusalemme, in Cisgiordania e Gaza.
    Questo fenomeno è nuovo? Assolutamente no. È sempre stato così. Gli arabi migravano verso Israele e il suo ambiente fin da quando è stato creato e anche prima, contemporaneamente all'ondata migratoria ebraica in Palestina prima del 1948.
    Winston Churchill nel 1939 disse: "Lungi dall'essere perseguitati, gli arabi hanno affollato il paese e si sono moltiplicati tanto che la loro popolazione è aumentata così tanto che perfino tutto l'ebraismo mondiale non sarebbe in grado di far aumentare altrettanto la popolazione ebraica".
    E questo solleva una domanda che non ho mai sentito fare: Se la politica di Israele rende la vita così intollerabile per gli arabi, perché continuano ad immigrare nello stato ebraico?
    Questa è una domanda importante ora che vediamo il dibattito palestinese spostarsi sul "diritto al ritorno" Secondo le stime più liberali delle fonti arabe da 600.000 a 700.000 se ne andarono da Israele intorno al 1948, quando fu creato lo stato ebraico. La maggior parte non venne cacciata dagli ebrei, ma se ne andò su sollecitazione dei capi arabi che avevano dichiarato guerra a Israele. Tuttavia vi sono molti più arabi che vivono nei territori oggi che allora. E la maggior parte di coloro che se ne andarono nel 1948 era originaria di altri stati arabi.
    Ecco perché è difficile definire il termine "palestinesi". Lo è sempre stato. Cosa significa? Chi è un "palestinese"? È qualcuno venuto a lavorare in Palestina per via di una economia fiorente e maggiori opportunità di lavoro? E qualcuno che è vissuto nella zona per almeno due anni? Cinque anni? Dieci anni? È qualcuno che una volta ha visitato quella zona? È qualsiasi arabo che voglia vivere in quella zona?
    Sebbene gli arabi siano molti di più degli ebrei in Medioriente - in una proporzione di 100 a 1 -, la popolazione araba di Palestina era storicamente molto bassa, fino al rinnovato interesse ebraico per quelle zone agli inizi del XX secolo. Per esempio, una guida turistica della Palestina e Siria, pubblicata nel 1906 da Karl Baedeker, illustra come, anche quando l'Impero Ottomano governava la zona, la popolazione musulmana di Gerusalemme era minima. Il libro stima che la popolazione totale della città sia di 60.000 persone, di cui 7000 musulmani, 13.000 cristiani e 40.000 ebrei.
    "Il numero degli ebrei è cresciuto grandemente negli ultimi decenni, nonostante il fatto che sia loro vietato immigrare o possedere proprietà terriere" dice il libro. Nonostante gli ebrei fossero perseguitati, venivano lo stesso a Gerusalemme e costituivano la stragrande maggioranza della popolazione già nel 1906.
    Perché i musulmani erano così pochi? Dopotutto ci dicono che Gerusalemme è la terza città santa dell'Islam. Sicuramente se questo fosse stato creduto nel 1906, i più devoti si sarebbero stabiliti là. La verità è che la presenza ebraica a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa è continuata in tutta la sua sanguinosa storia, come documentato dal libro fondamentale di Joan Peters sulle origini del conflitto arabo-israeliano nella regione, "Da tempo immemorabile".
    È anche vero che la popolazione araba è cresciuta dopo l'immigrazione ebraica nella zona. Gli arabi arrivarono per via delle attività economiche. E, che lo si creda o no, vennero perché c'erano più libertà e più opportunità in Israele che nelle loro patrie.
    È tempo di inserire la questione dalla libertà nel dibattito. Negli ultimi anni Freedom House, l'organizzazione per i diritti umani che controlla come gli stati del mondo trattino i propri cittadini, ha notato che vi è una tendenza globale ad allontanarsi dai regimi totalitari e autoritari per andare verso maggiori libertà, dappertutto tranne che nel mondo arabo.
    Ci sono 22 stati arabi, tutti a loro modo stati di polizia. Se gli Stati Uniti continuano a premere per uno stato palestinese sotto la leadership di Yasser Arafat, ce ne saranno 23. Speriamo e preghiamo che questa amministrazione cominci a capirlo. Ci sono forti indicazioni che stia avvenendo. La prossima campagna in Iraq può rappresentare uno spartiacque nella storia del Medioriente. Immaginate un Iraq libero. Immaginate un Afghanistan libero. Immaginate un Iran libero. Immaginate un Libano libero.
    Tutto questo può accadere. Se ci poniamo degli obiettivi alti e agiamo responsabilmente, se siamo coraggiosi e risoluti nell'affrontare questa guerra al terrorismo - questa guerra che non abbiamo iniziato - tutto questo può accadere.

(traduzione italiana di Valentina Piattelli)

(WorldNetDaily.com, 24 febbraio 2003 - da "Amici d'Israele")



E' ISRAELE IL TEST DELLA PACE UNIVERSALE?


Il fardello della pace sta per piombare sulle spalle di Israele

di Fiamma Nirenstein

Mentre le truppe della coalizione occupano Baghdad, in queste ore Joschka Fischer visita Israele con un sorriso anche troppo simpatico, e sembra fischiettare una canzone su due note: Road map, Quartetto. Ovvero: ragazzi, ci siamo, la guerra è finita, gli americani sono poco più in là, noi europei siamo qua, e ora si parla di voi. E' l'unica cosa su cui, oggi come oggi, il Quartetto è d'accordo: prendere per le spalle israeliani e i palestinesi e spingerli al tavolo di pace. Gli israliani si sentono come un ragazzo a cui si dice «è per il tuo bene»: temono che per dimostrare agli arabi che l'Occidente non ce l'ha con loro, si sponsorizzi un accordo disastroso, foriero di terrore. I palestinesi sono preoccupati: temono che gli Usa e i vecchi amici europei e russi vogliano un pegno di democrazia da parata e impossibili garanzie anti Hamas. Come al solito, gli interessi del mondo su questa zona sono messianici: Tony Blair con empito quasi sentimentale, ha detto che la soluzione del problema israelo palestinese non è meno importante della guerra in Iraq. La sua proposizione non è peregrina: la guerra in Iraq, suggerisce una verticale rottura fra due civiltà anche a chi proprio non vuole sentirne parlare, indica nel terrorismo come un problema centrale, una specie di seconda guerra mondiale, sceglie la strada della forza per risolverlo. Ed ecco che resta ancora una chance per dimostrare che il rapporto col mondo arabo è praticabile, che la pace è possibile proprio dove le ferite sono profonde. Bush e Blair non perdono occasione per ripeterlo, e solo su questo hanno una claque universale, quando l'unanimità sembrava dimenticata per sempre. Israele, anche quella più favorevole a grandi rinunce, ammicca timidamente, sembra sgomenta di fronte alla prospettiva di reggere questa responsabilità: sente che se il test della guerra era Saddam, e che adesso quello della pace consensuale con un intero universo è lui stesso. I palestinesi sono incaricati di dimostrare prima ancora dell'Iraq che il mondo arabo può diventare democratico e battere il terrore. Chi mai vorrebbe trovarsi sulle spalle simili responsabilità, mentre il mondo è percorso da scoppi, boati, e da un fiume di sangue?

( La Stampa, 09.04.2003)



LETTERA APERTA AL PRESIDENTE BUSH


«Presidente, non chieda ad Israele di fare altre concessioni!»

di Beth Kennedy


Caro signor Presidente,

    mi alzo in piedi per applaudire la Sua conduzione della Guerra al Terrorismo. Sta facendo un ottimo lavoro! La Sua strategia si è dimostrata eccellente. Una parte integrante di detta strategia è il fatto che Lei considera responsabili i terroristi e i paesi che li generano. Sta disponendo tutte le forze degli Stati Uniti conformemente a quanto ha detto, difendendo quei principi che hanno reso grande questo paese.
    Per esempio, Lei non ha mai incontrato Yasser Arafat, un vero terrorista. Questa è la vera distinzione da farsi: il Presidente degli Stati Uniti non incontrerà mai, né scherzerà mai, con i terroristi. Ancora una volta, la Sua gestione della situazione del mondo indica un'acuta percezione ed una necessaria profondità.
    Comunque, vorrei sottolinearLe un argomento molto vicino e caro al mio cuore, e cioè la sicurezza e la prosperità di Israele. Sono un Cristiano Sionista. Invitato da un mio amico di Baltimora, ho avuto ultimamente il piacere di partecipare ad una conferenza di un giorno, organizzata dall'Unione Ortodossa e tenutasi a D.C. Abbiamo sentito cose chiare e sensate, pronunciate da alcuni dei dirigenti della Sua amministrazione.
    Elliot Abrams ha parlato francamente e con cognizione di causa sulla questione Medio Oriente. Ha ripetutamente assicurato il pubblico che gli accordi della Road Map non avrebbero, e non avrebbero potuto, essere messi in pratica se il governo palestinese non avesse agito e operato come un vero partner.
    Desidero soltanto registrare la mia preoccupazione che, non appena ci lasceremo alle spalle l'immediato conflitto iracheno, la comunità mondiale (guidata dal Quartetto, di cui anche noi facciamo parte) chiederà allo Stato di Israele di fare concessioni su concessioni. Non voglio veder accadere una cosa del genere. Questa forte tendenza diplomatica deve essere equilibrata da un giudizio realistico sulla leadership palestinese, e non da un giudizio ottimistico e candido come appena lavato, valido solo come espediente politico.
    Per esempio, in un recente discorso Lei ha chiesto al governo israeliano di sospendere ogni ulteriore attività di insediamento. Ma secondo i vari accordi Israeliano-Palestinesi, ogni attività di insediamento deve essere negoziata direttamente fra gli Israeliani e i Palestinesi. Non c'è nessun accordo che limiti effettivamente Israele nei suoi stanziamenti. Inoltre, sono stati già stabiliti dei meccanismi, come parte di questo processo di pace, per arrivare alla risoluzione pratica di questo problema. Di conseguenza, ignorando questi accordi, la posizione degli Stati Uniti pretende in partenza una concessione da parte di Israele.
    Ma che cosa stanno concedendo i palestinesi? Garantiscono la fine del terrorismo? Ma la cessazione del terrorismo si sarebbe dovuta già ottenere con gli accordi di Oslo, firmati dallo stesso Arafat. Concederanno forse un governo democratico, con elezioni libere ed aperte? Ma anche questo avrebbero dovuto già concederlo, come parte del Protocollo di Hebron, da lui già firmato.
    Lei sa che dal 1967 i Palestinesi hanno costruito 261 insediamenti in Cisgiordania? Ma sembra che nessuno voglia parlarne. Durante questo stesso periodo, sono stati costruiti solo 144 insediamenti ebrei, in tutte quelle aree contese, compresa Gaza ed il territorio intorno a Gerusalemme, esattamente come la Cisgiordania. Osservi la differenza fra queste due cifre!
    A me pare che si stiano chiedendo nuove concessioni ad Israele, mentre ai Palestinesi si chiede solo che rispettino le precedenti. Non solo tutto questo mi pare estremamente ingiusto, ma anche tragico.
    Perché stiamo trattando l'unica democrazia del Medio Oriente, e nostro vero buon partner e costante alleato, in questo modo?
    Il governo palestinese è terribilmente fallito come autentico partner con cui si possano fare dei negoziati di qualche tipo. Ci potranno volere degli anni prima che diventi tale.
    Si ricordi per favore che fra il 1948 e il 1967 nessuno ha mai rivendicato uno Stato Palestinese. La Giordania e l'Egitto controllavano il territorio da loro conquistato nella Guerra di Indipendenza israeliana. Allora non concessero quei territori ai Palestinesi, ma questo non costituiva un problema. Fu soltanto quando Israele prese quei territori nella Guerra dei Sei Giorni, che le voci arabe iniziarono a gridare "occupazione" e l'OLP, la PLFP ed altri gruppi diedero il via al loro regno di terrore internazionale.
    Caricare la soluzione Road Map solo sulle spalle di Israele non solo farà crescere la doppiezza, ma porterà a un inganno che rasenta il fratricidio politico. Questi sono nostri fratelli e nostre sorelle. Ripeteremo allora, inoltre, il tragico errore di Oslo: ricompenseremo direttamente il terrorismo.
    Come ben saprà, i francesi di recente hanno cercato di metterci in imbarazzo e di ferirci politicamente. Eppure, alla fine, non ci hanno fatto alcun male. Perché? Perché eravamo dalla parte della ragione e loro nel torto. Lei ha avuto la chiarezza morale e l'abilità diplomatica di guidare questa nazione in un campo politico minato.
    D'altro canto, nonostante tutte le buone intenzioni, l'imposizione della Road Map COLPIREBBE irreparabilmente Israele, in modo molto più grave di quanto potrebbe mai fare a noi qualsiasi arrogante diplomatico francese. E temo che tutto ciò a lungo andare non farà che ripercuotersi contro di noi e ferire il nostro paese.
    So che Lei legge lo stesso libro della Genesi che leggo anch'io; mi appello alla Sua fede. Come me, sa bene che è stato Dio a concedere il territorio di Canaan ad Israele, molto tempo fa. Chi siamo noi da dover dire loro quali parti possono o non possono avere?
    Per favore, ci pensi.
    Ancora una volta, credo che Lei stia facendo un ottimo lavoro. Le auguro salute e forza, sapendo che il Signore ci protegge, non da lontano, ma ci tiene nel palmo della Sua mano. Possa Dio continuare a benedire l'America e la Sua amministrazione.

(Israelinsider, 11.04.2003)



INDIRIZZI INTERNET


Yad Hashmona